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Full text of "Ausonia"

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AVSONIA 

RIVISTA-  Jl:LLr.    SOCIETÀ  •  ITALIANA 
DI  •  ARCHEOLOGIA  •  E  •  STORIA  •  DELL'ARTE 


ANNO  VI  •  MCMXI 


RES     ■■    m,;  ^       "^    ANTIQVAE 

LAVDIS-    l^-_  M    ET-ARTIS 


ROMA 

STABILIMENTO  TIPOGRAFICO  RICCARDO  GARRONI 

GIÀ  SOCIETÀ  TIPOGRAFICO-tDITRICE  ROMANA 

nKtlh  MIONANILLI,   2) 

191:2 


La  Società  Itnliann  iVArchcolofria  e  Storia  dell'Arte,  fondata 
in  Roma  il  /"  gennaio  igoó,  si  propone  di  favorire  gli  studi  ar- 
cheologici e  storico-artistici  e  di  secondare  l'opera  esplicata  dai  pub- 
blici poteri  nel  rinvenimento,  nella  tutela  e  ncll'  illustrazione  dei 
monunienti  che  riguardano  l'arte  e  la  storia  del  nostro  i)aese. 

Pubblica  una  rivista  «  Ausonia  »  la  quale  ha  per  iscopo  non 
solo  di  portare  un  contributo  alle  discipline  archeologiche  e  storico- 
artistiche  con  articoli  originali,  ma  aìiclie  di  diffondere  il  loro  amore 
in-  mezzo  a  tutte  le  persone  colte  con  larghi  notiziari  e  bollettini 
bibliografici  che  tengano  al  corrente  dei  progressi  della   scienza. 

Il  contributo  sociale  è  di  lire  20  annue  per  i  soci  ordinari, 
300  per  i  soci  perpetui  e  500  per  i  soci  benemeriti. 

Può  divenire  socio,  con  diritto  a  ricevere  la  Rivista  e  a  par- 
tecipare ad  ogni  altra  manifestazione  dell' attivitìi  sociale,  chiunque 
voglia,  purché  invii  la  sua  adesione,  raccomandata  da  due  soci, 
al  segretario 

Prof.  LVClO  MARIANI 

VIA    PlERLVIGl   DA   PALESTRINA,    5^   -   ROMA 

al  quale  debbono  essere  pure  spedite  le  comunicazioni  scientifiche 
e  quanto  riguarda  la  Rivista. 

Per  gli  affari  amministrativi  occorre  invece  rivolgersi  al 


^ 


Dott.  ROBERTO  PARIBENI 

^WSEO   NAZIONALE    ROMANO   NELLE   TERME   DIOCLEZLANE 


AVSONIA 


RIVISTA  •  DELLA  •  SOCIETÀ  •  ITALIANA 
DI  •  ARCHEOLOGIA  •  E  •  STORIA  •  DELL'ARTE 


ANNO  VI  •  MCMXl 


RES      • 
LAVDiS  • 


ANTIQVAH 
ET  ■  ARTIS 


ROMA 


STAHll.lMLNlC)  ni'tX  .RAH(-C)  KICCAKhl^  CÌARKOM 
CilÀ  SOCIETÀ  TII'DC.HAFICO-EDITKICh   ROMANA 
r\Mi\  Mii. 

191,^ 


1  \ 


i  i  ■  -\ 


AVVERTENZA 


Gli  autori  sono  personalmente  responsabili  degli  articoli  da  loro  firmati 


SOCIl-TA  •  ITALIANA 

DI  •  ARCHEOLOGIA  •  E  •  STORIA  •  DELL'ARTE 


CARICHE-  UFFICIALI  •  PEL-  1912 
(Assemblea    12   giugno   1912) 


Presidente  Onorario  Perpetuo 
Pr  I.    r)0.\\l-\ir.O   COMPARETTI,  Senatore   del    Regno,  Socio   Benemerito. 

Presidente  effettivo 
S.  E.  il  Principe  D.  ALFONSO  DORIA   PAMPHILY,  Senat-.re  del  Regno. 

Vice  Presidenti 

Residenti  : 

Prof.  Comm.  I.UKJI   PKjORINI,  Sen;itore  del  Regno 
Pn.t.  Comm.  ADOLFO  VKNTVRI,  della  R.  Universitì  di  Roma. 

Non  residenti  : 

Prof.  Comm.  ANKJNINO  S.M.INAS,  della  R.  UniverslLà  di  Palermo.  Sopr.-iintendente  .->!  Musei  e  Scivi. 
Prof.  Comm.  (  JHliRAKDO  (  JHIKARDINI,  della  R.  Università  di  Bologna,  Sopr-iintendente  .-li  Musei  e  Sc.ivl. 

Consintieri 

\i'"iinM  comm.  ADOLIU  -  Prof.  Comm.  l.VItil  Homo  Senatore  del  Regno  -  Prof.  i.. >.,.,.. 

i.ANTAl.Ai\\ESSA,  Dirett.  della  Galleria   Borghese  e  Sopr.iintendente   alle   Gallerie  •    Prof.   LVIGI 
CANTAKHI.I.I.  della  R.   Università   di    Roma  -  Prof.  COLINI  (ìlVShl'i 
Museo  di  Villa  (Jiulia  -  Prof.   ALHSSANDHO  iJliLLA  Sl-IA,   Ispt-ttore  i 
Conte  Prof.    iJOAMiNICO   (JNOLI.    BilMIolecario  della  Angelica    •    Prof.   H 

della  R,  Università  di  Roma  •  Prof.  Comm.  RoixM.I-O  LaNCIAM.  dell.i  R 

Senatore   del    Regno    -    Prof.    LOBWV  KA\ANVIU.I:    della    R.  Llniversltà   di    Roma    Dr.   t 
BarToloamìc)    NoOAPA,  Dirett.    del    Museo  Ktrusco  Gregoriano-  Duca  D.  LtOKJLDO   UiK 
I.ONIA,  Senatore  di-1  Regno. 

AmminisIrtUore 
iJott.  Rom-KTO  PaRIBKNI.  Ulrctt.  de  11.  nelle  Terme  lJl.Kle*f  ine. 


—  IV   — 


Revisori  de'  conti 

Prof.  Ini;.   KRNIiSKJ  MANCINI,  St;>;ret;iri()  della  R.  Accndemia  dei  Lincei. 
Prof.  COSTANTINO   PONTANI   •   Prof.   PASQVALE  SHCCIA-CORTES. 

Segretario 
Prof.  LvClO  Mariani  delia  R.   Universit.-ì  di   Pisa. 

Vice  Segretarii 
DdU.  pii-:two  D'ACHIARDI  -  Doti.  Raffahlh  Pf.ttazzoni. 

Bibliotecario 
Dr.   GIVSBPPE  CVLTRERA. 

Comitato   di  redazione 

Prof.  LVClO  MARIANI  -   Prof.   LVIGI  SAVIGNONI  ■   Prof.  LVIGI  CANTARELLI. 
Di.  Bartolomeo  NOGARA  -  Prof,  federico  HERMANIN  -  Segretario:  Dr.  GIVLIO  GlGLIOLI. 


—  V  — 


ELENCO  DEI  SOCI 


SOCI   PERPETVI. 

1.  Cnet.-ini  principe  D.  Leone,  Roma. 

2.  Castellani  cumm.  Augusto,  Roma. 

3.  Comparetli  prof.  sen.  Domenico,  Firenze. 

4.  Jonas  Alfredo,  Francoforte  sul  Meno. 

5.  Lanna  baronessa  Fanny,  Roma. 

6.  Lattes  prof.  Elia,  Milano, 

7.  Municipio  di  Milano. 

8.  Municipio  di  Roma. 

0-  Paganini  ing.  sen.  Roberto,  Roma. 
IO.   P.ill.iviiini   principe  fjiulio,  Roma. 

SOCI  ORDINARI. 

1.  Alfonsi  Alfonso,  Fste. 

2.  Ambrosctti  prof.  Juan,  Buenos  Ayres. 

3.  Amelung  prof.  Walther,  Roma. 

4.  Antonelli  .ivv.  Mercurio,  Montejiascone. 

5.  Apolloni  comm.  Adolfo,  Roma. 

6.  Aru  dott.  Carlo,  Cagliari. 

7.  Associazione  Archeologica  Rom.in.i,  Roma. 

8.  Aurigemma  dott.  Salvatore,  Tripoli. 

9.  Bacd  dott.  Pelei),  Pisa 

10.  Bacile  di  Castiglione  ing.  Gennaro,  Bari. 

11.  B.igatti-V.ilsecchi  nob.  Fausto,  Milano. 

12.  Balladoro  conte  Arrigo,  Verona. 
I}.  B.ilzani  conte  prof.  Ugo,  Roma. 

14.  B.iragiol.i  prof.  \im\\Vì,  Riva  San  Vitale  (Canlon 

Ticino). 

15.  Bariola  doti,  fiiulio,  Modena. 

16.  B.irrer.i  doti.  Pietro,  Roma. 

17.  Hars.inti  c.iv.  Alessandro,  Cairo. 

18.  H.irtoli  doli.  Alfonso,  Roma 

u).  Bar/.ellotti  prof.  sen;it.  Glaciuno,   Roma. 

20.  Basile  .irch.  prof.  Ernesto,  Palermo. 

2f.  Benedetti  prof.  U.  Enrico,  Roma. 

22.  Hesso  cotnin.  Marco,  Roma. 

2j.  Bibliolec.i  del  Nuovo  Circoln,  Roma. 

24.  Blbllot.  dell.i  Scuoi. I  d'Appllc.u.  Ingegii.,  Roma. 

25.  Biblioteca  Municipale,  /A'w'o  f'milia. 

26.  Biblioteca  Civici,   .Amliurnn. 

27.  Biblioteca  N;i/.ii>nalc,  Torino. 


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S8. 
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62. 
f>J. 
64. 
6s. 
66. 
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68. 
6g. 


Siane  barone  Alberto.  Roma. 
Blaserna  on.  sen.  Pietro,  Roma. 
Boccardi  marches;i  Anna,  Roma. 
Bodio  on.  senat.  Luigi.  A'oma. 
Boffi  prof.   Angelo,  Mortara. 
Bonarelli  conte  dott.  Guido,  Gubbio. 
Bonaiuti  prof.  Ernesto,  Roma. 
Bonci-Casuccini  nob.  dott.  Emilio.  Chiusi- 
Boni  arch.  comm.  Giacomo,  Roma. 
Bordonaro  di  Chi.iromonte  <  n.  senat.  Gabriele 

Palermo. 
Borgatti  Col.  Mariano,  Roma. 
Boselli  on.  P.iold,  Roma. 
Bragg  miss  H.  B.  Roma. 
Bragg  miss  S.  B.  Roma. 
Breccia  prof.  Evaristo.  Alessandria  d'Egitto. 
Brunelli  Bonetti   nob.  Anti>nio.  Padova. 
BuUver  miss  Agnese,   Roma. 
Bulwer  miss  Dora,  Roma. 
Caetani-Lovatelli  donna  Ersilia,   Roma. 
Cagnol.i  nob.  Guido,   Milano. 
Calonghi  prof.  Ferruccio.    Genova. 
Calvia  prof.  Giuseppe,  Mores  (Sassari). 
Campanile  dott.  Tina,  Roma. 
Camp.inini  prof.  Naborre,  Ri^ggio  F.milia. 
Campi  nobile  Luigi,  Cles  (Trentino). 
C.inni//ari>  ing.  arch.  Mari. ino,  Roma. 
Cantalamess,!  prof.  Giulio,  Roma. 
Cantarelli  prof.  Luigi.  Roma. 
Carottl  prof.  Giulio.  Milano. 
C.irla  Ros.irio,  Siracusa. 
Castelfranco  prof.  Pompeti,  .Milano. 
Cesano  dott.  Loren^ln.i,  Roma. 
Chigi  principe  Mario,   Roma. 
Cocchi  ptoi.  Igino,  Fireme. 
Coletti  do».  I 

C  "lini    prof.  (  ,  ..  Roma. 

C  >l  umba  prof.  Li.irtann  M.irio.  Palermo. 
Cor.i    prot.  Guido,  Roma. 
Correr.i  prof.  Luigi,  Sapoti. 


na. 


Mwwii. 


Culircrii  d»lt.  (jiuseppc,  Roma. 


—  VI   — 


70.  Curzio  .ivv.  Carmine,  Roma. 

71.  Curlop.issi  ciintt.-ss;i  C.iinill.i.    Roma. 

72.  D'Achi.irJi  doti.  Pietni,  Roma. 
7j.  iJ.il  Borj;(i  dnlt.   Pio  P.imIh,  Risa. 

74.  Uall.i   VeJov.i  priif.  Giuseppe,    Roma. 

75.  iJ.inesi  c.iv.  Cesare,  Roma. 

76.  [J.i  Punte  Jdtt.   Pielro,  Brescia. 

77.  De  Amicis  pruf.  Vinceii/u,  Alfedena  1  Aquila). 

78.  Dei  in^.  (jiuniii,  Roma. 

7y.  Dell.i  Seta  dutt.   Aless.iiKlro.  Roma. 

So.  Della  Torre  doti.  RujjKero.  Cividale  del  Friuli, 

Si.  De  Marchi  prof.   Attilio,  Milano. 

82.  De  Petra  prof.  Giulio,  Napoli. 

85.  De  Sanctis  prof.  G.ietano,   Torino. 

84.  Di  Lullo  prof.   Antonio.  Isernia. 

85.  Di  San   Martino  conte  Hnrico,  Roma. 

86.  Doria  P.impliili  principe  senat.  Alfonso,  Roma, 

87.  Ducati  dott.  Pericle.  Bologna. 

88.  Eusebio  prof.  Federico,  Genova. 

89.  Pago  dott.    Vincenzo,   Cairo. 

90.  Ferrari  prof.  Ettore,  Roma. 

91.  Fil.angieri  dì  Candida  conte  dott.  Antonio,  A'fl- 

poli. 

92.  Fonte.ini\'e  av\-.    Rodolfo.   Roma 

93.  Fracassetli  prof.  Francesco,  Bologna. 

94.  Fraccaroli  prof.  Giuseppe.   Torino. 

95.  Franchi  de'  Cavalieri  dott.   Pio.  Roma. 

96.  Fr.inciosi  Gi.annina,  Roma. 

97.  Frati  prof.  Carlo,  Venezia. 

98.  Freund   Alfredo,  Amburgo. 

99.  Frola  dott.  Giuseppe,   Torino. 

100.  Frova  dott.   Arturo.  Milano. 

101.  Gallavresi  doli.  (Giuseppe,  .Milano. 

102.  G.alli  ppif.   D.  l};nazio.  Roma. 

103.  Galli  Oli.  dep.   Roberto.   Roma. 

104.  Gallina  prof.  Francesco,  .\'apoli. 

105.  (ìainurrini  prof.  Gian  Francesco,  Arezzo. 

106.  G.attini  conte  Nicola,  Matera. 

107.  Gentiloni-Silveri  conte  Aristide,   Tolentino. 

108.  Gerol.i  dott.  Giuseppe.  Ravenna. 

109.  Ghirardini  prof.  Gher.irdo.  Bologna. 

110.  Cìhislanzoni  dott.  Ettore.  Roma. 

111.  Giglioli  dott.  Giulio,   Napoli. 

112.  Giorgi  prof    Ign.azio,   Roma. 

113.  Giuffrida-Ruggeri  prof  Vincenzo.  Napoli. 

114.  Giusti  Domenico.  Roma. 

115.  Gnoli  conte  prof.  Domenico.  Roma. 
Ilo.  Grampini  prof.  Ott.avio,  Roma. 

117.  Greppi  conte  Emanuele.  .Milano. 

118.  Grossi-Gondi  prof.    Felice.  Roma. 

119.  Guidi  prof.  Ignazio.  Roma. 

120.  Guidi  ardi.   Pietro,  Roma. 

121.  Halbherr  prof.  Federico.  Roma. 


22.  Helbig  prof.  WolfRang,   Roma. 

23.  Hermanin  prof.  Federico,  Roma. 

24.  Hiilsen  prof.  Christi.in,  Hrenze. 

2;.  .J.ilta  on.  Jep.   Antonio,  Ruvo  di  Raglia. 

26.  Jatta  dott.   Michele,  Ruvo  di  Raglia. 

27.  Jerace  prof.  Francese»,  Napoli. 
i8.  K.iro  prof.  Georg,  Atene. 

29.  L.inciani  prof.  Rodolfo,  Roma. 

30.  Leeca-Duc.igini  cav.  Giulio.  Roma. 

3 1 .  Loc.itelli  cav.  Cj\:\aimii, Fontanella  Mantovana. 

32.  Loddo  doli.  Romu.ilJo,  Cagliari. 

33.  Loewy  prof.  Emanuele,  Roma. 

34.  Lusignani  prof.  Luigi,  Parma. 
3;.  Macchioro  dott.  Vittorie..  Napoli. 

36.  M.igni  dott.  Antonio,  Milano. 

37.  Malaguzzi-Valeri  conte  dott.  Fnincesco,  Milano. 

38.  Malvezzi  conte  dott.  Aldobrandino,  Bologna. 

39.  Mancini  prof.  Ernesto.  Roma. 

40.  Mariani  prof.  Lucio,  Pisa. 

41.  Marietti  dott.  Antonio,  Milano. 

42.  Marietti  on.  sen.it.  Giov.inni,  Parma. 

43.  Marvasi  ;ivv.   Vittorio,  Napoli. 

44.  M.iuceri  ing.  Luigi,  Roma. 

45.  Mele  .ivv.  Augusto,  Napoli. 

46.  .Mercati  mons.  Giovanni,  Roma. 

47.  .Villani  prof.  Luigi  .Adriano.  Firenze. 

48.  Minto  dott.  Antonio,  Firenze. 

49.  Monteverde  on.  senat.  Giulio,  Roma. 

50.  Moore  miss  Lucia,  Roma. 

51.  Moris  col.  Mario,  Roma. 

52.  Morpurgo  dott.  Lucia,  Roma, 

53.  Morpurgo  Renato,  Alessandria  d'Iìgitto. 

54.  Municipio  di  Frascati. 

55.  .Municipio  di  Marino. 

56.  .Municipio  di   N.apoli. 

57.  Municipio  di  Venezia. 

58.  Muiìoz  dott.  Antonio,  Roma. 

59.  Museo  Archeologico,  Ancona. 

60.  Museo  Archeologico,  Bologna. 

61.  Museo  Civico,  Como. 

62.  iWuseo  Civico  Correr,  Venezia. 

63.  Museo  Civico  Pepoli.  Trapani. 

64.  Museo  Nazionale  delle  Terme,  Roma. 
6,.  Museo  N.azionale,  Fsle. 

66.  Aluseo  Nazionale,  Torino. 

67.  Museo  Preistorico-Etnogratico  e    Kircheriano, 

Roma. 

68.  Naggiar  Carlo,  Alessandria  d' Egitto. 

69.  Nardini  ing.  Oreste,   l'elletri. 

70.  Negrioli  dott.  Augusto,  Bologna. 

71.  Nogara  prof.  Bartolomeo,  Roma. 

72.  Ongaro  arch.  prof.  Massimiliano,  Venezia. 

73.  Orbaan  dott.  J.,  Roma. 


—    VII  — 


174.  Orsi  prof.  Paolo,  Siracusa. 

175.  Ostini  cav.  Alessandro,  Roma. 

176.  Pace  Biagio,  Palermo. 

177.  Paolozzi  conte  Claudio,  Roma. 

178.  Paribeni  dott.  Roberto,  Roma. 

179.  Pasquali  dott.  GiorKi",  Roma. 

180.  Pasquinangeli  avv.  Giocondo,  Roma 

181.  Patroni  prof.  Giovanni,  Pavia 

182.  Pellati  dott.  Franz,  Roma. 

183.  Pellegrini  prof.  Giuseppe,  Padova. 

184.  Perazzi  signorina  Lina,  Roma. 

185.  Pernier  dott.  Luigi,  Atene. 

186.  Petittidi  Roreto  conte  generale  Alfonso,  Pf/«g<a 

187.  Pettazzoni  dott.  Raffaele,  Roma. 

188.  Pigorini  prof,  senat.  Luigi,  Roma. 

189.  Poggi  avv.  Gaetano,  Genova. 

190.  Poggi  dott.  Giovanni,  l-'irenze. 

191.  Pontani  dott.  Costantino,  Roma. 

192.  Pranzetti  comm.  Carlo,  Roma. 

193.  Pressi  dott.  Eloisa,  Roma. 

194.  Pribram  prof.  Alfred,  Praga. 
19;.  Puschi  prof.  Alberto,  Trieste. 

196.  Putorti  prof.  Nicola,  Reggio  di  Calabria. 

197.  Quagliati  prof.  Quintino,  Taranto. 

198.  Ricci  prof.  comm.  C>irrado,  Roma. 

199.  Ricci  prof.  Seralino.  Milano. 

200.  Ridola  on.  dep.   Domenico,   .\latera. 

201.  Rizzo  prof.  Giulio  Emanuele,  Torino. 

202.  Rossi  prof.  Pietro,  Siena. 

203.  Sacchi  prof.  Pericle,  Cremona. 

204.  Salinas  prof.  Antonino,  Palermo. 

205.  Santamaria  Pietro,  Roma. 

206.  Savignoni  prof.  Luigi,  Roma. 

207.  Savini  cav.  Fr.incesco,  Teramo. 

208.  Scano  ing.  Dionigi,  Cagliari. 

209.  Scaravelli  Anninale,  Roma. 

210.  Sehiaparclli  prof.  Ernesto,  Torino. 

211.  Schulz  prof.  Joseph,  Praga. 

212.  Scialoia  on.  senat.  Vittorio,  Roma. 
21).  SlìpIi.iiì  prof.  S.ipione,  Ascoli  Piceno. 


214. 

215. 
216. 
217. 
218. 
219. 
220. 
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225. 
226. 

227, 

228. 
229. 
230. 
231. 
232. 
233. 

234- 
235- 
236. 
237. 
238. 
239. 
240. 
241. 
242. 
243. 
244- 
24?- 
246. 

247- 
248. 
249. 
250. 
251. 

2S2. 


Scotti  cav.  Luigi.  Piacenza. 

Scrinzi  prof.  Angelo,  Venezia. 

Scuola  Inglese  di  Archeologia,  Atene. 

Seccia-Cortes  prof.  Pasquale.  Marino  (Roma) 

Seletti  avv.  Emilii».  .Milano. 

Serafini  prof.  Camillo,  Roma. 

Sergi  prof.  Giuseppe,  Roma. 

Sim  miss  S.,  Roma. 

Soprintendenza  ai  Monumenti.  Siracusa. 

Soragna  march.  Antonio,  Milano. 

Sordini  prof.  Giuseppe,  Spoleto. 

Spalletti-Rasponi  contessa   Gabriella.  Roma. 

Spano  dott.  Giuseppe,  Pompei. 

Spighi  arch.  prof.  Cesare,  Firenze. 

Spinelli  barone  Marcello,  Napoli. 

St;iderini  prof.  Giovanni.  Roma. 

Stampini  prof.  Ettore,  Torino. 

Stara-Tedde  dott.  Giorgio,  Roma. 

Taramelli  prof.  Antonio,  Cagliari. 

Ta\'erna  conte  Paolo,  Roma. 

Terzaghi  dott.  Nicola,  Aquila. 

Tiranti  prof.  Vittorio.  Firenze. 

Tognola  cav.  Paolo,  Roma 

Tommasini  on.  senat.  Oreste,  Roma. 

Torlonia  senat.  duca  Leopoldo.  Roma. 

Toscanellì  on.  Nello,  Pontedera. 

Trasatti  Raffaele.  Roma. 

Traverso  ing.  Giovanni  Battista,  Alba, 

Turchi  prof.  D.  Nicola,  Roma. 

Vanacore  dott.  Francese.!,  Castellam.  diStabia. 

V.isari  cav.  uff.  Aless;indro,  Roma. 

Venturi  pri>f.  Adolfo,  Roma. 

Vigonl  on.  senat.  Pippo,  Milano. 

Vitelli  prof.  Girolamo,  Firenze. 

Vochieri  cav.  Andre.i,  Frascaroto   Pavin) 

Zan.irdi  col.  Roberto,  Bologna. 

Zippel  prof,  (jiuseppo,  Roma. 

Zocco-Ros;»  pMf.  Antonio,  Catania. 

Zottolì  dott.  Giampietro.  Salerno. 


SUMM  \kl<)    I)l-L   X'olAMl-    \ 


CARICHH   VTFICIAM   i'IM   L'ANNO    igii 
ELENCO  DEI  Soci  .... 


MAIVKI   A.WEDEO.   .Iiùiiiti   Ciiiiiaiia.    I  il  Disio  oracolare  Cuuiaiio 

Cantarelli  LVIGI,   //  /\itrizio  Liberio  e  r Imperalore  Ciiisliniaiio 

PARIBENI  Roberto,    /  n  nuovo  ritratto  di  Serone 

COSTANZI  Vincenzo,    Tradizioni  cirenaiche 

GIGLIO!.!  GIVLIO  Q.,   .Wte  Archeologiche  sul  Latiuin  Sovum 

BENDINELLI  GOFFREDO,    l'n'antica  statuetta  di  bronzo  rappresentante  una  poetessa 
K  IHLLBEKG   I.ENNART,   //   "   Trono  ,,    Tudovisi  e  il  monumento  corrispondente. 
Minto  Antonio,    Terrecotte  Cretesi.   Contributo  allo  studio  dei  vasi  con  forme  umane  . 
ARCH.  GVIDI   PIETRO,    //  restauro  della  Loggia  e  del  Palazzo  papale  di   l'iterbo     . 
Moretti  GIVSEPPE,    A'ilieìV  Greco-arcaico  rappresentante  una  corsa  di  cavalieri    . 
Scaccia  SCARAFONI  CaAMI.I.O,    fn  nuovo  artista  Sulwoncse  in  una   Croce  processionale 
di   l 'croli       .............. 

VARIETÀ 

SCAVI 

BOLLETTINO   BIBI.IOtiRAFICO   (STORIA   ANTICHITÀ   ROA\ANE   ED   EPIGRAFIA)     . 

RECENSIONI 

NECROLOGIO 

LIBRI   RICEVVTi   IN    DONO  —  CAMBI 

ATTI  DELLA  SOCIETÀ 

NOTIZIE   -   Congressi 


Pag. 

111 

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4' 

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'35 


ARCANA    CVMANA 


UN'  mSCO  ORACOLARE  CUMANO  (■)■ 

L'iscrizione  greca  arcaica  cumana  pubblicata  dal  Sogliano  negli  Alli  della  R.  Accad. 
d Arch.  Leti,  e  Belle  Arli  di  Napoli  (Nuova  Serie  -  Voi.  I,  1908,  p.  103  sgg.),  e  fatta 
oggetto,  d'allora,  di  più  d'un  tentativo  d'interpretazione  e  di  più  d'un  commento,  merita 
di  essere  ricondotta  ancora  una  volta  alla  luce  della  discussione,  di  non  venir  obliata,  almeno, 
per  l'ingiusto  sospetto  in  cui  uno  degli  editori  e  commentatori  ha  voluto  porla  dopo  un 
vano  tentativo  di  esegesi  :  essere  cioè  quell'iscrizione  opera  d'una  «  pura  contraffazione  »  {2). 
La  nuova  iscrizione  cumana  è  invece  uno  dei  più  preziosi  cimeli  che  siano  usciti  dal  suolo 
delle  colonie  greche  nell'Italia  meridionale;  prezioso  non  solo  per  la  conoscenza,  che  abbiamo 
ancora  imperfetta,  dei  culti  greci  nelle  colonie  greche  d' Italia,  ma  anche  e  sovratutto  per 
la  conoscenza  e  l'intelligenza  di  uno  degli  aspetti  più  oscuri  della  religione  greca,  vale  a 
dire  del  culto  mantico. 

Conservata  nella  collezione  antiquaria  d'una  nobile  famiglia  napoletana,  venne  per  la 
prima  volta  offerta  all'esame  e  allo  studio  del  Prof.  A.  Sogliano.  Per  quanto  la  lettura  e 
il  commento  che  il  Prof.  Sogliano  s'affrettò  a  pubblicare,  siano  molto  lontani  dall'aver  colto 
il  vero  significato  dell'iscrizione,  spetta  al  eh.  professore  dell'Università  di  Napoli  il  merito  dì 
essersi  accertato  dell'autenticità  dell'iscrizione  e  con  il  suo  provetto  giudizio,  e  con  il  giudizio 
di  altri  valenti  ed  eminenti  conoscitori  delle  antichità  quali  il  Gabriel,  il  Patroni  e  il  Com- 
paretti  (3).  Assai  affine  a  quella  del  Sogliano,  per  l'interpretazione  e  il  \alore  del  testo,  è 


(1)  Delhi  presente  nota  tenni  tin.i  breve  conni-  e  confortata  di  qualche  serio  argumento  questi  sua 
nkazione  nella  seJiit.i  della  Scunla  ArcheolnKica  ali'ermazlone,  poco  male;  ma  II  bello  è  ch'eRlI  dl- 
ii.'ili.ina  nd  Atene,  Il  5  Aprile  del  corrente  anno;  sciite  e  propone  sul  serio  un.i  nuova  lettura  in  b.ise 
e  l'aver  dovuto  rinunciare  ad  uno  studio  diretto  .1  non  so  quali  splet.ite  anomalie  linguistiche,  per 
dcll'orlKlnale  mi  ha  tolto,  dopo,  la  lena  di  recar  concludere  da  ultimo  che  flscrljilone  è  \.\W\. 
nuove  necessarie  auilunte  .il  commento.  Ad  Atene  (j)  A  sc.inso  dì  dubbi,  «luva  rileilre  la  testimo- 
non  potei  valermi  che  di  alcune  cortesi  comunica-  nl.-ini!a  esplicita  del  Sogliano  (o.  e.  p.  101)  «  Avuto 
/Ioni  del  Prof.  Sogliano  sopr.i  pochi  m;i  gravi  dubbi  fr.i  le  mani  un  siffatto  cimelio,  volli  Innanzi  lutto 
eplgraticl;  a  l^lm;l  ho  potuto  giovarmi  d'una  buon;i  .issicur.irnii  dell.i  sua  genuinità  o  autenticità  che 
fotogr.ilia  rlc.iv;ita  d.ill'orlglnale  eseguita  nuova-  dir  si  voglia;  e  confe>so  che  tal  soxpctto  mi  pre- 
mente dal  fotografo  del  Museo  Nazionale  di  Napoli.  iK'cuptN  fortemente.  Ma  la  durr/za  della  p.itin.i.  chi 

(2)0.  Oi.iVKRio, />/■»/»(,•».//■(•  r/»(<i/Vri/  in  . //i-«<*  es<.lude   l'opera  del  contr.iff.ittore.  Il   slcun»   tratto 

I-  A'i'Dhi    loto,    mi    i.jS.  Se  l'A.  .ivesse  dlscusM  delle   lettere  ed  il  carattere   schiettamente    arcaku 


2  — 


/ 


■^ 


l:i  lettura  tentata  n<,'\\' .  l/'>ir  e  Roma  (I.  c.)  ;  e  finalmente  due  più  legittimi,  ma  non  più 
convincenti,  tentativi  eli  esegesi  sono  stati  fatti  da  B.  Haussoullier  nella  fiéi'uc  de  Philo- 
logie  (XXXIV,  1910,  paj;.  134  sgR.)  e  da  D.  Comparetti  nella  recentissima  Miscellanea  in 
onore  di  G.  De  Petra  (  1  ). 

Queste  quattro  letture  diverse  cadono  tutte,  a  me  pare,  di  fronte  a  quella  data  da 
Federico  Halhherr  privatamente  a  me  e  a  qualche  altro  suo  discepolo.  Ho  conosciuto  la 
pubblicazione  dell'epigrafe  cumana  grazie  a  cortese  indicazione  dello  stesso  Prof.  Halbherr 

che  si  compiacque   di  comunicarmi 
la  sua  lettura  e  d'invitarmi,  con  la 
sua  nota  liberalità,  a  studiare  il  nuovo 
O  documento  e  ad  esaminare  se  la  sua 

interpretazione  ne  venisse  0  no  con- 
validata, e  le  brevi  ricerche  fatte  mi 
hanno  convinto  della  giustezza  della 
nuova  lettura.  Esponendola,  il  mio 
compito  è  assai  modesto,  ma  assai 
y;rato  per  me,  se  di  seria  utilità  scien- 
tifica sarà  la  comunicazione  resa  pub- 
blica della  interpretazione  dell'  Hal- 
bherr, e  se  io  valga  solo  ad  illumi- 
narla con  un  breve  commento.  La 
riproduzione  fotografica  che  qui  pre- 
sento, è  ricavata  da  una  buona  e 
grande  fotografia  dell'originale  gen- 
tilmente coinunÌLatanii  dalla  Direzione  del   Museo  Nazionale  di  Napoli. 

È  un  disco  di  bronzo  di  piccole  proporzioni:  di  <Si  mm.  di  diametro,  di  spessore  quasi 
incalcolabile,  leggermente  concavo-convesso  ;  l'orlo  nettamente  tagliato  presenta  solo  qua  e 
là  qualche  traccia  di  ripiegatura  \-erso  l'esterno  (2).  L'iscrizione,  incisa  sulla  parte  concava, 


della  epigrafe  Jissipaniiid  qualunque  dubbio;  e  in 
questo  mio  Convincimento  venni  rafforzato  dal  pa- 
rere dì  studiosi  competenti,  quali  il  Patroni  e  il 
(iabrici  ».  Il  Comparetti  a  sua  volta,  ch'ebbe  agio 
di  studiare  a  lungo  l'originale  a  Napoli,  non  ha 
espresso  il  minimo  dubbio  sull'autenticità  dell'iscri- 
zione. Con  ciò,  non  so  qual  valore  si  debba  dare 
alle  parole  dell'  Oliverio  (0.  e.  col.  148)  :  «...  fanno 
dedurre,  comi'  per  altro  aveva  fortemeiile  dubitato 
lo  stesso  Pro/.  Sogliano.  che  il  disco  è  una  pura 
contraffazione  », 


(1)  Syiiibolae  titterariae  in  honorem  Julii_De 
Petra  iqii.  Quest'articolo  ho  conosciuto  nel- 
l'estratto dopo  compiuto  e  consegnato  il  mio  alla 
tipografia. 

(2)  Questi  pochi  dati  sono  ricavati  dalla  descri- 
zione del  Sugliano  e  in  parte  dall'esame  della  foto- 
grafìa; ma  spiacemi  di  dover  rilevare  che  la  descri- 
zione fatta  dal  primo  editore  è  troppo  manchevole 
di  dati  e  di  notizie,  perchè  da  essa  possa  ricavarsi 
qualche  probabile  induzione  sull'uso  e  la  collocazione 
del  disco. 


—  3  — 

(lorre  da  destra  a  sinistra;  si  ripiega  un  poco  a  spirale  nell'interno  con  quei  ductus  che 
ben  conosciamo  dalle  iscrizioni  arcaiche  incise  su  dischi,  cimbali,  terracotte,  ÓTTpxicx  e 
•V/i'pot.  La  faccia  convessa  non  inscritta  non  offre,  a  quanto  mi  comunica  il  Prof.  Sogliano, 
alcuna  traccia  di  un  qualsiasi  sistema  di  presa  o  di  attacco.  Le  lettere  nei  tratti  rettilinei 
appaiono  nettamente  incise  ;  del  tutto  incerta  è  invece  l'incisione  delle  lettere  rotonde  O,  ®, 
condotta  evidentemente  a  mano  libera  (i).  Mancando  ogni  notizia  sulla  provenienza  del- 
l'iscrizione, è  forza  congetturarla  dai  dati  epigrafici  e  dialettali.  Abbiamo  per  ventura  un 
sicuro  dato  epigrafico  nella  presenza  del  f"^  a  cinque  barre  che  ricorre  nell'alfabeto  delle 
colonie  calcidesi  d'Italia  e  che  è  peculiare  a  quello  di  Cuma,  dove  ritrovasi  nelle  iscrizioni 
di  Tataie  e  del  lebete  di  bronzo.  Il  dialetto,  come  meglio  vedremo,  è  ionico.  Dato  infine 
il  carattere  affatto  locale  della  collezione  privata  a  cui  il  disco  appartiene,  non  si  esita  a 
riconoscere  in  esso  un  cimelio  tratto  da  scavi  fortuiti  o  clandestini  del  territorio  cumano  (2). 
L'esame  che  faremo  del  contenuto  dell'iscrizione,  meglio  ci  confermerà  in  questa  attribu- 
zione. Quanto  alla  cronologia,  non  può  cader  dubbio  sull'appartenenza  dell'epigrafe  al  Vi  se- 
colo; alla  metà  circa  del  VI,  e,  probabilmente,  piuttosto  alla  prima  che  alla  seconda  metà 
di  quel  secolo:  la  presenza  già  notata  del  t^^,  dell' Q  in  forma  di  rettangolo  chiuso,  i  tipi 
più  arcaici  del  ®  e  deli'  0,  il  senso  della  scrittura,  l'affinità  grande  dei  caratteri  che  questa 
iscrizione  presenta  con  quelle  già  ricordate  di  Tataie  e  del  lebete  di  bronzo,  sono  argo- 
menti più  che  sufficienti  per  una  simile  attribuzione. 

Vengo  ad  un  esame  minuto  del  testo. 

Il  Sogliano,  che  vede  nel  disco  un  oggetto  d'ignoto  uso  appartenuto  al  corredo  funebre 
d'una  tomba,  avrebbe  letto: 

'  li  ' 

intendendo  cioè  vì^ì  come  una  2"  persona  del  verbo  attivo  iridio;  ov*  Ex  come  una  strana 
forma  verbale  invece  di  ayj  lx\  ed  -/ìpiaxv  una  voce  di  terminazione  dorica  proveniente 
da  una  dubbia,  come  vedremo,  glossa  di  Esichio  (i^piy.o;  -  òsOpivo;);  e  supponendo  infine 
una  facile  crasi  in  sav»  per  la-xO,  avrebbe  inteso  :  h^  i  oJ  x  \x  xù  -ò  p  i  ;a  x  v  re  >.  s  CtO  a  i 
cioè  «  godi  ni'  permettere  nuovamente  che  la  tua  primavera  (r.piu.xv  io;xv)  u  la  tua  giovi- 
ne/za si  compia  (senza  godere)  ».  Una  sentenza  dunque  di  sapore  edonistico  in  veste  poetica; 
un'eco,  secondo  il  Sogliano,  della  molle  vita  delle  colonie  greche  dell'Asia  nella  Cuma 
greca  d'Italia.  Ma  a  parte  il  fatto  che  la  vita  nel  VI  secolo  a  Cuma  dovè  fer\ere  terribile 
e  minacciosa  al  contatto  e  all'urto  degli  Etruschi  per  il  dominio  del  mare,  a  quante  viola- 
li) Ukcu-ilf  JlversitAdl  esecuzione  Ir.i  ir, itti  curvi  venien/a  iuni.in.i  del  disco  credo  che  provenR.ino, 
e  tr.ittl  ri'ttiliiu-i  si  osserva  ad  es.  In  più  d'un.i  delle  più  che  d';illro,  d.ill;i  dlfticoltik  che  l'illustre  lilolojjn 
Iscri/ionl  .'irc.'ilche  Incise  su  Limine  di  lìronzu;  cfr.  ha  dovuto  sentire  din.in^l  all.i  str.ma  misccb  dl.i> 
Olympia,  Insihriflen.  n.  1,  s.  lettale  che  presenta  II  suo  testo  (v.  le  mie  owcr- 

(2)  I  dubbi  che  esprime  il  Compnrettl  sulla  prò-      va/ionl  ;i  p.  61. 


_  4  — 

zioni  di  grammatica  e  eli  dialettologia  non  s'è  veduto  costretto  il  Prof.  Sogliano  per  arrivare 
ad  un  testo  cosi  singolare  sulla  bocca  d'un  morto  del  VI  secolo!  È  supertUuj  fermarsi  a 
notare  la  scorrettezza  di  quell'  -ó^s  con  il  valore  intransitivo  di  «  godere  >>;  la  sgrammati- 
catura inverosimile  dell'  o'!!/.  ix  ;  l'illegittimità  inescusatiile  dell'  ■r,piij.7.t  invece  di  ty,/  (anzi 
Tav!)  ■fif.lij.a.'i  o'j'pxv  (i);  la  stranezza  infine  di  tutto  il  testu.  Tutte  queste  singolarità  si 
ritrovano,  ripetute  e  accresciute,  nell'articolo  apparso  ntW  .l/cne  e  Roma  (1.  e).  L' A., 
messosi  sulla  via  delle  anomalie  morfologiche  e  attenendosi  sostanzialmente  all'  interpreta- 
zione del  Sogliano  (2),  ragiona  di  un  -/if^cov  corruzione,  non  sa  se  dialettale  o  analogica  (sic  !), 
di  Yj'fìo'j  e  di  un  ^^ù.i>i^x\  per  '^Ckxn^ìv.'.;  e  conclude,  dopo  simili  stupefacenti  investigazioni 
filologiche,  che  il  disco  è  una   «  pura  contraffazione  ». 

Ma  già  la  lettura  data  dal  Prof.  Sogliancj,  aveva  indotto  B.  Haussoullier  a  proporne 
una   più  savia  nella  Ri'vitc  de  Philoloi:,ic  del    19 io. 

L' Haussoullier  ha  \eduto  con  il  Sogliano  un  carattere  e  un  uso  funerario  nel  disco, 

ma  legge: 

Tiht   G'jx   -.y.\   rip'-iJ.y.'/    -t/.z'.'y'ìy.'.. 

Facendo  l'yi'^s  dimostrativo  di  un  soggetto  sottinteso  (■r,òz  iLy)oo;),  ed  r,,aiu.xv  agget- 
tivo di  un  sostantivi!  anch'esso  sottinteso  /_oa;  dando  al  verbo  kvxo  preceduto  dalla  nega- 
zione o'jx  la  forma  legittima  di  una  terza  persona  del  presente  indicativo,  e  a  'n'keXuhxi 
un  valore  strettamente  sacrale,  egli  traduce:  «questa  (y'^9o;)  non  permette  che  si  faccia 
una  (libazione)  mattutina».  L'Haussoullier  troverebbe  giustificata  l'una  e  l'altra  ellisse  (delle 
voci  '^vi^o;  e  X'"^*^  nell'uso  stesso  a  cui  il  disco  era  adibito:  posto  su  d'una  pietra  tombale 
0  sopra  un'urna  funeraria,  do\e\a  chiudere  il  cavo  in  cui  si  lasciavano  cadere  le  libazioni 
funebri  n).  Ma  la  spiegazione  non  può  dirsi  soddisfacente;  a  parte  il  fatto  dei  due  sottin- 
tesi, dei  quali  il  secondo  (r.plaxv  zi'/.i'.'iHy.i  invece  di  r^piaz-/  (/oàv)  TsliicrOai),  è  tut- 
t'altro  che  giustificato  dalla  sola  presenza  del  verbo  xì'KìX'j^x'.^  anche  se  ad  esso  voglia 
darsi  un  valore  strettamente  sacrale,  a  parte  ciò  dico,  par  strano  che  il  divieto  di  fare  una 
libazione  mattutina  \enga  dall'oggetto  che  non  era  neppure  stri. mento  primo  del  culto,  e 
non    piuttosto,  come   si    aspetterebbe,  da    una    divinità  o   meglio,  secondo  un  più  comune 

(i)  Le  giustificazioni  che  adduce  il  Prof.  Sogliano  sato  di  tali  cose! 

di  siffatte  gr.ivi  difficoltà  linguistiche,  possono  stu-  (3I  Quest'ipotesi  viene  suggerita  all'Haussoullier 

pire  ma  non  convincere.  dall.i  pubhlicazione  di  un  vero  disco  funebre  {/oiirn. 

(21    L'Oliverio,  che  avrebbe   scorto    una  vera  e  0/ /;(7/(V//r  j-Zz/rf/Vv,  XXXIX,  1909,  p.  153)  ;  ma  non 

propria  divisione  di  parole  nel  disco:  r,ÒEO-j  y.t  aus  m'indugio  a  discuterne  qui  la  poca   legittimità  nel 

p-j;jL3iv  telsaSai  -  o  -  Y^^^'^^S  traduce:   «Consolati  caso  che  ci  riguarda,  che  cioè  un  disco  come  II  na- 

e  proclama  che  il  turbine  (della  vita  =  le  sventure)  stro  od  altri  simili  chiudessero  il  cavo  destinato  al 

passa  (ha  la  sua  fine)»  o  anche,  a  scelta:   «  Godi  versamento  delle  libazioni  funebri.  Giova  ricordare 

e  di  ad  alta  voce   (proclama)   che  le  sventure  son  che  il  disco  è  formato  d'una  sottilissima  lamina  di 

poste  in  non  cale  (che  delle  sventure  te  ne  ridi)  ».  bronzo,  d'un  millimetro  di  spessore   ali"  incirca,    e 

Ahimè,  ma  neppure  un  contraffattore  avrebbe  pen-  che  non  presenta  tracce  d' inserzione. 


uso  dell'epigrafìa  sepolcrale,  dal  morto  stesso  (i).  Resta  oltre  a  ciò  una  difficoltà  grave, 
comune  al  testo  del  Sogliano  e  dell' Haussjullier:  la  difficoltà  cioè  di  spiegare  l'esistenza 
d'una  voce  di  schietta  terminazione  dorica  (•òaiy.zv)  in  un'iscrizione  che  ionica  ci  si  rive- 
lerebbe dall' -ó'Às  (Hauss.),  e  che  ionica  dovrebbe  essere  se  giusta  è  la  sua  attribuzione,  in 
base  a  sicuri  dati  epigrafici,  alle  colonie  calcidesi  in  Italia  (2). 

Ma  la  \i)Cc  v^piy.'/.  è  stata  troppo  alla  lesta  esumata  dal  Sogliano  (3),  consentita  dal- 
l'Haussoullier.  Sono  sicure  le  glosse  esichiane  da  cui  si  fa  derivare?  Credo  necessario  di 
esaminare  un  po'   più  da  vicino  il  testo  spinoso  del  lessicografo. 

Le  glosse  sono:  -^piy.ov  veov  ed  -óptj/.ci;*  òpOpivó;  ;  segue  dop<j  506  vix'i  di  composti 
da  r/pi-  la  glossa  lópivo";;-  ìzp'.vùl;.  È  legittima  la  forma  •fiS'-y-o;  accanto  ad  -ÀpivcU;*  izf.vòi;? 
Già  i  più  antichi  editori  congetturarono  -Àpivóv  per  ■óp'-y.ov  ed  r,:tvó;  per  •/jpty.o;;  ad  r,iivóv 
ed  vTpivó;  bene  si  riattaccherebbe  l'avverbio  v^pivùJ;.  Si  tratterebbe  insomma  d'un  errore 
causato  da  uno  spostamento  nell'ordine  delle  glosse  di  5  0  6  voci  soltanto.  L'errore,  si  può 
supporre,  è  stato  causato  dal  fatto  che  al  pretesa  -^piy-ov  precede  immediatamente  la  glossa 
■/Ipiftx  spiegata  ópOpou  -avo,  ma  r,pij/.z  non  è  che  la  scrittura  compendiata  (il  compendio 
sarà  caduto  in  qualche  manoscritto!  di  -/ip-.  [>.7.\x,  ^.iX  r,pi,  la  frase  cara  all'epopea.  Una 
volta  avvenuto  lo  spostamento,  un  amanuense  preoccupato  dell'ordine  alfabetico  in  cui  do- 
vevano succedersi  le  glosse,  ignaro  del  valore  delle  parole,  s'è  indotto  a  leggere  0  a  cor- 
reggere \i.  per  V.  La  voce  vìpiaz  non  troverebbe  dunque  alcun  saldo  sostegno  nella  tradi- 
zione esichiana. 

All'esegesi  dell'iscrizione  del  disco  ha  voluto  portare  recentemente  anche  il  contributo 
delia  sua  indagine  Domenico  Comparetti  (I.  e).  Dirò  subito,  con  tutta  la  deferenza  dovuta 
all'illustre  uomo,  che  questa  lettura  non  esce  dalla  sfera  delle  altre  di  sopra  esaminate  (4). 
Nell'oscuro  testo  epigrafico  il  Comparetti  ha  letto  una  sentenza  morale,  una  «  gnome  »  degna 
della  sapienza  d'uno  dei  sette  savi  dell'antichità:  //7;^£cv  nipko;  tiiìxv  Fs>.é50xi  «più  del 
guadagno  e  dolce  il  farsi  onore  •>•>  come  traduce  bellamente  il    dotto   esegeta  (5».    Ma    con 


(1)  Per  questo  forse  il  Mnrsh.ill  avrebbe  suRKe-  hook  (•'ricih.  Epigr..  p.  210  e  Kirciihoff,  Sta- 
rito  .nll'HaussouUier  {Nn<.  d.  l'hit.,  1.  e.   1)7).  J'  dien*,  p.  122  skr. 

riferire  I't;3i  alla  persona  seppelllt.-i,  ad  una  morta  ())  Il  Soglinno  I.  e,  p.  106,  conosce  J'altr.i  p.irte 

che  sarebbe  >tatn  noinin.it.i  in   un'altra  parte  del  il  prudente  dubbio    dello  Stephanus  :   si  mi 

monumento  funebre.  ////'  imi  non  suòsil —,  ma  s'affretta  a  concluù.:>  . 

(2)  Sebbene  la  tradizione  faccia  confluire  a  Cuma  t  Che  quella  parola  non  sia  currott.i,   lo  dtmostr.i 
elementi  eul)oici  e  beotici  al  di  qua  e  .il  Jl  là  del-  iifjgjt  la  nostra  iscrizione  ecc.». 

l'Eurlpo,   non  siamo  davvero  autorizzati  dalle  altre  (4)  V.  invece  la  rettilica  e  II  commento  Jcl  Com- 

Iscrizioni  cumane  .id    ammettere   una   cosi    strana  parctti   .nd  un'altra  iscrizione  cumnna  pul-blicila 

miscela  di  forme  dialettali,  quale  II  Sogliano  sembra  dal  Sogliano  In  .Iii.whùi,  I.   kk/i,  p.   n  -^tu:. 

ammettere.  (s)  l,Hiest.i  sentenza  e   rt.is  \  i.  11  il  1    ii:'  ,:!r  1   vii 

Sul  preteso  dorismo  di  alcune  Iscrizioni  viisco-  Perlandro:  ai  |i)v  i^SovatJ^^i 

lari   calcidesi    e   cumane,    vedi    Roiikhts.   //■;«./-  v»toi:  Comi'akktti,  eslr.  p.  7. 


-  6  - 

i^uante  violenze  epijjrafiche  e  con  quante  asserzioni  sulle  pretese  omissioni  dovute  alla  non 
abbastanza  deplorata  ijjnoranza  dello  scripior  (i),  si  Ki'JiKf  ^d  ottenere  il  testo  succitato! 
Della  6"  lettera  (V)  si  fa  un  N,  della  9"  un  p,  della  io'  un  ^,  del  difficile  gruppo  epigra- 
fico della  12' e  n"  lettera  si  fa  un  neswj,  una  specie  di  monogramma  bizantino,  risultante 
delle  lettore  -  o^ti  -,  della  17' un  digamma  con  l'omissione  della  seconda  minore  barra 
orizzontale  (2).  In  verità,  per  quanto  si  sia  fatto  ricorso  per  spiegare  gli  errori  di  quest'epi- 
grafe, agli  errori  delle  iscrizioni  vascolari,  non  credo  che  sia  impresa  troppo  agevole  tro- 
vare una  sola  iscrizione  vascolare  che  in  24  lettere  contenga  un  cumulo  di  errori,  di  osci- 
tanze, di  omissioni,  di  anomalie  quale  si  vedrebbe  nel  nostro  disco.  E  (jltre  a  ciò  il  testo 
del  Comparetti  offre  già  di  per  sé  gravi  difficoltà  linguistiche.  A  parte  la  nuova  forma 
•/iSsov  pc-r  r^^.ov,  un'iscriziime  dialettale  non  può  comportare  una  mescolanza  tale  di  forme 
quale  si  ha  Ja  Tifivi  accanto  a  tiu.jìv  (3);  le  contaminazioni  dialettali  delle  laminette  or- 
fiche, cosi  dottamente  illustrate  dal  Comparetti,  non  provano  nulla  al  riguardo,  poiché  si 
tratta  in  esse  di  tarde  imitazioni  letterarie  e  di  costrizioni  di  formule  religiose  in  formule 
poetiche.  Quanto  al  F  di  fCki'j'ìxi,  parmi  che  esso  abbia  la  stessa  legittimità  linguistica 
deli'r,p([Aa  del  Sogliano  (41. 

A  questii  grappe  di  dittiùiltà  di  varia  specie  ripara,  parmi  egregiamente,  la  lettura  che 
l'HalMien  ha  dato  delle  parti  sicure  dell'iscrizione  non  appena  ne  conobbe  la  prima  pub- 
blicazione; alquanto  nidditicata  é  la  seguente: 

"H:r,   oOx.   3 ?.(!•)    ■/;':'-   axvTiVE^^at. 

La  novità  e  il  valore  del  testo  sono  nelT'UpT,  e  nel  u.xvtìujtOzi:  <.<  Jì>a  non  per- 
mette di  tyarre  oracoli  di  mattino».   Buoni  argomenti  epigrafici   suffragano   questa  lettura. 

La  3='  lettera  non  è  un  t>  (delta),  ma  un  F*  (ro);  è  un  p  semplicemente  rovesciato. 
Il  tratto  dell'asta  \erticale  che  sovrasta  il  lato  minore  del  triangolo  è  evidente  e  appare 
nitidamente  anche  nella  nostra  riproduzione;  di  più  il  Prof.  Sogliano  ha  voluto  gentilmente 
comunicarmi  che  quel  tratto  corrisponde  nell'originale  ad  un  vero  e  proprio  solco  epigrafico. 
Trovare  in  iscrizioni  circolari  lettere    diritte  e  lettere  rovescie   é    un   fatto   troppo   comune 


(1)  Nello  scritti!  del  Comp.iretti  si  accenna  ripe-  stro  disco,  panni  in  verità  assai  ardito, 
tutamente  (Estr.  p.   2  e  p.  4)    all'ipotesi,   anzi    si  (3)  V.  pag.  precedente  nota  2. 

asserisce  senz'altro,  che  l'incisore  delle  lettere  fosse  (a)  L'ipotesi  inoltre  avanzata  dal  Comparetti  sulla 

anche  il  fabbro  del  disco.  Ma  forse  neanche  se   il  collocazione  originarla  di  questo  disco  nei  vuoti  cir- 

fabbro  scriptor,  fosse  stato  simile  al  fabbro  che  re-  colari  d'una  lorica  del  tipo  di  quella  che  ei  riporta 

citava  i  versi  di  Dante  «  appiccando  e  smozzicando  »  d.il  Baumeister,  Dcnkni.,  è  del  tutto  arbitraria.  I 

si  avrebbe  una  ragione  plausibile  di  tanti  errori.  dischi  che  s'inserivano  in  quei  vuoti  erano  veri  scu- 

(2)  Spiegare  il  y  che  nella  tarda  tradizione  esi-  detti  umbonati  di  ben  altra  consistenza  ;  a  meno 
chiana  hanno  alcune  glosse  che  dovrebbero  avere  che  i  guerrieri  non  credessero  pro\-vedere  alla  loro 
il  F  (ad  es.  -fàSEd^ai  per  FiòsaSat),  con  la  presenza  difesa  portando  sul  petto  simili  sentenze  come  brevi 
di  questo  preteso  F,  in  forma  d'un  F  attico  nel  no-  per  scongiuri  ! 


—  7  — 

neir  epigrafia  arcaica  perchè  debba  indugiarmi  a  recarne  esempi.  Basti  soltanto  ricordare 
che  in  uno  dei  cimbali  sacri  trovati  nel  lemenos  di  Artemis  Limnatis  (i),  l'epiteto  della 
dea,  .\ijy,v5C7i;,  è  scritto  con  tutte  le  lettere  rivolte  con  la  base  verso  l'interno  del  disco, 
ad  eccezione  della  3'  lettera,  M  (W),  che  è  rovesciata  cosi  com'è  rovesciata  la  3»  lettera 
del  nostro  disco  {2). 

Nessun  dubbio  sulla  j"",  ó",  y'-,  S"  e  9'  lettera.  Qualche  difficoltà  presenta  invece  la 
10^  lettera  che  ha  la  forma  di  un  'j  (V)  alquanto  più  stretto  dello  u  (V)  di  ova  e  di 
lAstvTsvisTOxi  e  deli' V  quale  appare  nelle  iscrizioni  arcaiche  delle  colonie  calcidesi  d'Italia. 
Il  Sogliano,  s'è  visto,  pensa  ad  una  crasi  Ix  a-],  e  l'Halbherr  che  non  s'è  occupato  espres- 
samente dell'iscrizione,  sarebbe  anch'egli  propenso  a  riconoscere  una  crasi,  un  poco  più 
ardita  in  verità,  di  è  ai  %].  Io  credo  che  si  debba  leggere,  con  l'Haussoullier,  soltanto  è  ai. 
Quel  che  appare  un  V  con  una  barra  diritta  ed  una  obliqua  non  è  che  uno  i  (iota)  scritto 
due  volte  dall'incisore  per  correggere  e  migliorare  l'inclinazione  troppo  forte  d'un  primo  tratto 
errato  (3).  Certo  è  che  cosi  come  appare,  la  io"  lettera  ha  piuttosto  la  forma  di  un  "/.  (V)  che 
di  un  'j,  ma  di  un  X  scritto  da  sinistra  a  destra  nel  senso  contrario  alle  altre  lettere,  mentre 
che  data  la  lettura:  "Hpr,  oO/.  i%  (?)  —  [AzvT£'j£'703f.,  dobbiamo  attenderci  necessariamente 
come  verbo  di  modo  finito:  èzi. 

La  12''  e  13''  lettera  (rjpi  nella  lettura  dell' Halbherr;  r,;iiAxv  nel  testo  del  Sogliano 
e  dell'Haussoullier),  presentano  anch'esse  qualche  stranezza  di  forma.  La  lineola  alla  base 
del  P  (ro)  e  la  lineola  a  mezzo  dell'  I  (iota)  appaiono  nella  nostra,  e  nelle  altre  riproduzioni, 
spezzate,  mentre  che  stando  ad  un'esplicita  testimonianza  del  Prof.  Sogliano,  esse  forme- 
rebbero una  linea  continua  dallo  ro  allo  iola.  Se  cosi  è,  questa  linea  che  parrebbe  unire 
in  nesso  due  lettere  in  un'iscrizione  del  VI  secolo,  non  può  non  essere  estranea  all'una  e 
all'altra  lettera.  Si  tratterebbe  anche  qui  d'un  errore  dell'incisore  che  avrebbe  tralasciato 
di  far  scomparire  le  tracce  d'un  falso  tratto;  la  forma  curvilinea  mal  riuscita  del  p  rispetto 
a  quella  più  netta  e  precisa  della  3'  lettera,  ne  sarebbe  una  prova.  Trovare  d'altra  parte 
una  forma  curvilinea  ed  una  rettilinea  d'una  stessa  lettera  è  fatti»  tutt'altro  che  raro  nella 
tecnica  dell'incisione  sul  bronzo  0  del  graffito. 


(1)  HoKiii.,  limiipl.  .(,'»'•  lìittii]..  II.  so.  lare  del  disco  ;  avendo  inciso  un.i  prlm.i  asi.i  irnppo 

(2)  La  piccolezza  e  sottÌKlie/.za  stessa  della  l.i-  obliqu.-i,  ne  ha  Inciso  una  seconda  più  regol.ire. 
mina  di  bronzo  in  siftatli  diselli,  costrlnseva  l'Iiici-  L'errore,  si  piii'i  pcnsire,  potev.i  essere  c;iiis,ito  d.il 
sore  a  farli  n'rarc  nel  verso  plii  comodo  por  T  in-  vicino  1»^^  che  .ivrehhe  indotto  l' incisore  .i  tr.icci.ire 
clslone  e  sovratulto  quando  incideva  quelle  lettere  dapprima  un  tratto  parallelo  ,id  un  l.ito  dell'  ^, 
che,  per  la  loro  form.i  più  o  meno  anKolare,  meno  II  guasto  che  ne  derivav.i  per  la  l'>clle/ti  e  I.1  re- 
si .kl.iltavano  a  senuiro  l.i  ciirv.i  di  un  circolo.  Riilarit;^  del  dutliis  cr.i  tropi-,.  1.  Mr  ed  egli  s'è  In- 

{\)  (-hi  hi  Inciso  hi  .iviito  cura  che  oKni  letter.i  dotto  a  ripetere  il  tratto. 
fosse  Inclinai. I  rispetto  ;ille  .iltre  In  modo  che  l'.isse  Un  esame  diretto  ^ull'oii^iii.ilr  può  solt.into  (.ir 

medio  del  Corpo  di  cl.iscun.i  si  trov.isNe   presso   ,\  );iudic.ire  se  si  abhl.i  ijui,  come  io  credo,  un  veto 

poco  siili. I  linci  di  un  r.iKKio  dell.i  superficie  circo-  e  proprio  pentimento  dell'artista. 


_  8  — 

Comunque,  dopo  quanto  s'è  detto  sulla  voce  •Àpiy.av,  sicura  è  la  lettura  y.y.vxivi'jOatt  : 
il  V  omesso  è  stato  ascritto;  il  -  appar  mef^lio  nell'originale;  V <i  invece  del  ).  trova  piena 
j{iustificazione  nelle  forme  dell'alfabeto  cumano  (i). 

L'iscrizione  suonerebbe  dunque: 

"IIp-/;   O'j/.   ;à(i)   vìpi  (f)   <j.y.'i-:v'jinhx\.. 

Essa  contiene  una  prescrizione  relativa  al  cult(j  mantico,  prescrizione  espressa  in  forma 
di  precetto  disino,  t  la  divinità    stessa,  l'austera  divinità    di    Era  che    proibisce:  oO/.  è  zi. 

VX    TZip    yX?    '/ioVilO     T£    /.zi     OO/".    ì'.OJ    'ìlZTlÉpTZ'.    ( //.    IV,     5  5) 

dice  gravemente  Era  stessa  a  Zeus  per  allontanare  la  minaccia  di  un  pericolo  che  potesse 
pesare  un  giorno  sulle  tre  città  amiche,  Argo,  Sparta  e  Micene.  Non  gioiosa  sentenza  edo- 
nistica (2),  non  legge  del  rito  tLinebre,  non  detto  antico  di  sapienza,  ma  legge  sacra  dei 
vaticini.  C>i  troviamo  dunque  condotti  in  uno  dei  campi  più  oscuri  e  più  suggestivi  della 
religione  antica  e  siamo  in  una  terra  in  cui  le  tradizioni  storiche  e  tutta  una  viva  e  te- 
nace leggenda  secolare  collocano  uno  dei  massimi  santuari  della  religione  profetica:  siamo 
a  Cuma  nella  Delfi  d'Italia  {'!,).  Apollo  vaticinante,  la  Sibilla,  l'ombra  di  Proserpina,  /uno 
infenia  che  attende  nell'Ade  il  virgulto  tintinnante  nella  foresta  .sacra,  il  rito  oscuro  e 
pauroso  del  'nY.i^[j.y.^ixiWi,  per  il  quale  forse  favoleggiarono  gli  antichi  che  s'addensassero 
sul  lido  cumano  le  nebbie  del  paese  dei  Cimmeri  (4),  .sono,  grazie  alla  poesia  di  Virgilio, 
nuMiioiie  sempre  vi\-e  e  perenni   della  ir/f<,'-/o  cumana. 

Ora  in  qual  rapporto  è  il  nostro  disco  con  il  culto  dell'oracolo  cumano.?  Cono.sciamo 
a  Cuma  una  divinità  massima  profetica,  Apollo,  e  una  ministra  del  dio,  la  Sibilla.  Perchè 
proibisce  Era.?  E  il  suo  è  divieto  d'ima  divinità  temporaneamente  infausta  0  è  una  delle 
norme  del  culto  mantidi  cumano.?  .anzitutto  Era  non  è  di\-inità  estranea  alla  religione  del- 
l'oracolo poiché  d'un  antichissimo  y.7.vT£ì''.,v  di  Era'Axpziz  presso  Corinto  abbiamo  testi- 
monianza sicura  (5);  di  là  poteva  passare  alle  colonie  achee  e  doriche  d'  Italia  do\e  il  culto 
di  Era  è  uno  dei  più  diffirsi.  Di  più,  d'una  diretta  partecipazione  di  Era  al  culto  mantico 
cumano,   un'eco  \i\a  e  schietta  abbiamo  nel  culto  sibillino  a  Roma.   .4  Roma  il  culto  della 

(i)  Per  lo  scambio  j:X  in  quest'iscrizione  è  si-  (2)   A  ciò  pensava  anche    l'Oliverio  in  Atene  e 

gniticante  il  fatto  che  all'Haussoullier  e  .ad  altri  s'era  Roma  l.c,  col.   148. 

offerta  alla  prima,  dalla  riproduzione  fotografica,  la  (3)  Nissen,  Ita!.   Landcsk.  p.  726. 

lettura  -jzùi^dy.:.  Quanto  al  t  1'  Haussoullier  s'è  in-  {4)  Su  questa  tradizione  v.  le  indagini  del  RhoJe 

dotto  a   leggere   teXì^jìt^!,   dietro   la  testimonianza  in  Rln-iii.  .Vi/s.  36,  555  sgg. 

formale  del  Sogliano  e  del  Comp;irettl  :   «tous  deu.x.  (5)  Strabone,  p.  380,  22  :  cf.  Bouché-Leclercq, 

après  observations  attentives  et  repetées,  faites  sur  //is/.  di-  la  lìiviii.  II.,  395.  Sarebbe  qui  da  ricordare 

le  monument  mème,  distinguent  un  tau».   Nel  suo  la  <  Juno  \-eridica  »  d'un'iscrizione  latina,   C.  l.  L. 

articolo  recente  invece   il    Comparetti  fa  del    x   un  9,  2110,    ma    quell'iscrizione    è    sospetta.   Ad  Era 

digamma.  sembra  riferirsi  il  tardo  oracolo  del  C.  I.  C.  3769, 


—  9  — 

[uno  Regina,  dì  "11,7.  Tijy.v/;  fiaTi/.-;;,  di  origine  beotica  ed  euboica  ^i)  vene  •..un- 

tino con  rilus  graecus,  non  può  essere  stato  istituito  che  per  diretta  influenza  del  culto 
sibillino  cumano  con  o  dopo  l'introduzione  del  culto  pubblico  dell'altra  grande  divinità  cu- 
mana,  di  Apollo.  La  prima  consultazione  dei  libri  sibillini  di  cui  si  abbia  notizia  storica  è 
dell'a.  496;  di  un  tempio  votato  ad  Apollo  si  ha  notizia  per  l'a.  434,  del  tempi<j  di /«/w 
Regina  sull'Aventino  per  l'a.  392  o,  secondo  una  fonte  diversa,  362  (2).  Ma  la  tradizione 
fa  risalire  la  conoscenza  dei  libri  sibillini  a  Roma  al  finire  dell'età  regia  ed  essa  ricorda 
Latini  e  Cumani  combattere  insieme  nel  Lazio  contro  il  comune  nemico,  gli  Etruschi. 
Oltre  a  c\h,  nell'oracolo  dell'a.  125  a.  C.  conservatoci  da  Phlegon  di  Tralles{3i  abbiamo, 
insieme  con  le  norme  pel  culto  di  Era  tsiav/j  fixTÙi;,  una  notizia  preziosa  sull'antichità 
del  culto  cumano  di  Era;  esso  sarebbe  fatto  risalire  al  primo  stanziamento  dei  coloni  greci 
a  Cuma  : 

V-   5  5  ^'•='-' 

o'ì  ^d/,(.j,    i"//x   |iix   K'jjjiaiòx   — p'jopovi;    xJtì  (4) 

vaTTio/Tzi,    Tiy.vT);    (i  a  «jiV  r,  io  e  ;    oi'^i    t'.Oìvtwv 

i  V    t:  :'.  T  i  '1  0  '.  T  '.    V  ó  a  0  i  ;    " Il  ;  a  ;    ;  o  x  v  0  v    t  £    /.  x  l    0  '.  x  0  v  . 

A  Roma  Apoll(j  ed  Era  (Juno  Regina)  sono  associati  nel  culto  sibillino.  La  sacra  pompa 
espiatoria,  secondo  il  racconto  che  ne  fa  Livio  per  la.  207,  muoveva  dal  tempio  di  Apollo 
della  Porta  Carmenlalis  per  salire  al  tempio  di  Giunone  sull'Aventino;  nella  pompa  erano 
portati  due  ^oxvz  della  dea  —  duo  signa  cupressea  —  tra  il  corteo  di  27  vergini,  il  nu- 
mero multiplo  della  triade  chtonia;  culto  e  riti  che  ritroviamo  ricordati  e  celebrali  nei  due 
oracoli  sibillini  Ji  Plileuun.  E  con  ciò  non  sarà  estraneo  al  culto  cumano  di  Era  il  trovare 
tra  i  nomi  della  Sibilla  cumana,  quello  dì  ■|l;o'piX-/i  (5).  Secondo  alcuni  autori  'Uso^CXi)  si 
sarebbe  detta  la  Sibilla  delfica,  secondo  altri  l'euboica;  secondo  Varrone  'Upo^CXr,  sarebbe 
stato  uno  dei  nomi  della  Sibilla  cumana,  concorde  in  questo  con  la  tradizione  raccolta  da 
Esichio  (Onomatol.  a.  v.). 

in  base  dunque  alla  tradizione  dei  culto  sibillino  a  Roma,  intendiamo  perchè  Era,  nell.i 
nostra  iscrizione,  ci  appaia  cosi  direttamente  a.ssociata  al  culto  mantico  di  Apollo.  Né 
cuesto  suo  carattere  è  del  tutto  estraneo  a  quello  che  Era  assume  nel  culto  delle  altre 
colonie  greche  dell'Italia  meridionale.  "Ilpx  'ìxti/.  i;,  »  Juno  Regina  »,  «Juno  ka- 
lendaris  »  è  divinità  in  Italia  sovratutto  lunare:  monete  del  IV  secolo  di  Hyria,  di  Nea- 
polis  ^colonia  cumana),  di  Phistelia,  di  Pandosia,  di  Puseidcini.i,  offrono  il  tipo  di  Era  raffi- 


li) DiKi.s,  Sìhyll.  /iltlller,  p.  52.  n.  1  ;  (Jki'ppi;,  (4)  Sul  v.-ilore  JI  «ù:i  v.  DiBLs,  opera  clt.iUi, 

(l'riir/i.  Mylhol.  I,   567,  niit.'i   1.  p.  q8  sg. 

(j)  Dk  Sanctis,   Storili  itfi  Komani,   II,   516.  (0  Sul  nomi  delle  Sibille  v.  Maa».  /V  .">■'• 

())  Dii'.LS,  11.  e.  p.   114  V.  so  SRK-  indicilms,  1879. 

AnsoHìtt      Anni»  W  \ 


—  IO  — 

jjurato  in  una  testa  veduta  di  faccia  contornata  di  raggi,  tipo  che  ritroviamo  nelle  monete 
di  Caicide  e  di  Argo  e  che  è  cosi  affine  al  tipo  di  Helios  raggiante.  Il  carattere  di  divinità 
lunare  e  la  natura  del  divieto  che  leggiamo  del  disco  cumano  farebbero  naturalmente  pen- 
sare che  Era  a  Cuma  fosse  una  delle  divinità  venerate  nel  vs*p',[;.*VT:r'.v,  e  che  venisse 
più  strettamente  associata  al  culto  delle  divinità  chtonie  del  lago  di  Averno,  senza  essere 
essa  stessa  una  vera  e  propria  divinità  cht(jnia  (i).  1  riti  del  vj/.poy.zvriCov  hanno  natu- 
ralmente carattere  chtonio:  avvengono  di  sera  o  di  notte.  Basti  ricordare  la  scena  della 
Nsxuiz  e  il  colore  della  scena  virgiliana  dell'entrata  di  Enea  nell'Averno.  Il  divieto  adunque 
di  Era  di  far  vaticini  di  mattino,  si  spiegherebbe  di  per  se  e  rientrerebbe  nel  rituale  fisso 
del  culto  mantico  cumano  (2).  È  un  disco  sacro  per  il  sacro  precetto  di  Era. 

È  esso  stesso  un  Dracolo.?  Mentre  il  suo  contenuto  strettamente  rituale  non  lo  fa 
escludere,  poiché  anche  una  prescrizione  sacra  poteva  essere  data  in  forma  di  oracolo  (sap- 
piamo invero  quanta  parte  del  rituale  sibillino  ci  sia  stato  tramandato  negli  oracoli  con- 
servatici da  Phlegon  di  Tralles),  la  solenne  concisa  gravità  del  testo,  la  forma  dell'oggetto 
su  cui  è  incisa,  fanno  ritenere  quest'  ipotesi  assai  probabile.  Che  cosa  è  infatti  questo  piccolo 
disco  bronzeo  recante  il  testo  d'una  legge  sacra  se  non  la  voce  stessa  dell'oracolo  o  della 
sacerdotessa  della  di\inità  nel  cui  nome  si  rifiuta  di  vaticinare?  Non  disco  d'uso  sepolcrale 
adunque  (3),  ma  \era  /J.-^ipo;  0  óvioo;  mantica,  responso  scritto  dell'oracolo  (4).  L'essere 
stato  inciso  sopra  un  disco  bronzeo,  si  spiega  con  il  carattere  sacro  che  avevano  comune- 
mente i  dischi  metallici  (51  nei  santuari  dell'antichità.  Tra  la  ricca   varietà  di  classi    e  di 


(i)  Efoni  In  Str.ibdne,  p.  244,  s  parlando  dei 
Cimmeri  .abitatori  delle  rive  del  lago  di  Averno: 
c'.vai  SI  T0T5  ::;f'.  tÒ  •/^pri^TTjftov  k'iro;  r.xTo  ov,  ijuiòlvi 
tÒv  f,Xiov  ójjSv,  aXXi  T?;?  vj/.tÒ;  I'^ui  r.ooB-jzz^n:  twv 

(2)  Poche  norme  conosciamo  del  rito  della  con- 
sultazione mantica  (sull'età  delia  sacerdotessa  e  il 
tempo  proibito  per  la  divinalio  -  a-oopóò-;  y\^'iyii  - 
V.  ScHòMANN-LiPsius,  Handh.  Criecfi.  Alterili., 
11,  p.  321  j;  più  importanti,  per  quanto  frammen- 
tari, sono  il  decreto  del  santuario  di  Apollo  Ko- 
ropaios,  DiTTENBERGER,  .Sj-Z/o^-f ,  n.  790,  lin.  1-62 
(un  vero  regolamento  deromantico),  e  l'iscrizione 
relativa  al  Tfar:£sO(j.avTc~ov  di  Attalia:  Hirschfeld 
in  Beri.  Monatsberichte  1875,  p.  716  e  Kaibel  in 
Hermes,   1876,  p.   193. 

(3)  Veri  dischi  appartenenti  al  corredo  funebre 
di  una  tomba  cumana,  sono  quelli  descritti  da  G. 
Pellegrini  in  Monum.  Ani.  d.  Line.  Xlll,  1903, 
coli.  253  sg. 


Intendo  anch'io,  con  1' Haussoullier,  "J-v^o;  nella 
forma  dei  voti  ateniesi  (del  tipo  dei  voti  attici  sono 
anche  le  <}',•-''■  epirotiche  da  Dodona  pubblicate  re- 
centemente dallo  SvoROXos,  Journal  in/erti,  de 
.Vumismn/.  191 1),  poiché  è  da  ritenere  che  anche 
le  <}?;?o'.  mnntiche  fossero  a  volte  dischi  bronzei 
(v.  nota  seguente). 

(4)  La  i}iripo[jiavT£Ìa  sembra  essere  stata  la  prima 
più  antica  sostituzione  della  fj).AO[jLavT£U;  nel  culto 
delle  ninfe  W.  u'.,  che  simboleggiavano  l'oracolo  reso 
dallo  scuotersi  delle  foglie  del  fico  sacro,  le  ^ì[ao: 
avrebbero  presto  sostituito  le  foglie  secondo  la 
glossa:  HpiojìóXof  à-.'o  <lr,oou;  [iivTE'.;  (i  passi  sono 
raccolti  in  Lobeck,  Aglaophamus,  p.  814). 

(5)  Quanto  all'impiego  del  bronzo  negli  iva^ijiira 
dei  templi  dell'Italia  meridionale,  non  sarà  qui  inop- 
portuno ricordare  la  piccola  ascia  votiva  di  S.  Agata 
di  Calabria  dedicata  pur  essa  ad  Era  (Roehl,  In- 
script.  gy.  qntiq.  n.  543). 


^  ti  — 

tipi,  vanno  ricordati  per  stretta  affinità  religiosa  i  cimbali  sacri  di  Artemis  Limnatis  (i),  i 
cimbali  dictei  (2),  i  dischi  circolari  con  iscrizioni  di  dedica  dell'Heraion  di  Argo  (3)  e,  per 
una  forse  ancora  più  stretta  affinità  sacra,  la  ricca  serie  di  dischi  anepigrafi  appartenenti 
alla  suppellettile  bronzea  del  santuario  di  Uodona  {4).  L'importanza  dunque  di  questa  breve 
iscrizione  arcaica  è  assai  diversa  da  quella  che  s'intravvedeva  nelle  precedenti  interpreta- 
zioni :  noi  possediamo  con  essa  il  più  antico  documento  della  religione  mantica  greca,  e  la 
più  preziosa  conferma  dell'antichità  del  culto  oracolare  cumano. 

Enea  giunto  dinanzi  allo  speco  della  Sibilla  nell'ombra  della  rupe  immane,  invoca  e 
ottiene  ch'essa  dica  la  volontà  del  nume  a  lui  che  l'ascolta,  e  non  disperda  le  parole  arcane 
sulle  foglie  innumeri.  Poche  foglie  sono  giunte  sino  a  noi  dagli  oracoli  cumani  :  abbia  o 
no  anche  questo  disco  tintinnato  come  le  brattee  del  virgulto  sacro  a  Proserpina,  abbiamo 
conservata  in  esso  una  voce  dell'antica  religione  mantica. 

AMEDEO   MaILRI. 

Roma,  Ottobri.'   lui  1. 


(1)  La  migliure  illustr.izione  è  fatta  dal  Fraenkel, 
Are/i.  Zeil.  XXXI V,  28  e  tav.   V-Vl. 

(2)  Museo  Hai.  di  Aniich.  class.  11,  p.  711  e  Aii- 
miai  of  the  /ir il.  School,   VI,  p-   109. 

(3)  Waldstein,     The    Arg.    Ileraeum    (1902- 
1905)  voi.  Il .  tav.  ex. 


(4)  Carap.anos,  Dodona,  tiv.  LIV,  4,  p.  231. 
Di  carattere  sacro  doveva  essere  II  disco  di  Itilo  .id 
Olimpia  ricordato  da  Pausania  tra  gli  »vaSr,|i»T» 
del  tempio  di  Era  (V,  20,  i)  con  suv-vi  un'  iscrizione 
circolare  {È;  xixXoj  !i/_5iji«  "ipUmv  \r'\  tu  òvaxtu  ri 
YpainnTa)  relativa  all'istituzione  dei  giuochi  olimpici. 


IL  PATRIZIO  LIBERIO 

E    L'IMPHRATORli    GIUSTINIANO 


STUDIO  STORICO-EPIGRAFICO 

La  solenne  condanna  pronunciata  nell'a.  451  dal  concilio  di  Calcedonia  contro  i  mono- 
tisili  non  riusci  ad  estirpare  quella  eresia,  la  quale,  anzi,  preso  nuovo  vigore,  si  radicava 
sopratutti)  in  Hgitto.  Forti  dissenzioni  però  avvennero  subito  fra  quegli  eretici  che,  divisi 
in  più  sètte,  al  tempo  di  (Giustiniano,  si  contrastarono  con  grande  violenza  la  successione 
del  vescovo  di  Alessandria  Timoteo  IV  morto  nel  535.  Dal  contrasto  breve  fu  il  passo 
all'aperta  ri\iilta,  repressa,  non  senza  spargimento  di  sangue  dal  cubiculario  Narsete.  A  questo 
stato  di  cose  urgendo  porre  riparo,  Giustiniano,  per  consiglio  di  Pelagio,  allora  apocrisiario 
0  nunzio  della  sede  apostolica  in  Costantinopoli,  che  molto  poteva  sull'animo  di  lui  e  della 
imperatrice  Teodora,  deliberò  di  restaurare  la  dottrina  calcedonica  in  Egitto  riconducendo 
cosi  quella  regione  alla  ttrtodossia.  L'uomo  atto  a  far  trionfare  in  Egitto  il  nuovo  orienta- 
mento della  politica  imperiale  fu  scelto  da  Pelagio:  era  un  monaco  di  Tabenna,  Paolo  di 
nome  ed  egiziano  di  origine.  Ordinato  vescovo  di  Alessandria,  Paolo  partì  per  l'Egitto  sul 
finire  dell'a.  537  con  poteri  amplissimi  concedutigli  dall' imperatore  ;  ma  non  appena  iniziata 
l'ardua  impresa  che  si  era  assunta,  lo  colpì  la  gravissima  accusa  di  aver  fatto  morire  Psoio 
diacono  ed  economo  della  chiesa  di  Alessandria  con  la  complicità  di  Rodone,  un  fenicio 
preposto  allora  al  governo  della  città  come  augustale.  Del  gra\-e  delitto  venne  subito  infor- 
mato Giustiniano,  il  quale,  deposto  Rodone,  lo  sostituì  con  il  patrizio  romano  Liberio  a  cui 
diede  l'ordine  di  recarsi  tosto  in  Alessandria  per  procedere  a  severa  inchiesta  e  punire  i 
colpevoli  (i).  Chi  era  Liberio  e  per  quali  ragioni  veniva  preposto  ad  un  ufficio  quasi  sempre 
per  lo  innanzi  conferito  a  funzionari  oriundi  delle  regioni  orientali  ? 

Pietro  Marcellino  Felice  Liberio,  come  egli  chiamavasi  (2),  era  molto  innanzi  negli  anni 
quando  fu  mandato  a  governare  Alessandria  e  insigne  per  cariche  cospicue  occupate  con 
grande  onore  in  Occidente.  Fece  le  sue  prime  armi  a  circa  trent'anni  sotto  Odoacre,  lo 
seguì  fedelmente  nella  guerra  contro  Teoderico,  e  dopo  la  sua  sconfitta,  di\-enne  caro  al 
vincitore  che,  in  una  lettera  al  Senato  di  Roma,  lo  elogia  espressamente,  rammentandone 

d)   Per  questi  e  i  successivi  avvenimenti  di  Ales-  copio.  Anecdota,  27,  ed.   Haurj-.  V.  anche  lo  stu- 

sandria,   v.   le  due   fonti    importanti   e  contempo-  dio  eccellente  di  Monsignor  L.  Duchesne,   l'igile 

ranee  :  Liberato,    Bmnarium   causae  .\esloria-  et  Pé/as^e  nella  Kéfue  des  Questions  Hislorigues, 

norum  et  Eutyckiatiorinn  (Migne,  Patr.  Lat.,  68,  voi.   36  [1884],  p.   387  e  seg. 
cap.  XX,  col.   1036;  cap.    XXIIl:    1044-45);  PRo-  (2)  Vedi  pag.    13,   nota  quinta. 


—  i3  — 

la  incorrotta  fede  verso  il  suo  primo  signore.  A  dimostrare  la  stima  che  sentiva  per  lui, 
Teoderico,  sull'  inizio  del  suo  regno,  nominò  Liberio  prefetto  del  pretorio  d' Italia  e  poco  dopo 
lo  fece  patrizio  (i),  affidandogli  nello  stesso  tempo  il  gravissimo  incarico  di  assegnare  ai 
Goti  la  terza  parte  delle  terre  già  accordate  da  Odoacre  e  gli  diede  pieni  poteri,  affinchè 
le  operazioni  procedessero  regolari  e  sollecite  ;  e  Liberio,  conoscitore  profondo  cosi  del 
diritto  romano,  come  delle  consuetudini  barbariche,  compiè  il  mandato  ricevuto  con  piena 
sodisfazione  dei  vincitori  e  dei  vinti,  di  cui  si  fece  eco  il  vescovo  Ennodio  in  una  nobi- 
lissima lettera  a  lui  diretta  (2).  Durante  la  prefettura  d'Italia  eresse  ai.  :nonastero 
chiamato  di  S.  Martino,  nella  Campania,  del  quale  troviamo  ricordo  nei  dialoghi  (II,  35)  e 
nelle  epistole  (IX,  24  ;  73  :  cf.  V,  33)  di  S.  Gregorio  Magno,  e  che,  secondo  1' Hodgkin  (3), 
sarebbe  stato  non  lontano  da  Monte  Cassino. 

Dalla  prefettura  del  pretorio  d' Italia,  Liberio  pass<'j  a  quella  delle  Gallie  (41  e  n'  era 
investito  nel  526,  quando  Atalarico  gli  annunziò  la  morte  dell'avo  e  contemporaneamente 
la  sua  assunzione  al  trono  (Cassiod.  r<ir.  Vili,  6,  2).  Come  prefetto  delle  Gallie,  cioè,  di 
quelle  Provincie  allora  soggette  al  re  degli  Ostrogoti,  prese  parte  nel  529  al  concilio  secondo 
di  Grange,  negli  atti  del  quale  si  sottoscrisse  con  tutti  i  suoi  nomi  e  titoli  nella  seguente 
maniera:  Petrus  Marcellinns  Felix  IJberìus  v.  e.  el  inl.praefeclus praetorii  Galliariim .  alque 
palriciiis  consenliens  subscripsi  (5).  Quel  concilio  ebbe  luogo  nell'occasione  che  quattordici 
vescovi,  dei  quali  primo  S.  Cesario  di  Aries,  si  erano  riuniti  in  Arausio  per  consacrar\'i  e 
dedicarvi  una  basilica  colà  appunto  innalzata  dal  prefetto  Liberio  (6).  Richiamato  in  Italia 
nel  533,  Atalarico  lo  nominò  palricius  praesentalis.  È  noto  come  i  pairicii  praesentales 
stavano  in  corte  come  coadiutori  del  re  nel  governo  dello  Stato,  e  facevano  parte  del  con- 
siglio regio  {comitaliis)  di  Ravenna  e  tali  devono  considerararsi  gli  tlliistres  el  magnifici  :'iri 
fra  cui  figura  il  nostro  Liberio  ai  quali  è  diretta  la  lettera  dì  Papa  Giovanni  II  del  24  nuirzo 
534  relativa  all'eresia  dei  nestoriani  (7). 

(1)  Liberio  fu  prefetto  del  pretorlo  d'  Italia  dnl-      che  Liberio  era  fratello  di  Fausto  Riuni^rc  console 
l'anno  493  (?)  lino  cìrat  .ill'a.  soo  in  cui  venne  no-      dell'.inno  400  e  nmlco  Jl  Ennodio. 

mln;ito  p;itrizio.   —    Cfr.  le   fonti   clt;itc   in   Hok-  d)  /l,ily  ,i»J  het  itntiJfii,  IV,  49). 

GHESi,  Oìinres,  X,  630,  e  nvW  index  persoinniiin  (4)  Hu  prefetto  delle  Gallie  dal  5JI  al  533,  non 

del  Mommsen  .ille  /Vj»;'i«' di  Cjsslodoro  paK-  49S-  lino  .il  534  come  sostiene  II  Borghesi,  op.  cit..  X, 

496.  V.  anche  MuuATom,  ,/««,//;,  a.  500.  Nel  500,  572  e  seeK.  ;  v.  Ivi  le  fonti  cit.ite. 

Liberio  deve  aver  accompagnalo  a  Roma  TeiKlerico  (5)  Mansi,  Concilia,  Vili,  71Q. 

quando  vi  si  recò  a  ricevere  gli  omanRl  del  Senato  (6)  Hi:rKi.K-LKcn;KCvj,  Histoirt  dfs   ConciUt, 

e  del  popolo  (cfr.  Gakoi.i.o,  Ti-otteriio,  pag.   140)  II,  2,  paR.  io8s. 

f  fu  fautore  della  ele/lone  di  Marcellino  a  vescovo  (7)  V.  Mansi.  Vili,  803-804.  Sul  p.itri/1  ^j/- 

dl  Aqulleia,  Come  risulla  dalla   lettera  di  Knnodlo  sen/ales  e  su\  ^/ridato  roMiino  dal  sffotoìv  al  t^ 

(/•./.   V,   L  Inscritta   .ippunto  l.ifinio  /•iihiiù'.  ((«/ovili,  v.  In  stiiJiodcl  Magi  iaki. in  .'Or«i<yi> />•>.'(■• 

(2)  /•-■/».,  IX,   23.  Non  so  come  monslKni>r  l'ran-  men/i.  XVIII  (  1897),  pag.  loj.  Il  ^Io\l^t 

Cesco  M.-igani   nella   sua   pregevole  numogmlia  In-      .V/Mt/i>»ln//i.i/..VA>(//'c«r,lll,448)IJent.;....  ...i~..>i- 

torno  ad   /-jiHodio  (I,   IO"!  e  seg.)  p<>ss.i  sostenere      litis prufseHtatimA  tHas^iste»  praetmlaUs  milttim. 


-  14  - 

Nel  534  Jiil  IL'  TuoJato,  succeduto  ad  Atalarico,  ebbe  Liberio  la  missione  di  recarsi 
a  Costantinopoli  per  j^iustiticare  la  prigionia  e  i  inali  trattamenti  che  quel  re  aveva  inflitti 
alla  regina  Amalasunta.  In  quell'ambasceria,  ^li  fu  compagno  il  consolare  Opilione  ; 
Procopio  (De  beli.  Gol.,  1,  4)  li  chiama  ambedue  senatori  romani  ed  elogia  in  particolar 
modo  Liberio  dicendolo  «  uomo  eccellente  e  amantissimo  della  verità  ».  La  rettitudine  e 
la  schiettezza  di  Liberio  che  non  volle  tener  nascosto  a  Giustiniano  il  vero  stato  delle  cose 
(all' incontro  di  Opilione  che  affermava  nessuna  mancanza  aver  commesso  Teodato  verso 
Amalasunta)  piacquero  all'imperatore,  tantoché  Liberio,  il  quale  non  poteva  certo  in  quelle 
condizioni  pensare  a  far  ritorno  in  Italia,  prese,  col  suo  consenso,  dimora  stabile  in  Bi- 
sanzio. Giustiniano  poi,  conoscendolo  più  da  vicino,  seppe  maggiormente  apprezzarne  le 
molte  doti  dell'animo  e  quando,  sul  finire  dell'a.  538,  volle  sistemare  l'amministrazione 
assai  confusa  dell'  Egitto,  per  consiglio  certamente  di  Pelagio  che  gli  era  amico,  vi  prepose 
Liberio  come  colui  che  aveva  dato  prove  luminose  della  sua  esperienza  amministrativa  in 
Italia  e  nelle  Gallie,  e  a  me  par  lecito  considerarlo  come  il  primo  governatore  di  Alessandria 
che,  giusta  le  riforme  imperiali,  riunì  in  so  stesso,  col  titolo  di  auguslalis  et  dux,  il  potere 
civile  e  militare  (i). 

Liberio  giunse  in  Alessandria  al  principio  dell'a.  539  e  subito  procedette,  secondo  gli 
ordini  ricevuti,  alla  inchiesta  sulla  morte  del  diacono  Psoio.  Neil' interrogatorio  dei  due  accu- 
sati, Rodone  e  Paolo,  il  primo  addusse,  a  propria  discolpa,  che  le  istruzioni  ricevute  dal- 
l' imperatore  gli  facevano  stretto  dovere  di  prestar  obbedienza  in  ogni  cosa  al  \'escovo  e  che 
quindi,  per  comando  di  lui,  aveva  fatto  uccidere  il  diacono  ;  il  vescovo,  dall'altro  lato,  negò 
assolutamente  di  aver  dato  ordini  in  questo  senso.  Le  indagini  furono  allora  allargate,  e  il 
governatore  finì  con  lo  iscoprire  che  l'omicidio  era  stato  preparato  ed  eseguito  d'accordo  con 
Rodone,  da  uh  notabile  di  Alessandria,  di  nome  Arsenio,  uomo  di  fama  dubbia.  Finita  l'in- 
chiesta, Liberio  pronLmciò  la  sentenza:  Arsenio  venne  condannato  a  morte  ;  Rodone,  con  gli 
atti  del  processo,  inviato  a  Costantinopoli  ed  ivi,  per  ordine  di  Giustiniano,  ucciso;  al  vescovo 
Paolo  poi,  che  sebbene  negativo,  non  apparve  interamente  immune  da  colpa,  toccò  per  pena, 
l'esilio  di  Gaza  ;  e  colà,  poiché  forse  la  sua  dottrina  ortodossa  non  fu  trovata  ben  salda, 
venne  deposto  dal  concilio  riunitosi  nel   541   sotto  la  presidenza  dell'apocrisiario  Pelagio. 

Intanto,  Liberio,  mentre  aspettava  forse  un  premio  dei  servizi  resi  all'  impero  in  quella 
occasione,  e  si  preparava  a  riordinare  il  governo  della  sua  provincia  rimase  vittima  dell'animo 
doppio  e  volteggiante  di  Giustiniano.  L'imperatore,  infatti,  stancatosi  di  lui,  lo  sostituì  nel 
governo  di  Alessandria  con  un  egizio  chiamato  Giovanni  Lassarione.  Saputosi  ciò  da  Pelagio 
che,  nel  frattempo  (a.  542),  era  tornato  a  Costantinopoli,  chiese  a  Giustiniano  se  fosse  vera 
la  notizia  divulgatasi  di  siffatta  sostituzione,  ma    l' imperatore    negò    assolutamente   il  fatto 


(i)  Delle  riforme  di  Giustiniano  in  Egitto  e  della      terza  parte  dei  miei  prefetti  di  Egitto  di  prossima 
data  dell'editto  XIII  che  le  contiene,  tratterò  nella       pubblicazione. 


—  15  — 

ed  anzi  diede  lettere  a  Pelagio  per  Liberio  nelle  quali  gli  ordinava  formalmente  di  tenersi 
fermo  nel  suo  ufficio,  di  non  abbandonarlo  affatto,  perchè  non  era  mai  stata  suo  proponi- 
mento di  rimuoverlo  dal  posto  che  allora  occupava  in  Egitto.  Informato  di  tali  cose,  lo  zio 
di  Giovanni,  personaggio  autorevole  alla  corte  di  Bisanzio,  e  chiamato  Eudemone,  domandò  a 
Giustiniano  se  il  nipote  fosse  sempre  sicuro  dell'ufficio  ottenuto  in  Alessandria,  e  Giustiniano, 
dissimulando  le  lettere  inviate  a  Liberio,  altre  ne  scrisse  a  Giovanni,  ordinandogli  d'impa- 
dronirsi a  tutta  forza  del  governo  di  Egitto,  nulla  avendo  disposto  in  contrario.  Si  svolse 
allora  una  scena  singolare  :  Giovanni,  forte  del  messaggio  imperiale,  intimò  a  Liberio  di 
lasciare  libera  la  sede  del  governo  da  cui  era  stato  rimosso  ;  ricusò  Liberio  e  mostrò  anche 
lui  le  lettere  imperiali  che  gì'  ingiungevano  di  restar  fermo  al  suo  posto.  Ma  Giovanni  non 
volle  arrendersi  e  con  i  suoi  armigeri  o  buccellariì  come  si  chiamavano,  si  scagliò  addosso 
a  Liberio  il  quale,  a  sua  volta,  con  i  suoi  armati  si  difese  ;  ne  nacque  una  vera  battaglia, 
molti  delle  due  parti  caddero  uccisi  e  fra  questi  il  nuovo  augustale  Giovanni.  Per  le  forti  insi- 
stenze di  Eudemone,  Liberio  venne  allora  richiamato  a  Bis;mzio;  il  Senato  istruì  regolare  pro- 
cesso di  omicidio,  ma  Liberio,  riuscitogli  facile  di  provare  che  tutto  era  avvenuto  contro  la  sua 
volontà  e  che  aveva  agito  per  semplice  e  legittima  difesa,  fu  assoluto.  Della  sentenza  assolutoria 
non  rimase  peraltro  pago  l'imperatore  e  condannò  in  segreto  Liberio  a  sborsare  una  somma  (  i  ». 
Pochi  anni  dopo,  il  patrizio  romano  tornò  in  grazia  del  principe,  poiché,  sul  finire  della 
guerra  gotica  (a.  549-550),  Giustiniano  volle  affidargli  il  comando  di  una  spedizione  navale 
con  l'ordine  di  recarsi  sollecitamente  in  Sicilia  e  salvar  l'isola  dalle  armi  di  Totila.  Ma 
pentitosi  appena  lo  ebbe  nominato,  perchè  Liberio,  dice  Procopio,  era  decrepito  e  delle  cose 
di  guerra  affatto  inesperto,  lo  sostituì  con  Artabane  che  comandava  l'esercito  di  Tracia. 
Questi,  sorpreso  in  prossimità  delle  Calabrie  da  fiera  tempesta  non  potè  raggiungere  Li- 
berio, il  quale,  ignaro  del  revocato  comando,  approdò  a  Siracusa  assediata  dai  (ioti  e  sbara- 
gliati quei  barbari  si  ormeggiò  nel  porto  e  con  tutta  l'armata  entrò  nella  cinta  della  città.  Sprov- 
visto poro  di  forze  sufficienti  per  fare  impeto  contro  gli  xssedianti  e  dar  loro  battaglia,  di 
nascosto  dei  nemici,  si  recò  a  Palermo,  dove,  richiamato  dall'imperatore,  depose  il  comando 
delle  armi  imperiali  per  far  ritorno  a  Costantinopt)li  \i).  Ma  p<KO  dopo,  nel  551,  ribellatosi 
Atanagildo  nella  Spagna  al  re  dei  Visigoti  Agii,  Giustiniano  deliberò  l'invio  colà  di  una 
spedizione   militare,  nfl'iJanJone  il  comando  a   Liberio,  del  cui  esito  (htò  nulla  •vicim.iih.i  1  j'i, 

(1)  l'kocoi'..   .hifiJotii,  H).  >till.Uu>  ».      -   Il  DiKlil.  i/M.i/i«irw.  p.  .-cKii  .idcriiui 

(2)  l'Kocop..   /teli.    Col.,    Ili,    }6,    17,   jg,  40;      che   Liberio  riusci    In    poco  tempo  .i  vincere  il  re 
IV,  24  ed.  Comp.irettl;  Iokoanks.  AV»«.  )85.  ArII.i  e  .-id  iKCup.ire  in  nome  dell' Imper.itore  molle 

HI  Che  l.i  spedl/iiiiie  .ivcsse  vcr;inientf  Uiukk,  r  pi.izze   forti:  Cirt-iRcn.i,   M.il.iK.»,  Cordov.i  e  A>l- 

diihhio,  perche  (  iiord.inc  ((ì,  58,   joj),  il  solo  che  don;i,  m.i  lo  storico  (r.inccsc  confonde  quest.i  spe- 

ne  parl;i,  dice  solt.inlo  :    /.ihniux  f>ahiiiHs  111111  dl/lone  con  .iltre  di  cui  tratta  il  CjeUer  d.-i  lui  cìt.ilo, 

fxntilM  lìrsliiiiìliir.  e    hene  ossorv.i  il  Moininsrn  nell;i  prcf.i/ione   .1II.1  /V.«<r«//».i  orNs   romani  di 

{/»<ii-/.  in  lord.,   p.  .\v,  n.    )l)  che   ad    «in    vero  (liori;i.>  Ciprio,  p.  wxiixi  in. 
Invio  di   Liberio  contraddico  •  nsm  vombulo  de 


—  Ih   - 

E  qui  mi  sia  lecit»  di  polemizzare  un  istante  con  Procopio.  Lo  storico  di  Cesarea, 
come  si  è  detto  sopra,  afferma  che  Giustiniano  si  penti  di  aver  preposto  Liberio  alla  spe- 
dizione navale  contro  'Potila,  perchè  decrepilo  e  delle  cose  di  guerra  affatto  inesperto.  Orbene, 
Liberio  era  certamente  assai  vecchio,  ma  ardito  e  forte  uomo  e  molto  sicuro  nell'arme,  tanto 
è  vero  che  poch.i  anni  prima,  più  clic  settantenne,  lo  vedemmo  tener  testa  con  ardore  gio- 
vanile all'impeto  di  Giovanni  Lassarione  e  riuscir  vittorioso  in  quel  singolare  combattimento 
che  abbiamo  poc'  anzi  descritto.  Che  fosse  poi  inesperto  delle  cose  di  guerra  non  è  punto 
vero.  Cassiodoro,  infatti,  nella  lettera  al  Senato  di  Roma  {Var.  XI,  i,  i6)  ove  fa  l'elogio 
di  Liberio,  lo  chiama  guerriero  {exercitualis  vir),  bello  di  forme  e  più  ancora  per  le  ferite 
[forma  conspicuum,  sed  vulneribus  pulchriorem)  sicché,  osserva  benissimo  il  Tonini  (i), 
non  fu  capitano  di  solo  nome.  Liberio  si  presenta  dinnanzi  ai  miei  occhi  come  quel  vec- 
chione fiorentino  del  secolo  decimoterzo,  così  bene  dipinto  nella  sua  cronica  domestica  da 
messer  Donato  Velluti  (della  q'iale  speriamo  veder  presto  pubblicata  intera  l'edizione  critica 
da  Isidoro  Del  Luni^o)  :  «  questo  Bonacorso  di  Piero  fu  uno  ardito  forte  e  atante  uomo, 
«  e  molto  sicuro  nell'arme.  Tutte  le  carni  sue  erano  ricucite,  tante  fedite  avea  avute  in 
«  battaglie  e  zuffe....  Era  di  bella  statura,  e  le  \embra  forti,  e  bene  complesso.  Vivette 
«  bene  CXX  anni;  ma  bene  XX  anni  perde  il  lume,  innanzi  morisse  per  vecchiaia;  e  per- 
«  che  fosse  cosi  vecchio,  udi"  dire  che  la  carne  sua  avea  sì  soda,  che  non  si  potea  attorti- 
«  gliare;  e  se  avesse  preso  qualunque  giovane  più  atante  in  su  l'omero,  l'avrebbe  fatto  ac- 
«  coccolare  »  (2).  Cosi  deve  esser  stato  Liberio  ;  ed  è  probabile  che  le  parole  di  Cassiodoro 
vulneribus  pulchriorem  alludano  anche  a  quel  singolare  episodio  che  di  lui  si  narra  nella 
vita  di  san  Cesaiio  vescovo  di   Arles. 

Mentre  egli  era  intatti  prefetti!  delle  Gallie,  cadde  in  una  imboscata  dei  \isigoti  mortal- 
mente ferito  da  un  colpo  di  lancia.  Abbandonato  dai  suoi,  nonostante  il  molto  sangue  che 
usciva  dalle  ferite,  potè  a  grande  stento  trascinarsi  fino  al  villaggio  di  Arnago  prossimo  ad  Arles. 
Colà  giunto,  mandò  per  Cesario  il  quale  accorso  prontamente,  trovò  Liberio  privo  di  cono- 
scenza. Ma  all'accostarsi  del  santo  vescovo,  il  moribondo,  come  poi  raccontava  egli  stesso, 
udì  una  voce  che  l'avvertiva  della  presenza  di  Cesario;  per  la  qualcosa,  aperti  gli  occhi, 
e  \'edutolo  a  sé  dinnanzi,  si  trovò  come  ispirato  a  raccogliere  un  lembo  della  \'este  di  lui 
e  ad  appressarlo  alla  ferita.  E  tosto,  stagnatosi  il  sangue,  si  sentì  in  tal  guisa  rinascere  le 
forze  del  corpo  che  a\Tebbe  potuto  rimettersi  in  via  se  i  presenti,  fra  cui  la  moglie  e  la 
figlia,  glielo  avessero  consentito.  Così,  la  vita  del  santo  (3).  Liberio  adunque  non  ignorava 
che  cosa  fossero  le  armi  e  la  guerra  e  lo  conferma  del  resto  il  racconto  dello  stesso  Procopio, 
poiché  nelle  operazioni   militari  di   Siracusa  si  condusse  come  capitano  abile  non  solo,  ma 


(1)  V.  nella  sua  tc^tWtrAt  Storia  di  Rimini,  11,       secolo  xiii,  Firenze,   1893. 

[62-168,  le  belle  p.igine  dedicate  a  Liberio.  (3)    Scriptores    rerum    Meroviiigiccirio».    ediz. 

(2)  I.  Del  Lungo,  l'n  vecchione  fioreutino  del      Krusch,   III,  p.  487-48S. 


—  17  — 

prudente.  Perciò,  non  decrepitezza  dei  corpo  e  imperizia  dell'arte  guerresca  furono  le  vere 
ragioni  ctie  gli  tolsero  il  comando  della  impresa  navale  contro  Totila,  bensì  la  instabilità 
consueta  di  Giustiniano  e  tanto  è  ciò  vero,  che,  l'anno  seguente,  il  principe  lo  voleva  capo 
della  spedizione  di  Spagna. 

Dopo  la  impresa  iberica  oscura  ed  incerta,  trovasi  fatta  menzione  di  Liberio  ancora  due 
volte  :  la  prima,  negli  atti  del  quinto  concilio  ecumenico  o  dei  tre  capitoli,  come  altresì  si 
suole  chiamarlo  che  si  tenne  in  Costantinopoli  dal  maggio  al  giugno  553;  Libterio  vi  appa- 
risce ricordato  fra  gli  alti  dignitari  di  Corte  che,  per  ordine  di  Giustiniano,  si  presenta- 
rono al  Papa  Vigilio  invitandolo  a  presiedere  il  Concilio  e  a  sanzionare  con  la  sua  presenza 
le  deliberazioni  dei  padri  (i).  L'altro  ricordo  di  Liberio  è  fatto  nella  cosi  detta /yaw»M//Va 
sanzioTie  del  13  agosto  554,  ossia  in  quel  sunto  dei  provvedimenti  chiesti  dal  pontefice 
Vigilio  a  Giustiniano  (prò  peiUione  Vigila  venerabilis  annliquiorìs  Romae  episcopij  [>er  solle- 
vare le  condizioni  d'Italia  profondamente  immiserita  dopo  i  venti  anni  della  guerra  gotica; 
l'imperatore,  nel  primo  capitolo,  rammenta  la  donazione  della  metà  dei  beni  di  Marciano  fatta 
a  Liberio  che  egli  chiama  vir  gloriosissimus  e  la  conferma  nella  stessa  misura  (2). 

Questo  è  l'ultimo  vestigio  che  troviamo  di  Liberio  nei  documenti  del  tempo  ed  è  t>en 
poca  cosa  quello  che  essi  ci  hanno  conservato.  Se  almeno  fossero  giunte  fino  a  noi  le  lettere 
da  lui  scritte  ad  Ennodio  e  ad  altri  amici  suoi  e  quelle  dirette  ai  figli,  quando  trovavasi  lon- 
tano da  loro  in  Bisanzio,  potremmo  conoscere  ciò  che  egli  pensava  del  dominio  dei  Goti 
dopo  Teoderico  e  la  sua  opinione  sulla  controversia  teologica  dei  tre  capitoli  già  menzionata 
e  il  giudizio  che  egli  faceva  del  carattere  ambiguo  di  Giustiniano.  Ma  di  quelle  lettere  nulla 
pur  troppo  rimane;  e  il  tempo  edace  non  risparmiò  neppure  la  lapide  sepolcrale  di  lui 
esistente  una  volta  in  Rimini  la  quale  prova,  secondo  me,  Liberio  aver  fatto  ritorno  in  Italia 
ed  esser  morto  in  quella  città;  come  e  quando  non  sembra  ditìfìcile  divinare. 

È  probabile  infatti  che  Liberio  facesse  parte  del  seguito  di  Papa  Vigilio,  quando,  quel- 
r  infelice  pontefice,  ottenuto  da  Giustiniano  l' importante  decreto  che  doveva  instaurare  per 
r  Italia  un'era  nuova,  si  mise  in  viaggio  per  farvi  ritorno,  nella  primavera  del  555,  e  costretto 
a  fermarsi  in  Siracusa  a  cagione  della  malattia  terribile  che  lo  consuma\a  \  i  mori  il  7  giugno 
di  quel  medesimo  anno.  Fra  i  pochi  vescovi  che  accompagnavano  il  papa  Vigilio,  era  certa- 
mente Stefano,  quello  di  Rimini  che  lo  aveva  sempre  seguito  nella  sua  via  dolorosa  e  il  cui 
nome  figura  fra  i  sottoscrittori  del  celebre  constitnlum  del  14  maggio  553  (ColUetio  Avellana 
ed.  Guenther,  p.  ^19).  Morto  il  papa,  la  s;ilma  venne  trasportata  a  Roma,  ma  il  vescovo 
Stefano  e  Liberio  devono  aver  preso  Li  via  di  Rimini,  Col.\  giunto,  quel  vecchio  glorios«\ 
già  prossimo  ai  no\ant'anni.  non  potò  gustare  a  lungo  la   gioia  del  ritorno  in  patria    dopo 


(1)  MAN-.I,  1\,    li;;,    i.,8.  sioHc  iH-ir.'tliin.>  lit-r.»  Ji  A.  t. 

(2)  Xini/liif  ree.  Sclii>cll-Krol|  C<>r/>us  Imiìs  Ci-  fra  /'//n/in  r  l'imf>fto  J'Otirr 
lilis  III,  7()().  VcdM'nnallsl  dcll.i/>><i»«»«(i//((i  .i,i/(-  p    iii>  e  •>«■>•. 

,-iti»oMia  Anno  -  VI. 


—  i8  — 

più  di  vent'anni  di  assenza;  forse,  per  le  fatiche  del  lungo  viaggio  accresciute  dalla  estrema 
vecchiezza,  la  vita  gli  venne  meno.  !  figliuoli  gli  eressero  un  monumento  sul  quale  era 
scolpita  una  iscrizione  metrica;  ma  col  volger  del  tempo,  sepolcro  e  iscrizione  scomparvero 
e  l'epitaffio  di  Liberio  sarebbe  rimasto  ignoto  a  noi  senza  gli  apografi  che  si  conservano 
in  taluni  codici  manoscritti,  dei  quali  il  più  antico,  del  secolo  decimo  quinto,  il  cosi  detto 
codice  Riirazziano  esistente  nella  Biblioteca  Gambalunga  di  Rimini  (M.  n.  72)  è  molto 
autorevole,  perchè  l'autore  anonimo  della  silloge  epigrafica  ariminense,  forse  Ciriaco  d'An- 
cona, ebbe  sott'occhio  l'originale  della  nostra  iscrizione  (i). 
Eccone  il  testo: 

HVMANO  gi:ni-:ri  i.kgi;m  natvra  creatrix 

HANC  DliDIT  VT  TVMVI.I  MlìMBRA  SliPVLTA  TMGANT 
LIBERII  SOBOLES  PATRI  MATRIQVE  SEPVLCHRVìM 
TRISTE  MINISTERIVM,  MICNTI-  DEDI:RE  PIA 
5      HIC  SVNT  MEMBRA  QVTDEM  SED  EAMAM  NON  TENET  VRNA 
NAM  DVRAT  TITVLIS  NESCIA  VITA  MORI 

Ri-:xrr  romvleos  easces  cvrri:ntibvs  annis 
svccEssv  parili  gallica  ivra  tenens 

HOS  NON  IMBELLI  PRETIO  MERCATVS  HONORES 
10  SED  PRETIO  MAIVS  DETVLIT  ALMA  FIDES 

AVSONIAE  POPVLIS  GI:NTILES  RITE  COHORTES 

DISPOSVTT  SANXIT  FOEDERA  IVRA  DEDIT 

CVNCTIS  MENTE  PATER  TOTO  VENERABILIS  AEVO 

TER  DENIS  ET  TRIS  PROXIMVS  OCCVBVIT 

15      O  QVANTVM  BENE  GESTA  VALENT  CVM  MEMBRA  RECEDVNT 

NESCIT  FAMA  MORI  LVCIDA  VITA  MANET 

Il  testo  è  quello  accolto  dal  Bormann  nel  Corpus,  tranne  nella  linea  14  dove  \i  è 
diversità  fra  i  codici  e  gli  editori.  Nel  codice  Rigazziano  si  legge  TEREDENIS  TRIS;  il  Bovio 
e  gli  altri  hanno  TERDENIS  /«.fTRIS.  lo  che  porta,  osserva  bene  il  Tonini  (op.  cit.  1,  367) 
una  soverchia  longevità.  Il  Codice  Fantaguzzi  {Bibl.  Classense  di  Ravenna,  n.  468,  f.  4) 
ha  invece:  TER  DENIS  ET  TRIS,  correzione  probabile  del  Rigazziano.  il  Baronio  propose 
nei  suoi  Annales  in  margine  all'a.  529,  la  lezione  TERjvNIS  /?«TR1S,  accolta  dal  Tonini 
e  dal  Bormann,  la  quale,  sebbene  molto  ingegnosa,  mi  pare  arbitraria,  poiché  la  parola  DENIS 
dei  codici  non  pun,  senza  ragione,  mutarsi  in  «-NIS;  e  arbitraria  par\'e  al  Buecheler,  uno 


(1)  Per  gli  altri  codici  e  per  gli  editcri  dell'epl-  codice  era  nella  biblioteca  del  defunto  principe  Bal- 

taffio  metrico  v.  \'  indicazione   data   dal    Tonini,  dassare  Boncompagni  (v.  E.  N.^rducci,  Catalogo 

op.  cit.  I,  286,  366  e  dal   Bormann,  nel  C.  I.  /..  di  manoicrilli,    Roma  1892,  p.    114-115)  ora  pur 

XI,   382.^  Il  De  Rossi  {Inscr.  Ch.  II,  404)  cita  troppo  dispers.i;  feci    molte    ricerche     per    rintrac- 

un  altro  codice   epigrafico    che    contiene    il    nostro  ciarli)  ma  riuscirono  pur  troppo  vane. 
epitaffio,  quello  di    Pirro    Viz.ini  del   1404;  questo 


—  li)  — 

dei  più  dotti  conoscitori  dell'epigrafia  metrica,  il  quale  invece  nei  suoi  Carmina  Zarina  Epi- 
graphica  II,  n.  1376,  accetta  la  lezione  lerdenis  [litsjris,  osservando  che  «tredecim  lustra 
dicuntur  poetica  quae  visa  est  licentia  »,  ma  la  sua  osservazione  non  :  iJe,  perchè 

volendo  evitare  la  soverchia  longevità  non  si  accorge  di  cadere  nell'eccesso  opposto  ;  difatti 
i  tredici  lustri  danno  una  età  comune  che  non  era  il  caso  di  rilevare  nell'epitaffio. 

In  tanta  discrepanza  di  lezioni  a  me  pare  cosa  prudente  seguire  per  quanto  è  possibile 
la  tradizione  rappresentata  dal  codice  Rigazziano  e  dal  codice  Fantaguzzi  ;  il  verso  adunque 
dovrebbe  leggersi  così  : 

Ter  de  |  nis  et  |  tris  1 1  pròxFmus  |  òccubù  |  it 

dove,  sottintendendo  annis,  il  Iris  va  interpretato  come  formazione  analogica  di  bis  e  corri- 
spondente ai  greco  -s''.-,z^ ter.  Si  avrebbe  quindi  la  combinazione  numerica:  tre  volte 
dieci  =  30  zrr  tre  volte  trenta  =r  90.  Il  mio  dotto  amico  prof.  Pietro  Rasi  dell'università  di 
Padova,  gentilmente,  mi  suggerisce  di  leggere  cosi: 

Ter  de  |  nis  tri  |ni;S  ||  pró.ximus  òccùbù  |  it 

dove  il  distributivo  Irinìs  sarebbe  in  relazione  cun  denis  ;  avremo  quindi  la  combinazione 
numerica  :  tre  volte  dieci  tre  (dieci  tre  =:  30)  =  3  X  30  =:  90.  Siffatta  lettura  è  certamente 
sagace,  ma  a  me  piace  non  discostarmi  da  quella  del  Fantaguzzi  che  us<'j  il  codice  Rigaz- 
ziano e  forse  vide  la  lapide  in  Rimini  (i). 

L'epitaffio,  come  nota  il  Tonini,  deve  esser  stato  letto  e  trascritto  mutilo,  perchè  alla 
fine  di  esso  seguiva  certamente  la  formula  propria  del  tempo  e  us;ita  in  altre  iscrizioni: 
-t-  hic  requiescit  Petrus  Marcelliuus  Felix  Lìòerius  v.  e.  et  ili.  qui  l'ixil  ann.  . . .  dep.  . , . 
post  e.  xml  lìasili  V.  e.  ind.   III. 

Come,^dice  l'iscrizione,  i  figli  \2)  di  Liberio  diedero  sepoltura  al  padre  e  alla  madre,  ma  il 
numero  e  il  nome  loro  sono  taciuti.  Da  due  lettere  però  di  Teoderico  ^C;iss.  Wir.  il,  15,  i6> 
sappiamo  che  uno  dei  figli  chiamavasi  Venanzio,  e  che,  in  premio  dei  servizi  resi  dal  padre. 
quel  re  nominò  conte  onorario  dei  domestici  mentre  era  ancor  giovanetto  (in  tenera  aclate); 
non  arrivo  peraltro  a  comprendere  come  il  Mommsen  (Cassiod.  index  pers.  s.  v.  Venantius) 
sostenga  che  quel  Venanzio  sia  invece  della  familia  dei  Decii,  forse  il  Petius  Marins  fV- 
nantiiis  liasiliiis  Console  nel  50H,  mentre  dalla  lettura  delle  due  lettere  citate  di  Teoderico, 
riesce  chiari)  e  lampante  che  il  l'enaiitius  conies  domestitoriim  i:  il  figlio  di  Liberio,  a  cui  il 
Borghesi  {Fasti  Consiilares,  p.  104),  seguito  dal  Liebenam  {Fasti  Consiilares,  p.  52),  attri- 
buisce il  consolato  dell'a.   507.   La  vita  fnii  di  S.  Ces;irio  ricordata  più    s«ipra   attesta  che 

(1)  Win^r;!/!"   i|iii    pubblicamente   II   Jott.  Aldo  ci>nsult.nl  In  quelle  biblioteche  I  codici    manuscriui 

M;i»cr.'i  liibllcitct.irlo  doll.i  (  i;imKihinK;i  di  Riminl  che  Ci ■ 
e  II  doUor  Andre;i  /.«ili,    blblinlccirlo   dell;i   Cl;is-  {ì)    \ 

scnsc  di  K:ivennn,  per  le  Kentilez/e  usatemi  quando  senz.-i  nomin.irll,  bnnodiu  (lì^.  IX,  3)). 


Liberio  aveva  una  fit^Iia  di  cui  è  taciuto  il  nome-,  ma  detta  unica,  forse  (l'avverte  il  Tonini) 
perchè  tale  del  suo  sesso,  e  ci  rivela  altresì  il  nome  della  moglie  di  Liberio  Agrelìa.  nome 
senza  dubbio  di  origine  gallica  (cfr.  Thesaurus  line^uae  lalinae  I,  1439).  Agrelìa,  premorta 
probabilmente  a  Liberio,  fu  sepolta  dai  figli  altrove  e  non  nel  sepolcro  ove  era  contenuta 
la  salma  di  lui,  né  importa  sostituire,  come  fa  il  Sirmond,  (Ad  Ennod.  Ep.  IX,  23),  nel 
V.  3  la  voce  superstcs  a  sepulchrum  «  cum  unius  tantum  Liberii  sit  epitaphium  »  perchè 
la  formula  dedere  sepulchrum  è  formula  generica  con  la  quale  i  figli  di  Liberio  asseriscono 
di  aver  compiuto  l'estremo  dovere  verso  i  genitori,  che  essi,  con  reminiscenza  virgiliana  (i), 
chiamano  a  buon  diritto  triste  viinisterium  (2),  ma  da  codesta  formula  non  deriva  punto 
che  anche  la  madre  fosse  posta  in  quel  sepolcro,  come  prova  il  v.  5  hic  sunt  membra  quidem, 
sed  famam  non  tcnct  urna  che  riguarda  evidentemente  il  solo  Liberio,  mentre  di  sua  moglie 
non  si  fa  mai  cenno  nell'epitaffio.  Alla  prefettura  d'Italia  si  liferisce  il  v.  7,  e  il  seguente  a 
quella  della  Gallia;  nel  v.  11  Ausoniae  populis  non  si  fa  espressa  menzione,  come  soste- 
neva G.  Marini  (Papiri  diplomatici,  p.  325)  delle  coorti  gentili,  una  delle  suddivisioni 
delle  milizie  palatiiiL',  bensì  della  posizione  che  i  Goti  focdcrati  ebbero  rispetto  ai  Romani  e 
che  Liberio  regolò  come  funzionario  ci\ile  romano  (3). 

Il  Mommsen  (Cassiodor.  index  person.  p.  496)  osserva  che  il  cursus  honorum  di  Li- 
berio nell'epigramma  riminese  è  degno  di  nota,  poiché  ne  deriva  che  Liberio,  al  tempo  degli 
Ostrogoti,  come  Rumano,  non  ebbe  che  dignità  civili,  mentre,  sotto  Giustiniano,  gli  vennero 
affidati  anche  uffici  militari;  ma  a  me  pare  più  \erisimile  che  l'epitaffio  non  ricordi  le  dignità 
avute  da  Liberio  in  Oriente,  sia  perchè  non  gli  accrebbero  fama,  sia  perchè  furono  fonte 
di  gravi  amarezze  per  lui. 

L'iscrizione  di  Liberio,  secondo  il  Mommsen,  esisteva  in  Ravenna,  ma  è  questa  una 
semplice  svista,  poiché  dal  codice  Rigazziano  e  dagli  altri  eruditi  che  videro  o  copiarono 
l'iscrizione,  risulta  chiaramente  che  essa  era  incisa  sopra  un  gran  sepolcro  presso  l'antica 
cattedrale  di  Rimini;  ma  la  s\ista  del  sommo  storico  mi  suggerisce  un'idea  che  mi  fo  le- 
cito esprimere  al  termine  del  mio  scritto.  Agnello  Ra\'ennate  (Script,  rerum  Langob.  ed.  Holder- 
Egger  p.  283-287-288;  cf.  Gams,  Serics  Episcopo)  um,  p.  716)  ricorda  tre  Liberii  nella  serie  dei 
vescovi  di  Ravenna,  l'uno,  nel  terzo  secolo,  gli  altri  due  nel  quarto.  Ora  potrebbe  supporsi 
che  anche  il  nostro  Liberio,  probabilmente  nipote  dell'omonimo  prefetto  del  pretorio  d'Italia 
al  tempo  di  Onorio  (cf.  Borghesi,  X,  591),  appartenesse  alla  famiglia  di  quei  vescovi  e 
fosse  quindi  oriundo  di  Ravenna,  La  sua  partenza  dall'Italia  nel  534,  l'esserne  stato  assente 


(i)  ./(•;/.  VI,  222:  Pars  ingenti  suhiere  feretro,  (2)  V.  il  triste  ìiiiuisterium  gemini  solvere  pareli' 

Triste  ministtrium :  queste  ultime  parole  non  sono  tes  di  un  epigramma  Spoletino  (C.  XI,  4969  ^=  Bue- 

che  un'apposizione  di    subiere  feretro    (qitod   est  cheler,   1349)  che   darebbe   però  ragione  alia   le- 

triste   ministeriumi,  e  tali    sono    da    considerarsi  zione  del  Sirmond. 

anche  nel  nostro  epigramma.  (3)  Mommsen,  Osi.  Stitdien,  I.  e.  p.  447-48,  n.  4. 


^  ^i  ^ 

per  un  ventennio,  grande  aei'i  spatium  nella  vita  di  un  uomo,  gli  avvenimenti  della  guerra 
gotica,  tutto  può  aver  influito  sullu  vicende  della  sua  famiglia,  si  da  costringerla  ad  abban- 
donare la  residenza  di  Ravenna  per  quella  di  Rimini,  in  un  momento  in  cui  tante  famiglie 
romane  esulavano  dalla  patria.  A  ogni  modo  la  mia  è  una  semplice  congettura  e  come  tale 
la  presento  ai  lettori. 

Arrivato  al  termine  di  queste  pagine,  nelle  quali  cercai  di  rinfrescare  la  fama  di  un  uomo 
insigne  del  secolo  sesto  (loto  venerabilis  aevo),  mi  è  caro  di  chiuderle  nella  stessa  bellissima 
terra  di  Rimini,  ove,  dinanzi  al  mare  vasto  e  profondo  che  richiama  alla  mente  l'idea  del- 
l'infinito, Liberio,  giunto  ormai  a  sera,  venne  a  compiere  la  sua  lunga  ed  operosa  giornata. 

Luigi  Cantarelli. 


UN  NUOVO   RITRATTO   DI   NHRONH 

I  lAV.  l-lll; 


Dal  mercato  antiquario  è  testé  passata  al  Museo  Nazionale  Romano  una  testa  in  marmo 
majjfiiore  dei  vero  rappresentante  Nerone  (tav.  l-Il  e  fig.  i).  La  conservazione  dell'oggetto 
non  è  eccellente;  un'azione  prolungata  forse  di  acque  acidulate  ha  corroso,  ove  più,  ove 
meno  l'epidermide  del  marmo  ;  compensa  però  questo  danno  la  integrità  della  figura  che 
ha  persino  il  naso  conservato,  tranne  una  piccola  scheggiatura  alla  punta.  Qualche  leggera 
lesione  si  ha  anche  nel  lato  sinistro  del  mento  e  nelle  arcate  superciliari. 

La  identificazione  della  testa  non  lascia  luogo  a  dubbi  di  sorta,  il  raffronto  con  le 
monete  (lig.  j  e  3Ì  basta  a  provarla  con  la  più  assoluta  evidenza.  E  tanta  è  del  resto  l' im- 
pressione di  verità  che  si  ha  da  quest'opera  d'arte,  che  se  anche  per  assurda  ipotesi  non 
potessimo  assegnare  lui  nome  al  personaggio  raftigurato,  dovremmo  sempre  affermare  d'esser 
davanti  a  un   ritratto  e  a  un   ritratto  somigliante. 

L'imperatore  è  rappresentato  coronato  di  lauro,  i  folti  capelli  sono  tratti  a  grosse  ciocche 
sul  davanti,  le  ciglia  sono  aggrottate,  fortemente  chiusa  è  la  bocca  imperiosa,  erto  super- 
bamente il  viso.  Nella  veduta  di  profilo  (tav.  IL  l'occipite  appare  alquanto  depre.s.so  e 
mancante,  difetto  che  le  dimensioni  della  statua,  e  la  sua  collocazione  forse  in  una  nicchia, 
o  in  ogni  caso  contro  un  muro  facevano  scomparire.  Non  vi  ha  dubbio,  che  l'artista  che 
aveva  con  tant(j  nobile  magistero  d'arte  scolpito  il  viso,  avrebbe  ben  saputo,  se  l'avesse 
voluto,  prender  le  sue  misure  per  dare  al  cranio  il  necessario  sviluppo. 

La  testa,  ben  piantata  sul  largo  collo,  è  .scolpita  con  potente  bravura  che  si  rivela 
anche  sotto  la  corrosione  del  marmo;  sapientemente  modellati  sono  i  molteplici  piani  delle 
guance  che  già  alquanto  cascanti  rivelano  pur  nel  vigore  giovanile  le  prime  tracce  della  de- 
cadenza provocata  da  una  spaventosa  dissolutezza.  Gli  occhi  nella  forte  ombra  in  cui  sono 
cacciati  sembrano  lampeggiare  sinistri,  ogni  muscolo  del  viso  freme  e  vibra  d'intensa  vita,  quasi 
tutte  vi  si  agitino  insieme  le  passioni  immani  dell'uomo.  Poche  teste  antiche  mi  sembrano 
altrettanto  drammatiche.  E  questa  drammaticità  non  dipende  soltanto  dalla  natura  e  dal 
temperamento  del  personaggio  rappresentato;  anche  l'intenzione  dell'artista  e  il  desiderio 
del  committente  hanno  forse  voluta  tanto  intensa  espressione  di  vita. 

Osserviamo.  Nerone  è  coronato  di  lauro.  Tale  corona  che  è  la  più  comunemente  data 
agli  imperatori,  non  appare  sempre  nelle  monete  di  Nerone  (i). 

(i)  Nei  446  tipi  ricordati  dal  Cohen  f7?fi<-r/^/;o«      rone  laureato,  ma  nudo  0  cinto  di  corona  radiata. 
des  mouiiaies)  una  metà  non  hanno  il  capo  di  Ne- 


-   23 


t'if.   I  —   Ima  III  Ntion*  iMuuo  t«a>ioii«i*  Hovinm. 


—    24  — 

Nelle  opere  di  scultura  poi,  nessuna  testa  che  possa  con  sicurezza  identificarsi  con 
Nerone,  porta  corona  di  lauro  (i).  Non  è  improbabile  dunque,  che  quella  corona  sia  stata 
scelta  per  una  speciale  ragione.  Né  per  trovar  questa  dovremo  affaticarci  con  molte  ipotesi. 
Svetonio  ci  narra,  che  dopo  il  famoso  viaggio  in  Grecia,  dove  l'imperiale  istrione  si  recò 
a  cantare  presso  quel  popolo  che  solo  poteva  comprenderlo  e  era  degno  di  ascoltarlo,  e 
dopo  il  trionfante  ritorno  e  il  solenne  ingresso  a  Napoli  e  a  Roma,  egli  «posuil....  slaluas 
suas  cilharocdico  habitu,  qua  nota    itiaiii    mimmum   pcrcussil   (2).    Ora   uno  dei  trofei  più 


Flg.   2,  —  Monete  di  Nerone. 

cospicui  del  suo  giro  artistico  avrà  dovuto  essere  la  corona  d'alloro  che  si  concedeva  ai  vin- 
citori dei  giuochi  pitici,  e  nelle  statue  destinate  a  ricordare  tale  avvenimento  quella  corona 
non  sarà  mancata.  Sicché  non  avrei  difficoltà  a  riconoscere  nella  nostra  testa  quella  di 
una  delle  statue  citharoedico  habitu  che  furono  poste  al  ritorno  di  Grecia. 

Conviene  a  questa  ipotesi  l'età  dalla  nostra  figura  manifestata,  età  non  più  giovanis- 
sima, che  già  anzi,  come  dicemmo,  si  lascia  notare  una  certa  rilassatezza  nelle  gote,  e  co- 
mincia a  cadere  floscio  lo  strato  di  adipe  sotto  la  gola.  Ora  Nerone  divenne  imperatore 
a  diciassette  anni,  nel  54,  e  morì  a  trentuno,  nel  68  d.  Cr.  ;  fu  in  Grecia  nel  66  due 
anni    prima   di  morire,    e  le  statue   a   ricordo  del    suo  \'iaggio    poterono  essergli    erette   a 


(1)  Bernoulli   ROtnische   Ikonographie  11,    i, 
P.  38S. 


(2)  Suet.  Nero  25. 


•i3 


trent'anni.  V'è  però  da  osservare,  che  le  monete  nelle  quali  e>;li  è  raffigurato  come  cita- 
redo, (fig.  4)  sembrano  doversi  attribuire  già  all'anno  65  (  1  )  sicché  anche  un  poco  prima  del 
viaggio  in  Grecia  potrebbe  Nerone  aver  desiderato  d'esser  raffigurato  come  citaredo.  Nessun 
sicuro  elemento  di  datazione  si  può  dedurre  dalla  mancanza  nella  nostra  testa  della  barba. 


Ri:      (.    —   Moneli   Ji    Ncr.i 


NcHMiL-  la  portò  sempre  ni-lla  sua  prima  gio\ini//.i,  >t  1.1  ì.m-i  j  er  la  prima  volta  a  ventidue 
anni  dopo  l'uccisicjne  della  madre;  ma  dalle  moiieti-  appare,  che  ^(ualche  volta  la  lasciò 
crescere  anche  in  appresso  (2). 


MuncU  JI  N«nin«. 


Ammettendo  pirtanto,  che  la  nostra  testa  soglia  raffigurare  Nerone  citaredo  e  \  •.  - 
tore  coronato  degli  agoni  greci,  ci  spieghiamo  l'aria  ispirata  che  l'artista  ha  voluto  daile. 
Sembra  che  or  nra  egli  abbia  smes.so  un  tragico  canto,  e  che  ancora  ne  sia  (viturbato  e 


1 1  \  Mi  KM  II  I  I  I. 


(-•)  HiiRNot'ui.  I    i.  p.  i8?. 


—   2f)   — 

commosso.  Nò  c|iifsta  ò  la  sola  tra  le  teste  di  Nerone  rimasteci  che  presenti  questo  aspetto 
ili  ispirato.  Cos)  col  xolto  proteso  e  con  lo  sj^uardo  perduto  nel  vuoto  è  una  testa  del 
Museo  del  Louxre  (i)  e  anche  più  melodrammatico  è  l'aspetto  di  una  testa  maggiore  del 
vero  nella  Galleria  degli  Uffizi  (tav.  MI)  e  di  un'altra  similissima  già  nel  Museo  del  Cataio 
ora  a  Vienna  (21.  Si  sospetta  è  vero,  e  forse  con  qualche  ragionevolezza,  che  queste  due  ul- 
time teste  non  siano  antiche  (3),  ma  gli  artisti  cinquecenteschi  che  probabilmente  le  scol- 
pirono, debbono  pur  essersi  ispirati  a  qualche  scultura  così  atteggiata  ora   perduta. 

Il  tipo  adunque  di  Nerone  cantore  e  istrione  sicuramente  esistito  nell'antica  statuaria 
non  solo  doveva  esser  contrassegnato  dal  lungo  chitone  del  citaredo,  ma  anche  dall'atteg- 
giamento del  viso  che  si  all<intanava  dalla  severa  e  maestosa  impassibilità  del  ritratto  uf- 
ficiale d'un  imperatore  romano,  e  assumeva  la  maschera  passionale  d'un  attore.  A  questa 
categoria  di  ritratti  di  Nerone  penserei  di  assegnare  la  nostra  testa  che  agli  altri  pregi  ag- 
giunge anche  quello  di  essere  tra  le  poche  teste  sicuramente  di  Nerone  una  delle  po- 
chissime non  tocche  da  restauri. 

Potremmo  anche  domandarci,  come  sarà  stata  l'intera  figura  alla  quale  questa  testa  ap- 
partenne. Non  \''ha  dubbio,  che  essa  doveva  riprodurre  qualche  famosa  figura  di  Apollo  Ci- 
taredo. Doveva  essere  infatti  nelle  intenzioni  di  chi  commise  e  di  chi  eseguì  la  statua  far  sì 
che  da  tutti  e  subito  si  riconoscesse  in  essa  e  l'imperatore  e  il  dio.  Ora  tra  le  molte  figure 
di  Apollo  generalmente  note  nel  mondo  romano  una  sopra  ogni  altra  doveva  prima  offrirsi 
alla  mente  dell'artista:  quella  dell'Apollo  Palatino.  Quella  insigne  statua  che  rappresenta 
il  dio  in  loìioa  veslc  mentre  carmina  sonai  (4^  era  opera  di  Skopas  (5)  e  di  essa  pos- 
siamo avere  un'idea  sia  dal  rilievo  di  una  base  di  Sorrento  (6)  sia  da  una  statua  disgra- 
ziatamente acefala  del  palazzo  Borghese  (7).  E  se  non  sembri  troppo  ardita  l'ipotesi,  mi 
pare  quasi,  che  l'autore  del  ritratto  imperiale,  pur  avendo  concepito  la  sua  figura  assai  più 
mossa  e  agitata  del  divinamente  sereno  Apollo  Palatino  (8)  abbia  conservato  nella  nostra 
testa  alCLUii  tratti  caratteristici  dell'arte  di  Scopa,  per  esempio  il  profondo  incavo  degli  occhi. 

R.  Paribeni. 

(i)  Bernouli.i,  1.  e.  p.   396,   tav.   XXV.  AiMia.uNa  ?7;«/ 1900.  p.  198.  Lj  mÌKlior  riproduzione 

(2)  BERNOULr^i  I.   e.  p.  395   Tralascio  di  eniime-  della  base  sorrentina  è  ora  in  Ausonia,  1908  p.  94. 

r.Tre  il  Nerone-Apollo  della  Sala  dei  Busti  in   Va-  (7)  Savignoni  in  Ausonia,   1907,  pag.  21  seg. 

ticano  la    cui    identificazione   è    molto    dubbia  cfr.  taw  Vl-Vll  e  1910,  pag.  86. 

Ajiilu.nc;.   /';>  Sknlpiitrcn  dcs  valicanischcti  Mii-  (8)  Dalla  nostra  testa    si    ha  l'impressione,  che 

seums.  Il  p.  47S  n.  277.  l'atteggiamento  generale  della  statua  dovesse  a  un 

{3)  Bernoulli,    1.    e.    A.MELUNG   Fìiìiicf  dìndi  dipresso  essere  come    quello   dell'Apollo  Musagete 

dit'  Autiken  in  Florenz,  pag.  29  sembra  respingere  del  Vaticano  (Helbio.  Fnhrer  \-,  num.  274)  e  del 

il  sospetto.  dio  citaredo  sulle  monete  di  Nerone  (nostra  figura  4). 

(4)  Prupeit.  li.   ;i.  L'un.i  e  l'altra  figura    si   sa  che  sono   state  rico- 

(5)  Plin.  Nal.  Hist.  XXXVI,  24.  nosciute  come  riproduzioni  dell'.4pollo  Palatino,  ma  a 

(6)  HUELSEN    in    Rovi.    Mittli.    1894    p.    238;  torto  cfr.  Savignoni  in  W«.so///«  1907,  p.  65,  nota  5. 


TRADIZIONI    CIRKXAiCHK 


Intorno  alla  fondazione  di  Cirene  abbiamo  un  esteso  e  particolareggiato  racconto  presso 
Erodoto,  che  lo  ha  co.Tiposto  combinando  e  coordinando  le  tradizioni  vigenti,  secondo  egli  dice,  a 
Sparta,  a  Tera  e  a  Cirene  sull'argomento.  I  discendenti  dei  Minii,  cacciati  dai  Pelasgi  di  Lemno, 
vennero  accolti,  secondo  lo  storico  (IV,  145),  in  grazia  della  partecipazione  dei  Tindaridi 
alla  spedizione  degli  Argonauti,  nel  territorio  della  Laconia,  e  ripartiti  in  apposite  tribù  ; 
ma,  avendo  contratto  nozze  con  donne  laconiche,  divennero  audaci,  aspirando  a  una  parte- 
cipazione al  potere  e  compiendo  azioni  malvagie.  Pertanto,  assaliti  dai  Lacedemoni  e  salvati 
in  parte  dalla  strage  per  opera  delle  loro  mogli,  figlie  dei  maggiorenti  spartani,  si  rifugia- 
rone  presso  il  Taigeto  (IV,  146).  Tera,  zio  e  tutore  di  Prode  ed  Euristene,  discendente 
di  Polinice,  volendo  abbandonare  la  patria  per  non  discendere  dalla  posizione  di  principe 
reggente  a  quella  di  suddit(j,  si  diresse  all'isola  di  Calliste,  dove  erano  i  discendenti  di 
Membliaro,  che  vi  si  erano  stanziati  otto  generazioni  prima  della  venuta  di  Tera  (W,  147). 
Prese  quindi  insieme  con  sé,  salvandoli  dall'eccidio,  una  parte  dei  Minii,  mentre  gli  altri  si 
dispersero  tra  i  Paroreati  e  i  Cauconi.  Rimase  a  Sparta  Oi'JXu/.o;,  suo  figlio,  da  cui  nacque 
Egeo,  eponimo  della  tribù  degli    Egidi  ;  egli  si  portò  a  Calliste,  che  da  lui  si  chiama  Tera. 

La  tradizione  terea  integra  acconciamente  la  laconica,  che  sembra  presupporre.  Grinno, 
figlio  di  Esameno,  discendente  di  Tera  e  sovrano  dell'isola,  va  a  Delfo  con  un'ecatomt)c  per 
consultare  l'oracolo.  Lo  seguono,  fra  gli  altri  anche  Batto,  figlio  di  Polimnesto,  che  era  della 
stirpe  di  Eufemo  minio.  La  Pizia  risponde  di  fondare  una  città  nella  Libia.  Grinno,  scu- 
sando la  sua  vecchiaia,  designa  Batto;  ma  non  fecero  alcun  conto  dell'oracolo,  non  sapendo 
dove  fos.se  la  Libia.  Però  dopo  una  siccità  settennale  es.sendo  stato  nuovamente  interrogato 
l'oracolo,  ed  avendo  questi  risp<jsto  parimenti  di  colonnizzare  la  Libia,  vi  andarono  alcuni 
e.sploratori  guidati  da  Corobio  ^IV,  151)  da  Itano.  che  lasciarono  all' isoletta  di  Platea 
(=  Bomba)  con  una  prov\ista  di  vettovaglie,  mentre  essi  tornarono  a  dare  l'annuncio  a 
Tera.  Corobio  fu  rifornito  da  navigatori  Samii,  e  questi  tornati  dall'  ilvria,  dedicarono  nel- 
l' Hreo  un  monumento  di  bronzo  di  lavorazione  argiva.  Da  allora  in  |X)i  data  l'amicizin  dei 
Cirenei  coi  Sami  (IV,  i;o-i;3). 

Qualche  divergenza  sull'origine  di  Batto  e  su  i  particolari  della  color  presenta 

la  versione  cirenaica,  registrata  anch'essa  da  Erodoto.  Batto  s;ireblH'  nato  j.i  1 

di  Etearco  re  di 'Oot^o;  in  Creta,  che,  s;ilvata  con  una  pia  frode  dall'uccisioiu  ,,.    ,. 

Temisone,  si  sposò  a  Polimnesto.  Batto,  essendo  balbuziente,  si  rtvò  all'or-uolo  |vr  guarìn-, 
ma  si  ebbe  in  risposta  di  colonizzare  la  Libia.  Batto  invece  se-  ne  ti»rnò  a  Tera,  ma  a  Tera 


—  as- 
si spcrimeiilò  l'ira  divini:  allora  egli  si  imbarca  t-  approdò  a  Platea,  dove  si  trattenne  due 
anni  (IV,  i86)(r).  L'oracolo  in  un  linjjuaggio  involuto  profetò  di  nuovo  che  si  dovessero 
recare  in  Libia,  seguendo  le  tracce  d'Apollo.  Fondarono  dirimpetto  a  Platea  la  città  di  Aziri, 
dove  si  trattennero  sei  anni,  e  nel  settimo  si  recarono  a  Irasa,  donde  vennero  alla  sorgente 
di  Apollo  (IV,   154-158). 

Nell'accenno  oscuro  dell'oracolo  «  Se  tu,  non  essendo  venuto  nella  Libia  alimentatrice 
di  pecore,  la  conosci  meglio  di  me  che  ci  sono  venut(j,  non  ammiro  la  tua  sapienza  »  si  è 
visto  un  accenno  alla  tradizione  seguita  da  Pindaro  ^Pytli.  IX,  2019).  Cirene,  la  figlia  di 
Ipseo,  nipote  di  Oceano,  padre  di  Peneo,  fu  vista  da  Apollo  mentre  lottava  con  un  leone  (2), 
e  suscitò  il  suo  amore.  Apollo  chiamò  il  centauro  Chirone  per  mostrargli  il  portento  e  doman- 
dare l'origine  della  fanciulla:  il  centauro  glie  la  rivela  e  gli  predice  che  egli  porterà  la  vergine 
nella  Libia  e  la  farà  colà  dominatrice  d'una  fiorente  città  greca,  dove  partorirebbe  un  figlio 
che  Gea  e  le  Ore  educheranno:  Aristeo,  il  dio  della  natura  rigogliosa.  La  derivazione  della 
tradizione  pindarica  delK'  '  \\'j'.x\  esiodee  è  avvertita  dallo  scoliasta  di  Pindaro  131,  e  non 
v'  è  nessuna  ragione  Ji  supporre  che  a  questo  poeta  fosse  estraneo  il  trasporto  di  Cirene 
nella  Libia.  Pertanto,  se  anche  in  Erodoto  non  ci  fosse  neanche  quell'allusione  oscura  nel 
responso  dell'oracolo  delfico,  si  dovrebbe  ammettere  che  egli  presupponesse  la  narrazione 
consacrata  nel  poema  esiodeo  e  nell'epinicio  di  PinJaro  (4).  Ma  senza  dubbio  l'origine 
della  tradizione  accolta  da  Erodoto  sull'origine  di  Cirene  è  sorta  indipendentemente  dalla 
leggenda  degli  amori  di  Apollo  con  la  ninfa  Cirene  e  dal  suo  trasporto  nella  Libia;  altri- 
menti non  ci  si  presenterebbero  come  non  tocchi  da  popolazioni  elleniche  i  pressi  della  sor- 
gente di  Apollo  (5),  dove  sorse  Cirene,  che  sono  l'ultima  mèta  delle  peregrinazioni  dei  coloni 
terei  (6),  A  Cirene  i  racconti  che  circokuano  sulle  a\'venture  della  ninfa  avevano  già  avuta 
diffusione,  ed  Erodoto  riproduce  secondo  il  suo  sistema  le  tradizioni  senza  curarsi  di  fonderle 
in   Lin'unità  organica. 

Un'altra  tradizione  presso  Erodoto  serba  le  tracce  d'un'origin;iria  indipendenza  dalla 
fondazione  di  Cirene,  mentre  presso  Pindaro  è  con  essa  strettamente  connessa.  Parlando 
Erodoto  della  sede  dei  Machl\'es,  ci  dice  che  il  loro  territorio  si  estende  sino  al  lago  Trito- 
nide,  dove  è  l'isola  di   Phla,  e  quest'isola  l'oracolo  aveva  ingiunto  ai   Lacedomoni  di  colo- 

(1)  PiNDAR,  Pv//i.,  IV,  SI).  Cfr.  DioooK,  Vili,  29       la  sorgente  Kyre  e  l'ultimo  verso  dell'oracolo  rife- 
che  dà  l'oracolo  più  completo  e  con  qualche  variante.       rito  da  Diodoro,  VII,  29,  iy''-  °^  '^^  "totiioc  A-óXXwv 

„      .  ne  sono  una   riprova. 

(2)  V.  4S-4Ì>     ''■'•/'  "''''  A'OVTt  T,')-  £'j:pap;T;i;  '^ 

•  ,',  ,  ,   .      '  (6)  Herod.,  IV,  isS.  Erodoto  non  dice  ciò  espres- 

.' s,  snmente,  ma  avrebbe  rilevato,   se  ci   fossero  stati. 

che  il  luogo  era  occupato  da  coloni  greci.  Vedi  l'ora- 

(3)  ScHOL.  arf  Pino.  Pyl/i.  IX,  6.  Hesiod,  fr.  i2q       colo   greco    Dion.,  Vili.  29,  v.  4  sq. 
(Kz.\ch).  „  .  „,  r  ••  ^        •...,.., 

(4)  Studn'iczka,  k'vreiie,  p.  40  sg.  r  ,        .  , 

^  °  ,latTOOùpot  i-'.:«3i. 

(ì)  La    denominazione    di    fonie   di  Apollo  per 


—    20   — 

nizzare  (i).  Quindi  si  affretta  a  riferire  un'altra  versione,  che  si  può  così  riassumere.  Appena 
fabbricata  la  nave  Argo,  Giasone,  postovi  dentro  un'ecatombe  e  un  trìpode  di  bronzo,  voleva 
circumnavigare  il  Peloponneso  per  recarsi  all'oracolo  delfico;  ma  giunto  presso  il  promon- 
torio Malea,  lo  sorprese  il  vento  Borea  e  lo  balestrò  sulle  coste  della  Libia.  Capitato  in 
mezzo  alle  secche  del  lago  Tìitojvì;,  gli  apparve  il  Tritone  e  gli  comandò  di  consegnargli 
il  tripode,  promettendogli  di  indicargli  la  via  d'uscita  e  rimandarlo  illeso.  Obbedendo  Gia- 
sone, il  Tritone  gli  mostrò  la  via  d'uscita  e  pose  il  tripode  nel  suo  tempio,  vaticinandogli 
che,  quando  uno  dei  discendenti  degli  Argonauti  avesse  ricuperato  il  tripode,  allora  sarebl?e 
stato  necessario  fonJare  cento  città  intorno  al  lago  Tritonide  (2). 

Pindaro  altrove  {Pylh.  IV,  21  sg.)  riferisce  la  profezia  di  Medea  sulla  colonizzazione 
della  Libia,  che  verrà  effettuata  da  un  discendente  dell'argonauta  Eufemo  dopo  diciassette 
generazioni.  Gli  Argfjnauti  debbono  portare  per  dodici  giorni  dall'oceano  attra\erso  il  lago 
Tritonide  la  nave  Argo.  Ad  essi  si  presenta  l'eroe  Euripilo  e  porge  ad  Eufemo  il  dono  ospi- 
tale d'una  zolla  :  se  Eufemo  l'avesse  deposta  presso  il  Tenaro,  il  quarto  discendente  di  lui 
avrebbe  colonizzata  la  Libia  :  essendosi  però  la  zolla  sommersa  e  portata  dalle  acque  al 
Tenaro,  la  colonizzazione  della  Libia  avrà  luogo  alla  diciassettesima  generazione  (3).  Infatti 
questa  ebbe  luogo  con  Batto  figlio  di  Polimnesto  (4). 

Confrontando  questa  versione  con  quella  d'Erodoto,  sana  a;;u  uccni  i.i  maggior  coe- 
renza della  pindarica.  Pindaro  collega  l'arrenamento  al  lago  Tritonide  con  la  futura  colo- 
nizzazione di  Cirene;  Erodoto  invece  predice  la  fondazione  di  cento  città  intorno  al  lago 
Tritonide,  che  non  si  avvera,  perchè  il  territorio  a  occidente  della  gran  Sirti  non  fu  occu- 
pato da  stabilimenti  greci.  Ma  la  stessa  incongruenza  d' Erodoto  ci  mette  in  grado  di  valutare 
il  significato  della  saga  riguardante  l'approdo  degli  Argonauti  al  lago  Tritonide.  Erodoto  mostra 
una  conoscenza  relativamente  esatta  della  zona  abitata  dalle  popolazioni  libiche:  onde  per 
mettere  il  lago  rpiTcuv{;  nel  paese  dei  Machlyes,  deve  aver  seguito  una  tradizione  senza 
dubbio  accreditata,  anche  se  non  ci  riesce  appurarne  la  fonte  donde  Erodoto  l'attinse.  Va 
senz'altro  notato  che  il  lago  prendeva  il  nome  di  TpiTwvC;  perchè  colà  si  faceva  nascere 
Atena,  e  la  nascita  d'Atena  si  poneva  proprio  in  occidente  (51.  La  colloc:u!ione  adunque  del 
lago  TpiTiovi;  dove  il  sole  tramonta,  ha  lo  stesso  significato  che  quella  di  Pilo  nella  Tri- 
glia (6)  dei  fiumi  Acheronte  e  Cocito  nell'Epiro:  .sicché  difticilmente  può  rimanere  dul>bio 
che  l'iihicaziiine  assegnata  d;i  Erodoto  al  lago  Tritonidi'  tossi.'  la  primitiva.    Si    noti  inoltre 


-  (1)  IV.   178,  tiutiiv  41   |Mv   ifflw  Aaxiiaiiiioviooi,  (4)  l*yth.  IV,   116. 

-^i'%\  X/jyiov  i'v«i  x:Ì5»i.  (^)  KosiriiiiK.  Die  (ìorgonm  unii  \'rrviinitlf.t. 

(2)  IV,  170.  p.   17  sq..  IO,  jj  sq. 

(i)  Ln  versione  ili  Amu.oNio  Kooio,  IV,  I7$5sq.)         (6)  L'Idcnlllìca/lonc  del  Pilo  omerico  con  quello 

che  ila  qiicslji  iiiia|iic  l'isola  KiUÌitt)  iipf|  r?oy,(  ilclla  Trilìll.i  è  sialo  l.iiio  il.ill  >  Alti.  Millh 

I'Moi||»<ii<.  è  cerio  mia  Iraill/.ionc  liullpcndcnic.  X.XXII,  p.iv;.  \l.  XXXIH  p.i^; 


—  30  — 

clif  Eroduto  pathi  Ji  colunizzu/ione  dii  parte  dei  Lacedemoni:  ha  voluto  alludere  ai  Terei 
coioni  dei  Lacedemoni  ?  Per  quanto  sia  pericoloso  trarre  induzioni  dall'economia  delle  storie 
d' Erodoto,  mi  sembra  improbabile  che  di  questo  vaticinio  non  avrebbe  parlato  a  suo  luogo. 
Inoltre  l' isoletta  di  Pilla,  almeno  secondo  la  mente  d'Erodoto,  non  è  Platea,  dove  approdò 
la  prima  volta  la  spedizione  dell' Eufemide  Batto.  Erodoto  qui  ci  ha  conservato  solo  un 
frammento  di  una  leggenda  .sacra,  di  cui  non  ha  visto  il  nesso  con  la  tradizione  di  cui  fu 
parte  organica.  Altrove  (V,  42)  racconta  che  Dorieo,  volendo  abbandonare  la  patria  per  non 
esser  sotto  Cleomene  (i),  si  accinse  a  una  spedizione  coloniale  senza  consultare  l'oracolo, 
e  si  portò  in  Libia,  dove  pose  la  sede  a  Kinyps:  ma  di  quivi  cacciato  dopo  due  annidai 
Macei  e  dai  Fenici,  tornò  nel  Peloponneso.  Ora  con  tutta  probabilità  la  storia  va  ricostruita 
così:  Dorieo  doveva  condursi  in  Libia:  se  giungeva  all'i.sola  di  Phia,  ci  sarebbe  rimasto: 
altrimenti  avrebbe  dovuto  cercar  altre  plaghe  da  occupare.  Non  avendo  consultato  l'oracolo, 
si  portò  a  Kinyps,  dove  naturalmente  non  potè  rimanere  (2). 

All'incontro  l'altra  tradizione  che  Erodoto  pone  accanto  a  questa  sopra  esposta  ha,  salvo 
parecchi  particolari,  molta  rassomiglianza  col  contenuto  del  vaticinio  di  Medea  nella  quarta 
pitica  di  Pindaro  (V.  30sq.ì:  «  da  quella  zona  battuta  dai  flutti  del  mare  la  figlia  di  Epafo 
genererebbe  nelle  seJi  di  Ammone  una  progenie  cara  al  genere  umano:  questi  discendenti 
cambiando  i  delfini  dalle  piccole  pinne  coi  celeri  puledri,  maneggeranno  redini  e  guideranno 
carri  dai  piedi  di  procella;  tara  sì  che  Tera  diverrà  metropoli  di  grandi  città  quell'augurio 
che  alle  bocche  della  palude  Tritonide  Eufemo  essendo  disceso  prese  da  un  dio  (3)  dalle 
sembianze  di  uonio  che  gli  dava  doni  ospitali  ».  Il  riscontro  tra  questa  parte  del  vaticinio, 
e  la  versione  erodotea,  anche  malgrado  la  divergenza,  non  potrebbe  essere  più  perfetto:  spe- 
cialmente riguardo  alla  molteplicità  delle  colonie  che  sarebbero  partite  da  quella  plaga,  giacché 
non  può  esservi  tiubbio  che  il  numero  di  cento  dato  da  Erodoto  è  iperbolico.  Ma  siccome 
intorno  al  lago  TpiTi-oyii  non  sorse  nemmeno  una  città  greca,  è  evidente  che  Erodoto  ha 

(i)  L'influsso  della  tradizione  riguardante  le  av-  (2)  Non  contraddice  a  questa  ricostruzione  il 
venture  di  Dorieo  ammessa  dal  Niese  {Hermes,  fatto  che  Dorieo  ìx  tSv  .Vaio-j  /^r.^jiCiv  dovea  colo- 
XLIl,  p.  45(1  sg.),  non  è  negata  nemmeno  dal  Maltex  nizzare  Eraclea  di  Sicilia:  giacché  questi  presup- 
(/([yrene  p.  132).  Della  figura  del  principe  spartano  vi  pongono  il  fallimento  della  colonizzazione  della 
è  un  riflesso  in  quella  stessa  dell'eroe  Tera,  il  quale,  Libia  per  non  aver  prima  consultato  l'oracolo  dei- 
come  Dorieo  abbandona  la  patria  per  non   essere  lieo. 

sotto  il  regno  dì  Cleomene,   si   decide  a  emigrare  (3)  Se  V 'jIo-.óXo:  òa;|jitov   di  Pindaro  (Pyth.  IV, 

per  non  rassegnarsi  alla  condizione  di  suddito  dei  32  sg.)sia  Aristeo,  come  vuole  lo  Studniczka  ii^y- 

suoi  pupilli.  Si  ricordi  inoltre  che  guide  di  Dorieo  rene  p.    106),    o  Euripilo.  come  vuole  il  ÌL'vlten 

furono  uomini  di  Tera  (HEuor:).  V,  42).   Ma   l'in-  (p.  1 14  sg.)  si  può  tralasciare  d'indagare.  In  ogni  modo 

flusso  della  leggenda  di  Dorieo  va  limitata  solo  a  non  consegue  che  «Eurypylos  wurzelt  also  fest  in  der 

certi  tratti  esteriori  e  superficiali  :  la  localizzazione  altesten  Schichte  der  kyrenaischen  Sage  »  (M.\lten, 

del  lago  Tritonis  tra  i  Machlyes  presisteva  al  rac-  p.   iis)-  Cfr.  Str.\b.  p.  836  che  pone  il  lago  Tri- 

contn  delle  peregrinazioni   di   Dorieo,  secondo   la  tonide  presso  Apollonia.  Vedi  del  resto  tutti  i  luoghi 

nostra  esegesi  svolta  nel  testo.  d'autori  antichi  nella  nota  a.  1.  dello  Stein  (IV,  128). 


—  31  — 

contaminata  in  questo  kiogc  la  tradizione  primitiva  con  quella  rimaneggiata  da  Pindaro  o 
dalla  sua  fonte. 

Sopra  un  punto  però  vi  era  in  tutte  le  versioni  perfetta  concordia:  la  fondazione  di 
Cirene  era  messa  in  relazione  con  la  spedizione  degli  Argonauti.  Ha  questa  relazione  signi- 
ficato etnografico? 

Fin  dal  1828  il  primo  raccoglitore  delle  notizie  intorno  a  Cirene,  il  Thrige,  aveva 
concluso  che  i  Dori,  invadendo  il  Peloponneso,  avevano  premuto  sugli  antichi  abitatori  e 
questi  si  erano  portati  a  Tera,  non  immediatamente  però:  gli  Achei  si  sarebbero  concen- 
trati ad  Amicle,  dove  si  sarebbero  portati  gli  Egidi,  riparati  ad  Amicle  dopo  l'invasione 
beotica(i).  Quivi  avrebbero  posto  la  loro  sede  i  Minii,  d'origine  tessalica,  ma  diffusi  per 
ki  Beozia,  i  quali  avrebbero  molto  prima  della  migrazione  dorica  colonizzata  Lemno,  e  da 
Lemno  sarebbero  venuti  nella  Laconia,  proprio  in  Amicle  (2).  Pertanto  i  coloni  Minii  cogli 
Egidi  sarebbero  partiti  da  Amicle  per  Tera,  e  ciò  sarebbe  confermato  dalle  testimonianze 
di  antichi  geografi  (3).  Cosi  Eufemo,  minio,  sarebbe  conosciuto  come  Taenarius,  poiché 
da  Tenaro  avrebbero  salpato  per  Tera  (4).  Coi  Minii  sarebbero  partiti  molti  Achei,  e  quindi 
Egidi  di  Beozia,  Achei  e  Minii  sarebbero  stati  gli  elementi  della  colonia  di  Tera;  e  tutti 
questi  avvenimenti  sarebbero  stati  anteriori  alla  conquista  di  Tera  per  opera  dei  Dori. 

Quanti  concetti  antiquati  si  contengano  in  questa  esegesi  del  Thrige,  non  occorre 
dimostrare:  la  migrazione  dei  Minii  di  Lemno  si  dovrebbe  ritenere  creazione  pseudostorica 
anche  se  i  Minii  fossero  —  ciò  che  non  è  —  un  popolo  storico.  Lemno  fino  alla  coloniz- 
zazione ateniese  era  abitata  da  un  popolo  barbaro,  che  non  può  in  ogni  modo  essersi  sosti- 
tuito a  un  popolo  di  nazionalità  greca  (5).  L'espressione  poetica  di  Pindaro  <jùv  Axvxoi;  (6), 
in  cui  il  Thrige  vuol  vedere  gli  Achei,  lia  lo  stesso  valore  che  l'uso  del  nome  lìritanni  per 
designare  gli  Inglesi,  e  Ausonia  per  designare  l'Italia.  Ma  ammessa  la  fragilità  di  questa 
costruzione,  rimane  sempre  il  fatto  che  Cirene  era  una  ninfa  tessalica  (7^,  e  l'accidentalità 
dell'omonimia  tra  questa  e  la  città  libica  è  sempre  diliticile  ammetteria. 

Lo  Studniczka,  dando  un'  interpretazione  più  r;izionale  alle  tradizioni,  giunge  alla  stessa 
conclusione:  che  popolazioni  eoliche  avrebbero  colonizzata  Tera,  la  metropoli  di  Cirene,  prima 
della  conquista  dorica  (8).  Nei  Fenici,  che  avrebbero  occupata  Tera  prima  dei  Minii,  egli 
vede  appunto  i  Cadmei,  cioè  i  Minii,  una  popolazione   tessalo-beotica  (Qj.  Gli  Egidi,  \eri 

(1)  lies  Cyrenensiuin,  p.  .•1-24.  I\vtli.  4  v.  47  sg.,  culus  vciba   •  aàv  .^ivaoT{  >  ad 

(2)  Ibiti.  p.  27.  Acliacos  Pclopontieslos,  quos  Dorcs  ex  scdibusclc- 
())  W.  p.  jo.  ccriiril  li.itid  dublc  spcctant  >. 

(4)  /<».  p.  3i-)2.  (7)  IbU..  p.  f,:-^». 

(5)  Cfr.  5  2C)4  ijivri»«  «YP""?"''*"";' Pcf  le  Iscrizioni  (S)  Kyn-nf  p.  53-71.  Vedi  anclie  i'.krikk  in 
di  l.cniiio  cfr.  1.1  icltcraliira  In  Hi-?>h  11  mW l-.inlfiiiiuii  Hfrmes  XI I  p.  447  che  si  (onda  in  gian  parte  «ukII 
in  dif  AlliTlliiiiiisu'issnischii/l  III,  p.  301.  colismi  dei  dialetto  di  Qrcne. 

l'^i)  //'.  p.  12- n    «  Cmn  «lulliiis   (Mlnyis)   Aclia-  (1;)  Studnic/ka.  76  p,  $8-6i. 

eofiiin  non  paiicos  cinlgfiissc,  coliij{iimu  ex   Piiid. 


T-?      

Spartani  dori,  avrcbhcro  colonizzata  Tera  dopo  l'occupazione  degli  Holi-iV\ini,  il  cui  rappre- 
sentante sarebbe  stato  Batto;  e  ciò  il  prelodato  critico  desume  da  un  oracolo  riferito  dallo 
storico  Menecle  Barceo  vissuto  nel  II  secolo  a.  C,  secondo  cui  Batto  avrebbe  abbandonato 
Pera  per  sottrarsi  ill'oppressione  dei  Dori  Hj^idi  (i).  Cosi  la  ninfa  Cirene,  che  è  l'oggettcj 
d'una  leggenda  tessalica  con  la  quale  è  complicata  an-.lie  la  persona  di  Aristeo,  non  può 
essere  la  personificazione  della  città;  ma  la  città  all'incontro  è  stata  denominata  da  lei:  e 
la  presenza  del  nome  di  Cirene  nella  Massaliotide  e  nell' Iberia  avvalora  questa  induzione  (2;. 
Il  nome  K'Jp-o  dato  alla  sorgente  presso  Cirene  ne  sarebbe  un  diminutivo  (3).  La  deriva- 
zione da  Kv'pio;  la  riavvicina  ad  Artemis  cui  soniglia  per  molti  rispetti  (41;  la  discendenza 
paterna  da  Ipseo  la  mette  in  relazione  con  Zeus  Hypatos  (5).  Le  rappresentazioni  figurate 
in  attitudine  di  Tió-rviy.  0-/;3Ò)v,  comprovano  la  sua  parentela  con  Artemisio). 

Il  più  recente  indagatore  del  mito  di  Cirene  e  delle  sue  relazioni  con  la  città,  il  Malten, 
pur  tenendo  termo  alla  nazionalità  predorica  della  popolazione  che  avrebbe  dal  Tenaro  coloniz- 
zata l'era,  metropoli  di  Cirene,  ma  vedendo  in  Batto-Aristotele  il  rappresentante  dell'ele- 
mento dorico  sovrappostosi  all'eolico  in  Cirene  (71,  ritiene  che  la  relazione  tra  la  ninfa 
Cirene-  e  la  città  vada  capovolta.  L'esistenza  della  sorgente  K'jpr,  è  attestata  da  Callimaco 
(.Id  ApoU.  n.  88)  e  da  glossatori:  la  derivazione  di  Kj;-/]-/-^  da  Iv'jpr,  è  grammaticalmente 
giusta  e  suffragata  da  numerose  analogie  (8),  mentre  ha  il  riscontro  del  nome  preelle- 
nico della  fonte  '  A;tz/.Ì7.  nella  Propontide,  dove  sorse  Cizico.  La  difficoltà  delle  omonimie 
si  rimuove,  potendosi  dimostrare  che  queste  sono  do\'ute  a  corruttela  del  testo,  di  data 
certo  antica,  se  con  la  lezione  falsa  lo  consultò  Stefano  Bizantino  (9).  Cirene  non  è  una  dea 
da  potei-si  identificare  con  Aitemis:  la  sua  lotta  col  leone  non  rivela  nessun  sostrato  mitico, 
ma  rispecchia  le  reali  battaglie  che  i  I-ibi  avevano  a  sostenere  con  quest'animale  (io).  Né 
Aristeo,  né  Atteone  sono  organicamente  connessi  con  Cirene,  ma  sono  miti  tra  loro  indi- 
pendenti, l'opera  d'un  poeta  esiodeo  li  collegò,  trasportando  in  Tessaglia  la  ninfa  e  il  leone, 
dove  Apollo  era  inJigeno  nelle  antiche  saghe.  Così  Aristeo,  l'antico  pastore  ceo-tessalico 
divenne  suo  figlio,  e  Atteone  tiglio  di  Aristeo;  ma  Cirene  serb")  malgrado  il  trasporto  in 
Tessaglia  la  fisonomia  di  dea  simholeggiatrice  della  nuova  città  africana. 

Queste  esegesi  hanno  tutte  un  vizio  costituzionale:  voler  cercare  un  significato  re- 
condito nei  miti,  dimenticando  che  essi  hanno    origine    molto  modeste  e  la  loro    localizza- 

(i)  Tb.  p.   101103.  Per  la  versione  dello  storico  (6)  ìb.  p.  1,3-165. 

Menecle  cfr.  F.  H.  G.  IV  p.  44<).  Schei,  ad  Pixd.  {7)  Kyrene.  p.  151. 

Pyth.  IV,  10.  (8)  Ib.  p.  69. 

(2)  Ibid.  p.  135.  Cfr.  Steph.  Kjfr,vr|-  -óÀt;  At-  (9)  Che  Stef.\.\o   leggesse  in  testi  già  scorretti 

'}'->T,t  i~ò  Kjpr|Vr,;  -.ì^    fiioi;  f^   K'J,''',?   "l'lT^s  h'/.'"'  basta  provarlo  il  Wr,Y<óv.'jv  invece  di  '-^r-ilmo-i  nel- 

-J.oj.  s^Ti  5:  ■/.»(  'I,jr,s'-x;  y.y.':  .M:x332Xi:x;  SXAr^.  l' iscrizione  di  Sotero.  Cfr.  Keil,  Hermes  XXXIV, 

(;)  Ibicì.  p.   14;.  p.   IQ2. 

(4)  Ibid.  p.   151.  (io)  Ib.  p.  77-94- 

(5)  Ibid.  p.   145  sg. 


—  33  — 

zione  in  determinate  regioni  rivela  tutt'al  più  l'ampliamento  dell'orizzonte  geografico  dei 
Greci.  Perciiè  Diomede  si  sarebbe  stanziato  ad  Argirippa?  (ij.  Qui  noi  vediamo  chiara 
l'origine  etimologica,  o  per  meglio  dire  paretimologica,  del  mito  nella  somiglianza  di  suono 
tra 'Apyo;  i--'.ov  e  Argirippa:  dove  non  è  evidente,  come  ns^lla  combinazione,  secondo  la 
quale  Catillo,  fondatore  di  Tibur,  fu  dato  come  figlio  di  Amfiarao  (2),  possiamo  supporre 
un  processo  analogo,  anche  se  difficilmente  appurabile.  Similmente,  essendosi  fatti  passeg- 
giare gli  Argonauti  pel  mare  libico,  1'  origine  delle  colonie  greche  nella  Cirenaica  era  no- 
bilitata con  la  connessione  di  esse  con  eroi  Argonauti.  Ma  nel  litorale  libico  era  localizzato  il 
lago  dove  era  nata  Atena  '  \-rp'jTo>vr,  ;  non  si  richiedeva  una  vigorosa  immaginazione  per 
trasportare  i  signori  Argonauti  fino  al  lago  Tritonide;  quando  poi  ci  fu  bisogno  di  congiun- 
gere il  viaggio  degli  Argonauti  con  l'origine  di  Cirene,  era  facile  spostare  il  lago  Tritonide 
dal  paese  dei  Machlyes  nella  Cirenaica.  La  dinastia  di  Cirene  era  denominata  da  Batto  (3), 
non  da  Eufemo  :  il  che  mostra  che  i  Battiadi  stanno  ad  Eufemo,  come  gli  Agiadi  di  Sparta 
ad  Euristene  e  gli  Euripontidi  a  Procle.  Perchè  proprio  Eufemo  (41  fosse  scelto  a  caposti- 
pite della  dinastia  cirenaica,  rimane  oscuro  (5);  ma  di  combinazioni  analoghe  è  piena 
tutta  la  pseudostoria  greca.  Ammessa  la  connessione  degli  Argonauti  con  l'origine  di  Ci- 
rene, ed  essendo  Sparta  in  ultima  istanza  la  metropoli  di  essa,  con  un  po'  di  buona  vo- 
lontà si  potevano  riconoscere  nei  coloni  di  Tera  e  quindi  di  Cirene  non  solo  i  Dori,  ma 
anche  i  discendenti  dei   Mini  che  avevano  preso  parte  alla  spedizione  Argonautica  (6». 

Da  Erodoto  stesso  (IV    145)  apprendiamo  che  i   Mini  erano  localizzati  nella   Trifilia,  e 
forse  ciò  in  omaggio  alla  pretesa  esistenza  di  un   fiume    Mivj-/-.o;    tra    l'Alfeo  e  Pilo   (7). 


(i)  V'ergu..  XI,  Aen.  245,  Vidimus,  o  civcs  Dio- 
iiicdciTi  Argivaqiic  c;istr.i 

2'IC  lllc  urbcin  Argyripam  patriac  cognominc  gcntis 
Victor  Gargani  condcbat  Japygis  arvis. 

(2)  Verc.ii..  Aen.  VII,  672;  Horat.  Carm.  I,  i8,  2. 

OVID.    Mei.    XIV,    4S7.   I.YCOPIIR,  S(J2  sg. 

(3)  È  strano  clic  Ballo  I.  (Studn  p.  c)6)  venga 
trattato  carne  personaggio  storico,  mentre  la  equi- 
valenza della  |)nrola  Halto  al  greco  Itiat)^:;; 
(Hkrod.  IV.  ir>5),  la  mancanza  di  notizie  positive 
sul  regno  di  ipicsto  ecista  in  contrasto  col  lungo 
regno  di  costili,  basterebbero  ad  Ingenerare  d  so- 
spetto sulla  sua  slorlcitii.  l'orsc  neanche  Arce- 
sllao  I.  è  IMI  personaggio  storico,  o  almeno  non 
è  storico  II  posto  die  gli  si  assegna.  I.a  denomi- 
nazione di  '.\pi7Tot;Xin  che  a  Hallo  assegna  Pin- 
t>vnn  {/'ytli.  V,  87)  e  chi  da  lui  ntllnge.  è  ignota 
ad  lirodolo;  Il  padre  di  Halto,  ll'iXJjiyr.-ito;,  ì; 
probabilmente  anch'esso  ratlrlbiito  di  qualche  di- 
vliilt.Woine  IV ■^t,ii',;.  Il  rattrappimento  ra/ioiialÌNlic<' 


della  leggenda  divulgala  dallo  storico  barceo  .Me- 
necic  non  dovea  dallo  Sri  dniczka  esser  preso  sul 
serio:  somiglia  troppo  alla  deformazione  della  tra- 
dizione crodotea  sulla  migrazione  di  Tirreno  dalla 
Lidia  fatta  da  Ti\ii:i>,  che  la  spiega  come  un  effetto 
delle  discordie   intestine  (Ticrtill.  De  Spect.   s). 

(4)  Per  7a'h  K!ior,|io«  Cfr.  in  Pavly-Wissowa. 
VI.   I,  p.    1168. 

(s)  Pel  nostro  assunto  stimo  assolutamente  inu- 
tile la  questione  sull'origine  degli  Egidl.  che  non 
avevano  nulla  a  vedere  nò  con  la  Beozia  nò  con 
Atene.  Se  in  Tebe  vi  era  una  fratria  di  .\-"»«(ò»i. 
e  in  Alene  T.geo  era  ritenuto  padre  di  Teseo,  si 
tratta  di  omonimie  dovute  alla  diffusione  del  culli, 
p.  e.  di  Posidone. 

(6)  IIkrod.    IV,    14;.    r.utv  U   toù«    iisTÌ>i(.  Si 
vede  In  queste  parole  un'allusi"         ;'    ' 
luce,  che  avrcbbcrn  preso  patte 
Argonauti. 

Schol    .1.1    \ 


iiiMtHiu  •  Anni)  VI 


-  34  — 

Siccome  l'epos  omerico  (Il  468;  'I  747)  j/ià  poneva  gli  Arjjonauti  a  Lemno,  era  naturale  che 
Hrodoto  li  facesse  >;iunnere  di  qui,  contaminando  (forse  seguendo  un'altra  fonte)  questa  tradizione 
con  quella  della  mij»razione  dei  Pelassi  a  Lemno.  Erodoto  riferisce  che  venuti  da  Lemno  i 
Minii  si  fermarono  presso  il  Taigeto:  quantunque  tralasci  di  significare  il  luogo  di  sbocco, 
si  può  presumere  che  questo  fosse  la  punta  del  Tenaro(i).  I  Minii  dunque  si  fecero  partire 
donde  erano  approdati  ;  ma  così  ci  rendiamo  conto  solo  della  presunta  venuta  dei  Minii  nel 
Peloponneso,  non  gi;\  della  loro  partecipazione  alla  spedizione  coloniale  di  Tera.  Questa  poi 
viene  spiegata  col  fatto  che  Tera,  l'eponimo  dell'isola  era  stato  inquadrato  nella  geneologia 
che  si  presumeva  mettesse  capo  ai  Labdacidi  (2),  sicché  ad  un  discendente  dei  Cadmei 
era  facile  dare  come  compagni  della  spedizione  i  fratelli  Minii  (3). 

Va  ricordato  che  a  Tera  si  parlava  un  dialetto  dorico  (4);  se  all'incontro  a  Cirene  troviamo 
qualche  eolismo  nelle  poche  iscrizioni  rimasteci  e  negli  inni  di  Callimaco,  va  ricordato  che 
nella  prima  metà  del  secolo  sesto  per  il  numeroso  concorso  di  elementi  di  altre  stirpi 
greche  (5)  Cirene  aveva  cessato  di  essere  una  città  schiettamente  dorica.  Demonatte  di 
Mantinea  iHeroJ.  VII,  lOi)  divise  la  variopinta  popolazione  in  tre  tribù,  una  dei  Terei  coi  loro 
perieci,  l'altra  dei  Cretesi  e  dei  Peloponnesi,  l'altra  degli  isolani.  Tra  i  Peloponnesi  poteva 
essere  ben  rappresentato  anche  l'elemento  arcadico  (6),  che  potrebbe  aver  trovato  la 
via  del    mare  come  ora   la  trovano  anche   i  montanari   d'  Italia   per  emigrare  in  America  ; 


(  1  )  La  relazione  di  EIÌ-^tjjjlo:  col  Tenaro  è  do- 
vuta alla  sua  natura  di  divinità  infera.  Si  ricordi  clie 
Minyas  era  il  padre  di  Persefone.  (Phertìcyd,  fr.  56 
=  Schol.  ad  1  289  in  FHG,  I,  p.  86.  La  lezione 
è  .Mioj,  ma  è  certo  corrotta,  e  già  I'Hryne  corresse 
in  M'.vuou.  Cfr.  Paus.,  IV.  33,  7,  in  cui  è  attestato 
che  tì  h  Tr.v  .Mivjiòa  ir.r,  contenevano  la  punizione 
di  Tamiri  per  la  sua  iattanza  verso  le  muse).  Non 
è  improbabile  che  Minyas  avesse  un  culto  nel  Te- 
naro: la  presenza  dei  Minii  in  questo  promontorio 
potrebbe  essere  anteriore  alla  leggenda  riferita  da 
Erodoto,  e  questa  circostanza  potrebbe  aver  dato 
lo  spunto  alla  combinazione. 

(2)  Il  Polinice  di  questa  genealogia  o  era  indi- 
pendente dal  Polinice  lìglio  di  lidipo,  0  la  sua  fun- 
zione di  membro  della  famiglia  dei  Labdacidi  è 
secondaria  (Cfr.  Studniczk.\,  p.  29). 

(3)  Tutte  le  combinazioni  dello  Studniczka 
(p.  55)  per  dimostrare  che  ai  Fenici  a  Tera  bi- 
sogna sostituire  i  Cadmei  di  Tebe,  non  sono  per- 
suasive. Membliaro  era  ritenuto  un  discendente  di 
Cadmo:  ma  Cadmo  non  era  mito  esclusivamente 
tebano. 


(4)  Vedi  Sammlung  ci.  Dial.-lnschriften,  III,  2, 
pag.   194  sg. 

(5)  Hkrod.  IV,  149.  Per  il  tempo,  si  ricordi  che 
Batto  II  combattè  contro  il  re  Apries,  il  cui  regno 
fini  nel  574. 

(6)  Cfr.  Mai.tex,  o.  c.  p.  142-146.  Egli  giunge 
alla  conclusione  che  1'  -<.  invece  del  ■/  nelle  forme 
eoliche  (ivr.zotaiv  invece  di  jvr/.  ,v3av)  non  auto- 
rizza a  derivarle  da  nessun  paese  della  metro- 
poli, ma  che  rappresentino  come  a  Lesbo  una  fase 
nell'evoluzione  linguistica,  in  cui  il  dialetto  cire- 
naico si  è  incontrato  col  lesbico.  Così  niente  vieta, 
se  queste  forme  sono  desunte  del  patrimonio  dia- 
lettale della  Cirenaica,  come  vuole  il  Wilamowitz 
{Textgeschklite  der  Bukol.  p.  26  sg.)  supporre  la 
provenienza  arcadica  della  parte  di  popolazione 
presso  cui  erano  in  uso.  Ma  le  iscrizioni  nelle  quali 
si  trovano  sono  tanto  recenti,  taluna  persino  del- 
l'epoca imperiale,  che  non  è  escluso  il  sospetto 
della  loro  provenienza  letteraria  ;  Callimaco  nel  suo 
eccletismo  dialettale  può  aver  desunte  queste  forme 
dal  dialetto  lesbico,  e  dalle  sue  poesie  possono  esser 
passate  nell'uso  corrente. 


-35  - 

e  forse  non  è  privo  di  significato  che  proprio  un  arcade  fi)  fosse  chiamato  a  ristaurare  la 
costituzione  delia  nuova  città  sotto  il  terzo  Batto.  Senza  dubbio  la  presenza  di  elementi  eolici 
nel  dialetto  cireneo  rimane  sempre  un  problema;  ma  la  soluzione  di  esso  escogitata  col 
supporre  stratificazioni  eoliche  prima  della  venuta  degli  emigranti  terei  ne  pone  di  nuovi 
e  più  gravi  (2),  perchè  la  tradizione  per  questo  riguardo  attendibile  ci  presenta  i  Terei  in 
lotta  solo  con  l'elemento  libico. 

Senza  dubbio  non  sarebbe  facilmente  debellata  la  tesi  della  preesistenza  di  elementi 
eolici  in  Cirene,  se  veramente  il  nome  della  città  derivasse  da  quella  della  ninfa  di  Tes- 
saglia, come  vuole  lo  Studniczka.  L'esempio  non  sarebbe  isolato,  perchè  il  nome  di  Heìena 
dato  all'isoletta  di  Macronisi  presso  il  Sunio,  deriva  certo  da  quello  di  una  divinità,  e 
quasi  di  certo  anche  quello  di  Pirra  dato  alla  città  tessala  e  a  quella  di  Lesbo:  ma  l'e- 
segesi delio  Studniczka  viene  molto  scossa  con  l'eliminazione  degli  omonimi  della  Cirene 
libica,  e  con  la  dimostrazione  che  il  nome  K>j3-/jv/i  è  una  regolare  derivazione  dal  nome 
della  sorgente  Ki»p-/).  Pertanto,  sarebbe  necessario  per  ammettere  la  dipendenza  del  nome 
della  città  da  quella  della  ninfa,  supporre  che  esistesse  un'altra  sorgente  K-Jp-zj  in  Tes- 
saglia, e  che  0  direttamente  dalla  Tessaglia  0  attraverso  la  Laconia  e  Tera  fosse  stato 
trasportato  nella  Libia;  ma  ognun  vede  quanto  sia  improbabile  questa  peregrinazione  del 
nome  di  una  sorgente  insignificante,  come  sarebbe  dovuta  essere  una  di  cui  non  è  serbata 
alcuna  traccia  nella  tradizione.  Vero  è  che  gli  eponimi  sono  figure  esili  e  scialbe,  ma  ciò 
si  avvera  solo  quando  sono  creazioni  della  poesia  genealogica  per  spiegare  origini  di  po- 
poli ;  acquistano  invece  colore  e  vita  quando  di  essi  si  impadronisce  la  saga  popolare. 
Inoltre  Cirene  non  sarebbe  rigorosamente  un  eponimo  della  città:  ì  Greci  approdati  nella 
Libia  avrebbero  chiamata  fonte  di  Apollo  la  sorgente  Ku'py),  e  la  ninfa  Cirene  avrebtv 
potuto  preesistere  cosi  a  quella  della  città,  facendosene  subito  la  sposa  d'Apollo  (?). 

La  connessione  con  Apollo  ha  fatto  si  che  fosse  trasportata  in  Grecia  in  un  luogo 
dove  fioriva  il  culto  d'Apollo,  ed  essendo  in  origine  concepita  come  ninfa,  fu  messa  in 
connessione  con  una  divinità  fiuviale'(4).  La  concezione  originaria  è  che  fosse  figlia  del  fiume 
Penco  :  e  poscia  per  ragioni  a  noi  ignote,  tra  il  dio  Peneo  e  Cirene  fu  interpolato  il 
lapite  Ipseo,  l-  questa  fu  la  tradizione  accolta  da  Pindaro;  ma  è  evidente  che  lo  storico 
Acesandrii   di   Cirene  (Schol.  ad   P\th.  IX,    27)   non   avrebbe   mai   pensato   a   impugnare 


(1)  i'.U    S\\\^  \t\  //crmrs  \\\,  .\i)i-.\\.\  il  (|ii.ilc  ip   I'inovr.    /V//i.    IV,         .            >    'AsiXX»,»-);, 

"trovn  limi    conferii^    dcll'csistcn/ii   di    un    miltll"  lli:m>i>.  IV,  isS  «ji'.vr,»  Xiv                  ■    'A:; AXwvo;, 

clcinciiti)  nrradlco  a  Cirene  nviriifllclo  conforilo  n  (4)  f-  cnrattcrlsllc»   la   confusione   di  nicMere  II 

ncinon.ilte  di  Mantinoii   di   m:ji:ii:r,;  coslltuzio-  Penco   nella   rUollde  dlisini».  Ir.   ij8).  .SI  «plejj.i 

naie,  e  rlpole  (laU'Arcadl.i  II  cullo  ili  Z"i;  A'jxsto;  In  un  pnela  nallvo  di  qu.ilchc  colonia,  che  si  lasciò 

(ILiKoi).  IV,  io))-  Injiannare  dalla  relazione  di  Cirene  con  Chlronc,  Il 

(j)  ('.i:iuKi:  da  Ihrmrs  XI. I.  |>.    11     >>;  ptecellofc  di  Achille. 


-  36- 

qucst;i  versiont',  se  non  ne  avesse  trovata  un'altra  parallela  (i).  Che  quest'ultima  fosse 
hi  primitiva,  risulta  evidente  dalla  sua  maggiore  semplicità;  a  quel  modo  che  anche  igno- 
rando la  lunga  lista  dei  re  albani  e  il  motivo  della  loro  interposizione  tra  Enea  e  Romolo, 
sarebbe  saltata  agli  occhi  la  maggiore  arcaicità  della  tradizione  che  faceva  di  Romolo  un 
figlio  o  un  nipote  diretto  d'Enea.  Quando  Cirene  fu  trasportata  in  Tessaglia  e  fu  colà 
fatta  sposa  d'Apollo,  le  si  diede  come  figlio  Aristeo,  che  veniva  ritenuto  figlio  d'Apollo 
(Theog.  977  PaO'jyxiT/;;);  e  conseguentemente  venne  fatto  migrare  in  Libia,  insieme  con 
la  madre. 

Veniamo  ora  alla  questione  concernente  l'epoca  della  fondazione  di  Cirene.  Abbiamo 
di  essa  diverse  date,  che  vanno  dal  7Ó2  al  6 1 1 ,  attestata  da  Teofrasto  ( ///j/w.  Planlarum, 
Vi,  3,3)  (2).  Ma  quella  più  accreditata  è  l'eusebiana,  631.  Neanche  questa  data  però  può 
pretendere  ad  un'esattezza  assoluta,  perchè  essa  è  ricavata  dal  sincronismo  di  Batto  li  col  re 
Apries  d'Egitto.  Siccome  il  regno  di  quest'ultimo  si  termina  intorno  al  570  (3),  sommando 
i  40  anni  del  primo  Batto  con  i  16  di  Arcesilao  I,  si  giunge  al  631,  qualora  il  regno  di 
Batto  11  si  fosse  fatti)  cuminciare  nel  575  (4).  Ma  da  Erodoto  non  si  ricava  punto  che 
il  rincalzo  di  coloni  greci  da  varie  parti  fosse  avvenuto  proprio  al  principio  del  regno  di 
Batto  li.  Non  si  può  però  ricavare  il  contrario  dal  fatto  che  Erodoto  menziona  subito  dopo 
la  sconfitta  del  re  Apries  l'avvenimento  al  trono  di  Arcesilao  II;  e  nemmeno  a  prima 
vista  è  dimostrabile  che  Enidoto  faccia  corrispondere  la  durata  degli  otto  re  di  Cirene  a  otto 
intere  generazioni,  giacché  Arcesilao  11  sarebbe  morto  di  morte  violenta  e,  sembra,  prema- 
turamente, poiché  lasciò  il  figlio  Batto  il  zoppo  minorenne  (5).  Oltracciò  Arcesilao  II  re- 
gnava al  tempo  dell'invasione  di  Cambise  in  Egitto  (^525  a.  Ch.i;  quindi  se  anche  Batto  II 
fosse  morto  immediatamente  dopo  Apries,  e  calcolassimo  l'avvento  al  trono  di  Arcesilao  III 
intorno  al  550,  avremmo  per  la  durata  complessiva  del  regno  di  Arcesilao  II  e  Batto  III  al 
più  quarant'anni,  somma  che  forse  \'a  stremata  piuttostochè  accresciuta.  Ora  se  la  mo- 
narchia in  Cirene  è  caduta  poco  prima  del  450,  e  Batto  IV  è  salito  al  trono  intorno  al 
510,  avremo  circa  sessantanni,  forse  55  per  la  durata  del  regno  dei  due  ultimi  Batciadi. 
Non  si  va  molto  lungi  dal  vero,  ammettendo  che  secondo  Erodoto  la  durata  della  monar- 
chia in  Cirene  si  prolungasse  per  lo  spazio  di  duecento  anni,  quanti  ne  dà  l'autore  della 
introduzione  alla  quarta  pitica  di  Pindaro,  poiché  dai  calcoli  fatti  la  media  di  ciascun  re- 


(1)  Cfr.    Vero.    Georg.    IV,    ;^^.    Vedi    Stud-  (51  hi.  p.   190. 

.NiczKA  p.  44,  che  chiama   la    tradizione   secondo  (4)  Questa  data  non  si  trova  nella  nostra  tradizio- 

cui    Cirene    era    liglia   di    Peneo    un'  Abiindening.  ne,  ma  niente  di  impossibile  che  presso  Acesandro 

mentre  si  dovrebbe  tener  presente  che  non  sempre  o  presso  Menecle  venisse  indicato  che  la  caduta  del 

le  tradizioni  quali  sono  stereotipate  nelle  fonti  più  re  Apries  avvenne  nel  5°  o  ó"  anno  del  regno  di 

antiche,  sono  le  più  arcaiche.  Batto  11. 

(2)  Vedi  Malten  o.  c.   igo-195.  (5)  Herod.  IV,   161;  Plut.  Mor.  p.  360. 


—   37  — 

gno  avrà  corrisposto  a  circa  venticinque  anni:    sicché  Erodoto  potrebbe  aver   posta  la  fon- 
dazione di  Cirene  poco  prima  del  650,  se  a  ragione  o  a  torto  è  un'altra  questione. 

Tuttavia  la  presunta  data  eroJotea  non  può  essere  troppo  innalzata,  perchè  è  ben  diffi- 
cile che  ai  principio  del  regno  di  Psammetico  (HerOD.  II,  1 521,  cioè  intorno  al  670,  Cirene 
fosse  stata  fondata.  Erodoto  infatti  parla  di  pirati  ioni  e  cari  chi  si  crani  recati  in  Egitto 
a  scopo  di  preda  (-4  tx  Xy)t-/)v),  del  cui  aiuto  Psammetico  si  valse  per  ridurre  nuovamente  ad 
unità  tutto  l'Egitto.  Le  scorrerie  piratesche  precedono  non  di  rado  gli  stabilimenti  coloniali  ; 
e  come  i  doni  e  i  Cari  si  recavano  ad  infestare  le  coste  dell'  Egitto,  così  gli  isolani  dell  e 
Cicladi  e  i  Cretesi  visitavano  anch'essi  come  corsari  le  coste  della  Libia  dirimpetto,  inoltre 
se  Cirene  avesse  già  avuto  un  nucleo  greco,  fin  d' allora,  non  al  tempo  del  cosi  detto 
Batto  11  sarebbero  state  attratte  nella  nuova  colonia  altre  popolazioni  miste.  Il  che  a  dir 
vero  non  si  può  dimostrare  perentoriamente  che  non  sia  avvenuto;  ma  bisogna  pur  rico- 
noscerne l'improbabilità,  (i). 

D'altra  parte  la  data  di  Erodoto  non  può  essere  molto  abbassata.  La  fondazione  di  Ci- 
rene sarà  stata  preceduta  da  incursioni  piratesche  e  da  tentativi  graduali  d' occupazione, 
prima  quella  della  penisola  di  Platea;  ma  è  naturale  che  quivi  non  possono  essersi  mollo 
trattenuti,  e  la  durata  di  due  anni  del  soggiorno  a  Platea  e  sei  anni  ad  Aziri  assegnatale 
dalla  tradizione  non  va  considerata  come  troppo  breve.  Si  è  invocato  come  teriniims  posi 
quelli  l'ultima  delle  sette  vittorie  olimpiche  (PauS.  IV,  14,3)  riportate  da  Chionide  Lacede- 
monio,  il  quale  avrebbe  partecipato  col  tereo  Batto  alla  fondazione  di  Cirene:  la  prima 
vittoria  sarebbe  caluta  nel  668.  Infatti  se  le  vittorie  fossero  state  consecutive,  l'ultima 
sarebbe  caduta  nel  64Ó:  ma  è  verosimile  che  vi  sia  stato  qualche  intervallo,  e  quindi  per 
l'ultima  vittoria  occorre  scendere  al  disotto  del  640.  Ma  sull'autenticità  della  lista  degli 
Olimpionici  nel  secolo  VII  non  c'era  neanche  nell'antichit'i  una  supina  acquiescienz.»:  anche 
Plutarco  che  era  d'un  senso  critico  molto  contentabile,  accogliendo  come  autentica  la  sto- 
riella dell'  incontro  di  Solone  con  Creso,  perchè  nelle  discrepanze  dei  calcoli  crunolugici 
preferiva  credere  a  un  racconto  in  perfetta  armonia  col  carattere  di  Solone  (Sol.  27),  si 
mostra  soverchiamente  scettico  riguardo  ai  risultati  dei  calcoli  d' Ippia  di  Elide.  La  fede 
in  essi  è  stata  [vii  iiì  i.|ui'sti  ulliiiii  anni  seriamente  scossa  (2),  sicché  è  pericoloso  pigliare 
le  vittorie  olimpiche  di  questo  periodo  come  cardine  cronologico.  Ma  quel  che  è  peggio, 
non  risultava  da  nessun  documento  la  partecipazione  di  Chionide  alla  coloni/./azione  di 
Cirene;  bensì  era  solo  una  tradizione  vaga,  di  cui  non  s;ipremmo  assegnare  l.i  origine 
(.1)11    li-   scarse  notizie  che  ahhiamn,  ma  che  non  cessa   per  questo  di  e.s,sere  inconsistente. 

y\)  \.:\  cri'iinliij;!.!  ili  Diuiiiikii  iMII,  p.  .'liCSK.)  iiiiMiii-  priil).ibllo  clic  Diod«>ko  ne  dbbla  sc^uiU  la 

e  mollo  i\\\.\,  Iginio  ò  vuru  cliv  In  vcmuiIìi  di  I  )imi)o-  croniilu|'|j. 

Milite  ili  Mniilliicii  (p.  J02)  è  narratii  priinn  del  rollio  (j)  C(r.    Kokth  In  Hrnnrx.   XXXIX.  p.  m  »g, 

ili   niniiilnlo  Prisco  (p.   in.  Se  l.i  sostiinz.1  del  r;ic-  spcc.  ììo. 
conio  di  DioDoKK  dipende  dn  ICi'uko,  non  è  cgd.il- 


-se- 
dai momento  clit-  l'eroe  con  cui  era  associata  la  spedizione  era  un  personaggio  mito- 
logico (i).  Solo  questo  siamo  in  grado  di  argomentare:  il  regno  di  Batto  I  e  di  Arcesilao  I 
rappresentano  quel  periodo  oscuro  della  storia  di  Cirene  che  si  è  riempito  con  due  figure 
posticce,  ma  che  in  realtà  corrisponde  al  lento  processo  di  formazione  dello  stato  cirenaico, 
in  cui  si  potè  giungere  alla  fondazione  di  una  dinastia  sorta  da  una  stirpe  che  aveva 
acquistata  autorità  e  prestigio  presso  i  coUmi. 

Vincenzo  Costanzi. 

(i)  Abbiamo  già  visto   clie  secondo   l'esplicita  proprio,  questo  nome  si    deve    ritenere   penetrato 

testimonianza  d'IiuoDoro,  ìììt-oì  era  la  designa-  in  Grecia  sotto  l' inflcisso  dei  Fiatti  cirenei;  a  quel 

zione  libica  equivalente  al  greco  [iatuXvji.   Perciò,  modo  che  un  figlio  del  Cipselide  Gorgo  corinzio 

se  in  Coiinto  ('I'lIl'^^■I),  IV,  43)  Batto  era  un  nome  si  cliianiava  Psamuietico. 


SUPPI.lfMENTO  a  pag.   34  n.    i. 

Per  squisita  cortesia  del  mio  amico  dott.  Luigi  n.  i),  in  base    al    seguente   luogo    di   Pausania, 

Pareti  avendo  potuto  consultare  le  bozze  d'una  purtroppo  corrotto  :  III  20,5:  TaXsToìi  òì  tó  (utsiSj 

parte  dei  suoi    Axztovizi  in  corso   di    stampa,  ho  zai  HJóo»  tìiipa;  òvotià^ovis;  Arjw  ^aaiv  ir.h  tiT.v 

notato  ch'egli  non  sarebbe  alieno  dallo  spiegare  la  TaOY^oy   *■**   AT,[ir,-poc   :;:ixXr|3iv   'EXeus  via;   h-''-i 

tappa  dei  Minii  sul  Taigelo  col  fatto  che  quivi  sa-  Uoóv.  La  congettura  è  seducente,  ma  occorre  me- 

rebbe  esistita  una  località  denominata  i->j;^ai  (p.  ig,  dilarla  con  la  dovuta  ponderatezza. 


N OT  E    A  R  C  1 1 1-:0  LOG I C  n  E 


SUL 


•  LA11\  Ai    \(J\  \  Al  .. 


Aqvae  Vhscinae 

In  una  bella  gita  nella  bassa  valle  del  Liri,  fatta  nel  settembre  dell'anno  passato, 
in  compagnia  del  mio  amico  Pietro  Fedele,  rinvenni  un'epigrafe  inedita  e  la  trascrissi. 
Ora  giudico  bene  comunicarla  agli  studiosi,  come  non  priva  d'interesse  per  la  topografia 
della  regione. 


^''tuATIa 


M  OfV  r/       ANi 


li—4ta. 


Viv-   I    —  Srhiiiii  .Inllj  t>j^vj   \  AUf  .lei   riti. 


L'epigrafe  fu  rinvenuta,  ed  esiste  tuttora,  nello  stabilimento  termale*  Uuratorre,  in  con- 
trada S.  Antonio,  pre.sso  il  villaggio  di  Sujo,  frazione  del  comune  di  C;u.telforte,  in  pri>- 
vincia  di  Caserta  ((ig.  i).  Casfelforte  si  trova  sulla  linea  ferroviaria  che  unisce  S|>jiranis«.- 
a  (ìaeta,  a  .*"  i-i"     la  >.iues(a  iill."i. 


—  40  — 

Il  kiojio  è  assai  belio,  perchè,  passata  la  pittoresca  stretta  Ji  Pontecorvo,  il  Liri,  dive- 
lluto ormai  Garigliano,  si  addentra  in  una  strettissima  valle  tra  il  massiccio  vulcanico  e 
selvoso  della  Rocca  Montina,  a  sinistra,  e  le  pendici  calcaree  delle  ultime  propaggini,  verso 
scirocco,  dei  Monti  Ausoni.  Tra  questi  monti  resta  una  vera  spaccatura,  già  infestata  dalle 
eruzioni  della  Rocca  Montina  (i),  attraverso  la  quale  il  fiume  si  aprì  la  via  al  mare,  dive- 


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Fig.   ^    —   la  \aile  Jel   Uariyliano  a  Sujo  (S.  Antuiìioi. 

nendo  anzi,  per  la  strettezza  del  letto  e  la  considere\ole  copia  delle  acque,  molto  profondo, 
e  assumendo,  per  il  pendìo  assai  notevole,  il  carattere  di  una  vera  rapida,  nella  discesa 
\eloce  al   Tirreno,  da  cui  dista  ormai  solo  pochi  chilometri. 

Il   punto  —  uno  dei   pii^i  caratteristici  del   Latiiim  noium  ^fig.  2    —  è  ancora  tutto  co- 
perto di  selve  e  quasi  disabitato;    il   fiume  naturalmente  domina  tutta    la  scena  ed  è  ben 


(i)  Il  nome  del  vulcano  nei  tempi  antichi  è  ignoto.       a.  C.  (Oros.  Hist.  IV,  4.  4)-  Clr.  Xissen,  Hai. 
L'ultiina  eruzione,  di  tre  giorni,  avvenne  nel  269       Landcsk.   I,  p.  262  e  266. 


—  41  - 

lungi  dal  meritare  l'appellativo  di  tacilumiis,  suggerito  a   Orazio  (i)  dal   suo  aspetto  alla 
foce,  là  dove  lo  traversa  l'Appia. 

In  questo  luogo,  proprio  a  una  svolta  del  corso,  alla  Scafa  di  Mortola,  il  Garigliano, 
da  una  direzione  verso  scirocco  ne  prende  una  perfettamente  a  libeccio:  là,  sulle  due 
sponde,  ma  specialmente  sulla  destra,  per  un  tratto  di  circa  quattro  chilometri,  sorge  dalla 
montagna  una  grandissima  copia  di  acque  minerali,  che,  cominciando  da  una  sulfurea  alla 
Moia  di  Salomone,  scendono  al  fiume,  termali  le  une,  fredde  le  altre,  tutte  diverse,  con 
una  mirabile  varietà  di  composizione  chimica.  A  destra  si  è  detto  essere  il  luogo  in  comune 
di  Castelforte,  a  sinistra  è  in  quello  di  Sessa  Aurunca;  ma  gli  stabilimenti  di  bagni  si  tro- 
vano sulla  prima  delle  due  rive,  sotto  Sujo,  cosicché  come  bagni  o  acque  di  Siij'o  sono 
conosciuti  nella  regione. 

LJlI  nome  antico  vedremo  poi. 

La  situazione  assai  appartata  di  Sujo,  dove  tuttora  non  esiste  una  strada  carrozzabile, 
che,  per  la  ma.ssima  parte,  è  allo  stato  di  progetto,  ha  certo  contribuito  assai  a  rendere 
questa  splendida  regione  termale  pressoché  sconosciuta.  Desta  anzi  maraviglia  la  grande 
affluenza  di  bagnanti  della  regione  e  la  relativa  grandezza  degli  impianti.  Né  mancano 
monografìe  su  queste  acque,  tutte  unicamente  però  dal  punto  di  vista  medico,  dalle  quali 
risulta  che  le  sorgenti  sono  una  ventina,  tutte  varie  e  che  si  possono  aggruppare  in  quattro 
gruppi:  alcaline,  ferrugino.se,  saline,  solforose  (2».  Del  resto  è  stato  giustamente  ossi 
che  tutta  la  riva  è  percorsa  da  correnti  di  acqua  minerale  nel  sottosuolo,  cosicché  basl.t  >^.i- 
vare  un  fosso  per  avere  una  nuova  fonte  (?).  Di  queste  acque  si  servono  poi  più  :i  wilU-  i  cam- 
pagnoli per  l'irrigazione  di  quella  feraci.ssima  striscia  di  terreno  e  per  mettere  ir. 

Le  sorgenti  conosciute  sono  a  livello  \ario  e  si  pt)s.st)no  distinguere  in  tre  gruppi  prin- 
cipali, denominati  dalla  località  ;  ma  a  noi  non  (Kcorre  certo  ricordarli  tutti,  potendo  : 
dare  per  ciò  ai  lavori  citati  e  specialmente  alla  bella  monografìa  fatta  fare  dall;i   ''  .1 

di  Terra  di  Lavoro. 

Alla  sponda  sinistra  (quella  della  Rocca  Montina)  l'acqua    ferrata    Qitafari,   il    V. 
V  il  (ìraiiJi-  Internu  e  le  altre   fonti    sono   fenomeni    naturali    notevolis-simi.  Dal   punto   di 
vista  archeologico  però  tutto  l'interesse  è  sulla   sponda   destra  e    precisiimente    nel    puntu 
centrale.  Questo  é  compreso  tra   i   due  estremi  della   fonte   salino-stilforato-ioJo-clorurati>- 


(1)  HoK.   Ciirm.  I,   )i,  7.  i;i  1  ia  J;i||.i  r 

12)   Il   piti  .ilUicci  scrittn  dt\||i..it(P  .1  ijiiostc  Muliic  è  .»//.; 

del  \)'  VirPDKio  DI  M<>Nv<()dl  l'Icdliniinti- di  Mun-  Suj. 

U-c.'issIno  (fitif^fri,,  uiiitlitìio  ni  liui  Hiftlìfo  (Mie  III  •  TitHigr.  1 

i/iif  iHfiiìiìiiiili  I'kuIiIi-  r  If liliali  iti Sniii  ili  V'i'irn  lii  rioi. 

I.iifoio.   N.ipi>li,   i7<jH)  che  r.iicolsc  anche  i)uakl)e  •s.ic 

iidU/I.i d'Indole stiìrlc.i    II  più  Irnpurtantc  èia  mono-  ìiìi 
Kr.ilii  nrdlii.it.t  .li  Diitt.   1*.    I'                     i        !    i  -,  y,  7j  e  p,  .■»(. 

■  ìuumia      Anno  VI.  A 


—  42  — 

sodica  di  S.  E):;idi()  a  m.  2.50  sul  fiume  e  a  37"  centigradi,  dove  le  rocce  si  accostano 
a  picc(j  sul  fiume  e  dove  la  Provincia  di  Caserta  eresse  un  modesto  stabilimento  (fig.  3), 
e,  dall'altra  parte,  delie  fonti  dette  di  Caselle.  A  Caselle,  vicino  a  una  mofeta,  sgorgano 
copiose  le  acque,  in  alto  lo  solforose  potabili  e  sotto,  al  livello  del  fiume,  in  sito  Posto  Ban- 
cone, le  sulfuree  per  bagni.  A  20  cm.  soltanto  sul  pelo  dell'acqua  della  corrente  del  Garigliano 
in  magra,  si  sprigiona,  tra  copioso  vapore  di  acido  carbonico  e  d'idrogeno  solforato,  alla  tem- 
peratura di   29°  centigradi,  questo  vero  torrentello  che  si  getta  nelle  acque  gelate  del  fiume. 


'"'ii-    3  —   L"  stabilimc^nt'f  della   l'r<>\mcia  a  S.   fci;iJi". 

con  le  quali  si  confonderebbe  subito,  se  un  muretto  non  ritardasse  artificialmente  l'unione 
delle  due  correnti.  Ho  notato  questo  particolare,  perchè  ci  servirà  a  spiegare  una  testi- 
monianza letteraria,  che  ricorderò  in  seguito. 

Tra  l'uno  e  l'altro  estremo  la  riva  si  allarga  fino  a  un  centinaio  di  metri  dal  fiume, 
mentre  le  colline  abbracciano  a  semicerchio  la  piccola  pianura  che  ne  risulta.  Là,  in  località 
S.  .Antonio,  sono  le  antiche  rovine.  Tutta  la  regione  del  resto  presenta  tracce  di  antichità, 
specialmente  della  rete  di  strade  (i);   ma  non  è  1  ira  il  momento  di  occuparcene  :   ne  tratterò 


(i)  De  Mani,  S/orin  drs^/i  .liirriac!  (1761),  p.  167. 


—  43  — 

in  uno  studio  di  prossima  pubblicazione  su  tutta  la  topografia  antica  della  regione  ausonia. 
Occupiamoci  invece  delle  Terme.  Alle  quali  si  poteva  certo  in  antico,  come  ora,  accedere 
lungo  la  ripa  destra  del  fiume  per  vie  mulattiere.  Anticamente  però  esisteva  anche  una  via 
carrozzabile  che  ci  conduceva.  Si  staccava  questa  dalla  rete  stradale  della  riva  sinistra,  dove 
la  pianura  è  più  larga  e,  rimontando  il  corso  del  Liri,  proprio  davanti  alle  fonti  di  S.  An- 
tonio lo  traversava  per  un  ponte,  di  cui  restano  ancora  tre  piloni,  uno  centrale  e  due  la- 
terali dalla  caratteristica  forma  romana  a  pianta  romboidale. 

Le  rovine  delle  terme  sono,  relativamente  al  luogo,  grandiose;  ma  molto  deteriorate 
in  questi  ultimi  anni,  per  gli  adattamenti  moderni,  perchè  (ed  è  una  delle  principali  attrat- 
tive del  sito)  queste  terme  romane  sono,  dopo  tanti  secoli,  tornate  di  nuovo  in  funzione  e 
i  bagnanti  scendono  ancora  nella  vecchia  piscina  intatta,  in  cui  sorgono  le  acque  salutari. 

La  parte  superiore  di  queste  costruzioni  fu  sempre  visibile,  tanto  che  sono  menzionate  dai 
primi  di  coloro  che  trattarono  di  queste  acque  (i).  Lo  scavo  però  data  solo  dagli  anni  dal  1877 
al  1852,  quando  il  Sig.  Duratorre  vi  costruì  il  nuovo  stabilimento.  È  merito  anzi  princi- 
palmente del  corte  ie  proprietario  (a  cui  son  grato  delle  facilitazioni  accordatemi)  se  si  è  po- 
tuto conservare,  nella  massima  parte,  l'antico.  Di  questi  scavi  furono  pubblicate  a  suo 
tempo  minute  relazioni  dell'lng.  Fulvio,  con  osservazioni  del  Prof.  Sogliano  {2),  senza  che 
fosse  dedicato  a  essi  uno  studio  apposito.  Nella  mia  visita  rilevai  la  pianta  dì  ciò  che 
esiste  (fig.  4;  l'originale  è  alla  scala  di  ^}  essendo  alcune  delle  antiche  parti  ora  rinterrate, 
altre  modificate  dal  moderno  uso  e  gli  oggetti  rinvenuti  in  gran  parte  dispersi  (3). 

Rimando  dunque  alle  dette  relazioni  [x-r  la  descrizione  particolareggiata  dei  vari  lo- 
cali ;  qui  basta  dire  che  lo  terme  sorgevano  al  lato  sinistro  (guardando  il  Nord)  dì  una 
strada,  che  era  il  proseguimento  di  quella  menzionata  che  traversava  il  fiume.  Sulla  riva 
destra  la  strada  aveva  un  percorso  assai  breve,  perchè  a  Nord  e  a  Sud  della  pìccola  pia- 
nura le  rocce  scendono  ai  (larigliano.  È  quasi  tutta  .stata  scavata  ed  è  lunga  87  metri, 
con  una  larghezza  di  ni.  4,70,  con  marciapiedi,  rete  dì  fogne,  e  tutta  selciata  a  basoli  di 
basalto.  A  sinistra  .sono  le  vere  terme,  a  destra  era  un  gruppo  dì  edìfìzì,  ora  in  gran  parte 
distrutti  dilli  fabbrica  del  nuovo  albergo,  che  a  un  simile  u.so  già  in  antico  dovettero 
servire,  essendosi  rinvenute  le  tracce  di  un  lungo  portico  sulla  vìa  e  poi  dì  scale  e  dì  am- 
bienti con  volte  a  botte,  che  lien  si  presta\ano  all'uso  dì  locanda. 


(1)  p.  es.  C'.iusriNi ANI,  /ìix.  i^foi^r.  dfl  kt-giio  l'Archivio  ddl.n  [)lrc/lonc  stess.n.  Acccrt.il  che  b 
(/;'  Xiìfioli,  Napoli,  180S,  IX.  p  118  (t.  ,•  '^mì.i  pubblicazione  ne  fu  fatt.i  .i  suo  tempo  integrili- 
iì!',vi:i  ili   Terme.  mente;  m.n  rinvenni  anche  un  bel  rilievo,   benché 

(2)  .\<»/.  Siiwi,  1887.  p.  406-410;  i«88,  p.  460;  non  completo,  alla  >«.mI.i  Jl  '  ,  JcH'InK.  Hulvlo,  ette 
i«i)2,  p.  2}6-2)«'  mi  permise  Ji  controllare  re>,itte<w  Jel   mio.   D.i 

(  i)  l'cr  cortese  permesso  della  Direzione  Gene-  esso  mi  è  st.ito  concesso  di  «te^nare   le  parti  om 

ralf  dille  Hellt-  Arti,  clic  i|ui  ringrazi»,  potei  con-  non   più   visibili  e  >t<ccialmcnte  quelle  dalla  xaxit 

sult.irc  uli  originali  delle  rol.i/loiil,  conservati  nel-  di-ll.i  vl.i  dovi-  or.i  r  1"  illvt,-,. 


TJlHRMAli  •  AQVARVM    VliSCINARVM 


i'arU  csisirnti  nei  sctLembre  lOiO. 

Parij  nnvenuur  neiio  scavo. 
3  nscpolie 
.  .    AfcD  occupala  dal  tcodemo 
ALbc.-go  Ouniorre. 


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Fig.  4  —  Le  Terme  delle  -  aquac   l  rsiinae  , 


-  45  - 

Le  Terme  erano  chiaramente  subordinate  allo  scopo  dell'uso  delle  acque  minerali  e  si 
estendevano  dalla  via  alia  collina,  la  cui  terra  è  sostenuta  da  un  alto  muro  di  opera  in- 
certa, lungo  una  sessantina  di  metri. 

Al  centro  circa  si  apre  l'atrio,  largo  m.  9,15  e  lungo  m.  9,80,  originariamente  una 
sola  sala,  poi  suddivisa,  decorato  con  colonne  laterizie  alla  porta,  e  all'interno  con  una  ban- 
china occupante  il  giro  delle  pareti  e  con  un  mosaico  per  pavimento.  Nel   centro  un  im- 


pluvio  col  piano  di  mosaico  e  le  sponde  di  njarmo  0  una  tontanin.i  di  alaKuNtro,  ««ra  pir- 
duta.  In  questa  sala  tunm  tro\ate  le  seguenti  statue,  che  stavano  probabilmente  nelle 
nicchie  di'l  nuim  di  fondo  ^i): 

II)  un  HscuiaiMo  di  cui  si  son  trovati  (rammenti  (braccia,  piede  e  bastone  col  serp«.'>; 

/')  dui'  statue  muliebri  panneggiate,  alte  m.   i,(x)  e  m.   i,03,  acefalo  e  mutile; 


(I)  Al'/.  .Villi;.    1KS7,  p,  ^<K). 


-  46  - 

)-)  una  statua  muliebre  mutila,  alta  m.  0,93,  con  in  testa  la  Stefana; 
i/)  una  ninfa  l?i  acefala  e  mutila  ; 
jiiìi   l'iscrizione,   ragione  Ji  questo  studio. 

Da  questa  sala  ora  si  va  direttamente  nella  piscina  retrostante,  per  una  frana  del 
muro,  anticamente  si  passava  invece  soltanto    nelle  due  ali,  destra   e  sinistra,  dell'edifizio. 

A  destra  erano,  e  sono  ben  conservati,  tre  saloni  a  un  livello  più  basso:  nel  primo 
era  una  vasca  da  bagno,  nel  secondo  e  nel  terzo  sono  piscine  dove  sorgono  fonti  minerali, 
ancora  attive. 

Dalla  prima  di  queste  tre  sale,  poi,  si  andava  per  una  scalinata,  di  cui  si  conservano  le 
tracce,  nel  salone  dietro  l'atrio,  di  m.  16,50  X  9. 80,  nel  quale  è  la  grande  piscina  (fig.  5), 
lunga  m.  11,60,  in  cui  si  scende  per  quattro  gradini  di  marmo.  Anche  il  resto  del  salone 
è  pavimentato  di  marmo  e  il  tutto  è  ottimamente  conservato  e  solo  in  parte  coperto  dai 
muri  divisori  moderni.  Nella  piscina  sorge  un'abbondante  copia  di  acqua  minerale,  facil- 
mente rinnovabile,  alla  temperatura  di  32".  Ricorderò  poi  che,  a  sinistra  di  questo  salone, 
si  apre  un'altra  piccola  sala  con  vasca  di  marmo  (6,80  X  4.2  5)  in  fondo  alla  quale  è  una 
sorgente  di  acqua  acidula  fredda,  ora  adoperata  anche  per  uso  potabile.  Intorno  la  vasca  è 
puKinata. 

Tornando  alla  seconda  sala  a  destra  dell'atrio  (fig.  6),  si  può  osservare  in  essa  il  pavimento 
di  musaico  V  lo  zoccolo  di  marmo,  mentre  al  muro  sono  due  vasche,  una  rettangolare,  in 
fondo  e  una  semicircolare,  a  metà.  Nella  prima  sorge  una  fonte  minerale  alla  temperatura 
di  40".  Dalla  sala  poi,  per  una  scaletta,  si  accedeva  a  una  serie  di  camere  retrostanti  che 
costituivano  una  vera  Terma,  essendosi  rinvenute  tracce  indubbie  di  un  calidarium  col 
pracfiirnitiiii,  di  un  tcpidarìum  con  due  vasche  e  di  un  Jrigidarium  ;  ma  purtroppo  di  queste 
rovine  restano  solo  miseri  avanzi  e  la  descrizione  dell' Ing.  Fulvio. 

La  terza  e  ultima  sala  a  destra  comprendeva  una  seconda  piscina  assai  grande,  di 
torma  irregolare,  circondata  a  destra  da  sette  vaschette  minori.  La  vasca  principale  era  di 
m.  12  X  6,50  e  fu  purtroppo  dimezzata  nei  moderni  adattamenti;  ma  tutt'ora  \\  sorge  gran 
copia  d'acqua  minerale,  assai  efficace  nelle  malattie  articolari,  differente  completamente 
dalle  altre  fonti  dello  stabilimento  e  alla  temperatura  di  44"  centigradi  (i). 

Questa  mirabile  abbondanza  di  acque  minerali  rende\-a  e  rende  tuttora  veramente 
particolare  il  carattere  di  queste  Terme,  che  presentano  inoltre  il  \antaggio  dell'esposizione 
a  Levante  e  di  esser  riparate  dai  venti  settentrionali. 

Né  si  tratta,  come  si  è  visto,  di  un  piccolo  stabilimento  ;  ma  di  una  Terma  ben  orga- 
nizzata e  pro\A'eduta  dei  vari  comodi  necessari.  Così,  \icino  alle  piscine  per  le  acque  mine- 
rali, abbiamo  visto  un  piccolo,  ma  completo  impianto  di  bagno  comune.  Non  solo  ;  ma  tutta 


(i)  Mi  si  è  accenn.ito  al  fatto  dì  un  aumento  di       vori  ;  ma  non  mi  è  stato  possibile  avere  dati  spe- 
temperatura  verificatosi    in    seguito   agli    ultimi  la-       citici. 


—  47  — 

l'ala  a  sinistra  dell'atrio,  i  cui  ambienti  non  sono  purtroppo  t)en  determinabili,  ha  le  carat- 
teristiche, per  gli  ipocausti,  i  forni,  e  così  via,  di  essere  pur  destinata  a  bagni  particolari 
e  a  cure  speciali.  In  quest'aia  mi  limito  a  notare  l'ultima  piccola  sala  circolare  a  sinistra, 
certo  un  calidarinm,  non  ancora  scavata  al  tempo  della  relazione  Fulvio-Sogliano,  ancora 
ben  conservata,  con  muri  di  opjis  reliculatum. 

Come  disposizione  delle  varie  parti  dello  Stabilimento,  le  trovo  essere  assai  adatte  allo 
scopo  e  subordinate  all'uso  delle  sorgive  ;  ma  non  trovo  nulla  di  anormale.  Mi  piace  invece 


Flit.  6  —  L'al:i  cJr<itra  ilelle  Tei  me. 

notare  un;i  bella  coincidenza,  che  dimostra  ancora  una  volta  la  unitA  dell'  Impero  Romano. 
Un  parallelo  perfetto  con  le  Terme  di  Sujo,  salvo  piccole  mudificazioni  cagionate  dalla 
diversa  topografìa  del  luogo,  si  nota  nelle  Terme  minerali  di  Aijuae  Sulis  in  Brìtannìa. 
la  moderna  Bath,  nel  sud  dell'Inghilterra.  .Anche  L\  è  una  copios;i  sorgente  minerale  sfrut- 
tata abilmente:  intorno  alla  grande  piscina  che  ne  raccoglie  l'acqua  sono  poi  le  altre  sile 
tei  111. ili  MI  una  disi'Njsi/ione  analoga  a  quella  delle  l'erme  da  noi  studiateci). 


(I)  C.  I.  I..  VII.  p.  jg.     -  Cti.  Il    M    S<  \Hiii. 
.{(/iiar  Sulis  or  noliifs  of  K'oiiiiih  /'iilh.    1IW14. 
Un  hcl  model!..  Hi.-;--  '-''I    M ■;••  JiH;ilh 


.ill.i  M»>tr.i  Arvl)c<>lt>glc.i del  igii,  in  Rom.i.  Un'ac- 
iiur.it.i  pl.int.i  ne  (11  riicv.il.i  nel  1004  i).iir.ir«:hl(etto 
T;ivl«r  Jl  H.itli. 


-48- 

L'cpuca  a  cui  rimonta  l'cJifi/.io  di  Sujo,  è  determinata  specialmente  dalla  costruzione 
in  opus  rrfinila/iim.   Accetto  pt-rci^  la  data  di-l    So^jliano  del  primo  secolo  dell' Impero,  con- 
fermata anche  dalle    splendide  costru- 
zidiii,  a  cui  accennai,    nell'estrema  ala 
sinistra. 

Si  notano  poi  muri  di  opera  pscu- 
do-isodoma  e  alcune  parti,  come  le 
suddivisioni  dell'  atrio,  si  rivelano  dei 
SL-coli  posteriori.  Le  Terme  quindi,  che 
furono  lungamente  in  uso,  ebbero  dei 
restauri  e  delle  modificazioni  che  però 
non  alterarono  punto  l'edifìzio  primi- 
ti\().  11  Sogliano  notò  alcuni  bolli  late- 
rizi, con  la  scritta  SOPILV  di  legulac 
latinac  :  io  ho  potuto  rinvenire  anche 
l'iscrizione  delle  condutture  di  piombo, 
in  due  frammenti  che  si  completano 
a  vicenda.  Le  lettere,  assai  regolari, 
hanno  un'altezza  di  m.  0,035: 

7   —  (  l-iit.    1  mratorre). 


a)         Si-VRIAEETPLACID-CC 
/;)  1   P  L  A  C  I  L)  •  C  C 


PP 


A  noi  non  mancano  esempi   analoghi  (i). 

Infine,  oltre  alle  statue  menzionate,  nello  sca\o  si  rinvennero  alcuni  monumenti: 

a)  un'ametista,  con  una  fìg.  di  Nike,  che  pare  fosse  di  buona  forma  (m.  0,060X0,0451; 

/')  una  statua  di  fanciullo,   di  tipo  ellenistico  (2),  di   cui  presento  la  fotografia.   Fu 
scoperta  negli  scavi  del    1892  ed  è  conservata  sul  posto  'fig.  7); 

e)  strumenti  di  ferro,  come  ffìadi  falci  e  scuri; 


(1)  Ciisì  in  C.  1.  L.  XV,  7780,  da  Lorium  : 
....  <■/  Pt'dionniì  [....  ci  ....]  ivi,  C.  C.  /'.  P.,  che  il 
Dressel  spiega:  {dnornm)  i(/arissiìnoriiìii)  p(iu'- 
roritm),  seguendo  R.  Lanxian-i  (Si//,  epigr.  aq. 
n.  287).  Si  tratta  evidentemente  dei  proprietari  di 
una  delle  fonti,  o  almeno  di  gente  che  l'aveva  avuta 
in  concessione  perpetua.  Un  terzo  frammento  coi  resti 
del  primo,  e  col  secondo  nome  fu  scoperto  a  Sujo 
nel  1894  e  riferito  alla  commissione  Archeologica  di 
Terra  di  Lavoro  che  ci  vide,  a  torto,  una  data  conso- 


lare {At/i  Cutnm.cons.  Terradi  lavoro  1S94,  p.253). 
(2)  Queste  statue  di  bambini  di  due  o  tre  anni 
sono  piuttosto  comuni.  La  nostra  ricorda  molto  il 
putto  con  l'anatra,  di  cui  la  copia  più  bella  fu  tro- 
vata a  Efeso  (R.  Herzog,  Das  Kitid  iiiil  dt'r  J-'iir/is- 
gans  in  Ja/ires/i.  dfs  A'.  Oes/iir.  Iiis/.  VI  (1905) 
p.  215  segg.).  Il  bimbo  di  Sujo  perù  teneva  tuU'e 
due  le  braccine  alzate  (Cfr.  anche  la  statuina  del- 
l'Asklepieion  di  Atene  -  Svoroxos,  'Uvi-zoc  etc.  in 
Ep/i.  Air/ì.,   1909,  pag.   163,  fig.   13). 


—  49  — 

d)  un  dupondio  di    Augusto  coniato   da    P.    Lurìus    Agripfia  ;    varie    monete   del- 
l'Impero  (i)   e  un  aureo  di  Giustiniano. 

Più  due  epigrafi.  La  prima  non  ha  per  noi  speciale  importanza,  essendosi  perfino  dubitato 
della  sua  originaria  appartenenza  alle  Terme.  È  in  una  piccola  base  (m.  o.2j  V  o.i^  V  o,i  n 
marmorea,  ora  al  Museo  Nazionale  di  Napoli,  scoperta  allo  sbocco  di 
una  delle  sorgenti  minerali.  La  basetta  ha  lateralmente  un  urceus  e 
una  patera.  L'iscrizione  su  quattro  linee  con  lettere  di  differente 
altezza  (m.  0,022  a  0,015)  è  in  caratteri  greci  dell'epoca  imperiale 
romana:  ma  non  ci  dice  nulla  sulle  Terme  stesse  (2). 

Diverso  invece  è  il  caso  dell'altra  epigrafe,  da  parecchio  tempo 
rinvenuta  nell'atrio,  nei  punto  dove  ora  è  aperta  la  breccia  che  dn 
adito   alla  grande   piscina,    ma    rimasta   finora    ignota    agli    studiosi,  '    '  """''' 

con.servata  nell'ufficio  del  padn^ne,  Sig.  Duratorre. 

È  incisa  su  una  lastrina  marmorea  di  m.  0,51  X  m-  o,?o,  ora  frantumata  111  jue  pani 
i-  mancante  della  parte  superiore  di  alcune  lettere  nella  prima  riga: 


///  SALVTEETVICToKIAETREDI 
TVS  DO.WINOKVM  N  s  AVG  »  5- 
ANTONINI    ET   GETAE    INVICTISSIMO 

liT  1VLIAI-:  AVtiVSTAI-:  ,\\ATRI  AVCASTOk  i;i'  CASTK 

RVM  GENIO  AQVARVM  VESCINAKVM 
ANTONIVS    ET    EVGENES    SEK\  I    • 
DISPENSATORES    POSVERVNT    • 


(1)  Il  1%  ni.'iKKl"  >^<;<  'l'I  scoperto  un  vaso  di 
terra  con  19  aiirt-i  Iniperi.ili,  con  una  Vittoria.  Non 
so  però  di  quale  imperatore  (cfr.  .////'  Comm.  iohs. 
i8tji,  p.   }(j8). 

(i)  l-u  puhbllcat.'i  dal  Fiorkli.i  In  t\ot.  di'glì 
Siiwi,  1888,  p.  460,  da  cui  II  Kaiiiki.  In  I.  G., 
XI V,  goj  II.  Tr.'ilasclando  la  strana  lettura  del  primo: 
/nuli-  i/('//(»  sii/ulf  /»<•/'  /iimiiilti  ihf  iimmio  $  /oro 
/'iiitil/i  (\[\  rela/lonc  nell'Archivio  della  iJIre/.  fSe- 
nerale  di-Ile  Antichità)  e  cosi  pure  i)uella  del  Kalhel 
che  pensa  sl.i  un  monumento  sepolcrale  che  non 
ehhe  nulla  a  che  f.ire  con  la  l)ea  l^ea,  secuo  la 
lettur.i  proposta  dal  Mommsen  al  Kalhel  stesso, 
che  si  Ir.ittl  del  rlctirdo  di  un  Sodalizio  di  ffn'iit- 


siili-.  Congiunti  fra  loro  d:i  vincolo  fraterno.  L'idea 
fu  accolta    e  dottamente   confermat.i  d:il  l'oi^M» 

(Gt-sfhìihU  dt-s KiitihisiMcH  l'cirin.txp-   o, 

p.  ss,  211  e  S77).  EkII  IokKC  una    di.  ( 

di  Igdt  stretti  i/ii  iìimyrf  fratermi  (cl)e  nat;  p<iss.i 
slRullicare  fiKlIo  —  pufr  è  noto.  Clr.  Sti  phanvs 
Tltfs.  VI,  p.  S4I.  Il  Pohind  periS  cluslamenlr  os- 
scrvn  che  In  comunit.t.  > 

greca,  come  ci  rlvcl.i  \'<:\'.^. ;.-.;  !i 

un  (iiltfKiHtn  romano,  dove  cm  vlv«i  II  1 

fraternità,  raro  In  «ìrecl.i.  Anche  Un  1 

(u  diffuso  a  Roma  durante  l'Imp"''    t  . 

turnle  tn>varln  alle  ncque  di  Su)' 
f>cncliche  ! 


.\H\oHii\      Anno  VI 


—  50  — 

Le  lettere;  lianiio  l'altez/.a  media  di  m.  0,015,  tranne  nella  quarta  linea,  dove  sono 
alte  siild  m.  O.OOQ. 

l,a  lettura  dell'epigrafe  è  certa:  \pio\  salute  et  Victoria  ti  rcditi«s>  dominorum 
niostroniin)  .ìiii;ucsloniin)  Anlonini  ci  Gctac  inviclissimorum  et  Iiiliae  Augiislac  matri 
Augustor^um)  et  castr{orum).  Genio  Atjuarutn  Vescinarum  Antoniiis  et  Eugenes  semi  di- 
sf>cnsatorcs  posucrunt. 

Il  duclits  è  incerto  e  assai  rozzo.  Come  punti  diacritici,  o  mejjlio  come  segni  posti 
allo  scopo  di  riempire  gli  spazi  vuoti,  senza  nessun  rapporto  con  la  sintassi,  sono  foglioline 
di  edera:  si  noti  in  rcdilits  anche  un  errore  grammaticale.  La  quarta  riga,  con  la  menzione 
di  hilia  Augusta  è  di  caratteri  assai  più  piccoli,  aggiunta  posteriormente,  e  la  desinenza 
rum  della  quinta  riga  serve  a  formare  il  genitivo  plurale  tanto  in  invictissimorum  quanto 
in  castroruin.  il  nome  di  Geta  è  abraso,  in  seguito  alla  nota  sua  damnatio  memoriae;  ma 
in  modo  tale  da  essere  chiaramente  leggibile. 

L'epigrafe  non  è  che  un  solito  voto  a  una  divinità  in  onore  degli  imperatori,  secondo 
una  formula  as.sai  comune  al  tempo  in  cui,  con  molta  precisione,  si  può  datarla.  Nell'iscri- 
zione non  è  n(iminat(i  infatti  più  Settimio  Severo,  padre  di  Caracalla  e  di  Geta.  Dovette 
perciò  esser  posta  nel  breve  periodo  che  corre  tra  la  morte  di  Settimio,  avvenuta  in  Ebo- 
racum  (York')  il  14  febbraio  211  d.  C,  e  il  26  febbraio  212,  in  cui  Geta  fu  assassinato 
dal  friitelld.  Anzi  l'augurio  pel  ritorno  dimostra  che  dobbiamo  tenerci  al  principio  di  questo 
periodo,  quando  i  due  Augusti,  alla  metà  del  211,  ancora  guerreggiavano  in  Britannia. 

Quanto  al  contenuto,  non  si  discosta  dunque  dalle  numerose  epigrafi  analoghe  del  tempo; 
pcichè  anche  il  titolo  di  mater  augustorum  et  tastrornm  è  comune  per  le  imperatrici  del 
Ili   secolo  e  per  la  stessa  luti  a  Domna  [\). 

L' interesse  si  riduce  alle  ultime  tre  righe.  La  dedica,  infatti,  posta  probabilmente 
sotto  un'immagine  degl'imperatori,  fu  loro  fatta  da  certi  Antonius  et  Eugcnes  servi  di- 
spcnsatorcs.  1  dispensatores,  coni'  è  noto,  erano  tra  i  servi  coloro  che  si  occupavano  prin- 
cipalmente dell'amministrazione  dei  beni  (2),  quindi  è  naturale  trovarli  a  capo  di  uno  sta- 
bilimento termale.  Qui  però  il  fatto  che  questi  due  servi  innalzassero  un  ricordo  agli  impe- 
ratori, rende  verisimile  che  non  si  trattasse  di  pri\'ati  ;  ma  che  le  Terme  fossero  ormai  parte 
dei  beni  imperiali,  come  del  resto  a  quel  tempo  tanta  parte  delle  terre  d'Italia  e  delle 
pro\'ince. 


(1)  Cfr.  per  tutto  Cassius  Dio,  77;  C.\gnat,  Pauly-Wissowa,  Rcat-E?:cyct.,  V,  1  col.  1189- 
A/i/;-;-.  tal.  p.  iQó.  —  Per  i  titilli  cfr.  p.  es.  C.  iiyS  (Lii;benam).  Cfr.  pure  De  Ruggiero, />/;. 
I.    L.  VI,  227    =    Dessau,  427;    C.    I.    L.    Vili.  epigr.,  Ili,  96  ss.  (s.  v.  Jisciis). 

1798  =  Dessau  437;   C.  I.  L.  VI,   1035   =  Des-  Per  una  dedica  analoga  cfr.  1' iscrizione  di  Metz 

sau  426,  dell'Arco  degli  Orafi  a  Roma.  (Dessau,  n.  410)  f>ro  salute  iinp.  Caes.  /•.  Helvi 

(2)  Vedi  Daremberg-Saglio.  Dici.  Ant.,  s.  v.  Perliuacis  ....  Oceantis  sei-',  verna  dispcnls]  a 
dispensator  (art.  di  G.  Bloch),  II,   i,  p.  280-86;  frumento. 


—  51  — 

Infine  sappiamo  ora  il  nome  delle  sorgenti  :  aqiiae  Vescìnae,  al  cui  Genius  appunto  gli 
umili  schiavi  fanno  voti  per  la  prosperità  dei  loro  Sovrani  (i). 

Il  nome  di  aquae  Vescinae  è  affatto  nuovo  alla  geografia  antica  e  io  non  l' ho  trovato 
perciò  menzionato  in  nessuna  opera;  ma  esso,  ora  che  si  può  così  bene  identificare,  si  trova 
conosciuto  agli  scrittori  antichi.  Lo  leggiamo  infatti  esplicitamente  nel  poema  di  Lucano, 
{Pkars.  II,  424-251: 

....  nmbrosae  Liris  per  regita  Maricae 
Vescinis  impulsus  a</uis.... 

Così  deve  leggersi,  ma  i  codici  hanno  P'eslinis,  e,  cosa  invero  singolare,  benché  la 
verità  sia  stata  presto  intravveduta,  quest'errore  puramente  paleografico  (2)  è  rimasto  immu- 
tato attraverso  il  tempo  nelle  migliori  edizioni,  dall'Aldina  fino  alle  più  recenti  del  Postgate 
e  dello  Hosius  (3).  Sembrerebbe  quasi,  a  questo  proposito,  di  vedere  una  strana  diffidenza 
dei  filologi  verso  i  geografi.  Uno  di  questi  infatti,  il  sommo  Cknerio,  intuì  l'errore  e  nel 
suo  ragionamento  fu  seguito  da  altri  tra  cui  il  Pellegrino,  li  Munimsen  e  il  NÌNSfn(4); 
ma  la  correzione  non  fu  accolta  nelle  edizioni  critiche  (5). 

Eppure  la  lezione  Vesliiiis  è  un  non  senso,  nulla  avendo  a  che  fare  il  Liri  con  i  Vestini 
che  si  trovano  a  Nord  dell'Aterno,  sul    versante    Adriatico.    Né    Strabone    ha  alcun  valore 


(1)  Anche  dediche  ad  Aquae  o  ai  Ioni  (ienii  non 
mancano.  --  Cfr.  quella  al  iiutnen  o  meeli"  al 
(ieiiiiis  delle  aquae  Siiiuessaiiae,  cosi  prossime  alle 
l'esciiiae  (C.  I.  I..,  Vili,  2585),  quella  alle  .Iquae 
.ìlbulae  (C.  I.  I..,  XIV,  5910),  e  cosi  via. 

(2)  l'esliuus  per  l'eseiiius  è  nei  cikIIcI,  in  quasi 
lutti  i  lunghi  dove  leggesi  il  secondo,  p.  es.  In  Ci- 
•  liuoNiv,  /)e  /e,ve  af^r.,  Il  66,  in  l.iv.,  X,  21,  ctc. 
Questa  corruzione  fu  del  resto  già  notata  dal  Ci-u- 
VKliii)  (//.  lini.,  p.  io8j),  dal  Roma.nki.li  (Tof>. 
ist.   del    h'ejfui)  di  .\'a/>.,  p.  41 1)  e  d.i  tanti  altri. 

(3)  Hanno  vesliiiis  naturalmente  i  codici  e  poi  : 
Ed.  140)  di  Bevilacqu.'i  a  Venezia  (comm.  loh. 

Sulf>ilius  ì'erulauiis  e  thunhnuu.t  l'imenliuux)  —  I 
Commentatori  però  avendo  l'esliiiis  pure  in  Livio, 
le  riferiscono  Klustamentc  alle  acque  della  Valle 
llren.i.  —  Id.  ed.  1511  -  di  .IukusIìhus  de  /.aiiis 
da  l'orteslo  -  a  Vene/la  (comm.  ShI/>ìIìu.(  e  (>ih,i- 
l'Hill).^).  Id.  ed.  isiijdi  Lione  con  commenti  vari.  Id. 
ed.  iS2"idi  (ì.  A.  Scin^en/eler  a  Milano.  Id.cd.  H7H 
di  Basilea,  con  note  dell'  lloileiisìut,  etc.  Id.  cil. 
164)  di  Amsterdam,  con  noie  del  (.'rolìus.  Id.  ed. 
17.(0  di  l.eld.i  con  comiiii-iiti  dei  Munii. uni.  I-)  cosi  via. 


Intanto  il  Ciuverio  aveva  fatto  la  correzione 
(Italia  aiiliqua  [1624]  III,  108))  e  i  commenti 
posteriori  reRistrano  la  sua  ipotesi,  nccett.ita  d.il 
Bentley.  Ma  non  d.il  Weher  nella  sua  edizione  di 
Lucano  (Leip/i|;,  1821),  che  pur  commenta  KÌusta- 
mente,  non  dal  Nis.ird,  nell'edizione  di  PariRi  (i8j7) 
che  pensa  .ilie  souries  i-es/ine.(  che  spingono  il 
Liri  nelle  foreste  di  M.irìca  e,  per  venire  al  nostri 
giorni,  non  dal  Postgate  nell.i  tH:lla  edizione  del  1900, 
di  Londra  (in  Corpus  ftoflarum  lalÌMornm),  non 
d.illo  Hosius,  nell.i  l.ipsiensc  del   loos. 

Kare  volte  dunque  si  è  avuta  una  slmile  con- 
cordia di  parere  da  p;irte  di  Illustri  lìlologi,  .intichl 
e  moderni  ! 

(4)  Cluvkkii's,  op.  clt..  Ili,  loSj.  scgic.  ;  Pw- 
LEGKINO,    Cam/:  Sitcr..  (i6si).    Il  eU.  1.  p.  IJ}. 

li  Mommsen  e  11  Nlss«n  mostrano  di  .iccellarc 
la  correzione  del  Cluvcflo,  col  citare  il  verv»  di  Lu- 
cano p.vlando  di  Vescia  (Mommse.n  In  C.  L  L.,  X, 
p.  46j  ;   N1S.SKS,   Itili,   i.iimirtt..   Il,  p 

(5)  K  d.i  ess,T  p,'i.vM\  in  atitori  che  >c  n  ■>, 
scniui  IndnK.trr  la  questione.  P.  cs.  R.  Pktkr  ndl'ar- 
llcolo  .l/ilriiii,  In    KiistlIKH,  .Itui/.  /^x.  Il,  J|7l. 


—  52  — 

a  questo  proposito  (  i).  Non  occupandoci  quindi  dell'errata  lezione,  porremo  col  Cluverio 
e  col  MorTimsen,  l'aggettivo  Vrschins,  derivato  dal  nome  delle  città  di  Vescia,  già  per  altri 
autori,  come  Livio,  nota  come  posta  un  tempo  nell'ultimo  tratto  della  Valle  del  Liri  (2). 
Ma,  corretto  l'errore,  non  ne  veniva  una  spiegazione;  e  ciò  serve  di  attenuante  alla  diffi- 
denza dei  filologi.  Che  cosa  erano  queste  Vescinae  aquae  da  cui  il  fiume  era  impulsus  ? 
Se  vediamo  la  geografìa  della  regione  in  cui  si  pone  Vescia,  cioè  allo  sbocco  del  fiume 
nella  pianura  Minturnese,  non  troviamo  in  quei  tratto  alcun  affluente,  tranne  il  piccolo 
Ausente,  dalle  poche  acque  e  del  resto  sempre  ricordato  col  suo  nome  (v.  fig.  i).  Si  pensava 
dunque  a  delie  acque  indetcrminate  che  scendevano  dai  colli  e,  per  lo  stagno  secondo  alcuni, 
\enivano  ai  fiume  (3).  Ora  tutto  si  chiarisce.  Basta  aver  visto  le  copiose,  caratteristiche 
sorgenti  minerali  di  Sujo,  proprio  nella  corrente  del  fiume  in  alcuni  casi  che  ricordai,  per 
spiegare  il  pensiero  di  Lucano. 

Egli  che  ricorda  appunto  (e  ciò  è  di  conferma  per  l'identificazione)  l'ultimo  tratto 
del  corso  del  Liri  attraverso  la  regione  Minturnese  ....umbrosae  ....per  regna  Maricae  (4), 
dovette  certamente  recarsi  a  visitare  le  sorgenti  di  Sujo,  forse  anche  a  scopo  di  cura  e 
dovette  restar  colpito  dalla  \ista  di  queste  acque  bianche  e  azzurrine,  sgorganti  tra  vapori 
abbondanti  e  con  grande  impeto  nel  letto  stesso  del  fiume.  Gli  parvero  esse  anzi  come  una 
spinta  che  il  Liri  ricevesse  nel  suo  corso  e  si  servi,  nel  rapido  accenno,  per  caratterizzarne 
TLiltimo  trattii,  delle  sue    particolarità  più  speciali:  le  acque  di  Sujo  e  la  selva  di  Marica. 

Credo  che  la  breve  testimonianza  epigrafica  corregga  dunque  definitivamente  e  inter- 
preti  il  verso  Lucaneo. 

Stabilito  ciò,  è  facile  intravedere  qualche  altro  accenno  alle  aquae  Vescinae.  Ad  esse 
dovette  certo  pensare  Plinio,  quando,  parlando  di  sorgenti  calde  che  nascono  nei  fiumi, 
ricorda  un  caso  simile  pel  Liri:  scd  fonthim  p/urìmonan  natura  mira  est  fervore,  idqiie 
etiam  in  iugis  Alpium   ipsoquc  in  mari,  Inter  Italiam    et  Aenariam   in   Baiano   sinu   et 


(1)   Il  /.iris  nasce  dal  mcmte  Arunzo,   nella  ca-  se  cosi  spesso  falsificò  epigrafi,  resta   pur    sempre 

lena  dei  monti    Equi,    eJ    erroneamente    Strabone  un  bravo  conoscitore  della  regione  :   «  quasi  che   il 

(V,  233)  lo  fa  nascere  al  monti  Vestini  :  5iipp;~5ì  Campus   \'esciiius  non  già  presso   Mlnturne    sola- 

.VsTitc  j:';-a|j.ó; ...  9Ì3iTai  S'avuj3.v  h.  T(Tiv 'A7:£vv'vaiv'  mente  {sic);  ma   fino   alle  ripe  del  Liri  si  disten- 

òpòiv  za\   -?[;  UùisTiv»);.  (Cfr.  anche  Colasanti,  desse.  Se  pure  non  avesse  voluto  designare  il  poeta 

Frcgellae,  p.  21).  Forse  l'errore   è    nato  per  aver  le  acque  che  dal  Campo  Vescino  per  le   paludi  di 

Strabone  stesso  confuso  la  menzione   di    l'csciitus  Mìnturne  al  Liri  si  scaricavano  o  per  la  vicinanza 

nella  sua  fonte  per  la  descrizione  del  Liri  con   l'è-  del  detto  campo  chiamate  le  avesse  Vescinei>. 
sliiius.  Anche  il  Romanelli  (Atit.  top.  istor.  del  Regno 

(2) Cfr.  artic.  l 'escia  in  Smith,  Dict.  0/ Greci-  di  Xapo/i,    1819,  p.  434)  spiega  il   verso  «perchè 

aiid  Koviaii  Gco£-rapAy (1S68),  11,  P-  1281)  ;  C.  I.  L.,  appunto  detto  Campo  Vescino  tocca  la  riva  sinistra 

X,  p.  463  ;  NissEN,  It.  Landesk,  11,  p.  664.  del  Liri  ». 

{5)  Così  il  Cluverio,  op.  cil.,  IH,  1083  ;  così  il  (4)  Cfr.  art.  Marica,  in  Roscher,  Atisf.    Lex. 

famigerato  Pratilli  (/V(7  ^/j*/rt,  1745,  p.  162)  che,  Mytii.  cit. 


—  53  — 

in  Liri  /Invio,  multìsque  aliis{\).  E  forse  pure  a  Sujo  pensava  Silio  Italico,  dando  al 
Liris  l'appellativo  di  snlphureics,  perchè  anch'egli  lo  conosceva  principalmente  nelle  \ici- 
nanze  del  punto  dove  è  attraversato  dall'Appia  {2).  Infine  ricorderò  un'ipotesi  formulata 
già  nel  sec.  XVIII  dal  Di  Monaco  (3)  che  le  acque  di  Sujo,  cioè  le  Vesciiue,  diremo  noi, 
e  non  le  Sinnessanae,  assai  più  lontane  da  Minturne,  fossero  quelle  frequentate  da  Plotino, 
quando   pensò  di  edificare  la  Plalonopolis,  secondo   narra  Porfirio    nella   sua   biografia  (4). 

*  * 

iJa  quanto  si  è  visto,  possiamo  seguire  le  Acque  Vescine  in  parecchi  secoli  della  loro 
storia.  Adoperate  infatti  probabilmente  nei  tempi  primitivi,  benché  nessuna  testimonianza 
ci  resti  di  ciò,  le  vediamo  ben  conosciute  nel  primo  secolo  dell'Impero,  se  vi  costruirono 
le  grandiose  Terme  e  se  Lucano,  Plinio  e  forse  Silio  Italico,  le  nominano  come  acque  t>en 
note  ai  lettori  dei  loro  scritti.  L'epigrafe  dei  dispensalores  e  i  restauri  all'editalo  sono  te- 
stimonianza che  erano  ancora  in  fiere  nel  Ili  secolo,  quando  pare  fossero  passate  in  pro- 
prietà della  Casa  imperiale.  La  probabile  testimonianza  di  Porfirio  e  le  monete  bizantine 
sono  deboli  tracce  dell'uso  nei  secoli  posteriori.  Ma  notevoli  memorie  ne  abbiamo  anche 
pel  medioevo,  perchè  sono  nominate  nel  Codex  Diplomaticus  Caii-latius,  come  caldana 
putida  (5).  Col  sorgere  del  villaggio  medievale  di  Sujo  I C asinini  Suf^i)  che  ebbe  Conti 
della  dinastia  di  Gaeta,  queste  terre  seguono  le  sorti  del  loro  feudo  e  dagli  antichi  signori 
passarono  con  il  resto  della  Contea  al  Monastero  di  Montecassino.  Anzi  i  frati  vi  costrussero 
un  mona.stero,  dedicato  appunto  a  S.  Antonio,  per  alloggiare  i  malati  che  \\  si  recavano  a 


(1)  Pi. IN.   .V.   //.   Il  §  227. 

(2)  Tacitisqiie  vadis  mi  liloia  /nf>.sum  (SlLlus 
/>'.  /'.  VIII402).  Nuli  mi  p.ire  pussiliik- credere  l'epi- 
tctcì  dntii  pel  loliiif  ilfl/r  <iii/iif  COMIC  f.l  il  Coi.A- 
SANTl  (l-'reKeUae  p.  25). 

(j)  MoNAic)  op.  ,il.  (1)11  potuto  cnnsult.ire  l'è- 
^emplare  del  Museo  di  C;ipun)  ;  dopo  e  stat.i  ripe- 
tuta da  molti  storici  locali,  p.  es.  Corcia,  Storili 
lifttf  Ititi-  Siiilie,  I,  p.  405. 

(4)  Plotino  si  recò  alle  cure  presso  Zelo  e  Ca- 
slrlclo  .1  Minturne  e  l.i  pensiN  di  cdilìcirc  Plato- 
iiiifiolis,  presentando  il  disegno  .iirimperatorc  (ìal- 
Meno;  ma  II  progetto  f.iHi  (Piiki'iiyk.,  (/»•  c/'Ai /Vo- 
///(/  I,  p.  8). 

(5)  Studi  cit.  p.  ifi.  I.e  testimoni. iiue  delle  Cute 
gaetane,  rimontano  .1  tempo  ass.'il  antico: 

I.  nel  Q54,  Come  riferimento  topogratico  di    un 


fondo  nel  testamento  di  Doclhile  II  duca  di  ('iaet.i. 
si  nomina  la  Caldana  (C.  D.  C.  I,  p.  Q7); 

II.  nel  1014  nel  pl.icito  di  Castro  Argento  per 
limitazione  di  contini,  si  riportano  documenti  del 
sec.  .\  in  cui  è  ricoidntn  ■  ifisa  caldana  putida  ifut- 
tst  fHìsita  sii/fr  (t'aii-fiaHO  »  (C.  D.  C.   I,  p.  244). 

Così  pure  nel  ii<;8  Adrl.inu  IV  in  una  MI.1  In 
cui  si  riferisce  ad  altre  più  antiche,  conlerm.i  .1II.1 
niocesi  di  Gaeta  l.i  chles.i  .s".  /-^-idi  iw.i  Ai  1  al- 
dinas  (C.  D.  C.  Il,  p.  282)  e  si  è  visto  rcst.ire  II 
nome  di  S.  Egidio  a  un.i  delle  principali  sorKenli. 

Li  donazione  .1  Montecassino  avvenut.i  in  p.irte 
nel  1029-1040  per  oper.i  del  Conte  Ugo  di  Sujo, 
(u  drlìnltlva  con  (ìiord.ino  principe  di  C.ipu.i 
nel  1078  (C.  D.  C.  I,  p.  171-144:  II.  p.  110  — 
Crollila  Mon.  Caximtm.  In  Moummrmta  l,'frimimia< 
histoi.  VII  p.  5^1   seg.  .ill'anno  1040-1079). 


-  54  — 

fare  la  cura.  Pare  che  una  sedia  balnearia  di  porfido,  conservata  a  Montecassino,  sia  stata 
pure  trovata  nel  luogo,  nei  secoli  scorsi  (i). 

Cosi  si  giunse  ai  tempi  moderni,  quando,  per  l'attività  della  Provincia  di  Caserta, 
del  Sig.  Duratorre  e  di  altri,  il  luogo  di  cura  andò  risorgendo:  la  prossima  costruzione 
della  direttissima  Roma-Napoli  che  vi  passerà  a  pochi  chilometri,  produrrà  inevitabilmente 
lo  sfri:ttanieiitii  completn  di  questo  tesoro  d'acque  cosi  vicine  a  Roma  e  a  Napoli  e  an- 
cora dai  più  sconosciute. 


Restano  diie  questioni  Ja   indagare: 

i"  porta  l'epigrafe  qualche  kice  sulla  luxa/a  (//(ars/io  dell'ubicazione  dell'antica  Vescia? 
2"  nel   territori(j  di  quale  città  era,    al    tempo  Imperiale,   il    luogo    delle   aqitae    Ve- 
siìnac .' 

Alla  prima  domanda  si   può  rispondere  :   rcpigrafc   rive/andò    l'esistenza   delle    Aquae 
Veschiae,  ci  dà  per  la  prima  volta,  con  materiale  archeologico,  tin  punto  fisso  che  si   ri- 
ferisce alia  (jiicslione. 

Le  nostre  cognizioni   relative  a  Vescia  sono  infatti  ben   poche: 

I.   le  fonti    parlami  di   un'antica  città  di    l'escia  insieme    con  .Uisona   e   Minliirtiae 
e  ne   narrano  le  ultime  \'icende  e  la  distruzione,  per  opera  dei   Romani  (2); 


(1)  Sìudi,  cit.  p.  18.  Dalle  cronache  di  Munte- 
cassinii  risulta  che  restauri  e  lavori  furono  ordi- 
nati dal  celelire  abate  Desiderio  (lo^S-roSy)  poi 
papa  Vittore  III. 

(2)  La  città,  una  delle  tre  degli  Ausoni  (v.  Steph. 
Byz.  i.  V.  Mizv.i.),  certo  antichissima,  comparisce 
nella  storia  Romana  quando  i  Romani  vennero  a 
contatto  con  queste  popolazioni,  in  occasione  della 
guerra  latina  alla  metà  del  IV  sec.  a.  C.  Livio 
(Liv.  Vili  IO,  9;  II,  5)  è  sempre  Punica  nostra 
fonte  e  la  tradizione  è  assai  incerta  e  corrotta. 
Egli  dice  che  nel  340  a.  C.  vi  si  rifugiarono  i 
Latini,  vinti  al  Vesuvio  dai  consoli  Manlio  e  Decio 
Mure,  dimenticando  di  aver  poco  prima  indicato 
Minturne  come  luogo  di  rifugio.  E  giusto  pensare  a 
una  doppia  fonte  utilizzata  da  lui  ;  ma  ciò  per  noi 
è  giovevole,  perchè  afferma  (cosa  poi  confermata 
dalle  altre  fonti)  che  le  due  città  dovevano  essere 
\icine.  L'ubicazione  di  Minturne  al  punto  dove 
l'Appia  traversa  il  Garigliano  è  per  infinite  ragioni 


certa  (\edi  p.  es.  C.  I.  L.  X,  p.  520);  si  deve  dun- 
que limitare  nei  dintorni  il  probabile  sito  dell'altra. 
Non  importa  qui  discutere  la  questione  sul  possi- 
bile equivoco  tra  l'csciìius  e  ì'esufius,  che  avrebbe 
generato  l'ipotesi  di  una  battaglia  cosi  lontana, 
cosa  poco  credibile  per  quell'epoca,  ne  sulla  pos- 
sìbile identità  di  questa  battaglia  con  la  seconda 
nominata  da  Livio  a  Trifanum,  presso  Minturne 
(\edi  per  tutto  ciò  De  Sanxtis  Storia  dei  Romani, 
II,  p.  265  segg.).  Di  Vescia  sappiamo  poi  che  fu 
annientata  dai  Romani  nel  314  a.  C,  quando  fu 
sedata  la  violenta  insurrezione  degli  Aurunci.  Se  il 
racconto  livìano  è  infarcito  di  particolari  di  assai 
dubbia  autenticità,  non  c'è  ragione  per  dubitare 
della  devastazione,  per  rappresaglia,  delle  due  città 
ausonie  di  Vescia  e  Minturne  (Livius  IX  25). 
Poi  più  non  risorse,  anzi  Plinio,  che  pur  nomina 
talvolta  le  città  distrutte,  come  rirae  forse  situata 
tra  Formìa  e  Minturne,  non  la  menziona  neppure 
nella  geografia   della  Regione  del  Liri. 


—    -ÌD    — 

II.  sparita  la  città,  il  nome  resta  al  territorio  (i); 

Ili.  le  fonti  storiche  ci  danno  alcuni  dati  per  determinarlo.  Infatti,  anzitutto  è  certa 
ia  vicinanza  di  Vescia  a  Minturne,  con  cui  è  sempre  nominata,  come  abbiamo  già  visto. 
Inoltre  Cicerone  nomina  ì'ager  Vescinns  tra  il  Fundanus  e  il  Falernus  (2),  e,  conservando 
l'ordine  geografico,  lo  viene  a  porre  nella  bassa  valle  del  Liri.  —  Strabene  pare  chiamasse 
da  Vescia  il  seno  dove  ha  foce  il  fiume  (3).  Ma  la  maggiore  determinazione  è  data  da 
Livio  negli  ultimi  passi  citati.  Egli  infatti,  a  proposito  delle  incursioni  dei  Sanniti  anzitutto, 
dice  che  questi,  venendo  dall'Appennino  centrale,  scendono  nel  territorio  dei  Vescini  per 
passare  nel  Falerno  e  in  Campania,  cioè  scendono  per  la  valle  del  Liri;  e  poi  nomina 
insieme  il  Vescino  col  territorio  di  Formia  la  cui  identificazione  sul  medesimo  golfo  è  cosa 
ben  certa.  E  anche  più  importante  pel  nostro  scopo  è  l'altro  passo,  relativo  alla  fonda- 
/.i(jne  di  Siniiessa:  Egli  dice:  ìtaque  piacili/  ut  duae  coloiiiac  circa  Vcscinum  et  FaUrnnm 
af(rum  deducerenlur ,  una  ad  oslium  Liris  fluvii,  quae  Menlurnae  appellata,  altera  in  sal- 
t  u  ni  Ve  se  imi  m  Falera  11  m  cont  ingente  m  ag  r  11  m  ,  ubi  Sinope  dicilnr  Grat-ca  10  bs 
/iiisse,  Sinitessa  deinde  a  colonis  Roman'' s  appellata  (4).  \Jager  Falernus  è  ben  identifi- 
cato, il  sito  di  Sinuessa  è  pur  certo,  alla  punta  estrema  del  Massico  verso  il  mare,  presso 
la  moderna  Mondragone  {5).  Da  questa  fonte  e  dalle  altre  che  la  confermano  abbiamo 
dunque  che  il  saltus  Vescinns  era  sulle  falde  settentrionali  del  Massico,  fino  al  mare.  Ab- 
biamo così  il  limite  meridionale  del  territorio  appellato  da  Vescia,  perchè  mi  pare  che  quel 
Falerniim  contingentem  agnini  più  che  come  una  determinazione  geografica  di  tutto  Vager 
Vescinns,  superflua  in  Livio  che  già  più  di  una  volta  lo  aveva  nominato,  debba  essere  inter- 
pretato:   in  quella  parte   Mei  saltus    Vescinns)    che    è   contigua   all'agci    Falernus,  cioì-  ai 

(i)  Numerose  le   testimonian/f  di  ciò,   .inzituttn  -ieconiìa.  in  sallu  l'escino  (\.\\.  X  21,7).  Poi  l'uft-r 

di   Livio,  pochi  anni  dopo  il   314  a.  C.   data  della  l'csiiniis    e    nominato    da  Cicerone  (de  Itge  agr. 

distruzione,  come  vedemmo,  della  città.  Nella  terz.i  II,  66). 

guerra  contro  I  Sanniti  infatti  per   ben   due   volte  ì'fsniiiis  rim.ise  inline  anche  come  nome  di  per- 
le schiere  di  i|uel!a  fortissima  popolazione   scesero  sona,  p.  es.  a  Capua  (C.  I.  L.  X,  4)g8). 
a  scopo  di  preda,  cosi  nei  296  a.  C:    dinn   itiiifio  (2)  \.\tgt-r  Jùilermis  e  hen  determinato  .1  N.  del 
lonsules  omiiisi/ue  romana  l'is  in  Etriiscum  helliim  Volturno    fmo  .il  M.isslco,  e  \ì\  è  il   confine   meri- 
maKÌs  inclinai,  in  Samnio  novi exenitus  exorti  ad  dion.ile  del  Lalium  aititulnin,  nella    cui    estremiti 
f>opnlandos  inipi-iii  h'omani  /ines,  f>ir  l'escinos  er.i  la  bella  valle  del  Liri  con  Vagrr  l'esiÌHHs{\  i\ . 
in  Campaniam  h'ahrnnmiiuc  aginm  Irastt-mlnnt,  Vili.  Cfr.  B1U.0CH  CainfuiHitH  p.   1). 
ingentesi/iii-  f>raiila\   faiiunt(\.W.   X,   io),  e    poi  (j)  Stkah.  V   254  ltv,«iaj»  tv  (OJr,a»  ■ 
neiraniio  seguente...  //(•<  ;//  Samnililms  adliuc  net  La  correzione    è    del    Cluvcrio.  e  mi   p 
/'«  l-Ururia  f>ax  I-rat  :  nani...  .Sainniles  />raedalum  iHrnchc  dn  molti  non  sia  accettnt^i,    pensando   ev>l 
in  agrntn    i'esi  in n  ni    /■urniianunh/nr   et  parli-  piuttosto  a  un'interpolazione. 
alia  in  .lisi-ininnni...  ili-suntlin-  (l.iv.  \  p).  L"u  (4)  Liv,   X,  il. 

allora  infatti  che  1  Rom.ini  fond.irono,  con  Rr.inde  (5)  Vedi  riassuntele  fonti  dal  Mommkkn  In  C. 

dlflicoltà  di  trovare  chi  <.\  and.isse,  le  due  ('o/K^fiVir  I.  !..  X   1,  p.    461.    Cfr.  pure    artlc.  .v 

maiiliinai-  di   Mintnrnai-  e  .S'ininssa.  La  prim.i  fu  Smith,  />ii  tiim.  0/  (,'rtet  and  A\>miin  i. 

sui  lui)»;,,  Ji'ir. Mitica  città    dello    stesso    nome;    la  II,  p.   i...>.S,  Nisskn.  //hA  Utndrut.  Il,  p.  664. 


-  56  - 

caii/nii  iiurii/iondli  dell' afrer  Wscinus  stesso.  Dall'altra  parte,  vt-rso  il  mare,  il  territorio  di 
Mintinnc,  sul  Liri,  doveva  esser  confine  naturale.  Anche  nei  suoi  limiti  più  estesi,  non 
credo  che  mai  sia  stato  possibile  che  là  il  territorio  Vescino  raggiungesse  il  fiume.  Resta 
a  determinare  il  confine  della  parte  «  a  monte  »  della  Valle  del  Garigliano,  dove  il  Massico 
si  avvicina  al  fiume  e  col  massiccio  della  Rocca  Monfina  chiude  la  valle,  tanto  che  il  fiume 
come  s'è  visto,  sbocca  nella  pianura  dopo  essersi  aperta  a  stento  la  via  tra  i  monti.  Ora 
a  levante,  alle  falde  della  R(jcca  Monfina  era  Sitessa  Aurimca  {i)  col  suo  territorio.  Ma  la 
testimonianza  epigrafica,  svelando  il  nome  delle  fonti  di  Sujo  in  aquac  Vescinae  (nome  che, 
trattandosi  di  una  città  da  secoli  sparita  al  tempo  dell'epigrafe,  non  può  essere  che  resto  di 

antichissima  denominazione  indigena)  ci 
dice  che  il  territorio  Vescino  non  solo  là 
raggiungeva  il  fiume,  ma  lo  passava,  esten- 
dendosi anche  sulla  sponda  destra  del  Liri. 
Qui  si  aggiunge  un'altra  testimo- 
nianza, finora  troppa  trascurata.  In  uno 
dei  disegni  (fig.  8)  che  accompagnano  il 
trattatello  di  Igino  (raccolto  tra  gli  scrit- 
tori gromatici)  (2),  rappresentante  \' adsi- 
i^ììalio  iiora  di  territorio  Minturnese,  è  raffigurato,  benché  assai  rozzamente,  il  fiume  Ga- 
rigliano  e  poi  il  giro  delle  mura  di  Minturnc.  Ora,  in  fondo,  sono  dei  monti  detti  Mons 
l'escili!  (,rVÌ:  ebbene  qLiesti  Monles  Vescini  non  possono  essere  (situati  così  sulla  sponda 
destra  del  Liri  e  nel  punto  in  cui  esce  nella  piana  di  Minturne)  che  quelli  di  Castelforte 
e  Sujo,  sovrastanti  alle  aqiiac  Vescinae,  che  da  essi  hanno  origine  (v.  fig.  i).  La  coincidenza 
non  può  esser  fortuita  e  quindi  possiamo  ormai  tenere  per  certa  la  fonte  del  disegno  del- 
l'opera iginiana  e  stabilire  che  Montes  Vescini  eran  dette  le  alture,  clie,  dirimpetto  alla 
Rocca  Monfina,  formano  la  riva  destra  del  Liri  e  su  cui,  nel  medioevo,  sorsero  i  castelli  di 
Ventosa,   SS.   Cosmo  e   Damiano,  Castelforte  e  Sujo. 


Fig.  8  —  Dall'opera:  HYGINUS  :  de  Ihmlibiis  cousli/ucndn. 
fig.  150  fcd,  Lachmann}. 


(i)  Per  le  fonti  su  Sessa  Aurunca  cfr.  C.  1. 
L.  X  I,  p.  465.  Art.  Suessa  Aurunca  in  Smith. 
Dici.  Zco!j:i'.  11  p.   1043. 

(2)  Hygini  Cromatici,  De  limitibus  consti- 
liiciidis  in  Cromatici  (ed.  Lachmann)  p.  178  fig.  150 
che  si  riferisce  a  quel  punto  del  testo,  dove  parla 
di  assegnazione  di  terra  ai  veterani  di  Augusto  in 
antiche  colonie,  come  a  MÌ7itì(rnac.  Del  disegno  si 
occupò  A.  SCHULTEN  in  Ròtnischc  Fìurharten 
[Hermes,  XXXIII  (1898)  p.  534  segg.]  che  ne  ri- 
vendicò l'ottima  fonte,  di  epoca,  pare,  Augustea.  Lo 
Schulten  interpreta  abbastanza  esattamente  la  que- 


stione dei  Montes  Vescini:  ma  estende  troppo  a 
occidente  questo  territorio.  Quanto  poi  alla  sua  Idea 
che  l'antica' -l//////»;/;;;-  non  fosse  sul  fiume,  dove 
se  ne  osservano  ancora  importanti  ro- 
vine e  dove  furon  rinvenute  le  epigrafi 
col  nome  della  città,  ma  alcuni  chilometri  a 
occidente,  presso  Traetto  e  che  il  Liri  abbia  li  cam- 
biato il  suo  corso  (idea  accettata  da  R.  Kiepert  nel 
testo  alla  Tav.  XX  della  nuova  edizione  dell'Atlante 
di  H.  Kiepert)  confesso  francamente  che  non  riesco 
a  capire  da  qual  ragione  lo  Schulten  sia  stato  in- 
dotto a  fare  una  così  curiosa,  insostenibile  Ipotesi. 


-   57  — 

Riassumendo,  abbiamo  ora  ben  determinati  i  confini  dell'agro  Vescino.  che  dai  colli 
alla  destra  del  Liri,  si  stendeva  nella  pianura  s<jttostante,  stretto  tra  i  territori  di  Sessa 
Aurunca  a  ponente  e  di  Minturne  nella  parte  orientale  del  lato  settentrionale,  e  che  rag- 
giungeva il  mare,  denominando  forse  esso  quel  seno  del  Cajelanus  sinirs  (golfo  di  Gaeta)  e 
terminando  ai  confini  stessi  del  Latium  novum,  al  Massico  cioè  che  lo  divideva  à.t\Vager 
Fakrmis,  e  a  Sinuessa,  che  apparteneva  ancora  al   Lazio  stesso  (i). 

Insoluto  resta  tuttavia  (e  rimarrà  tale  certamente  finché  scavi  metodici  e  tanto  desi- 
derati nella  inesplorata  regione,  non  permetteranno  di  identificarne  il  sitoi  il  problema  del- 
l'ubicazione di  Vescia,  di  cui  già  nell'età  classica  non  doveva  rimanere  più  traccia.  Ciò  non  ha 
impedito  che  intorno  ad  essa  si  sbizzarrissero  i  geografi,  specialmente  locali,  che  hanno  portata 
in  giro  la  città  per  tutta  la  bassa  valle  del  Garigliano  (2).  Mancando  cosi  di  dati,  perchè, 
come  s'è  visto,  tutte  le  indicazioni  da  noi  possedute  si  riferiscono  soltanto  al  territorio,  in 
un  tempo  in  cui  Vescia  era  distrutta,  non  mi  arrischio  a  parteggiare  per  l'una  o  per  l'altra 
teoria.  Solo,  e  puramente  come  ipotesi,  credo  sia  più  verisimile  immaginare  Vescia  sulle 
alture  della  sponda  destra  del  Liri  e  pensare  col  Cayro  e  col  Corcia  al  sito  presso  cui  sorse 
p<ji  Castelforte.  Ciò,  non  certo  per  l'essere  io  allettato  dall'esistenza  in  quei  pressi  delle  Acque 
Vescine;  ma  perchè  è  più  verisimile  che  la  città  Ausonia  sia  stata  in  sito  forte  e  presso 
il   fiume,  e  che  di  là  i  suoi  abitanti  siano  scesi  alla  conquista  del  territorio  sottostante  della 


(  I  )  Sinuessa,  extremum  in  adiecto  Latto.  Plin. 
A'.  //..  IH,  59.  lo  col  Bkloch  {Camfxinien  p.  l| 
e  col  NissKN  i./t.  /,««(/.,  II,  665)  credo  HJust.i  per  II 
tempo  che  "studiamo  la  dellmit3zìr)ne  Pllnlana  (Cfr. 
.Mela,  II,  4  §  9;  Strah.  V,  210)  mentre  II  Momm- 
SKN  (C.  I.  L.  X,  p.  465)  propende  per  crederla  Caiii- 
fiania,  mettendo  sempre  il  contine  del  Latium  al 
/.iris. 

K  noto  a  proposito  del  saltus  l'esrinus,  come 
H.  KiKPERT  nel  suo  .-Ittas  antii/iius  (1882)  lo 
Identllichl  senz'altro  con  il  massiccio  della  Rocca 
Montina,  (Tav.  VIII)  come  è  poi  conf'.'rmato  nel- 
l'Indice dei  nomi  (.1  p;iK.  24).  iJa  ijuanto  si  è  vi- 
>lo,  essendo  l'Acro  Vescino  sulle  due  rive  del 
lìume,  l' Ipotesi  del  Klepert  seRuita  pure  da  altri 
studiosi,  non  avrebbe  ostacoli  gravi;  ma  d'altra 
p.irte  imn  mi  pare  ci  siano  ragioni  per  estendere 
di  pili  II  nome,  ijuando  II  territorio  da  me  deter- 
niln.ito,  e  tutto  .'iccerlato  sulle  antiche  testimo- 
ni.in/e,  è  già  l.uito  v.isto  e  k|uandi>  proprio  alle 
laide  del  vulc.mo  er.i  l'altra  Importante  cIttA  Au- 
runca di  .Insana,  poi  l.i  colonl.i  di  .Sufssa  .-In- 
I  lima. 


(2)  Queste  ipotesi  possono  dividersi  in  due  gruppi, 
secondo  che  Vescia  è  posta  sulla  riva  sinistra  o 
destra  del  lìume.  Assai  più  numerosi  e  autorevoli  i 
sostenitori  della  prima  ipotesi  invero,  guidati  dal 
p.isso  di  Livio  circa  la  fondazione  di  Sinuessa,  che 
però,  come  si  è  visto,  non  dice  nulla  in  proposito. 
Cosi  il  Pellegrino  (i6si)  ((awf/.  Hit:.  I,  p.  1)2) 
la  pose  nel  contado  di  Sinuessa),  «per  alcune  miglia 
entro  terra...  ai  piedi  del  Massico»;  il  Pratiii.i 
(1745)  ('''«  .-Ippia,  p.  162)  ai  villaggi  di  Carano  e 
Pimonte.  nella  quale  ipotesi,  nonostante  la  sua  poco 
bell.i  fama,  si  rivela  assai  onesto,  soggiungendo  : 
«  benché  di  ciò  cerlez/a  veruna  non  si  abbia,  essendo 
per  altro  indubitato,  che  in  questa  vicinanza  era  II 
territorio  Vescino  •.  A  lui  si  associa  il  Dk  Mani  (1761) 
(.sy.  degtì  .Inninii,  p.  266).  Seguono  il  (;ksi'ali>o 
{(hs.  atta  ria  Appia  dd  J'ratiltì,  p.  4qs)  che  la 
pens.1  nella  pianura  a  sinistra  del  Liri  dove  \-rJe- 
v.insl  delle  rovine,  distrutte  nel  iC>q2,  (orse  Jl 
qualche  semplice  villa  romana.  Il  Uomanklli  (i8ig) 
(  TofHìgr.  ist.  dtl  rrgno  di  htapi'H,  I.  p.  4Jj)  che 
è  d'accordo  con  I  cit.itl  autori  per  I.1  f.ilda  del  Mas- 
sico, il  ("irKi'i  \SI.  <1lt,ì  di    r>,utr,'.  iS^i.  p   (mì\ 


.inutniti 


-58- 

pianura.  Perchè,  se  il  fiume  era  un  ostacolo  Mirandissimo  a  cif'j,  essendo  d'altra  parte  un 
fatto  indiscutibile  che  \'ai;er  l'fscìiiiis  occupava  là  le  due  sptjnde,  troverei  più  difficile 
spiegare  la  conquista  del  territorio  montuoso  sulla  sponda  destra  del  Garigliano,  per  una 
città  posta  sulla  pianura  della  sponda  sinistra  o  sulle  colline  che  la  chiudono  dal  lato  di 
mezzoj;iorno.  E  mi  aLij^uro  che  presto  l'archeologia  ci  risolva  l'elegante  questione! 


* 


Resta  il  secondo  quesito. 

Tra  le  epigrafi  di  quale  città  collocheremo  noi  queste  di  Sujo.'  Cioè  a  qual  territorio 
appartennero  in  epoca  romana  le  a(/uae  Vcsclnae.''  La  risposta  è  difficile,  tanto  che  il 
Mommsen  stesso  la  evitò,  formando  nel  X  volume  del  Corpus  Inscriplionum  iMhiarum  (i) 
1111  capitolo  speciale  per  quelle  iscrizioni  che  son  trovate  nel  territorio  che  noi  studiamo  e 
precisamente  nei  Cumuiii  di  S.  Cosma  e  Damiano,  Castelforte,  Coreno  e  Le  Fratte  (ora 
Ausonia).  Hjili  però  propende  per  vedere  qualche  rehizione  con  Interamna  Ltrenas:  gli  pare 
infatti  vere  regio  haec  pertica  Inleramncnsi  comprehensa  fuisse,  anzi  parlando  di  Interamna 
stessa  è  più  esplicito,  (2'i:  ulterius  Minturnas  versus  rc/erlos  (litulos)  quamquam  et  ipsos 
InteraiinialiDìi  esse  indico  tamcn  separavi,  il  che  dimostra  come  al  Mommsen  stesso  la  sua 
ipotesi  che  egli  non  appoggia  con  nessun  forte  argomento  sembrasse  poco  convincente. 

lo  credo  che  molta  luce  su  questo  fatto  possa  esser  portata  dalle  carte  medioevali. 
Noi  possediamo  infatti  Lina  carta  del  1014  che  già  abbiamo  citato,  detta  piacilo  di 
Castro  Argento,  per  comporre  una  contesa  tra  il   Conte  di   Traetto  e  l'abate  di  Montecas- 


che  dice:  «altri  con  m.-igsiore  verità  e  fond.Tmento 
dimostrano  essere  stata  nella  sinistra  parte  del  Liri 
non  molto  da  Minturno  distante  ».  Infine,  tra  i  mo- 
derni, il  Mommsen  {C.  I.  L.  X,  465)  ne  parla  come 
di  una  città  probabilmente  stata  nel  territorio  di  Si- 
nuessa,  come  pure  II  Nissen  (//.  Lamiesl;.,  II, 
p.  663)  che  afferma  la  città  doversi  cercare  al  Mas- 
sico. E  potrei  senza  difficoltà  continuare,  se  ne  va- 
lesse la  pena.  Si  scostò  inx'ece  da  tutti  questi  pen- 
sando Vescia  dalla  sponda  opposta  del  fiume  il  dili- 
gente Pasquale  Cayro,  nel  suo  Lazio  vecchio  e 
nuovo  (1816)  pur  non  privo  di  errori,  come  quando 
Slnuessa  è  identificata  con  Sessa  (Il  3 18).  Lo  seguì 
il  CORCIA  nella  Storiti  delle  Due  Sicilie,  (1843)  I, 
p.  495.  Essi  si  basarono  sulle  testimonianze  di  Igino 
e  sulle  idee  già  espresse  dell'uso  delle  acque  di 
Sujo  da  parte  di  Plotino.  Anzi  il  Corcia  quasi 
intuì  che  queste  avessero  qualcosa  di  comune  con 
Vescia.   «  PI(jtino...  risto^a\^l^i   nelle  acque  calde  e 


minerali  che  tuttavia  rampollano  dall'una  e  dall'al- 
tra sponda  del  Liri  da  Mortola  a  Sujo  ed  è  molto 
probabile  che  in  queste  vicinanze  sorgesse  un 
tempo  la  città  di  Vescia  »,  e,  pensa  al  monte 
su  cui  fu  poscia  edificato  Castelforte,  come  monte 
Vescino.  Il  Cayro  e  il  Corcia  danno  naturalmente 
come  ipotesi  la  loro  idea,  che  in  un  loro  seguace, 
il  RiccARDELi.i  (Memorie  storielle  detta  città  di 
Traetto,  p.  63),  un  Pratilli  altrettanto  più  fanta- 
stico, quanto  meno  acuto,  di\-iene  certezza  assoluta, 
non  si  sa  per  quali  ragioni. 

(i)  C.  I.  L.  X,  p.  529.  Tra  le  epigrafi  ivi  raccolte, 
non  se  ne  trova  alcuna  che  abbia  importanza  per  noi. 

(2)  C.  I.  L.  X,  p.  525.  Il  SiGLfN  nel  suo  .-ìttas 
Antiqiuis  (tav.  25-a),  per  quanto  si  può  giudicare 
dalla  giusta  posizione  dei  colori,  assegnerebbe  a  /«- 
teranma  solo  il  territorio  dove  è  Castelforte  e 
Sujo  ;  mentre  invece  metterebbe  con  Mititurnae 
tutt.i  la  \alle  delTAusente  e  quindi  Le  Fratte. 


—  59  — 

sino,  per  i  confini  dei  loro  territori  (i).  Il  primo  portò  in  sostegno  delle  sue  pretese  due 
bolle  papali  di  Giovanni  Vili  e  di  Giovanni  X,  che,  alla  fine  del  sec.  IX  e  al  principio 
del  X,  per  animare  il  Duca  di  Gaeta  alla  lotta  contro  i  Saraceni  (prò  eo  quod pugnalerai 
et  pagliare  devebat  Saracenos),  particolarmente  minacciosi  alla  foce  del  Garigliano,  avevano 
fatto  donazione  al  Duca  stesso  dei  territori  di  Fondi  e  di  Traetto  già  di  Santa  Chiesa 
(lolum  et  inclìlum  palrimonium  Iraieclanum  cum  omnibus  sibi  periinetUìbiis...  de  romanis 
populisque  eral  sub  iure  romane  ecclesie).  Ora,  non  curandoci  del  territorio  Fondano,  tro- 
viamo che  di  quello  Traettano  si  segnano  i  confini,  che  dalla  parte  del  Garigliano  corrono  : 
super  duos  leones  et  usque  ipsa  caldana  putida  que  est  posila  super  Gareliano.  cioè,  come 
s'è  visto,  le  acque  di  Sujo.  Dunque  fino  a  qui  giungeva  la  giurisdizione  Traettana. 

Vediamo  un'altra  testimonianza. 

Nel  II 58  Adriano  IV  pubblica  una  bolla  in  conferma  di  altre  di  Pasquale  li  e  dei 
successori,  in  cui  fissa  ii  territorio  della  diocesi  di  Gaeta,  la  quale  già  da  qualche  secolo 
comprendeva  anche  l'antica  diocesi  Minturnese,  a  lei  riunita  al  tempo  di  S.  Gregorio 
Magno,  per  la  desolazione  in  cui  era  caduta  (  2).  Or  bene  i  confini  della  diocesi  dalla  parte 
che  ci  riguarda  sono  segnati  da  una  linea  che  va  inlcr  duos  leones,  deinde  ascendit  per 
montes  decurrens  usque  ad  caldariam  putidam.  E  tra  gli  oppida  che  il  Papa  ricorda  inJer 
hos  fines  sono:  Traieclu,  Siiju,  Fracte ;  cosa  confermata  anche  dal  fatto  che  tra  le  chiese 
nominate  una  per  una  vediamo  quelle:  .S'.  Lucae  in  C/tpano  {presso  Castelforte;,  S.  lìrasmi 
in    Valle  Suji,  e  S.  Egidi  iuxta  caldanas. 

Da  queste  testimonianze  ricaviamo  che,  verso  l'anno  1000,  la  giurisdizione  ecclesia- 
stica e  la  feudale  di  Traetto  si  estendevano  su  un  identico  territorio  e  che  questo  com- 
prendeva le  terre  che  ora  studiamo.  Se  consideriamo  jx)i  le  abitudini  conservatrici  della 
Chiesa  nella  divisione  delle  diocesi,  il  fatto  che  questi  paesi  erano  ridotti  in  a.ss;>i  tristi 
condizioni  e  quindi  immersi  in  una  vera  stasi  di  vita  e,  d'altra  parte,  se  pensiamo  che  il 
territorio  donato  da  Giovanni  Vili  ai  Duchi  di  Gaeta  alla  fine  del  sec.  Vili  era  certo  da  molti 
secoli  patrimonio  della  Chiesa  (3),  dovremo  giungere  alla  conclusione  che  il  territorio  in  que- 


(1)   Codex    />if>lomiitiiiis    Ctlii-tiiiiiis,     I,    p.    J44  (ji    VcJl   k-   U-.liMi.ini.iii/c    m  tutu    |.>iv    ni.); 

sin).    C:istri)    ArRcnt'i   è  un   c.istelln,    ora   diruto,  S.  Fkhraho,  .lAw. /r/ù'.  «•  (•«•»7i  </i  r.'in-Ai  I  p.  ioi. 

priiprli)  ;i  dostr.i  Jcll.i  foce  del  G.-irÌKll.'ino,  Tr.ictto  (ji   Li  chles.i   rnm;inii    posscdev.i  nel   territoriu 

è,  Come  è  noto,  un  luogo  che   sorse    presso    Min-  Jl    Mlnturne  una  certa  tMius,i  S/,tti/ìitmi  lino  J.il 

turne  dopi)  la  dlslru/.ionc  di  iiuest.i  cllt.^  (v.,  p.  es.,  iv  secolo  (/.lA-»  fk>nliHi,ìUs,  Vita  di  S.  Silvestro, 

CiuiM-i,  Afimorie  slor.    della   dita   di    Trnftlo).  «■./.  Duchksnk  I,  p.  186).  Poi  I  possedimenti  Jo- 

Il /»/<»(  ;V<>  fu  conchiuso  con  grande  solennità  :  tra  I  vettero  andare   compresi   con    molti    .lUrl    sullo  II 

personaRitl  intervenuti  ricordiamo  PaldoKo  II  prln-  nome   di   ^ilhimmiuiM   della   C.imp.«ni.T;   m.i  nel 

cipe  di  Capua.  Sergio    IV     Duca  di  N.ipoll,  l'.in-  Slnixlo  di  Ravenna  dell'anno   877    »                   tra 

dolio    Arcivescovo  di    Capua,   Atenolfo  Ahate   di  gh   •>Url    l'etti   della   clileNa,   questo  /„....,.„*«» 

Mtintec.isslno,    Oauferio   Conte   di    Traetto,    Ber-  7>-iff<-<7i>w«>w  (c(r.  Kkiik, /Ai/i<i  /Vw/i/f.  m  II  p.  s; 

nardo  Vescovo  di  (Jucta.  e  altri.  Raiil  Faukk,  /V  fkitrimomis  A'.  A.  p.  yo). 


—  r,o  — 

stione  doveva  formare  un  tutto  inseparabile  sin  da  molto  tempo  prima.  Ma  Traetto  non  è 
che  il  misero  erede  di  Mintiirne,  le  cui  memorie  durano  fino  al  tempo  di  S.  Gregorio 
Maj;no;  quindi  il  territorio  Traettano  non  può  essere  che  il  Minturnese.  Naturalmente  questa 
non  è  che  un'ipotesi  ;  ma  mi  pare  abbia  delle  conferme,  sia  dalla  logica  dei  fatti,  sia  dalle 
testimonianze  antiche. 

Se  l'agro  Vescino  infatti  oltrepassava  il  Liri,  è  poco  probabile  che  i  Romani,  fondate 
le  colonie  di  Sinuessa  e  di  Siiessa,  non  abbiano  fatto  terminare,  al  più,  al  fiume  il  territorio 
di  que.ste:  vediamo  intatti  che  in  tutta  l'età  .seguente  il  Garigliano  è  uno  dei  confini  più 
stabili.  Tra  /ìi/crainna  l.innas  e  Minlurnae  poi,  le  comunicazioni  geografiche  e  la  ten- 
denza al  mare,  dovevano  orientare  in  antico  come  ora  i  paesi  dove  sorsero  poi  Le  Fratte 
(^  Ausonia!  e  Sujo,  verso  Minturne,  per  la  quale  pure  le  comunicazioni  sia  per  \'ia  di 
terra  che  fluviale  erano  facilis.sime  ^ii. 

Così  Lucano,  nel  verso  citato,  quando  parla  del  Liris,  Vescinis  impulsiis  aquis,  per 
determinare  il  luogo,  si  serve  poeticamente  delle  selve  di  Marica,  dea  locale  e  caratteristica 
di   Minturne,  quasi  a  ricordare  che  le  a</Hac    Veschiae  erano  nel  territorio  di    questa  città. 

Concludendo,  mi  pare  che  le  carte  medievali,  dando  un'idea  cosi  chiara  dei  confini 
del  territorio  di  Traetto  nel  basso  medioevo,  appoggiate  dalla  difficoltà  di  pensare  modifi- 
cazioni nell'area  di  questo  territorio  e  anzi  dalla  probabilità  grandissima  che  esso  continuasse 
immutata  l'area  di  quello  dell'antica  Minturne,  .siano  di  tale  importanza  da  farci  credere 
logico  il  porre  le  epigrafi  raccolte  in  gruppo  separato  dal  Mommsen  e  così  pure  natural- 
mente quelle  che  qui  vengono  pubblicate,  non  tra  le  Interamnati;  ma  tra  le  Minturnesi. 
Perchè  alle  ragioni  storiche  corrispondono,  e  in   modo  decisivo,    anche    quelle    geografiche. 


11. 

«  Vmbrosae  regna  Maricae  » 

Studiando  le  aqiiac  l't-sriìiac,  si  è  avuto  occasione  di  ricordare  i  \ersi  Lucanei  in  cui 
sono  nominate  e  localizzate.  L'indicazione  dell'ultimo  tratto  del  cor.so  del  Liri  è  fatta  così 
dal    Poeta  :   in>ibrosac  rri;Ha   .l/ai/fae. 

Marica  era  infatti  assai  nota  agli  antichi.  Il  passaggio  dell'Appia  sul  Liri  a  Min- 
tLirne.  la  fuga  di   Caio   Mario  per  le  paludi   Minturnesi,    attrassero  sulla    ninfa    l'attenzione 


(i)  Il  Liri  era  nn\ij;aliile  neH'.iiitichità.  (cfr.  per  ricorda  che  nel  1068  Pab.ite  Desiderio  portò  da  Roma 
es.  Dii^csfo,  ij,  Uh.  ig,  tlt.  11").  E  così  rimase  nel  per  mare  e  poi  per  fiume  fino  a  Sujo,  marmi  e  co- 
basso  Medioevo,  l.a  citata  f">(«/;V-(;  .l/i;;/.  Casiiinisis  lonne  pel  Monastero  Cassinese.  Nel  11 15  poi  si 
(in  .ìfoii.  Cerili,  hisl..  \'ii,  p.  ìsi  sej;.),  per  esempio,  nomina  un  portiis  de  Saio.  E  così  via. 


—  oi- 
di scrittori  e  di  poeti.  Il  suo  nome  divenne  inseparabile  da  quello  di    Minturne   e   spesso 
servì  a  designare  senz'altro  il  territorio  di  questa  città  (i). 

Si  è  già  accennato  nel  capitolo  precedente  alla  ubicazione  di  Minturne,  situata  con 
certezza  sul  fiume,  a  due  chilometri  circa  dalla  foce.  Il  lucus  sacro  alla  dea  si  estendeva 
tra  le  mura  della  città  e  il  mare  (Caielanus  siniis)  e  11  doveva  esser  pure  il  tempio  (2). 

Se  le  fonti  letterarie  davano  sicuri  dati  sulla  questione,  novella  luce  fu  portata  anni 
fa  dalla  scoperta,  proprio  sulla  sponda  destra  del  Garigliano,  a  circa  2CX3  m.  dal  mare,  nella 
località  chiamata  «.le  Grolle»  già  nota  sin  dal  1828  per  alcune  scoperte  archeologiche  (3), 
di  una  base  di  marmo,  assai  rovinata  ;  ma  in  cui  chiaramente  si  leggeva  il  nome  della  dea. 

MAR  ICA  E 
p    D 

I LIVIVS 
MVCl  I  N  I  S 

///// 

Giunto  purtroppo  tardi  per  poterne  tentare  la  lettura  la  riporto  nel  modo  come  è  stata 
edita  anni  or  sono  (4)  : 


(1)  Oltre  al  passo  di  Lucano  (Phars.  II  424), 
abbiamo  numerose  testimonianze  degli  antichi.  Cosi 
per  i  rapporti  con  Mintiirnaf,  cfr.  tra  gli  altri  : 
HoR.  Carni.  Ili,  17,  7,  col  commento  di  Porf-hv- 
Rius;  Maktiai,.  X,  30,  8;  ScH.  ad  Aen.  VII,  47 
(Sen>ius) ;  Sch.  ad  Augustini  Civ.  Dei,  II,  2} 
[Vedi  F.  Boll,  Miriai  in  Arihw  filr  h'fli.i^ions- 
wissnischa/l,  iQio,  p.  567]. 

Il  Santu.irlo  consisteva  In  un  liinis  s.ncro,  dove 
si  diceva  sepolta  la  ninfa  (Vin.  Skq.  s.  :•.  Minai), 
assai  spesso  nominato  (p.  es.  Marx.  XIII,  8); 
/,im  giwm  Silva  Maricae  protegil,  e  gli  altri  passi 
citati).  Pare  fosse  un  iiU'-T'^'-'t''  (Claudianus,  rutifg. 
in  l'robiiin  ci  (>tyh.,  20Q :  t/nfrrfla  .Wiiritnt-),  d.il 
quale  ciò  che  vi  era  stato  Introdotto  non  potev;i 
esser  più  port.ito  vl.i  (Pi-ht.  Marins,  jg). 

Cfr.  per  lutto  I'ottikr  In  IIii.d,  /ììiIìhh,  dfs 
anlii/.,  \\\'\  KO^j  (i()04);  Pkter  In  KosriiKR, 
Auslìihrl.  I.ix.  (litui.  Mvlli.  Il,  2J75;  Priu.i.i:r- 
Jni(i)\\,  t\iim.  Mvtli.,  I,  )86,  412,  .1  cui  rimando 
anche  per  la  restante  bihilogratìa. 

(2)  Straii.,  vi.  p.  J2I.  descrivendo  il  corso  del 
Llrl,  d.'il  monte  al  mare:  sxnintit  [h  .\:Tpi(]  ò'iì< 
aXaot  iipòv,  Tiiit^jiiivov  RipittA;  ùitò  T<3v  iv  Mivtofip* 
vai(,  ùi(oxii|iivov  tf}  ;;óXii  (v.   (ìg.    1).   CJt.  ViitlUs 


Sequester  {s.  V.  Liris)  :  chìus  ftumims  in  ripa 
nymphae  Maricae  tcmplitm  est.  Li  fu  dedicato 
Vc.x  voto  di  Clio  Mario  (Pll-t.  Mar.,  40).  dopo  b 
sua  fuga  per  le  paludi,  che  dovev.ino  allora,  più 
.assai  che  .idesso,  fiancheggiare  il  Liri  .illa  sua  foce 

(v.    VeI.L.    PaTERC,    II,    IO,    2;    .\UGUSTIMJS,    /V 

Cii'it.  Dei,  II,  27  e  per  tutto  Bang,  Marims  in 
Minliirnae  in  Klio,  X  (1910),  p.  178).  Queste 
paludi  sono  del  resto  nominate  da  altri  scrittori, 
p.  es.  SciioL.  ad  Lucani  Phar.  Il,  424  (p.  74 
ed.  Usener):  /.iris  per  palutles  Maricae  in  mare 
eJfiiHili/itr.  Ed  anche  l'aria  era  cattiva  :  .Uiitnmae 
KriK'es  (Ovin.  Metam.,  .W,  716). 

(j)  Cfr.  Degli  scafi  ili  antickilà  nelle  province 
di  Terra/erma  de  ir  antico  Re^no  ài  Sapoli  dal 
ij4_ì  al  tSyó,  p.  )o8  (relazione  Ciuffi  del  27  set- 
tembre 1841). 

(4)  Laurf.nt-V'ibert  e  Piganiol,  /nscrip/iones 
de  .MintHrnes  In  MflaHfe%  d'ar,  hcid.  et  d'Hisl. 
XXIV  (1904).  p.  )2J-  Il  Cippo  cr.t  alto  m.  1,  larK« 
m.  0,40.  Devo  purtroppo  render  nolo  che,  ndU 
mia  visita  al  luogo,  seppi  dall.i  '  '  '    poveri 

Contadini,  p.idronl  dcll.i   tcrr.i,   ..'    ,  .  >  fa,  (u 

dfl  quegli  Incoacentl  Jistnitlo,  per  nvcr  pietra  tl.i 
impiegare  nella  costruzione  Jl  una  ca-telUi. 


—   62   — 


gpnx 


M  A  (15  K  /\  •  /n'  F  ?*  If 


^'>K*  '>  —  Swtil^zu  ^.clU  barella  JuJicato  a  Marica. 


Nil  luogo  istosso  Pietro  Fedele  rinvenne  tempo  fa  un  nuovo  sing^'lare  monumentino (fig.  91, 
restato  finora  sconosciuto  (i):  un  parallelepipedo  di  terracfjtta  assai  compatta,  lungo  m.  0,1 1, 

largo  m.  0,075,  ^lt<J  m-  0,035,    alalia  su- 
perficie perfettamente  liscia,  il  quale  pre- 
senta sulla  faccia  su|X;riore  un  incavo,  di 
forma  tendente  al  mezzo  cerchio  anterior- 
mente (m.  0,075  X  0,045)  profondo  mezzo 
centimetro    circa    e    dai   margini  ben  ta- 
gliati. Si  tratta  dunque  evidentemente  di 
una  base  di  statuetta,  in    cui  questa  era 
incastrata. 
La  faccia  anteriore  poi  presenta,  su  due  linee,  un'epigrafe  profondamente  graffita,  lunga 
m.  o,oS,  con  lettere  ben  disposte,  alte  m.  0,007  nella  prima  e    m.    0,005    nella   seconda 
riga.   Ne  presento  un  facsiiuilc  da  me  eseguito  con  ogni  possibile  esattezza  : 

M  A  K I  e  /A  •  P  E  P I  • 

L'epigrafe  dice  dunque:  G(aìos\  Caru(l)Uo{s),  G{ah  /{ìlios),  Marica  dede{l)  e  si  rivela 
una  dedica  alla  Ninfa  minturnese. 

La  forma  delle  lettere  e  la  lingua  ci  dicono  subito  che  siamo  in  presenza  di  un'epigrafe 
latina  arcaica.  Circa  alle  lettere  infatti,  vediamo  come  l'A  abbia  la  sbarra  traversale  disposta 
parallela  ad  una  delle  zampe,  come  l'O  sia  leggermente  aperta  alla  base,  come  la  R,  TV 
e  l'L  abbiano  una  forma  primitiva.  Anche  più  caratteristiche  l'ortografia  e  la  lingua,  in  cui 
notiamo  : 

r  il  nominativo  singolare  della   11  declinazione  in  os.  con  omissione  nella   scrittura 
dell'j  finale; 

2"  il  dativo  singolare  della   1   declinazione  in  a  lunga; 

3"  la  forma  dcdet  della  3'  singol.  dell'indicativo  perfetto  di  do,  con  omissione  nella 
scrittura  del  /  (2). 

A  cui  si  può  aggiungere  : 

4°  l'ortografìa  di    Car////ius  con   una  sola  /. 

(1)  Il  Fedele,  che  rlnsrazio  per  la   pubblicazione  nel  suo  villino  Ji  Minturno. 
gentilmente  concess.mii,  lo  conserva  nella  sua  pie-  (2)  Venimente  l'ultima  lettera,  assai  corrosa,  non 

cola,  ma  importante  collezione  di  antichità  niintur-  si  legge  chi.iramente  e  potrebbe  forse  anche  essere 

nesi  che,  con   intelletto  d'amore,    va   raccogliendo  un  /.   d.indo  la  forma  dtdi{/). 


-63- 

Se  confrontiamo  dunque  queste  particolarità  con  quelle  delle  epigrafi  già  note,  resta  accer- 
tato come  il  monumentino  sia  databile  al  principio  del  VI  secolo  di  Roma(i).  Minturne  infatti 
era  posta  sulla  più  grande  delle  vie  romane  e  doveva  seguire  passo  passo  l'evoluzione  della 
metropoli;  quindi  in  nessun  modo  credo  si  possa  pensare  a  una  data  più  recente  della 
guerra  Annibalica.  Ora  la  storia  della  città  ci  dice  che  una  colonia  Romana  fu  ivi  fondata 
nel  297  a.  C,  insieme  con  Sinuessa,  per  difendere  il  litorale  e  ripopolare  la  regione  Au- 
runca  devastata,  come  abbiamo  già  veduto  (21.  La  nostra  iscrizione  dunque  viene  a  porsi 
cronologicamente  al  primo  posto  tra  quelle  della  colonia   di    Minturne  e  della  sua   dea  (3). 

Che  Marica  fosse  venerata  al  III  secolo  a  Minturne,  noi  già  sapevamo:  Livio  in- 
fatti, tra  i  prodigi  avvenuti  nell'anno  547  a.  u.  e,  207  a.  C,  ne  ricorda  uno  nel  bosco 
di   Marica  :  si</>  unius  prodigii,  ut  fil,  menlionem  alia  quoque    nuntiata  :  Meniurnis  aedem 


(1)  L'alfabeto  corrisponde  a  quello  tipico  del 
Cagnat  pel  VI  secolo  {Epigr.  latine,  p.  3),  con 
qualche  carattere  più  arcaico,  del  v  sec,  cosicché 
mi  pare  che  il  inunumento  sia  del  periodo  di  pas- 
saggio dall'uno  all'altro,  del  principio  cioè  del 
sec.  VI.  Le  particolarità  poi  sono  già  note  tutte 
per  la  forma  arcaica  della  declinazione  e  compo- 
sizione latina  (cf.  Stolz,  Histor.  Cramm.  der 
lateinischcn  Sprache,  I  (1894),  p.  37),  che  doveva 
essere  quella  di  Plauto,  giunto  però  a  noi  con 
tutti  gli  ammodernameuti  posteriori.  —  L  certo 
anche  l'uso  di  scrivere  scempie  tutte  le  conso- 
nanti doppie  (Stolz,  p.  93).  Ma  più  di  tutto  ser- 
vono i  confronti  epigrafici.  Cosi  p.  es.  l'Iscrizione 
della  Cista  Ficoroni,  riportabile  per  dati  archeolo- 
gici alla  metà  del  in  sec.  a.  C,  ha  caratteri  e 
lingua  assai  simili,  con  ortografia  forse  meno  arcaica 
(KoKRTE,  in  Paulvwissowa,  A'.  E.  V,  151,  CI.  L. 
I.  430=  XIV,  4104).  E  con  essa  va  una  grande  quan- 
tità di  cpigr.ifi  della  necropoli  di  Praenesle  del  v 
e  VI  sec.  di  Roma  (C.  I.  L.  I,  64-35  -  XIV,  5046- 
3310.  Noi.  Si-avi,  1907,  p.  24  segg.,  141  segg.), 
clif  prfsent.mo  ia  stess.i  orto(;r.ifi.i  ;  (.  Aiilio  per 
(  .  .Iiiliiis,  per  esemplo.  Ma  più  di  ogni  .litro  con- 
fronto, è  ovvio  quello  con  l.i  dedica  su  una  tcrr;i- 
cott.i  del  Museo  di  Napoli,  d.i  l'ales,  a  pochi  chi- 
lometri d.i  Minturne;  (iaios)  lliiioteio{x).  (i'(ai) 
l(i/>ert(n),  .ìpo(l)lone  dono  dfd(it),  dat.'ita  .il  tempo 
delle  guerre  Puniche  (Krrsciil.,  (>/>.  /'AH.,  p.  Sio 
=  C.  I.  !..  r-"  199  X,  4632  DiKlli.,  io);  quelli' 
Coli  un.i  dedica  alla  /ùirtioia  di  /Vaeneslt  del  prlii. 
pio  del  IV  sec.  (C  1. 1  .  I.  1 1 1  il  e  più  .incora  qurlln 


con  una  serie  di  iscrizioni  su  basette,  trovate  in  un 
bosco  sacro  presso  Pesaro.  In  esse  non  solo  sono  let- 
tere dalla  forma  spesso  identica  al  monumento  di  Min- 
turno;  ma  anche  le  stesse foime  morfologiche,  così  il 
nominativo  singolare  della  II  deci,  in  o,  per(7j(p.  es. 
Tetio,  Popaio.  C.  I.  L  I.  n.  169  e  178),  il  dativo 
singolare  della  I  deci,  in  <j  lunga  (Matuta,  /Mucina, 
n.  171  e  177);  Così  la  stessa  forma  verbale  dfrf/(<] 
(n.  169).  Né  basta  ;  ma  in  una  delle  basette  è  scritto, 
con  gii  stessi  caratteri  arcaici  dei  J/arìea,  per  deifae 
.ì/aricae  (n.  175  =  RiTSCHL,  /Visrae  latin,  man. 
tav.  XLIV,  l),  dando  un  parallelo  perfetto  all.i  deJ 
dica  che  noi  studiamo.  Ora  Pesaro  fu  coloni.-)  latina 
solo  nel  570  a.  u.  e.  (184  a.  C);  ma  il  Momm- 
sen,  considerando  che  II  p.nese  da  più  di  un  secolo 
era  sotto  l'influenza  di  Roma,  pone  la  cpigralì  alla 
fine  del  v  sec.  o  al  principio  del  vi  della  citl;i.  Ifgli 
dice  dunque  :  omnia  quae  in  sermone  horum  tilu- 
lorum  singularia  inveniuntur  velMStissimam  aela- 
tein  tiare  ari^nnnt,  id  est  aetalem  h<llo  Hanniha' 
lieo  vel  anteiiorem  vel  eerte  suppaiem  e  noi  po- 
tremo ripeterlo  per  la  nuova  dedica  alla  dea. 

(2)  Vedi  pag.   5S. 

(3)  Oltre  alle  tre  iscrizioni  qua  rlpurt.ile,  men- 
zionano forse  .Variea  una  di  Dertona  (C  I.  L.  V. 
7363),  che  giustamente  p.irc  Interpolat.i       \' 

sen,  e  una,  dubbia,  di  KarKburg  in    l> 
A/iC».,  il,  p.  )io,  n.  406),  che  pare  piuttosto  ri- 
cordare una  person.1  di  questo   nome  (cfr.  C.  I.  L. 
III.    ;;S55,   ,I/,iM..i  ('.  I.  .Se, itnda). 

>onoscc  p<il  un'allM  epigrafe,  che   si   diceva 
i-sisicnte  a  Monte  Ci»>lno    .ì/ariiae  j  /.  .-ilbiui  I. 


-r,4- 

lovi'<  lì  / 1(  f  II  ìli  Mari  e  ai-  i/ini  .\lillnr  min  uni  el  porlaiii  de  coelo  taclani,  McnlitrneHses, 
lerribilius  ijiiod  cssit  adiciebanl  sangiiinis  rivuiii  in  f)orta  Jlitxisse  (Liv.  XX\  II,  37,  2),  il 
clic  dimostra  l'importanza  del  Santuario  in  quel  tempo, 

In  quello  stesso  secolo  dunque,  poco  prima,  un  cittadino  romano  della ;f«-«f  Canillia  i\) 
manifestava  la  sua  devozione  a  Marica,  dedicandole  una  modesta  statuina,  certo  di  terra- 
cotta anch'essa. 

La  scoperta  nello  stesso  punto  di  due  iscrizioni  poste  a  vari  secoli  di  distanza,  una 
delle  quali  anzi  rimonta  alla  II  metà  Jcl  III  sec.  a.  C,  non  può  essere  fortuita,  special- 
mente quando  non  è  che  la  conferma  di  conclusioni  a  cui  ^li  studiosi  eran  giunti  da  tempo 
per   altra  via. 

Il  santuario  di  Marica  dunque,  circondato  dal  bosco  sacro,  era  sito  precisamente  nella 
località  dtniiminata  !e  Grolle.  Vien  cosi  naturale  di  credere  che  le  terrecotte  e  i  vasi  sco- 
perti ivi  nel  1828  (2)  fossero  una  parte  della  stipe  sacra,  e,  se  mi  sarà  dato  di  rintrac- 
ciare il  preteso  Marte  etrusco,  son  certo  di  trovare  una  statuina  di  bronzo  arcaica,  dedi- 
cata alla  dea. 

Non  solo;  ma  credo  che  esistano  ancora  avanzi  del  Santuario  stesso. 

Nella  località  detta  le  Grotte  si  osservano  infatti  importanti  rovine,  da  riunire  in  tre 
gruppi: 


///.  !  Taitrisiiis  Ilahii/ia  A/bia  j  J.  (/.•  ma  è  riportata 
dal  Ligorio  e  perciò  è  condannata  dal  Mommsen 
(C.  I.  L.  X.  647*).  Non  dico  che  sia  come  il  caso 
di  un'iscrizione  (C.  1.  L.  Ili,  16S*)  ricordata  dal 
Cagx.^t  (Epigr.  hit.,  p.  358)  che  a  lui  sembra  sia 
stata  scartata  per  la  sola  e  unica  ragione  di  esser 
stata  tramandata  dal  Ligorio,  perchè  l"  iscrizione 
cassinese  presenta  qualche  anomalia.  Non  posso 
però  non  osservare  che  costituisce  un  esempio  per- 
fettamente parallelo  a  quello  pubblicalo  dal  Lau- 
rent-Vibert  e  dal  Piganiol,  che  il  nome  Albiiis  com- 
pare in  un'epigrafe  inedita  minturnese,  da  me  pub- 
blicata in  questo  studio  (v.  oltre),  e  che  quello  della 
f:^ens  Babitllia  è  comunissimo.  Si  tratterebbe  dunque 
di  un  tale  /,.  Albiiis  L.  f.  Taitriscus,  che  con  la 
moglie  e  la  figlia  dedica  un  ricordo  alla  dea.  1  co- 
gnomina delle  due  donne,  forse  illegibili,  sarebbero 
stati,  nel  caso,  omessi  nella  copia.  Per  giustificare 
il  coraggio  di  difendere  un'epigrafe  Ligoriana  ricor- 
derò che  di  un'iscrizione  conservata  dal  Pratilli  e 
perciò  condannata  (C.  1.  L.  X,  613*,  Teano)  fu 
ritrovato  dallo  Jannelli  l'originale  [Atti  Comm.  Ca- 
serta.  iSS;,  p.  106),  tanto  che  fu  accolta  ntW /ìph. 


Epi.K'-,  Vili,  p.  144,  n.  575.  .Anche  i  falsari  fa- 
cevano sempre  più  presto  a  trascrivere  che  ad  in- 
ventare un'epigrafe!  Le  relazioni  poi  tra  Monte 
Cassino  e  Minturne  sono  ovvie  e  note. 

(i)  La  gens  Caruttia  si  trova  diffusa  in  tutta 
Italia;  ma  comparisce  anche  nella  regione  (p.  es, 
C.  I.  L.  .X,  4065,  Capua)  dove  presenta  anche  la 
grafia  con  un  solo  /  arcaica.  Cfr.  Schultze,  Zur 
Gesclticìite  tat.  Eigcnnamen ,  p.   146. 

(2)  Jiegti  &az'/ ecc.  cit.  p.  598:  <i.un  tiiogo  vol- 
garmente detto  te  Grotte...  Scavando  in  questo 
luogo  si  rini'engono  sempre  degli  oggetti  di  creta, 
come  tazze,  lucerne  e  teste...  SelP inverno  del  1828 
fu  scavata  una  grande  quantità  di  vasi,  tazze  e 
lucerne  di  coccio  ed  io  tra  le  molte  che  ne  acqui- 
stai, una  ne  rini'enni  che  tenea  nel  fondo  scritto 
C.  COR.  Vie.  (cfr.  C.  I.  L.  X,  805  J?).  Fu  riir^enuto 
ancora  un  Marte  Etrusco  di  bronzo,  perfettamente 
sano,  alto  un  palmo  e  piit,  che  dal  contadino  che 
lo  rinvenne,  fu  venduto  al  sottintendente  del  di- 
stretto di  quel  tempo  fu  Cav.  Spinelli  dei  baroni 
di  Fuscaldr  ».  Vi  furono  rinvenute  pure  lance  di 
ferro  (Cipffi,    SI.  dì  Traetto,  p.  72). 


-  65- 

a)  proprio  nel  luogo  dove  furono  rinvenute  le  iscrizioni  di  Marica  e  la  stipe  sono 
i  resti  di  una  costruzione  ora  assai  rovinata  e  interrata.  Consta  di  due  sotterranei  paral- 
leli e  comunicanti  che  formano  una  piattaforma  rettangolare  su  cui  doveva  essere  una  co- 
struzione. Il  Ciuffi  vi  vide  «  una  bottega  in  cui  si  lavoravano  gli  oggetti  »  rinvenuti,  ipotesi 
inammissibile,  perchè  si  tratta  di  un  basamento  su  cui  si  dovette  innalzare  un  edifizio,  pro- 
babilmente un  tempietto  (i); 

6)  a  sinistra,  nella  campagna,  è  un  gran  rettangolo  con  resti  di  muri,  ora  assai  in- 
terrati, che  dalla  pianta  sembra  un  grande  emporium  o  edifizio  per  scopi  di  industria 
agricola  o  commerciale; 

e)  qualche  diecina  di  metri  più  a  monte  sempre  lungo  il  fiume  è  una  grande 
terrazza  di  opus  laterìtium,  con  limite  di  travertino,  grande  m.  9,60  X  12,  di  poco  elevata 
sulla  pianura.  Vicino  sono  resti  di  colonne,  una  base  di  colonna  di  m.  0,80  di  diametro  e 
un  frammento  di  fusto  (diam.  0.72),  come  pure  un  frammento  di  statua  femminile  (2>.  lo 
stesso  vi  trovai  un  frammento  di  gocciolatoio  di  terracotta,  di  buon  lavoro,  a  forma  di  testa 
di  leone  (3).  Sulla  destinazione  di  questo  edifizio  che  si  rivela  un  tempio,  varie  sono  le  ipo- 
tesi. Ad  esso  dovette  certamente  alludere  il  Ciuffi,  quando  pensa  a  resti  del  tempio  di  Ma- 
rica (4)  ;  ma  il  Dubois,  nello  scritto  citato,  in  cui  dà  anche  una  buona  fotografia  del  ru- 
dero, avanzò  un'altra  ipotesi.  Egli  seppe  infatti  che  fu  rinvenuta  là  un'epigrafe  ora  nella 
moderna  Mintumo  (^  Traetto)  con  una  dedica  a  Iside  e  a  Serapide  e  vide  nei  ruderi  i 
resti  del  tempio  di  queste  divinità  egizie.  L'ipotesi  però  non  mi  pare  abbia  grande  solidità, 
perchè  il  cippo  non  è  che  una  dedica  isolata  e  non  dà  indicazioni  topografiche  di  sorta; 
né  la  tradizione  storica  ci  dà  il  più  piccolo  accenno  a  un  tale  s;intuario. 

Invece  ben  altro  è  il  caso  per  la  Ninfa  Marica  che,  come  si  è  visto,  era  venerata  in 
quel  luogo,  come  ci  dimostrano  le  copiose  testimonianze  storiche,  epigrafiche,  e  come  ora 
ci  conferma  la  ricerca  archeologica. 

Uno  dei  due  tempi  dovette  essere  certo  a  lei  dedicato  e  benché  le  epigrafi  si  rag- 
gruppino piuttosto  sul  minore,  non  si  può  n<in  sentire  l'allettamento  dell'idea  che  quel 
gran  rudero  che  vediamo  ancora  dominante  la  pianura  sia  il  s;intuario  della  dea  protettrice 
di  Minturno. 

È  assai  desiderahilc  dunque  uno  scavo.  Esso,  che  s;irebbe  facilis.sinio  e  di  ri>uliaio 
sicuro,  ci  darebbe  linaiimnte  maggiore  e  definitiva  conoscenza  della  questione. 

Certamente  poi  tutto  lo  spazio  circostante  dovette  essere   cojxrrto   dal   lucus  che.   se 


(1)  Ciui'-Kl,  op.  cit.  paR.  72-  U'urfT'.  <i//ii  /Vi/  Af>f>ui,  p.  $01),  c\                   le  si 

(2)  C.    Di'iiois,  /n.u>ìf>lioiis   ili'    Miiiliiiiii-s    In  ri(i'ri»,i'  il  t|iie>te  rovine,  p.irl.inj<i  d.    :      ,      Jell.i 
MéltiiiKfs  (l'iin/i.  ,1  tl'hist.,  XXIV,  p.  )2)  (iik>4)-  Ninf.i  «vicino  :illa  (oce  del  G^irigllano,  Jove  re.il- 

())  Or.i  nella  r;n:colt;i  l'cdclc.  mente  si  osserv.ino  certe  .-intlche   (jhhrkhe  Ja  me 

(4)  Cii'i-Ki,  iip.  eli.,  p.  7).  Anche  il  C.ksi'aldo,  «tlm.ite  reliquie  Jl  qucstn  ». 

.iMir'Miij       Anno   \' I  e\ 


—  m  — 

anche  fu  ridotto  a  poco  a  poco  di  estensione,  dovette  occupare  fino  alia  fine  del  pagane- 
simo >iran  parte  della  spiat^ji'i*' 

Questo  per   la  parte  storica  e  topografica;  ma  per  la  questione  della  natura  e  delle  ori- 
gini  del  culto  di   Marica,  il  nuovo  monumento  non  dà    purtroppo  nessun  elemento   nuovo. 


+ 
*  * 


Tra  i  ruderi  appunt<j  del  Santuario  di  Marica  (e  precisamente  al  tempio  più  grande  e) 
Pietro  hedele  scavò  tre  anni  fa  dalla  terra,  e  aggiunse  alla  sua  raccolta,  la  parte  superiore 
di  una  piccola  statua  di  terracotta,  di  tipo  arcaico  (tav.  iV). 

La  frattura  è  sotto  il  petto  e  manca  cosi  tutta  la  parte  inferiore  del  corpo:  in  com- 
penso la  conservazione  di  quella  superiore  rimasta  è  ottima. 

L'altezza  del  frammento  è  di  m.  0,142,  cosicché  la  statuina,  quando  era  intera,  do- 
veva essere  alta  circa  mezzo  metro.  Perchè  pare  che  la  figura  fosse  rappresentata  stante  con  le 
braccia  lasciate  rigide  lungo  i  fianchi,  dai  quali  erano  un  poco   divaricate.  Le  spalle    sono 

larghe  (i)  e  forti,  la  testa  piuttosto 
grossa;  la  faccia  imberbe,  assai  larga 
e  dall'alta  fronte,  è  rivolta  in  alto.  Il 
naso  è  piccolo  e  puntuto,  e  piccolis- 
sima, appena  indicata,  la  bocca  ;  gros- 
so il  mento.  Gli  occhi,  leggermente 
obliqui,  sono  troppo  grandi  per  il  viso, 
sporgenti  e  con  palpebre  piatte  e  tese. 
L'orecchio,  piccolo,  è  situato  piutto- 
sto alto  e  indietro.  Caratteristica  poi 
r  abbondante  capigliatura,  tenuta  a 
posto  da  una  benda  assai  grossa,  che 
recinge  il  capo.  Lo  spazio  dei  capelli 
neir  interno  della  benda  è  lasciato 
liscio  ed  è  soltanto  diviso  in  due  da 
una  linea  traversale  mentre  le  chiome  scendono  libere  sulle  spalle  e  sul  dorso,  in  tre  lunghi 
boccoli  avanti,  per  ciascun  lato  della  faccia,  e  in  dieci  altri  sulla  nuca  (fig.  io).  Sulla  fronte 
si  osservano  dei  ricciolini,  stilizzati  a  ornato  a  cane  fuggente,  disposti  in  direzione  contraria, 
a  partire  dal  centro. 

La  figura  è  modellata  come  fosse  nuda,  nelle  spalle  e  nelle  braccia;  ma  un  leggero 
rilievo  al  collo  è  certo  traccia  di   un  vestito. 


(i)  Misurano  m.  0,192. 


-b7  — 

La  terracotta  è  di  colore  brunastro  e  di  impasto  impuro  e  grossolano.  Le  braccia  fu- 
rono lavorate  a  parte  e  poi  congiunte  col  torso,  come  si  può  osservare  nell'interno,  vuoto. 
Restano  qua  e  là  numerose  tracce  dell'  originaria  policromia,  alle  palpebre,  ai  capelli,  alla 
faccia,  tutte  di  color  rosso  bruno;  queste  tracce  mancano  sulla  parte  vestita. 

Basta  un  rapido  esame  per  convincersi  di  avere  di  fronte  un'opera  locale,  dalle  forme 
fredde  e  incerte  e  di  grossolano  lavoro;  ma  di  tipo  ben  noto  e  greco. 

La  prima  questione  da  esaminare  riguarda  il  sesso  della  figura.  È  noto  come  nella 
scultura  primitiva  greca  la  differenziazione  dei  sessi,  nel  torace,  sia  assai  poco  accentuata, 
anche  per  l'uso  di  rappresentare  vestito  il  tipo  femminile.  A  ciò  poi  si  aggiunge  il  fatto  che 
le  facce  maschili  sono  imberbi,  mentre  comune  a  tutti  è  l'uso  delle  lunghe  chiome  fluenti. 
Perciò  molte  volte,  come  pel  noto  torso  di  Eleutherna,  la  questione  fu  assai  discussa,  benché 
per  questo  ora  sia  dai  più  autorevoli  studiosi  risolta  in  favore  del  tipo  femminile.  Nel  no 
stro  caso  dunque,  dato  lo  stato  frammentario  della  statua,  un  giudizio  sicuro  è,  credo,  im- 
possibile ;  ma  l'assenza  totale  del  seno,  la  larghezza  e  poderosità  del  petto,  la  linea  orizsontale 
delle  spalle,  il  collo  forte  e  una  certa  severità  del  viso  son  tutti  elementi  che  ci  invitano 
a  considerare  maschile  la  figura  qua  rappresentata.  Ciò  del  resto  non  ha  influenza  sulla 
classificazione  del  monumento,  perchè  in  ogni  modo,  è  certo  che  qua  abbiamo  un  esemplare 
del  tipo  statuario  più  antico  che  l'arte  greca  conosca. 

Infatti,  fermandoci  al  caso  che  l'essere  rappresentato  sia  un  maschio,  riconosciamo  in  luì 
uno  dei  Kouroi  o  Apolli  della  primitiva  scultura  ellenica.  I  raffronti  sono  facili  e  si  può  dire  che 
non  uno  dei  particolari  notati,  dalla  forma  degli  occhi  alla  posizione  della  figura  e  alle  varie 
parti  della  capigliatura,  non  si  ritrovi  in  altri  esempi  perfettamente  greci  e  ben  noti(i).  Spe- 
cialmente nel  gruppo  del  Ploioii  si  riscontrano  quasi  tutti  questi  caratteri  formali,  spesso 
riuniti,  talvolta  isolati  ;  ma  i  monumenti  che  in  prima  linea  dobbiamo  ricordare  sono  i  due 
grandi  colossi  di  Polymcdes  di  Argos,  scoperti  a  Delfo  (2).  Anzitutto  la  somiglianza  è  grande 
nella  capigliatura;  ma  anche  la  forma  della  faccia  larga  e  piatta,  assai  più  si  avvicina  a 
quella  della  nostra  statuetta,  che  la  forma  allungata  della  faccia  della  maggior  parte  delle 
altre  statue  del  tipo. 

La  storia  di  questo  è  ben  nota  e  gli  ultimi  la\ori  di  Emanuele  L6\v_\'(j)  hanno  Ji- 
ninsiralu  come  unica  ne  sia  la  origine  e  come  sia  per  le  statue  di  maschi,  che  per  quelle 

(1)  Vedi:  per  l.i  tciii.i,  siiuiDs.i,  I  11.  }o,  JS,  42  per  lo  chiome  l.t.sci.ite  libere  dietro  :  n.  )4  (/*''<"("')• 

dei  DicoNNA  (Ixs  Aftolloiis  itiihattiiifs)  d.il  /'loioii;  n.   j  (Atene); 
tfr.  I.i  \\g,.   180  del  Dfonn.'i  flesso;  per    i  boccoli    .li    ivti.i     n.  6?-f'i  infliol,    n.  86 

per  l.i  spazio  dentri)    il    nastro  lascinto  liscio,  i  (Dclo),  e  cosi  via. 
11.   )6,  38,  S2,  pure  dai  /'loioii,  il  n.  2)  (Attica)  e  (2)  N.  65-66,  cil.iti,  del  iJonn.i.  Cu.  I'kkmkn- 

Il  n.  75  (lipld.iiini);  STEIN  \n  Jiihrfsh,  XIII  (loto)  p.  41  scq»j. 

per  I  riccioli  in  fronte  a  cane  fuggente  (schema  (})  E.  Lobwv,    ly/vtmandfrHHg ,  In  JakrtikefU 

liK.  207  del  Declina),  i  n.  zb^Orthointiws),  jo,  42  des  Orai.  IhsI.  XII  (igoQ)p.  34)-)04,  XIV  (iqii) 

{P/oion),  65,  (ib  (iJel(o),   120  i'/'/lerii);  p.   1-14. 


di  femmine,  che  ora  non  occorre  esaminare,  derivando  da  prototipi  cretesi,  esso  abbia  domi- 
nato l'arte  j;reca  dal  VII  a  tutto  il  VI  sec.  a.  C,  costituendo  ciò  che  la  tradizione  antica 
chiamava  arte  dedalica. 

Non  mi  resta  dunque  che  a  ricordare  il  suo  passagjjio  nell'arte  italica. 

Il  trapiantamento  del  tipo  dedalico  in  occidente  è  cosa  assai  nota.  Vi  jjiunse  certo  per 
mezzo  delle  colonie  elleniciie  della  Mai»na  Grecia  e  della  Sicilia,  dove  si  cominciano  a  rin- 
venire anche  degli  esemplari  di  pietra.  È  interessante  poi  notare  la  sua  presenza  in  sta- 
tuine di  terracotta  delle  grandi  stipi  votive  della  Taranto  primitiva.  Una  statuina  maschile 
infatti  di  quella  sacra  a  Persefone  presenta,  salvo  le  proporzioni,  le  più  grandi  somiglianze 
col  frammento  Minturnese  (i). 

Ne  solo  alle  città  greche  d'Italia  si  fermò  questo  tipo.  Il  passaggio  nell'arte  indigena, 
a  CUI  fu  reso  noto  da  bronzi  e  terracotte  importate,  fu  constatato  già  chiaramente.  Lo  di- 
mostrano le  terrecotte  ornamentali  di  Satrìaan  (2),  di  Capua,  di  Roma  stessa  (3)  e  lo 
dimostra  poi  l'arte  primitiva  etrusca. 

La  nostra  statuina  però  credo  lumeggi  assai  bene  questa  imitazione  di  modelli  venuti  dal 
di  fuori.  L'intenzione  dell'artista  era  infatti  di  copiare  perfettamente  l'originale  che  aveva 
davanti  :  ciò  è  certo,  perchè  nessun  particolare  manca,  dai  lunghi  boccoli  simmetricamen  te 
disposti  (4)  alla  forma  e  alla  dimensione  degli  occhi  e  delle  orecchie.  Ma  come  tutto  è 
imitato  in  modo  freddo  e  incerto!  Il  \iso  ha  perduto  tutta  quell'espressione  di  maestà  e 
di  forza  che  non  manca  in  nessuna  delle  opere  greche  arcaiche,  il  sorriso  della  bocca  è  ri- 
dotto a  una  smorfia;  lo  scultore  non  ha  capito  alcuni  particolari,  così  stilizza  in  modo 
non  naturale  i  boccoli  che  partono  da  sopra  le  orecchie,  così  non  comprende  la  funzione 
della  tenia  che  diventa  quasi   una  corona. 

Questi  particolari  ci  portano  a  confrontare  la  nostra  statuina  con  alcune  note  pitture 
etrusclie,  dove  degli  uomini  di  tipo  dedalico,  distesi,  imitati  probabilmente  da  vasi,  pre- 
sentano caratteristiche  analoghe;  voglio  dire  gli  affreschi  delle  tombe  dei  Tori  e  delle 
Leonesse  a  Corneto  Tarquinia  (5). 


(i)  Queste  terrecotte  furono  studiate  da  Arthur  alta  m.  0,14,.  Sono  da  tutti  attribuite  al  vi  secolo. 

Evans  nel/.  H.  S.,  1889,  p.  i  segg.  Il  tipo  analogo  (2)  Loewy,  op.  cit.  Il,  p.  28-29. 

al  nostro  è  all'Ashmolean  di  Oxford  (Evans  fig.  3).  (3)  Frammento   nel    Museo   Nazionale   Romane, 

L' Evans  pensò  a  derivazione  da  tipi  egizi  e  forse  (Paribeni,   Guida,  p.   132,  n.  609). 

a  importazioni  da  S'aukratis.  Il  Winter  (Kekule-  (4)   Persino  il  numero  dei  boccoli  corrisponde.  Ol- 

WiNTER,  /)ie   Tvpoi  dcr  figurlichcii  Tcrrakotten,  tre  ai  tre  sul  petto,  caratteristici,  ne  abbiamo  dieci 

I,  p.   177,  4)  e  il  Deonna  {n.  20  dei  k'oiiioi  di  terra-  sulla  schiena,  come  p.  es.  in  un  Kouros  del  Ptoion, 

cotta'*  rivendicarono  il  carattere  greco.    È  notevole  (Deonna    n.  34). 

che  il  tipo  femminile  parallelo  trovato  a  Taranto  sia  (5)  L.  Mariani  in  Sol.  Scavi,  1895,  p.  261-263. 

quello  di  Nìkandre  (Winter,  p.    103,  n.  4).   Le  sta-  Koerte  in  Autike  Denkmalcr,  II,  Tav.  XLI-XIJII 

tuine  di  Taranto  sono  assai  piccole.   La  maschile  è  e  testo  relativo. 


-  69- 

Anche  in  quelle  opere  l'artista  indigeno  ha  alterato  il  tipo  greco,  sia  nella  forma  del 
viso  sia  nella  capigliatura  e  si  nota  la  stessa  trasformazione  della  tenia  in  quella  specie  di 
corona. 

Aggiunta  poi  assai  probabilmente  dell'artista  locale  fu  il  vestito,  normale  per  le  figure 
femminili,  per  il  quale  però  non  mancano  esempi  anche  per  quelle  maschili  nella  stessa 
Grecia  (i).  Ma  vestite  sono  la  maggior  parte  delle  figure  italiche.  Dunque  quello  che  i 
pittori  di  Tarqninii  fecero  nei  loro  dipinti,  l'artista  figulino  di  .Minturne  fece  pure  nel  for- 
mare la  sua  statuina. 

L'uso  di  questa  non  si  può  naturalmente  precisare;  ma  la  sua  presenza  nel  santua- 
rio di  Marica,  che,  come  abbiamo  visto,  deve  rimontare  a  tempi  assai  antichi,  e  le  dimen- 
sioni stesse  ci  fanno  pensare  a  un  ex-volo.  Né,  se  si  tratta  di  una  statua  maschile,  è  di 
ostacolo  trovarla  nel  santuario  di  una  dea,  perchè  esempi  di  ciò  non  mancano,  sia  in  Grecia 
che  in  Italia. 

Gli  affreschi  di  Corneto  sono  classificati  al  VI  sec.  e  tale  mi  pare  debba  esser  con 
tanto  maggior  probabilità  la  data  del  frammento  che  studiamo.  Perchè,  se  in  Etruria  i 
tipi  arcaici  furono  tramandati  a  lungo,  la  cosa  dovette  essere  ben  difficile  nel  Laiium  no- 
l'iim,  che  la  vicinanza  di  Cuma  e  di  Napoli  apri  subito  alle  nuove  forme  d'  arte  che  ve- 
nivano dalla  Grecia. 

E  da  una  città  greca  dovette  venire  il  modello  che  fu  copiato  da  un  artista  che 
nulla  ci  impedisce  di  credere  indigeno  del  paese.  Abbiamo  dunque,  credo,  un  primo,  mo- 
desto; ma  interessante  esempio  dell'arte  della  bassa  valle  del  Liri  al  VI  sec.  a.  C.  Le  po- 
polazioni che  i  Romani  vi  trovarono  stanziate  come  indigene  furono  gli  Aurunci  ;  ma  non 
dobbiamo  dimenticare  che  nel  VI  secolo  un  gran  popolo  conquistò  Capua  e  assai  probabil- 
mente esercitò  una  straordinaria  influenza  nelle  terre  limitrofe,  fino  a  che  non  fu  ricacciato 
indietro,  al  principio  del  V  secolo,  dai  Greci  di  Cuma  e  che  questo  popolo  fu  precisamente 
l'Etrusco. 

♦  * 

Nella  raccolta  Fedele  sono  pure  alcuni  (ittili,  di  varia  epoca,  trovati  nel  lavorare  i 
campi  nelle  immediate  adiacenze  dello  stesso  tiinpio  C.  Provengono  quindi  certo  da  stipi 
votive  : 

a)  figurina  antichissima  di  terra  nera  dig.    ii,  li.  frammentaria  nella  parte  inferiore 
e  cosi  all;i  in.  o.oH.   Kappresenta  certamente  una  donna  (\  seni  sono  espressi  chiaramente* 


(i)  Però  in  opere  dì  paesi  Jell.i  pcrlferl.i  del  sl.i  certamente  ventiti,  il  corpo  è  modcll.ito  cnmc  ;>« 
niiindu  «reco,  cosi  a  Cipro  (|>conna  n.  140).  Ncll.i  (osse  nudo.  (Per  l.i  questione  vedi  Deunna,  op.  cit. 
liliale  statuetta  si  deve  notare  che,  liciiclic  la  linura      p.iR.  60). 


—  70  — 

in  atto  eli  prf>;hiera,  con  le  braccia  larghe  (la  destra  manca).  La  test.i  è  su  un  collo  di 
grossezza  enorme  e  sproporzionata  e  il  viso,  con  occhi  piccolissimi,  prende  un  aspetto 
assai  strano  a  punta.  È  interessante  notare  le  analogie  con  molte  figurette  fittili  micenee 
(p.  es.  Winter,  op.  cit.  I,   3,  8); 

/>)  altra  figurina  arcaica  femminile  (fig.  11,4),  alta  m.  0,07,  della  stessa  terra  nera. 
La  modellatura  è  appena  accennata,  le  braccia  sono  appoggiate  al  ventre.  Analoga,  ma 
assai  meglio  fatta  è  una  figurina  di  cui  si  sono  trovati  esemplari  in  Sardegna  e  a  Cipro 
(Winter,   I,    17,  7); 


Fig.    11  —  Figurine  in  terracotta  di  Minturne. 


c)  statuina  antichissima  maschile  (fig.  11,  2\  di  terra  rossastra.  La  figurina  è  in 
piedi;  ma  ora  mancano  le  gambe  (altezza  del  frammento  m.  o, lO).  La  mano  destra  è  pog- 
giata sul  petto,  la  sinistra  lasciata  lungo  i  fianchi  ;  la  testa  alta,  su  collo  assai  grosso,  è 
rozzissima.  Le  orecchie,  le  narici,  gli  occhi  sono  rappresentati  da  semplici  buchi,  come 
p.  es.  in  una  statuina  di  terra  cotta,  di  Cipro,  ora  al   Louvre  (Winter,  I,    11,   5); 

d)  altra  figurina  arcaica  maschile,  (fig.  11,3),  nuda,  in  piedi,  alta  m.  0,095,  di  terra 
rossastra.  Le  braccia,  arcuate,  ai  fianchi. 

Con  queste  furon  trovate  altre  statuette  fittili  assai  posteriori  : 

f)  figurina  femminile  di  tipo  ellenistico,  avvolta  nello  ìaxTiov,  acefala.  Nella  sini- 
stra teneva  un  oggetto.  Se  ne  conosce  un  altro  esemplare,  da  Taranto,  ora  all'Antiquarium 
di   Berlino  n.   7932  (Winter,   11,   31,  i); 

/)  altra  figurina  femminile,  avvolta  pur  nello  iazTiov,  acefala  (alta  m.  0,22).  È  il 
tipo,  alto  0,28  intero,  tro\ato  spesso  nell'  Italia  meridionale  e  anche  a  Capua  (Winter 
11,   39.6). 


■I  — 


Infine  alcuni  vasetti,  di  due  dei  quali  do  la  riproduzione  ffig.  1 2).  Quello  a  destra,  di  fine 
impasto  di  terra  nera,  è  alto  m.  o,oq  e  ha  un  diamctru  surcri.rc  il  m.  0.07.  Oltre  alla 
grande  ansa  a  ponticello,  sono  note- 
voli le  ornamentazioni  della  pancia, 
a  forma  di  mammella  anteriormente, 
e  di  orecchie  lateralmente.  L'altro, 
d' impasto  invece  assai  rozzo  e  di 
terra  rossastra,  è  alto  m.  0,035  e 
ha  un  diametro  superiore  di  m.0,07. 
La  pancia  è  adorna  di  cinque  cer- 
chietti a  rilievo. 

Questi  piccoli  oggetti  sono  certo  testimonianza    del    culto   della    ninfa   Marica,    nello 
stesso  luogo,  da  tempi  antichissimi,  a  quelli  in  cui  cominciano  le  testimonianze  storiche. 


1  ■^.   1.  —  \  jittU  della  Slip*  '...ti'.i. 


Ili. 

Il  sepolckhto  iji  L.  Domitivs  Phaon. 

La  pianura  di  Fondi  è  limitata  a  oriente  da  una  serie  di  colline  che  formano  l'ultimo 
contrafforte  dei  Lepini,  scendente  in  direzione  sud-ovest  verso  il  mare.  Si  hanno  moltis- 
sime prove  per  credere  questo  territorio  corrispondente  ai  .ì/o>i/fs  ta^w*»' ( i )  tanto  ricordati 
dagli  antichi  e  rinomati  per  il  loro  vino.  Il  territorio  è  assai  fertile;  ma  le  vicende  degli 
ultimi  secoli  diedero  una  grande  scossa  all'antica  prosperiti,  che  solo  ora  accenna  a  ricom- 
parire. Sopravviveva  però  ancora  nel  medioevo,  come  provano  moltissimi  conventi,  ricordati 
nelle  antiche  carte  e  ora  tutti  in  rovina  (2). 

Questa  prosperiti  antica  e  medievale  rende  particolarmente  fruttifera  la  ricerca  archeo- 
logica che  io  già  da  tempo  ho  intrapresa  per  uno  studio  possibilmente  completo.  Intanto 
credo  opportuno  comunicare  alcune  epigrafi  inedite. 

Il  luogo  dove  queste  si  trovano  è  denominato  S.  Raffaele,  dalle  rovine  dì  un  convento 
omonimo,  addossato,  insieme  col  prossimo  di  S.  Vincenzo,  alle  pendici  delle  colline  Ceculv. 
Vi  si  accede  piuttosto  difficilmente  da  una  traversa  che  si  stacca  a  sinistra  della  strada  che 
da  Fniidi  porta  a  Sperlonga,  a  due  chilometri  dall'Appia. 

lutta  la  localit;^  ò  percorsa  da  strade  antiche,  ancora  ben  riconoscibili  e  che  ben  con- 
servano la  divisione  delle  terre  fatta  dagli  antichi  gromatici  nel  territorio  di  Fnmiìì. 


(1)  NissKN,  /lai.  /.ani/t\k..  Il,  660.  ncH'ARrn  rom.ino,  l'.irln  sempre  pccgiurr,  per  miin> 

(2)  U.'il  docunicntl  rnaoltl  nel  Coi/t.f  Pift/oma-      cinz»  di  l.ivuri  IdMullcl. 
lìciis  CiiirliiHiis.  l)eir,'ibK'iniJonci  fu  iM^Jime,  come 


RVDERI   DI 
S  RAFFAELE 


SOiTRVZlONI 


imiimmmmiiìimiimummimm.umpj^mniJjjJTJìiJimmim 


riprom 


-  72  — 

Il  convento  di  S.  Kal'f;K'le  stesso  po)4}»ia  sui  resti  di  una  di  queste  strade  che  andava 

verso  il  mare  e  che  in  quel  punto,  abbassandosi  il  terreno  in  una  valletta,  poggiava  su  una 

costruzione  di  grandi  blocchi  ciclopici,  analoghi    a    quelli   delle    sostruzioni    dell'Appia  (i). 

Più  in  basso,  verso  ponente,  è  il  gruppo  di  rovine  di  cui  ci  occupiamo. 

Alla  distanza  infatti  di   1 30  metri  dalle  sostruzioni  stesse,  corre  ad  esse   parallelo  un 

muro,  lungo  circa  80  metri,  e  formato  di  grandi  lastroni  di  calcare.  Questa  sostruzione  di 

o{>us  quadratitm  ha  l'altezza  media  di  4 
metri,  ed  è  assai  ben  conservata,  ma  di  dif- 
ficile osservazione,  perchè  tutta  coperta  di 
roveti  e  di  terra  accumulata:  si  vede  però 
che  servi  di  limite  inferiore  e  di  sostegno  a 
un  terrapieno  a  forma  di  trapezio.  1  limiti 
laterali  di  questo  sono  segnati  da  due  linee 
nei  campi,  lunghe  120  metri,  divergenti  verso 
S.  Raffaele  e  che  ora  appariscono  quasi  uni- 
camente per  il  dislivello  di  un  mezzo  metro 
con  le  terre  circostanti.  11  quarto  lato  del 
trapezio,  che  doveva  esser  la  fronte  del  Se- 
polcreto, viene  così  ad  avere  la  lunghezza  di 
circa  90  metri. 

Nella  parte  estrema  verso  ponente,  pro- 
prio sul  muro  di  cinta,  sono  i  ruderi  di  poco 
emergenti  di  una  costruzione  a  pianta  ret- 
tangolare, lunga  m.  7,22  e  larga  m.  4,70,  ora 
in  gran  parte  interrata;  ma  dall'aspetto  carat- 
teristico delle  tombe. 

Esaminando  nelle  varie  parti  questo  re- 
cinto, trovai,  all'estremità  sinistra  del  muro 
inferiore,  due  grandi  cippi  di  tra\ertino  di  poco  emergenti  dal  suolo,  in  cui  sono  potentemente 
infissi,  che  presentavano  a  fior  di  terra  alcune  linee  di  scrittura.  Liberatili  dal  terriccio  e  dai 
rovi,  apparvero  due  iscrizioni,  scolpite  nella  faccia  esterna;  mentre  all'angolo  orientale  si- 
nistro del  recinto  stesso,  emergeva  un  terzo  cippo,  sul  quale  mi  fu  facile  rinvenire  una 
terza  iscrizione. 

Eccole  nel  loro  testo  integrale  (2): 


ì:! 

I 

I 

) 

I 

I 

I 

9 

I 

I 

I 

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I 


ClPfOl  I 


TOMBA 

u 


I 
I 
I 

i 
I 
• 
I 
I 
i 
I 


cippon 


SCALA  - — 

2000 


Fig.  ij  —  Il  sepolcreto  Ji  /..  Doniiliiis   Pìiaon. 


(1)  Vedi  lo  schizzo  annesso  ifig.   13)-  Fondi,   padrone  di  S.  Raffaele  e  di  gran  parte  del 

{2)  Mi  è  doveroso  inviare  un   mesto  saluto  alla      territorio  fondano,  che   mi  accordò  il  permesso  di 
memoria    di  L).  Oderisio    di    Sangro,    Principe    di       fare  ricerche  archeologiche  nelle  sue  terre. 


-  73  — 


Misure;  altezza  m.  2.33  —  larghezza  m.  0,61    —  spazio  superiore  anepigrafo  n.  i.jS  —altezza  della  porte  scritta 
altezza  delle  lettere  m.  0.04  tfig-   14). 


HIC  LOCVS  -  MACERIA  •  CLVSVS  CVM  EO 
QVIDQVID  IN  1:0  EST  CVM  n^C  MACERIA 
SANCTVS   KELIGIOSVS   EST    NEQVE   VE 
NIRE    POTEST   NEQVE     DONARI      NEQVE 

5        MANCIPARI    IVS    AVTE  MORANDI   IN    EO   LOCO 
Is  ERIT  QVICV  MQVE  EX  DOMO  UOMITIAE    LE 
LEPIDAE  ERVNT  DOMITIVE  AVT   DOMITIAEVE 
VOCABVNTVR     PRAETEREA      HVIC   LOCO    VIA 
VIA  LIBERA  DATVR    EX    PVBLICA    DATVR    VSQVE 

10        AD  INKOITVM     IN     EVM     LOCVM     ITEM     AQVA 
PROMISCVE   LICEBIT  VTM  y    HOC  FVNDO  VILLA 
QVE   Is  QVI   IN   EO  LOCO  MORABVNTVR     HAEC 
/////    PRAESTARI  •  SINE      DOLO  •  MALO     IVSSIT 
'/ERMISITQVE   L      DOMITIVS    PHAON    CV 

15  IVS  Q;/  LOCVS  FVIT  IN  OMNE  •  TEMPVS 
POSTERVM  CIPPIS  OC  IO  POSITIS  XII  K  IVI. 
L     AVUELIO  PRISCO     L     IV.,  O  RVEO     COS 


Ifii  focus  niacfiia  eliisiis  cimi  co  \  qiiidijiiìd  in  co  est.  ciiin  hac  iliaco  Li  |  sanctus  re- 
ligiosHS  est  ncque  ve\nire  potest,  ncque  danari ,  ncque  1  inaiicipari .  ius  autcyiii)  morandi  in 
co  loco  I  iis  crii  quicuinqiie  ex  domo  Domitiae  L.  /.  \  l^'pidac  erunt  Domitive  aut  Do- 
initiafi'c  I  rocahuntur  .  practerca  liuic  loco  O'i'O  \  via  libera  datur  ex  piiblica  <  datiir  > 
iisqiir  I  ad  inlroiliim  in  euin  lociiin  itein  aqiia  j  promiscue  licebit  ufi  ex  hoc  /nudo  villa-  j 
quc  iis  i/iii  in  co  loco  niorabuniur  .  Iiaec  \  [sic\  praestari,  siile  dolo  malo,  iussit  \  [p]ermìsit- 
</iic  !..  />oniiliiis  l'iuion  cit\ius  q\ui\  locus  fuil  in  oinne  teinpus  \  poslerum  cippis  otto 
posilis    A'//  Ma/cud(is\  iulyias)  \  A.   .Iiirelio   Prisco   !..    ìu  li  o   Rufo  co{H\s{ulibHS). 


.ttiumitt   '  Aniui  \'l. 


—  74  — 


2. 


Misure:  altezza  m.  3,i8  —  larKho7/;i  m.  0.74  —  spailo  superiore  .inepl^ruf"  m.   i,u  —  allena  Jclla  parie  scritta  rn.  0.87 
:i)ti*z/u  lettere  m.  o.oiS. 


HIC  I.OCVS  MACARIA  CLVSVS  CVM  F.O  QVIDQVIt) 
IN  liO  lìST  CVM  H\C  MAClìKIA  SACliR  SANCTVS 
RIìLIGIOSVS  EST  ■  NEQVE  ■  VENIRE  POTEST 
NEQVE    DONARI   NEQ  VE  MA  N  CIPARI ,/ VS 
5        AVTEM  •  MORANDI  IN  EO  LOCO  IISERIT///// 
CVMQVE    EX      DOMO    DOMITIAE ////.'     I.EPIDAE 
I-RVNT    ■    DOMiriVI-:    AVT        I)  OM  IT //////'/ 
VOCABVNTVR       PRAETEREA    HVIC     LOCO 
VIA    LIBl-RA    DATVR    EX    PVBLICA      VSQVE 
10         AI)    INTROITVM    IN    E\M    I.OCVM    ITEM    AQV/// 
l'ROMISCVE    LIC///BIT    VII    EX        HOC      EVNDO 
VILLA Q VE  IS  QVI  IN  EO  LOCO 
MORABVNTVR    ■    HAEC    ''IC 
l>RAi;STAKl  S1NI-:  DOLO  MALO 
15  IVSSIT  PERMISITQVE  •  L  •  DOMITIV/// 

/.'/ HAON ///////)    QVI    LOCVS    FViT 
IN    OMNE   TEMPVS    POSTERVM    CIPI'IS    OCTO 
POSITIS  XII  K    IVL  ■  L  ■  AVRELIO  PRISCO    1.    IVLIO 
RVI-O    COS. 


Hit  locHs  macrria  (liisiix  iiim  <c>  qiiidqiiid  \  in  co  est  lìiiii  /uic  waccria  sacer  san- 
ctus I  rclii:,ìosHs  est  ncque  venire  potcst  |  ncque  danari  ncque  mancipari  \i  us  \  autcm  mo- 
raudi  ili  co  loco  iis  crii  \qui\' cumquc  ex  domo  Domitiae  \L.  J.\  Lcpidac  \  crunt,  Domitive 
aut  /)onìit[iaree\  \  vocahuntur  .  praeterea  huic  loco  \  via  libera  dalur  ex  pnblica  iisqne  \  ad 
introituni  in  enm  locum  iteni  aqn\a\  \  promiscue  Hc\e\bit  uti  ex  hoc  fundo  \  villaque  iis  qui 
in  eo  loco  \  morabuntur  .  ìiacc  sic  praestari  sine  dolo  malo  1  iussit  permisifque  L.  Domi- 
till\s]  I  [P\haon  [cuius]  qui  locc^  fuit  \  in  omnc  tcmpus  posterum  cippis  odo  \  positis  X/I 
k{alcndos    /uhias)   /,.    .lurelio   /'risco   L.    lulio  \  Rufo  co\n)s[ulibus). 


-  75  — 


Misure:  altezza  m.   1.64  —   larghezza  m    0.72    —  spizlo  superiore  aneplf^afo  m.  0,90  (ii  cippo  ^  ittfranio  mp^riormemte/ 
altezza  della  parte  scritta  m.  0,68  —  altezza  Jelle  lettere  in.  0.04  (fìf;.   i;). 


HIC  I.OCVS  MACERIA  CLVSVS  CVM  KO 
QVIDQVII)  IN  KO  i:ST  CVM  HAC  MACERIA 
SACER   SANCTVS   RELIQIOSVS  EST    NEQVE 
VENIRE  POTEST  NEQVE   MANCIPARI 
IVS  AVTEM  MORANDI    IN  EO  LOCO  Is  • 
ERIT  QVICVMQVE  EX  DOMO  DOMITIAE 
LF   LEPIDA  E  ERVNT    DOMITIVK  AVT 
DOMITIAEVE    VOCABVNTVR    PRAETEREA 
HVIC  LOCO  VIA  LIBERA  DATVR  EX  PVBLIC;/ 
1»        VSQVE   AD    INTROITVM   IN    EVM    LOCVM 
IIEM    AQVA      PROMISCVE  ■  LICEBIT      \TI 

1-:   HOC  EVNDO  villaqve  Is  qvi  in  eo  loco 

//ORABVNTVR    HAEC    SIC    PRAESTARI   SINE 
DOLO      MALO      IVSSIT    PERMISITQVE      L 
15        DOMITIVS    PHAON/////,//    QVI    LO/,,;; 
hVIT    IN    OMNE    TEMPVS    POSTERVM 
CIPPI// OCTO  POSITIS   /  K  IV    LAVRI-LIO  PRISCO 
1.    IVLIO  RVEO    COS 


//il    loiKs  iiiiui/iu  t Insili   limi  lO  I  I/Ili Jiiiiiii  in  ro  ts/  finii  liiu  maitt ui  • 

rflifrìosiis  est  ncijuc  \  venire  f>olesl  iici/iie  manc'fiari  .     ins  aiilem  inoninJi  in  eo  A».  ■/ 

i]uiciimi]ne  ex  domo  /)oiniliiie  \  /..  /'.  /^•piJae  e' uni  /ìoinilìve  aiti  \  Domiiiaeve  voiabunlitr 
praelerea  \  hiiic  loco  ina,  libera  dalitr  ex  pnblic[a]  \  nsi/iée  ad  iiUroHuin  in  rum  /oettm  \  ilem 
iu]iiii  promiscue  licebil  iili  \  e\x\  hoc  fnndo  vilhn/ue  iis  i/ir  in  eo  loco  \  [m\i>rabuH/ur  .  haer 
sic  praeslari  siiie  \  dolo  malo  lussi/  permisili/iie  /..  I  /'>omilius  PhaoH  [cuìhs]  i/uì  Io,(us\ 
fiiil  in  omne  lenipus  poslenim  \  cippi\s\  odo  posilis  \Xll\  kyaleudau  iM{lias)  /..  AHrelio 
Prisco  \  /..    Iiilio   A'it'b  co{H)s{iilibnsì. 


-  76  - 

I  caratteri,  minuti,  ma  assai  ciliari  e  di  huuna  forma,  nonostante  la  difficoltà  di 
scrivere  sul  travertino,  hanno  le  caratteristiche  del  primo  secolo  d.  C.  1  punti  diacritici  s<jno 
posti  assai  irregolarmente.  Si  noti  alla  riga  decima  del  ii.  i  il  nesso  delle  lettere  A'  7"  R. 
Quanto  al  contenuto  come  si  vede,  ci  troviamo  in  presenza  di  tre  copie,  con  piccolissime 
varianti,  dovute  a  sviste  del  lapicida,  di  una  stessa  iscrizione,  contenente  disposizioni  rife- 
rentisi  a  un  sepolcro. 

Anzitutto  bisogna  notare  che  in  fine  si  ricorda  che  il  sito  fu  segnato  con  otto  cippi;  ora, 
se  o-sserviamo,  nello  .schizzo  annesso  (fig.   1 3),  la  posizione  dei  tre  cippi  ritrovati,  vediamo 


1  .g.     14    —     Il    ^IPP"    "■     !■ 


essere  tale  da  portare  logicamente  ad  otto  il  numero  totale.  Anzi,  trattandosi  di  massi  pe- 
santissimi di  travertino,  in  un  sito  remoto,  tutto  fa  credere  che  gì'  altri  cinque  esistano 
ancora.  Uno  scavo  sarebbe  dunque  desiderabile,  non  tanto  però  per  la  .^coperta  di  questi 
altri  cippi,  che  al  più  potrebbero  darci  altre  cinque  copie  dell'iscrizione;  ma  per  la  possi- 
bile scoperta  dell'iscrizione  sepolcrale  del   defunto. 


—  77  — 


l^H 


^-"v'^ 


'^   «. 


Dalle  epigrafi  trovate  intere  sappiamo  con  certezza  il  nome  del  padrone:  L.  Domilius 
Phaon,  le  disposizioni  prese  dal  quale  sono  in  favore  di  altri  della  casa  di  Domìtia  Lepida. 

La  menzione  di  questa 
matrona  e  la  coppia  consolare 
ci  permettono  Ji  datare  con 
sicurezza  il  monumento. 

Domilia  L.  f.  Lepida  in 
fatti  fu  filmila  di  L.  Domilius 
.ìiienobarbus  e  di  Antonia  ma- 
ior,  fu  sorella  di  Cn.  Domi- 
lius Ahcnobarbus,  moglie  di 
.1/.  /  'alcriHS  Messalla  Barba- 
tus  e  madre  di  Messalina,  la 
moglie  di  Claudio.  Fu  quindi 
zia  di  Nerone.  Come  uno  dei 
personaggi  più  cospicui  della 
casa  imperiale,  è  spesso  nomi- 
nata ;  accusata  d  '  incesto  col 
fratello,  educò  poi  il  figlio  di 
questo,  Nerone  e,  dopo  con- 
trasti anche  con  la  figlia  Mes- 
salina, finì  con  l'essere  accu- 
sata per  arte  di  Agrippina  . 
uccisa  sotto  Ncroni'  l'anin)  S4 
di  no.stra  era  (i)  Siamo  dun- 
que nella  prima  metA  del  I  se- 
colo dell'impero. 

Questa  Domilia  Lepida 
pare  sia  stata  molto  ricca,  co- 
nosciamo infatti  di  lei  latifondi 
in  Calabria.  1  )ella  sua  casa  fu 
il    nostro   L.   Pomitius  Phaon 

che,    nonostante    fos.se    ormai  divenuto  lilvro  e  padrone  del    tondo,  (cuius  </in  Io<ms  /mìo 
si  sentiva  ancora  vincolato  ad  essa,  dalla  quale  probabilmente  il  fondo  eni  stato  donato  a 


f\«.  M  —  Il  Cippo  n.  I  con  I  mtl  i»\\*  bucmU. 


(I)    I  AHI.   .imi.  \\   (7,  1«.  XII  f>4-65:  SVHTo-       lmf<.  K'om.  Il,  p.  ih;  (  ìkoac  In  P.vui  v-VVlss<nv.\ 
Nios,  AV/(»  s-6-7.  Cfr.  Dkssau  In /V(«i»/><>.c».i/>A«ii       A".  /■..  V.    i,    un. 


-78- 

lui  o  a  suo  padre  (i).  Che  si  tratti  poi  proprio  Ji  lei  è  confermato  dalla  data  in  fine 
all'epigrafe,  la  ciuale  ci  indica  il  >iiorno  20  di  giugno  dell'anno  cons<j|are  di  L.  Au- 
rtlius  /'riscus  e  di  A.  Iitlius  Rit/us.  La  coppia  di  consoli  è  nuova  ;  ma  L.  lulius 
Rii/iis  comparisce  nei  fasti  dell'anno  67  d.  C.  (820  a.  u.  e),  come  collega  di  Fonleius 
Capito  (2). 

Se  peri^  per  quell'anno  la  coppia  dei  consules  ordinari  è  ben  determinata,  non  cono- 
scevamo finora  nessun  nome  di  consul  suffecliis,  benché  in  quell'epoca,  la  cosa  fosse  a 
priori  da  credersi  naturale  (3). 

Ora  la  nostra  epigrafe  ci  dice  chiaramente  che  il  20  giugno  L.  lulius  Ru/us  era 
ancora  in  carica;   ma  che  al   Fonleius   Capito  era  stato  sostituito  L.  Aurelius  Priscus  (4). 

Noi  non  sappiamo  se  L.  lulius  Ru/us,  il  cui  governo  per  sei  mesi  è  ormai  accertato, 
sia  rimasto  console  più  a  lungo  (5);  quanto  al  FotUeius   Capito   possiamo   dire  che  la  sua 


(1)  Fra  le  mvine  fu  anche  trovato  un  frammento 
di  mattone,  con  un  bel  timbro  de!  i  secolo  (lun- 
go 0,09,  larjio  0,03;  alte/za  delle  lettere  0,011), 
ora  nella  raccolta  di  Pietro  Fedele  a  Minturno 


L  •  DOMITI 
L  V  P  I 


ricordante  un  personaggio  della  gens  Doinilia.  Di 
lui  fu  trovato  un  mattone  dal  De  la  Blanchère 
sull'Appia  nella  regione  pontina  a  Campo  Lazzaro 
(un  altro  già  a  Sermoneta)  {.Méla>i,i^cs  ardi.  hist.  1882 
11,  p.  66,  4  =  C.  I.  L.  XV,  2247),  con  due  timbri: 
/,.  lìomili  Lupi,  analogo  al  nostro  e  Patrobius 
del  servo  ;  a  Velletri  un  altro  ancora  con  Eupor.  pel 
servo.  Anche  a  Fondi  stesso  (C.  1.  L.  XV,  2246) 
fu  trovato  un  mattone  con  bollo  circolare:  Apol- 
loni  lìoiniti.  Si  tratta  dunque  chiaramente  di 
prodotti  di  una  stessa  fabbrica.  Il  De  la  Blanchère 
giudicava  il  primo  bollo  del  tempo  di  Adriano 
e  pensò,  per  un  Potiiitius  I.Kpus  di  un'iscrizione 
di  Padov.'i  (C.  1.  L.  V,  2969),  che  padrone  e  arti- 
giani fossero  dì  quelle  parti.  Ma  il  Mommsen  li 
datò  giustamente  al  i  secolo,  com'è  confermato  dal 
bollo  ora  trovato  (il  secondo  timbro  col  nome  del 
servo  è  perduto)  che  pone  indubbiamente  in  rela- 
zione L.  Domititts  Lupus  con  Domitia  Lepida. 

(2)  Cfr.  V.\GLIERI  in  art.  Consules  [Dìzion. 
epigr.  De  Ruggiero  11  loio);  Lieben.\m  Fasti 
consulares  Imperli  Romani  (Bonn  1909  p.  14).  — 
Le  fonti  \Chron.  dell\i.  354  —  Chron.  ep.  Rom. 


/'".  Hyd.  Cass.  /•".  Lrosp.'\  hanno:  Capitone  et  Rufo. 
Il  Chron.  Paschatc  ha  Ka-i,Ti»>vo;  x«\  'l'oupoj  men- 
tre i  Fasti  Antiates  (C.  I.  L.  VI,  8639  =  X,  6637) 
danno  intero  il  nome  del  secondo  console:  L.  lulio 
Rufo  e,  essendo  la  pietra  fratturati,  solo  la  fine.. 
ne  di  quello  del  primo.  Nei  Fasti  Intcramnates  in 
vece  (C.  I.  L.  X,  5405)  è  ricordato  solo  L.  lulius 
Rufus,  senza   che   si    faccia   alcuna   menzione  di 
Capitone.  Cfr.  Iuven.  XIII  17:  Fonteio  consule 
.Inn.  Inst.    1870,  p.   180,   n.    140. 

(3)  Cfr.  Vaglieri  in  art.  Consul  (Diz.  epigr. 
De  Ruggiero  11,  699)  e  Liebenam  (op.  cit.  p.  4) 
Il  Vaglieri  spiega  l'uso  di  non  far  durare  per  tutto 
l'anno  la  prima  coppia  consolare,  per  il  bisogno 
di  accrescere  il  numero  dei  viri  consulares  e  con- 
stata che  dall'anno  i  al  15  d.  C.  la  durata  era  ora 
annuale  e  ora  semestrale  e  che  rari  sono  i  casi  in 
cui  uno  dei  consoli  resta  tutto  l'anno  in  carica  e 
l'altro  è  surrogato  da  un  suffectus  ;  che  dall'anno 
16  a  Nerone  la  durata  fu  semestrale  ed  eccezio- 
nalmente annuale.  Il  Liebenam  dice  che  l'ultimo 
privato  che  rimase  console  per  un  anno  fu  Faustus 
nel  52  d.  C.  Con  Nerone  la  durata  diventa  gene- 
ralmente quadrimestrale  o  bimestrale. 

(4)  La  posizione  di  questo  prima  di  Ru/us  è  re- 
golare, perchè  il  suffectus  prende  il  posto  del  con- 
sole che  egli  rimpiazza  (Lieben.\m  p.  5). 

($)  Le  fonti  ci  danno  notizie  solo  della  sua  morte 
avvenuta  per  carbonchio  (Plin.  N.  H.  XXVI  5). 
Cfr.  Dessau  in  Prosopographia  I.  R.W  p.  211, 
n.   344.  De  Vit,   Onoinasticon  111  p.  692. 


—  79  — 

surrogazione,  pur  essendo  normale,  fu  probabilmente  resa  anche  necessaria  dal  fatto  che 
egli,  nella  seconda  metà  dell'anno  67  d.  C,  deve  appunto  aver  lasciato  Roma,  per  recarsi 
nella  Germania  in/crior,  quale  legalus  (i). 

iJi  L.  Aurelhis  Priscus  poi  non  sappiamo  proprio  nulla,  perchè  egli  non  è  nominato 
negli  autori,  e,  a  quanto  mi  consta,  nessuno  dei  personaggi  omonimi  nelle  epigrafi  è  con 
esso  identificabile. 

Quanto  infine  al  datare  un  documento  con  il  nome  del  consul  suffectus,  non  man- 
cano esempi  a  dimostrare  come  l'uso,  anche  in  documenti  privati,  fosse  ancora  piuttosto 
comune,  specialmente  in  Italia,  tino  al  principio  Jel  II  secolo  (2),  pur  andando  sempre  pre- 
valendo quello  di  datare  con  i   nomi  dei  consules  ordinari  del    1°  gennaio. 

Resta  ora  a  esaminare  il  valore  giuridico  delle  disposizioni  scritte  con  tanta  cura 
il  20  giugno  67. 

L'epigrafe  si  può  dividere  nei  seguenti  capi: 
I'  proclamazione  del  carattere  sacro  del  luogo; 
2°  proibizione  di  alienarlo  in  qualunque  modo; 

3"  concessione  del  diritto  di    dimora,  limitato  ai   l^omili  e  alle  Doiniliai-  e  disposi- 
zioni atte  a  garentirne  l'abitabilità; 
4"  sanzione,  firma  e  data. 

Per  il  primo  scopo  L.  Domitius  Pliaon,  per  evitare  qualunque  equivoco,  stabilisce  essere 
il  luogo  recinto  dalla  maceria  (3)  con  tutto  ciò  che  esso  conteneva  (f//w  eo  quidijuid  in  eo 
est)  suer,  sanc/iis  e  reìij^iosiis  (4),  sottraendo  veramente   ima  grande  estensione  di  terreno 


(i)  L'Identifica/.lone  del  console  dell'anno  67  col 
l''onteiiti  Capito,  tcn^atiis  (ìfrinaniae  in/i'riorÌ!,  dove 
era  certo  nel  68  (Tac.  //ist.  1  58)  è  certa.  Il  lixc- 
tiis  Infatti  inirnischiato  nei  torbidi  dell.i  morte  di  Ne- 
rone, fu  ucciso  da  Cornelio  Aquino  e  da  Kabio  Va- 
lente, libati  legioiiiim,  del  p.irllto  di  Galba  (Tac. 
Ilist.  I  7;  cfr.  Vili  )7,  III  62;  Pi-i'T.  Catttn.  15: 
SvKT.  Halliii.  1 1  ).  Ora  questo  solo  può  spiegare  che 
nel  /•■(i.v//  .iiitialfs  II  SUI!  nonie,  come  quello  di  Ne- 
rone nell'anno  senuente,  sia  st.ito  soppresso,  per 
tlatiiiiatii)  nii'iiioriiii-,  essendo  stati  manifestamente 
Incisi  quel  testi  imperante  Cìalba  ;  (cfr.  Dfssai' In 
l'iosofiofinifiliìii  II,  p.  86;  Di;  ViT,  lUiom.  III.  1  1.1; 
Mommsi:n  In  ('owimnt.  itil  litui.  C.  I.  I  .  X, 
66)7  ;  Va(;i  iicRi  op.  cit.  p.   loio). 

(2)  Per  es.  C.  1.  !..  VI,  8f.8o  -  VI.  (046.,  (per 
l'anno  68  e.  v.).  Cfr.  Va<;i.ii:hi  (art.  cIt.  p.  70.!)- 

(})  Cfr.  ad  es.  C.  I.  !..  X,  6o^i.>  ^  U.  8n8. 
MilUurn.'ie  /luiiis  nioiiiiiiruti  ius  fini  nuueriu 
i  Insilili  l'ut,   dove  e  puie  ripetuto  l' idiotismo  , /ni// 1 


per  rtiiiisus.  Cfr.  pure  VI,  10876,  ijoqo,  .X,  2244, 
XIV,  3797,  etc.  Afaceria  per  muro  di  pietra  senza 
calce  è  adoper.'ito  .incora  comunemente  nel  territorio 
di  pondi. 

(4)  È  nota  la  differenza  delle  tre  parole  s.'Kr.ili 
delle  quali  quella  appropriata  al  sepolcro  è  reti- 
giosiis  (v.  pKSTi's  ilei',  s.  (ed.  Thewrewk)  p.  586. 
Macroh.  Sttturii.  Ili,  8.  Cfr.  pure  M'>mmskn,  A'.>- 
misihes  (ìrubrecht  in  /«»•.  Si  hi.  Ili,  p.  198  segK.; 
V.  SciAi.ojx,  />iiilti  inifi.  corsi"  tenuto  ncll.i 
P.  Univ.  di  Poiii.i  r.inno  t(jo7-8,  p.  }i8  sen.. 
178  seK-).  bsempi  analoKhi  si  trovano  nelle  iscri- 
zioni, p.  es.  C.  I.  L.  VI.  US!4  (Mm).  C.  I.  l..  VI. 
2j8)8  (siitYf  et  rtligiosHs).  iL'iire.i  cons;icr;ita,  Jl 
cui  possiamo,  per  fortunata  combinazione,  prendere 
ancor.i  le  misure,  erti  assai  vasta,  di  circa  un  ettaro, 
più  di  tre  /«.«.'«■'''  e  me/./o.  l.'arc.i  era  certo  asvil 
Kr.iiide  perchè  tutta  cons;icrata  e.  pur  essentiu  tra- 
pezoidale, si  può  considerare  di  circa  joo  piedi  in 
fi  Olili-  e  400  in  ligio  (Cfr.    HoK.  .SiiA  I.  H,   ij  • 


—  8o  — 

per  si.Tnpre(i)  alk'  naturali  vicende  del  commercio.  Anzi  è  noto  che  grandi  erano  le  diffi- 
coltà nel  diritto  antico  ad  ammettere,  in  teoria  almeno,  che  simili  tratti  di  territorio  privato 
potessero  essere  vincolati,  volendosi  perfino  da  alcuni  giuristi  che  la  religio  si  dovesse  limitare 
al  luogo  preciso  dove  era  sepolto  il  cadavere  (2).  Del  resto  le  norme  erano  dì  spettanza 
dei  pontefici  e  forse  L.  Domitius  Pliaon,  collegato  in  un  certo  modo  con  la  Casa  stessa 
imperiale,  si  credette  autorizzato  a  fare  particolare  sfoggio  di  quest'uso  ormai  comune  di 
unire  alla  tomba  propriamente  detta  un  hul  tratto  di  terreno  coltivato.  Egli  infatti  volle  con 
ciò  impedire  nel  modo  più  esplicito  qualsiasi  mutamento  di  possesso  del  fondo,  sia  per  ven- 
dita, sia  per  donazione,  anche  nella  forma  comune  della  mancipalio  (neque  venire  palesi, 
ncque  danari,  ncque  manciparì),  sempre  per  lo  scopo  che  la  tomba  restasse  in  perpetuo 
immutata  (3). 

La  ragione  per  la  quale  si  riservavano  simili  spazi  di  terreno  era  non  solo  il  lusso;  ma 
anche  la  volontà  di  creare  una  rendita  con  cui  si  potesse  provvedere  largamente  alla  manu- 
tenzione del  sepolcro  e  alle  spese  delle  cerimonie  in  onore  e  in  suffragio  del  defunto  (4). 
Così  il  terreno,  quando  specialmente,  come  nel  nostro  caso,  era  assai  ampio  e  di  natura 
fertilissimo,  non  era  lasciato  certo  incolto. 

Per  assicurare  appunto  l'opposto,  L.  Domitius  Pliaon  prese  le  ulteriori  disposizioni  per 
lo  ìus  morandi.   l'accesso  e  Vusa  dell'acqua. 

Circa  lo  ius  worandi,  dobbiamo  pensare  che  il  recinto  stesso  chiuso  dalla  maceria 
doveva  essere  abitato:  deve  cioè  essere  esistita  una  casetta  per  dimora  del  custode  e  col- 
tivatnre  di'!  luogo  (5).    Se  ciò  imn   presenta  nulla    d'insolito,  è  invece   interessante   vedere 

C.  I.   L.   VI,  25o()o,  etc.  >.  Cfr.  C.  I.  L   VI,  i  jy6  -  C    I.  L    VI,  13203,  13618,  etc.  ;  anzi  spesso  ì  testa- 

Xlll,  S708  —  X,  3594,  3750,  per  riserva  di  boschi,  tori  stabilivano  essi  stessi  persino  una  multa,  come 

giardini,  laghi.  Così  II ///«///i  C.  I.  L.  .XI,  3895  =  D.  C.   1.    L.    VI,   10219  =  D.  8226  ..  ne  de  noiniiie 

8347  ci  dà  un  ìiorreum,  rosaiia,  viiiio/ae,  dav.intl  ì»eo  evia/,  quod  si  qiiis  id  monimentum  partenve 

;illf  quali  era  un  solarium.   D.ill'altra  parte   erano  eius  vendere  qitis  volet,  l'el  donationis  causa   cui 

pisciiiae  con  un  can.ile  e  un  arundinetum.  Spesso  niancipare  vo/iieril,   a/iofe  quo  nomine  eiiis  moni- 

ricordati  S{)no  stagni  e  cisterne  (p.  es.  C.  I.  L.  Ili,  ineii/i  partem   alienare  temptaverit,  pagherà  una 

2279  -  VI,  IS593  ;  26942  (cfr.  Bluemner  Komische  multa  allo  Stato. 

l'rivalaltcrtiimcr  1911,  p.  508V  Ma  non  consta  che  (4)  L'uso   andò   divenendo  sempre  più  comune. 

tutte  queste  aree  fossero  Interamente  consacrate  come  Cfr.  p.  es.  l'Iscrizione  del    Monferrato    (C.    L   L. 

nel  nostro  caso.  V,  p.   7454  =  D.  8342).  .  hi  horti  ita  ut  optimi 

(1)  /;/  oinne  tempiis  posterum.   Es.   analogo  nel  inaximique  sunt  cineribus  seti'ite  meis,    nam  cu- 

testamento  di  un  Gallo  (Bruns  Fontes  hiris  Rom.  ratores   substituam   ut  vescantur  ex  horum  hor- 

p.  2751;  loco  aiiteiii  hiiic  !e.v    /laec    in   perfieliiinii  forum  reditu  natale  meo  et  per  rosam,  in  perpetuo 

dicilur.  Iios  hortos    neque    dividi   volo    neque    ahalienari. 

(21  Ctr.  Ui.piANus  e  Cici.sus,  Dig.  11,7;  Pm-  Cfr.  pure  C.  I.  L.  VI,   10239  etc. 

Lippus,  CW.  3,  44,  9  e  per  la  discussione  MoMMSEx,  (5)  Anche   di  ciò  gli  esempi   sono   numerosi   e 

A".  6" A',  p.  199;  ScrALoj.^,  op.  cit.,  p.  406  seg.).  per  un  lungo  spazio  di  tempo,   anzi   si  trova  tal- 

(3)  Molti    i    casi   analoghi,  p.    es.  C.  I.  L.  VI,  volta  pure  una  vera /aA«'«ii,  dove  probabilmente  si 

21096  [Ihh   monuinenliim  veto  venire,  veto  danari),  vendevano  commestibili  e  I  frutti  della  tenuta.  Così 


—  8i  — 

a  quali  persone  il  testatore  estese  questo  diritto:  a  tutti  coloro  che  si  chiarhassero  Do- 
miti e  Domiliae  e  fossero  ex  domo  Domiliae  L.  /.  I^pidae.  li  ricco  Phaon  infatti,  dal 
bei  nome  ellenico,  mostra  chiaramente  un'origine  libertina  e,  come  s'è  accennato,  pur 
essendo  padrone  del  fondo  (cuìhs  qui  locus  fuìt)  doveva  conservare  forti  vincoli  con  la 
donins  di  Domilia  Ispida.  Qua  evidentemente  domits  è  presa  nel  significato  direi  quasi 
di  corte  ed  è  interessante  constatare  questo  uso  della  parola  nel  tempo  neroniano  (  i  j.  Con 
la  sua  disposizione  poi  Phaon,  mentre  comprende,  credo,  per  primi  i  suoi  liberti,  estende, 
per  assicurare  sempre  più  la  permanenza  del  sepolcro  nel  nomen,  il  diritto  di  custodia  ai 
suoi  compagni  della  corte  della  zia  dell'  Imperatore  (2).  Va  notato  infine  che  egli  parla 
solo  di  diritto  di  dimora  e  non  di  sepoltura. 

Stabilito  questo,  il  testatore  volle  assicurare  il  passaggio  alla  tomba  fino  dalla  iva /i/^- 
blica  (che  forse  era  quella  stessa  su  cui  fu  fabbricato  poi  il  convento  di  S.  Raffaele»,  perchè 
il  sepolcro  fu  manifestamente  stabilito  nel  mezzo  del  fondo  di  lui  ed  egli  volle  impedire 
questioni  legali,  tanto  temute  dagli  antichi  testatori  (3),    nel  caso    assai  probabile  che,  col 


a  Miniurne:  iiiiiiis  ìnuiiiimenti  iiis  qua  tiiafiria  citi- 
su»!  est  finn  taberna  et  cenacuto  (C.  I.  L.  X,  6069). 
Cosi  a  Pozzuoli  :  iubituliim  superiorfvi  ad  con/re- 
quentandam  memoriam  qitiescientiiim  sihi  siiisque 
et  posteris  eoruin  extruxerunt,  tabernuta  aiilem 
cimi  siiis  siiperioiibiis  nullo  modo  ah  lioc  loto  sacro 
et  relif^ioso  oh  lii/c/am  ohiloriim  separari  polerit... 
reitilu»!  auliin  lorulae  et  aedificii  in  refectionìbiis 
cubiciilornin  sacioriim  et  aedificii  s.  s.  superstites 
erog-are  curahnut  (C.  I.  L.  X,  2015  =^  D.  8255. 
Cf.  ScHERiLi.o  in  .  ////  Acc.  Napol.  1868,  p.  418). 
Cfr.  anche  C.  I.  L.  VI,  1  j</),  2204,  0404,  1024^,  etc. 
Le  tahcinae  erano  anche  artillabili  (meriloiia)  (p.  es. 
C.   I.   !..   VI.   15640). 

(1)  l'omiis  Cominciò  a  Indic.ire  Li  famiglia  Im- 
perlale assai  presto.  Le  testimonianze  epi>;raliche 
di  una  domiis  .■infausta  cominciano  in  iscrizioni  del 
tempo  di  Claudio  e  di  Nerone  (C.  I.  L.  VII.  11; 
Hknzkn  in  /{liti.  Insl  1872  p.  105.;  Hiitt.  Con  . 
Iiett.y  1880,  p.  S12)  i"  diventano  comuni  col  11  sec. 
Cfr.  art.  doiniis  di  E.  Saiji.io  in  Dakkmiikhc.-Sa- 
r.i.io,  II,  p,  262 

(2)  Questo  genere  di  concessioni  limitate  a  per- 
sone dello  stesso  nomen,  si  trova  spesso  nelle  di- 
sposizioni funerarie,  e  specialmente  pel  diritto  di  se- 
poltura. Alcuni  esempi:  C.  I.  L.  VI,  8456  liber- 
lis  tìì>etl<ilii'"i--  <(/i  ;>.>./«,■  Ke\us,   qui  ex  /ami/iii 


mea  eruiit...  et  posterisqite  eoriim,  qui  in  no- 
mine meo  permanscrint;  CI.  L.  VI,  19844  =  D. 
8275:  stessa  disposizione  dì  /..  lutius  Apottonius... 
ne  de  nomine  luliorum  exeat.  Cosi  C.  I.  L.  X, 
3750  =-■  D.  8551  (tibertis  libertabusque...  iis  qui 
Pianti  vocitabantur  su  l.i  tomba  di  A.  Ptautiiis 
Euliodus  e  dei  suoi);  cosi  C.  I.  L.  VI,  6i9J  =  D. 
8281  (nella  tomba  di  Aemilia  M.  I.  Callista)  hoc 
monumentum  /laeredem  ex  nomine  Aemitioruni  se- 
quelur.  alio  nomine  Aaeiedem  non  sequetur.  Cfr. 
pure  C.  I.  L.  VI,  12685  ^  D.  8279:  A(.  A/ims 
Tyrannus  lecit  sibi  et  posterisque  suis  omnibus  et 
Aliis  omnibus,  qui  ius  habent  in  monumento  ma- 
iore  et  posterisque  eoruin;  C.  I.  L.  V.  }8i  =  D. 
8280  (di  Cittanova  d'Istria),  In  cui  un  C.  C:  • 
riservava  l.i  tomb.i  .1  ciascuno  qui  nomine  t. 
erit;  e  cosi  vl.i. 

Per  quella  specie  di  dlpendenz.i,  sopr.itutto  per  I.1 
successione  conservata  poi  d.il  libertus  con  il  p.i/ro- 
Mus  e  l.-i  sun  (amlKlin,  vedi  spcc.  Léckivain  In 
l).\REMiii:iu;-S.u;i.io,  s  v.  tibertus;  C.  |-"ahi>\, 
tu  ritti  dette  persone  e  della  famiglia  (  igio) 
p.   108  seK- 

())  Come  dimostr.i  l'auctirlo  In  molte  eplgr.-ili, 
che  sii)  lunKi  dall.i  tomba,  insieme  col  dotus  ma- 
Ius,  lo  itts  rivile  (C.  I.  L.  VI.  8861.8862  etc.)  u  lu 
iuriscoHsultms  I 


-   82   — 

passare  dej^li  anni,  tutto  Vajifcr  />//>/is  circostante  passasse  in  altre  mani.  Questa  cura  del 
resto  fu  presa  da  molti  altri,  di  cui  ci  resta  testimonianza  (  i  ). 

Non  meno  importante  poi  era  assicurare  l'uso  dell'acqua  da  tutto  il  fondo  e  villa,  perchè 
doveva  mancare,  come  manca  tuttora  nel  recinto  del  sepolcro.  Che,  se  anche  fosse  stato 
possibile  averne  per  mezzo  dei  pozzi,  la  circostanza  dell'esistenza  prossima  di  fonti  di  ottima 
acqua,  deve  aver  determinato  la  disposizione.  Anche  quest'uso  però  è  limitato  ai  custodi 
della  tomba  die  abbiano  ivi  la  loro  stabile  dimora  (2). 

Date  queste  minute,  ma  necessarie  disposizioni,  si  dichiara  che  L.  Domitius  Phaon 
fu  il  padrone  del  fondo  e  diede  lo  iussus  e  la  pcrmìssìo  di  ciò  che  si  è  detto  e  questo 
per  sempre  ;  augurandosi  che  tutto  fosse  eseguito  sine  dolo  maio,  infine  si  ricorda  di  aver 
fatto  incidere  le  sue  disposizioni  in  otto  cippi  (3)  e  si  termina  con  la  data  precisa  del- 
l'epigrafe. 

Il  monumento  dunque  ci  presenta  un  nuovo  e  completo  esempio  di  disposizioni  testa- 
mentarie sepolcrali,  che  ben  ricorda  e  integra  molti  usi  già  noti;  ma  che  ha  su  tutti  il 
pregio  di  essere  datato  con   sicurezza  in  pieno  primo  secolo  dell'Impero. 


Nelle  adiacenze  del  sepolcreto  si  possono  osservare  numerose  rovine  antiche,  probabil- 
mente della  \illa  di  /..  Domitius  Pliaon.  l")ato  il  loro  stato  è  impossibile  determinarle, 
tranne,  forse,  una  conserva  d'acqua.  In  questi  pressi,  anni  or  sono,  fu  rinvenuta  una  sot- 
tile lastra  frammentaria,  di  marmo,  sulla  quale  si  legge  un'epigrafe,  ora  conservata  nella 
casa  di  Gaetano  Manzi,  ex  domo  del  Principe  di  Fondi. 


(i)Cfr.  il  testamento  più  volte  citato  di  un  Gallo  (3)  Cfr.  p.  es.  CI.  L.  XIV,   3857  —  D.  8350: 

(C.   I.   I..  XIII,   5708  =   D.  8379):    aditimi  [ittim  (cipfiis  iiisiriptis    171). 

actuìit  ad  id  aedijkiuiii  ìiabeant  giiictiniqité]  ad  id  Credo  interessante  notare  l'uso  delle  parole  /tic 

colenduvi  pedihiis  ti  vcìiicitlis  et  staticulis   [aditi-  e  is  nel  testo  dell'epigrafe.  Quando  fu  incisa  si  disse 

lnint\  C.  1.  L.  VI,  10250,   19949.  La  via  era  pri-  infatti  giustamente  Itic  lociis.  fiaec  tnaceria  e  più 

vata  :  iter  privatum  a  via  publica  per  ìiortuìii  per-  sotto  fi  ni  e  loco:  ma  poi  leggiamo  ius  morandi  in 

tinens  ad  ìnonumentiiiìi  sive  sepiilirnvi,  quod  Aga-  eo  loco;   qui   in   eo   loco   morabuntur.  —  Questo 

thopiis Aiig.  libertits...  {d.  I.  L.  VI,  8862  =  Bruns,  unito  aW'item    rivelano  come  qua  siano  con  molta 

p.  300,  4).  probabilit.T  riportate  integralmente  alcune  frasi  del 

(2)  Le  antiche  tonti,  dette  ora  di  Acquac/iiara,  testamento  di  L.  Domitins  Pliaon,  da   lui    scritto 

hanno  resti  di  condotti  di  piombo  per  la   distribu-  stando  nella  sua  villa:  e.x  hoc  fiindo  villaque.  Le 

zione  dell'acqua  nella  villa.  Un  esempio  analogo  di  disposizioni  furono  poi  fatte  incidere  sui  cippi  che 

uso  di  acque  è  in  C.  I.  L.  V,  3849  =  Bruns,  p.  300,  limitavano  il  sepolcro  da  lui  stesso  posteriormente 

w-.huiusmommentìemptioni  accessit  iter  actits  ad  o  dai  suoi  eredi,  in  suo  nome,  come  fa  pensare  il 

puteitiii  haiistus  aqiiae  ex  suburbaiio  Riitiìiano.  fiiil,   lo  iitssit  e  il  perwisit. 


È  una  dedica  a  Diana,  di  un  serviis  probabilmente  di  L.  Domitius  Phaon,  poiché  gli 
splendidi  caratteri  epigrafici  la  datano  alla  metà  del  I  secolo  dell'Impero  (i). 


DlKh 


Una  dedica  alla  dea  delle  selve,  ben  si  addice  a  quel  luogo  bellissimo,  da  cui  l'occhio 
ammirato  del  visitatore  spazia  su  tutta  la  piana  di  Fondi,  dai  verdi  colli  Cecubi  al  Tirreno! 


I\. 
ALTKh    hPIGRAFl    INhDITH 

NcH'esplorare  la  repione  ho  rinvenuto  un  bel  numero  Ji  epi;;ran  miuM-,  i>er  lo  più 
però  frammentarie.  Potranno  servire  per  un  futuro  supplemento  al  X  volume  del  Corpus 
hiscriplioHiim  Latinarum.  Intanto  colgo  l'occasione  per  comunicarne  alcune. 


MINTVRNAE.  Torre  del  Garigliano.  Questo  singolare  monumento  del  sec.  X, 
(ulto  fabbricato  con  materiali  raccolti  tra  le  rovine  della  città  romana,  seguita  a  s\elare 
sempre  nuove  epigrafi  (2).  Per  esempio: 


}" 


S  •  CANDinATI  NOMKN  IN  HOC  MO 
AVT  •  SI  •  lAtnVS     liRIT  •  CONDIiMN 


mi:nto  scriptvm  i:kit  nv( 

TVK  ' 


L'iscrizione  è  su  due  blocchi  di  calcare,  a  caratteri  piccoli;  ma  ass.11  iviii.    I..1  puma 
pule  tu  piiliMii:it:i  d.il   I  .iui.nl-\'ilieri  .■  Pìl.;iiiì.i|  nei  loro  studio  e  fu  Completata  StVondo 


(i)  1.1  pii-lr.i  r  Mi.irmii  ImiciiM-.  I.irnh.  m.isMin.i  (i)  VcJl   I.mki  ni  A  ihkki   c    1'k;,\mi-i.  in  .\U- 

Jil  framininto    m.  o.so;  .ilt.  m.  0.41.   Alt.   delle  Uingfi  ifnn/tt'otogit  fi  d'kixtoitr.    1007,    p.    4<n 

lettere:  1  linea  m.  o,o<j ;  Il  e  III  o,o<i.    rhiillii\  è  scrr.;   Giclioli    In    Xo/isit  drgli  Stat-i,    igo8, 

nome  comune  Jl  schiavo  ip.  e>..  C.  I.  I..  X,  .vk>4,  p.    )q7. 
425).  749 J  eie). 


-84- 

C  I.  I..,  VI,  29942  :=  D.  8207  [ìnscriplor  rogo  le  ut  Iranseas  hoc  moniini...  qiioios  can- 
didali nomcn  in  hoc  monumcnlo  inscripliun  /iieril,  rcpiilsam  feral  ncque  honorem  ullitm 
itni/uam  iterai .  La  11  parto  (posta  dal  lato  Jella  torre  che  guarda  Minturno,  sulla  porta), 
dame  ritrovata,  conferma  la  lettura;  ma  invece  della  frase  repulsam  feral,  proposta  come 
SLipplemento,  consiglia  di  leggere  nulliim  honorem  nnqnam  gcral.  Per  completare  l' iscri- 
zione manca  evidentemente  un  solo  blocco:  il   i"  a  sinistra. 

Allo  stesso  monumento,  di  cui  sono  nella  torre  moltissimi  massi,  appartenne  certo  un 
altro  frammento  di  epigrafe,  identica  per  caratteri  e  per  materiale.  Ora  è  murata  a  grande 
altezza.  Probabilmente  parlava  della  multa  che  i  contravventori  alle  disposizioni  del  defunto 
dovevano  pagare  all'erario  (i). 

•  lE.  . 

DABIT  IN  l'VBl.IC 


* 

Mintili  no.  Trovata  nclli.'  rovine  della  Chiesa  dell'Annunziata.  Ora  nella  raccolta  del 
Prof.  Pietro  Fedele.  La  lastra  (larjja  in.  0,55,  alta  ni.  0,71),  è  stata  forata,  in  tempi  mo- 
derni,  nel   mezzo.   Le  lettere  sono  alte  in.  0,04. 

D  ■  M- 
M  I  N  T  V  R  N  I  A  I 

M  ■  F   AIDI 

M  I  N  T  V  R  N  I  V  S 

5    SVCE COLON 

lAK  •  LIB  •  CONIVGI 
OPTIMAE    •     FECIT 

L'epigrafe  ci  ricorda  dunque   un  libertus  della  colonia  di  Minlurnae. 

Un  altro  era  già  conosciuto,  da  un'epigrafe  trovata  presso  il  Monte  Argento  (2).  Che 
i  liberti  dei  municipi  e  delle  colonie  prendessero,  nei  tempi  più  antichi,  non  il  nome  del 
magistrato  manomettente;  ma  un  gentilizio  derivato  dal  nome  della  città,  è  cosa  nota  (3). 
II  cognomen  del  nostro  era  Sucesiis,  forma  talvolta  usata  per  S/ucessus.  Anche  la  moglie 
aveva  la  stessa  origine  libertina. 


(1)  Negli  altri  massi  sono  indicazioni  dell'area  »i»s  Felix  {C.  I.  !..  X,  5012)  e  altri  ;  da  C(7;>«a 
(murati  nel  lato  verso  il  Massico):  i)  IN-AG-P.  un  C.  Campanili^  Crsuliis  (C.  I.  L.  X,  3940);  da 
XV  :  2)  IN  FRO. .  .  ;  3)  IN  AGRO  P  XV  :  4)  IN  Amilenium  un  .1/.  Amilernius  lucundus  (C.  I.  L. 
AGR.  . .  IX,  4231)  e,  recentemente  rinvenuto,  Aa  Inleramna 

(2)  C.  I.  L.  X,  6044:  Sex.  Mcnlurniìix  colon.  Lirenas  \ìt\  C.  Inleratnnius  Crescenlio  (Noi.  Scca'i, 
lib.    Felix  sibi  et  siiis  fedi.  1911,  p.   148).  Cfr.  Daremberg-Saglio,  .r.  v.  li- 

(3)  Cosi  p.  es.  ;  da  Venafrum  è  un  O.  l'ena/ra-  berliis,  Pauly,  R.  E.,  vi-i,  p.   1088,  s.  v.  senn. 


-85- 

M  inturno.  Cipp"  di  calcare,  alto  m.  1,50,  largo  m.  0,45  e  spesso  m.  0,22.  Le  linea 
scritta  è  a  m.  0,65  dal  margine  superiore.  Le  lettere  sono  alte  ;,  e  nell'ultima  rigc 

m.  0,02.  Trovato  sulla  sponda  destra  del  Garigliano,   là  dove  si  unisce  con  l'Ausente,  in 
f(jndo   Faraone,  è  ora  nella  raccolta  del  Prof.  Pietro  Fedele. 

P  •  LICOVIVS  ■  P  •  F  • 

M  •  ALBIVS  •  M  •  F 

DVO  •  VIR 

L-  D 

I  dìtoviri  erano  la  magistratura  normale  di  Minturne  (VELLElvs  PAT.  2,  19;  C.  I.  L.  X, 
6012,  6013,  6015,  6019).  Il  nome  Albitis  è  noto  nella  regione,  p.  es.  a  Fundi  (C.  I.  L. 
X,  624 1  )  ;  mentre  la  j^cns  IJcazùa  era  finora  conosciuta  soltanto,  in  Italia,  ad  Aquileia  e  dintorni 
(C.  1.  L.  V,  1362,  1452,  1958,  8489,  8973)  e  a  Cilli  (Claudia  Ccleiat  nel  Noricum  (C.  I.  L. 
Ili,   3265).  Riesce  pertanto  interessante  ritrovarla  nel   /m/ìiiih  nai'um. 

* 

*  * 

M  inturno.  —  Raccolta  di  Pietro  Fedele.  —  In  un  laterizio.  —  In  cornice  ovale,  con 
gli  assi  di  m.  0,075  X  0,025.   —   Lettere  alte  m.  0,007. 

TI  GLANDI 

F  A  V  S  T  1 

È  databile  alla  metà  del  I  sec.  d.  C.  Esempi  analoghi  non  mancano:  casi  C.  I.  L. 
XV,  926  (7'i.  Claudi  \  Conimunis);  930  (7/.  Claudi  |  Ikrmerotis)  etc.  Notevole  la  forma 
ovale  del  bollo. 

♦  * 

FORMI  AH  (I). 

Por  mia.  —  Villa  Rubino,  già  Captisele.  Fu  Innata  in  Formia  in  occasione  dell'aper- 
tura della  Via  XX  Settembre.  Il  blocco  misura  m.  0,75  X  0,43. 

c  •  ARRio  •  si:ni 

MAO • AVO • 

LVCILIA  •  SALVIA 

VXOR 


(i)  Confrontando  le  cplKrafi  (ormianc,   r^iccoltc  ri.i(-i>Mi/<>  recentemente  nel  cLirUlno  del  c.iv.  Uccn- 

nel  V.    X  del  iorf>ii.i,  mi  è  stato  possibile  rinve-  /.lati,  .il  limite  o<:cident.ile  dcll.i   mix)crn.i  Forml.i 

nire  f,\\  originali  del  n.  6ioj,  6140,  61^1  0  ftigj,  ed  ora,  per  suo  dono,  e  nell'.itrl.'    '  "■      ••-'•-'(■ 

gli)  smarriti  al  tempo  del  Mommscn.  Il  n.  Oio)  (u  di  ( ì.iet.i,  dove,  per  iniiiativ.t  del  .:  i- 


—  86  — 

È  noto  essere  la  /^ens  Arrìa  una  delle  più  cospicue  di  l-onuun  ;;i:i  :il  tempo  di  Ci- 
cerone. Cfr.  C.  !.  L.  X,  6101    etc. 

A  Formiac  poi  era  yiA  noto  un  magistcr  Au^usialis  nella  persona  di  .7.  Plautius 
Theodor'!  l{ibertits)  ApcUa  (C.  I.  I-  X,  6114).  Anche  C.  Arrius  Senex  era  evidentemente 
di  origine  libertina. 

* 

Formia.  —  Trovata  dal  parroco  Lorentis  sull'Appia,  tra  Uri  e  Formia,  a  un  chilometro 
da  questa  città,  presso  la  cosiddetta  Tomba  di  Cicerone. 

Manno,    frammento  di   umetta  (m.   0,17X0,16).   Lettere  di   epoca    tarda    (m.    0,031. 

.  .  MARCE 

VICTOR    

VENE  •  M  (eienti) 
FECIT 

La  prima  linea  è   mancante   superiormente. 

* 

*  * 

FVNDL 

Murata  nelle  rovine  del  monastero  cassinese  di  S.  Maj;no,  a  occidente  di  Fondi.  Cal- 
care (m.  0,53  X  0,32). 

A  •  TAT I VS 
M  •  L  •  ANTIOCM 
....    CENTI 


Ferraro,  sì  comincia  a  raccogliere  un  piccolo  lapi- 
dario. L' epigrafe  è  su  un  masso  di  travertino 
{0,68  X  0,48),  con  lettere  belle,  alte  m.  0,06.  11 
testo  dato  dal  Corpus  è  esatto;  ma  la  pietra  è  sa- 
gomata. Dunque  l'epigrafe  è  intera  e  non  fram- 
mentaria, come  pensò  il  Mommsen  che  supplì  : 
sa[<frdi>s]  Cercrils].  Invece  è  scritto; 

CAESIA  ■   NO  •  F  ■  SA  I 

CERERI 

L      CAESIVS  ■  0  ■  F     rvE 

FECIT 

e,  Cereri  essendo  chiaramente  un  dativo,  deve 
trattarsi  di  una  dedica  a  questa  dea.  Il  Caesiiis 
poi  è  /.ittius  e  non  Ouiiilus.  11  numero  6140  fu 
da  me  ritrovato  in  una  f.ittoria  a  S.  Martino  in 
Paniano,  sull'Appia,  tra  Itri    e    Formia.  Ora,   per 


dono,  è  colla  precedente.  L'epigrafe,  su  pietra  cal- 
care (m.  1,15  X  0,70),  con  lettere  assai  belle 
(alte  m.  0,16)  e  con  punti  diacritici  triangolari,  è 
riportata  esattamente  nel  Corpus  ed  è  intera  :  ora 
manca  Fultima  lettera.  I  n.  6151  e  6192  sono  su 
omette  cinerarie.  La  prima  è  tuttora  in  S.  Gio- 
vanni Evangelista  di  Gaeta  ed  è  adorna  di  un  fe- 
stone di  fiori  e  frutta,  retto  da  due  fiaccole  ac- 
cese (m.  0,29  X  0,20).  Il  eogiiomeii  del  dedicante 
non  è  né  3/aliiius,  né  Mariniis;  ma  .Magiius;  il 
resto  è  esatto.  La  seconda,  la  cui  epigrafe  è  esat- 
tamente riportata,  è  adorna  di  una  cornice  a  fo- 
glie e  roselline  stilizzate  e  si  trova,  usata  come  pi- 
letta per  l'acquasanta,  nella  sagrestia  della  chiesa 
di  S.  Stefano  in  Elena  (già  Borgo  dì  Gaeta),  dove 
venne  da  S.  Angelo  di  Gaeta,  nella  qual  chiesa  la 
vide  il  Redianus. 


-87- 

Nella  terza  riga,  avanti  al  C  è  la  traccia  di  una  lettera,  credo  un  I.  Restano  infine 
tracce  in  una  quarta  riga  di  due  lettere,  forse  VS. 

Proviene  forse  da  una  tomba  sull'Appia.  A  Fondi  si  conosceva  già  la  gens  Talia 
per  varie  epigrafi  (C.  1.  L.  X,  6274,  6275,  6276),  specialmente  di  altri  liberti  dello  stesso 

Marcus  (\). 

Giulio  Q.  Giglioli. 


(lì  L'epigrafe  C.  I.  L.  X,  6253  e  veramente  in  buone  (m.  0,10);  i  punti  diacrilici  triangolari.  Sotto 

S.  Maria  del   Soccorso,  un  miglio  fuori  di  Fondi,  è  scolpito  uno  stemma  moderno.  Il  testo  del  Corpus 

verso   Terracina,  nel  pavimento  della   chiesa.    La  e  esatto;  ma  nell'originale  è  scritto  su  una  sola  e 

pietra   è  marmo  (m.   1,06  X  0,57),    le  lettere  sono  non  su  due  righe. 


DI   VN'ANTICA  STA  I  \  i;i  r.\    DI    i;K(  ).\/(  ) 

k.\lM'ki:.sl'.\  1  AN  I  I-.    \\A    l'()|.ll:SSA 

Tav.  V. 


Durante  il  mio  breve  soggiorno  fatto  l'anno  passato  in  Atene  come  alunno  dì  quella 
Scuola  Archeologica  Italiana,  ebbi  la  fortuna  di  venire  colà  a  conoscenza  di  un'importan- 
tissima opera  d'arte  classica,  inedita.  Si  tratta  d'una  statuetta  femminile  in  bronzo,  di  prò 


^"ig. 


prietà  privata,  al  cortese  possessore  della  quale  debbo  le  fotografie  che  accompagnano  que- 
st'articolo e  tLitto  l'agio  e  la  libertà  con  cui  ho  potuto  studiare  l'originale  e  con  cui  posso 
ora  pubblicare  i   risultati  del   mio  stridio. 


-89- 

La  statuetta  ci  viene  da  Milo.  La  sua  altezza  massima  è  di  cm.  27,  sopra  un  piano 
che  misura  cm.  26  di  lunghezza  e  io  di  larghezza  (Tav.  V).  La  fig.  è  seduta,  la  gamba  d.  acca- 
vallata sulla  sin.,  sopra  un  basso  sgabello.  Essa  è  vestita  di  un  fine  chilon  poderes  fermato 
con  due  bottoni  su  ciascuna  spalla,  adorno  d'un  altro  bottone  sull'orlo  della  scollatura  a 
mezzo  il  petto  e  stretto  alla  vita  dallo  slrophion;  e  inoltre  di  un  himation  il  quale  copre 
solo  la  parte  inferiore  della  persona,  le  gambe,  mentre  un  lembo  di  esso,  prima  sorretto 
dalla  cintura  attraverso  la  quale  esso  passa,  ricade  all'  indietro  sino  a  terra  formando  una 
specie  di  strascico.  Dall'estremo  lembo  del  chitone  sporgono  i  piedi  della  statuetta  perfet- 
tamente nudi.  Il  capo  della  figura  è  inclinato  sul  petto,  lo  sguardo  abbassato,  volto  piut- 
tosto a  J.  La  chioma  è  divisa  nettamente  da  una  scriminatura  nel  mezzo,  in  due  bande 
rigonfie  le  quali  ricoprono  interamente  le  orecchie,  ed  è  raccolta  in  una  massa  unica  dietro 
la  nuca,  con  due  riccioli  ricadenti  sulle  spalle  ;  sopra  la  chioma  una  corona  floreale.  La 
mano  d.,  col  braccio  leggermente  ripiegato  e  girato  al  gomito,  pende  verso  terra,  mentre 
la  sin.  stringe  sul  petto  un  rotolo  di  pergamena.  Lo  sgabello  su  cui  la  figura  siede  è  co- 
stituito da  un  piano  striato  verticalmente  agli  orli  entro  una  cornice  liscia,  poggiante  sopra 
due  paia  di  zampe  di  leone,  ciascun  paio  diviso  nei  lati  stretti  da  una  palmetta  rovescia 
a  quattro  solchi  profondi.  Il  piede  anteriore  sin.  dello  sgabello  è  coperto  dal  manto.  <Fig.  1 1. 

L'opera  d'arte  è  in  uno  stato  di  conservazione  perfetto,  sotto  una  bellissima  patina 
verde  scura  a  diversi  toni.  Fusa  tutta  quanta  in  un  sol  pezzo,  presenta  come  separate  e 
artificialmente  incastrate  al  tronco  le  sole  braccia,  all'altezza  dei  seni.  La  saldatura  del  brac- 
cio d.  è  in  parte  venuta  meno,  mentre  il  braccio  sin.  rimane  ancora  aderente  (  i).  L'orio  estremo 
del  lembo  posteriore  del  manto,  inoltre,  e  le  due  zampe  posteriori  dello  sgabello  non  pog- 
giano più  in  piano,  ma  sono  alquanto  ripiegate  all' insù,  fino  a  più  di  due  centimetri,  evi- 
dentemente in  seguito  a  una  caduta  o  a  un  forte  colpo  subito  da  quella  parte,  dal  basso. 
Al  punto  dove  è  rimasto  ripiegato  dal  colpo,  il  piede  posteriore  d.  dello  sgabello  porta  una 
screpolatura.  (Fig.  2). 

Passando  a  un  esame  più  minuto  dei  singoli  particolari,  os.serv'iamo  che  la  corona 
floreale  sopra  la  chioma  della  statuetta  t"  intrecciata  di  rose  sulla  fronte  (una  delle  due  rose 
|iiù  espansa  ì'  accompagnata  da  foglie),  di  campanelle  e  foglioline  lanceolate  sopra  e  dietro 
II'  tiinpii'  (due  campanelle  e  quattro  foglie  alternate  sulla  tempia  d.,  una  grossa  marghe- 
rita e  quattro  campanelle  sulla  tempia  sin.).  La  chioma,  s|xcialmente  rigonfia  sulle  tempie 
e  raccolta  in  una  massa  dietro  la  nuca,  ha  ondeggiamenti  eseguiti  con  grande  leggerez/ui 
di  tocco  ed  ò  d'un  effetto  molle  e  gradevole  alla  vista.  La  banale  simmetria  dei  partico- 
lari è  bandita  anche  dalle  due  treccioline  ricadenti  sulle  spalle,  di  cui  l'una,  a  d.,  "è  più 
breve  ed  unita,  l'altr.i,  a  sin.,  più  lunga  e  divisa  in  ciocche    minori.    L'orbita   dell'occhio. 


(1)  E  d.i  not.irc  elio  II  uoinlt»  del  br.icclo  sin.  non      prini;i  ncll.i  fiR.  1.  ni.i  i  Invece  s«»pcs«>  e  compie- 
rlposM   .ift.itto   sul   Kiniicchl",   ii>nif  .ippan "  ■       '  ■ '••  ■  '  !  ••     \'> 

.-iHiimni       Anno    VI.  \ì 


—  90  — 

liscili,  porta  nel  ct-ntro,  :il  posto  della  pupilla,  un  forellino,  onde  il  volto  acquista  una  non 
ispiacevole  espressione  di  fissità.  Il  volume  che  la  (i;;ura  tiene  nella  mano  sin.,  cede  assai 
mollemente  sotto  la  pressione  della  palma,  col  massimo  rispetto  per  la  realtà,  rispetto  questo 
che  ò  proprio  di  tutti  i  particolari  della  (ij^ura.  Come  la  sin.,  cosi  pure  la  mano  d.  teneva 
originariamente  il  suo  attrihiito.  iJi  questo  oyjjetto,  che  doveva  es.sere  qualche  cosa  di 
nmltii  rsilc  e  iuni^o,  IlmiuIo  tr:i  l'indice  e  il   pollice  ancora  avvicinati    tra    loro,    non  è  più 


1  ig.    2. 


traccia  nella  mano  stessa;  la  traccia  è  iinece  rimasta  sopra  un'increspatura  del  manto, 
poco  al  di  sotto  della  mano,  là  dove  chiarissimamente  si  vede  un  circoletto  incavato  (Fig.  i). 
Questo  circoletto,  anzi,  oriojnariamente  non  costitui\a  che  un  foro  dall'esterno  all'interno, 
ca\'o,  della  statuetta,  attraverso  lo  spessore  del  bronzo,  ed  era  ed  è  ancora  riempito  d'un 
metallo  diverso,  che  sembra  piombo.  È  evidente  che  qui  doveva  essere  il  punto  d'ap- 
poggio e  d'attacco  dell'oggetto,  quale  si  fosse,  stretto  nella  mano  d.  E  l'oggetto,  tenuto 
conto  della  posizione  delle  dita,  della  distanza  tra  queste  e  il  punto  d'appoggio,  della  ne- 


—    01 


cessarla  relazione  coil'altro  attributo,  il  volume  di  pergamena,  sembra  a  noi  sia  da  identi- 
ficare con  uno  strumento  da  scrivere:  qualche  cosa  come  il  calamus  scriploritis  (*z>.x|ao; 
Ypy.'P'.i'.o';)  adoperato  per  scrivere  coli' inchiostru  ia/rainenJiim  lìbrariums  ^\\. 


*  * 


Quale  mai  personaggio  si  può  esser  proposto  di  rappresentare  l'artista  in  quella  figura 
così  malinconicamente  pensosa  e  con  quegli  attributi  ?  Poiché  non  si  può  pensare  ad  una 
Musa  (l'espressione  troppo  umana  e  appassionata  di  quel  volto  escluderebbe  l'ipotesi),  il 
pensiero  corre  tosto  ad  una  ptjetessa.  È  questa  rappresentata  nel  momento  particolare  in 
cui  la  mente  si  raccoglie  e  concentra  nell'ispirazione  ad  un  inno  poetico,  ch'essa  trascriverà 
sopra  una  faccia  del  rotolo;  od  anche  in  quell'altro  momento  psicologico,  simile  ma  più 
interessante,  in  cui  la  donna,  che  pur  cerca  un  conforto  alle  proprie  pene  nell'  arte, 
sente  tuttavia  l'anima  sopraffatta  dall'  empito  Jelhi  passione  e  ammaliata  da  tristi  e  ma- 
linconiche fantasie. 

In  quanto  alla  concezione  artistica,  il  nostro  piccolo  bronzo  pare  a  tutta  prima  rien- 
trare, per  i  suoi  caratteri  generali  e  particolari,  in  un  ordine  di  opere  d'arte  di  secondaria 
importanza,  quanto  diffuse  nell'antichità  altrettanto  note  e  in  onore  presso  i  collezionisti 
d'oggidì.  Ci  riferiamo  con  questo  alle  cosi  graziose  ed  eleganti  terrecotte,  che  da  Tanagra 
e  Mirina  specialmente  invasero  il  mercato  greco  ed  asiatico  dalla  morte  di  Aless;indro  a 
tutto  il  III  Sec.  avanti  Cristo.  Passando  in  rassegna  le  principali  raccolte  del  genere,  con- 
fidiamo di  trovare  numerosi  punti  di  contatto  fra  le  terrecotte  e  il  bronzo  di  cui  facciamo 
parola.  —  Sia  nella  raccolta  generale  del  Winter  (2),  sia  in  altre  minori,  cominciamo  col 
trovare  un  numero  stragrande  specialmente  di  statuette  femminili,  la  chioma  ugualmente 
spartita  e  ugualmente  adorna  d'una  corona  vegetale.  Le  ghirlande  di  codeste  statuette 
sono  tutte  intrecciate  di  foglie  puntute  (mirto,  edera,  alloro),  spesso  alternate  a  frutici  o 
bacche  rotonde.  Solo  in  qualche  raro  ca.so,  quando  la  maggior  grandezza  delle  proporzioni 
permette  maggior  copia  di  particolari,  troviamo  al  posto  delle  solite  bacche  lisce,  dei  veri 
e  propri  rosoni  (?). 

la  loggia  di  vestire  della  nostra  statuetta  è  anch'essa  tutt'altro  che  rara  nel  reper- 
torio delle  terrecotte.  Si  può  anzi  dire  che  il  costume  classico  di  queste  n<>n  consista  in 
altro  che  in  un  leggero  chitone  a  corte  maniche  o  senz;i,  tinto  alla  vita,  aderente  alla 
persona  e  modellantesi  su  di  essa,  e  d'uiì  himalion  più  gro.sso  e  iH;s;uite,  che  si  avvolge 
intorno  alla  parte  inferiore  della  persona.  La  jxisizione  stes.s:»  della  statuetta,  rappresentsita 


(1)  V.   l!\i'Nn:isni<,  Ihnkmìtlcr :  Sihrribgfritt  1  iratottrm. 

e  Th.  HIrl,  Pii-  /!iii limili-  ili  (/<•»    Amisi.   I  cip/In  (3)  V.  aj   es.   Cartault,    Co/ìfitiott    /.«•«•*tr», 

l(jo7,   p.   jo4-.'i)S.  '■  •        i"^  ■       '  ' 


-    92    - 

seduta,  le  yamhc  accavallate,  la  parte  superiore  del  corpo  visibilmente  chinata  in  avanti, 
unii  dei  jjomiti  pogjjiatcj  sulle  ginocchia  e  la  mano  sul  petto  o  quasi,  è  anche  comune  fra 
le   lerrecotte  (  I  ). 

Ma  il  carattere  che  sopra  ojjni  altro  le  è  peculiare,  l'espressione  pensosa  e  mestamente 
severa  del  volto,  trova  anche  questo  un  riscontro  nello  steswj  repertorio?  Noi  conosciamo 
queste  (ij^urine  greche  di  Tanajjra  e  di  fuori  come  contrassegnate  in  generale  tutte  da  un 


sonisii  che  increspa  lejijjjermente  le  labbra,  fijra/.ioso  dapprima,  insulso  e  insignificante  dipoi, 
quando  ci  accorgiamo  che  esso,  più  clic  alla  genialità  dell'artista,  è  dovuto  alla  tradizione 
dominante,  o  peggio  ancora,  allo  stampo  che  ci  ripete  un  numero  infinito  di  esemplari  tutti 
uguali  fra  loro.  Non  mancano  tuttavia  le  debite  eccezioni.  Più  che  la  impassibile  serenità 
della  scuola  lìdiaca,  s'impone  all'arte  coroplastica,  arte  d'imitazione  per  eccellenza,  nel  pe- 
riodo del  suo  massimo  fiore,  l' influsso  dell'arte  di  Scopa,  di  Prassitele  e  di  Lisippo,  tanto 
più  psicologicamente  espressiva,  precorrente  l'estrema  ricerca  del  pathos,  propria  delle  scuole 


(i)    Kekulé,   Gricch.     Tlwnfig.    aus    Tanagni       i.   (Coli.    Gré;ij).  —   i'eiilfs    à    rHàtel    Droiiol. 

t.  X.  — Caktxult,   Terris  tiiitcs  grccgiics,  v^-  I',       Fóvr.    i88(),   n.    115. 


—  93  - 

di  Pergamo  e  di  Rodi.  Riandando  i  repertori  delie  terrecotte  artistiche,  ci  avviene  però  talora 
d' incontrarci  anche  in  esemplari  che  rivelano  una  certa  affinità  di  espressione  colla  nostra 
statuetta.  Una  cert'aria  meditativa  o  di  mestizia  troviamo  in  qualche  statuetta  della  Col- 
lezione Lecuyer  (i),  in  altre  del  Museo  del  Louvre  (2)  e  in  una  del  Museo  Nazionale  di 
Atene  (3)  ;  infine  dei  tipi  di  donne  più  o  meno  pensosi  si  riscontrano  in  tutta  una  serie  di 
terrecotte  pubblicate  dal  Winter  (4),  la  maggior  parte  di  Tanagra. 

Questi  i  riscontri  che  secondo  noi  si  offrono  tra  le  terrecotte  greche  e  la  statuetta 
che  ci  siamo  proposti  d' illustrare.  Come  ognun  vede,  delle  affinità  di  caratteri  ancne  più 
che  esteriori  in  questo  campo  non  mancano.  Non  d'ogni  particolare,  però,  siamo  riusciti  a 
trovare  il  perfetto  corrispondente  nei  prodotti  di  figulina.  L'acconciatura  del  manto  passato 
sotto  la  cintola  e  scendente  indietro  a  formare  una  specie  di  strascico,  è  un  elemento  per 
sé  affatto  originale.  Un  certo  riscontro  si  potrebbe  trovare  solo  in  una  Tanagrina  di  Ber- 
lino (5),  in  cui  l'ampio  manto  che  avvolge  tutta  la  persona  della  figura  seduta,  si  distende 
per  il  lembo  posteriore  a  strascico  sul  sedile  di  roccia  (Fig.  3).  Di  tutte  le  statuette,  poi, 
che  sono  rappresentate  sedute,  nessuna  sta  sopra  un  basso  sgabello  come  la  nostra,  ma 
tutte  su  roccie  o  sedili  alquanto  elevati  sul  suolo.  E  qualche  altra  divergenza  si  potrebbe 
ancora  notare.  La  nostra  disamina  si  svolgerà  quindi  altrove. 

Lo  scopo  di  tutto  il  precedente  studio  sulle  terrecotte,  intanto,  non  è  già  stato  quello 
di  classificare  la  statuetta  in  mezzo  ai  prodotti  figulini  e  di  considerarla  nient'altro  che  una 
derivazione,  per  quanto  artisticamente  più  elevata,  da  quelli.  Fu  già  da  altri  constatato  che 
le  terrecotte  di  Tanagra  e  dell'Asia  Minore  non  sono  una  derivazione  diretta  dalla  grande 
scultura  del  IV  secolo  ed  ellenistica,  ma  clic  si  tratta  piuttosto  di  opere  originate  diretta- 
mente dalla  piccola  scultura  in  bronzo,  d'imitazione,  e  indirettamente  soltanto  dalla  grande 
scultura  (6).  Codesta  minuta  scultura  in  bronzo  stava  dunque  fra  la  grande  arte  e  1'  arte 
popolare,  alla  quale  serviva  d'intermediaria  rispetto  alla  prima.  Cosi  non  abbiamo  mai  pre- 
teso di  trovare  fra  le  terrecotte  il  prototipo  della  nostra  statuetta,  sibbene  abbiamo  cercato 
qualche  ulteriore  ritles.so  di  questa,  prototipo  e  modello,  fra  le  medesime. 

S'intende  che  codesta  statuetta  non  era  neanche  l'unico  soggetto  del  genere,  di  cui  i 
coroplasti  potessero  .servirsi  come  modello.  Ha  parte  della  raccolta  della  Biblioteca  N;uionale 
di  i'arigi  una  statuetta  femminile  in  bronzo,  pure  d'età  ellenistica,  alquanto  più  piccola 
delia  nostra  (17S   nim.),  ma  abbastanza    simile  nella  concezione  (7):    una  fanciulla  seduta 


(1)  Cautaim.t,  .ip.  iit.,  pi.  S.Ì,  1.  -i;  <'[.   1.  nostr.i    fotoKr.Hi.t  :    Wisul.     .,,,     ,  if      i',rtc    II, 

(2)  HiiUZEY,    Ti-iits  (iiiUs  dii  Louvre,  pi.  js,  p.  111.  ;• 

scKK-  <6)  rorTMlR-UKl.vACH,  Im  .\tfrvf>itir àr  MyitHit. 

(j)  CAKTAUi.r,  (ip.  tlt.,  pi.  i.  —  La  Iìk.  c  Inter-  p.  164  sejtj:. 
prot.ita  come  una  doiin;!  che  si  KUJirJa  aliti  specchio.  (7)    Uahki.on-Blaschkt.    CaM.    dts   bromsts 

(4)  Op.  cit.,  Il,  p.  108,  seKK-  ,ìH/i<fHi-s.   1046.  Sl.'itiielt.i  proveniente  J.i  Rom.-i. 

(5)  KKKULÉ,    op.    Cit.,    I.    .    .    «li    >I"V.-    .•    (riti.    Il  r.lr.    IJri.i.uli,     A'.'f     I,    |v    41S 


—  'H  — 

su  hasso  .sgabello,  vestita  di  lurido  chitone  alto-cinto,  a  piedi  nudi,  la  chioma  regolar- 
mente divisa  e  raccolta  dietro  la  nuca,  in  atto  non  si  sa  bene  se  di  guardare  sopra  un  vo- 
lume o  sopra  uno  specchio  ch'essa  già  teneva  nella  mano  sinistra  (manca  il  braccio  destro). 
Che  la  moda  poi  di  questo  tipo  statuario  di  genere  patetico  si  continuasse  anche  tardi, 
insieme  con  hi  derivazione  dei  piccoli  bronzi  dalle  opere  di  marmo,  ci  è  dimostrato  da 
un'altra  statuetta  in  bronzo,  di  età  romana,  trovata  a  Macon  :  una  fanciulla  seduta  su 
ok/cladias  o  sedia  pieghevole,  il  braccio  sinistro  piegato  sul  petto  e  avvolto  fino  al  polso  dal 
manto  che  cinge  la  persona,  colla  mano  destra  che  stringe  uno  dei  bracciuoli  del  sedile  (i); 
statuetta  la  quale  appare  straordinariamente  simile  ad  un'altra  di  marmo,  del  Museo  dei 
Conservatori.  (2). 

Passando  cosi  alle  opere  di  scultura,  vediamo  che  tanto  la  nostra  statuetta,  quanto 
tutta  quella  serie  di  terracotte  le  quali  abbiamo  più  sopra  messe  in  rilievo  per  l'espressione 
particolare  dello  sguardo  fisso  a  terra,  pensoso  e  malinconico,  per  il /"«//«^^  che  emana  dalla 
lor  piccola  mole,  trovano  degno  riscontro  in  una  serie  rispettabile  di  monumenti  della  grande 
arte  greca,  monumenti  i  quali  sono  stati  testé  bellamente  raccolti  e  illustrati  in  una  sintesi 
completa  dal  Collignon:  ci  riferiamo  con  ciò  ai  monumenti  funerari,  e  specialmente  alle 
statue  funerarie  (3).  Lo  stesso  pathos,  insieme  pensoso  e  sereno,  appare  espresso  ancora 
sopra  rilievi  fimerari  attici  del  V  e  IV  secolo;  dei  riscontri  non  sono  ne  rari  ne  difficili  a 
trovare.  Ma  tra  le  statue  vere  e  proprie  si  riscontra  una  maggiore  e  più  impressionante  affi- 
nità. .A  cominciare  dalla  così  detta  Penelope  del  Museo  Vaticano  (dipendenza  ideale  e  non 
necessaria),  già  troviamo  quella  posa  che  poi  sarà  della  nostra  statuetta,  perfettamente  fis- 
sata neirarte_ statuaria:  il  volto  chinato  malinconicamente  sul  petto,  le  gambe  accavallate,  il 
gomito  poggiato  sul  ginocchio,  la  mano  sollevata,  ed  essendo  priva  di  attributi  portata 
quasi  a  sorregger  la  guancia.  Questo  tipo  .statuario  trova  il  suo  maggior  incremento  nel 
IV  secolo.  A  noi  giova  citare  un'altra  .statua  femminile,  acefala,  del  Museo  Nazionale  di 
Atene,  la  quale,  oltre  a  presentare  la  parte  superiore  del  corpo  reclinata  in  avanti  avendo 
i  piedi  incrociati,  siede  sopra  un  bassissimo  sedile  di  roccia,  così  da  ricordare  il  piccolo 
.sgabello  della  nostra  statuetta  (4). 

Servono  ancora  come  termini  di  confronto  di  qualche  interesse  per  l'atteggiamento 
della  persona  e  specialmente  per  l'espressione  pensosa  del  \-olto,  la  Clio  meditante  del 
Mu.seo  di  O.xford,  la  quale  sembra  piuttosto  una  .statua  funeraria  (5),  e  la  Polinnia  seduta 
del   Museo  Vaticano,  come  anche  le  altre  affini  di  Parigi  (6). 


(1)  Kein.vciì.   k'éft.  Il,  2,  p.  686,1.  /'ari  z>i\.  Paris,   1911. 

(2)  Id.  I.  e,  p.  e.  2.  Ai.iN.\Ri,  fot.  n.  6038.   Per  (4)  Collignon,  op.  cit.,  rtg:    136. 

il  motivo  ed   il  sentimento,  cfr.  anche  l'Antiochia  (5)  Maimom  O.iotiiensia,  Vili;  Iìeinach,  AV/>. 

dì  Huth\i<ides.  I,  p.  287. 

(3)  R.  Collignon.   Les  sla/ucs  fiDiéraires  dans  (6)  Reinach,  op.  cit..  p.  274  e  p.   167. 


—  95  — 

In  questo  stesso  genere  d'arte  rientrano  le  Pleureuses  dei  frontoni  del  sarcofago  omo- 
nimo di  Sidone  (i). 

Ma  più  ancora  delie  statue  funerarie  vicina  alla  concezione  della  nostra  statuetta,  sia  per 
la  particolare  espressione  del  viso,  sia  per  la  natura  più  affine  del  soggetto,  è  un'altra  serie 
di  statue  ellenistiche,  cui  fanno  capo  la  cosidetta  Psiche  del  Museo  di  Napoli  (2)  e  il  Guerriero 
riposante  del  Museo  Ludovisi  (^);  la  concezione  della  prima  attribuita  a  Scopa  o  a  Prassitele, 
la  seconda  a  Lisippo.  Nell'una  di  queste  statue,  la  testa  è  mollemente  inclinata  sul  petto, 
come  nella  nostra;  nell'altra  l'inclinazione  del  capo  è  minore,  ma  le  pupille  ugualmente  fisse, 
le  labbra  chiuse  danno  a  quei  volti  un'aria  se  non  di  malinconia,  certo  di  meditazione  e  di 
pensoso  raccoglimento,  quale  abbiamo  notato  nella  statuetta.  Il  soggetto  e  le  proporzioni  sono 
diverse,  ma  il  genere  d'arte,  l'indirizzo  artistico  resta  il  medesimo. 

Anche  per  i  particolari,  i  riferimenti  alla  grande  scultura  non  sono  rari  od  inutili.  Di 
statue  femminili  aventi  sulla  chioma  l'ornamento  di  una  corona  floreale,  si  trova  una  lunga 
serie  di  esemplari  nelle  figure  specialmente  di  Muse,  disseminate  per  tutti  i  musei.  Tali  corone 
SOPII  pure  intrecciate  generalmente  di  foglie  d'alloro,  di  bacche,  di  rosette  (4). 

Ljì  figure  sedute  sopra  un  basso  sgabello  come  la  nostra  statuetta  l'arte  greca  non  ci 
offre,  oltre  quello  sunnominato,  esemplari  di  sorta,  in  compenso  la  forma  dello  sgabello  è  la 
forma  classica,  e  in  più  rilievi  funerari  attici  del  V  e  IV  secolo  appare  il  tipo  di  questa  sup- 
pellettile, su  cui  posano  i  piedi  le  persone  sedute  (5).  Lo  sgabello  è  dello  stesso,  identico  di- 
segno, reggendosi  su  piedi  leonini,  separati  nei  lati  stretti  da  una  foglia  a  cuore,  capovolta. 

Come  da  tutto  il  precedente  esame  si  rileva,  solo  certi  particolari,  e  il  tipo  in  generale, 
trovano  il  loro  chiaro  e  perfetto  riscontro  nel  grande  campo  dell'arte  greca.  Ci  troviamo 
col  n.  soggetto  alla  fine  del  periodo  aureo,  sullo  scorcio  del  IV  secolo,  quando  il  maestoso 
nella  statuaria  è  ovunque  sopraffatto  dal  sentimentale,  il  divino  dall'umano,  la  compostezza 
semplice  e  solenne  da  un  eleganza  spesso  artificiale  e  ricercata.  La  posizione  del  soggetto 
ste.s.so  come  parte  integrante  di  questo  filone,  come  prodotto  genuino  di  questo  indirizzo 
artistico,  è  evidente.  Ma  la  concezione  particolare  e  l' insieme  individuale  dell'opera  d'arte 
rimangono  una  cosa  a  .so,  incla.ssificabile  con  altri  esempi.  L'impressione,  quindi,  che  a  tutta 
prima  la  statuetta  di  bronzo  ci  faceva,  di  un'opera  d'arte  particolarmente  notevole  per  singoli 
pregi  di  esecuzione  e  di  stile,  viene  ora,  in  fine  di  codesto  es;ime,  validamente  confermata 


(1)  In.  Ihìs-reliifs,  I,  p.   124-40?.  rtMll  iicH'iintkhlt.i,    v.   nxKiMiiim;  Su.iio     t '..• 

(2)  (l'iiitiii,  n.  2f)<).  KiiiNAcii.  ■/»■/»•.«  iiUiìlis,  200.  tomi.    A   di'»   che    Ivi    si   osscrv.i,    che    le   corone 
())  SciiKKiHKR,   l'illii    l.mUfisi,    p.  IH),    iiS;  f;itte  di  rose  erano  fra  tnnle  specie  di  fiorile  pre- 

UiiiNAcii,  AV/.  Il,   I,  p.    iQj.   I.  ferite,  nhhl.inui    t.into    piò    d;i    in                          :i 

(4)  V.  iid  cs.   D'  IvsfAMi'KS.  Marhrts    •infù/iir^  trnv.indone  .ikun  e-^niplo  nelle  '•; 

(hi  Music  Campana  r)   Ninne,   l«^)8,    T.ix  '  CoNZK,  Alhsfhe   (irahttlif/s,   \»v\.  XXI\  . 

iK,   II),  2.',  21.  Intiirno    all' uso   di-lli-    coi.ii.    11  \\\.  IV.  I  XIV   .>-f..  I  \\.  I.XXII 


-  9f.  - 

e  accresciuta  dalla  constatata  orininalitìk  dell'opera,  il  cui  esecutore,  mentre  per  certi  carat- 
teri si  rivela  attento  e  scrupoloso  seguace  della  tradizione  artistica  classica,  mostra  sostan- 
zialmente di  sapersi  elevare  a  certe  vette  del  bello  espressivo  non  mai  prima  ra^tjiunte. 
È  la  statuetta  un  originale  o  una  copia?  Certi  prodotti  artistici  in  bronzo,  vedemmo,  si  rico- 
noscono in  generale  per  copie  di  opere  celebri.  Ma  dell'orij^inale  della  nostra  non  sappiamo 
che  sia  pervenuta  fino  a  noi  traccia  alcuna,  nò  nel  campo  dell'arte  figurata  né  in  quello 
della  letteratura.  Cii')  tuttavia  è  per  noi  di  secondaria  importanza.  Se  anche  il  nostro  artista 
della  buona  etù  ellenistica,  si  fosse  ispirato  per  la  sua  concezione  ad  un'altra  grande  opera 
d'arte,  non  per  questo  sarebbe  meno  meritevole  della  nostra  grande  riconoscenza,  per  averci 
serbato  in  cosi  degna  copia  od  imitazione,  il  ricordo  di  un'opera  di  ottimo  maestro,  a  lui 
vicinissima,  della  fine  del  IV  secolo. 

*     * 

Ora  rappresenta  la  nostra  figura  qualche  cosa  di  determinato,  e  chi  mai  rappresenta.' 
Avanzammo  più  sopra  l'ipotesi  che  ave.ssimo  dinanzi  il  ritratto  d'una  poetessa.  Tutto  l'ul- 
teriore esame  ci  ha  permesso  di  confermarci  nella  nostra  opinione.  Se  poi  cerchiamo  di  de- 
terminar meglio,  di  stabilire  precisamente  quale  personaggio  storico  si  sia  proposto  di  rap- 
presentare l'artista,  un  nome  tosto  ci  corre  sul  labbro:  Saffo. 

L'iconografìa  dell'appassionata  e  sventurata  poetessa  non  è  abbondante,  ed  è,  a  quanto 
sembra,  tutta  o  quasi  fantastica,  come  le  vicende  della  sua  vita(i).  Certo  però  si  è  che 
l'immagine  della  poetessa  fvi  tolta  ripetutamente  a  soggetto  d'ispirazione  da  artisti  di  grande 
fama.  Nel  Pritaneo  di  SiracuSii  era  una  statua  di  Saffo,  della  quale  Verre  si  era  impadronito, 
tanto  essa  era  bella  (2).  Un'altra  statua  di  Saffo  era  a  Pergamo,  con  relativo  epigramma  (3), 
e  un'altra  ancora,  e  questa  seduta,  nel  Zeusippeo  di  Costantinopoli  (4).  —  In  varie  erme 
e  busti  si  è  tentato  di  identificare  il  tipo  di  Saffo,  sempre  però  arbitrariamente  (5).  Ma 
poiché  al  nostro  assunto  importa  meno  l' identificazione  dei  tratti  fisionomici  che  quella 
del  tipo  artistico,  passiamo  ad  altre  opere  d'arte  minori,  in  cui  l'immagine  di  Saffo  sia  più 
sicura,  perché   accompagnata  dal  nome  0  per  altro,  cioè   pitture    vascolari,  rilievi,  monete. 

Quasi  tutte  le  volte  che  la  nostra  poetessa  appare  in  figura  intera,  essa  è  seduta,  con  la 
lira  nella  mano  sinistra.  Tale  ci  appare  su  monete  di  Mitilene,  del  periodo  degli  Antonini  (6). 


(1)  Bernoulli.    Griechische    Ikonogrnphic,    1,  (3)  C.  I.  Gr.   3555. 

p.   59  segg.  (4)  Christodor.  Ecphrasis,  69-71. 

(2)  Cic.  In  Vcrr.  IV.  57,  126:  «  Silanioiiis  opus  (5)  Bernoulli,  op.  cit.  p.  64  segg.  Miihnas- 
[Sappilo']  tam  pei/t'''l">ii,  taiii  c/ei^aus,  tam  elabora-  suiigen.  Cfr.  anche  Guida  Richter  del  Mus.  Kap. 
lum,  quisqnam  non  modoprivatus  sedpopuluspotius  n.  891. 

haherel  guani  homo  eieganlissimus    alque  crude-  (6)  Wroth,   Calai.   0/ greek  coins.  Brìi.  Mus. 

lissitnus,  Verres'  ■»  Qix.Txiwìi.  Con/ra  Graecos,  t.   XXXIX.  6-7. 
33.   [Palrol.  .?•;•.). 


—  07  — 

Tale  sopra  un  rilievo  arcaico  in  terracotta,  dove  sono  due  personaggi  generalmente  inter- 
pretati per  Saffo  ed  Alceo,  al  British  Museum  (i).  Ad  età  molto  più  remota  e  rispettabile  che 
non  le  monete  appartengono  anche  le  pitture  vascolari  relative  e  Saffo.  Argomento  questo 
pel  quale  rimandiamo  al  vecchio  studio  del  Comparetti  su  «  Saffo  nelle  antiche  rappresen- 
tanze vascolari  »,  studio  del  quale  ci  siamo  giovati  (2).  L'esempio  più  antico  del  genere  è 
quello  del  vaso  Dzialinsky  a  figure  rosse  (3),  della  fine  del  vi  secolo:  Saffo  ("hixoc)  è  in 
piedi  suonando  la  lira.  Soffermandoci  solo  sui  casi  che  hanno  maggior  interesse  per  noi, 
notiamo  fra  le  altre  la  rappresentazione  di  un  vasfj  ateniese  di  stile  severo,  dove  Saffo 
(i;-/.7Tro>;)  vestita  di  chitone  ionico  e  à.' hi  mal  ioti,  circondata  da  tre  sue  compagne,  una 
che  la  incorona,  un'altra  che  le  porge  la  lira,  sta  sedwiz  s\x  cathedra,  leggendo  sopra  un 
rotolo  di  pergamena  ch'essa  svolge  colle  due  mani  (4).  Sopra  il  vaso  Middleton  poi  (V  secolo 
avanzato)  (5),  vedesi  ancora  Saffo  vestita  di  peplo,  seduta  sopra  un  alto  sgabello,  tenendo 
nella  sinistrali  volume  chiuso  che  un  genio  adolescente  alato  (Eros),  com .  letamente  nudo, 
le  porta  volandole  incontro.  (Fig.  4).  L'iscrizione  esplicativa  suona  2:AII"I>1!  TA.VA-  (6).  La 
qualità  della  poetessa  non  è  indicata  in  quest'ultimo  caso  se  non  da  un  volume  chiuso  nella 
mano  sinistra:  la  mano  destra  sta  inerte  e  priva  di  attributi. 

L'affinità  tuttavia  della  pittura   vascolare    colla   nostra   statuetta  è  calzante  (7).  Ben 
osserva  il  Bernoulli  che  in  molti  casi  l'attributo  della  corona  («  die  Bekrànzung  »),  la  bocca 


(1)  Walters,  Cala/,  of  the  It-rracotlas,  Brit. 
A/iis.  B  367,  t.  XIX.  La  terracotta  viene  da  Milo, 
Come  la  nostra  statuetta. 

(2)  Museo  II.  d'anlic/iilà  classiea,  Voi.  Il  (1886) 
punì.  I,  Cui.  41  scKg.  l'urtwìinf;ler-  keielilìold 
iirieeh.  l'useiim.  II.  t.  65  (Vaso  di  Monaco  con 
Alceo  e  Saffo,  attribuito  a  Brygos). 

(3)  Comparetti,  1.  e.  tav.  Ili   n.  I. 

(4)  Id.  tav.  VI.  CoLLiGNON-CouvE,  l.e  Atiisée 
ter.  d'.ll/u^nes,  n.  1241.  Rlport.  anche  In  Jutitish. 
d.  Oeslerr.  tiist.  Vili  {1905)  tig.  9,  e  in  Bikt,  iip. 
Cit.,   tiK.   8). 

(5)  Id.  tav.   li!  n.  ì. 

(6)  TiXa?  fu  riferito  rIA  da  O.  J.ihn  {.If-A.tnd/. 
d.  .S(?c/t.t.  deaellulia/l,  1861,  p.  712  >ck.  )ad  /;>•«.«, 
come  Amor  iii/elix.  —  Cfr.  Wai  ti:i<s.  //i\/,»  y  of 
iiiieieiit  (lollery,  voi.   Il,  p.  4<). 

(7)  PassI.uno  qui  sotto  sllen^ilo  il  v.imi  MìlIi.icIis 
(Ci>mparetll,  1.  e,  t.  V)  della  Collezione  Jatla  a 
Kuvo,  nel  quale  pare  rappresentata  l.i  «ara  tra  l'ha- 
niyris  e  le  Muse,  alla  presen/.i  di  Apnlln.  di  Saffo 
e  di  altre  liuurc  >ci.ondarlc.  In  l\om.  Milt.  1888, 
p.  239  scKK-i  (J-  Jatta,  pubblicando  una  riprodu- 
zione uralica  più  esatta  di  i|uest.i  plltur.i  vascol.irc. 


dà  anche  un'  interpretazione  diversa  di  alcune  delle 
figure.  Tanto  il  Comparetti  quanto  lo  Jatta,  però, 
errano  per  partito  preso  nell'  interpreUizione  del  per- 
sonaggio designato  dall'  artista  come  Saffo  (i^.\U..., 
per  ì;AI1.'1'L!1).  Il  Comparetti,  sotto  l'lnnu^sodel 
Mich.ielis,  attribuisce  l'epigrafe  ad  una  delle  Itgg. 
inferiori.  Lo  Jatta,  poi,  afferma  che  Saffo  è  da 
escludere  assolutamente  dalla  scena  :  egli  nelle  tre 
donne  aggruppate  insieme  è  disposto  a  vedere. 
come  già  il  Hurtwiingler  in  /ìros,  p.  33,  «  persone 
estranee  al  coro  delle  Muse,  cioè  Afrodite,  Pelth", 
Paregoros  ».  Quanto  all'epigrafe  1I.\0...,  quest.i 
resta  per  lo  Jatta  «  come  un  enimma  insulut»  in 
cerca  del  suo  Edipo  >.  A  mnicglor  nostr.i  ediiìc.i- 
zlone  lo  Jatta  stesso  .nggiunge  che  nei'  e 

intervenut.i  l'oper.i  del  restauratore,  il  i- 

h.i  mutato  la  1  tinaie  di  Thamyris  ini  < 

sue  p.iri>lc,  può  aver  commesso  •  qualche  -ilt;'  >l\i- 
gli»,  ritKCcando  torse  qualche  lettera  sv.inita  dell.i 
leggenda  1  At)  •.  Del  resto.  In  sustltu/ione  di  un  U 
a  un  11  si  ni>ta  anclie  nel  di>rgni>  Plg.  4.  In  con- 
clusione, .id  onta  di  tutti  gii  argomenti  hnora  port.ili 
in  contrario,  la  ligur.i  del  v.iso  gtA  lnterpre(al.-i  per 
Saffo  re>ta,  dop«i  tutto  ciò,  più  S-ifTu  di  prim.i. 


.iHji'Hitf    '   Anno  \'l 


•  3 


-  98- 

aperta  a  cantare,  l'attributo  della  lira,  non  costituiscono  che  un  pregiudizio  per  un'  iden- 
tilicazionc  con  Saffo,  potendo  quei  monumenti  uj^ualmente  bene  rappresentare  «  ein  gottli- 
ches  Wesen  als  eine  Dichterinne  »,  oppure  Erinna,  Corinna,  Myrtis,  Telesilla,  Praxilla 
ecc.  (i).  Nel  caso  nostro,  però,  crediamo  di  non  andar  errati  e  di  aver  sufficienti  ragioni, 
le  quali  in  partf  eia  esponemmo,  per  pensare  a  Saffo,  piuttosto  che  ad  altro  personatrgio 


umano  n  divino.  Certo,  neanche  qui  noi  non  abbiamo  davanti  il  tipo  di  Saffo  quale  era 
stato  deformato  dalla  tarda  tradizione  romana,  nulla  che  giustifichi  i  versi  Ovidiani  o  pseudo- 
0\  iJiani  : 

«  .5'/  w/7//  difficìlis  formaiìi   natura  negavìt  »  (2). 

Nulla  \i  ha  che  accenni  a  scompostezza  dell'acconciatura  o  dell'abito  (Ovid.:  «  Sparsi 
siile  Ics^c  lapilli. ,.. .  »,  «  Vcs/c  legor  vili»).  La  nostra  opera  d'arte  merita,  per  la  sua 
serenità  di  espressione  e  per  l'equilibrio  e  l'eleganza  delle  parti,  d'essere  senz'altro  consi- 
derata come  prettamente  greca.  È  qui  seguita,  e  non  potrebbe  essere  altrimenti,  la  genuina 


(1)  Taziano.  I.  e,  enumera    una   lunga    filza  di  di  Boiskos,  la  Telesilla  di   Nikeratos,   la  Corinna 

ritratti  (statue)  di  donne  e  poetesse  illustri  dell'nn-  pure  di  Silanion,  ecc. 
tichità,  tra  cui,  oltre  la  Saffo  di  Silanion,  la   Pra-  (2)  Oi'id.  Episf.  XV  .Sappho,  v.   31. 

xilla  di  Lisippo,  l'Erinna  di  Naukydes,   la    Myrtis 


—  cjq  — 

tradizione  ellenica  della  bella  Saffo  ricordata  da  Platone  (i;,  tradizione  giustificata  tra  l'altro 
anche  dal  noto  verso  di  Alceo 

"lo-X'ix'  rf/a  |U>.>.t-/ó{ict3c  Sis^oi  (2)- 

Ma  un  ultimo  argomento,  e  decisivo,  interviene  a  favore  della  nostra  interpretazione. 
Ric<jrdiamo  un  momento  la  bella  corona  intrecciata  di  rose  e  di  altri  fiori,  quale  non  appare, 
vedemmo,  in  nessun  altro  esemplare  della  statuaria  greca.  Di  corone  di  fiori  si  compiaceva 
particolarmente  Saffo,  secondo  la  quale  non  esisteva  grazia  in  una  fronte  senza  corona: 

a-j  ò'i  7T:-f.à  oi;,  il>  Aix»,  KEpOiaO'  ÈpaTai?  fó^xigtv, 

È'jxvOca  YJf  ^Oi»>  niÀ£Ti".  x»'i   .\2ai:E{  (laxxtpi-. 
[liXXciv  {7:i,Di'jfT)i)  .  j'jTEpivoiro'.oi  ò'ànaaTféfOvrai  (j). 

Di  Cile  sono  una  riprova  le  pitture  vascolari  citate.  Ma  non  basta:  il  fiore  prediletto 
di  Saffo  è  appunto  la  rosa.  La  nostra  poetessa  non  arriva  a  simboleggiare  la  gloria  poetica 
altrimenti  che  per  mezzo  delle  «  rose  della  Pieria  »  (4).  Nel  MìXìx'ypoj  iTi^pavc;  è  attribuita 
a  Saffo,  come  simbolo  particolare,  la  rosa  (5).  Finalmente  Saffo  tiene  a  dimostrare  una  grande 
cura  dell'abito  e  della  persona  (6)  e  andrà  in  avvenire  famosa  per  la  sua  eleganza  (7).  Ora, 
in  tutte  queste  circostanze,  della  ricercatezza  nel  vestire,  della  ricca  corona  sulla  fronte,  e 
specialmente  delle  rose  fiorenti  messe  cosi  particolarmente  in  rilievo,  chi  mai  s;irà  disposto 
a  non  veder  altro  che  un  fortuito  intervento  del  caso?  L'ipotesi  da  noi  sopra  avanzata,  che  si 
trattasse  qui  d'un  ritratto  di  Saffo,  diviene  a  questo  punto,  per  mezzo  di  tante  prove,  realtà. 

Di  tutti  i  finora  supposti  ritratti  di  Saffo  è  dunque  il  nostro  quello  che,  tenuto  conto 
dell'inevitabile  idealizzazione  artistica,  più  si  accosta  al  tipo  della  poete.ss;»,  quale  essa  si 
presentava  all'immaginazione  degli  antichi  e  quale  ci  si  rivela  nei  frammenti  p*>etici  a  noi 
rimasti  :  amante,  malinconica,  appassionata.  Caratteri  questi,  ai  quali  ne.ssuno  dei  ritratti 
già  da  altri  supposti  assolutamente  risponde  (8).  La  nostra  statuetta  invece,  oltre  all'auten- 
ticità del  soggetto,  min  ci  parrà  tutta  ispirata  ai  ben  noti  versi: 

AiSuxi  |jiv  a  3iXàv<3 
x«i  rXr,!jòi;,  (ilaai  Si 
viixrij,  napi  ò'fo^^ir'  wi», 
lY'o  3"   (l'iVa  xxTluSu  (g), 

(1)  /'//./.<//.   XI.  (S)  .////A.   /',i/,i/.   IV,  I.  (. 

(2)  Hr.    )4     Atilhiil.     Ivi.    I,    ed.     Hillcr,     ì«ì)7.       ;:>ìXXì  |t2v  ì;inXi(s; 'Avùtt,;  xpWi,  koXXì  ii  Moipo(t< 
|.',;:Xuxi  cpltflii  donde,  hon  nclò  il  Ckoisi :t,  (//m/.       Xjlpii,  xai  lispoC^  ^aià  |Uv,  iXXi  ^a. 

(/(•  In  mi.  .vri-iy.  Il,  p.  21)  n.  1)  non  e  scpaMbili-  (A)  Fr.  71. 

ridc.'i  di  hclle//;i.  (7)  /jtfioH,  /imtjciiirs  iS.:  q  ììaie^liu|i^aXXo|ilvr, 

(})  .Sitf>pho,  (r.  77.  :n<  f3a7.f,vl  i\  :ò  i^asupò*  t^<  icp«at>i««*M«. 

(4)  Fr.  6<): ')ÙY«P '^•8'/.«'«  il?'*"»-""'»  *'<  "'•?>»>••••  iS)  Rkknulilui,  I.  i.  liiaj.  10-12. 

IVr  altri  lmport;inll  raffronti  v.  Ckoiskt,  op.  cit.  (q)  Fr.    50.    Kludic.it»    >purlo   J.il    Wll.imowllr, 

II.  p.  i\7.  (Hlller.  p.  LUI.) 


—    100    — 

ai  quali  serve  di  cosi  efficace  commento,  come  se   l'artista  avesse   voluto  interpretare    un 
rnonunto  psicologico  suggerito  da  Saffo? 

CJiunti  a  questo  punto  della  nostra  dimostrazione,  l'ipotesi  che  nella  statuetta  ci  stia 
dinanzi  il  vero  ritratto  di  Saffo  secondo  la  concezione  idealistica  dei  Greci  del  IV  secolo, 
si  presenta  a  noi  irresistibile.  Si  potrà  forse,  nelle  condizioni  presenti,  ritenere  l'ipotesi  non 
del  tutto  convincente,  ma  non  senza  prima  aver  riconosciuto  che  tutti  gli  altri  ip<jtetici  ritratti 
di  Saffo,  escogitati  tino  a  oggi,  riposano  più  o  meno  nel  vuoto,  e  che  il  nostro,  rispetto 
a  quelli,  presenta  il  vantaggio  di  offrire  prove  assai  più  tangibili  del  vero  suo  essere.  Che 
si  tratti  precisamente  di  Saffo  è  quindi  nostro  convincimento  ;  lo  stesso  ci  auguriamo  venga 
facilmente  riconosciuto  dagli  studiosi  tutti,  i  quali  se  pure  non  resteranno  convinti  che  la 
nostra  interpretazione  abbia  colto  nel  segno,  godranno  certo  con  noi  dell'esumazione  di  un 
così  gentile  prodotto  dell'arte  ellenistica,  il  cui  particolare  significato  non  può  a  meno  di  an- 
dare in  qualche  modo  connesso  alla  tradizione  della  classica  poesia  greca. 

Roma,  Gennaio    1Q12. 

GOFFREDO   BENDINELLI 


IL  -TRONO,,  LVDOVISI 

!•    TI,    M().\\Mi:\TO    CORRISFOXDHXri-: 


I,()  studio  profondo  che  lo  Studniczka  ha  dedicato  recentemente  alla  ricostruzione, 
alla  interpretazione  e  alla  vakitaziiine  archeologica  dei  due  ben  noti  rilievi  di  Roma  e  di 
Boston  (fig.  i)  generalmente  riconosciuti  come  parti  di  uno  stesso  monumento  (i)  non  può 
a  mio  parere  esser  considerato  come  definitivo,  per  quanto  debba  riconoscersi  utile  e  meri- 
tevole di  gratitudine  per  molte  ragioni  la  pubblicazione  del  materiale  di  confronto  così  accu- 
ratamente raccolto  e  cosi  egregiamente  ordinato  dal  benemerito  autore. 

li  risultato  a  cui  lo  Studniczka  giunge  nella  prima  delle  sue  due  interessanti  e  ricche 
memorie,  coincide  con  una  ipotesi  manifestata  oralmente  anni  or  sono  dal  Puchstein,  se- 
condo la  quale  i  due  monumenti  s;irebbero  stati  i  guarnimenti  superiori  o  x;xt:'jti'.'  di-i 
due  lati  brevi  di  un'ara  da  sacritici  da  compiersi  col  fuoco,  lo  credo  di  dovere  sottoporre 
tale  risultato  a  un  esiime  critico  prima  di  provarmi  a  spiegare  le  enigmatiche  tigur:uioni 
dell'esemplare  di   Boston. 


l.\    UICOSTKIIZIONK. 

Tanto  III  Studniczka  (2),  il  Marshall  (%)  e  il  ht-  Mui  (4)  i  quali  più  o  meno  dtvisa- 
inentc  accettano  la  teoria  dell'altare,  quanto  il  Peter.sen  il  quale  nell'ultima  sua  pubblica- 
zione sul  «  trono  »  Ludovisi  (5)  cerca  di  spiegarne  la  forma  tettonica  nel  senso  che  qui  si  tratti 
dell'ornamentazione  di  un  letto  sacro  di  Aphrodite  e  di  .Adone,  partono  dal  punto  di  vista 
dell'appartenenza  dei  due  monumenti  ad  un  solo  insieme  come  da  un  dato  di  fatto  inop- 
pugnabile ed  assiomatico.  Se  |x.'rò  i  due  rilievi  |x>.s.sono  essere  presi,  in  un  sen-so  lato  della 
pillila,  come  corrispondenti  e  contrapposti  (e  per  un.i  tale  ipotesi  p«>ssono  in    \erit.\    farsi 

(n   \\\  Jiihihiiih  iln  fn^l.  XWI,  ioti  p.  ^n  >rK-  (l)  1»  I!h>IìhxIi>h    ìfiti^itriiti'  XVII  -  iglò  p.  Ì47 

97  SCR.  i-  -rK. 

(i)  Srt'DNUVKx  I.  i.  p.  !).■  .    Ivi.i-.!  11   MI  l'Mis-  (4)  Iti   Air-,   .iiiht'fi.   Wll     njll   p.   140  «Cg. 

WissowA,   A'('ii/<7/r  l'I /i'/*i»(//(' I,  1677  set.     S.Mll.lo  (s)   ViiiH  alle»  A'om,  p.   14}  vru. 

/'/</.    l/l'S   llH/Ìl/NÌ/l'\  I,     iqi    SCR. 


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—  103  — 

valere  dei  buoni  motivi  stilistici)  non  ne  viene  per  conseguenza,  che  essi  abbiano  apparte- 
nuto allo  stesso  insieme  architettonico  o  abbiano  adornato  Io  stesso  oggetto,  qualunque  esso 
sia  stato.  Un'altra  possibilità  si  presenta,  che  essi  possano  aver  servito  come  ornamento 
artistico  a  due  oggetti  indipendenti  che  si  facevano  riscontro.  Ed  invero  questa  ip<jtesi  è 
a  mio  parere  l'unica  che  sia  idonea  al  nostro  esso.  Poiché  i  due  rilievi  mostrano  non  s<jlo 
nelle  misure  ma  anche  nella  tecnica,  e  in  alcuni  particolari  dell'aspetto  esterno  cosi  note- 
voli differenze,  che  il  pensiero  di  attribuirli  ad  un  solo  insieme  tettonico,  sia  esso  un  altare 
0  un  letto  sacro,  o  un  sarcofago  o  che  altro  si  voglia  (i)  deve  a  mio  parere  essere  abbando- 
nato, come  spero  di  poter  dimostrare. 

Secondo  le  misure  dei  due  pezzi  date  dallo  stesso  Studniczka  che  più  volte  richiama 
l'attenzione  del  lettore  su  queste  differenze  (2)  la  diversità  di  altezza  misurata  dal  vertice 
del  timpano,  che  manca  nell'esemplare  Ludovisi,  senza  gli  acroteri  a  palmette  che  qui 
debbono  verosimilmente  integrarsi,  deve  essere  calcolata  a  circa  m.  0,05  nella  parte  po- 
steriore e  0,08  nell'anteriore.  La  differenza  di  larghezza,  p^-r  la  presente  questione  forse 
anche  più  importante,  raggiunge  nel  lato  frontale  esterno  in  alto  m.  0,07  (31.  Pertanto  le 
differenze  variabili  da  0,05  a  0,08  nelle  misure  dei  due  lati  brevi  dell'altare  da  ricostruirsi, 
differenze  che  astraendo  affatto  dalla  lunghezza  del  relativo  altare  in  rapporto  alle  modiche 
dimensioni  di  essi  (0,96  —  1,03  X  '.33  ~  '>40)  "o"  ^"^""^  ^'^  considerarsi  come  trascura- 
bili (4),  nun  possono  spiegarsi,  come  fa  lo  Studniczka,  con  la  diversit;»  delle  rappresenta- 
zioni. Poiché  il  compito  di  adornare  in  modo  decoroso  ed  artistico  un  altare  monumentale 
ha  dovuto  imporre  allo  .scultore  specialmente  nel  quinto  secolo  l'obbligo  di  osservare  rigo- 
rosamente nella  composizione  dei  suoi  rilie\i  la  legge  di  simmetria  (?t.  E  siccome  l'artista 


(1)  Studniczka  I.  e.  p.  «2  seg- 

(2)  I.  e.  p.  57  seK. 

(j)  Per  la  m.inc.'inz.ideKli  iirii.imfiUi.inKip|.iri,l;ivii- 
r.itl  a  parte  ed  :iRK>untl  ncH'esempliirc  rc>m;inii,  il  am- 
froiilo  esatti»  delle  p.irti  inferiori  dello  stesso  lato  è  re- 
so molto  difficile,  se  non  impossibilecfr.  Sti'dni'/ka 
I.  e.  p.  57  e  anche  Fairuanks  In  Afusi-um  0/  h'itu- 
Aria  Hiil/rliii  Vlll-iyio,  n.4S,  17.  In  questo  .irticolii 
però  l'ajte/z.i  ni.iKKJore  è  erroneamente  .ittrlbulta  al- 
l'esemplare di  Boston;  cfr.  Studniczka,  I.  e.  p.  58. 

(4)  I  a  differenza  d'altezza  di  H  centimetri  allo 
Studniczka  stesso  (p.  84)  .ippare  tale  da  Impen- 
sierire, se  si  voglia  pensare  a  due  parti  opposte  di  un 
s.'ircofaKo.  Per  i  lati  brevi  di  un  altare  Invece,  l.i  cui 
lunKl)ezza  lo  Studniczka  per  analoKia  con  quello  di 
Artemis  Orthla  a  Sparta  {.liiNiKif  of  lliit.  Sr-koot 
Xlll  -  itjo6/7  p.  67)  calcol.i  a  circa  nove  metri 
(p.  i»6)  queU.i  ditìeren/a  dovrebbe  apparire  soppor- 
tabile. Senza  concreti  esempli  analo^bl  neuH  altari 


conservati  la  questlun^*  non  si  può  discutere. 

(5)  Lo  stesso  Studnic/k.i  pare  nbbi.i  (atto  questi 
considerazione  In  quanto  che  scrive  (p.  8))  •  l 'cbcr- 
luìiipl  dttr/ die  Ifktonisrhf  /•'orni  niiht  HnlersiMIzt 
werden,  xcurzell  sie  JotM  vtm  ntlrrs  her  hhJ  bis 
ili  die  SpìilzciI  /est  in  drr  uikralfH  Kumst  eU.  ». 
CIÒ  non  ostante  tutto  II  mixJo  com'è  condotti  In 
ricerca  di  lui  attesta  essenzialmente  un  apprc//a- 
mento  Insuftìciente  della  forni  1  t.ti..nk.i.  .. ì;i\i-  ip 
pare  anche  da  quel  che  si  d 
stessa  pn^ina  •  .h 
lirhfùHdf  Hiihl  11/ < 

xoHdrrH  als  dHirh  ikr  /li/dttfrk  H-tsmt/ii-A 
flHsaU  thòmm  ».  Qui--' 

forse  Klu^to,  quando  si  1  1 

tettonica  n  un  vilo  insieme  del  d 
dallo  Studniczka  non  è  in  al. 
Cfr.  del  resto  kori)K\vtiV-Pi 
Tfmpfl  in  l 'nleriMif 


—  104  — 

ili  questione  è  stato  senza  Jubbio  un  maestro  di  prim'ordine,  egli  non  avrebbe  certo  trovato 
in  questi  limiti  esteriori  imposti  dalla  tradizione  e  dalla  essenza  dell'arte  greca,  un  vincolo 
J;i  ni)ii  potersi  sopportare.  Un  esempio  di  evidente,  capriccioso  discostarsi  dalle  severe  regale 
della  tettonica  yreca,  dallo  Studniczka  almeno,  non  è  stato  portato.  E  una  tale  anomalia 
potrebbe  anche  non  potersi  provare  per  opere  monumentali  di  eminente  valore  artistico 
nella  prima  metà  del  V  secolo.  Quel  tempo  dell'  inizio  dello  stile  libero  si  distingue  noto- 
riamente per  la  tendenza  a  sostituire  la  irrazionale,  impacciata  e  convenzionale  legatezza 
dell'arte  arcaica,  con  la  razionale,  libera  e  organica  legge  della  simmetria  e  del  ritmo,  ten- 


0 

o 


1  M 


•10 


Fìg.    2. 


danza  questa  che  si  manifesta  cliiaramente  nelle  sculture  dei  frontoni  di  quel  periodo  fi), 
e  che,  se  si  può  prestar  fede  alla  antica  tradizione  storico-artistica,  avrebbe  essenzialmente 
dominato  l'attività  artistica  di  due  grandi  maestri  del  V  secolo,  Pitagora  di  Reggio  (2)  e  Po- 
licleto  (31.  In  qual  misura  lo  scultore  che  creò  i  nostri  rilievi  (^se  vogliamo  con  lo  Studniczka 


(1)  Curtius  in  .ìicìuiol.  ZcUioiì;  XLI,  1883, 
p.  347  seg. ;  LoEscHKE,  lìorp.  Pro,^r.  1885,  p.  6; 
Brunn,  K/ehie  Scliriften  II,  p.  178  seg.;  Treu, 
Olympia  111 -126,  136;  Furtwaengler  ZJzV  v^f- 
gineten  p.  50  seg.;  At'ii'nnì  p.  325,  338  seg.; 
LoEWY  Griechischc  J'/astik  p.  28;  Bulle  Der 
sclwne  3/(ii.ulì''  p.  405  seg.  :  Mackenziic  in  Aiinual 


0/  the  Jliitish  Sc/iool  XV,  1908-9,    p.  306  seg. 

(2)  nio,i,niies  Lantiiis  Vili  -47;  Brunx,  Gesch. 
dergriech.  Kiinsthr^  I  p.  96  seg.  ;  Oriceli.  Kunst- 
geschichte  11,  246  seg.;  Lechat,  Pythagoras  de 
lihegiov  p.  46  seg. 

(3)  Brunn  Gcsch.  der gtiecli.  Kuiisl/er"  I,  p.  153 
seg.  ;  Lance,  Darslelliing  des  Menschen  p.  207  seg. 


-  105  — 

ammettere,  che  essi  siano  stati  scolpiti  dallo  stesso  artista)  sia  animato  e  pervaso  appunto 
da  questo  spirito  artistico,  e  come  nella  composizione  delle  sue  scene  fino  nelle  minime 
particolarità  egli  abbia  tenuto  conto  della  simmetria  e  del  ritmo,  è  stato  esposto  in  modo 
del  tutto  persuasivo  dallo  stesso  Studniczka(i).  E  un  tale  artista  non  avrebtie  dovuto  essere 
in  grado  di  regolarsi  secondo  lo  spazio  posto  a  sua  disposizione  e  di  stabilire  secondo  quesno 
le  proporzioni  delle  sue  figure! 

Per  quel  che  riguarda  la  tecnica  si  è  osservato  nelle  parti  interne  meno  levigate  l'uso 
di  strumenti  diversi:  in  L  (2)  scalpello  a  punta  e  martello,  in  B  martellina  dentata (?).  Non 

O 1  h\ 


11, I 


10 


l=ii:    1. 


voglio  dare  troppo  grande  peso  a  questa  diversità  di  mezzi  tecnici  adoperati  nella  fattura 
dei  due  rilievi,  ma  in  connessione  con  le  altre  differenze  tecniche  rilevate,  ess;»  riconferma 
min  indifferentemente  i  dubbi  sulla  appartenenza  dei  due  rilievi  a  un  solo  oggetto,  dubbi 
sorti  per  la  differenza  delle  misure.  Alle  differenze  tecniche  si  deve  aggiungere  la  non 
disprezzabile  diversità  di  spessore  dei  due  rilievi  che  si  può  riconoscere  chiaramente  anche 
dagli  schizzi  dati  dallo  Studniczka  a  pag.  54  e  qui  rip«.-tuti  (Ufi.  2  e  ^t.  All'orlo  superiore 
questa  differenza  raggiunge  secondo  le  misure  prese  sugli  originali  da  0,0490.0;  m.  ;  in 


(1)  I.  li.  p.  q8  scR.  ;  cfr.  .iiichc  p.   177. 
(z)  St'Kiifm.lo  rosi'iiiplii  1.II  Slikinic/lv  1    'v  w 


hri-vItA  t.  Il  rilievo  l.uJovlM  e  B  quello  Ji  BoM«n. 


\   ì\     <  r  I  '  I  I V  I  i    /  W    t     I       .         p 


.In.ìomiii   -  Anno  VI 


14 


—  io6  — 

I,  lo  spessore  su  peri  oro  è  0,11-0,117  rn.  in  B  0,152-0,168  m.  (1).  E  a  questo  proposito 
può  esser  riciiiamata  l'attenzione  sulla  diversa  altezza  nel  rilievo  delle  fijjure  dei  due  mo- 
numenti: in  B  0,08-0,10  m.,  in   L  0,06  m.  incirca  (2). 

Per  riguardo  alla  tecnica  è  ancora  da  osservare,  che  in  B  la  parte  ornamentale  inferiore 
con  le  magnifiche  decorazioni  angolari  è  ricavata  dal  marmo  stesso,  mentre  in  L  questa 
parte  era  riportata.  Ci  si  potrebbe  ragionevolmente  domandare,  che  cosa  abbia  p<jtuto  indurre 
un  artista  a  compiere  in  modo  così  diverso  il  suo  lavoro  sui  lati  figurati  dello  stesso  altare. 
Voleva  egli  forse  con  esperimenti  comparativi  mostrare  i  vantaggi  o  gli  svantaggi  dei  relativi 
metodi  di  lavoro?  Una  tale  ipotesi  basata  sul  presupposto,  che  gli  altari  del  culto  del  V  secolo 
riccamente  forniti  di  decorazione  ornamentale  e  scultoria  (nel  caso  che  ve  ne  siano  stati, 
il  I  he  non  è  ancora  provato)  siano  stati  compiuti  senza  un  pian(j  che  considerasse  e  pre- 
stabilisse anche  le  particolarità  della  esecuzione  tecnica,  è  del  tutt<j  inverosimile  e  priva 
di'll'appoggio  di  qualsiasi  analogia. 

La  differenza  dei  due  monumenti  è  però  in  questo  punto  molto  più  sensibile,  di  quel 
che  si  dovrebbe  ammettere  secondo  l'esposizione  dello  Studniczka.  Nell'esemplare  di  Boston 
gli  ornamenti  angolari  sono  non  poco  più  alti,  che  le  corrispondenti  parti  ornamentali  del- 
l'esemplare L.  Perciò  la  ricostruzione  data  dallo  Studniczka  di  quest'  ultimo  monumento 
(1.  e,  pag.  77  tìg.  17  cfr.  pag.  55  seg.i  secondo  la  quale  le  palmette  angolari  avrebbero  dovuto 
sporgere  libere  nell'aria  oltre  la  superficie  del  rilie\(),  è  del  tutto  capricciosa,  e  non  è  affatto 
suffragata  da  motivi  generali  di  ordine  pratico  o  estetico.  Poi  anzi  tutto  le  decorazioni  an- 
golari di  1.  non  erano  certo  di  marmo  come  quelle  di  B,  ma  bensì  di  metallo,  come  a\'e- 
\ano  già  ammesso  lo  Helbig(3i  e  prima  di  lui  anche  il  Petersen  (4).  Le  notevoli  difificoltà 
tecniche  che  si  sarebbero  dovute  superare  per  collocare  un  ri\estimento  marmoreo  come 
quello  che  si  dovrebbe  qui  ammettere,  qua  e  là  così  sottile  (5)  e  fornito  di  rilievi  orna- 
mentali di  differente  altezza,  sono  a  chiunque  palesi.  Un  tal  metodo  di  mettere  a  posto  le 
aggiunte  ornamentali  che  in\ece  di  facilitare  il  lavoro,  lo  a\rebbe  reso  più  ditificile  e  com- 
plicato, contrasta  a  tutte  le  abitudini  dell'antica  tecnica  del  marmo  (6).  Come  questi  pezzi 
fossero  una  \(ilta  tissati  non  si  può  piìi  stabilire  con  piena  sicurezza,  perchè  sulle  superfici 
di  contatto  non  sono  rimaste  tracce  di  una  qualsiasi  preparazione  che  a  quello  scopo  si 
riferisca.  Veramente  lo    Studniczka    pensa,   pur  min    ritenendola    necessaria,    a    una    imper- 


(1)  Debbo  anche  in  questo  lungo  render   le    più  (4)  Kóvi.  Mitth.  VII,   1892  p.   39. 

vive  grazie  per  l;i  liber.ilità   dimostratami  dai  pre-  {5)  Secondo  il    computo    dello   Studniczka  (I.  e. 

p;isti  ai  Musei  di  Roma  e  di  Boston  e  per  l'ama-  p.  59)  lo  spessore  avrebbe  dovuto  raggiungere  solo 

bile  cortesia  con  cui  i  miei  desideri  sono  stati  ac-  2    centimetri,    secondo    il    Petersen  (1.   e.)  Il  quale 

colti  dai  signori  P.iribeni  e   Caskey.  perù  pensa  a  rivestimento  metallico  solo  V2  cni- 

(2)  Studniczka,  I.  e.  p.  59.  (6)  Bullk  in  Arndt-Bri'ckmanx.  l'),iikmaU-r 

(3)  Fiiìiro'  11   num.  058».  testo  alla  tav.  501. 


—  I07  — 

niatura  dei  pezzi  marmorei  riportati  sul  basaiiiciito  ii/  e  aa  una  Jissimulazi-Jiic  acuc 
linee  di  giuntura  per  mezzo  di  un  qualche  stucco  (2).  Se  lo  Studniczka  ha  ritenuto  che  questo 
stucco  adoperato  sopra  tutto  per  dissimulare  le  congiunture  e  non  come  vero  e  proprio 
mezzo  per  attaccare  (con  che  verosimilmente  egli  intende  parlare  del  mastice  al  minio  così 
largamente  usato  nell'antica  arte  costruttiva  greca;  (3)  avrebbero  dovuto  esser  rimaste  delle 
tracce  di  un  materiale  cosi  agglutinante  nelle  piccole  disuguaglianze  del  marmo  sui  rispettivi 
piani,  mentre  invece  secondo  una  cortese  informazione  del  Paribeni,  niente  si  può  osser- 
vare. Senza  dire  che  in  tal  caso  si  sarebbe  certo  scelto  per  mascherare  le  congiunture  un 
materiale  che  avesse  potuto  servire  anche  come  mezzo  di  legamento,  per  esempio  un  ce- 
mento a  base  di  calce,  le  cui  tracce  si  dovrebbero  a  più  forte  ragione  osservare  sul  mo- 
numento Ludovisi  (4).  Ma  tali  tracce  non  esistono.  L'ipotesi  dello  Studniczka,  che  gli  orna- 
menti angolari  mancanti  fossero  eseguiti  in  marmo,  non  si  può  accordare  con  lo  stato  attuale 
del  rilievo  Ludovici.  Questo  sparire  senza  lasciar  traccia  dell'  ornamentazione  inferiore  dei 
rilievi  esclude  a  mio  vedere  l'opera  del  caso,  ed  accenna  a  cosa  voluta  e  fatta  apposta.  Le 
applicazioni  di  bronzo  verosimilmente  dorato,  sono,  come  tante  altre  simili,  cadute  vittime 
dell'avidità  di  preda  dei  barbari.  Se  invece  quegli  ornamenti  fossero  stati  in  marmo,  la  ten- 
tazione di  impadronirsene  sarebbe  stata  molto  minore,  tanto  più  che  il  distacco  di  sottili 
lastre  di  marmo  fermate  con  cemento  non  sarebbe  stato  privo  di  grandi  difficoltà.  Se  dunque 
nei  due  monumenti  in  questione  le  parti  inferiori  che  incorniciavano  coi  lom  motivi  orna- 
mentali le  rappresentazioni  figurate,  erano  eseguite  in  materiale  diverso,  e  cioè  in  L  in  bronzo, 
in  B  in  marmo,  sarebbe  già  per  questo  motivo  da  deporsi  ogni  pensiero  dì  riconoscere  in 
essi  le  due  parti  opposte  dei   lati   di   uno  stesso  altare. 

Per  concludere  si  ponga  inente  ad  alcune  discrepanze  che  pure  contraddicono  l'ipotesi 
della  appartenenza  dei  due  monumenti  a  uno  stes.so  insieme,  cioè:  la  diversità  facilmente 
riconoscibile  nei  disegni  dati  dallo  Studniczka  (I.  e.  p.  54  fig.  1-?  e  p.  84  fìg.  iq»  nella 
lavorazione  e  nella  disposizione  delle  superficie  superiori  dei  due  marmi,  sulla  quale  richiama 
l'attenzione  lo  stes.so  Studniczka  (p.  58),  come  pure  le  divergenze  nella  lunghezza,  nella 
obliquità  del  taglio  superiore,  nella  forma  delle  pareti  laterali.  l)ovrebt»e  quasi  credersi,  che 
quell'artista  avesse  provato  una  gioia  puerile  nell'eseguire  nel  m>Klo  quanto  più  possibile 
variato,  e  non  solo  in  relazione  alle  rappresentazioni,  le  due  fronti  laterali  corrisj»ndenti  di  uno 
stesso  altare,  la  cui  decorazione  plastica  secondo  lo  Studniczka  gli  era  stata  commess;i.  Op- 
pure si  dovrebbe  pensare  che  egli  si  fo.s.se  fatto  un  merito  nel  non  ripeteisi  in  ne-^on 
dettaglio  neppure  per  quanto   riguarda    l'indifferente   .substrato   architettonico.  Un  tal» 


(1)  Collii'   111    HrlblK   .IMiliK'lli'   •."U    r.i>;i.iiu'  pii  li-         /.»\/^m    y.    S4;  K>m  tu  «  i  \    1  1  i  ii-i  i  .n   /  ■;.    ^i:,.*. 
sue  l.'istrc  di  intft.illii.  Trm/^l  in  I  ntfrilaltfn  m.  SUilifm  p,  1S4,  3J4 

(2)  I.  e.  p.  80.  (4)  Ikciiat  .\m   muxit  df  t'.lfrttfvU,    fK  lUJ; 
())  lvni.i)i:\vi  V    /»;i-    un/.    lùiHifflt-    lirt  ln.u-l       MvKsii.Mi      ^'     "  ■'■•K.Uft,  Il  t.iv.  %t)  p.  il 


—  io8  — 

priccio  non  corrisponde  in  alcun  moJo  allo  spirito  artistico  del  quinto  secolo,  e  in  questo 
nostro  caso  sarebbe  stato  applicato  molto  male  a  proposito. 

I  i.lifens(jri  della  teoria  che  si  tratti  di  un  altare  vogliono,  secondo  la  proposta  del 
Puchstein,  assegnare  ai  due  rilievi  il  luogo  sopra  al  relativo  altare  come  itpxTi^Tzi  o  ì~'.- 
|io>|i.i'Ss;.  Che  tali  guarnimenti  di  altari  sieno  stati  ornati  con  rilievi  è  ancora  da  dimostrarsi; 
è  naturale  invece  pensare,  che  questa  parte  dell'altare  che  era  più  esposta  al  fuoco  e  a  esser 
bruttata  del  sangue  delle  vittime  non  fosse  ornata  con  sculture.  Sicché  a  me  sembra  oltre- 
modo inverosimile,  che  un  altare  adibito  al  culto  e  ai  sacrifici  col  fu(x:o  e  posto  all'aperto 
avesse  nel  quinto  secolo  decorazioni  a  rilievo  (i).  Se  i  nostri  monumenti  avessero  realmente 
servito  a  tal  genere  di  sacrifici,  porterebbero  senza  dubbio  tracce  dell'azione  del  fuixo,  le 
quali,  a  quanto  io  so,  mancano  completamente.  Anzi  la  conservazione,  almeno  dell'esemplare 
roinann,  è  così  perfetta,  che  malvolentieri  si  pongono  quei  rilievi  in  relazione  con  monumenti 
che  avevano  il  loro  posto  all'aperto,  e  che  sarebbero  stati  continuamente  esposti  alle  intem- 
perie, tanto  più,  che  manca  nei  due  monumenti  qualunque  membratura  architettonica  atta 
alla  protezione  delle  pareti.  Anche  quest'ultimo  fatto  non  è  favorevole  alla  teoria  dell'altare. 
Ma  anche  meno  si  possono  con  essa  teoria  accordare  i  contorni  superiori  obliqui  dei  rilievi 
laterali,  che  avrebbero  interrotto  in  modo  così  disturbante  il  sistema  orizzontale  di  linee 
di   un  altare  monumentale. 

Che  i  due  monumenti  dei  quali  ci  siamo  occupati,  ornati  di  rilievi  per  tanti  riguardi 
simili  non  abbiano  decorato  lo  stesso  oggetto,  e  non  abbiano  potuto  appartenere  a  un  altare, 
è  come  mi  sembra,  indubitabile.  Spero  in  seguito  di  poter  presentare  un  piccolo  contributo 
positivo  alla  soluzione  del  difficilissimo  problema  del  come  quei  monumenti  debbano  inte- 
grarsi  nelle  loro  relazioni  architettoniche. 

Upsala,  febbraio  191 2. 

Lennart  Kjellberg. 


(i)  Cfr.  liEiscH  in   Paui.y-Wissowa  Kcal  cncyclopadii'  I  p.   1678. 


THRRECOTTH    CRETESI 

CONTRIBUTO  ALLO  STUDIO  DEI   VASI  CON  FORME   UMANE 


Assai  imperfetta  è  la  conoscenza  delle  terrecotte  cretesi  dell'età  protogreca,  ed  uno 
studio  accurato  di  esse  potrebbe  offrire  dei  risultati  veramente  interessanti  soprattutto  se 
condotto  con  un  esame  comparativo  accurato  ed  esauriente  delle  numerose  serie  di  terre- 
cotte  del  medesimo  periodo  uscite  da  Cipro  e  da   Rodi. 

Questo  studio  infatti  potrebbe  arrecare  nuovi  contributi  alia  sniuziune  dei  problema 
delle  origini  di  tutta  la  categoria  delle  statuette  e  dei  vasi  antropomorfi  del  periodo  geo- 
metrico. Trattasi  non  solo  di  mettere  in  chiaro  quali  influenze  abbiano  esercitato  i  primi 
prodotti  industriali  della  Grecia  dorica  penetrati  nel  suolo  di  Creta,  ma  di  determinare  so- 
prattutto se,  nelle  fusioni  di  vari  elementi,  nelle  mescolanze  di  forme  e  dì  stili,  si  sia  con- 
servata qualche  traccia  della  grande  civiltà  minoica. 

Dagli  scavi  di  Prinià,  sull'acropoli  della  Patèla,  da  quelli  di  H.  Elias  in  pro\incia  di 
Kasteli  Pediada,  come  nelle  ricerche  compiute  dalle  missioni  italiana  ed  inglese  a  Praesos, 
sono  uscite  numerose  terrecotte  legate  in  parte  ai  prodotti  dell'arte  minoicintarda,  in  parte 
a  quelli  dell'arte  geometrica.  Delle  terrecotte  trovate  casualmente  sulla  Patèla  dal  prof.  Halbherr 
nel  iSgg,  diede  le  prime  notizie  il  Wide  (Il  e  delle  più  recenti  scoperte  il  Pernier  (2). 
Quelle  di  Praesos  furono  già  in  gran  parte  pubblicate  dallo  stesso  Halbherr  (3)  e  le  ultime 
uscite  dagli  scavi  inglesi  furono  dottamente  illustrate  dal  Forster  (4). 

La  prima  .serie  di  Prinià  si  collega  per  lo  stile  e  per  il  significato  religio.so  se  simbolico  (5» 
alle  ligurine  fittili  del  larario  della  bipenne  di  Cnossos  (6)  e  ad  altre  del  medesimo  tipo  rinve- 
nute da  Mi.ss  Boyd  a  Gournia  (7),  che  appartengono  all'ultima  fa.se  del  (x-riodo  minoico  tardo. 

(1)  Cfr.    WiOE,    Afykeiii.uhi-    CiMIcrhiUier   nini      Xl,   p.iK»;.  m  e  J145. 

hlolf,  In  .Hhfii.  Min.,  XXVI  (1901)  p.  247  e  sgK.  tjl  Cfr.  Milani,  l.'ailf  f  Ai  r^/icionr  /'rr<'//<^ 

(2)  Cfr.  l'icRNiEK,   l'ctligùi  di  unii  filili  t/lf  Milli,  In  Sludi  i-  Muli-nuli.   Ili,  p.   117  e  sia;. 
nini  ili  C'n-lii,  In  .ì/riHi>rir  lii-l  A',  /slittilo  l.oiii-  (6)  Cfr.  Kvans,  Khosìos  /ùtiinittionji  iifuj.  In 
hiirilo  di  .Si inizi-  r  Ulltre,   V.l     Wll  (XIII  Jcll.i  ./«».  0/  IMf  thilisM  .K, Motti  .1/  .-llàfM.  VII,  p.ioB- 
Serie  III)  p.'iKK.  61  e  62.  98  e  gg. 

iì)  llM.uili'.HK,  A'isiiiii Ali  III  rninos.Ux  .hiif  (7)  Cfr.  In    '/hiHsai Iìom    k/  Ih,-    IWpiulm.    ■•/ 

rinvi  JoiiihiiI,  V  (li>oi)  p.   382  e  SRjt.  ArcM.    f'Hifers.   of  lyHHsyhiiniix.    Voi.  I   (IQ041 

(4)  Cf.  l'OKsncK,  Pnusos  l/ie    Terratollits,  In  p.  41  e  sg.  Per  l;i  blbljogr.iti.i  delle  terre«>tte  ere 

./////.  of  Ihf  liiilish  SchiHiI  III  .llliiii.  Vili,  p:iRK.  tesi  Cfr.  Uionna,   {.tu  sMun  Jf  Irrrt^niU  m 

J75  e  276,  ligi!-  J  <•  I  ••  p    "•'    lii'i'    '■  '•  '     il'-i"  I.',,'.,     p    I-    Il     ! 


—   no  — 

Quantunque  siano  notevoli  le  differenze  tipologiche  fra  le  fij;urine  fittili  ricordate  per 
ultimo  e  quelle  di  Praesos  e  di  altri  centri  protoellenici  di  Creta,  tuttavia  non  mancano 
anal(jjiie  nei  processi  tecnici  e  stilistici  come  dimostreremo  più  innanzi.  È  sperabile  che  gli 
scavi  non  ancora  condotti  a  termine  sull'acropoli  della  Fatela  vengano  a  colmare  le  nu- 
merose lacune  che  ancora  rimangono  nella  conoscenza  di  questo  materiale,  e  che,  racco- 
gliendo in  una  pubblicazione  complessiva  tutte  le  varietà  dei  tipi  rinvenuti  si  possa  deter- 
minare se  esistano  veri  rapporti  di  successione  fra  le  due  serie  predette,  ed  inoltre  se  vi 
sia  un  parallelismo  nello  sviluppo  tipologico  fra  le  terrecotte  del  periodo  geometrico  uscite 
dal  suolo  cretese  e  quelle  coeve  e  più  note,  per  la  maggior  copia  di  esemplari  rinvenuti, 
di  Cipro  e  di   Rodi. 

k  intanto  mio  proposito,  con  la  presente  nota,  di  fermare  l'attenzione  degli  studiosi 
sopra  due  eseinplari  recentcnunti.'  scoperti,  i  quali  offrono  dei  particolari  nuovi  e  curiosi 
per  ciò  che  riguarda  la  forma  e  lo  stile.  Il  primo  è  una  piccola  testina  appartenente  ad 
un  tipo  di  statuetta  fìttile  che  si  ricollega  a  quelle  di  Praesos  (fig.  i).  Fu  ritrovata  nel- 
l'esplorare  il  fianco  nord-est  dell'acropoli  festia  nella  campagna  di  scavo  del  1909,  in  mezzo 
a  terreno  di  scarico  proveniente  dagli  edifici  che  sovrastavano  il  bellissimo  portico  con  pi- 
lastri e  colonne  (8). 


Fii;,   i  —  Testina  fittile  con  gli  occhi  di  pasta  Mtrea  scoperta  negli  scavi  Si  NE 
del  palazzo  di  Phaestos. 


È  fitrmata  di  un'arijilla  giallognola  assai  depurata  e  di  fine  imp.isio.  11  \-olto  si  pre- 
senta di  prtjspettii  in  forma  triangolare  e  nella  parte  inferiore  sporge  all' infuori  il  mento 
alquanto  appuntito.  11  naso  schiacciato,  ora  rovinato  nella  punta,  fu  ottenuto  sull'argilla 
ancor  tenera  dalla  pressione  delle  due  dita  del  figulo.  La  fronte  è  limitata  superiormente 
da  alcune  sporgenze  (9)  circolari,  disposte  in  linea  orizzontale  all'orlo,  in  parte  guaste,  ma 
che  conservano  tracce  di  colorazione  rosso-bruna. 


(8)  Cfr.  L.  Pernier  e  A.    Minto,    in    lìoììct-  (q)  Dette  sporgenze  non  fumno  disgraziatamente 

tino  d\\rle  del  Mimstero  della  P.  Istr.,  anni)  IV       rilevate  nel  disegno    preso    da    un  calco  In  gesso. 
(  1910)  n.   5  (maggio)  p.   13.  L'altezza  massima  della  testina  è  di  m.  0,04. 


—  Ili  — 

Queste  sporgenze  circolari  si  rivelano  come  minuscoli  riccioli   formanti  la  Ii~  "       -e- 

riorc  della  capigliatura.  Del  resto  una   consimile   disposizione   simmetrica  ritrovili;. _n 

rhyton  fìttile  a  testa  umana  uscito  negli  scavi  del  1906  dallo  strato  minoico-tardo  del  pa- 
lazzo di  Phaestos;  però  i  ricciolini  non  sono  rappresentati  in  forma  rilevata  a  spirale,  ma 
solamente  resi  con  il  colore  (i).  Questo  trattamento  della  capigliatura  a  ricciolini  spiraliformi 
che  incorniciano  la  fronte,  ricorre  del  pari  in  una  lekythos  antropomorfa  di  stile  corinzio  del 
museo  nazionale  di  Atene  (2),  la  quale  si  collega  per  la  decorazione  alla 
ceramica  protocorinzia.  Ma  una  somiglianza  più  diretta  riscontriamo  in- 
vece fra  la  nostra  testina  ed  una  figurina  fittile  di  fabbrica  cipriota 
scoperta  a  H.  Paraskevi  (3),  in  cui,  oltre  ad  altri  particolari  di  tecnica 
e  di  stile  comuni,  troviamo  indicato  l'orlo  della  capigliatura  da  una  fila  di 
ricciolini  simmetrici  ottenuti  con  circoletti  concentrici  per  mezzo  di  colore. 

Riprendendo  in  esame  la  nostra  testina,  da  alcune  traccie  del 
collo  che  si  conservano  nella  parte  inferiore,  sotto  al  mento  allungato, 
si  desume  che  doveva  sporgere  da  un  fusto  cilindrico,  come  nelle  ter- 
recotte  di  Praesos.  Osservando  uno  degli  esemplari  meglio  conser- 
vati (fig.  2),  che  ora  si  trova  ad  Oxford  (Ashmolean  Museum)  (4),  si 
vede  chiaramente  come  la  testa  sia  stata  modellata  in  rilievo  sul  fusto, 
mentre  la  parte  posteriore  sale  diritta  e  piana,  salvo  una  leggera  spor- 
genza al  di  sopra  del  collo,  alla  quale  succede  uno  stretto  orificio  circo- 
lare come  nei  vasi-statuette  di  Cipro  e  di  Rodi  e  nelle  terrecotte  Siimie,  fib-  »  —  t«t.<:o«u  cre- 
iti* Ji  Praesu*  ij  .Imi-- 

illustrate  dal  V\inter  (5).  7"'\''J:"'7''L'J"'*^ 

Ma  una  caratteristica  veramente  singolare  ed  interessante  offre  la 
testina  di  Phaestos,  negli  (Kchi  riportati  in  pasta  vitrea  che  spiccano,  con  la  loro  tinta  az- 
zurrognola sul  giallo  del  fondo  e  del  contorno  rilevato  dell'orbita.  Non  mi  è  riuscito  di 
ritrovare  fra  le  terre  cotte  di  questo  periodo  alcun  esempio  che  presenti  questa  particolarità 
degli  occhi  in  smalto  od  in  vetro.  Si  tratta  di  un  processo  tecnico  grossolanamente  applicato 
;ki  un  prodotto  industriale  che  possiamo  torse  pensare  sia  penetrato  in  Creta  dall'Egitto 
le  cui  inlluenze  si  fecero  sentire  di  buon'ora  nel  mondo  egeo.  Anche  fra  gli  idoletti  mar- 
morei delle  isole,  che  si  conservano  nel  Museo  nazionale  di  Atene,  vi  è  un  esemplare  che 
ha  gli   itcclii  rimessi  di  pietra  azzurra  ^6). 


(1)  Cfr.    l'KRNIKH,    In    UfIli/iCilH/i    .III.     /.illifi, 

1.^)7,  p.   281  e  SRK.,  Ii(!.  4. 

(2)  Cfr.  WAsnnuRN,  In  Jnhih.  dis  /ii\t.,  XNl 
(KJ06)  p.    iiij,  lÌK.   I. 

())  Cfr.  In  JniiiHiil  0/  llflItHif  Sludifs,  1807, 
p.  IJ7,  Iìk.  I,  0  MvRi-s-OiiNi;r.\Tsrii  Kiciitkr, 
Calili,  ol  llii-  ('\'/»iix  Miisi-iiiH.  p.  ^1,  II.  \(ìì.  p.  III. 


U)  Cfr.   fl.MiiilKKK,    m    .ìmnUan  JoniHiil.   V 

(  iQoi)  p.   )8j,  tit;.  g. 
(  <;)  WiNTKR,  \njithrh.  dfs  ImsI.,  1899,  p.  7Jc>KK- 
(6)  Cfr.  St.ms,  (.'HÙIf  illMihf   iIh  '  ■■•■ 

lù'HiiI  il'AlM^Hn.    Voi.   II.  CmIIcvIIom  \' 

p.    171,  n.   1010. 


—  112    — 


AJ  i>u.n\  inuJo  lu  siile  u  l'età  delia  nostra  terracotta  sono  chiariti  dalle  relazioni  strette 
di  parentela  che  offre  con  le  terrecotte  di  Praesos  e  con  quelle  cipriote  cosi  nella  model- 
l;i/.ii)ne  come  nei  particolari. 

L'altra  terracotta  che  qui  si  dà  riprodotta  alla  1]^.  3,  è  un  piccolo  vaso  antro- 
poide e  fu  scoperto  dal  Pernier  a  Prinià  sull'acropoli  della  Patèla 
ne^li  ultimi  scavi  del  1908(1). 

La  testa  di  forma  cilindrica,  è  ben  distinta  dal  rimanente  del 
corpo,  parimenti  cilindrico,  per  uno  spiccato  restringimento  del  collo 
che  concorre  a  rendere  più  palese  la  sproporzione  delle  varie  parti. 
Hssa  termina  superiormente  con  un  orificio  circolare  fornito  di  un 
iabhr(]  injiros.sato.  Gli  occhi  emisferici  sporgono  all' infuori  e  conser- 
vano qualche  traccia  di  pittura:  infatti  con  l'aiuto  del  colore,  dove- 
vano esser  rese  le  sopracciglia,  le  palpebre,  le  pupille,  il  naso,  come 
nella  testina  di  Phaestos,  è  schiacciato  e  di  forma  triangolare.  Ri- 
gidamente tagliata  è  la  bocca  con  l' indicazione  delle  labbra  di  cui 
il  superiore  è  leggermente  più  pronunziato.  Il  mento  poi  circoscrive 
abbastanza  bene  il  profilo  inferiore  del  volto  e  si  distingue  dalla  rima- 
nente parte  del  capo,  che  sporge  anche  nella  parte  posteriore  dal 
collo  cilindrico.  Infine  alcune  trecce  di  capelli  un  po'  ondulate  scen- 
dono simmetricamente  ai  due  lati  dal  limite  superiore  della  testa 
Il  collo  cilindrico  è  ornato  di  due  0  tre  fascie  parallele  di  colore 
rosso-bruno  in  parte  scomparso.  Il  corpo  presenta  una  lieve  rien- 
tranza nella  parte  mediana,  quasi  per  indicare  il  restringimento  dei 
fianchi  e  la  di\isione  del  tronco  dalle  gambe.  Dalle  spalle  si  stac- 
cano lateralmente  le  braccia  che,  aderenti  al  corpo,  sono  rappresentate  in  alto  rilievo  e  si 
allargano  inferiormente  in  forma  schiacciata  per  indicare,  senza  renderle  plasticamente,  le 
mani  :  il  destro  è  un  po'  inclinato  e  portato  verso  la  parte  mediana  del  corpo,  il  sinistro 
invece  scende  diritto  lungo  il  fianco.  Vicino  alla  base,  sei  fascie  orizzontali,  parallele  ed  una 
settima  più  larga  terminale,  tutte  di  colore  rosso-bruno,  corrono  all'  ingiro  determinando  così, 
in  forma  assai  primitiva  di  balze,  il  limite  inferiore  della  veste  da  cui  si  è  immaginata 
ravvolta  la  persona. 

Mentre  questo  secondo  esemplare  presenta  molte  analogie  di  tecnica  e  di  stile  con 
le  terrecotte  di  Praesos  e  con  quelle  cipriote,  soprattutto  nella  conformazione  cilindrica  del 
fusto  e  nella  ornamentazione  dipinta,  si  stacca  apparentemente  da  quella  forma  tipica  della 


Fig.  j  —  Vaso  antropoide 
cretese  scoparlo  a  Pri- 
nin,  sull'  acropoli  della 
PaMa . 


(1)  L'altezza    del    fittile    è   di  m.  o,2t.  Sento  il       nier  elle  mi  ha  concesso  molto  gentilmente  di  pub- 
du\ere  di  rendere  publMiche  grazie  al  Dott.  L.  Per-       blicare  questa  interessante  terracotta. 


—  "3  — 

prima  serie  di  terrecotte  rinvenute  sulla  Fatela  dallo  Halbherr  ed  illustrate  dal  Wide  (i). 
Questa  prima  serie  è  costituita  da  quel  tipo  di  figure  schematiche  con  le  braccia  staccate, 
aperte,  rialzate,  simili  ad  alette,  trovate  a  Cnossos,  a  Gournià  e  che  ricorre  del  pari  nelle 
danzatrici  di  Palaikastro  e  del  quale  si  rinvennero  esemplari  consimili  ad  llion  ed  altri , 
di  tipo  e  sviluppo  ulteriore,  a  Micene,  Palamidi,  Tirinto,  ad  Egina  ed  a  Cipro  (2).  Il 
Furtwangler  pose  in  relazione  alcune  terrecotte  uscite  dagli  scavi  del  tempio  di  Aphaia  (Egina) 
con  le  figurine  cretesi  in  majolica,  le  cosi  dette  «  dee  dei  serpenti  »,  del  palazzo  di  Cnossos 
e  con  gli  altri  esemplari  fittili  di  Cnossos  e  di  Prinià  (3)  e  per  ciò  che  riguarda  il  s<jggetto 
ha  dimostrato  non  trattarsi  di  immagini  di  divinità  ma  di  semplici  mortali  ;  la  quale  inter- 
pretazione del  resto  fu  data  già  prima  dal  Savignoni  studiando  questi  medesimi  tipi  impressi 
sopra  alcune  cretule  di  H.  Triada  (4). 

La  presenza  di  queste  terrecotte  di  tipo  miceneo  sulla  Fatela,  in  un  centro  che  è  indut>- 
biamente  protoelienico,  come  hanno  dimostrato  le  diligenti  esplorazioni  del  Pernier,  è  di  per 
sé  stessa  molto  significativa  a  dimostrare  la  persistenza  di  questo  tipo  nell'età  protogreca. 
Esistono  infatti  dei  legami  fra  questi  idoli  di  tipo  miceneo  e  il  nostro  vasetto  antropoide 
e  le  terrecotte  di  Praesos,  nella  conformazione  della  parte  inferiore  del  corpo  che  presenta 
una  identica  forma  cilindrica,  leggermente  conica  o  campanulata  alla  base;  ed  in  questo 
ultimo  particolare,  quantunque  sia  troppo  ardito  un  confronto,  trattandosi  di  forme  cosi  rozze 
e  sohematiche,  si  potrebbe  scorgere  un  ricordo  della  caratteristica  sottana  campaniforme, 
ornata  di  balze,  delle  figurine  in  majolica  di  Cnossos,  la  quale  foggia  di  vestiario,  tipica 
dell'età  micenea,  appare  altresì  nelle  rappresentanze  dei  sigilli  in  terracotta  e  nelle  pietre 
incise.  A  questo  si  aggiunga  la  ricorrenza  della  decorazione  a  fascie  parallele,  per  determi- 
nare il  limite  inferiore  del  vestiario,  che  si  osserva  anche  in  un  esemplare  tardo-minoico 
uscito  dal  palazzo  di  Phaestos  (5).  Inoltre  a  confermare  questa  corrispondenza  nel  tipo  e 
nella  decorazione,  concorrono  altri  esemplari  di  stile  miceneo  e  soprattutto  una  figurina 
fittile  scoperta  a  Palamidi  (6)  ed  un'altra  consimile  rinvenuta  a  Micene  stess;i  (7). 

Dopo  l'invasione  dorica  la  lìsonomia  delle  terrecotte  si  mixlifica  nel  continente  greco 
e  come  segno  di  barbarie  e  di  regresso  dalla  statuetta  cilindrica,  si  passa  alla  figurina 
schematica  e  piatta.   In  (Lnt.i  non  troviamo  questa  spiccata  interruzione  fra  i  due  periodi. 


{1  iCfr.Wii>i:,l.c.,lii.///ri7/..l////.,  .\XV'l,t.if.,\ll.  •  Jco  del  serpenti  •  di  Cnossos  comjvir.inJolo  con 

(2)  Cfr.    Milani,  I.  e,  in  Slmli  e    Miili-rinli,  giiello  delle  lÌKurinc  impresse  nel  sigilli  di  H.  TiIaJ.i. 

Ili,  p.   US.  K)  Cfr.  Pbkniki»,  In  Momtm.  .Iflitki  J,>  /  iv 

H)  Cfr.    l''URTWAi!NOLKR,   .li-gìmi,    Hfilitrtiim  ii-ì,  XII  (iijoj)  p.  la),  (.  Si,  5,  e  Mii-VNi,  in  A.'...  I 

iln-  .■t/>/iniiì,  Mlhiihi-ii,  ii/i>6,  p.  372.  -•  Maleriitli,   111,  p.   li;,  flg.  514. 

(4)  Cfr.   Savkìnoni.    In   Mounniftiii  un    1  m-  (61  Cfr.  I'krrot,  //»iA»rW  rfc  /Vlr/,  VI. Iìr.  mi; 

rei  A//'  (/<j<tj;)  fi.  S7V.  linfa  -><•/>.  .?.v?.  n.  j.  Il  Milani,  in  S.  J,  M.,  p.  ii?,  Iìr.  $11. 

SnvlKiioni  Ili  prevenuto  il  l-urtw.'iiiKler  .indie  nelle  (7)  Cfr,    in  '1-^. 'A<./,. ,    1888,  t.iv.  g,   n.    is  : 

•psserv.iAlonI  rinii:ird;inti  II  ciiprlcipo  delle  cusi  dette  Mti-\NI,  in  S.  T.  M.,  Ili,  p,  iis,  lig.   ni. 

.iMii'Niti      Anno   VI.  ic 


—  114  — 

Abbiamo  già  accennato  come  per  la  torma,  per  la  tecnica  e  per  lo  stile,  il  nostro  fittile 
si  accosti  alle  terrecotte  di  Praesos  eJ  a  L|uelle  cipriote  e  rodie.  Se  non  ci  fosse  il  vuoto 
interno,  il  fondo  e  l'orificio  circolare  con  labbro  alquanto  ingrossato  si  sarebbe  inclinati  a 
classificare  questa  piccola  terracotta  nella  categoria  delle  statuette  fittili  piuttosto  che  in 
quella  dei  vasi  antropoidi,  esaminando  tutta  la  serie  svariata  dei  tipi  in  cui  si  presenta  il 
vaso  antropomorfo  nella  sua  universale  diffusione,  si  può  intravedere  a  quali  e  quanti  diversi 
modi  si  sia  attenuto  l'artefice  modellatore,  nella  soluzione  del  difficile  problema  che  consi- 
steva appunto  nell'unire  la  forma  dell'utensile  pratico  con  l'elemento  figurativo  (i).  Nel  mag- 
gior numero  dei  casi,  in  queste  forme  combinate,  il  vaso  non  perde  nulla  della  sua  forma 
fondamentale.  Tra  la  prima  serie  in  istile  tardo  minoico,  abbiamo  un  bellissimo  esempio  nel 
vaso-idolo  di  Toplii  (2).  È  appunto  im  vaso  rituale  antropoide  che  presenta  uno  schema 
identico  a  quello  delle  statuette  fittili  dì  tipo  miceneo  di  Prinià  e  dei  larari  sacri  di  Cnossos 
e  di  (journia,  composto  di  una  parte  inferiore  in  forma  di  vaso  cilindrico  cui  si  innesta  il 
busto  a  guisa  di  tappo  ed  il  collo  del  vaso  fa  come  da  cintura.  Nell'esemplare  di  Prinià 
invece  il  rozzo  tigulo  ha  sacrificato  la  forma  dell'utensile  pratico  per  rendere  in  modo  più 
evidente,  benché  rude  e  grossolano,  la  parte  figurativa.  Il  vasetto  antropoide  di  H.  Paraske\i, 
che  abbiamo  più  sopra  ricordato,  a  proposito  della  testina  di  Phaestos,  somiglia  al  nostro  fittile 
nella  conformazione  cilindrica  delia  testa  e  del  corpo.  Ma  la  fusione  della  figurina  col  vaso  si 
presenta  i\i  più  imperfetta;  e  la  parte  antropomorfa  è  per  così  dire  embrionale,  poiché  non 
vi  ha  alcuna  distinzione  fra  la  testa  ed  il  tronco  e  soltanto  la  rappresentazione  delle  braccia 
in  iilie\-o  sul  fusto  cilindrico  ci  pone  in  grado  di  affermare  che  si  tratta  di  un  vaso  a  figura 
umana.  Cosi,  mentre  nei  nostro  fittile  notiamo  la  assoluta  mancanza  di  anse,  quello  cipriota 
è  fornito  lateralmente  di  due  appendici  a  sezione  triangolare  impostate  verticalmente,  nel 
mezzo  alle  quali  è  praticato  un  forellino.  E  con  queste  piccole  anse  collocate  all'altezza 
degli  ocelli  si  è  voluto  rappresentare  contemparaneamente  gli  orecchi. 

Anche  un'altra  piccola  testa  fittile  virile,  ritrovata  in  Creta  nell'  esplorare  gli  avanzi 
del  Santuario  di  Hermes  Craneo  e  che  fu  già  illustrata  dal  prof.  Halbherr(3),  doveva  ap- 
partenere ad  un  vaso  antropoide  del  tipo  di  quello  di  Prinià.  (Figg.  43  e  4Ò).  Vuota  in- 
ternamente (4),  essa  è  composta  di  un'argilla  tine,  giallognola  e  presenta  una  forma  cilin- 
drica eJ  i  particolari  del  \olto  resi  col  colore.  La  parte  superiore  termina  con  un  orificio 
circolare  del  medesimo  diametro,  formato  di  un  labbro  ingrossato.  Ma  sopra  l'orificio  spor- 
gono, impostate  verticalmente,  tre  piccole  anse  che  dovevano  servire,  col  sussidio  di  un 
manico  a  tenere  sospeso  il  piccolo  vaso. 

(i)Cfr.  PoTTiER,  Calaìoguc  dcs  fasts   aiifignes  111,  r-   ii7- 

du   .1/.    .V.    dii   Louvre,   I,   p.  79:   Dkonna,  Des  (3)  Gir.  Halbherr,  Scoperte  nel  Sanliiario  di 

sla/iics  de  Icrrc-euite  en  nrùe.   p.   11   e  sgg.  //crmcv.- Craneo,  in  «  J/«ifo //«//<;;/<?  »,  II,  p.  9'6; 

(21  Mariani,  in  Monumoiti  antieìii.  VI  (i8g6)  tav.  XVI,  li^g.   \a  e  1*. 

p.    170,  tig.  2  e  particolarmente  Milani  in  S.T.M.  (4)  L'altezza  della  testina  è  di  m.  0,088. 


-     115 


*  * 


Mi  dilungherei  dal  mio  tema  se  volessi  istituire  particolari  comparazioni  di  forma  e  di  stile 
fra  il  vasetto  di  Prinià,  le  statuette  di  Praesos  e  quelle  cipriote,  soprattutto  di  Larnaca  e  Kame- 
larga(5).  Oltre  alla  conformazione  cilindrica  o  leggermente  conica  del  fusto,  che  fa  ricordare  i 
coni  simbolici  di  Prinia  e  di  Gournia,  e  nella  quale  possiamo  riconoscere  i  primi  tentativi 
dell'  artefice  modellatore  di  accostarsi  alla  struttura  naturale  del  corpo,  troviamo  usata  la 
medesima  tecnica  nella  indicazione  delle  braccia  in  rilievo  e  nella  decorazione  a  colori  (6). 


Flf;,  4  — Terracoita  del  Saniuarin  Ji  Herme»  Krana(ù&  (Cr«ij) 
da    Museo    italiano  di  ani,  clais,  11,  tav.  XIV   •   fice.   i*u.  i-A. 

La  decorazione  dipinta  che  serviva  a  completare  tutti  i  particolari  che  non  potevaim 
esser  resi  dal  figulo,  come  quelli  del  volto  e  del  vestiario,  ci  richiama  anche  nel  processa) 
tecnico  alle  ceramiche  di  stile  geometrico.  La  \ernice  rosso-bruna  delle  fascie  è  applicata 
direttamente  sull'argilla,  senza  alcuna  ingubbiatura  intermedia.  Il  colore  fondamentale  del 
fusto,  come  si  desume  dalle  parti  in  cui  è  conservato,  era  dì  un  nero  bigio  senza  lucen- 
tezza. L'ornamentazione  poi  a  fascie  orizzontali  e  parallele,  limitanti  il  vestimento  sul  collo 
e  alla  base  del  fusto  della  nostra  terracotta,  ricorre  del  pari  nelle  statuette  cipriote  e  rodie 
sopra  ricordate  ed  entra  nel  repertorio  più  comune  di  decorazione  delle  ceramiche  geo- 
metriche (7). 

Vnti  >M>  )   MivTO. 


(i;)  Clr.  ili  /iiiii Hill  .'/  //(•//<■«;,  .sii,,ni\,  18S7, 
p.  166,  lÌKK.  IO,  14,  is,  16,  17.  Myhi:s-<  )HNi;. 
K.M.scil-KiciiTKU,  ./  GiliitoKue  of  lh(f  Cy/trut 
.ìfii.u-uiH,  PI.  Ili,  448;  V,  1105;  VI,  5S0J.  5SJ5. 
5S4I.  —  Cfr.  pure  Wintkr,  /'/V  AhIUch  Trt- 
rtikolltii.  III,  p.  14,  lÌK'  6;  p.  ig,  lÌK'  ^>.  Hlu'ZKV, 
/.t'.i  /ij^nriiii-a  niitiiiin-s     f'    •  •<  ■  „{(,-  ,/«  /.om-ii'. 


h.  IX,  tiK.  4. 

(6)  Cfr.  Dkonna,  I.  e.  p.  ti. 

(7)  Per  1.1  decorazione  dipinta  cfr.  i  franintentt 
Jl  S-iInmiiu  (Cipro)  In  /  ....         ^^^ 
liifs,   i8vi,  p.  146;  Wai  i,t 
ni fot/as,  p.   17-jo. 


t 

-5 


Pianta   i;enerale. 


IL    RILSTAX'KO 

l)|-.I.L\  l.(H-(il.\  I'  I)I:L  palazzo  TArALI'.  hi  \riT,Ki;u 


Ijal  pontificato  di  Alessandro  IV  a  quello  di  Nicolò  III,  periodo  che  comprende  otto 
papi,  la  corte  Pontificia  ebbe  sede  a  Viterbo:  è  questa  l'epoca  gloriosa  in  cui  la  città  sorse 
al  suo  massimo  splendore,  aH'apojjeo  della  sua  vita  meJioevale. 

Le  sommosse  continue,  le  turbolenze  della  plebaglia  romana  e  le  frequenti  se m iene 
di  predatori  eserciti,  obbligarono  i  Pontefici  a  questo  volontario  esilio  a  Viterbo,  che,  con 
la  sua  popolazione  di  parte  guelfa,  buona  garanzìa  offriva  per  la  pace  interna  mentre  le 
ben  turrite  mura  che  la  circondano  assicuravano  dalle  possibili  incursioni  di  imperatori, 
baroni  e  principi,  pronta,  del  resto,  la  locale  ben  agguerrita    milizia   sempre   a   respingere. 

La  mancanza  di  una  sede  degna  dei  Sovrani  pontefici,  assai  però  preiKCupava  i  Viter- 
besi, poiché  quella  che  fu  subito  prescelta,  e  che  costituì  il  primo  rifugio,  cioè  il  pahizzo  degli 
Alemanni  edificato  nel  1208  sul  colle  di  S.  Francesco,  era  assai  lontano  dalla  Cattedrale, 
e  troppo  angusto,  onde  il  giustificato  timore  che  la  Corte  non  si  indugiasse  molto  a  lungo  in 
Viterbo. 

Fu  pertanto  deliberato  dai  cittadini  di  offrire  alla  Santa  Sede  un  alloggio  ricco  e  de- 
coroso insieme  che  si  prestasse  a  tutte  le  esigenze  della  Corte  e  del  fasto  pontificio,  e  la 

scelta  molto  opportunamente  cadde  sull'antico  edifici"  :-  —  ■  's.  Lorenzo  ,  '- "'■ —  -  ■■■• 

era  stato  ridotto  ad  Episcopio. 

Ma  lo  stalli  di  esso  era  oltre  ogni  dire  misero,  e  se  in  armonia  con  la  ,  u  quei 

piiiiii  Vescovi,  non  certo  con  gli  sfarzi  della  Corte  papale. 

L'Episcopio,  benché  ingrandito  nel  1235  allorché,  fu  demolito  un  t)s|vdale  che  un- 
geva fra  esso  e  la  Chiesa,  era  pur  sempre  molto  ristretto,  ma  non  altrettanto  |  '   m 

dello  spianato  che  si  stendeva  innanzi,  rest)  grande  e  spazioso,  dal  diroccamento  ..v ...i 

castello  avvenuto  nel    1244:  sicché  assai  bene  j-niteva  esso  offrite  la  basi-    [\-r    la    novella 
costruzione. 

Era  allora  ospite  di  Viterbo,  ove  si  era  rìfugiiitu,  Alessiindro  IV:  prtvisimente  in  quel- 
l'anno, il   1257,  si  iniziarono  i  lavori  dell'erigendo  edìfizio. 

Raniero  (latti  della  prosapia  dei  Brettoni,  allora  (vr  la  tor/a  \oUa  lapii.uw 
lu   l'ivleatore  e  l'anima  della   mi'»  •  ,■.-'■"' ■■■•  i > ^ontpuito  il  ix>|h>I>>  \  ...... -i.-. 


—  xi8  — 

per  testimonianza  della  propria  gratitudine,  volle  scolpite  le  sue  armi  gentilizie  sulla  fronte 
della  pontificia  dimora  nonché  sulla  facciata  del  palazzo  iscritti  i  seguenti  leonini: 

Rainerius  Gattus,  iam  ter  capitaneus  actus, 
Edem  papalem  struit  istam  pontitìcalem. 
Hoc  habeas  menti,  lector,  quod  mille  ducenti 
Anni  sexdeni  currebant  denique  seni. 
Gatti,  quos  cernis  currendo,  solent  dare  saltum, 
Virtutes  signant  per  quas  coscendit  in  altum. 


Fi;,    t  —  Inttrnu  della  grande  Au!n  iì\  Con^Ij.e 

L'opera  grandiosa  fu  compiuta  nell'anno  1266:  nella  mole  robusta,  nella  severa  archi- 
tettura è  bene  impresso  il  carattere  austero  e  maestoso  della  residenza  pontificia  dello  evo 
medio. 

Ne  meno  grandioso  poteva  dirsi  l'interno:  le  stanze  magnifiche  dell'appartamento  papale, 
ricche  d'ogni  migliore  decorazione,  erano  precedute  da  una  sala  immensa  illuminata  da  ben 
dodici  ampie  finestre  bifore  di  finissima  fattura;  ed  è  questa  l'aula  che  poi  divenne  celebre 
per  la  elezione  ivi  celebratasi  di  papa  Gregorio  X,  che  fu  lunga  e  laboriosa,  e  per  cui  i  Car- 
dinali Vi  furono  rinchiusi  quasi  a  forza. 


—    IIQ   — 

Dal  quale  avvenimento  nacque  l'istituzione  dei  conclavi,  con  la  costituzione  di  Gre- 
gorio X  promulgata  col  noto  decreto  di  Lione,  che  stabili  per  la  prima  volta  la  forma  so- 
lenne, che  in  essi  avrebbesi  dovuta  tenere  per  le  elezioni  pontificie  (i ) :  Decreto,  che,  nella 
sua  sostanza,  può  dirsi  tutt'ora  perduri. 


La  quasi  nuda  fronte  del  palazzo  a  rustico  ma  regolare  paramento  in  pietra  locale  e 
che  solo  comprende  la  vasta  sala  del  conclave,  è  coronata  da  venti  merli  di  maniera  guelfa, 
sotto  alcuno  dei  quali  scorgonsi  ancora  le  tracce  degli  stemmi  a  barre  orizzontali,  emblema 
dei  Gatti  ;  più  in  basso  sono  le  sei  finestre  alte  e  strette,  quasi  feritoie  e  più  giù  ancora  si 
trova  la  vera  e  propria  decorazione  del  prospetto:  le  sei  grandi  bifore  di   mirabile   lavoro. 

I  vani  di  ciascuna  finestra  hanno  al  centro  una  elegante  colonnina  dai  tipici  capi- 
telli a  fogliami  accartocciati  con,  nella  base,  la  fogliolina  agli  angoli;  da  questa  si  s\'ilup- 
pano  i  due  archetti  rotondi  con  sottoposti  trilobi,  che  vanno  ad  impostarsi  sulle  colonnine 
laterali,  mentre  il  tutto  è  racchiuso  in  altro  arco  a  pien  centro  che  nasce  da  queste  inqua- 
drando, negli  spazi  risultanti  fra  le  costole  degli  archi,  i  rosoncini  traforati. 

Una  semplice  ma  robusta  cornice  collega  le  finestre  all'altezza  dell'imposta  degli  archi 
e  gira  sopra  questi  e  sul  portale  di  ingresso. 

Termina  la  semplice  decorazione  la  soda  cornice  che  forma  soglia  delle  biture. 

II  prospetto  procede  poi  nudo  fino  al  basso  nel  fossato,  ove  è  solo  ma  nettamente 
tagliato  da  un  vano  dì  ingresso  a  sesto  acuto. 

Sopra  il  portale  è  la  iscrizione  già  ricordata  e  sopra  questa  una  mensola  che  sorregge 
un  leone  in  marmo,  simbolo  di  Viterbo. 

Avanti  il  portale  si  protende  la  vasta  scalea  di  accesso  preceduta  da  un  grande  ripiano, 
dal  quale  si  scende  sulla  piazza  a  mezzo  di  ventidue  gradini  ;  esso  ha,  lungo  i  parapetti 
nel  lato  interno,  sedili  in  pietra  per  comodo  delle  persone  che  dovevano  attendere. 

La  decorazione  dei  fianchi  di  questa  scalea,  è  pur  bella  nella  sua  grande  semplicità 
ed  è  sopratutto  interessante,  perchè  reca  impresse  le  caratteristiche  dello  stile  locale. 

Sotto  il  ripiano  un  arco  schiacciato,  il  cui  bellissimo  parapetto  ha  le  siigome  e  la  pro- 
filatura delle  notissime  balconate  viterbesi  dette  «  profferulli  »,  si  slancia  e  scavalca  il  f<iss;ito. 

Nelle  congiunzioni  infine  del  ripiano  con  la  rampa  i  due  pilastri  addoss;iti  a  rudi  bo«e 
portano  scolpiti  gli  stemmi  dei  Gatti,  e  sostengono  le  rispettive  due  colonne  i--  '  ■•  -n 
base  e  capitello;  da  questi  pilastri  si  partono  le  linee  inclinate  dei  parafX'tti  di  ,  i, 

sotto  i  quali  si  profilano  elegantemente  le  testate  dei  gradini  secondo  un  motivo  es«eruial- 
mente  locale.  I  fianchi  esterni  della  rampa  sotto  le  dette  testate  hanno  decumiioni  a  riqu.i- 
drature  magniliche  e  semplici,  con  sobrie  s;igomature:  negli  spazi  il    semplice   piiramcnto. 

(  I  )  (iMIcc;t  Ile  '\  Il  •^.  .'\/,<t  t,i  tiii,,i  ,  ti  1,1  iit  r\tnn,t  ti*-.  inf  tiion  Ot  \  .    til,  p.    ^9      l'-'in.i,  >tK     (-vi.  N.if ,,  i«>m  , 


—   120  — 


*      ♦ 


La  severa  facciata  mancava  pt^n'i  di  un  verone,  di  un  lo|jj;iato  indispensabile  per  la 
tradizionale  benedizi(jne  apostolica,  che  il  papa  soleva  impartire  in  circostanze  s<jlenni  e  col 
^ran  cerimoniale,  al  popolo  raccolto  sulla  piazza. 

Andiea  di  Beialdo  della  prosapia  dei  Gatti,  capitano  del  popolo  succeduto  a  Raniero, 
nell'anno  1267,  cmipì  quest'opera  veramente  eccelsa  costruendo  a  lato  della  grandiosa  scala 
quei  niaiinitìco  loj;jiiato  in  pietra,  da  tutti  sempre  ammirato,  e  che  varrebbe  da  s<j1o  a  di- 
mostrarci la  soave  genialità  dei  nostri  artisti  del  trecento  (i). 

La  costruzione  di  questa  loggia  è  ricordata  con  la  seguente  iscrizione,  pure  in  versi 
leonini,  posta  al  disopra  della  piccola  porta  murata  a  fianco  del  loggiato: 

lune  erat  Andreas  studio  sum  condita  cujus 
Beraldi  Proles  Terre  capitaneus  hujus. 
Cum  se.xaginta  septem  cum  Mille  Ducenti 
Currebant  anni  Domini  sit  nota  legenti 
Clemens  Quaitus  erat  Romanus  Papa  beatus. 
Tertius  erat  ipsius  annus   Pontificatus. 
Nobile  Viterbum,   Britoiuim  generosa  propago 
Quid  tìbi  tert  operis,  speciosa  signat  imago. 

Lu  s\iluppo  più  ricco  dato  dall'artefice  alle  parti  ornamentali  di  questa  loggia  fa  sì 
che  esse  si  avvicinino  più  che  mai  al  gotico  puro;  come  pure  studiando  le  cornici  della 
trabeazione,  le  basi  e  la  forma  dei  capitelli  si  trovano  essere  tutt'affatto  differenti  da  quelle 
usate  nel  palazzo,  pur  sempre  funnanJo  le  due  artistiche  concezioni  un  tutto  omogeneo 
ammirevolissimo. 

Sopra  una  volta  grandiosa  a  sesto  ribassato,  sostenuta  nel  centro  da  una  robusta  co- 
lonna oltagona,  che  nell'interno  nasconde  una  cisterna,  si  erge  maestosamente  il  superbo  e 
ricco  loggiato,  sulle  cui  otto  colonnine  binate  si  intrecciano  altrettanti  archi  a  trilobi  ogivi, 
che  formano  ogni  due  luci  una  bifora,  richiamando  così  le  finestre  del  palazzo;  sovrasta  la 
trabeazione  divisa  in  molteplici  scomparti,  la  quale  porta  alternate  quattro  serie  di  stemmi  : 
le  doppie  infule  episcopali,  le  aquile,  le  barre  orizzontali  ed  il   leone. 

Le  doppie  infule  episcopali  esprimano  gli  emblemi  della  Chiesa:  le  aquile,  la  podestà 
imperiale,  allora  rappresentata  a  Viterbo  dai  Prefetti  di  Vico:  le  barre  orizzontali  sono  poi 


(i)  Non  e  giunta  rino  a  noi  nutlzia  dei  nomi  degli       e  1300,  oppure  smarrita    ogni    carta    nel    trasferi- 
artisti  die  disegnarono  i  due  edifici  :   ne  andò  forse       mento  dell'archivio  pontificio  ad  Avignone. 
perduta  la  memoria  negli  incendi  degli  anni    1200 


—    121    — 

costituite  dall'arme  gentilizia  dei  Gatti,  mentre  infine  il  leone,  con  a  tergo  la  lancia  trifida 
simulante  la  palma  ferentana,  raffigura  il  Comune  di  Viterbo  ii). 

Dalle  lievi  tracce  d'oro  e  d'altri  colori,  che  tutt'ora  chiaramente  appariscono  si  può 
facilmente  argomentare  che  l'intiero  prospetto  della  loggia  era  p<jlicromo. 

Nell'aggetto  del  gocciolatolo  della  cornice  di  coronamento  si  vedono  infatti  resti  di  colo- 
ritura rosso-bruna  e  azzurra  ;  negli  spazi  rettangolari  sotto  le  mensole,  ove  sono  inquadrate  agli 
estremi  le  chiavi  papali  e  nelle  altre  le  doppie  infule,  appariscono  residui  di  oro  mentre  nei 
fondi  rimangono  tracce  di  rosso. 

Finalmente  negli  incavi  delle  lettere  della  iscrizione  di  Beraldu  Gatti,  sopra  ricordata, 
si  scorgono  tutt'ora  evidenti  segni  di  doratura. 

Il  loggiato  aveva  un'altra  fronte  sulla  vallata  di  Faulle,  la  suggestiva  valle  che  si  spro- 
fonda in  un  variare  pittoresco  di  verde  tra  orti,  oliveti  e  giardini,  ma  di  questa  fronte,  che 
andò  presto  distrutta,  solo  rimane  come  in  appresso  si  vedrà,  una  testimonianza.  Copriva  il 
loggiato  un  tetto  a  due  pioventi  del  quale  si  intra\edono  ancora  le  tracce  sul  lato  del  palazzo. 

*     * 

Questo  il  monumento  insigne  ccjme  In  immaginarono  gli  artisti  viterbesi  del  trecento 
e  come  oggi  nuovamente  si  ammira  dopo  II  grandioso  restauro  eseguito  sotto  gli  auspici 
del  Ministero  della  Pubblica  Istruzione. 

L'illustre  istoriografo  Viterbese  Cesare  Pinzi  nella  sua  recente  opera  «  Il  paUizzo  papale 
Ji  Viterbo  nell'arte  e  nella  storia»  ha  trattato  ampiamente  e  dovunque  con  la  dottrina  che 
gli  è  familiare,  dei  pregi  di  forma  e  di  stile  di  questo  cospicuo  monumento,  dimostrandolo 
improntato  al  carattere  romano-bizantino. 

E  invero  la  semplicità  del  concetto  architettonico,  la  merlatura  rikliim-ni.in' iiu' «.omna 
l'edifizio,  il  portale  che  si  delinea  in  piano  e  non  addentrato  nello  spessore  del  muro,  il 
tipo  delle  membrature,  ma  più  specialmente  lo  scomparto  quasi  classico  che  ser\e  Jì  dec»>- 
razione  ai  fianchi  della  scalea,  e  il  tetto  a  scheletro  che  copre  la  vasta  sala  dei  conclave, 
ciò  esaurientemente  comprovano. 

Nell'insieme  decorativo  poi  si  intravede  qua  e  là  come  l'artista  si  compiacque  dare  il 
suo  contributo  a  quello  stile  archi-acuto  che  fu  chiamato  stile  nuovo  e  poi  gotico  a). 

Si-  infatti  ci  fermiamo  a  considerare  i  n)s<)ncini  a  trafon)  e  gli  archetti  trilotvitì  che  s) 
impostano  su  colonnine  dai  capitelli  a  foglie  accartocciate,  facilmente  in  essi  rinveniamo  le 


(i)C.  PiN/.i,  l f>iiniìf><ìli  nioHiiiiu-iiti  di  l'itrrfx'.  Vasari  stile  cotic»,  pcrihr  lo  avcv.i    In   orrore,    e 

Vltorbii  -  Miinarclil,  lyos.  perchè  la  p;iri>la  gtitlco,  s<ilev.i  uMrsI  p«r  Iniilc.ire  dò 

(.!)  I.ci  stile  nrchlaciitii  (u  dettn  nel  scv.  \vi  Jal  che  imn  corrlsponJcva  al  i!>isto  artKtko  del  tcni|><. 

.iNtiiNiif  -  Annn   \'l  \(i 


—    122  — 

carattfiislÌLhc  Jcl  cds)  detto  stile  francese,  che  aveva  pelò  tratte  le  sue  origini  dal  genio 
ilaliiino  ispiranJosi  suj^ii  elementi  costruttivi  della  basilica  lombarda. 

Nota  anzi  il  Pinzi  (he  questa  fusione  del  gotico  col  ronianico-lombardo,  disposati  insieme, 
in  mirabile  armonia,  cnn  quel  sentimento  della  tradì::  onc  classica  a  quei  frinrni  ancor  vi- 
vace fra  noi.  riusc'i  uno  dei  prei^i  piii  particolari  dell'edificio  che  andiamo  studiando,  e  fu 
nei  nionuntenli  viterbesi  il  primo  segno  deli  alleanza  contratta  fra  i  due  stili  (i). 


*     * 


Se  solido  era  il  palazzo  per  la  r()>ustezza  delle  sue  mura,  non  C(;si  poteva  dirsi  del 
loggiato,  che  presto  anzi  apparve  fatiscente.  La  so\rincombente  trabeazione  infatti,  gravante 
sulle  esili  colonnine,  il  carico  del  tetto  enormi.'  e  l'urto  violentissimo  dei  venti  dovettero  ben 
presto  determinare  tonasti  nella  compagine  generale:  il  primo  rimedio,  che  si  ha  notizia  vi 
si  apportasse,  fu  il  robustamento  delle  spalle  mediante  la  muratura  della  porticina,  che  dal 
ripiano  della  scalea  dava  adito  all'interno  del   loggiato  e  l'ultimo  archetto  verso  destra. 

Ma  per  l'abbandono  in  cui  cadde  il  palazzo  dopo  la  sommossa  popolare  del  2  feb- 
br.iio  i2(Si,  che  ebbe  per  risultato  l'elezione  di  un  papa  francese  (Simone  di  Brie-Martino  IV) 
e  per  la  fuga  che  ne  seguì  della  sede  pontificia  da  Viterbo,  i  danni  aumentarono  in  breve 
sensibilmente. 

Nell'anni)  1^25,  la  loggia  pericolava  al  .segno  di  minacciare  da  un  momento  all'altro 
una  rii\ina;  fi.i  allora  che  alcuni  Viterbesi  ne  resero  edotto  il  pontefice,  che  risiedeva  ad 
A\igniine:  il  papa  (jio\anni  XXII  intervenne  perchè  non  si  frapponesse  ulteriore  indugio 
alle  riparazioni  occi urenti. 

Mandò  a  tale  effetto  ima  rigorosa  ingiunzione  al  Rettore  del  patrimonio  con  la  bolla 
del    13    Agosto    132';;   la  quale  dice   cosi: 

«  Giovanni  Vescovi)  servo  dei  servi  di  Dio,  al  diletto  figlio  Roberto  d'Albarupe,  arci- 
«  diacono  egi.stanense  e  cappellano  nostro.  Rettore  del  Patrimonio  di  S.  Pietro  in  Tuscia, 
«  .salute  e  apostolica  benedizione. 

«  Aftinché  il  restauro  della  nostra  loggia  Viterbese,  finora  negletto,  non  si  differisca 
«  più  oltre,  temeiuliisi  il  gra\e  danno  che  deriverebbe  a  noi  e  alla  Chiesa  Romana  dalla 
«  sua  ro\ina  che  ci  si  dice  imminente,  vogliamo  e  comandiamo  con  questa  lettera  aposto- 
«  lica,  che,  nel  modo  da  te  giudicato  più  acconcio,  ammonisca  e  induca  i  Priori  di  Vi- 
«  terbo  (Cui  sembra  spettare»  ad  eseguire  le  riparazioni  nella  detta  loggia  entro  un  certo 
«  termine  competente  che  tu  loro  assegnerai,  altrimenti  \e   li    costringerai    colla   forza,    in 

(i)  Cksare   Pinzi,  Il pnluzzo  l'tipalr  di  ì'ilcrbo  iicU'arle  e  nella  storia.  -  Viterbo,   Agnesatll,    1910, 
pag.   log. 


«  nome  della  nostra  autorità,  minaccianJoli  di  gastighi  temporali  e  -iiijiu.in,  secondo  che 
«  ti  parrà  più  espediente. 

«  Data  da  Avignone  agi'  idi  di  Agosto  dell'anno  nono  del  nostro  Pontificato  »  (i). 

Non  si  può  precisare  in  che  consistessero  le  riparazioni  allora  comandate;  sembra  però 
certo  che  il  Comune  non  sapendo  quali  criteri  adottare   per  sostenere   la  cadente   loggia, 


e  pur  dovendo  provvedervi  dietro  le  ingiunzioni  papali,  die'  opera  a  chiudere  e  cecarv  gli 
archetti,  con  murature  posticce  lasciando  solo  allo  scoperto  le  ner\ature  degli  archi. 

Il  rimedio  fu  rozzo,  pari  alla  ignoranza  del  tem)».  ma  lo  incarceramento  vero  e  proprio 
del  mirahile  prospetto,  servi  a  impedire  il  disfvrdersi  delle  varie  sue  parti,  che  p»ii  si  wri- 


(l)    Tlll\|NM.'.     l'.>'/-\     i/.'A/. -n/.f/'.  /i  t    ,/.""f'/-*-'    A  f#l^. -f  .f/j\      .S'-JM,  Ali-    .**>.//!       t-     I,     (VH!-     «41,    '!»' 


—    124   — 

fico  nella  fronte  posteriore  verso  la  vallata  Ji  Faulle,  quando  nella  prima  metà  del  Sec.  XV 
sgretolandosi  a  arddì  a  j;radi,  quella  facciata  precipitò  nella  sottostante  valle  trascinando 
seco  anche  il  tetto. 

*  * 

Uopo  tali  rovine  cominciò  il  deturpamento  del  palazzo  per  cui  in  più  riprese,  si  giunse 
a  coprire  completamente  la  fronte  poderosa  addossandovi  una  rozza  costruzione,  che  si 
spinse   tino  al   ripiano  della  scalea,  che  fu  coperto  da  una  tettoja. 


Ffg-   3  —  Il  palazzo  papale  deturpato  dalle  costruzioni  posteriori  (Fot.  dell'A.). 


Primo  a  distinguersi  in  tali  deturpazioni  fu  il  Vescoxo  Francesco  Maria  Visconti  dei 
Sèttala  di  Milano,  che  costruì  entro  il  fossato  fra  la  scalea  e  il  vescovado,  i  locali  terreni 
che  turimi)  coperti  a  volta  e  protetti  superiormente   da  una  rozza  tettoja. 

Al  \esco\()  Visconti  sei];uì  Sebastiano  Gualtiero  da  Orvieto  (1551-1566),  che  si  limitò 
a  far  scempili  dell'interno  per  aumentare  la  sua  Vicaria. 

Il  Gualterio  da  Orvieto  pose  Japertutto,  a  memoria  dei  suoi  la\-ori,  il  suo  stemma 
ed  il  suo  nome. 


—  125  — 

Ma  la  colpa  di  avere  occultata  la  fronte  del  palazzo  con  uno  sconcio  fabbricato  mo- 
derno spetta  al  Cardinale  Giovanni  Francesco  de  Gambara,  bresciano,  (i 566-1 587),  il  quale 
volendo  assolutamente  dare  un  regolare  assetto  ai  suoi  uffici,  e  non  sapendo  come  altri- 
menti tale  disegno  eseguire,  deliberò  di  sopraelevare,  a  contatto  con  la  parte  bassa  della  fronte 
del  palazzo,  la  fabbrica  che  il  Gualterio  aveva  costruito  nel  fossato. 

Con  tale  nuova  costruzione,  che  divise  in  due  piani  uno  per  gli  Uffici  della  Vicaria 
a  basso,  l'altro  superiore  per  la  foresteria,  venne  a  cecare  completamente  l'antico  prospetto; 
ma  siccome  il  nuovo  fabbricato  veniva  in  altezza  a  superare  l'antico,  sopraelevò  anche  il 
tetto  del  salone  del  conclave  di  oltre  due  metri  dandogli  cosi  una  pendenza  unica,  mentre, 
per  ottenere  all'esterno  una  sola  linea  di  gronda,  innalzò  pure  la  tettoia  che  il  Gualterio 
aveva  costruita  d'innanzi  al  portale  d'ingresso. 

Uomo  di  pochi  scrupoli  in  fatto  d'arte  il  De  Gambara  fece  murare  i  dodici  mirabili 
finestroni  a  bifora  del  grande  salone,  sostituendoli  con  nuove  aperture  verso  il  fronte  di 
Faulle,  dalle  quali  penetrava  una  luce  profana,  discordante  con  la  sublime  maestà  di  quel- 
r  interno  grandioso:  deturpò  le  vetuste  pareti  a  corsi  di  pietra  regolare,  con  un  barbaro  in- 
tonaco e  finalmente,  perchè  restasse  eterna  memoria  di  si  pregevole  opera,  fece  incidere  il 
suo  nome  e  l'anno  della  costruzione  sulla  trave  della  banchina  centrale  (i;68l. 

Di  fronte  a  tale  sfregio  dell'arte  sorge  in  ognuno  spontanea  la  domanda:  come  mai 
il  Gambara,  che  al  suo  tempo  passava  per  uomo  colto  e  mecenate  delle  arti,  potè  compiere 
questo? 

La  risposta  facile  per  il  conoscitore  di  quell'epoca  suona  in  certo  qual  modo  a  scusa 
dell'opera  vandalica  di  quel   Vescovo. 

Hra  il  tempo  che  voleva  cosi  :  era  il  trionfo  dell'arte  cinquecentesca  che  poneva  in 
seconda  linea  l'arte  semplice  e  pura  del  trecento.  Quanto  cammino  in\'ero  non  si  era  per- 
corso dal  1266  al  1568?  Quanti  mutamenti  nei  costumi,  nelle  abitudini,  nelle  aspinuioni 
non  si  erano  verificati  ? 

L'arte  gotica  erasi  italianizzata  rientrando  in  Italia  nel  quattrocento  quando  l'immagi- 
nazione e  la  fantasia  cedono  il  pusto  alla  logica  e  la  divina  simmetria  esalta  l'amore  per 
la  purezza  e  la  semplicità.  Segui  il  rinascimento  in  cui  l'architettura  gloriosiimente  pros«.'gul 
mila  via  tracciata  da  Bramante  e  si  .svolse  in  forma  più  ampia  cercando  dapertutto  la  ric- 
chezza ed  il  decoro;  man  mano  che  ci  si  appras.sima  al  seicento  quest'arte  ancora  si  tra- 
sforma e  cerca  la  pompa,  la  grandiosità,  lo  sfarzo,  il  moto. 

(,)uanta  differenza  dunque  dalla  bifora  trecindsca  alle  concezioni  dell'alK-gj-iar  del 
seicento  ! 

il  Vescovo  De  (ìambara,  che  da\'.i  allora  mano  a  compiere  e  sistemare  la  sceni^gnilka 
Villa  di  Bagnaja,  quale  uggia  non  doveva  prosare  jvr  la  fredda  merlatura,  per  la  semplice  bi- 
fora e  per  tutto  quell'insieme  che  aveva  del  maniero  fortificato  e  dell'iLscetico,  in  luom»  ' 
ornamenta/ioni  ricche  e  fastose  proprie  della  residenza  agiata  di  un  prelato  di  quell'el.!' 


—    126    — 

Si  era  inlatti  a  tiuell'epoca  pur  mirabile  in  cui  la  gente  sui  desiderosa  di  vivere  fra 
cose  belle,  ovunque  d'arte  e  di  artisti  s'anJava  circondando:  e  questi  avevano  non  solo, 
libero  accesso,  ma  accoglienze  oneste  e  liete  nei  palazzi  dei  principi,  dei  re,  dei  papi  :  e 
quella  si  praticava  cotTie  un  vero  culto, 

Kra  l'epoca  in  cui  la  Signora,  dimentica  della  ro;ca  e  del  telaio  medievale,  teneva  cir- 
colo nei  signorili  ritrovi  fra  gli  uomini  colti  dell'aristocrazia  e  del  clero,  amanti  tutti  e  ver- 
sati nella  musica,  nella  poesia,  nell'arte. 

E  le  autorità  della  Chiesa,  i  vescovi,  i  cardinali,  anche  loro  subivano  il  fascino  di 
quell'ambiente  di  profumo  e  di  lussi,  dove  i  mobili  e  gli  stipi  si  volevano  decorati  da  pen- 
nelli famosi  rappresentanti  soggetti  storici  e  novelle  d'amore. 

Quanta  differenza  con  l'episcopio  sorto  sulle  rovine  dell'ospedaletto  di  S.  Lorenzo 
nel    1235,  semplice  e  modesto! 

Pure  a  questi  tempi  infausti  come  già  vedemmo  per  l'antica  arte  medievale  dobbiamo 
esser  grati  per  non  avere  abbattuto  ma  semplicemente  cecato  e  murato  il  nostro  mo- 
numento, in  guisa  da  permettere  ai  tempi  nuovi  di  ricondurre  in  pristino  stato  il  vetusto 
edificio. 

* 

*     * 

Se  vescovi  furono  adunque  quei  che  deturparono,  nei  tempi  che  abbiamo  ora  scorsi, 
il  palazzo  e  la  loggia  papale  di  N'iterbo,  tali  pure  furon  quelli  che  dall'albeggiare  del  secolo 
ventesimo,  se  non  anche  prima,  cercarono  e  curarono  il  restauro  del  monumento. 

L'anno  1897  era  Vescovo  di  Viterbo  Monsignor  Eugenio  Clari  e  suo  Vicario  Mon- 
signor Francesco  Ragonesi  (ota  Arcivescovo  e  Delegato  Apostolico  presso  la  Repubblica  di 
Colombia). 

Quest'ultimo  in  assenza  del  Clari,  inviato  nunzio  pontificio  a  Parigi,  volle  tentare  una 
indagine  sulla  parete  della  sala  del  conclave  che  guarda  la  vallata  di  Faulle. 

Fatte  all'uopo  aprire  tracce  nella  vecchia  muraglia,  laddove  sembravagli  intravedere 
un  qualche  lieve  distacco  nei  muri,  con  somma  sua  meraviglia  si  trovò  dinanzi  alla  strom- 
batura di  una  fenestra:  proseguendo  febbrilmente  nell'indagine  trovò  lo  spazio  di  una  in- 
tiera fenestra  e  quindi  la  bifora  quasi  completa.  Miracolo  di  conservazione:  chiuso  nel  muro 
il  mirabile  lavoro,  era  rimasto  inalterato  come  in  una  custodia. 

La  scoperta,  che  menò  gran  rumore,  richiamò  subito  al  palazzo  papale,  già  dichiarato 
monumento  dello  Stato,  la  presenza  del  sopra  citato  Cav.  Cesare  Pinzi,  che  era  com'è 
R.  Ispettore  per  i  monumenti  di  Viterbo:  questi  ordinò  per  il  momento  la  sospensione  dei 
lavori,  che  vennero  tosto  ripresi  appena  che  il  Ministero  ebbe  approvato  il  regolare  pro- 
getto redatto  dall'ingegnere  Paolo  Zampi  di  Orvieto  il  quale,  accertatosi  che  su  quel  lato 
del  salone  esistevano  sei  bifore,  ne  propone\a  il  ripristino  ed  insieme  il  restauro.  Il  lavoro 
fu  approvato  ed  egregiamente  compiuto. 


—   127   - 

Eseguite  frattanto  nuove  indagini  nella  parete  opposta  e  constatata  l'esistenza  di  altre 
sei  bifore  carcerate  nel  muro,  si  potè  stabilire  che  la  grande  aula  era  illuminata  da  12  grandi 
fenestre  e  da  altrettante  fenestruole,  le  quali  noi  già  descrivemmo. 

Conoscendo  il  culto  vivissimo  dei  Viterbesi  per  questo  monumento  e  speciale  per  la 
loggia  papale  pur  ridotta  a  rudero  informe,  ben  di  leggeri  si  può  immaginare  quale  entu- 
siasmo tutti  provarono  a  queste  prime  scoperte  ;  entusiasmo  schietto,  vero  e  sincero  perchè 
comune  a  tutti  dagli  eruditi  fino  all'umile  volgo. 

Entusiasmo  del  resto,  pur  naturale  in  Viterbo,  città  medievale  per  eccellenza,  che  con- 
serva come  Siena  quasi  in  eredità  preziosa  la  fisionomia  pura  di  quei  tempi,  si  da  far 
sembrare  una  stonatura  l'incontrare  in  alcuni  suoi  quartieri,  quale  quello  di  S.  Pellegrino, 
in  luogo  dell'armigero  poggiato  sulla  lucida  alabarda,  il  modesto  borghese  in  pastrano  ed 
ombrello. 

* 

Queste  cose  si  svolgevano,  allorché  il  io  Uecembre  1900  il  Ministero  della  Pubblica 
Istruzione  partecipava  all'Ufficio  Tecnico  per  la  conservazione  dei  monumenti  delle  Pro- 
vincie di  Roma,  Aquila  e  Chieti  (ora  Soprintendenza  ai  monumenti  di  Roma  e  .Aquila), 
essere  giunta  dalla  Curia  Vescovile  di  Viterbo  una  domanda  di  sussidio  per  far  tornare  in 
luce  la  loggia  papale  mediante  restauro  che  togliesse  le  murature  posticcie  messe  a  sostegno 
della  trabeazione,  ripristinando  così  il  magistrale  traforo  esistente  fra  le  colonnine  e  l'incrocio 
degli  archi:  per  questo  lavoro,  si  partecipava  essere  stata  prevista  una  spes;i  di  L.  6000, 
sulla  quale  hi  Curia  a\  rebbe  concorso  per  lire  looo,  in  base  ad  alcuni  studi  preliminari 
iniziati    dall'ingegnere  Valerio  Caposavi  del  Municipio  di  Viterbo. 

Non  si  potè  per  il  momento  accogliere  tale  domanda  anche  per  la  morte  del  Vescovo 
Clari,  che  aveva  proiiesso  di  concorrere  nella  spesa:  ma  jxtco  più  in  là,  continuando  i  Vi- 
terbesi ad  agitarsi  per  il  restauro  del  loro  monumento,  mentre  il  R.  ls|vttore  Pinzi,  infiam- 
mato di  santo  zelo,  non  si  ristava  dall'insistere  presso  il  Direttore  Cjenerale  pvr  le  Belle 
Arti  (Comm.  Carlo  Fiorini),  questi  die  senz'altro  incarico  al  Direttore  del  prefato  ufficio, 
Ardi,  (jiulio  De  Angelis  di  iniziare  gli  studi  del  restauro  per  conto  dello  Stato. 

Il  De  Angelis,  tecnico  ed  artista  insieme,  recatosi  a  Viterbo  vide  ed  ammirò  il  mo- 
numento insigne  barbaramente  deturpato,  e,  avendo  voluto  il  sottoscritto  a  compagno  nella 
visita,  si  compiacque  affidargli  l'incarico  di  studiare  il  progetto  completi"  del  ripristino  della 
Loggia  papale. 


l'iiniii  studio  fu  quello  di  ricercare  le  causi-  che  avevano  compromosso  la  stabilit.\ 
del  liiggiato,  .se  cioè  le  colonnine  che  nell'insieme  rappresentano  la  parte  più  dettole  offiis- 
scm  la  n-sistenza  necessaria  jvr  sopportare  il  sovraincomlvi\te  carico  della  tralxMzione. 


—    128  — 

Si  CDininciò  a  prendere  in  esame  la  pietra  con  la  quale  era  costruito  il  monumento, 
conosciuta  sotti)  il  nome  di  peperino  di  Viterbo  (conglomerato  di  ceneri  e  lapilli),  chiamato 
«  Nenfro  »  da  Vitruvio  e  modernamente  dai  celebre  petrografo  Brocchi  «  Necrolite  ». 

Per  verificare  la  resistenza  di  questa  pietra  ne  furono  spediti  alcuni  piccoli  cubi  al 
laboratorio  per  esperienze  sui  materiali  da  costruzione,  esistente  presso  la  R.  Scuola  d'ap- 
plicazione degli  Ingegneri  in  Torino,  onde  fossero  assoggettati  a  compressione  allo  scopo  di 
dckTmiiiarnc  la  resistenza  allo  schiacciamento. 

Si  ebbe  per  risultato  che  il  carico  di  rottura  restò  determinato  in  Chilogrammi  274 
a  312  (i)  per  centimetro  quadrato  della  superficie  compressa  e  che  perciò  il  carico  di  si- 
curezza potevasi  ritenere  uguale  almeno  a  27  Kg.  per  cm'-'. 

Ottenuto  questo  elemento  indispensabile  e  istituito  il  calcolo  della  pressione  dipen- 
ikntf  dal  peso  della  trabeazione  si  ebbe  che  il  carico  derivante  da  questa  gravava  su  ogni 

colunnina  per    Kg.  ^^-—  :^   3540   Kg. 


Essendo  la  sezione  di  ogni  colonnina  di  0,075'  X  3-M  ^  0,005625  X  3.i4=:mq.  0,0176, 

3540 


se  ne  dedusse,  che  in  realtà  ogni  colonnina  sopportava  un  carico  pari  a 


176 


20  Cg. 


iu*r  cm"  e  cioè  ugLiale  al  carico  di  sicurezza. 

RÌMilfi  pertanto  e\identc  che  le  colonnine  potevano  sostenere  il  peso  della  sola  tra- 
beazione ;  ma  certo  non  erano  tali  da  reggere  il  peso,  quasi  doppio  di  quello  da  noi  cal- 
colato, dell'enorme  tetto  a  due  pioventi  gravante  sopra  i  due  esili  prospetti  e  sulle  co- 
lonnine. 

E  a  ciò  va  aggiunto  l'urto  dei  venti  di  aquilone  che  dominano  in  quel  punto  e  che 
debbono  a\'ere  esercitato  uno  sforzo  orizzontale  sulla  zona  superiore  del  loggiato  (me- 
tri 1 1.00  X  3-50  =:  m-  38.50),  data  la  debole  resistenza  che  opponevano  le  colonnine  colla 
loro  minima  superficie  (m.   2.50X015  X  ^  ^  m"   2.25). 

Intatti  il  rovinar  del  loggioto  avvenne  pochi  anni  dopo  la  sua  edificazione  e  benché 
la  lettera  con  cui  Giovanni  XXII  ne  ordinava  da  Avignone  il   restauro,  portasse  una  data 


(I) 


SAGGI  DI  NENFRO  O  NECROLITE  (Peperino  di  Viterbo) 


INDICAZIONE 
DEI  SAGGI 

Dimensione 
del  saggio 

Superficie 
compressa 

Peso 

per  m' 

RtSISTENZA 

Numero 

allo  stato  asciutto 

d'  0  rd  i  ne 

Totale 

per  m' 

in  cm. 

m" 

tonnellate 

Tonnellate 

Kg. 

I 

Cubo  di  Peperino 

8.04  X  8.04  X  8 

64.6 

2.10 

17.70 

274 

2 

» 

8.02  X  8.08  X  8 

64.8 

» 

18.10 

279 

3 

» 

7.95  X  8.05  X  8 

64.0 

» 

20.00 

JI2 

—    129    - 

posteriore  di  58  anni  all'edificazione  del  loggiato,  pure  l'esame  di  tutte  le  varie  parti  della 
loggia  ha  dimostrato  in  modo  evidente  che  l'intera  costruzione  forse  appena  eseguita  deve 
aver  subito  un  moto  di  assestamento  verso  l'estremità  di  levante  in  modo  che  le  colon- 
nine debbono  essersi  trovate  alquanto  spostate  rispetto  alla  verticale. 

Se  a  queste  circostanze  già  molto  gravi,  si  aggiunge  che  la  pietra  con  la  quale  fu 
costrutta  la  loggia,  non  apparteneva,  come  si  ritenne  dapprima,  alle  migliori  cave  locali  e 
che  percii")  non  può  avere  offerto  la  resistenza  ottenuta  dai  campioni  mandati  a  Torino,  si 
dovè  necessariamente  concludere  che  per  assicurare  la  stabilità  del  monumento  sarebtv 
stato  indispensabile  rendere  indipendente  la  trabeazione  dagli  archetti  e  dalle  colonnine 
sottostanti. 

E  qui  cade  opportuna  una  parentesi  per  ricordare  come  all'epoca  di  quei  primi  studi 
nacque  la  discussione  intorno  alla  esistenza  del  tetto  che  avrebbe  dovuto  ricoprire  la  loggia: 


FlK.  4  —  Avanzi  Jd  prospetto  (ioiit«rlore  J«lt«  LoggUi  r*P«lv  ('*ot.  dtll'A.K 

V  ili  li-  ragioni  in  mh-h  piMiiMi  m  iidduvtn',  ma  altre  ne  furoni)  i|>|ii>u-  idiitiu  tale  esi- 
stenza e  pare  queste  fossero  più  valide,  dappoiché  si  venne  alla  conclusinne  che  la  log^iui 
doveva  essere  stata  scoperta;  ciò  diciamo  con  rammarico  perchè  dalle  ulteriori  indagini 
poscia  compiute  durante  i  la\'ori,  risulti'»  evidente  l'esistenza  di  questo  tetto. 

Inoltre,  cunif  noti  il  Pinzi  nell'oivra  citata  (i),  nell'archivio  nutarìle  Viterlicsf  pruti>- 
coIIm  vii  Ari  iKitaro    Marinlto    de    Hajanis,    si    ricorda  un  atto    stipulato  (4  ottobre   148^) 


(e)  C.    Piv/r      /■ 


f<.,K,l,-  ,li   /•//,•.  A.1  ,„-ll\ttl,-  ^  „fll.,  t/.,ri,i.  P.ij;,  go.  Viterbo,  A«)UlloUi   lt)IO. 


.ImTiini.i  Vnin.     \  I 


17 


—  1.30  — 

«  iifllii  U)iii(\it  discoperta  posta  a  capo  delle  scale  del  palazzo  Vescovile  ».  Logjiia  disco- 
perta, dunque  senza  tetto.  Ma  questa  frase  noi,  per  contro,  citiamo  a  favore  della  sua  pas- 
sata esistenza  poiché  altrimenti  non  sarebbe  stato  necessario  usare  la  parola  discoperta  se 
quell'ambiente  non  avesse  prima  avuto  una  copertura. 

Erasi  prima  affermato  che  il  muro  opposto  e  parallelo  al  fronte  della  loggia,  e  prospi- 
ciente sulla  vallata,  non  era  stato  in  antico  decorato  come  quello  verso  la  piazza,  ma  che 
era  rimasto  una  semplice  parete  di  riparo  senza  alcuna  funzione  ornamentale. 

Cominciata  però  la  demolizione  di  questo  muro,  si  trovarono  in  esso  all'altezza  del  pa- 
rapetto le  basi  delle  colonnine  binate  simili  a  quelle  del  fronte,  che  guarda  la  piazza  del 
duomo,  mentre  fra  la  muraglia  si  scoprivano  rottami  di  capitelli  e  tronchi  di  colonne. 

Iniiitre  i  frammenti  della  cornice  formante  la  decorazione  posticcia  di  quella  specie  di 
antiporta  innalzata  sul  finire  del  secolo  XV  sull'ultimo  diradino  della  grande  scala,  furono  ri- 
scontrati u^Liali  alla  cornice  della  loggia  tutt'ora  in  piedi;  e  finalmente  si  vennero  a  sco- 
prire gli  stemmi  gatteschi  della  trabeazione  nel  perimetro  della  fontana  posta  nel  1268  da 
Visconte  Gatti  nel  centro  dell'ambiente  interno  della  loggia. 

Di  tutto  questo  lato  della  loggia  non  fu  presa  gran  cura,  e  possiamo  con  sicurezza 
allei  mare  che  nrlla  prima  metà  del  XV  secolo  era  già  completamente  ro\inato  insieme  con 
il   tetto. 


Stabilito  pertanto  il  concetto  di  sgravare  le  colonnine  e  gli  archetti  del  carico  della 
trabeazione,  occorreva  far  gravare  il  peso  di  questo  sopra  un  sostegno  orizzontale,  che  avesse 
gli  estremi  appoggiati  alle  spalle  della  loggia  e  fosst-  celato  nell'interno  della  massa  mu- 
raria. La  prima  idea  presentatasi,  di  una  tra\e  composta  in  ferro,  fu  presto  abbandonata 
temendosi  che  essa,  data  l'esile  grossezza  del  muro  (m.  0.60),  facilmente  subisse  gli  effetti 
della  temperatura  esterna  e  che,  per  una  possibile  dilatazione  del  metallo,  si  sconnettesse 
il  paramento  delle  lastre  scolpite  :  ne  invero  i  fianchi  di  una  travatura  in  ferro  avrebbero 
permesso  una  perfetta  coesione  con  le  malte  di  allettamento  dei  singoli  conci. 

Scartato  il  ferro  venni:'  in  campo  il  cemento  armato,  essendosi  considerato  che  una 
travatura  rigida  di  questo  genere  mentre  offriva  le  maggiori  garanzie  di  solidità  non  era 
soggetta  ad  alcuna  dilatazione  per  effetto  della  temperatura  esterna,  e  di  più  permetteva  la 
coesione  perfetta  con  le  malte  e  le  pietre. 

Dal  principio  dunque  ammesso  di  sgravitare  le  colonnine  e  gli  archetti  della  trabea- 
zione, scelto  come  mezzo  la  trave  in  cemento  armato,  derivava  la  naturale  conseguenza 
che  la  grande  trabeazione  doveva  essere  scomposta. 

E  pertanto  il   progetto  di  restauro  si  componeva  di  6  parti  come  appresso: 

10  Costruzione  dei   ponti  di  servizio  sulle    due    parti    completamente    indipendenti, 
cioè  senza  alcun  appoggio  sulle  fronti  .stesse. 


—  131  — 

2°  Scomposizione  dell'intera  trabeazione  previa  numerazione  dei  singoli  pezzi  tanto 
del  fronte  esterno  come  dell'interno. 

3°  Sistemazione  delle  parti  numerate  sul  pavimento  della  sala  del  conclave. 

4"  Restauro  degli  archetti  e  delle  colonnine  avariate  e  sostituzione  di  nuove  colon- 
nine alle  mancanti  (le  nuove  furono  sei). 

5°  Costruzione  della  trave  in  cemento  armato. 

6"  Ricomposizione  della  trabeazione. 


} 


M.-*-  .-.       *!■_» 


rie.  i^iy    -  S«<liino  Jolld  toKKla  pfim.i  Joi  ioMauiI  iI-io.  Jt  un  M*.  Jrll'A.t 


La  spisa  |iit.\ista   por  l'itLsiiMUc  del   restauro  tu  di   I..    s  no. 

Il  pni;;i-ttn  tu  pienamente  approvato  dal  Ministero  della  Pubblica  Istru/ionv^l^,  intesti 
il  paure  dill.i  (  iiunta  Su|X'riore  |vr  Belle  Arti,  restando  l'intera  s|X*S!i  a  carico  dello  Stnta 


(i)  Decreto   io  agosto   iqo|. 


—  132  — 

Il  lavoro  fu  affidato  al  valente  marmoraio  viterbese  Giovanni  Nottola  :  per  il  cemento 
armato  alia  ditta  G.  Gabellini  di  Koma. 

Il  progetto,  dal  sottoscritto  compilato  (i),  oltre  a  molte  iconoj»rafie  e  ^tudi  dei  più  mi- 
nuli  particolari  personalmente  eseguiti,  aveva  a  corredo  due  grandi  tavole  a  penna  a  tutto 
effetto,  una  riproducente  l'insieme  del  monumento  (Loggia,  palazzo  e  scala»  prima  dei  re- 
stauri, l'altra  il  monumento  stesso  come  si  proponeva  di  farlo  tornare  in  luce. 

Queste  due  grandi  tavole  per  disposizione  ministeriale  furono  mandate  alla  esposizione 
Ji  Milano  del   1906,  e  restarono  ivi  distrutte  nell'incendio  del    padiglione  dell'architettura. 

L'attico  sopra  la  cornice,  diruto  e  sconnesso,  componevasi  esso  di  cinque  filari  di  pietra 
squadrata  inframezzati  da  tre  stemmi,  due  dei  quali  con  le  aquile  raffiguranti  le  potestà 
Imperiali  ed  uno  a  barre  orizzontali  che  rappresentava  l'arma  dei  Gatti:  il  quarto,  che  man- 
cava ma  di  cui  però  sulla  muratura  era  visibibilissima  la  traccia,  fu  segnato  nel  disegno  di 
progetto  con  lo  stemma  dei  Gatti  seguendo  l'alternarsi  di  quelli  esistenti. 

All'estremo  poi  di  sinistra  in  alto,  sopra  l'aquila  erano  rimasti  a  posto  due  riquadri  in 
pietra  di  forma  rettangolare,  quasi  quadrato  il  primo  con  entro  scolpite  le  chiavi  decussate 
simbolo  della  Chiesa  :  più  allungato  l'altro  con  le  infule  episcopali. 

Questi  due  riquadri  erano  restati  lì  a  testimoniare  l'esistenza  degli  altri,  che  corona- 
vano l'attico  e  che  erano  col  tempo  caduti  forse  co!  ruinare  del  tetto  : 

Mentre  però  nel  fregio  sottoposto  alle  mensole  le  chiavi  si  trovano  ai  due  estremi,  e 
nel  fronte  sempre  si  ripetono  le  doppie  infule,  nella  sommità  dell'attico,  studiando  lo  scom- 
partn,  si  potè  constatare  che  le  chiavi  e  le  infule  erano  inframmezzate  continuamente. 

Infatti  così  operando  oltre  ad  aversi  la  linea  esattamente  chiusa,  si  ebbe  la  riprova 
che  le  giunzioni  dei  singoli  pezzi  sopra  i  quattro  stemmi  coincidevano  nel  centro  di  questi 
come  appunto  nella  decorazione  sotto  la  cornice. 

*    * 

1   lavori  ebbero  principio  il    30   Novembre    1905. 

Durante  la  costruzione  dei  ponti  di  servizio  si  iniziò  la  Iattura  da  parte  degli  scalpel- 
lini viterbesi,  dei  pezzi  nuovi  che  dovevano  sostituire  quelli  della  loggia  mancanti  o  dan- 
neggiati e  cioè  targhe  scolpite,  cornici,  trilobi  e  colonnine  in  modo  che  questo  materiale 
potesse  essere  pronto  per  essere  collocato  in  opera  a  tempo  opportuno. 

Ultimata  la  fattura  dei  ponti,  dopo  che  furono  diligentemente  numerati  con  bianco  di 
calce  tutti  i  singoli  pezzi  componenti  la  trabeazione  (soltanto  sul  fronte  esterno,  i  pezzi 
numerati  furono  280)  e  furono  riportati  questi  numeri  sopra  un  grande  disegno  schematico 
della  loggia  stessa,  nonché  dopo  l'esecuzione  di  parecchie  e  minute  fotografie,  si  iniziò  la 

(i)  C.  Pinzi,  Il  palazzo  papale  di  Vilerho  nell'arte  e  nella  sloria,  p.ig.  109,  Viterbo  -  Agnesotti,  igio. 


—  133  — 


scomposizione,  che  procede  con  ogni  cautela,  onde  non  arrecar  danno   agli  spigoli   ed  alle 
sculture  dei  singoli  frammenti. 

I  vari  pezzi  furono  collocati  nella  sala  del  conclave. 

Rimasta  pertanto  in  piedi  la  parte  inferiore  che  arriva  fino  agli  archetti  e  bene  pareg- 
giata la  superficie  superiore  lunga  m.  12,00  e  larga  m.  0,60,  ebbe  principio  la  costruzione 
della  trave  in  cemento  armato  eseguendosi  in  legname 
la  forma  che  doveva  racchiuderla. 

Alla  trave  fu  data  un'altezza  di  m.  1,30  ed  una 
larghezza  di  m.  0,35  per  una  lunghezza  di  m.  12,10 
considerate  le  prese. 

La  trave  fu  armata  da  36  barre  di  ferro  omo- 
geneo a  sezione  circolare  del  diametro  di  0.020,  poste 
longitudinalmente  18  in  basso  ed  altrettanti  in  alto, 
collegate  da  38  fila  di  legature  triple  di  ferro  tondo 
da  10  millimetri,  onde  opponessero  maggiore  resistenza 
agli  sforzi. 

Per  fermare  con  grappe  metalliche  i  vari  pezzi 
scolpiti  del  fronte  della  loggia,  da  addossarsi  ptii  lungo 
i  fianchi  della  trave  in  cemento  armato,  che  a  presji 
completa  avrebbe  cosi  assunto  una  estrema  durezza, 
furono  posti  entro  lo  stampo  cunei  di  legno  col  ver- 
tice rivolto  verso  l'interno  e  la  base  a  contatto  con 
le  pareti  dell'intavolato,  formanti  l' involucri)  della 
forma.  Tolta  questa  forma  al  tempo  opportuno,  questi 
cunei  furono  facilmente  estratti  a  mezzo  di  trivelle  e 
servirono  per  immedesimarvi  le  grappe  metalliche 
sopradette. 

Indurita  la  travi'  dopo  un  riposo  di  20  giorni  fu 
Idllo  l'involucro  di  legno  e  si  die  principio  al  restauro 
della  parte  sottoposta. 

C.on  la  maggiore  accuratezza  e  col  solo  uso  del 
martello  e  dello  scalpello  si  inizil^  il  lavoro  di  demo-     1  ij.  ,  _  s„ion«  jtiu  h...  m  «•«.»  «•.». 
lizione  delle  murature,  che  ostruivano   le   arcate  ìm)- 

iaiulo  le  quattro  colonnine  spezzate  che  furono  tolte  d'opera  e  sostituite  con  le  nuow,  ag- 
giuntevi le  due  mancanti. 

Dopo  che  uguale  sostituzione  venne  fatta  per  tutti  i  vari  frammenri  spettiti  o  man- 
canti delle  costole  degli  archi,  dei  trilobi,  delle  roso,  tutto  l'insieme  Ji  quel  superivi  tra- 
foro tornl^  a  mostrarsi  come  nella  prima  sua  con^i 


"j 


—  134  — 

Ultimato  che  fu  il  restauro  della  parte  inferiore,  fu  iniziata  la  ricomposizione  della 
parte  superiore  riponendo  al  loro  posto  tutti  i  frammenti  scolpiti  del  paramento  che  giace- 
vano, come  si  disse,  numerati  nella  sala  del  conclave. 

Il  lavoro  fu  esetjuito  con  re^^olarità  e  speditezza:  le  parti  principali  della  fronte  a  con- 
tatt(j  con  la  trave  in  cemento  armato  furono  ad  essa  fissate,  come  sopra  fu  detto,  ed  il 
nucleo  di  muratura  interna,  superiore  alla  trave  di  cemento,  fu  ese>juito  con  pietra  peperino 
ed  eccellente  malta  di  calce  e  pozzolana. 

il  restauro  della  \oggm  fu  compiuto  il  giorno  30  agosto  1904  e  la  spesa  effettiva  ri- 
sultò in  lire  4117,8^   rimaste  totalmente    a   carico    del    Ministero  della  Pubblica  Istruzione. 

* 
*    * 

Con  il  compimento  del  detto  restauro  non  era  pur  rimasto  del  tutto  appagato  chi  vo- 
leva che  fosse  tornato  in  luce  il  monumento  completo:  infatti  col  restauro  della  loggia  po- 
teva dirsi  compiuta  solo  la  prima,  sebbene  più  importante,  parte  del  restauro  dell'antica 
sede  papale. 

Si  iniziarono  pertanto  subito  le  trattative  con  la  Curia  per  indurla  ad  accon.sentire 
:illa  denKjlizione  della  Vicaria  e  si  poterono,  già  in  sul  finire  del  restauro  della  loggia,  otte- 
nere lusinghiere  promesse  essendo  già  allora  Vescovo  Monsig.  Antonio-Maria  Grasselli,  che 
tutt'ora  ricopre  quell'alta  carica,  uomo  veramente  superiore,  che  tra  i  sentimenti  elevatis- 
simi che  coronano  la  sua  cristiana  pietà  fa  emergere  un  grande  amore  per  le  antiche  me- 
morie viterbesi. 

Il  suo  nome  era  ben  noto  al  Ministero  per  il  restauro  compiuto  a  tutte  sue  spese 
della  (Chiesa  di  S.  Andrea  in  Piano  Scarano,  mediante  il  quale  tornò  in  luce  la  mirabile  cripta 
a  crociera,  che  giaceva  interrata  sotto  il  maggiore  altare  e  per  altri  lavori  che  aveva  pur 
fatti  eseguire  a  S.  Pellegrino,  S.  Maria  delle  Farine  e  altrove. 

11  ( ìrasselli,  adunque,  dietro  le  insistenze  del  Cav.  Pinzi,  aveva  già  permesso  la  demo- 
lizione di  quella  orribile  antiporta,  che  si  ergeva  sul  ripiano  della  scala,  e  già  erano  cadute 
sotto  il  rude  piccone  le  prime  due  camere  della  Vicaria  dandti  co.sì  agio  a  due  delle  bellis- 
sime bifore   di  rimostrarsi   nel  loro  splendore. 

Ma  più  oltre  pareva  non  si  potesse  andare  perchè  il  Vescovo  mancava  effettivamente 
di   locali  per  i   propri   uffici. 

Non  staremo  qui  a  riportare  le  lunghe  trattative  che  corsero  tra  il  Ministero  e  la 
Curia,  sia  per  non  distaccarci  di  troppo  dal  carattere  tecnico  della  presente  n-;emoria,  sia 
per  non  ripetere  notizie  già  riportate  nell'opera  citata  dell'illustre  Pinzi  che  fu  il  \'ero 
«genius  loci»  del  tempo. 

11  fondo  per  il  CLilto  concesse  al  Vescovo  un  sussidio  di  lire  4000  per  adattare  nuove 
camere  interne  per  uso  della  Vicaria  e  questi,   rinunciando  agli  agi  che  gli  erano  dovuti,  si 


-   1.35  — 

accontentò  di  restringersi,  permettendo  cosi  finalmente  la  demolizione  dell'indecenlc  taDDri- 
cato  che  erasi  sovrapposto  alla  fronte  del  palazzo  vetusto. 

Tutto  cadde,  tutto  fu  demolito  e  la  bella  e  serena  fronte  del  palazzu   tornò  a    ridire 
ai  viterbesi  la  sua  storia  d'un  tempo:  le  sei  grandi  bifore  ripresero  vita,    il    sole    ridipinse 


HIg.     0   —    munti  Mi    prtUtl»  |MIP«I*   <l 


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su  quelle  toiine  grandiose  gli  elletti  mirabili  ed  i  cimtrasti  delle   ombro,    gli    stemmi   gat- 
teschi in  parte  abrasi  rievocarono  le  lotte  atrinri  passate,  le  rivaliti  dei  partili,  le  sitmint»ssf 

di'!  popoli  I  f  le  tivinende  repressioni  (i). 


(i)  Il  Vescovi)  (Jr;iss«lll  nel  lavori  di  riordinamento  si  valse  dell'opera  Jet  chiarissimo  InRcgni- 
trrl)i-se  Slg.  (ìlullo  Si-vcrl. 


—  136  — 


* 
*    * 


KiJata  vita  alla  lo^^^ia,  discoperta  la  liuntc  del  palazzo  e  caduta  l'antiporta  sul  ripiano 
della  scala,  reslava  questa  sola  in  uno  stato  assai  miserando:  fu  quindi  mestieri  ripristinare 
la  scala  di  accesso,  guasta,  diruta  ed  in  parte  interrata  per  essere  stato  sopraelevato  il  livello 
della   piazza  del   Duomo. 


J*~'K-    7  —  ^'"3  delle  basi  di  colonna  trovate  al  sommo  della  scala  {Vox,  dell' A.) 


Si  era  convenuto  che  quest'ultimo  lavoro  sarebbe  stato  eseguito  a  cura  ed  a  spese 
del  Ministero  della  Pubblica  Istruzione  :  venne  pertanto  affidato  allo  scrivente  l'incarico  di 
curarne  il  completo  restauro. 

Il  progetto  doveva  limitarsi  al  semplice  ripristino  di  tutte  le  parti  mancanti  della  scalea, 
e  cioè  le  fiancate  della  rampa  con  i  parapetti,  il  ripiano  e  i  gradini  :  questo  lavoro  non 
presentava  difficoltà  essendo  restato  integro  di  ciascuna  di  queste  parti,  un  esemplare  an- 
tico.  Però,  essendo  sorta  questione  circa  il   ripristino  delle    due    colonne    isolate    al    sommo 


137  — 


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.■tMiMi«i«i  •  Anno  VI 


-  138  - 

della  scaia,  nonché  intorno  ai  parapetti  che  si  discuteva  cominciassero  o  no  al  principio 
della  gradinata,  si  dovette  procedere  a  nuove  indagini  e  avanzare  con  ogni  cautela  nell'opera 
di  rifacimento. 

esporremo  brevemente  tale  questione  da  noi  sostenuta  d'innanzi  il  Consiglio  Superiore 
della  Pubblica  Istruzione,  dopo  un  accesso  fatto  sul  posto  insieme  con  gli  illustri  membri 
de!  Consiglio  predetto,  professori  Camillo  Boito  e  Alfredo  d'Andrade. 


Fij;    9  —  Leone  della  culonna  di  sini^tta  i^nl.  Uar^iulli). 


Al  principio  del  ripiano  lungo  le  due  fiancate,  trovansi  per  ogni  lato  due  pilastri  sim- 
metrici decorati  con  semplici  bozze,  con  gli  angoli  smussati  da  sagomature  e  portanti  in 
alto  lo  stemma  dei   Gatti. 


—  130  — 

In  occasione  della  demolizione  dell'antiporta,  che  si  ergeva  sul  ripiano  e  spiccava  su  i 
detti  pilastri,  erano  venute  in  luce  nella  parte  superiore  di  essi,  due  basi  perfettamente 
conservate,  composte  di  plinto,  toro  inferiore,  scotia,  toro  superiore  e  listelli  intermedi  a 
piano  inclinato.  Ai  lati  di  queste  basi  comparve  anche  un  singolare  motivo  decorato  rap- 
presentante il  finale  del  corrimano  del  parapetto  della  scala  e  consistente  in  un  riccio  a 
doppia  voluta  a  due  fronti,  con  in  mezzo  la  tipica  testa  del  gatto,  emblema  anche  questo 
della  famiglia  de'  Gatti.  La  visione  di  queste  due  basi  palesò  nel  modo  più  evidente  l'esi- 
stenza di  due  colonne. 


1.-  .!    .      I  .1       !.;:      \ 


b  ciò  non  putiva  essc-rc  mess4>  in  dulibio,  |x;r  il  lattei  che  il  p.ir.ifvtto  del  ripiano  |>er 
raccordarsi  coiì  quello  della  rampa,  svolgevu.si  in  curva  a  contatto  della  colonna  quxsi  a 
combaciare  col  fusto  della  medesima  :   questa  curva  fu  ritrovata  inte);ra. 

Ma  si  domand(^:  quale  ufficio  avrebbero  dovuto  avere  esse  in  antico? 

La  risposta  fu  facile:  evidentemente  un  puro  ufficio  divoralivo,  |x»iche  inumi  Ji  j>'[- 
lieo  che  avesse  precednlu  l'ini  i  .Iti  ..m.livi-  non  ii  i  il  .  i-..i  .Il  i-uiit.^    iMlmi  init  |.i  j;r.inJe 


—  140  — 

distanza  fra  gli  assi  delie  colonne,  secondo  perchè  sulla  fronte  del  palazzo  rimesso  in  luce 
si  sarebbero  trovate  le  tracce  nei  paramento  della  presa  della  volta  o  dei  pilastri  o  dei  pe- 
ducci di  imposta. 

La  fronte  del  palazzo  invece  era  risultata    liscia   senza    alcuna   traccia   e    formata   da 
tutte  pietre  dell'epoca. 


Fig.  II  —  Nuove  colonne  alla  sommità  della  scalea  d'accesso  (Fot.  dell'A.). 


Ora  è  noto  che  le  colonne  decorative  erano  per  lo  più  destinate  nel  medio-evo  a  sor- 
reggere emblemi  ed  altri  simboli  locali,  di  che  si  hanno  infiniti  esempi  nella  Toscana  e 
nel  Veneto;  quindi  la  questione  doveva  ridursi  all'indagine  per  stabilire  quali  emblemi  fos- 
sero stati   prescelti   per  la  scalea  papale. 

-     Un'esempio  consimile  si  ha  in  Viterbo  con  le  due  colonne,  parimenti  decorative,  che,  a 
pochi  mesi  di  distanza  dalla  costruzione  del  palazzo  papale,  furono  innalzate    dal  Comune 


—  141  — 

all'imbocco  della  piazza  ora  del  plebiscito  sugli  angoli  esterni  dei  due  palazzi  del  Podestà 
e  del  Capitano  del  popolo  (i). 

Su  queste  due  colonne  furono  messi  due  Leoni  che  erano  e  sono  tutt'ora  a  posto 
come  il  simbolo  del  Comune  viterbese. 

L'uno  è  un  semplice  «  leone  passante  »  del  sec.  XV,  che  vuol  rappresentare  la  città 
prima  della  conquista  di  Perento  (anno  1 1 70),  l'altro  un  «  leone  caricato  »  di  una  palma,  la 
quale  eragli  stata  aggiunta  come  trofeo  di  conquista  dopo  che  Perento,  la  città  rivale,  era 
stata  debellata  e  distrutta  dai  Viterbesi. 


1  3\ 

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Flc.  ij 


Volionj  Jcl  rlpUno  iltlla  MilM. 


(Jui'Sle  duo  ciiloiinc  erano  siate  innalzate  dal  Connine  neiramm    ij(>4  (i). 

ii  quindi  ass;ii  probabile,  se  non  certo,  che  lo  stesso  Comune  facendo  costruire  due 
vili  anni  appresso  il  palazzo  papale  (ij66)  facesse  porre  sulle  due  colonne  al  sommo  della 
gradinata  d'accesso,  gli  stessi  emblemi  municipali  che  aveva  voluti  innalziitì  di  fronte  la 
palazzo  di  Citt.V 


(1)  Ora  Sottoprcfettiira  i*  p.il.i//i>  JckII  iilliil  Jcl 
Comune. 


(])  Visti,   Storili  dflla  cilti  éi  Hlfròo,   18S9, 

,1    II    ,, ...     .,., 


—    142    — 

Quale  alluso  del  resto  si  facese  in  quei  tempi  di  tali  emblemi  locali,  dimostrano  le 
molte  figure  di  leoni  scolpite  a  profusione  nella  trabeazione  della  logjjia. 

Ammessa  pertanto  l'esistenza  delle  due  colonne  esse  vennero  senz'altro  esejiuite  ed 
innalzate  attenenJosi  per  le  proporzioni  del  fusto  e  per  la  forma  dei  capitelli  alle  due  ììò 
mentovate,  esistenti  davanti  al  palazzo  dei  consoli. 

*    * 

Per  essere  stato  sopraelevato  il  piano  della  piazza,  alla  gradinata   dovevano   venire  a 

mancare  quattro  gradini;  ciò  che  infatti  si  verificò,  eseguendo  uno  sterro  mediante  il  quale 


'''8-  M  —  Fianco  della  scalea  durante  i  restauri. 


venne  allo  scoperto  il  nucleo  dell'opera  muraria,  che  aveva  servito  di  base  a<:li  antichi  gra- 
dini. Infatti  fra  il  piano  sup^^riore  del  nucleo  di  fondazione  e  la  pedata  del  primo  gradino 
esistente,  era  un  dislivello  di  m.  0.85  cioè  appunto  5  altezze  di  gradini  di  m.  0.17,  etra 
la  fronte  anteriore  del  nucleo  e  la  fronte  o  alzata  del  detto  primo  gradino  erano  precisi 
m.    1.80,  ossia  quattro  larghezze  <>  pedate  di  gradino  di  m.  0.45 


—  143  - 

Il  parapetto  sul  piano  sinistro  che  arrestavasi  al  15"  gradino  a  contare  dal  ripiano  fu 
prolungato  fino  all'  inizio  della  scalea. 

Invero  non  si  poteva  dubitare  che  il  parapetto  si  fosse  prolungato  sino  al  principio 
della  gradinata  perchè  furono  trovate  sulle  pedate  dei  gradini  seguenti,  dopo  cioè  cessato 
il  parapetto,  le  tracce  evidenti  dei  fori  delle  ingrappature  in  ferro  ed  inoltre  la  grossezza 
dell'ultima  lastra  del  parapetto  rimasta  a  posto,  portava  perfettamente  conservata  la  im- 
morsatura, entro  la  quale  andava  ad  innestarsi  la  lastra  seguente. 


Hg    u  —  I  priini  Kradii.i  ilou  K«Ma  viitn  ii  iivtiio  delia  puiia. 


Perì)  mssuiii  ti.n.\ia  m  rinsinne  circa  il  Mstema  adottalo  fvr  uii/iare  ti  p.u.ijvno  .il 
livelli)  della  piaz/a. 

Bravi  forse  un  pilastr<i  di  testata?  A  tale  domandasi  puA  senza  dubbio  rispondere  in 
senso  favorevole  e  per  motivo  dì  decorazione  e  per  motivo  di  stabilita  del  parapetto  sle:«o, 
essendo  questo  il  partito  più  semplice  e  più  in  uso,  e  che  appunto  si  riscontrst  nelle  tt>st:ite 
ili  tutte  le  scale. 

Difticile  esMMulo  jH-r"  concepirli"  ci>me  motiMi  decoratisi»  sciua  incorrere  nelle  t.uiii 
critiche  dei  prolani,  si  pens<'>  ili  applicare  alla  testata  del  par.tp- "  ■    •"■  1  "ìotivo  ornamen- 


—  144  — 

tale,  quc41a  specie  di  voluta,  portante  la  testa  del  gatto  e  che  come  fu  detto,  si  rinvenne 
al  suo  posto  al  sommo  della  gradinata,  presso  la  famosa  base  delle  colonne  decorative,  sor- 
gente, spontaneo  e  geniale,  dal  corrimano  del  parapetto  stesso. 

E  producendo  tale  motivo  in  funzione  di  pilastro  di  testata,  non  si  intese  affatto 
di  dimostrare  che  la  scala  doveva  cominciare  in  quella  guisa,  ma  poiché  bene  assai  si 
presta  a  tale  ufficio  come  tutti  ebbero  a  dichiarare,  ha  per  l'autore  il  grande  pregio  di  non 
essere  motivo  sorto  da  una  immaginazione  qualsiasi. 

Che  in\ero  parti  di  fantasia  non  ve  ne  furono  in  modo  alcuno  nel  grandioso  restauro. 


^'U-   '5   —    "  paiapetlu  culi   la  traccia  ^ell'imn-.orsaluia. 


Il  Consiglio  Supeiii>re  per  le  Belle  Arti,  come  aveva  approvato  il  progetto,  approvò  il 
lavoro  compiuto  che  fu  eseguito  dal  capo  d'arte  Zei  Scipione  di  Viterbo. 

Quest'ultimo  restauro  ebbe  termine  il  giorno  30  Gennaio  1908  ed  importò  una  spesa 
di   lire   3 1548,64. 


—  145  — 

Solo  restò  in  sospeso  una  deliberazione  intorno  alla  posizione  dei  due  leoni  vitert>esi 
se  cioè  fossero  da  apporsi  alia  sommità  delle  due  colonne  affrontati,  oppure  secondo  l'anda- 
mento della  scala,  e  questa  sospensiva  permane  tutt'ora.  I  due  leoni  aspettano  paziente- 
mente ancora  l'alba  del  giorno  nel  quale,  v'è  luogo  a  sperarlo,  potranno  far  degna  mostra 
di  sé  sopra  le  due  colonne  a  loro  destinate. 


Ci  siamo  trattenuti  a  parlare  delle  colonne,  dei  leoni  e  delle  testate  della  scala  }x*rchè 
fosse  reso  pubblico  il  nci>tri>  (>|ierato,  essendo  soite  intorno  a  ciò  discussioni  assai  \ive, 
tulle  mosse  naturalmente  dal  supremo  amore  per  l'arte  e  nell'unici»  interesse   che  l'opera 

di   icsiauro  fosse  riusiila   più  esatta  e  più  fedele  che  fosse  stato  (xjssibile. 


Il  palazzo  papale  di  Viterbo,  con  la  sua  loggia,  t-'on  la  sua  scalea,  ritornato  al  pregio 
antico,  pu('i  ben  dirsi  oggi  uno  dei  principali  monumenti  della  provincia  romana  :   più  che 

m  iiltii,   in  i-sso  paie  vii   ii\i\»'ie  la  storia  del  temiHj  glorioso  in  cui  son>«r. 


Ahuihiii  -  Annn  VI. 


IO 


—  I40  — 

Hormii  solo  una  nota  discorde  la  facciata  della  cattedrale  di  S.  Lorenzo,  che  il  \'e- 
scovo  Gambara,  sopra  menzionato,  edificò  nel  1 570  improvvidamente  atterrando  l'antica  fac- 
ciata, della  quale  solo  resta  un  rosone  corrispondente  alla  quinta  navata  distrutta. 

Ma  per  compenso  il  palazzo  papale  con  la  sua  fierezza  rievfjca  j^li  slanci,  la  severità 
dei  medioevo  e  le  turbolenti  lotte  fra  le  fazioni,  mentre  la  loj;j;ia  leggiadra,  slanciata  in  alto 


FiS-  17   —  La  loiiK'J  papale  restaurata. 

sopra  un'ampia  volta,  con  le  sue  esili  colonnine,  coi  suoi  trafori  che,  quasi  visione  aerea 
si  profilano  sull'azzurro  del  cielo,  con  la  sua  complessa  trabeazione  ricca  di  una  epopea  di 
svariatissimi  stemmi,  si  presenta  come  l'ispirazione  alata  di  un  artista  arditissimo,  che  meglio 
non  puteva  incorniciare  il  Pontefice  e  la  sua  corte  variopinta,  quando  esso  scenicamente 
si   ninstra\a  a  benedire  il   popolo  prosteso  sulla  piazza. 


Arch.  Pietro  Guidi. 


KILIi:\0  (iKI-(0-.\K(  Ali  0 

RAPPRESENTANTE  UNA  CORSA  DI  CAVALIERI 

Tav.  \  Il 


Nel  1900  fu  donata  al  Museo  delle  Terme  dal  cav.  Oreste  Nardini,  ispettore  dei 
Monumenti  e  Scavi  per  il  circondario  di  Velletri,  una  lastra  di  marmo,  sulla  quale  sono 
scolpiti,  in  bassorilievo,  cavalieri  in  corsa  da  destra  a  sinistra.  La  lastra,  che  fu  già  pub- 
blicata in  Notizie  degli  Scavi  igoo,  p.  197,  venne  in  luce  accidentalmente  a  otto  chilo- 
metri dalla  città  sulla  via  di  Cisterna,  all'incrocio  di  questa  con  V.lppìa  antica,  in  un'area 


occupata  da  una  chiesa  della  di  S.  Andrea  in  Silice:  sicché  dal  ritrovamento  nulla  si  pu^ 
arguire  intorno  alla  sua  pertinenza  e  all'uso  cui  era  destinata.  Il  rilievo  appare  tuttavia, 
a  luinia  \  isla,  di  notevole  importanza  e  degno  perciò  dì  essere  più  ampiamente  illustrato  e 
meglio  riprodotto. 

I  gruppi  di  cavalli»  e  cavaliere  sono  tre:  i  primi  due  interamente  'è 

alquanto  corri>si,  nella  ordinaria  andatura  del  galoppo:  del  terzo,  per  l.i  ii.iiim.i  .m  hmmuo, 
obliqua  in  fuori  dall'altn  al  basso,  soni  1  conservate  s<jltanto  la  metà  anteriore  del  .  i\  i!;.>  e 
la  figura  del  cavaliere,  la  quale,  caduta  dalla  groppa,  tiKca   coi   piedi  la  term.  -  iM 

alle  redini,  è,  col  corpo  ri\erso,  ancora  sollevata.  Il  marmo  è  pentelico.  Le  dimensioni: 
lungli.  superiore  0,37;  inferiore  0,4?:  alt.  0,255;  Jf"'*  ^on»  figurata  0,185. 

1.0  stato  attuale  del  rilievo  ò,  senza  dubbio,  molto  variato  dal  primitivo.  N  •     to 

i.i  l.i>tra  ò  incompleta    nel  lato   destro,  dove  >.i  \    '     '     trattura,  ma    anche    nei    smistro, 


—  148  — 

dove  il  taglio  del  marmo  è  netto  e  preciso.  Sotto  il  primo  dei  cavalli  conservati  si  vede, 
infatti,  l'estremità  della  coda  di  un  altro,  che  precedeva  e  si  trovava  alla  stessa  distanza; 
e  con  attenta  osservazione,  è  chiaramente  visibile,  nell'originale,  anche  tutto  il  contorno 
della  sua  parte  posteriore,  e  specialmente  il  primo  tratto  della  coda,  simile  a  quelli  tra  il 
primo  e  il  secondo  e  tra  il  secondo  e  il  terzo  cavallo,  che  formano  quasi  un  cordone  di 
legamento  tra  l'uno  e  l'altro.  La  lastra  fu  dunque  ridotta  nella  misura  e  nella  rappresen- 
tazione per  un  secondo  uso,  al  quale  tornò  opportuno  il  soggetto  scolpito  :  lo  dimostra  la 
cura  con  cui  il  più  tardo  scultore  ha  radiato  (pur  dimenticando  la  metà  inferiore  della 
coda  che  si  vede  sotto  il  primo  cavallo)  la  parte  posteriore  del  precedente  cavallo,  inevitabil- 
mente compresa  nella  lunghezza  utilizzata. 

Oltre  a  questa  più  evidente  eliminazione,  pare  che  un'altra  se  ne  sia  fatta  al  disopra 
delle  figure.  Sotto  il  listello  che  limita  in  alto  la  lastra,  si  \ede  una  striscia  continua  che 
rasenta  la  sommità  delle  teste  dei  cavalli  :  si  vede  anzi  che  le  criniere,  le  quali  avrebbero 
dovuto  continuare  .senza  interruzione  la  curva  dal  collo  alla  fronte,  e  formare  delle  creste 
semicircolari  e  uniformi,  sono  invece,  nel  colmo,  spianate  alla  medesima  altezza  e  sulla  stessa 
lìnea  per  non  occupare  lo  spazio  di  quella  striscia.  Anche  la  superfìcie  di  questa  appare 
HI  modo  non  dubbio  rilavorata.  Si  può  dunque  supporre  che  una  cornice,  corrente  sopra 
la  parte  figurata,  sia  stata,  nella  riduzione  della  lastra,  anch'essa,  eliminata.  Cosi  dobbiamo 
immaginare  che  il  rilie\'o  completo  awssc  una  sfilata,  per  lo  meno  di  quattro  ca\^alieri  e 
una  cornice  .sovrastante,  e  che  perciò  facesse  parte  di  un  fregio  indubbiamente  architettonico. 

I.a  rappresentazione  intera  di  questo  fregio,  per  l'episodio  co.sì  .singolare  del  cavaliere 
caduto,  si  può  riconoscere  con  certezza  nel  celebre  cratere  apulo  a  figure  rosse  (fig.  i  )  col  sup- 
posto mito  delle  nozze  di  Giasone  e  di  Medea,  del  Museo  di  Monaco,  proveniente  da  Ruvo(i). 
Occupa  la  metà  del  collo  del  \'aso  e,  oltre  a  una  sfilata  di  cinque  cavalieri,  ha,  dietro  il 
caduto,  una  colonnina,  che  fa  intendere  trattarsi  di  una  corsa  nello  stadio.  L' importanza  del 
nostro  monumento  non  è  perciò  nella  sua  .semplice  e  generica  figurazione,  ma  esclusivamente 
nel  suoi  caratteri  stilistici  e,   in   particolar  modo,   nel   luogo  della  sua  pro\'enienza. 

11  rilievo  era  dipinto,  ina  per  la  corrosione  che  in  molti  punti  ha  intaccato  anche 
l'epidermide  del  marmo,  nni  \'è  rimasta  che  la  traccia,  in  color  bruno,  delle  redini  sul 
collo  del  sejondo  cavallo.  Manca  perciò  una  delle  condizioni  principali,  che  completavano 
il  carattere  tecnico  e  stilistico  della  scultura,  quella  del  colore,  al  quale  l'artista  aveva  affi- 
dato, oltre  alle  tinte  di  tutte  le  parti  rilevate,  anche  la  rappresentazione  di  parti  secondarie, 
come  le  .striature  delle  criniere  e  delle  code,  gli  .stimoli  che  tenevano  i  cavalieri  nella  destra 
e  le  redini,  che  non    sono    rese  in  rilievo  nel  secondo  piano.  Ma  i  caratteri    dell'arcaismo 


(i)  Arili.    Ztiluii,^    1860,    tav.     140;    DuBOis-       tav.  in,  4:  I'crtwangler-Reichhold,  /  «r;/»//!!- 
.Waisonneuve,  Introdiiction  à  l'elude  des  Vases,       leifi  11,  p.  200,  ta\^  98-99. 
tav.  XLiii  ;   Panofka,   ìUldrr  a?ì/ikcìi  Lcbciis  p.  5, 


—  149  — 

nelle  forme  scolpite  vi  sono  tutti  impressi  nel  modo  più  sentito  e  vigoroso,  i  ca\alieri  hanno 
il  corpo  magro,  il  naso  e  il  mento  sporgenti,  e,  nella  piccolezza  delle  loro  proporzioni 
rispetto  a  quelle  dei  cavalli,  rivelano  ancora  un  po'  l'inettitudine  degli  artisti  del  vii  sec.  a 
trattare  la  figura  umana  (i).  I  cavalli  con  la  criniera  corta,  coi  corpi  agili  d'un  tronco  solo 
dal  collo  alla  coda,  con  le  gambe  sottili  e  appaiale,  con  le  code  lunghe,  unite,  a  punta; 
equidistanti  e  legati,  per  cosi  dire,  in  un  movimento  ritmico  e  cadenzato,  ricordano  in 
modo  perfetto  le  simili  figure  della  pittura  vascolare  del  VI  sec,  specialmente  dei  vxsi 
corinzi  (2).  Il  moto  vertiginoso  dell'arte  micenea  (3I  è  qui  dimenticato  affatto  :  piuttosto  che 
una  gara,  par  di  vedere  una  sfilata  al  galoppo  di  scuola  ;  ma  a  un  galopp<j  rappresentato 
in  una  maniera  tutta  convenzionale  e  inverosimile,  come  del  resto  quasi  tutte  le  volte  che 
l'arte  arcaica  dalla  prima  metà  del  V  sec.  in  su,  prese  a  rappresentarlo  (4).  Altra  nota  di 
spiccato  arcaismo  è  il  rigore  simmetrico  che  si  è  imp<Jsto  lo  scultore,  il  quale  badando  più 
al  fine  ornamentale  che  al  realistico  trae  quasi  dalle  forme  viventi,  come  avrebbe  fatto 
con  le  vegetali,  l'effetto  di  un  disegno  geometrico.  Simmetria  cosi  inflessibilmente  mante- 
nuta, che  non  ha  lasciato  neppure  scomporre  il  cavallo,  alle  cui  redini  è  rimxsto  attaccato 
il  cavaliere  caduto,  venendo  cosi  a  correggere  una  nota  caratteristica  della  vivacità  imma- 
ginativa dell'arte  ionica  alla  quale  pare  che  si  ricolleghi  questo  monumento.  Infatti  oltre 
alla  maniera  ingenua,  quasi  infantile,  nella  quale  è  interpretata  la  figura  dell'uomo,  che  nel- 
l'arte attica  è  di  fattura  sempre  più  seria  e  ponderata,  v'è  la  sagoma  elegante  dei  cavalli, 
le  cui  forme,  come  raccolte  nel  moderare  lo  slancio,  mnstrano  con  morbidissime  curve,  una 
certa  agile  ridondanza,  che  ci  ricordano  quelle  degli  animali  nei  più  classici  monumenti  dei- 


(i)  Un  esempi"  cvUcnte  f  più  .iiitlco  di  questa  Jlii.ita  col  termine  tecnìoi  *cahr^  fitrhi  »,  una  pu- 

spr()pr)r/.ione    si    può   osserv.ire  nelle  sculture  ere-  si/.lone  ni>n  rispunJcnte  .-illn  realti,  come  è  quella 

tesi  in  pietra    poros   di   Prinià  (Creta),   Hollttliuo  nel  rilievo  Ji  Velletri  ;  e  che  soltanto    nei    c.ivnili 

il'.lilf,  I,   igo7,  p.  28-v),  tav.  II.  del  froKio  lidiaco  del  Partenone,  è  resa  per  la  prim.i 

(3)  Cfr.  l'anfora  vulcent.ina  a  linurc  nere  in  ,1/0-  volta,  una  delle  vere  quattro  f.isl  successive  del  ga- 

iiuiHfiili  dell'  /sin.  Ili,   tav.  x.xiv;  1'  anfora    vul-  loppo,  quella  cioè,  nella  quale  il  c.iv.illo  ti<ca  terra 

cent.'ina   in   h'iiw.  Mittell.,   1887,  tav.  ix;    Jioltfl-  soltanto  con    una   delle    zampe  posteriori,  indic.itn 

liìio  d'Arie,  I,  igo7,  paR.  q,  iìr.  s;  l'anfora  di  An-  con    la    parol.i  •  Kiu/r»  ».  Riconoscendo   giuste    le 

lìar.io  In  Moniim.  detl'/slil.  x,  tav.  iv-v;  il  cratere  osserv-niiiiml,  in    Kenernlt»,   e  applicabili,  in    (Mrti- 

corinzio  In  I''tiKT\vANi;i,i'.K-I<i:iiiiHoi,n,  l'axeuma-  colare  al  rilievo  arcaico,  di  cui  ci   occupiam'i,  e  le- 

leiei.  serie  m.  1,  n.   \ii\  l'anfora  Tirrenica  con  1  cito  osservare  che,  in  qualche  rarissima    eccezione 

NiolMdi  In  .hitH-e  Peiikituìler,  1,  tav.  ìì,  p.ig.  10.  e  in  una  forma  molto  ìmmmari.iinente  schematica, 

(1)  liiillelin  de  loirexf».  hellenii/iie.  i8iji.  t   \vi,  tu  rappresent.ita  dall'arte  antica,  anche    la  (orma 

p.    117:   l\ir,iie  iiiih.   Hjoo,  I,  p.  4';o.  del  Raloppo  nell.i  su.i  vera  fase  del  •  a'''/<7*A'  t^" 

(41  II   Ki  INVI  II  in  una    serie  di  articoli  (/.<»  r,"-  lanle  .,  Ctr.    la    tavoletta   Ji    Qiere    in    .IA>««w. 

fitrsenlalioii  dii xnlofi  diiiis  l'iirl  amien  et  moderne  inediti  dell'htit.,  supfdemenlo,  i8gi,  tav.  i;  e,  per 

in  A'n'iie   arili,   lijoo,    1,  p.  216  e  441;   icjoo,  il,  epoche  molto  più  :i  noi  vicine,  le  fibule  d'.ifuento  In 

p.  244;    ii)oi,  I,  p.   27  e  324;   ii)oi.  II,  p.   Il  di-  (orma  di  cavallo  nel  corredodclle  tonila  121  e  124 

mostra  che  l'.irte  .irc.ilca  nella  rappresentazione  del  di  CaKteltrnsino  In  Moitmm.  AmHeltì,  xil,  p^  vyt' 

K.iloppo,  h.i  d.ito  sempre  .il  c.iv;illo,  nell.i  (.ise  In-  n»i,  lig.    un  e  fiR.   iw. 


—  150  — 

l'arte  ionica  p.  es.  nei  fregi  dei  sarcofagi  di  Clazomene(i)  in  quelli  del  Tesoro  degli  Gnidi 
a  Delfo  (2),  nei  pinakes  votivi  di  Lokrói  Epizephyrioi  (fig.  2)  (3). 

Ma  se  anche  l'esame  obbiettivo  dei  caratteri  puramente  greci  non  valesse  a  darci  affi- 
damento per  riconoscere  nel  rilievo  di  Velletri  un  orginale  greco,  avremmo  un  dato  di  fatto, 
che  lo  proverebbe,  nel  vaso  di  Ruvo.  La  scena  non  ha  in  sé,  come  è  stato  detto,  alcuna 
speciale  importanza  per  ciò  che  rappresenta,  ma  nel  cavaliere  caduto  e  riprodotto  nella  iden- 
tica, non  comune  posizione,  offre  un  particolare  che  rende  incontestabile  l'identità  del  soggetto. 
Le  scile  differenze  tra  il  fregio  del  vaso  e  il  rilievo  di  Velletri,  sono  nel   numero  dei  cavalieri 


Fig.   1. 

(cinque  invece  die  quattro,  quanti  almeno  se  ne  possono  \'edere  nella  parte  conservata,  del 
marmoi,  e  nel  verso  del  nio\imento  dei  ca\'alli  ida  sinistra  a  destra,  in\-ece  che  da  d.  a  sin.). 
Ma  è  troppo  comune  questa  inversione  nelle  repliche  di  simili  figurazioni,  e  troppo  noto 
l'uso  di  accrescere  o  diminuire,  secondo  le  opportunità  dello  spazio,  il  numero  dei  cavalieri 
nei  fregi  dipinti  0  scolpiti  dell'arte  arcaica,  per  indugiarsi  a  dimostrare  che  tali  differenze 
sono  puramente  formali.  Il  cratere  di  Ruvo  uscì  probabilmente  dalle  officine  di  Thurii  0 
di  Heraclea  nella  Lucania,  e  benché  lavorato  nel  IV  sec,  dalla  forma,  dagli  ornamenti,  dalla 
finezza  del  disegno  si  mostra  come  opera  imitata  da  altra  simile  attica  del  V  sec  (4).  Così 
il  pittore  del  vaso  apulo,  circa  un  secolo  dopo  che  era  stato  fatto  il  suo  modello  e  quasi 
due  secoli  dopo  che  era  stato  scolpito  il  rilievo,  riprodusse    ancora  una  \olta  la  medesima 


(1)  Aiilikr  Pnikiitiiliv.    i,    tnv.  44,  4i.  46,  pa-  (5)  Ausonia,    iii,    IQ08,  p.    160,  tÌK.    17,   18,   19, 
gine  32-34:  II,  tav.  58:  Ainiali  dcirlstitulo,    1885,  20,   24,  25  e  26. 

p.   168-183.  (4)  FuRTWANGLER  -  Reichhold,    l'asaimalcfci, 

(2)  Perrot-Chipiez, //w/.  (/(•/',/)•/.  vili.  p.  369-  p.  201. 
370,  fis.   167;  p.  371,  rìg-   168  e  Mg.    i6g. 


—  151  — 

scena  di  corsa  in  tutti  i  particolari  dell'azione,  ma,  coerente  al  modo  più  lit)ero  con  cui  l'arte 
matura  del  V  sec.  rendeva  le  figure,  ha  dato  loro  un  movimento  ancora  corretto,  ma  più 
agitato.  L'arcaismo  vigoroso  del  rilievo  in  marmo  è  diventato  nella  pittura  vascolare  più 
libero  e  sciolto.  Se  dunque  il  medesimo  soggetto  venne  per  altro  mezzo,  per  altra  via,  in 
altra  regione  d' Italia,  è  certo  che  questo  tipo  di  figurazione  aveva  una  tradizione  nell'arte 
greca  e  una  larga  esemplificazione  nei  suoi  prodotti  industriali. 

I  fregi  fittili  arcaici,  cosi  detti  di  «  tipo  borgiano  »  scoperti  in  vari  luoghi  dell'Etruria 
meridionale  (Pitigliano,  Toscanella,  Cervetri)  e  del  Lazio  (Velletri,  Palestrina,  Conca,  Pala- 
tino) formano  un  gruppo,  ormai  copioso  di  monumenti,  la  cui  derivazione  da  originali 
greci,  specialmente  dopo  la  nuova  prova  che  se  ne  ebbe  con  la  conoscenza  dei  frammenti 
cretesi  pubblicati  dal  Savignoni  {Róm.  Mitteil.,  1906,  p.  64,  tav.  Il),  non  si  può  porre 
più  in  dubbio  (i).  Nella  ristretta  varietà  dei  loro  tipi  oltre  ai  caratteri  stilistici  delle  zone 
figurate  e  agli  elementi  ornamentali  delle  cornici  a  meandri  e  a  baccelli,  v'è  la  natura  dei 
soggetti  rappresentati,  che  li  riporta  all'arte  greca  e  ionica  più  specialmente:  cosi  la  scena 
di  convito  (21;  cosi  il  fregio  con  le  bighe  alate  e  le  triglie  (3);  cosi  quello  degli  animali 
e  dei  cavalieri  correnti.  Il  confronto  fra  il  rilievo  in  marmo  e  i  singoli  monumenti  di  questo 
gruppo  mette  cosi  in  evidenza  la  loro  affinità  stilistica,  che  dispensa  da  ogni  dimostra/ione. 
Se  a  ciò  si  aggiunge  che  il  rilievo  di  marmo  può  risalire  almeno  all'ultimo  quarto  del  VI  sec.; 
che  i  fregi  «  tipo  borgiano  »  vengono  assegnati  tutti  alla  fine  del  VI  sec.  e  anche  ai  primis- 
simi decenni  del  V,  e,  sopratutto,  che  il  marmo  fu  trovato  nel  territorio  di  Velletri,  dove. 
sia  nel  1 784  che  recentemente  (4),  venne  in  luce  il  gruppo  di  bassorilievi  arcaici  più  nume- 
roso, che  in  questa  tecnica  raggiunge  il  più  alto  grado  di  perfezione,  si  de\e  non  solo  rici>- 
noscere  fra  loro  affinità  di  stile  e  di  scuola,  ma  un  vero  e  proprio  rapporto  di  dipendenza. 
Il  nostro  rilievo  fu  perciò  con  tutta  probabilità  uno  dei  modelli  originali,  per  i  quali  venne 
importato  e  diffuso  nell'Italia  media  questo  genere  d'arte. 

(I)    Per    1    iit-Ki     Ji    Pi'KKÌ"    Bucd    (PltlKliann),  p.  i6j6,  Iìr.  220s;  A*(J»/*.  .ViV/rtA.  iqoi'    -   'i   ■:..\. 
Toscanell;i,    Cervetri,    Velletri,    C<inc:i,    l'.il;illni>,  (j)  Fi^RTWANiti-KR.    Sammlung  in- 

cfr.  Pkli.kokini,  h'regi  anaici  fhuuhi  in  /rrni-  troJuz.  p.  27;  Swiunosi,  />;  «w  rntofo  sarfojitgo 

(Olla  a  pillole  Jiifure  In  Stinti  <•  matcriitti  iti  .Ir-  iti'ttii  .SWio/kì/i  iti  i'iierr  In  .ì/khuih.  .intiiki,  vili, 

iheologia  e  Sumismittiia,  1,  p.  87-118  (Ivi  la  bl-  p.  SM'^)S- 

blIoKr.'ilia);  e  HuLHiG./fwr  r,Vj<A;VA/<-A-i  »■<>«//.»<  A.-«  ())P"1-IAK.    Ankaisikt    HJ/enbfimrftif/s.    In 

/■'if  Ili  tilt  US  (aus  dcn  .lf>hiìnitlunj(tii  iter  K.  Hayei .  h'oin.  Milleit.   1906,  Liv.  xv  e  XVI. 
Aìmitimif  iter   lliss.  /.   AV.    x.\m.  Bd.   Il,   Aht.)  (4)  l.:i    Direzione   dcijll    Scavi   «Il    Ruma  e  prw 

p.  278-2K1;,  tiKure  1-6.  Pel  frammenti  trovali  nel  Ci>-  vlncla,    nel   njog    fece   a  Velletri    Ir  JI 

niltliim  A'«/»c/V.S<flf»,  igoo,  p.  |2S.tÌK.28;  HelhlK.  xavo  nell' Interno  e  nelle   adl.icen/c    _ ;j«ii 

op.  e.  p.  27,  lig.    1;  per  le  tavolette  di  P.ilolrlna,  iti  S.  Mitria  dflla  .Vrty  detta  delle  .V/iMfNM/<-,  nel 

S'olizii- Siiifi  lijoq,  p.  124-12^1,  lÌK.  I.  Per  iin.i  iastr.i  luogo  nIc-^mi  Juve  nel   1784  lurono  •  >  i6 

di  provenienza  Inno!. 1  (italian.i),  tilic  II"'.  .iNÌ  .1  P.iriRi  tcrrcoottc    Kuitiane    «;on>crvatc  nel    >'■  Na- 

nel  Cabinet  des  McJallles,  O'asfli  18.S),  |>.ili.  I.n  <»..ivo  dette  eccellenti  rlsult.all,  di  cui  aedo 

tav.  xi.i.K;  DakkmiiivKU  kt  Svoliu,  JJiitinHn.,  I,  sia  pros»lma  la  pubblicazione. 


—  I5-'  — 

Quista  probabilità  Jivcnta  anche  maggiore  per  altre  notevolissime  corrispfjndenze.  La 
cornice,  che  si  vede  eliminata  sopra  la  zona  figurata  nel  rilievo  di  marmo,  misurava,  in  altezza, 
per  lo  meno  sei  centimetri  e  mezzo;  era  nella  parte  superiore  aggettante,  come  è  ora  il  li- 
stell(j;  ed  era  costituita  (se  si  può  tener  conto  di  alcune,  quasi  impercettibili,  tracce  di  solchi 
rimaste  sotto  il  listello)  di  curve  e  corte  baccellature.  Questa  medesima  cornice,  che  ricorre 
con  maggiore  o  minore  sviluppo,  sola  o  con  z(jna  di  meandri,  in  tutti  i  fregi  arcaici  fittili, 
si  trova  ugualmente  tozza  in  quello  dei  tre  cavalieri  di  Poggio  Buco  (Pitiglianoi,  il  quale  viene 
cosi,  anche  per  questo  indizio  di  maggiore  arcaismo,  ad  essere,  nel  suo  genere,  il  più  vicino  al 
rilievo  di  Velletri.  Anche  le  dimensioni,  quasi  costanti,  delle  terrecotte,  corrispondono  ap- 
prossimativamente a  quelle  del  marmo.  Infatti  in  questo  abbiamo  una  zona  figurata  alta 
mm.  185,  in  quelle  200:  in  questo  (computando  intera  la  lastra  coi  quattro  cavalieri,  che 
occupano  ognuno  mm.  1651  una  lunghezza  di  m.  0.66,  in  quelle  di  0.70.  Non  è  da  tener 
contfj  della  differenza  nelle  altezze  d'insieme,  che  variano  senza  norma,  per  il  variare  delle 
cornici. 

Più  evidente  sarebbe  la  prova  della  diretta  deii\azione  dei  fregi  fittili  da  simili  marmi 
originali,  se  il  nostro  rilievo  avesse  avuto  una  rappresentazione  più  singolarmente  caratte- 
ristica, come  è  quella  delle  bighe  e  triglie  alate  e  del  convito  o  la  scena  di  adorazione  e  di 
offerta  agli  Dei,  e  non  la  figurazione  così  generica  di  una  sfilata  di  cavalieri.  Non  è  tuttavia 
completamente  arbitrario  supporre  che  l'esemplare  coi  cavalieri  di  Poggio  Buco  (fig.  3)  po.ssa 
essere  derivato  (sia  pure  per  intermedie  imitazioni  1,  anche  per  il  soggetto  rappresentato,  dal 
nostro  originale.  Vi  sono  tre  cavalieri,  senza  armi,  al  galoppo  da  de.stra  a  sinistra.  Lo 
Helbig  suppone  che  i  tre  cavalieri  disarmati  siano  giovani,  che,  secondo  il  costume  greco, 
erano  al  servizio  dei  guerrieri  armati,  e  li  accompagnavano  al  combattimento,  corre  si  vede 
p.  es.  in  un  fregio  stesso  di  Velletri  (Pellegrini,  op.  e.  p.  104,  fig.  lOt,  nella  scena  di  com- 
battimento del  fregio  nel  Tesoro  degli  Gnidi,  ecc.  In  questo  caso  i  tre  guerrieri  avrebbero 
preceduto  in  altra  tavoletta,  separati  dai  loro  compagni  1 1 1.  Per  ammettere  questo  sdop- 
piamento delle  tile  bisognerebbe  attribuire  agli  scultori  dei  fregi  fittili  l'iniziativa  di  alte- 
rare a  loro  capriccio  il  tipo  fisso  dei  modelli.  Non  mancarono  infatti  completamente  ditale 
iniziativa,  ma  se  ne  valsero  solamente  fin  dove  e  quando  potettero  e  vollero  dare,  sia  pure 
in  fusione  inorganica,  alle  figurazioni  greche  anche  un  certo  contenuto  locale.  Così,  per 
esempio,  nella  succitata  tavoletta  di  Velletri  con  un  attacco  di  cavalieri  (Pellegrini,  op.  e. 
pag.  lOi,  il  prime]  di  essi  ila  per  arma  una  scure  certamente  italica;  e  la  figura  di  augure, 
che  nel  fregio  di  Toscanella  precede  la  processione,  non  esiste  nei  monumenti  dell'arte 
greca  (p.  96,  tig.  4);  «  lo  stesso  può  dirsi  della  seconda  figura  delle  divinità  rappresentate 
nel  fregio  veliterno  fig.  12,  e,  in  generale  di  tutto  questo  fregio,  il  quale  richiama  su  di 
sé  l'attenzione   anche    per   lo   spirito  dell'insieme,  che    non  è  greco,  mentre  segnalasi  per 

(1)  Helbig,  Z«;-  (iesihichte,  ecc.   p.  284. 


-  153  — 

molteplici  rapporti  con  le  scene  espresse   su   altri    specifici    ii.onumenti  etruschi  e  special- 
mente sui  vasi  di  bucchero  »  (op.  cit.,  p.  961. 

Ma  nella  tavoletta  di  Poggio  Buco  lo  sdoppiamento  delle  file  dei  cavalieri  non  corri- 
sponderebbe a  nessuna  variazione  del  costume  etrusco  dal  greco.  Né  si  può  addurre  che 
l'artista  abbia  voluto  rendere,  per  principio  estetico,  il  fregio  più  leggero  e  più  semplice, 
perchè  in  altri  casi  non  rifuggi  anzi  dal  sovraccarico  e  riprodusse  anche  delle  trighe  e  delle 
bighe  sovrapposte  al  piano  delle  figure.  E  probabile  invece  che  soltanto  nel  fine  di  contem- 
perare il  significato  della  rappresentazione  con  l'indole  delle  proprie  conoscenze  si  debba  cer- 
care la  ragione  per  cui  la  figurazione  della  gara  alla  corsa,  come  è  data  intera  nel  vaso  di 


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Ruvo,  fu  nel  rilievo  di  Pitigliano  tradotta  in  una  insignificante  sfilata  di  cavalieri.  Nella  pit- 
tura vascolare  i  giovani,  nudi,  sono  cinti  di  una  corona  di  olivo  e  corrono  vicino  a  una  colon- 
nina dorica,  la  quale  ha  anzi  determinato  forse  la  caduta  di  uno  di  essi.  Si  tratta  dunque 
probabilmente  di  una  gara  ai  giu(x:hi  olimpici  (  1  ),  nei  quali  fu  introdotta,  nella  ^%'  olimpiade  (2), 
anche  la  corsa  coi  cavalli  (i'--o;  /ts'/r,;!.  Ma  ciò  non  ptiteva  comprendere  l'imitatore  etrusco, 
che  alla  (ine  del  VI  sec.  non  conosce\a  altre  gare  di  corse  che  quelle  dei  carri,  ed  eliminò 
perciò  nella  sua  ripri)duzione  quanto  era  estraneo  alla  cerchia  delle  sue  cognizioni  e  all'ambito 
degli   usi  del  suii  paese. 

Con  la  scoperta  di  questo  rilievo  siamo  dunque  venuti  in  pos-sesso  di  un  monumento 
di  capitale  importanza  per  la  storia  della  plastica  littile  a  piccole  figure  dell'Etruria  meri- 
dionale e  del  La/io.  Non  sono  più  da  cercare  i  modelli  di  quest'arte  nella  pittura  «iscolare 
a  figure  nere,  che  tanto  te  somiglia  nei  caratteri  stilistici,  nò  in  altri  prodotti  dell'arte  greca 
industriale  importati  e  imitati  in  Htruria. 


(1)    Siili, I    lolMll.l    >.l   "IlVi'    v^tTAIIIOIttc    Ji     <>//.-<> 

M-huitiiK,    kìtivo;)   d;iti>    come    premio    escUiMva- 
mciiU-    al    vlin.lti>rl    di    Olimpia,    cfr.  AHlkotogia 


/',iAi/iM,t,    cplicr.    IX.    "- 
(UvmpioMììfs  In  Ittii: 

>SIA  V,  «,  o. 


rvHIIlKNI,     Tftil»     t/l 
:m«.    IQIO,   p.   4i. 


Attumui  •  Annu  VI 


x> 


-  154  — 

Il  tipo  vc-ro,  il  quale,  oltre  allo  stile,  Jette  anche  i  soggetti  e  perfino  l'uso  e  le  di- 
mensioni a  questo  genere  di  fregi,  che  nello  svolgimento  dell'arte  plastica  rappresentano  il 
secondo  grado  fra  i  rilievi  del  cosidetto  red-ware  sui  pithoi  e  le  grandiose  sculture  fron- 
tali del  IV  e  del  Ili  sec.  è  forse  rappresentato  dal  rilievo  ionico  di  Velletri. 

Un  secondo  risultato,  che  porta  questo  pregevolissimo  monumento  è  la  prova,  indiretta, 
della  produzione  esclusivamente  nazionale  del  materiale  architettonico  in  terracotta.  Esso  non 
solo  distrugge  l'ipotesi,  posta  in  dubbio  per  questi  rilievi  dell'Italia  e  per  altri  casi  sostenuta, 
che  dalla  Grecia  fossero  importate  le  matrici  (i),  ma  avvalorando,  se  pur  ve  n'era  bisogno, 
gli  elementi  locali  introdotti  nelle  loro  composizicni,  viene  a  rivendicare  agli  artisti  italici  tutto 
intero  il  merito  di  una  fedele  ma  sentita  e  compresa  imitazione. 

Quanti)  a  una  terza  e  importante  questione  relativa  ai  centri  di  fabbricazione,  il  rin- 
veninifiito  di  un  niodi-lln  originale  a  Velletri  dimostra  che  la  produzione  di  questo  mate- 
riale arcliitettonic(j,  non  mancata  certo  alle  officine  etrusche  specialmente  di  Caere  (2),  insu- 
perate neir  arte  della  plastica  fittile,  non  mancò  neppure  al  paese  dei  Volsci.  E  forse 
dovunque  sorsero  editici  con  tal  genere  di  decorazione  e  pervennero  simili  rilievi  originali 
0  loro  imitazioni  di  fabbriche  italiche,  sorsero  anche  officine  locali.  Lo  dimostrano  pure  la 
ristretta  varietà  dei  tipi,  Li  loro  larga  diffusione,  il  pregio  artistico  a.ssai  diverso  degli 
esemplari. 

Giuseppe  MopErri. 


(1)  Hei.hig,    op.    e.   p.  279;    Quagliati,     .I/i-  (2)  Savignoni,    .Vo;/.   mi/..  Vili,    p.    536-537; 

sonici,   ui,   1908,  p.   138.  Pellegrini,  up.  e.  p.     ;   Hki.big,  op.  e.  p.  285. 


UN  NUOVO  ARTISTA  SULMOXHSE 

l.\    L  \A  CRUCh   i'kULLSSUhXALL   DI    \  l-RoLI 


All'ombra  di  una  modesta  e  mal  ridotta  chiesuola  romanica  di  Veroli  (Roma»,  chiamata 
S.  Maria  de'  Franconi,  è  rimasta  fmu  ad  ora  ignorata,  in  mezzo  a  tante  ricerche  e  a  tanti 
studi  sull'arte  abruzzese,  una  croce  processionale  che  è  notevole  esemplare  della  oreficeria 
di  scuola  sulmonese.  Per  lodevole  zelo  di  S.  E.  Re.ma  Mons.  Fantozzi,  Vescovo  di  Veroli, 
essa  sarà  unita  al  tesoro  della  Cattedrale  (i),  onde  sia  meglio  conser\'ata  ed  esposta  all'occhio 
degli  studiosi. 

Questa  croce  si  presenta  nella  forma,  possiamo  dire,  tradizionale:  alta  cm.  44,  larga 
cm.  37,  ha  le  estremità  terminanti  in  trilobi  e,  secondo  la  più  comune  ornamentazione 
abruzzese,  era  contornata  di  pallette  di  rame  dorato,  la  maggior  parte  delle  quali  percS  anda- 
rono disperse.  Le  due  faccie  della  croce  risultano  ciascuna  di  cinque  pezzi  in  argento  battuto 
riuniti  fra  loro  da  piccoli  chiodi  anch'essi  di  argento.  Nella  parte  più  bass;i  questo  cimelio 
subì  un  pessimo  restauro,  essendo  .stati  sostituiti  senza  nessun  criterio  né  tecnico,  né  arti- 
stico, pezzi  di  rame  a  qualche  frammento  d'argento  che  era  andato  perduto. 

Mancani)  purtroppo  anche  tre  testine  dei  .santi  che  ornano  la  faccia  anteriore,  una 
delle  quali  fu  ancora  possibile  ritrovare  e  sarà  ricollocata  a  suo  posto.  Nell'insieme  però 
la  croce  è  in  buono  stato  di  conservazione  e  si  offre  ancora  nelle  linee  generali  in  tutta 
la  sua  armonica  decorazione. 

li  Cristo,  .secondo  il   tipo  più   recente,  è  rappresentato  morto,  il  ca|>i  ..........  divìsi  sul 

capo  i  capelli  lunghi  lino  alle  spalle,  fortemente  rile\ate  le  costole,  sensibilmente  contor- 
nata la  linea  dell'addoiiu'.  Il  peri/oma  scende  dai  lombi  alle  ginocchia  con  pieghe  morbide 
ed  artistiche,  i  piedi  l'uno  all'altro  sovrapposti  son  fermati  da  un  unico  chiodo  e  mancano 
del  suppedaneo. 

Le  braccia  sono  tese,  non  gi.i  oriz/ont.ilmente.  come  nella  più  antica  tigura/ione.  ma 
piegate  in  alto  sembrano  sorreggere  il  [vs<>  del  cor|io.  Il  nimlx),  che,  ò  posto  in  alto  sul 
capo  del  Cristo,  decorato  della  cri<e  formata  artisticamente  da  quattro  calici  di  fiori,  si 
presenta  come  un  piccolo  medaglione  fuso  ed  applicato  sul  fondo;  originariamente  fu  de- 
corato di  smalti,  di  cui  rimangono  solo  p«vhis.sime  traccie. 

(1)  Su  tutti!  Il  tesoro  ho  prcp.iMto  un»  >tiiJlo,  di  cui  d.irit  conto  gu.into  prlm.i. 


156- 


I  quattro  estremi    Jella  croce    portano   quattro   fij^ure    di    santi    finamente   lavorati    ed 
f)tteiuiti  applicando  pezzi  fusi  sul  rilievo  a  sbalzo.  La  figura  ai  piedi  della  croce  rappresenta 

una  donna  in  gin(x:chio,  i  capelli 
sciolti,  le  mani  giunte,  chino  il 
capo.  Un  lungo  manto  le  scende 
dagli  omeri  a  grandi  e  morbide  pie- 
ghe, mentre  il  viso  non  manca  di 
una  certa  espressione  di  pietà.  In- 
dubbiamente l'autore  del  prezioso 
oggetto  ha  qui  voluto  colltKare  in 
atto  penitente  Maria  Maddalena. 
La  figura  di  destra  rimarrebbe 
troppo  oscura  se  non  se  ne  con- 
servasse, benché  staccata,  la  pic- 
cola testa;  è  mancante  però  d'una 
mano  e  dei  piedi.  È  questa  pure 
la  figura  di  una  donna,  anch'essa 
coperta  dal  lungo  manto  dorato, 
mollemente  adattato  sulla  linea 
del  corpo;  ha  la  mano  sinistra, 
unica  rimasta,  dolcemente  aperta 
ed  allontanata  dal  fianco.  Secondo 
la  più  comune  disposizione,  non  è 
ditticile  riconoscere  in  questa  fi- 
gura l'immagine  della  N'ergine: 
essa,  per  solito,  è  collocata  sulla 
estremità  del  braccio  destro,  men- 
tre sulla  sinistra  era  raffigurato 
S.  (iiovanni. 

Qui  invece  la  figura  dell'e- 
\angelista  è  collocata  nella  estre- 
mità superiore:  vestito  della  tu- 
nica, fermata  alla  cintola,  e  rav- 
\olto  dal  manto,  solleva  il  braccio 
destro  in  atto  benedicente  (anu- 
lare e  mignolo  piegati,  tesi  gli  altrj 
diti,  di  cui  rimane  uno  soloi  mentre  il  sinistro  sorrege  il  libro  degli  E\angeli  poggiato  alla 
spalla.   A  sinistra  del   Cristo  in\ece  v'è  una  figura    che,    pLir   mancando    del   capo,   per  es- 


Veroli  -  S.  Maria  de'    Franconi. 


-  157  - 

sere  vestita  e  disposta  come  quella  di  destra,  è  chiaramente  l'immagine  di  un'altra  donna. 
Come  quella,  priva  della  tunica,  è  vestita  del  lungo  manto,  dal  quale  traspariscono  con 
grazia  piacevole  le  forme  del  corpo  ed  ha  le  mani  incrociate  sul  seno.  Mi  sembra  poter 
asserire,  senza  dubbio,  che  qui  l'autore  volle  ritrarre  una  di  quelle  pie  donne  che  con  Maria 
Vergine  e  Maria  Maddalena  assistettero  al  dramma  del  Calvario,  sicché  intorno  alla  croce 
sarebbero  cosi  disposte  le  figure  dei  testimoni  dell'agonia  del  Redentore.  In  alto,  sul  nimt)o, 
v'  è  spiegato  il  titolo  con  la  scritta  YURI,  le  cui  lettere  sono  a  smalto  nero  sul  fondo 
d'argento.  Il  fondo,  su  cui  spiccano  il  Cristo  ed  i  Santi,  è  dorato  e  adorno  di  fogliami  a 
volute,  leggermente  rilevati  a  martello. 

11  tergo,  in  omaggio  alla  regola  iconografica  più  comune  a  riguardo  delle  croci,  porta 
nelle  estremità  gli  emblemi  dei  quattro  Evangelisti  (alti  circa  io  o  12  cm.)  secondo  i  sìmboli 
della  visione  Apocalittica.  Essi  son  disposti  secondo  l'ordine  suggerito  dalla  stessa  loro  linea: 
l'aquila  e  l'angelo  per  la  loro  figura  prevalentemente  verticale  si  adattavano  meglio  nelle 
estremità  dell'asse  in  piedi,  il  bue  ed  il  leone  per  la  loro  linea  prevalentemente  orizzontale 
si  collocavano  di  preferenza  nell'asse  trasversale  della  croce  (i^. 

Secondo  questo  criterio  abbiamo  qui  in  alto  la  figura  dell'aquila  (S.  Giovanni)  la  quale 
manca  però  della  testa;  essa  stringe  con  la  zampa  destra  il  rotolo  o  volume  spiegato  in 
alto  e  fermato  in  basso  dall'altra  zampa.  L'estremità  destra  presenta  il  vitello  o  bue  alato 
(S.  Luca)  il  quale  stringe  tra  i  piedi  il  libro;  l'estremità  sinistra  porta  il  simlx>lo  di  San 
Marco,  il  leone  alato,  il  quale,  volto  verso  il  centro  della  croce  ed  avente  tra  le  zampe 
il  libro  aperto,  fa  opportunamente  simmetria  con  la  figura  antecedente.  Tutte  e  tre 
queste  figure  sono  senza  nimbo.  Nella  estremità  inferiore  è  raffigurattj  l'angelo  nim- 
bato, emblema  di  S.  Matteo;  ha  le  ali  piegate,  sorregge  con  la  sinistra  il  libro  chius<» 
ed  alza  il  braccio  destro,  rimasto  ormai  monco.  Il  centro  è  adornato  da  una  gr:iziiisa 
figura  di  Maria,  la  quale,  seduta,  sorregge  sul  .seno  il  Bambino,  a  cui  mostra  con  atto  di 
materna  tenerezza  un  frutto  e  lo  tiene  in  alto  nella  mano,  quasi  per  invitare  il  Figlio  a 
tentar  di  carpirlo. 

La  figura  centrale  di  Maria  ò  disposta  in  modo  che  il  suo  capo  nimbato  è  immediata- 
mente al  disotto  dell'aquila;  ma  negli  spiizi  che  rimangono  tra  questa  figura  e  gli  altri 
emblemi  sono  collocati  tre  piccoli  medaglioni,  fusi  ed  applicati  sul  fondo,  i  quali  lurono 
forse  anch'essi  smaltati  ;  quello  a  destra  della  Vergine  rappresenta,  graflita,  la  figura  di 
S.  Bernardino,  riconoscibile  all'abito  dei  minori  ed  al  monogramma  I  H  S  che  porta  nella  vlestra. 
Nel  medaglione  di  sinistra  si  vede  rappresentata  l'immagine  di  S.  Maria  Salome.  prolet- 
trice   V.1Ì    N'eroli     rìi'^oo^'  i)>ili-      mv  Ii**'«.^i    oi-I    v   ivn    .li"«tì     iiniin    .hi-    sttìni'i-    in    iio.i    in. Hit).    In 


(1)  Ecce/Ione    notevole   ,1  questo   mio   criterio  è      SchneIJer.    Bollcltino    d'Arte   del    MlnlMcr»  Jell.i 
una    crcKc   processionale  di  AlatrI.  Illiistr.it;i  d.ill"      I'    I    '>  cluenn  mio. 


-  158- 

quello  poi  che  si  trova  al  disotto  della  figura  centrale  si  legge  in  nitidissimi  caratteri  rile- 
vati la  seguente  iscrizione  : 

►Ì^ANNO-D. 

MCCCCI.IIII    • 

MAGISTER     •     NI 

COLAUS    •    AMICI    • 

Cica  •  DE  ■  SVLM 

ONA  •  FF.CIT  • 

HOC  ■  OPV 

Come  nella  faccia  anteriore,  così  anche  in  questa  gli  spazi  vuoti  sono  adorni  di  fogliame 
e  dorati.  Questo  cimelio  conserva  ancora  il  nodo  o  piede  di  rame  dorato  di  forma  sferica  por- 
tante all'intorno  sei  dischi  o  medaglioni  a  smalto.  Essi  rappresentano  ordinatamente  uno 
stemma,  incorniciato  da  una  ghirlanda  secondo  il  gusto  del  sec.  XV,  il  quale  porta  fasce 
verticali  d'oro  in  campo  rosso;  il  secondo,  in  ordine  successivo,  presenta  S.  Giovanni  Evan- 
gelista facilmente  identificabile  perchè  ha  nella  destra,  in  atto  di  scrivere,  uno  stilo  e  nella 
sinistra  un  volumen  o  rotolo  su  cui  si  legge  1  N  P,  lettere  con  cui  comincia  il  suo  vangelo: 
in  principio.  Il  terzo  medaglione  porta  la  figura  di  una  santa  martire  che,  non  avendo  altro 
attributo  che  la  palma,  riesce  inidentificabile;  il  disco  che  segue  rappresenta  un  santo  vestito 
all'apostolica,  ornato  il  mento  da  lunga  barba  ed  avente  nella  destra  una  mazza  sormontata 
dalla  croce  e  un  libro  nella  sinistra:  senza  dubbio  esso  rappresenta  S.  Giacomo  Maggiore, 
il  quale  ebbe  in  questa  chiesuola  una  cappella    fino  al  sec.  XVII  e   tutt'ora  vi  è  effigiato. 

La  considerazione  poi  che  questo  santo  fu  figlio  di  S.  Salome,  protettrice  di  Veroli, 
e  fratello  di  S.  Giovanni  Evangelista,  rappresentato  —  come  ho  detto  —  in  un  altro 
smalto,  toglie  qualunque  dubbio  sulla  identificazione  di  questa  figura.  Nel  quinto  meda- 
glione si  discerne  senza  difficoltà  la  caratteristica  figura  di  S.  Tommaso  di  Aquino,  vestito 
dell'abito  domenicano  con  l'ampio  cappuccio  spiegato  sulle  spalle,  mentre  il  sole  fiammeg- 
giante nella  sinistra  lo  simboleggia  luminare  della  scienza  e  un  giglio  nella  destra  ne  ricorda 
l'angelica  purità.  Nell'ultimo  si  nota  la  figura  di  S.  Onofrio,  anacoreta,  ricoperto  tutto  il 
corpo  da  lunghi  peli,  a  mani  giunte  con  una  corona  a  grossi  grani  tra  le  dita;  esso  è 
venerato  in  una  cripta  della  medesima  chiesuola. 

A  questa  preziosa  croce  astile  così  proporzionata  nelle  sue  linee  generali,  cosi  armo- 
nica nella  disposizione  ornamentale  dei  particolari,  conferisce  anche  bell'effetto  decorati\-o 
il  contrasto  dei  colori   degli  smalti   sull'oro  e  l'argento. 

* 
*    * 

Poco  abbisogna  di  illustrazione  questo  cimelio  che  porta  chiaramente  scritto  data,  autore, 
luogo  di  provenienza.  Mi    piace  per  altro    notare   che  quanti)  alla    data  esso  già  manifesta 


—  159  — 

le  caratteristiche  dell'età  in  cui  fu  prodotto.  E  prima  di  tutto  il  Cristo  è  raffigurato  morto, 
col  capo  chino  e  gli  occhi  chiusi,  senza  suppedaneo,  come  nelle  croci  sulmonesi  posteriori 
alla  fine  del  sec.  XIV  (i).  Le  teste,  le  braccia,  le  mani  si  staccano  dal  fondo;  le  membra 
poi  hanno  una  plasticità  carnosa  che  annunzia  la  Rinascenza:  sono  fuse  ed  applicate  sui 
pezzi  rilevati  a  martello,  anziché  ottenute  solamente  a  sbalzo,  come  nelle  croci  di  età  ante- 
riore. Le  figure  presentano  una  varietà  di  atteggiamenti,  una  morbidezza  negli  stessi  partiti 
di  pieghe  ignota  prima  di  questo  secolo.  Nella  faccia  posteriore  poi,  mentre  per  solito  si 
era  rappresentato  il  Cristo  trionfante  sul  trono  di  gloria,  qui  troviamo  invece  la  Vergine 
che  l'autore  ha,  quasi  direi,  sorpresa  nell'atteggiamento  amoroso  d'uno  scherzo  materno, 
manifestazione  questa  d' una  concezione  realistica  tutta  propria  del  sec.  .\v.  Né  \i  sono, 
come  nelle  croci  anteriori,  parti  o  figure  ottenute  col  lavoro  del  punzone,  ma  tutte  si  stac- 
cano dal  fondo  ad  alto  rilievo  per  forza  di  martello. 

Quanto  all'autore,  fra  i  tanti  artisti  sulmonesi  che  hanno  il  loro  nome  legato  ad  opere 
ancora  esistenti  e  più  o  meno  conosciuti,  rimaneva  affatto  ignorato  il  nome  di  Nicola  di 
Amico  di  Cicco.  Non  nuova  però  rie.sce  agii  studiosi  dell'arte  abbruzzese  la  famiglia  del- 
l'artista, alla  quale,  assai  probabilmente,  appartenne  un  altro  noto  artefice  del  princìpio  del 
medesimo  secolo,  il  cui  nome  è  legato  alla  cr(x;e  processionale  di  S.  Eusanio  Forconese  (2): 
Amicus  Antonii  Notarii  Amici;  cas<j  non  raro  questo  di  incontrare  membri  d'una  medesima 
famiglia  che  coltivarono  la  stessa  arte  in  tempi,  in  cui,  mancando  le  scuole,  le  arti  si  appren- 
devano assai  spesso  in  casa  propria,  ereditando  in  fine  con  orgoglio  non  solo  il  patrimonio, 
ma  anche  i  ferri  del  mestiere  paterno:  lo  stesso  Nicola  da  Guardiagrele  ebbe  maestri  il 
padre  ed  il   nonno  (3). 

In  questa  famiglia  difatti  sembra  ereditario  il  gusto  dell'arte,  perchè  oltre  i  due  men- 
zionati, nel  catasto  del  1376  dell'Archivio  Comunale  di  Sulmona  son  ricordati  un  Amicus 
Magister  Nicola  e  un   Amicus  Magister  Nofrii  (4). 

Pur  troppo  tra  i  molti  membri  di  questa  famiglia  nominati  nelle  carte  dell'.Archivio 
di  S.  Maria  Annunziata  di  Sulmona  (5)  non  è  fatto  ricordo  di  Nicola,  né  son  potuto  riuscire 
nel  tentati\o  di  una  genealogia  più  o  meno  completa.  Quel  che  par  certo  é  che  il  nostro 


(1)  Anciir;i  ;ill:i   line  Jl    questo    scinln    (1186)  l;i  (4)  (,)iic->l.i  iii'Ii/i.i  l.i  devo  .1II.1  c«rtFsi.i  del  Pr«<. 
cnicc    eseKulta   d.i    M.i>tri)    (jlnvaniil    Jl    Meo   J.i  i*.  Pit:i.'lrllll  di  Siilinnn;!. 

Sulmuna   conserva   il   drattere   Ideale  del  Cristo  (5)  Pansa  e  Piccikilli.  Elenco  delle  c.irte  Jell.i 

vivo.  Cfr.  V.  RMUaino:   L'arte    Abriu/.ese,  p.  84.  Pia  C;is;i  Jl  S.  Maria  Annunciata  Jl  Sulmona.  In 

(2)  Pkcikii  1.1.    A'iisii-xHii    .Ifiruzsfsf  Ji  .S/orùi  parecchie    carte  Ji  questo    elenco   M    Uova    citato, 
lu/  Alti-,  Aprile  iqoo.  come   vivente   In   Sulmona  nel    m«\Je»lmo  giro  «il 

—  Napoli  Hohilissima  l.\,   170.  tempo  in  cui    vivevo  II  nostro    artista,    un  NlcoLi 

(j)  Jkz/i  (ì.  Xiiolii  tilt  d'HiuJitigrelf,  ii>oi.  Amici:  non  Ji  Cicco   peri\,  ma  Ji    J.«cot>ello  e  na- 

l-KRKAm    I).  I'.   \iiotii  (.'iiIIhiiì   da    (,'narJia-  tivo  Jl    PescocoMan/o   e   che   perciò  non  può  dar 

^rrlt.  luogo  a  contuHionl. 


iflO 


artista  esce  da  una  fami<;lia  in  cui  è  viva  la  tradizione  artistica  e  vive  in  Sulmona  nel 
secoli)  XV  c|uando  l'arte  dell'oreficeria,  lasciati  i  tipi  rigidi  e  stecchiti  del  medifjevo,  si  rinnc- 
vella  al  soffio  della  Rinascenza,  per  l'opera  di  Nicola  di  Giovanni,  di  Colella  di  Marino, 
di  Amico  di   Antiinin  di   N<itar    Amico,  di  (jiovanni  di  Marino  di  Cicco  e  di  altri    minori. 


' 

• 

1 

^^ 

i^ 

m.^ 

Diritto  della  Croce. 


/•(>/.   Cari.  Quattincioccht. 


Prima  di  passare  ad  altro  arjiomento  mi  piace  notare  qualche  punto  di  contatto  che 
puij  scori^ersi  tra  la  croce  Ji  Amico  di  Antonio  di  Notar  Amico  e  questa  di  Nicola  di 
Amico,  senza  per  altro  voler  affermare  che  l'una  sia  diretta  emanazione  dell'altra,  ma  volendo 
solo  affacciar    l'ipotesi  di  poter  incontrare  fra  le  due  opere  una  specie  di  tradizione  fami- 


—  i6i  — 

liare.  Oltre  i  soliti  caratteri  comuni  a  tali  oggetti  di  produzione  abruzzese,  i  due  cimeli 
presentano  ai  piedi  del  Crocifissfj  la  Maddalena  genuflessa,  figura  non  comune  nelle  croci 
Sulmonesi  :  in  quella  di  S.  Eusanio,  per  evitare  la  difficoltà  degli  scorci  nelle  gamt)e  l'au- 
tore ha  collocata  la  Maddalena  di  profilo,  in  quella  di  Veroli  l'autore  ha  invece  affrontata 


Ui.\.^clu  Jclla  Ltuve. 


yw.  caa.  i,!tijtOv,t-.tài. 


Il  difficoltà  di  rappresentarla  di  prospetto.  Nel  terKU  poi  le  due  croci  si  richiamano  ancora  di 
più  presentando  la  stessa  disposizione  decorativa  delle  parti.  Di  fatti  in  ambedue,  negli  spaii 
rimasti  liberi  fra  gli  emblemi  degli  evangelisti  e  la  figura  centrale  sorretta  da  so- 

letta, si  trovano  quattro  medaglioni  graffili  e  smaltati.  Il  medaglione  in  allo  è  }v..- ......cola 

.Im.i'nm  •  Anni.  VI  ji 


—   l62   — 

della  figura  che  adorna  il  centro,  mentre  gii  altri  tre  portano  raffigurazioni  di  Santi.  Le 
lamine  elle  rivestono  il  corpo  di  legno  portano,  secondo  1'  uso  invalso  in  questo  secolo,  in 
ambedue  i  lavori,  bellissimi  fogliami  a  sbalzo:  il  nodo  anche  presenta  nelle  due  opere  dischi 
smaltati,  più  semplice  però  e  più  elegante  in  quella  di  Veroli,  complesso  e  con  elementi  di 
transizione  in  quella  di  S.  Eusanio. 

Quanto  al  luogo  della  provenienza  noterò  che  manca  affatto  nei  varii  pezzi  il  marchio 
di  ciintrollu  S  V  L,  che  per  solito  portano  i  lavori  di  tal  genere  provenienti  da  Sulmona (i). 
Non  è  caso  unico  però  trovare  un  oggetto  ritenuto,  o  magari  espressamente  dichiarato,  per 
lavoro  sulmonese  e  non  munito  del  marchio:  accade  —  sembra  —  lo  stesso  per  la  croce 
di  Rosciolo.  11  Gmelin  fornisce  una  possibile  spiegazione  di  questo  fatto  dicendo  che  in 
tali  casi  «  si  tratta  di  lavoro  eseguito  per  incarico  d'un  principe  della  Chiesa,  pel  quale 
r  artista,  trovandosi  di  lavorare  direttamente  alla  dipendenza  del  principe,  poteva  credere 
non  necessario  di  attenersi  alle  norme  della  corporazione.  »  Io  aggiungerò  di  più  che  qui 
può  trattarsi  di  lavoro  di  artista  sulmonese,  lontano  però  dalla  sua  patria,  sicché  l'artista 
si  trovava  a  lavorare  liberamente  fuori  della  giurisdizione  della  sua  città.  In  tal  caso  cre- 
derei il  lavoro  sia  stato  fatto  a  Veroli  e  per  Veroli.  E  prima  di  tutto  questa  cittadina  si 
trova  al  confine  della  provincia  di  Roma  con  1'  Abbruzzo  e  propriamente  con  la  provincia 
di  Aquila,  sicché  non  riesce  strana  una  relazione  fra  i  due  centri.  Secondariamente  nel 
medaglione  a  sinistra  della  figura  centrale  della  Vergine  é  rappresentata  una  santa  con  in 
mano  un  vasetto,  caratteristica  figurazione  —  come  ho  già  detto  —  di  S.  .Waria  Salome, 
patrona  di  Veroli,  la  quale  per  essere  andata  con  le  altre  pie  donne  al  Sepolcro  per  ungere 
il  corpo  di  Cristo  é  sempre,  delle  più  antiche  figurazioni  alle  più  moderne,  rappresentata  con 
il  vaso  degli  aromi  in  una  mano  :  così  di  fatti  è  anche  raffigurata  in  un  polittico  di  argento 
della  medesima  chiesuola,  di  cui  darò  notizia  insieme  agli  oggetti  del  tesoro  della  cattedrale. 

Ben  si  ricollega  a  Veroli  anche  S.  Bernardino  da  Siena,  raffigurato  nel  medaglione  di 
de.stra,  essendosi  qui  trattenuto  con  S.  Giovanni  da  Capistrano  per  fondarvi  un  monastero 
dei  Minori  Osservanti  (2).  La  grande  popolarità  del  Santo,  le  sue  speciali  relazioni  con  i 
Verolani,  i  quali  ne  conservano  ancora  il  mantello  (3),  la  sua  stessa  morte  in  .Aquila,  presso 
Sulmona,  patria  del  Magister  Nicolaus,  spiegano  la  ragione  per  cui  accanto  alla  effigie  della 
Patrona  vi  sia  quella  di  S.  Bernardino,  morto  e  innalzato  agli  onori  dell'altare  pochi  anni 
prima  del    1454,  data  di  questo  lavoro. 

1  santi  del  nodo  si  legano  evidentemente  anche  essi  a  Veroli  ed  in  modo  speciale 
alla  chiesa  dei   Franconi  :  S.  Giovanni   Evangelista  e  S.   Giacomo  Maggiore  sono   difatti  in 

(i)  Gmelin.    L'oreficeria   medioei'ate  negli  A-  (3)  Nella  chiesa  dell'ex  convento  di  S.  Martino. 

briiz~i.  pag.  27.  Sulla  porta  del  refettorio  di  questo  medesimo  con- 

{2)  Capern.4.   St.  di  ì'eroli,  pag.  384.  vento  si  conservava   anche  il  monogramma  I  H  S 

Vecci.    Mss.  Sa/onie  la  Sazila  (nella  Biblioteca  (lesus    Homo    Salvator)    inciso    su    una  pietra  dal 

del  Comune  di  Veroli).  Santo  medesimo. 


—  IÒ3  - 

Veroli  oggetto  di  speciale  venerazione  come  figli  della  Patrona,  S.  Salome;  a  S.  Giacomo 
anzi  era  dedicata  —  come  ho  già  detto  —  -  — -  n:.,,.  :.,  questa  medesima  chiesa.  Una 
cripta  dedicata  a  S.  Onofrio,  ancora   esiste;  ^      •  ;csetta,    spiega  poi  perchè  nel 

nodo  sia  rappresentato  anche  questo  Santo. 

Inoltre  nel  centro  della  parte  posteriore,  invece  del  solito  Cristo  trionfante,  è  sostituita 
qualche  volta  in  queste  croci  un'altra  immagine:  quella  del  santo  o  della  santa  cui  appar- 
tiene la  chiesa  (I).  Orbene  la  piccola  chiesuola  romanica,  che  fino  ad  ora  ha  posseduto  la 
croce,  è  dedicata  a  Maria,  sicché  non  a  caso  si  trova  nel  tergo  di  questo  cimelio  l'imma- 
gine della  Vergine.  Di  più  nel  nodo,  tra  i  medaglioni,  v'è,  come  ho  Jl'Uo,  uni»  stemma 
che   porta   fasce   verticali   d'oro  in   campo   rosso.    A   chi   apparta  -Ila  insegna?   Lo 

stemma  di  Veroli  è  dato  da  tre  fasce  rosse  in  campo  d'oro  ed  io  credo  si  tratti  qui  di  un 
errore  commesso  dall'artefice  nella  disposizione  dei  colori,  errore  non  unico  per  \u  stemma 
del  mio  paese.  Se  da  ultimo  a  tutto  ciò  si  aggiunge  che  non  v'è  né  documento,  né  tradi- 
zione che  possa  farci  attribuire  l'oggetto  in  esame  ad  altra  città  e  neppure  ad  altra  chie.sa,  mi 
sembra  poter  congetturare  che  esso  fu  eseguito  proprio  per  Veroli  e  molto  probabilmente  per 
quella  medesima  chiesuola.  Allora  si  spiega  facilmente  l'assenza  complet;i  del  bollo  di  controllo. 

Sono  inoltre  caratteri  dell'arte  sulmonese  il  titolo  ed  il  nimbo  smaltati,  come  anche  la 
semplicità  delle  pallette  che  adornano  ancora  in  parte  la  croce,  le  quali  invece  nelle  croci 
guardiesi  rappresentano  fiori  o  frutti  (2).  Anche  il  titolo  Y  N  R  I  è  modificazione  della  leg- 
genda più  antica  I  N  R  Y ,  modificazione  do\uta  a  questo  secolo  e  preferita  da  Nicola  da 
Guardiagrele. 

Quanto  alla  disposizione  delle  figure,  noterò  che  per  solito  le  croci  sulmonesi  e  special- 
mente le  più  antiche  presentano  nella  faccia  anteriore,  intorno  al  Cristo,  la  figura  di  un 
angelo  in  aitcj,  della  Vergine  a  destra  e  di  S.  Giovanni  a  sinistra,  mentre  in  basso,  ai 
piedi  del  Redentore,  v'é  qualche  cos:i  che  accenni  alla  terra  e  specialmente  al  Olivano  o 
qualche  cosa  che  ricordi  Adamo.  Solo  «  in  epoca  molto  più  vicina  a  noi  »  —  nota  il 
(imelin  —  v'è  qualche  cosa  di  diverso  e  «  finanche  una  Maddalena  penitente  (3 W.  Qui, 
nella  crinre  di  Veroli,  come  in  quella  di  S.  Eusanio,  abbiamo  proprio  questo  ultimo  caso 
con  una  modificazione  completa  sulla  disposizione  anche  delle  altre  ligure.  Tra  le  tante  e 
molteplici  variazioni  a  riguardo  dei  santi  che  adornano  i  trilobi  di  croci  abbruzzosi,  mi  piace 
ricordare  qui  quella  di  Montepagano,  anche  ess;i  della  fine  del  sec.  XV,  la  quale,  pure 
appartenendo  alla  Scuola  di  l'eramo  (è  dovuta  a  Sante  da  Teramo)  presenta  disposti  in 
iirvliof  :inalogo  intorno  alla  figura  centrale  del  Cristo  i  medesimi  s;«nti. 

Camillo  Scaccia-Scarafoni. 


(1)  Piccirui.i.i.  /.Il  iiio.xini  ii'iirlf  itHtka  ahrHS-         (a)  B.M.IAH0.  Op.  eli.  (Mr.  «i. 
zi-se  in  Chifli.  Lettere  atìlacinto  P.innella,  p.  18.  (j)  Op.  cU.  p-iR.  q». 


VARIETÀ     *     SCAVI 

BOLLFTTINO  •  BIBLIOGRAFICO 

RECENSIONI 

NECROLOGI     *     ATTI    •    DELLA  •  SOCIETÀ 


VARIETÀ 


A  i'KOl'OSITi)  DI  L\.\  RAI-FIGURAZIONE  SIMMOI.ICA 
IN  UN'ISCRIZIONI-:  GRECA  CRISTIANA  DEL  MUSEO  l'iO-UATERANENSE 


Un  giovniic  e  valente  cultore  di  archeologia  cri- 
stiana, G.  Schncidcr,  ha  di  recente  ripubblicato  una 
interessante  iscrizione  cristiana  del  Museo  l'io-I.a- 
teraiiense  con  un  nuovo  e  largo  commento  esege- 
tico sulla  raflìgurazione  simbolica  che  accompagna 
l'iscrizione  stessa  (I).  Sembrandomi  la  nuova  inter- 
pretazione sostanzialmente  errata,  riproduco  qui  il 
monumento  con  qualche  breve  nota  epigralica  (2). 

Il  testo  dell'iscrizione,  redatto  sec(mdo  il  consueto 
formulario  sepolcrale  e  cimiteriale  cristiano,  non  pre- 


turale,  sulla  guida  di  altre  simili  epigrafi  simboliche 
cristiane,  trovar  ragione  di  una  tale  raflìgurazione 
nell'arte  esercitata  dal  defunto  quando  era  in  vita; 
,-'/jòjtv  o,  come  a  torto  si  leggeva,  ,i'ijj£iv,  sem- 
brava troppo  chiaramente  alludere  con  la  presenz.i 
del  bue  all'arte  di  un  villico,  ad  un  bubulcus.  ma 
non  si  riusciva  a  rendersi  conto  del  valore  esalto 
della  parola  ritenuta  dai  più  corrotta  (A\.  Che  cosa 
rappresentava  in  secondo  luogo  il  volatile  con  l'iscri- 
zione   .AMATREV   Taluno  pensò    ad    una    Irascri- 


Tzr 


H  FANTI  GYÌÌ>^  ^ 

rAmO»XFHCT6'te 


.  '  -    -      -^-T 


--•^-  •  -  "-^  -■'* 


(Dal  yuuvo  lUttl.  d' Arch,  crialiana  Xl'il,  igti,  p.  59.. 


senta  diflicoltà  alcuna.  Soggetto  di  discussione  sono 
stali  Invece  i  due  animali  al  lati  deiriscrizionc.  rc- 
canli  l'uno  e  l'altro  un'iscrizloncella  letta  e  interpre- 
tata In  vario  modo  (3).  Qual  rapporto  Ideale  hanno 
i  due  animali  e  le  loro  rispettive  iscrizioni  con  il 
defunto  .'  (Questo  è  il  (jueslto  che  pone  lo  Scluieider. 
.Mihl.imo,  è  chi.iro,  iin'.mitra  (o  papero  a  sinis  ra, 
un  bue  a  destra;  nel  corpo  dell'una  ò  Inscritta  in 
lettere  latine  la  parola  AiV\ATKi.,  nel  corpo  dell'altro 
è  Inscrllla  In  lettere  greche  la  parola  ItoVAI'.IV. 
i'Iditorl  e  counnent.itori  antichi  volevano,  com'è  na- 


(Il  .Vmmm  Unii.  ,/.(..*.  iiKliamu,  X\'U.  lui!    f     •■  -■  ■• 
U}  Ptr  Kenllitt  «nmex^lono  J«l  t*rnf.    (.>.    Marut 

v.ilgrml  Jollu  «(•««>  .  /i,  A>'  lU  cui  «  «lau  Iraiu  In      . 

apprtr^A  n«l  N.  Htii/.  i/'.l#,A.   tru/,   I,  <. 
HI  I'"  1,1  Mhll<>i;r«na  mi  rldtlwu  lnl«am«flM  «H'arlkol»  J«llu 

ScItnvIJpi. 


zlone  Ialina  della  forma  verbale  greca  à«àSic,  Inten- 
dendo, riferito  all'anitra:  ri-^'^it  (di  gracchiare/ ;  altri 
osò  debolmente  avanzare  l' ipotesi  che  la  parola 
AMATRK  scritta  nel  corpo  d'un  animale  dalle  evi- 
denti forme  di  un'anitra  potesse  in  qualche  modo 
sigiiHìcarc  unilra  i5>.  Allontanandosi  dagli  uni  e 
dagli  altri.  Ci.  Schncidei  ha  voluto  vedere  simbo- 
leggiate nella  presenta  dei  due  animali  non  le  cir- 
costanze reali  della  vita  del  defunto,  si  bene  le  sue 
qiialitA  morali  raflìguratc  n."  iba  o    loriora 

inoli  più  aniiraì  da  una  pai:>  Ime  dall  alita. 


«   tllMDIU  I 


•gH  Un»  a  p.  *•,  aou  |. 


Pensa,  stranamente,  ad  una  intima  relazione  tra 
l'epiteto  /.i^r.otó;  e  la  presenza  del  bue,  tanto  da 
l'are  a  /f.^TÓ;  il  significato  di  buono,  paziente 
coni)'  un  bue  (!i,  e  pensa,  riferita  a  Speranzio,  ad 
una  forma  inammissibile  latina  amata-  ^-  amator 
da  amatrix. 

In  verità  né  ■f.^.y^-h-.  epiteto  troppo  comune- 
mente usato  nell'epigrafia  cristiana,  può  avere  il 
valore  specifico  sopra  citato,  né  tanto  meno  può 
farsi  di  un'anitra  un  amator  o  una  amatrix I  11  pic- 
colo mistero  di  quest'iscrizione  cristiana  sarebbe 
stato  più  facilmente  chiarito,  se  si  fossero  esami- 
nate con  qualche  sussidio  filologico  le  iscrizioncelle 
scritte  nel  corpo  dei  due  animali.  HUVAKIN  non 
va  letto  arbitrariamente  né  yyjrtvt  né  Jio'.òtov  (1), 
ma  semplicemente  ,>jjòsiv  eguale  per  lo  iotacismo 
£1:13  ;5ojòiv  una  bella  forma  greco-volgare  del  co- 
mune ,soiòiov,  Poiòiov  o  ^lóòiov,  e  tuttora  vivente  in  al- 
cuni dialetti  neogreci  (Hepithés  Diction.  grec-franf. 
a.  V.)  (2).  11  lapicida  ha  disegnato  con  il  suo  rozzo 
graflito  un  bue  e  v'iia  aggiunto,  secondo  l' uso 
caratteristico  delle  arti  primitive,  la  relativa  deno- 
minazione. 

Che  sarà  dunque  dell'AMATRE  dell'anitra?  Non 
avremmo  anche  qui  lo  stesso  procedimento  primi- 
tivo della  denominazione  dell'oggetto  figurato';' 
L'animale  a  sinistra  é  una  vera  e  propria  anitra  e 
AMATRE  non  può  essere  che  un  errore  del  lapi- 
cida per  .ANATRE,  una  bella  forma  anche  questa 
del  latino  volgare,  da  segnalare  e  raccomandare  ai 
romanisti  (3 1.  In  uno  scrittore  gastronomico  del  se- 
colo XIV  c'è  un  capitoletto  che  tratta   del  Savore 


per  malardi  et  anatre  (4).  Ma  qui  ànatre  è  nom. 
plurale  da  ànatra,  mentre  che  nella  nostra  iscri- 
zione anatre  è  nom.  singolare.  Orbene  II  doppio 
esito  al  nom.  sing.  ànatra,  ànatre  si  spiega  chia- 
ramente se  si  pensa  alle  forme  corrispondenti 
iinata.  ànate  |5)  Per  intendere  bastava  adunque 
leggere  nelle  iscrizioni  quello  che  gli  animali  real- 
mente sono:  un'anitra  e  un  bue. 

Con  ciò  cadono  le  ricercate  affinità  morali  tra  II 
bue,  la  colomba  e  il  nostro  Speranzio.  Il  defunto 
è  verosimilmente  un  villico  povero,  modesto,  at- 
torniato dagli  animali  che  meglio  testimoniano  del 
genere  di  vita  da  lui  vissuta  (6).  Cosi  intesa  la 
presenza  dell'anitra  e  del  bue  sta  a  rappresentare 
nella  mente  dal  semplice  artista,  una  scena  di 
schietto  significato  bucolico  idilliaco,  senza  ascose 
concezioni  simboliche  né  in  riguardo  alla  persona 
del  defunto  né  al  più  comune  e  più  diffuso  simbo- 
lismo sepolcrale  di  cui  tanto  e  cosi  profondamente 
pervasa  è  l'arte  cristiana  (7).  Abbiamo,  artistica- 
mente compendiata,  una  di  quelle  scene  familiari 
che  l'arte  cristiana  derivò  dalla  tarda  arte  classica, 
dai  rilievi  funebri  con  raffigurazioni  relative  ai  me- 
stieri e  professioni  esercitate  in  vita  dalla  persona 
morta  (8). 

Se  altro  significato  simbolico  c'è  nella  nostra  raf- 
figurazione, questo  significato  occorre  ricercare  per 
altre  vie  e  lascio  a  chi  è  più  provetto  di  me  nel- 
l'arte e  letteratura  cristiana,  il  farlo  (9). 


Roma,  febbraio. 


A.\IEDEO  Maiuri. 


(1)  Lo  Schneider  seguendo  il  Garrucci  {Sloiia  dell'arte  cri- 
sliafia,  I,  219).  vede  nel  [Ì0'J^2Lv  una  scrittura  errata  per  Poi?tov, 
il  che  è  foneticamente  ed  epigraficamente  impossibile. 

(2)  Debbo  al  Prof.  F.  Halhherr  la  conferma  dell'  esistenza  a 
Creta  delle  forme  3ou5i  e  [Jo'j'C;  cf.  Hatzidakis.  J-inl.  in 
jieitffr,  Spyach,,  p.  286. 

{})  V.  KOERTING.  L(l/t-:H'tom.  Wiittirybucfì  a.  v.  anatra 
(ediz.    iQoi  e  IQ07). 

(4)  Scelta  di  curiosità  letterarie,  40,  p.  81;  cf.  Archiz'  /. 
latein.  lexicoffr.  ti.    Grammatik.  I.  280  a.    v.    atiitem. 

{5)  Dalle  diverse  forme  che  assume  questa  parola  nei  volgari 
d'Italia,  l'Ascoli  era  indotto  a  far  risalire  ad  antica  età  la  coesi- 
stenza delle  forme  ànatra,  ànitra  allato  ad  ànate,  ànata  {Arch. 
Glott.,  VII.  44}.  nota  5).  La  nostra  iscrizione  conferma  bella- 
mente la  sua  ipotesi  con  la  forma  a«a/^('Taccanto  ad  ànate.  Sul- 
l'epentesi di  r  V.  MnvbR-LuEBKE,  Gramm.  star,  della  lingua 
ital.,   1901,  p.    1  jg. 


(6)  L'anitra  appare  come  simbolo  di 'vita  casalinga,  domestica, 
in  molti  monumenti  del  tardo  ellenismo,  e  sovratuno  nei  mosaici 
e  nelle  pitture  parietali:  rimando  per  tutti  allo  studio  di  L.  Ste- 
PHANI  Compi.  Rend.  de  la  Comm.  imp.  arch.  1863.  p.  24.  62  e 
all'articolo  Ente  nella  R.  Enzykl.  del  Pauly-Wissova  V.  2.  2639. 

(?)  V.  C.  M.  K..KVV>\f,Kti,  Sepulkrale  /enseiisdenkmàler-n.  190-'. 

(8)  Non  si  può  fare  a  meno  di  non  ricordare  qui  il  rilievo  del- 
l' iscr.  C.  I.  !..  V.  6128  riferentesì  all'arte  di  un  veterinario  con 
le  parole:  usus  et  arsque  (sic!)  ntihi  fuerat  studioso  corde  re- 
pella. nta.viina  quadìipedum  cut  a, 

(9)  Voglio  solo  accennare  da  ultimo  ad  un  gruppo  di  stele  se- 
polcrali di  Altyn  tach  nell'Anatolia,  conservate  nel  Museo  di 
Brussa  (v.  G.  Mendel  nel  Bull.  Corr.  Ardi.  1909.  286  sgg. 
n.  45  48):  nella  parte  inferiore  di  ciascuna  di  queste  stele  è  raf- 
figurato un  carro  non  aggiogato.  0  un  carro  tirato  da  un  paio 
di  buoi  o  di  «  zebus  ». 


LW'I'l'K.kAl  !•:   R(;MA\A   Di   S.   M.   SuPRA   MI\1-:R\'A'»> 


In  un  andito  clic  già  mcllcva  dalia  Chiesa  di 
S.  M.  sopra  Minerva  alla  Biblioteca  dei  frali  Do- 
menicani, ora  chiuso  al  passaggio  e  praticabile  solo 
dal  chiostro  del  pal.iz/.o  del  Ministero  della  P.  I., 
erano  sino  a  qualche  mese  fa  alcune  pregevoli  pie 
tre  tombali  e  alcuni  monumenti,  clic  li  restavano 
quasi  inaccessibili.  Il  Doti.  Antonio  Munoz  che  con 
tanto  intcllello  d'amore  cura  la  conservazione  delle 
opere  d'arte  della  nostra  Roma,  pensò  di  farle  ri- 
muovere e  collocare  in  una  cappella  della  Chiesa 
e  precisamente  nella  terza  a  sinistra  della  navata 
traversale. 

Tra  queste  pietre  sepolcrali  è  quella  che  nel  1.573 
Orazio  j-usco  o  |-'oschi  poneva  a  sé  e  alla  sua  ta- 
miglia. 

Il  rusco,  patrizio  romano,  (di  famiglia  già  illu- 
strata nel  Scc.  XV  da  Angelolto,  fatto  cardinale 
nel  I4:!l  da  lìugenio  IV,  poi  arciprete  della  Basi 
lica  Lateranense  e  morto  nel  l-lll)  era  scriba  del 
('omune  di  !^)ma,  carica  da  lui  coperta  ancora  nel 
l.)97,  perchè  comparisce  come  tale  nella  commis- 
sione delle  offerte  che  il  Comune  stabili  allora  per 
la  Chiesa  di  S.  liustachio.  (Ctr.  epigrafe:  I"()kci;i.i_\, 
Ischi,  delle  Gli  tese  ed  altri  edifizi  di  Ronui  II, 
n.  r23K).  Venticinque  anni  prima  dunque  egli  aveva 
nella  Chiesa  della  Minerva  fallo  la  tomba  di  fami- 
glia, mentre  si  compiaceva  di  rievocare  anche  le 
opere  del  suo  illustre  antenato  con  epigrafi  a  S.  Uio- 
vnnni  In  Lalerann  (I'''()i<i-ki.i..\,  Vili,  n.  100)  e  al 
SS.  Nome  di  Marl.i  (Fomckll.v.  IX,  n.  465).  I.'epi- 
gr.ife  della  Mhierva  i;  per  semplicità  e  per  lingua 
veramente  degna  del  classicheggiante  Cinquecento: 
Chr .  Sai .  I  .1  itdreae  proavo  |  Bernardino  avo  i 
Mario  patri  \  l'alvio  fratri  |  Praxedae  mairi  \ 
l'ranfiipaniae  \  sihi  poslerisq.  \  lloralius  l'iiscits 
I  S.I'.QM.  scriba  \  t>.  p.  |  anno  sai.  |  M.Dl.X.MII. 


(C..\lli;tti,  Iscri2.  Romane,  HI   ci.  X\'l,   n.  85  — 
FoRCE!,i..\,  I,  n.  1818). 

Ma  la  lapide  presenta  anche  una  particolarità 
che  riporta  ora  su  di  essa  la  nostra  attenzione. 
Nello  staccarla  dal  muro,  a  cui  adcri  per  più  di  tre 
secoli,  si  constatò  che  la  lastra  marmorea  (lunga 
m.  1.32  e  larga  m.  0,56)  su  cui  è  incisa,  era  scritta 
anche  dalla  parte  nascosta.  Infatti  non  fu  in  oiigine 
che  il  tiluliis  di  qualche  grande  sepolcro  romano, 
con  lettere  bellissime  e  grandi  alte  m.  0,09  nelle 
prime  due  e  m.  I),0(J(>  nell.i  terza  riijai,  del  miglior 
periodo  imperiale  : 

AQVILLIVS    KAVSTl   •   L 
ATIIICTVS 

\'  1  .\  I  T    .    A  N  \  1  S    .    .\  .\  X  I  I 

Originariamente  la  lastra  era  sagomata  ;  ncll'im- 
piccolirla,  con  la  cornice,  spari  la  lettera  ìndicanle 
il  praenomen. 

L'epigrafe,  rimasta,  a  quanto  io  sappia,  finora 
perfettamente  sconosciuta,  (la  cosa  è  del  resto  ben 
comprensibile)  non  ci  presenta  nulla  di  anormale. 
ii  solo  il  ricordo  tombale  di  un  liberto  dal  bel 
nome  ellenico,  di  una  f;eiis  ben  nota  a  Koma.  (Gir. 
p.  es.  C  .  I  .  L  .  VI.  I.'-'.V>  l22tW. 

La  presentiamo  quindi  specialmente  come  un 
altro  esemplo  di  questa  specie  di  p.ilinsesii  lapidari, 
comuni  a  Roma  e  generalmente  fatti  nell'epoca 
cosi  splendida  e  pur  cosi  noncurante  del  nostro 
Rinascimento. 

Ben  lece  dunque  II  |)»tt  .Murto/  a  provvedete 
a  che  le  due  parti  della  Listra  losscto  visibili,  nella 
nuova  collocazione,  a  chiunque  visiti  la  Qilesa  di 
S.  M.  sopra  .Minerva 

<  ,    Q.  UIGLIOLI. 


li)  guinJ»  iiuama  n»l*r«lla  n»  gtt  tUU   «biinpiiu.    Irplcraf*  *   tuu  wllUi  ti*  li.  Mancini  iwll*  .\Mitif  étti»   .v*n  i«m 


,'tNiiifiiif  ■   AniiH   V  t 


S  e  A  V  I 


RlChKCllI'.    l.\l()k\()   ALLAM  riHAlku   Dì   (,()kri\A 
Nl^LL'fSi  )L\   DI  (  i<irrA<*' 


Nei  lavori  di  restauro  ilcll;i  basilica  cristiana  di 
S.  Tito  a  Gortina,  è  venuto  alla  luce,  col  disfaci- 
mento dei  vecchi  muri  dei  due  vani  che  fiancheg- 
giano a  sud  l'abside  della  navata  centrale,  un  tronco 
di  colonna  granitica  di  colore  bigio-azzurrognolo, 
con  larghe  venature  e  insolcature  (fig.  1)  (1);  sul 
fusto  della  colonna  è  incisa  un'iscrizione  di  con- 
siderevole interesse  per  la  storia  della  metropoli 
cretese  sotto  l'impero. 

K  il  primo  documento  epigralico  che  attesti  come 
a  Cortina,  nell'età  imperiale,  si  facessero  giuochi 
di  liere  e  di  gladiatori  secondo  1'  uso  largamente 
invalso  nelle  grandi  metropoli  e  città  dell'Asia  e 
dell'Africa  romana  e  in  qualcuna  tra  le  altre  più 
importanti  isole  dell'Egeo  (2).  La  presenza  visibile 
e  manifesta  delle  rovine  d'un  anfiteatro  di  notevoli 
dimensioni  nella  contrada  ';  tit^  Iwjiviòs;,  a  sud- 
est di  quello  che  può  venir  considerato  il  nucleo 
della  Cortina  imperiale,  dà  alla  nostra  iscrizione 
la  necessaria  riprova  monumentale. 

Non  v'ha  dubbio  che  i  giuochi  di  cui  si  fa  pa- 
rola neir  iscrizione  fossero  eseguiti  nell'  arena  di 
quest'anfiteatro,  mentre  che  gli  agoni  atletici  e  mu- 
sicali di  cui  abbiamo    notizia  da    una   breve  serie 


di  iscrizioni  in  parte  frammentarie  (3),  dovevano 
essere  celebrati,  a  seconda  della  loro  importanza 
e  della  loro  natura,  negli  altri  due  teatri  della 
città  (4),  collocati  l'uno  sulla  pendice  dell'Acropoli, 
l'altro  presso  il  tempio  di  Apollo  Fythios,  e  forse 
anche  nel  piccolo  Odeon  sulla  sponda  del  fiume. 
Non  è  peraltro  necessario  supporre  che  questa  co- 
lonna onoraria  incastrata  nei  muri  della  basilica 
cristiana,  fosse  quivi  trasportata  dall'anfiteatro  che 
trovasi  all'estremità  opposta  della  città  romana.  Es- 
sendo stata  la  basilica  di  S.  Tito  costruita  quasi 
esclusivamente  con  il  ricco  materiale  della  vicina 
agorà  greca  e  del  vicino  quartiere  centrale  della 
Gortina  romana,  par  più  legittimo  supporre  che  la 
nostra  colonna  fosse  originariamente  collocata  o 
nella  sede  amministrativa  e  religiosa  dei  prèsidi 
del  concilio  cretese  {iy/izpi~:  -o'j  xoivou  tCv  Kcr,Ti'.vi, 
o  in  un  altro  qualsivoglia  edificio  pubblico  della 
non  lontana  agorà  romana. 

La  forma  del  monumento  e  la  paleografia  del- 
l'iscrizione ci  richiamano  rispettivamente  alle  più 
tarde  iscrizioni  su  tronchi  di  colonne  in  onore  di 
Massimiano  e  Calerlo  (Arn.Jour.  of  Arch.,  1898,  85 
e  Monum.  Ant.  d.  Line.  XVIIl,  1907,  col.  354  sgg.) 


(*)  Queste  ricerche  epigraficlie  ed  archeologiche  sono  il  frutto 
J'un;t  breve  esplorazione  fatta  nel  territorio  di  Gortina,  durante 
la  campagna  di  scavo  della  Missione  archeologica  italiana  a  Creta 
nell'estate  del  igii. 

(i)  Essendo  stata  drizzata  presso  Tabside  della  chiesa  con  la 
base  ancora  interrata,  non  posso  dare  un'esatta  misura  della  sua 
altezza  e  dei  suoi  diametri:  non  tenendo  conto  della  parte  afton 
data  nel  terreno,  esso  misura  ni.  1.48  di  altezza;  m.  1.84  di  cir- 
conferenza massima;  m,  0.5S  al  suo  diametro  superiore. 

(2)  Sulla  propai;azione  dei  ludi  gladiatori  nell'oriente  v.  FrieD- 
LANDER  Sìttmgesili*.    11,    p.  Ó15  sgg. 

(3)  Eccone    l'elenco   completo    per    (ìortina  :   C I G.  17 ig    (mi 


riservo  la  collazione  di  quest'iscrizione  in  un  articolo  a  parte); 
Mommi,  ant.  Line.  Il,  col.  298;  IG.  Ì'JI,  1859;  Amnic .fouìtt. 
iif  Arch.,  1897,  p.  179  sg.  n.9;  liph.  Epi^'.  VII,  p.  424.  n.  2: 
assai  probabilmente  anche  il  frammentino  Aìiwì-ìc.  Jom-n.  189S, 
p.  84  n.  8  per  la  menzione  che  in  esso  si  fa  di  or.vàpia  "V/ . 
{4)  L'iscrizione  pubblicata  in  .■imr'n'c.  /omri,  of  Atch.  1897, 
p.  179.  n.   9  ha    Ai-Jx:or  "^o•Jplo:  .\£'Jxt'>'j['Jiò;]  •tcr).£pva 

senz'altra  indicazione.  È  da  augurarsi  che  lo  scavo  completo  del- 
l'Odeon presso  il  Letèo  valga  ad  illuminar  meglio,  storicamente 
e  topograficamente,  le  questioni  relative  alle  solennità  e  ai  ludi 
del  concilio  cretese. 


Io 


e  ai  frammenti  gortinii   editi   in   Mon.  fAnt., 
I.  e,  col.  351,  n.  l;  col.  3.54,  n.  8. 

Alla  trascrizione  del  testo  accompagno  (  fig. 2 1 
una  fotogralia  dell'iscrizione  ricavata  dal  calco. 
Insieme  con  l'iscrizione  greca  non  posso  dare 
il  testo  d'una  assai  minore  e  più  tarda  iscrizione 
sepolcrale  latina  che  trovasi  incisa  a  lato  del 
testo  greco.  Le  condizioni  sfavorevoli  di  luce 
m'impedirono  sul  luogo  di  ricavare  una  copia 
diretta  dall'originale,  e  il  calco  non  è  bastato 
da  solo  a  togliermi  le  difficoltà  d'una  lettura 
assai  faticosa. 

[{:-.'/')    '!>).(  iO'J'.'jv)   'l'jiX'.OV    brAoipiOV 

i2»Jl;~vov,   TO'/   ài-7.«P  *    -'j5 
xotvoù  Tòlv  Kf  r^Tùiv  to   'fi , 
ij.',v'jv  Kpitòlv  ì/<iT.i  ■/.i-'i  Sitav 
5     \fi.-[rCk','im'J'.').'i  52iTpo/.'jvr,Y£':t<o/ 


—  Un.  4-5  KIT»  stliv  ^vjXoìuf'.av.  Un'espres- 
sione equivalente  (:'/  st'i;  ;xrr'''"'^-'.=  -';'  si  ha  nel- 


Tiiijfac  Tf£i; 


;'v  a'.;  «;:05pì$«t  5>lj-'.« 


óaa  aitò;  £|5ouX:-o,  a'.ir,ioxovTf<uv  ui 
f,;iipoi;  xarà  ti   £5>i?  TfcT;  l'ov  èv  ÉxÌ5Tr,(i) 
■Jeuy'i  à-ÓTo;ia  Suo  xa't  STjpia  i^axTi, 
10  ti;  5:  tGjv  iiovoiia/iOv  >)iUpa;  tiaaasa; 
óiv  tv  £XÌ-JTr,(i)  ^sCyr,    ;  !:ÓT<>(ia  rliiapa, 
ti  Sì  irióX.i;:»  !I;ÌY'i  "•'H'O  ''!''  "5'i|,5j*'(0' 

tÒv    'jOtiu   ^tX'iTJHJ.T,'jÌ|iXVOV   (ióvo»    Kpr,TtiJV, 

Aùf.(T,XiO{)  'IouXiavó{.  KX(3UÒto;)  Nti'Otvòoo;, 

KX(3uSt'i;)   IItoXeiiiTo;, 

15  Aùp(i,Xio?) 'Uniij;  ròv  nOYXfiT'iv  •.•Xov  x»"t 

lJ((/YÌrr,v. 

—  lin.  1-2.  Con  Tito  l-'Iavio  Voluinnlo  (I) 
abbiamo  un  .nitro  nome  da  aggiungere  alla 
scarsa  serie  dogli  à,i/'.£o:T;  cretesi  (J).  Di  questa 
importante  magistratura  religiosa  appaiono  ora 
per  la  prima  volta  a  Creta  meglio  determinate 
le  speciali  funzioni.  Vanhkrens  è  preside  del 
concilio  e  preside  dei  ludi  che  istituisce  a  pro- 
prie spese;  esso  può  vcTiir  riconfermato  nella 
sua  carica  che  non  può  essere  stala  che  an- 
nuale; in  nulla  adunque  dlfTcrlscc  ncll'etA  ro- 
mana il  »oivòv  tOv  KjinTiTiv  dagli  altri  concili 
provinciali. 


(i)  D<lla  giinl*  VolumnlA  a  Cn-ii  «i  in..  \.>linnlo  ikiWiUir 
In  Viiliimnia  CnUJa  di  Ju*  Iwrl/  \Jiianu.  .1/.. 

i/fi/.  i/'ttHt.  #/.  tu,  p.iot,  704;  if.  /  '■'*m.  »  V 

(i)  Trr  Altri  i^r^niiituitl  ioninctainti  <iin  II  iMnIii  Jl  (I»,'Ai/i^mi 
(v.  IMwiiilM  In  l'ni.m.  /</ic'.,  a  v.  (.rela)  •  Jl  un»  via  M 
•Mi  la  maiflMraiuia  e  Jatabllv,  ai  !..  F la viu  SulpUUnu  Do- 


Ut    >■ 


iì>*  lu  *iv  l»'«'iru*  iw'Ì"a     i  I*- 1  i- 


tkMtT    «MA*    m*    «UKK***Ul    ^   V*  HK»a» 


12 


.lV'i/\i\/l,^l%v/x\i  i  ' 


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'■■■ '^i'Vj'M'jj  '  !- 


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./;HM.:«!lU-tli 


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'Ì\iì  'A 


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Fig      2. 


/■fotografia  dal  calco' 


13 


14 


l'iscrizione  CI.  G.  3422  (Phyladelphia),  anch'essa 
rela(iva  ad  unarcfiiereus  istitutore  di  ludi  gladiatori. 

—  Del  composto  SiaTooxjvr.y'a'.ov  non  ho  trovato 
altri  esempi  all'infuori  di  Justinian.  Nov.  lu'.,  cap.  1 
(5:7Tpo/.jvr,Y:7'.'jv  e  ijaTsoxjvrjiov);  il  suo  corrispon- 
dente latino  sarebbe  «  venationes  scenicae  •-. 

—  In  i-,7fì;«'.  àr.i'.a  ',Tx  ajT'<;  ìyij'/.ii'j  si  ri- 
specchia uno  dei  momenti  piti  drammatici  delle  lotte 
cruente  dell'arena;  zW'editor  munerum  ncWc  città  di 
provincia  erano  riserbati  gli  stessi  privilegi  di  cui 
godeva  l'imperatore  negli  anfiteatri  di  Roma,  il  di- 
ritto di  vita  o  di  morte  sui  gladiatori  e  sulle  belve. 

—  l'.Sr.iiozóvTp'jJv  è  parola  nuova  ;  sono  le  armi 
dei  venatores  che  combattono  contro  le  belve  ar- 
mati di  schidioni  di  ferro  (1).  Una  conferma  se  ne 
ha  nel  composto  z'>vToo/.jvr,YJ7'.o/  che  ricorre  nella 
già  ricordata  iscrizione  di  Phyladelphia  C.  I.  G. 
3122,  e  che  venne  già  spiegato  in  tal  senso  dal 
hVanckc  e  dal  Boeck  (2).  Un  particolare  che  si  ri- 
leva dalla  nostra  iscrizione  è  che  anche  nelle  lotte 
tra  belve  e  gladiatori,  questi  ultimi  mantengono 
la  loro  indivisibile  unità  di  cumballimento  scen- 
dendo nell'arena  a  coppie;  non  mi  par  giusta 
quindi  l' interpretazione  proposta  dal  |-'rancke,  ac- 
cettata dal  Boeck,  del  passo  dcll'iscr.  C.  /.  G.  3-t'22: 

òóvT»  y.'i<f:;j'jxnrffii:'j'/  :vó!Jjyov  j:tót'j;i'<v,  dove,  se- 
condo il  l-rancke,  sì  avrebbe  un  genere  di  lotta 
in  cui  un  certo  numero  di  singoli  vcnalores  com- 
battono con  altrettante  belve.  L'espressione  x'jvtvj- 
xuvjjYiitov  é7Ó!JuY''v  non  può  significare  che  una 
venatio  in  cui  una  sola  coppia  di  gladiatori  com- 
batte contro  un  certo  numero  di  fiere  ;  non  si  può 
pensare  inralll  che  c/óJjyov  sia  l'epiteto  d'un  uomo 
e  d'una  belv.i  .lilrdnt.itl,  né  tanto  meno  valga  (|u,nilo 

—  lin.  13.  Par  difliclle  poter  dire  a  qual  genere 
di  lotta  e  di  arma  si  allud.i  con  l'espressione  -.<'< 
!i\i\  3iòr|f,i.i;  ó^.T»  non  possono  che  essere  armi 
aguzze  o  taglienti,  ma  si  tratta  di  un'arma  spe- 
ciale (3),  o  di  l'ondi/ionl  geneiall  In  cui  avveniva  il 
coinballimcntii  i  V.  da  notare  (|ui  l.i  precisa  inen/.ii)ne 


dell'ordine  in  cui  si  seguono  i  vari  ludi  i4):  ab- 
biamo tre  giorni  di  venationes  con  combattimenti 
di  fiere  con  fiere:  altri  tre  giorni  di  venationes 
con  combattimenti  di  fiere  con  due  coppie  di  gla- 
diatori al  giorno;  infine  quattro  giorni  di  lotte  gla- 
diatorie con  quattro  coppie  di  combattenti  al  giorno; 
in  tutto  dieci  giorni  di  ludi  ('>)  con  un  numero  di 
coppie  di  gladiatori  che  può  essere  calcolato,  man- 
condo  il  numero  precìso  delle  altre  che  combat- 
terono Tu  òJeT  j'.ÒT.^.i,  dalle  venti  alle  trenta  coppie. 

—  lin.  l.S-16.  L'uso  del  gentilìzio  imperiale  Ai;.  J.Xio; 
adoperalo  come  prenome,  ci  porta  dì  necessità  a  fis- 
sare come  terminits  post  qiiem  della  redazione  del- 
l'iscrizione l'a.  212  (Dittenberger,  Sylloge^,  HO,  n.  7). 
Alcuni  dati  ulteriori  che  si  ricaveranno  da  uno 
studio  del  materiale  architettonico  dell'anfiteatro,  ci 
indurranno  ad  ammettere  che  i  ludi  presieduti  dal 
sacerdote  T.  Flavio  V'olumnio  cadono  nel  periodo 
più  fiorente  dell'anfiteatro,  non  molto  d>>po  cioè  la 
sua  costruzione  e  la  sua  decorazione  monumen- 
tale (ti). 

La  scoperta  dì  quest'interessante  iscrizione  indusse 
In  Missione,  durante  il  lavoro  di  scavo  da  css.1 
iniziato  nel  quartiere  romano  del  l'ythion  e  nel- 
l'Odeon, a  tentare  qualche  ricerca  ncll' anfilcalfo 
gortinio,  una  delle  rovine  più  vaste  ma  più  mal- 
conce  della  città  imperiale.  Oltrepassata,  in  dire- 
zione da  ovest  a  sud-est.  la  linea  del  quartiere  cen- 
trale del  Pythion  più  frequente  dì  rovine  e  di 
frammenti  architettonici  e  statuari  largamente  dis- 
seminali nei  campì  e  nelle  macerie,  si  scoprono  I 
pochi  ruderi  dell'anfiteatro  che  chiudono  da  quella 
parte,  verso  il  villaggio  del  SS.  Dieci,  il  quadro 
delle  ^r.indi  rovine  romane  di  (jortina.  I  ruderi 
segnano  come  II  coronamento  d'una  breve  altura 
racchiusa  da  due  lati  da  una  fitta  vegetazione  di 
grandi  ulivi  :  si  disegna  perspicua  la  forma  della 
cavea,  mentre  in  mezzo,  al  posto  dell'alena,  tra  un 
ammasso  informe  di  blocchi  di  c.ilcestruzzo,  cresce 
un  piccolo  bosco  di  pruni.  Più  oltre  verso  il  vil- 
laggio non  si  scorgono  altre  rovine  Imponenti  ;  Il 


{iifxtrrt.  Jahrfyktfte,  IX,   iqoA,  p.  40   «se.)  A   propiMltn   Jrll.i 
ilUFoilono  «ulln  ilItleicnM  Jvi  dna  lllnll  di  Atta  ri  ha  e  kyi\ 
ptu;  to«  xiivoù  TT,;  '.\il»:. 

(1)  Il  l-'ranckc.  h'tfhUtuhr  ttiHhr,,  p.  i8q>o8,  fa  avrlvaio 
xnvTpo  Ja  una  fnrma  «Ininpala  Jl   X'>vTipi4'i. 

(«)  Dn  *i«M/#*>*i«/'tf#-.im#i  ci  off»*'  la  pIMura  J'un  n>o\aivo  p^tm 
pelano  {/tnltrlt,  mi^*i.  IV,  tav.  I|,  cho  rapprv^nu  (■<-»»d/.'»/,  ar- 
mali Jl  «cliLlliini  Ja  cacv'la.  Sulla  JimcnliA  che  olTrt  lo  «luJIo 
deli'armaliiia  Jvi  r>-Hii/ii>ri  v.  J.  t'.  MlUliH  In  M>»«/>  ./iiArAN,  *<■>. 
vili.  I.XXI.  p.   Ili  IKK. 

Il)  Adi».  <>ttl<ìiq<<  •  «tela  «unii  plct'ull  tituminil  ihlruiclil 

ir.    IIIIWWIIHIIIIN,    /.fili.    IHffl.   a    V. 


(%>  I:  n«(:0««arki  *uppn«rv  ih*  I  itwi'^ 
pi*  (li  'jr'i)'«Ri  It'jff,)  min  a\<Tr 
i«>  I  ludi  a%^«««fii  duralo    un   lompo    1- 

a\i»Mi«  manialo  di  dirlo.  pii4.h«    la    i*^  '  1 

«ra  llloVi  di  minor*  o  «JCB^i**  t«n*iB#fvaja  da  p««l*  il*U  m^Im*- 
r*u«  of>nrato. 

IM  AlI'vpiK  ,  ^ 

ranhtrjitii  dt 

r*latliT  atM  Impciat:'^    ^^    ^  V  ctu  41.  .' u.  «Ut.  Jvt<: 


15 


i6 


terreno  continua  ad  essere  cosparso  di  mattoni  e 
di  cocci,  ma  la  mancanza  di  vestigia  di  muri  di 
grande  spessore,  fa  ritenere  die  i  quartieri  ricclii 
(Iella  città  non  oltrepassassero  la  linea  dell'anfi- 
teatro. Alla  rovina  di  questo  ha  contribuito  non 
poco  la  sua  vicinanza  all'abitato  moderno;  era  l'è- 
dilìcio  che  offriva  più  facile  messe  di  marmi,  di 
blocchi  di  pietra,  di  mattoni.  In  pochissimi  punti 
si  conserva  lo  spessore  originario  dei  muri  ;  la  cor- 
tina di  mattoni  appare  dapcrtutto  sgretolata,  e  nei 
ruderi  più  grandi  si  aprono  enormi  breccie  che  qua 
e  là  hanno  causato  la  caduta  delle  parti  superiori. 

In  queste  disgraziate  condizioni  fu  veduto  l'anfi- 
teatro di  Cortina  anche  da  viaggiatori  più  antichi 
quali  il  Pococke  e  lo  Spratt  ;  il  primo  di  essi  pur 
dando  alcune  misure  dello  spessore  dei  muri,  della 
largliezza  e  profondità  delle  volte  ancora  visibili 
della  cavea  e  segnalando  alcune  singolarità  della 
costruzione  di  cui  diro  tra  breve,  non  distingueva 
più  se  si  trattasse  d'un  teatro  o  d'un  anfiteatro  (I); 
più  tardi  lo  Spratt  rinunciava  a  dare  misure  meno 
sommarie  dell'edificio  allora  in  completa  rovina  (2). 
Più  fortunato,  o  più  ardito,  del  Pococke  e  dello 
Spratt,  nel  sec.  xvii,  Onorio  Belli,  medico  e  bota- 
nico a  Creta  agli  stipendi  della  Rppubblica  di  Ve- 
nezia, riusciva  a  dare  nei  suo  prezioso  manoscritto 
contenente  una  descrizione  dell'isola  di  Candia,  una 
pianta  completa  dell'anfiteatro  di  Cortina  e  di  quello 
più  piccolo  di  lerapitna. 

Disgraziatamente,  nei  molti  manoscritti  derivati 
dall'originale,  che  sembra  irrcmediabilinente  per- 
duto, del  Belli,  mancano  del  tutto  le  piante  dei  due 
anfiteatri.  Isella  descrizione  non  ci  resta  che  un 
monco  estratto  di  Apostolo  Zeno  (3),  e  una  breve 
notizia  di  Scipione  Maffei  (Verona  ili.,  parte  IV,  63) 
che  potè  consultare  i  manoscritti  del  Belli  con  i 
disegni  e  le  note  relative  ai  due  anfiteatri:  « . .  cinque 
«  anfiteatri  nomina  altresì  dei  quali  parveglidi  veder 


"  vestigio:  anzi  di  due,  l'uno  a  Cortina   l'altro  a 

Gcrapitna,  ne  forma  e  ne  rappresenta  i    disegni, 

>'  secondo  l'uso  comune  come  se  gli  avessi  trovati 

<-  interi  e  perfetti.  Di  quello  di  Cortina  [ch'ei  rap- 

<  presenta  secondo  il  costume  con  pianta  affatto 
«  simile  a  quella  del  Coliseo  romano  nel  portico 
"  raddoppiato  e  nelle  quattro  vie  diametrali,  benché 
-  poi  di  soli  archi  .')6]  dice  ch'era  tutto  di  mattoni, 
«  e  senza  nissun  ornamento  d'architettura  (4),  il  che 

<  m<i|  potrebbe  credersi  d'anfiteatro  in  un  paese  dove 
«  gli  edifizi  publici  erano  di  pietra  et  ornati  :  ag- 
t'  giungerò  che  tal  fabrìca  si  mostra  attaccata  al 
<!  Foro  della  città,  dove  gli  Anfiteatri  solean  essere 

fuori  delle  mura    . 

Dato  questo  contrasto  di  opinioni  e  la  scarsità 
delle  notizie  che  si  hanno  sull'anfiteatro  gortinio, 
non  sarà  inutile  di  comunicare  sin  da  ora  i  risul- 
tati di  uno  studio  preliminare  e  di  un  breve  saggio 
di  scavo  che,  benché  non  esteso  per  ristrettezza  di 
tempo,  ad  una  vera  e  propria  ricerca  topografica, 
ha  dato  tuttavia  notevoli  contributi  ad  un'ulteriore 
e  più  completo  studio  del  monumento. 

La  pianta  qui  appresso  (fìg.  3)  venne  ricavata  da 
E.  Stefani;  essa  non  può  giovare  che  a  dare  un'idea 
delle  rovine  ancora  visibili  dell'anfiteatro.  A  Sud-Est 
e  ad  Est  appaiono  i  muri  trasversali  che  sorreggevano 
le  volte  della  cavea;  lungo  il  lato  occidentale  ri- 
volto verso  la  città  si  ergono  ancora  imponenti  le 
masse  di  due  avancorpi  che  sporgono  sensibilmente 
dalla  linea  dcH'ellisse.  Queste  due  ale  dai  muri 
perfettamente  rettilinei  si  offrono  subito  airocchio 
dell'osservatore  per  una  relativa  migliore  conserva- 
zione, e  per  la  loro  irregolare  deviazione  dall'or- 
bita dell'ellisse.  Furono  osser\'ate  anche  dal  Pococke 
che  riconobbe  in  esse  due  torri  quadrate  con  scale 
neirintcrno.  Cli  avancorpi  si  compongono  infatti 
rispettivamente  di  un  grande  nucleo  di  muro  di 
notevole    spessore    con    un    nicchione    aperto   sul 


(1)  Pococke,  Descril>l.  of  Ihr  liasl.  II.  p.  252  «Thenearest 
ruin  to  that  village  is  a  building  wich  was  doubtless  either  a 
theatre  or  amphitheatre,  but  it  is  almost  entirely  destroyed;  it  uas 
cased  with  large  brick.  the  walls  are  foni  feel  thick,  and  \\ 
was  about  a  hundi  ed  and  fi/tv  feet  in  diameter  in  the  area 
wilhin.  The  arclies  a  wich  the  seats  where  built  are  tweniv  t:uo 
feet  Jeep  and  fotti  tcnt  lioad  :  there  is  another  walt  ten  feet  more 
to  Itie  «est.  and  there  seem  to  have  been  two  square  touers,  and 
is  designed  for  stair-cases;  but  I  cannot  certainly  say  whether 
there  were  any  arches  on  this  side  :  it  does  not  appear  that  tliere 
where  towers  in  any  other  parts  :  As  the  building  is  not  large. 
I  am  inclined  to  think  that  it  was  a  theatre  >». 

(2)  Spratt.  r>av.  a.  K/-si-anh.  m  CrrU,  li,  p.  55:  u  The 
amphitheatre  is  stili  recognizable  by  its  form  ;  1  made  it  to  be 
nearly  300  feet  in  long  diameter;  but  it  is  not  easy  to  measure 
it.  The   area    within    is   hardly  to  be  distinguished,  nor  are   the 


wauits  or  arches  upon  wich  it  was  supported  wery  evident.  e.xcept 
two  or  three,  ali  being  a  heap  of  rubbish  and  brushwood,  forming 
one  of  the  most  conspicuous  mounds  in  the  place  ». 

(ì)  Questo  estratto  venne  in  gran  parte  utilizzato  dal  FalKENER, 
Descriptio»  of  some  Theatres  and  other  remains  in  Crete  (per 
quel  che  riguarda  l'anfiteatro  v.  a  p.  22  sg.). 

(4i  It  .Maffei  non  ha  qui.  forse  per  troppo  amore  della  sua 
tesi  che  non  ammetteva  anfiteatri  altro  che  a  Roma  e  a  Vert>na, 
fatto  un  sunto  fedele  del  manoscritto  del  Belli.  Da  quanto  risulta 
dall'estratto  di  Apostolo  Zeno  (F.\LKENER.  I.  e),  il  Belli  notò  la 
completa  mancanza  di  abbellimenti  architettonici  sulla  fronte 
esterna  dell'antiteatro,  ma  potè  anche  osservare,  nell'arena,  molti 
frammenti  di  colonne  cadute  da  un  portico  superiore  interno.  Un 
breve  sca\'0  ha  provato  che  l'anfiteatro  era  tanto  internamente 
che  esternamente  decorato  con  ricchezza  architettonica. 


17 


i8 


lato  esterno  e  di  due  piccoli  muri  paralleli  a  cui 
veni^ono  ad  appoggiarsi  le  volte  d'una  scala  a 
rampe.  La  presenza  delle  scale  in  questa  specie  di 
torrioni  chiusi  fa  pensare  che  essi  avessero  uno 
scopo  non  diverso  da  quello  che  nell'anfiteatro  di 
l^ola  avevano  degli  avancorpi  simili  collocati  sulla 
facciata,  in  mezzo  presso  a  poco  alle  parti  dell'edi 
licio  die  erano  comprese  fra  gl'ingressi  princi- 
pali (  I  ).  Come  '  torrette  -  si  presentano  i  quattro 
avancorpi  dell'anliteatro  di  Pela,  e  un  sistema  ana- 
logo di  scale  a  rampa  conduce  nel  loro  interno 
fino  agli  ultimi  gradi  della  cavea  (2).  Se  poi  tali 
■<  torrette  '  nell'anfiteatro  di  (jortina,  disposte  come 
erano  sulla  fronte  occidentale,  servissero  a  masclic- 


a  pochi  metri  di  distanza  dalla  fronte  occidentale  e 
dalla  nicchia  dell'avancorpo  di  Nord-Ovest:  essa  af- 
liorava  il  terreno  con  la  sommità  del  busto  mozzo 
del  capo.  Scoperta  anni  or  sono  dai  contadini  del 
luogo,  venne  rinterrata  per  insufTicienza  dei  mezzi 
di  trasporto:  la  testa  allora,   o   p-  "ora.   fu 

spiccata  dal  busto  e  potè  essere  i.  ijl  Mu- 

seo di  Candia  (->).  Mancando  una  iuiugufia  della 
statua  condannata  a  rimanere  chissà  ancora  per 
quanto  tempo  al  suo  luogo  d'interramento,  si  volle 
trarla  di  nuovo  in  luce  perchè  da  uno  studio  an- 
che sommario  di  essa,  potesse  ricavarsi  qualche 
buona  congettura  sul  tempo  della  costruzione  e 
della  decorazione  architetlimica  dell  anfiteatro. 


x: 


c<- 


'T^' 


Tkh 


/ 

•-■V.  TI 


CCto 


rare  anche  un  rafforzamento  dì  l|ll>.^l.l    p.uU'    di.'l 
l'edificio,  non  sappiamo  (3). 

I  due  avancorpi  dell'anlitentro  di  (jortina  erano 
pcraltrii  decorali  come  tutta  la  fronte  esterna  del- 
redillcio:  le  grandi  nicchie  che  s'aprivano  sul  lato 
esterno,  dovevano  contenere  statue  colossali  al  pari 
dei  più  sontuosi  anfiteatri  dell'Asia  e  dell'Africa  ro- 
lli.ma.  Una  di  queste  statue  è  stata  rimessa  In  luce 


I'.  un.i  sl.ilu.i  cdIoss.iIc  .riI.ii.i  ^ii^  I'  (>  il  un 
personaggio  virile  seduto,  tulio  avvolto  nello  hima- 
tion.  Il  cui  orlo  superiore  raccolto  in  un  groppo  di 
pieghe  e  rigettato  sulla  spalla  sinistra,  lascia  ve- 
dere In  un'apertura  triangolare  sul  pedo  unchiton 
aderente  r  chiuso  fin  quasi  all'attacciitura  del  collo. 
La  mano  destra  i monca)  sporge  dal  lembo  dello 
himation  arrovescialo  sul  petto,  mentce  la  sinistra 


.11  MUAKI  o  HllVUTT.  .Vm///.  iiN.r  ao/i^li.  tf.itk^mfi.  Iiim. 
IV.    I,   pi.   ),  6,    T,   i'(.    DAMII.MIIIlWtl-SAaUO,   IHflIommairf   Jrt 

untili.  I  p.  •4  1  «It. 

(>)  STANt:<)VU  II,  .iMllIfiUfi  ,li   /W.i,  p.  ». 

(  I)  Corto  é  t'ho  J'tin  «Utrmn  Jl  conlrjiniiftl  Appi>i[el(itl  «lUi 
liiMilo  J'un  nnlilMIrn,  .ihMdinn  m  CreU  un  0««mptu  «Icurn  imI- 
ruiiliIMlrn  ai  Icrdpliim  :  ii  ,|ui!>iii  ili!U«iJii  la  imlmonUniii  Jl 
<  >iinilii  Utflll  (ippdro  t*«pMi  It4:  Mai  i  i.i.  I.  v-  «  AdarmA  ,|uc«r  Auuirv, 
cli'arit  liK'itvdiii  iiA  Jtw  iiillinvilw  «  lIw  p«r  Unir  riiv«i<i  asmii 
Inllii    \\ì    lo   punii*   \n\  LonirAfniil  Jl  muraiillii  «ik1«  \9nt*  nriu- 


mento,  •  fl\« 

tra  4|u«%il  ri.i 

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por  •>*  Jal  !<•    I«M 


19 


Fig.  4   —  Statua  dell'Antiteatro  dì  Cortina  (,Fot.  Maiuri) 


22 


periata  all'  altezza  della  coscia  recava  nel  pugno 
chiuso,  ora  fratturato,  un  attributo  (1).  Dei  piedi, 
calzati  dei  sandali,  legati  da  un  sistema  semplice 
e  solido  di  corregge,  il  destro  è  proteso  in  avanti 
lin  quasi  sull'orlo  del  plinto  e  poggia  con  tutta  la 
pianta  sul  plinto  stesso,  mentre  il  sinistr-  -  •-  ■■ 
indietro,  è  alquanto  sollevato.  Il  corpn 
posa  sopra  uno  sgabello  ricoperto  da  una 
stoffa  greve  pesante,  di  cui  appare  un 
lembo  sporgente  a  destra,  ma  non  vi  s'ab- 
bandona in  altitudine  di  stanchezza  o  di 
riposo,  che  anzi  resta  diritto  solenne- 
mente dall'  addome  in  su  l'ampio  torace 
e  tutta  la  lìgura  seintira  vigilare  in  un'at- 
titudine di  calma  compostezza,  di  dignità 
e  d'imperio. 

l.a  testa,  a  quanto  appare  dalla  super- 
lìcie  di  frattura,  è  stata  spiccata  dal  busto 
a  colpi  di  scalpello;  il  taglio  e  quasi  ret- 
tilineo tanto  da  far  escludere  che  una  testa 
di  adeguate  proporzioni  vi  si  innestasse 
e  vi  restasse  comunque  sorretta. 

Per  quanto  il  carattere  decorativo  della 
statua  trasparisca,  ad  un  esame  dei  par- 
ticolari, per  pili  lati  evidente,  sovralutlo 
dalla    lavorazione    affatto   sommaria  del 
dorso  appiattito,  con  poche  pieghe  sfug 
genti  abbozzate  sulla  stoffa  dello  liiniation, 
pur  tuttavia    il    motivo   di   questa    figura 
sedut;i  con  un    abile    inclinazione    della 
parte  inferiore  del  corpo  ad  evitaicii  pe 
ricoloso  effetto  del  raccorciamento  delle 
figure  assise,  con  una  felice  disposizioni- 
delle  gambe  e  dei  piedi,  adatta  a  togliere 
l'impressione  d'immota  stasi,  e  linalmente 
il  partito  tratto  dall'artista  dal  ricco  e  va- 
rio complesso  delle  pieghe  del  mantello, 
non  rinunciando  a  far  sentire  sotto  l'am 
pia  stoffa  la  vigorosa  muscolatura,  fanno 
riportare  questa  statua,  di  epoca  rcmana, 
ai  bulini  modelli  di  sl.iliic  drappeggiate  sedute  della 
tradizione  ellenistica. 

I.n  stallia  non  poirchbe  rivelare  di  per  s6  la  na- 


IIì: 


tura  del  personaggio  ciie  rappresenta,  se  non  d 
soccorresse  la  testa  del  Museo  di  Candia  (lìg.  .5) 
che  sicuramente  le  apparteneva;  le  proporzioni  sono 
adeguate  (2),  le  superfici  di  attacco  delle  parti  tron- 
che (busto  e  collo)   si    ricunnettono  (3),  identiche 


l'I  ai  Anionlnu  Pia.  .\tuMo  ,11  CinJU  |F<>I.  Hail'hon 

accurata  dell'artista.  E  la  testa  toglie  ogni  dubbio 
sul  carattere  del  personaggio:  IrallasI  d'un  Impe- 
ratore barbalo  del    llpr)  dello  lamlglia  degli  .\nli>- 


(0  1.A  fraHur.i  non  ^  Jl  vrcrhln  Jiiiii:    Kvnic  Jet  lunt*i*  t*\il'  \*)  Dlmrn\l>>ni 

iniinlrt   Jl   avtì  vejutii  nrlU  mami  StWttgtifmii  una  \«t)iA  «    U  nuc«  m.  >    . 

pn^UJoni*  Ji<l  brncclfi  e   a«l    moiu  tiorlmi    |Mtlr0bt««rn   ctinr#imdr«  m,  o,  |«, 
•lue^tii  iu>ilniitnluniA.  Ni>n  v  Ja  e«clutl«rv  p«fAtlrn  un  tuinln,  ca(n«  (il  II 

»t  tin  nella  sljthiA  Jl  l:tyrn*  (v.  AppiMMi).  —  Ijt  frAllufA  J#v<t  m  «ull.t  \t-v 

Mtrp  AvvoniilA  In   un  rlniprr»  pr«ilptti>Mt  fAMo  voi   mAirrUI»  lot  me- 

nlin  JaI  Moi-fltl  Jl  t-Ako^lfuiio  vU  ini .   non  «««.-indo  «iaio  rlnv«  tv 

nulo  nkun  frAminenlo  nvllo  «cavo,  MuiunA  pvniAra  (h'«\«l   v«>  Qti. 

numero    Ioli!    Jl    mc/m   9   Jl«p«r«l   JakII    »I0««I   fru^Ainrl   J'ah-  |m-< 

iMillA.  dtlU  ^{lnai 


"II.»   jit  *«««i^' 


ni* 


.ti 


.'Ihiowju   -  Anno  VI. 


il 


2  3  24 

nini,  die  può    Identificarsi   quasi    sicuramente  con  clicnistico  delia  rappresentazione    statuaria  del  re- 
Antonino l'io,  non  ostante  clic  tutta  la  parte  fisio-  tore,  del  filosofo,  del  pensatore  (2). 
noniìca  del  volto,  del  naso,  della  bocca,  dell'  arco  Per  cercare  più  evidenti  afTinità  di  stile  e  di  con- 
dei  sopraccigli  e  degli  occhi,  sia  corrosa  o  fratti.-  ncsionc  con    questo    tipo,    non   occorre   uscire  da 
rata  (1  ).  Abhi.imo  dunque  con  In  statua  gorlini.i  un  Creta.  Una   statua,  assai  affine  alla   nostra,   mutila 


Fig.  6. 


tipo  alTalto  nuovo  da  aggiungere  all'  iconogralla 
dell'imperatore  Antonino,  quello  della  figura  drap- 
peggiata seduta  in  costume  greco  secondo  il  tipo 


disgraziatamente  di  tutta  la  parte  superiore  del 
corpo,  è  stata  pubblicata  dal  Taramelli  dalle  rovine  di 
Litto  con  l'iscrizione  dell'artista  :  ZJi'vwv  'AÀ-;iv  Ò5oj 


(1)  Grande  rassomiglianza  anche  di  tecnica  tia  l'Antonino  Pio 
del  Museo  di  Candia  con  il  busto  dell'Ermitage,  Ca/u/ot^o  p- 2g. 
n.  72  (igoi  in  russo). 

(2)  il  tipo  statuario  di  Antonino  Pio  seduto,  ma  con  toga  e 
tunica,  appare    nel    rilievo  di    \'illa  Albani.   Mon.  lic-iriittt.   IV'. 


4.  Helbig,  Fiilnei-  821,  e  nella  celebre  base  del  giardino  della 
Pigna  (Amelung,  I,  88 j  sgg.  tav.  116I.  Di  schietto  motivo  elle- 
nistico è  l'Antonino  Pio  del  Museo  delle  Terme,  Helbig,  o.  c.  911. 
BERNOULLl,  Riim.  Ikon.  II  2,  p.  ui  n.   }  (cf.  p.    150). 


25 


26 


'Aofoòe-.IC:'^;  £ro'.£'.  (fig. 6)  (1).  Anche  la  Statua  di  Litto 
è  sicuramente  imperiale,  e  rientra  nell'iconografia 
imperiale  dell'arte  d'epoca  romana  a  Creta  (2).  Le 
due  statue  sono  uscite  evidentemente  da  una  stessa 
tradizione  artistica  non  ostante  che  l'una  abbia  lo 
himalion  avvolgente  tutta  intera  la  persona,  e  l'al- 
tra soltanto  la  parte  inferiore  del  corpo  Ci).  Iden- 
tica è  peraltro  la  posa  dei  piedi  sul  plinto, l'incli- 
nazione delle  gambe,  il  trattamento  delle  pieghe, 
r  atteggiamento  di  tutta  la  figura  per  quel  che 
appare  dalla  parte  conservata  dcll.<  statua  di  Litto, 
e  infine  la  forma  stessa  del  plinto. 

Oltre  al  frammento  di  Litto,  ritroviamo  a  Creta 
stessa  un  altro  prezioso  elemento  di  comparazione 
da  recare  nello  studio  dell'Antonino  Pio  di  Gor- 
tinn  P.  la  bella  statua  di  filosofo  o  retore  '>  poeta 
rinvenuta  dal  Savignoni  ad  lìlyros  e  pubblicata  nti 
Mori.  Ani.  d.  Une,  1900,  441-2,  tav.  XXV,  2.  Se 
la  statua  di  Litto  presenta  maggiori  affinità  di  com- 
posizione, questa  di  Elyros  olire  più  evidenti  ana- 
logie di  stile  con  la  statua  gortinia.  Anche  qui  lo 
himation  serra,  più  che  avvolge,  tutta  la  persona 
non  lasciando  che  una  breve  apertura  sul  petto  a 
cui  viene  ad  appoggiarsi  e  da  cui  sporge  la  mano 
destra;  identico  appare,  a  parte  le  necessarie  di- 
vergenze tra  una  figura  diritta  ed  una  assisa,  il  ri- 


cadere del  lembo  dello  himation  dalla  spalla  sinistra 
e  il  digradare  delle  pieghe  lungo  il  braccio  sini^l^'< 
sino  alla  mano  recante  nel  pugno  chiuso  : 
Dalla  comparazione  tra  questo  ritratto  di  mi  yu-uj 
del  ii-i  sec.  a.  C.  e  la  statua  imperiale  di  Cortina, 
emerge,  credo,  chiaramente  il  fatto  della  continuità 
e  omogeneità  di  alcune  tradizioni  artistiche  a  Creta. 
F.rano  gli  stessi  centri  di  cultura,  prevalentemente 
asiatici  (4),  che  mandavano  nell'isola  artisti  o  fa- 
miglie di  artisti  delle  scuole  d'arte  più  celebrate. 
Con  la  scoperta  di  questa  statua  imperiale  venne 
anche  alla  luce  il  primo  grande  frammento  del  cor- 
niciamento  esterno  dell'  anfiteatro  con  un  lavoro 
decorativo  ricco  e  lussuoso  se  non  fine  e  accurato: 
altri  blocchi  della  cornice  esterna  ed  interna  dell'an- 
fiteatro si  scoprirono  nella  trincea  scavata,  presso  a 
poco,  nella  direzione  del  diametro  minore  dell'an- 
ntcatro  (da  ovest  ad  esti,  un  poco  al  di  fuori  della 
linea  del  due  avancorpi.  Questa  trincea,  tracciata 
allo  scopo  di  ricavare  una  sezione  trasversale  del 
monumento  fino  al  piano  dell'arena,  fu  proseguila 
in  mia  assenza  dal  Dr.  I^cndinellt  che  illustrerà  a 
parte  tutta  la  serie  dei  frammenti  architettonici 
scoperti  noll.i  tirevi-  iMtiipagna  di  scavo. 

A.NVtDEO  MAIURI. 


(I)  Afnniim.  .!«/.  ft.  /.ine.  IX.  iSgQ.  ii)i-6.  (Rlnerailo  viva- 
mente Il  l'rnf.  L.  Mariani  d'avermi  <,eKnalaio  i)uest'lmp4>rianic 
J.itr>  Jl  irrxnpariKinnc,  e  d'avermi  concesM)  di  riprudurre  «jui  da 
una  «uà  (uiii^ratia  la  statua  In  t)ue4llone|.  Il  Taramelli  pubbli- 
cando l'iscT.  In  caratteri  eplcralici.  ha  dimenticato  di  notare  die 
l'Iter,  stenta  era  k'à  stata  pubblicala  dal  l.itWY.  iìrìn-h,  ititti- 
hiiiirntiiihr.  n.  )66  in  base  ad  una  copia  meno  fedele  di  (i.  Hau\- 
M)lller.  Per  la  (orma  *;\?po'n't'j;  (l'Hau\%.  ie^ueva  *.V?po- 
^liit'j;)  cf.  '/.nupvilo;  per  ilaupvjl');  e  v.  ora  Mayser. 
lìramiH.  it    iifUth.  /\ifivn,  p.  304. 

(1)  Il  frammento  di  Litio  è  stalo  dai  RtiNAi  11.  MV^til.  III. 
6  Identltuaio  per  un  Zeus  :  parmi  che  più  a  ragione  ii  T.iiamelii 
pensasse  ad  una  statua  d'imperatore  ratiiKuraio  secondo  li  ilpti  o 
Il  motivo  di  Zeus,  (.luanlo  alia  cront)lf>i;la.  li  Tarameiii.    basan- 


dosi sui  daii  epigrafici,  pensa  ad  un  impetaiorc  dei  1 
in  verità  queii'iscriiione  può  essere  anche  del  11  se^    : 

(|i  Questo  secondo  tipo  (divino  od  eroico)  i  pm  fre^umi*  orl- 
i'iconuErafia  Imperlale  e  necli  imperaiofi  sopratutiu  del  I  s^-o)n 
ci.  Aueustu  In  RciKACH.  Ktpnl.  I  p.  (te,  sb\-\.  Il 
Ibid.  I  p.  (67,  }68<i-A.  Il  5«a.  CUudlo.  IbU  I  p. 
Tito  Ibid.  I  p.  .75.  NerofM  Ibld.  I  p.  «tS  e  Seoa  Ibid.  1  r.  \ì\. 
Peraltro,  per  clA  che  riEuarJa  II  initumenio  delle  r^chr  d'I- 
li>  AfH*<i/f"M  tra  le  i;ambe  dlsaricate.  la  statua  1  itac. 

costa  direttamente   ette  ai  Ners-a  deità  Sala  k  a 

{4>  1-e  Inlluenfe  de  '  xWt-a 

Ifil  arilsll  delia  (ìrev   >  >-ilui 

ateniesi  (1*11  ses.d.  C'    ^u    i,jii.<-    iu.>rnuir  *   ^   in.»  r  !,;r    u   t      Nk- 

viflNo.Hi  In  A'ffM.  Min.  V.  it«a.  u>^. 


28 


I  I^Wl.Ml'.X  1  1    .\k(  III  I  l'.'l  I()\l(  I 
IJI'  LI.'  \  \r  ITI' AT  ko    DI    (,()k'l"\'\.\ 


In  seguito  agli  ottimi  risultati  cui  aveva  dato 
luogo  il  primo  saggio  di  scavo  dinanzi  all'anlitcatro, 
si  provvide  a  eseguire  sempre  dalla  stessa  parte, 
cioè  sul  lato  principale  dell'edilicio,  una  vera  e  pro- 
pria trincea  di  saggio.  Alla  metà  circa  di  questo 
lato  a  occidente,  movendo  dalla  periferia  verso  il 
centri)  dell'edilicio,  fu  quindi  scavata  la  trincea  i 
cui  risidtati,  che  ci  proponiamo  d'illustrare,  furono 
superiori  all'aspettativa.  I.e  proporzioni  di  detta 
trincea  giunsero  a  in.  'i.rìO  di  larghezza  sopra  una 
huighezza  di  m.  13,  con  una  profonditcà  variabile 
di  m.  1,50  per  metà  circa  della  lunghezza,  di  m.  3,10 
jier  il  resto.  1  vari  blocchi,  lisci  e  decorati  a  ri- 
lievo, venuti  fuori  durante  lo  scavo,  sono  qui  sotto 
passati  in  rassegna  nell'ordine  in  cui  furono  rinve- 
nuti (1). 

1.  —  Blocco  scpiiulr.ito  di  pietra,  interamente 
liscio;  larghezza  m.  1,02,  lunghezza  m.  1.85,  su 
m.  0,15  di  spessore.  Sulla  faccia  supcriore,  verso  il 
centro,  un  incavo  di  forma  ovoidale,  ristretto  un 
po'  verso  il  fondo  (cm.  23  x  '201.  L'incavo  comu- 
nica con  un  canaletto  poco  profondo,  lungo  26  cm.: 
a  quanto  sembra,  un  incastro, 

2.  —  Sotto  il  blocco  più  grande  un  pezzo  di 
cornice  della  stessa  materia, 
a  sagoma  scolpita;  lunghezza 
m.  0,56,  altezza  m.  0,23,  spes- 
sore massimo  m.  0,30  (Fig.  1). 

3.  —  Altro  blocco  di  pie- 
Ira  ben  squadrato,  di  forma  ret- 
tangolare: spessore  m.  0,26  su 
una  superficie  di  m.  ii,70  <  0.41. 
Sulla  linea  mediana  del  lato 
supcriore,  alla  stessa  distanza  dagli  spigoli  (cm.  12) 
due  piccoli  fori  quadrangolari,  di  cm.  2  di  lato  e  4 
di  profondità,   da   servire    per    l'incastro  con  altri 


l-is. 


blocchi,  come  dimostrano  delle  tracce  di  ferro  ri- 
maste nel  fondo.  Il  blocco,  lavorato,  presenta  sul 
lato  esterno  una  sagoma  come  nella  lig.  2. 

1.  -  l'"rammcnto  di  grande  cornice  di  marmo 
bianco,  interamente  scolpita:  lunghezza  mass.  m.  1,30, 
minima  ni.  0,85,  altezza  m.  0.44. 
l.a  cornice  appare  decorata  nel 
modo  seguente  :  una  lista  di 
ovuli  eseguiti  ad  alto  rilievo 
(cimasa  ionica)  sopra  una  fascia 
semplice:  ciò  che  costituisce  la 
parte  più  sporgente  della  cor- 
nice (fronte  superiore).  Questa  f'v.-  ■■ 
è  sostenuta  da  mensole  con 
foglie  d'acanto,  attorno  alle  quali  e  ai  relativi  lacu- 
nari corre  la  stessa  cimasa  in  proporzioni  minori. 
Sotto  le  mensole,  una  specie  di  cimasa  lesbica  e 
inline  lo  spigolo  inferiore  della  cornice,  dentellato, 
l.c  mensole  di  codesto  blocco  sono  in  numero  di 
tre,  con  due  lacunari  conservati  per  intero.  Le 
mensole  misurano  cm.  21  di  lunghezza  e  cm.  21 
di  larghezza  (sopra  la  cimasa  ionica):  i  lacunari 
quadrati,  da  19  a  20  cm.  Questi  portano  scolpiti 
in  rilievo  piatto  e  sommariamente  eseguito  dei  mo- 
tivi svariati.  1  quali  a  cominciare  da  sin.  sono  : 

a)  protome  di  quadrupede    uscente    dal  ca- 
lice espanso  d'un  fiore; 

/;(  un  delfino  (2). 
5.  —  -Altro  frammento  di  cornice,  della  stessa 
materia,  disegno  e  stile  del  primo.  (Fig.  3).  Al- 
tezza m.  0.41,  lunghezza  massima  m.  1,13,  mì- 
nima, m.  0.57.  Due  mensole  e  tre  cassettoni 
perfettamente  conservati.  Larghezza  delle  mensole 
cm.  23  e  24;  dei  lacunari  cm.  25.  1  motivi  che  si 
succedono  in  questi,  da  sin.  a  d.,  sono: 

a)  testa  rotondeggiante  di  Medusa,  con  cioc- 


(O  Clio  ad  eccezione  di  uno  dei  blocchi  lavorati,  da  noi  se- 
gnati più  sotto  col  n.  4  e  che  é  realmente  il  primo  della  serie, 
essendo  stato  rinvenuto  dal  Dott.  Maiuri  insieme    alla    colossale 


statua  seduta,  prima  dell'escavazione  della  trincea. 

(2^  Di  tutti  i  grossi  frammenti  di  cornice  scolpili,  il  primo  ec- 
cettuato, diamo  nel  testo  la  riproduzione  fotografica. 


29 


JO 


che  di    capelli    lungo  la  fronte  e  le   tempie  e  due 
lunghe  corna  che  si  biforcano  dal  mezzo  della  fronte; 

b)  quadrupede  (leone  ?)  al  passo,  la  testa 
rivolta  indietro; 

c)  due  uccelli  (colombe  ?)  affrontati  e  ram- 
panti ai  lati  d'un  fiore  stilizzato,  di  cui  beccano 
insieme  una  specie  di  grappolo  che  esce  dal  calice. 

0.  —  Frammento  di  cornice  e.  s.,  non   isboc- 


b)  aquila    ad    ali    semiaperte 
becco  a  sin.  contro    un    serpente  co,    ^   ...^  ^  ^..^ 
prese  (rilievo   inquadrato   dentro   apposita  cornice 
scavata  nel  cassettone). 

7.  Altro  frammento  di  cornice  scolpita,  a  in- 
cavo ricurvo  irregolare  sul  lato  esterno  (fig.  5).  È 
questo  il  maggiore  dei  frammen'i  '-.n.ii  tiu  i.ice: 
sua  lunghezza  m.  1,80;  larghcz.  ba- 


r-ii:. 


ciiiicell.ilii  ai  lati,  ma  t.igliiitt)  regolarmente  ilig.  I). 
Alliv,/a  m.  0.50,  lunghezza  m.  1,1().  lisso  com- 
pri-tiilc  due  mensole  e  due  cassettoni  intieri.  I  un- 
ghez/a  delle  mensole  cm.  '2'2-'2'.i;  del  cassettoni 
cm.  21-22.  Il  sistema  decorativo  è  lo  stesso  che 
nel  primi  due  blocchi;  tnn  ciò  di  cui  in  questi  non 
rim.ini'  nessuna  traccia  e  che  Invece  appare  nel 
terzo  blocco,  si  ò  una  nuova  cimasa  coronante 
sopra  la  cimasa  Ionica  l'orlo  supcriore  della  cor- 
nicc:  tale  cimasa  è  formata  di  doppie  spirali  in 
altorilievo,  svolgentlsl  al  lati  d'uno  stelo.  iMo- 
tivi  oni.iuienl.ill  del  cassettoni: 
(I)  crlocranlo  semplice; 


samento  o  pl.ino  di  posa  della  cut 
minima  (verso  la  melici  m.  O.-IK;  alte, 
m.  0,.V2,  sul  dorso  m.  0  25.  Porta  anch  esso  ali  orlo 
esterno  siipcilorc  la  cimasa  a  spirali.  Clinquc  men- 
sole con  qtiallru  lacunari  Intieri  tiarghcua  delle 
mensole  cm  IK,  del  lacunari  cm  iSt,  col  seguenti 
motivi  ornamentali  ; 

III  stelo  vegetale  ricurvo,  con  cinque  (ogiic 
l.iiii-rolatc,  di  cui  alcune  ritorte  in  dnu; 

h)  calice  floreale  con  quattro  pelali  lisci  ro- 
'""degglantl,  cim  ' 

CI  calice  i:  tali  lanceolati  ; 

i/)  lesta  bovina  summariamcnic  scolpila. 


31 


32 


Tra  i  quattro  frammenti  di  cornice  sopra  descritti 
(n.  4,  5,  6,  7)  è  notevole  quello  contrassegnato  col 
n.  5,  per  la  sua  decorazione  (cimase,  mensole  e 
dentelli),  la  cui  linea  non  si  trova  a  formare  an- 
golo retto  col  piano  dei  lacunari,  ma  è  rispetto  a 
questo  obliquamente  disposta.  E  sulla  stessa  linea 
d'obliquità  appare  eseguito  il  taglio  del  blocco  me- 
desimo. La  ragione  di  questo  fatto  particolare  non 
ci  potrebb'csscre  fornita  clic  dalla  posizione  clic  il 
pezzo  era  destinato  ad  occupare  lungo  la  linea 
della  cornice,  tutta  rientranze  e  sporgenze,  ad  angoli 
e  insenature. 


sopra  le  tempie,  le  pupille  scavate  entro  occhiaie  di 
forma  ovale,  il  naso  schiacciato,  la  bocca  spalancata 
con  arco  aperto  verso  l'alto.  La  rozzezza  dello  scal- 
pello che  esegui  i  rilievi  si  dimostra  qui  più  che 
altrove  evidente.  Le  tracce  di  color  rosso-ciliegia, 
ancora  visibilissime  sulle  labbra  della  maschera, 
ci  rivelano  un  particolare  prezioso  che  contribuiva 
ad  abbellire  tutta  la  cornice  ;  la  policromia. 

Altro  elemento  notevole  venuto  fuori  di  mezzo 
al  materiale  minuto  di  scavo  sono  delle  mensolettc 
separate,  già  formanti  pur  esse  un  angolo  obliquo 
col  piano  di  posa  ;  quest'angolo  è  a  volte  maggiore 


Fig.  4. 


(Fotograjia  Petali) 


Altri  numerosi  frammenti  marmorei,  appartenenti 
alla  medesima  cornice,  vennerc  fuori  durante  lo 
scavo;  insignificanti  la  maggior  parte,  per  le  mo- 
destissime proporzioni.  Unico  notevole  un  fr,im- 
mento  angolare,  lungo  ai  due  lati  esterni  cm.  41  e 
cm.  44,  con  uno  spessore  di  cni.  15.  Lungo  il  lato 
interno,  fratturato  del  frammento,  i  resti  angolari 
della  cimasa  ionica  coronante  due  delle  solite  men- 
sole die  ivi  s'incontravano  ad  angolo  retto.  Nello 
spazio  libero  interposto,  di  molto  maggiore  di 
quello  dei  soliti  cassettoni,  la  decorazione  a  ri- 
lievo consiste  in  una  maschera  teatrale.  È  questa 
di  forma  rotonda,  con  rughe  sulla  fronte,  due 
ciocche  di  capelli  mal  disegnate,   ricadenti    ai    lati 


o  minore.  11  clic  c'informa  irilonio  alla  complessa 
varietà  della  cornice  dell'anlileatro  e  alla  ricerca  la- 
boriosa degli  effetti  di  luce  e  di  ombra.  Cosi  la  dif- 
ferente larghezza  delle  mensole  e  dei  cassettoni, 
quale  si  riscontra  nei  vari  frammenti  venuti  alla 
luce,  può  in  parte  dipendere  dalla  rozzezza  di  ese- 
cuzione intrinseca  e  propria  a  tutto  il  fregio,  ma 
deve  anche  dipendere  da  un  disegno  prestabilito. 
Troppo  forte  altrimenti  apparirebbe  la  sproporzione 
tra  la  larghezza  delle  mensole  del  framm.  n.  5 
(cm.  24-25)  e  quella  del  framm.  n.  7  (cm.  18).  A 
proposito  del  quale  ultimo,  avuto  riguardo  alla  sua 
altezza  (cm.  32),  di  tanto  minore  di  quella  degli 
altri  blocchi,  viene    anzi    da    pensare  che  propria- 


33 


34 


mente    esistessero    due    ordini  di  cornici,  di  varie 
dimensioni  e  dello  stesso  disegno  (  1 1. 


Rilevammo  già  la  scarsa  importanza  artistica  di 
codesti  frammenti  scolpiti.  Nella  decorazione  dei 
lacunari,  dove  l'ispirazione  artistica  ebbe  il  maggior 
campo  per  espandersi  e  svolgersi  liberamente,  non  si 


il  loro  valore  storico,  poiché  dietro  un  esame  accu- 
rato di  ciascuno  di  essi  e  delle  fonti  potremo  sta- 
bilirne con  una  certj  sicurezza  l'età  e  quindi  le 
correnti  artistiche  le  i|uali  facevano  capo  all'isola 
di  Creta  al  tempo  della  costruzione  deiraniltealro 
di  Oortyna. 

Il  primo  fatto  qui  da  notare  è  il  seguente:  sulle 
cornici  architettoniche  e  i  sofGtti  scolpiti  di  ediGci 


^^^^BfT^^^^^^^^^^^^t|                                        ^^^^^^^^^^^B 

^1^      f  *ì-^^y^-      é   1  t 

L- 

II 

99»                      -             -rs-            '                                              V 

nota  che  un  rilievo  eccessivamente  piatto,  una  me-  pubblici  romani  d'ordine  Ionico  o  corinzio  super- 

schinilA    e    una    k^'I^'IKKI"'-'  penosa  di   esecuzione.  stitl,    del  i,  il,  ni    secolo    dell'Impero,    t    lacunari 

Ma  se  perciò  rimpi>rt.iii/..'i    artistica    dei    rilievi    si  scolpiti    non    presentano    altri    molivi  ornamentali 

riduce  di  tiinlto.  rimi  per   questo    resta  menomato  che  rosoni,  svariali   spesso  e  bizzarri,   ma  sempre 


II)   l'iiM  Iniliulnfil,  |>t«««niAlc  ttul  M'itu  furitui  JuMuUva.  iHtn        v«tto  pn^MBUliMnto  Jtllo  K««ti   lnir«^*%a  «jurvU 
l'iiirannn  .ivcrc  U  turo  Jrfmltlv.i         * i      -     '        •■-     '^  '"    ■■         ..    -  -     ....... 


)5 


36 


f.icilmentc  riconoscibili  (v.  in  Roma  stessa:  Pan- 
llieon  d'Agrippa,  tempii  di  Saturno,  di  Vespasiano, 
della  Concordia, archi  di  Tito  e  di  Settimio  Sevcro)(  1  ). 
Sullii  cornice  dcH'anfileatro  di  Ciorlyna  troviamo 
dunque  una  dilfcrenzia/.ionc  acccntuatissiina  rispetto 
alla  invalsa  tradizione  romana:  non  più  semplici 
rosoni,  pur  allernantisi  in  forme  diverse,  ma  inolivi 
vegetali,  animali,  geometrici  e  fantastici,  d'ogni 
genere,  ti  certo  anche  questo  un  indizio  di  tempi 
tardi,  ma  è  esso  uno  stile  decorativo  originale  del 
luogo  o  è  già  altrove  generalmente  invalso  e  di  là 
importato? — 1  primi  esempi  di  questo  nuovo  stile 
architettonico  si  trovano  in  Asia  Minore.  Lacunari 
di  cornice  scolpiti  a  motivi  diversi,  vegetali,  ani- 
mali e  fantastici,  ci  offre  nella  Panfilia  la  decora- 
zione del  teatro  di  Aspendos,  del  tempo  di  An- 
tonino Pio  (2),  in  Pisidia  il  teatro  di  Terinessos. 
del  I  secolo,  con  motivi  piii  semplici  e  stilizzati  (3), 
e  il  teatro  di  Sargalassos  (ii-iii  seo  più  ricco  nei 
particolari  decorativi  (b.  Per  altri  esempi  del  ge- 
nere bisogna  scendere  ancora  più  giù  nell'età  im- 
periale. Nel  tempio  del  Sole  a  liaalbck  in  Siria 
(273  d.  C  )  il  sofiìtto  del  peristilio  è  diviso  a  cas- 
settoni esagonali  e  quadrangolari,  decorati  fra  l'altro 
di  protomi  umane  in  altorilievo  (5).  Ma  questo  stile 
ornamentale  trova  il  suo  canone  definiti  v-o  riella  de- 
corazione del  palazzo  di  Diocleziano  a  Spalato,  si- 
curamente databile  ai  primi  del  iv  secolo.  I-^ntro 
alcuni  lacunari  del  soffitto  del  tempio  di  Giove  si 
veggono  disperse  in  mezzo  ai  soliti  piccoli  rosoni 
alcune  teslinc  infantili  (6).  Lo  stesso  si  osserva  nei 
lacunari  della  cornice  interna  dello  stesso  tempio 
di  Giove  (7)  e  in  quelli  dell'architrave  alla  porta 
d'ingresso  del  Mausoleo,  dove  alle  testine  di  putti 
si  alterna  qualche  altro  semplice  motivo,  come 
il  ■/.aky.h'jc  (8).  Osservando  poi  le  mensole  della 
stessa  porta  d'ingresso  al  Mausoleo,  troviamo  che 
a  ricoprire  il  cartoccio  della  mensola  non  si  usa 
più  la  classica  foglia  d'acanto,  ma  motivi  orna- 
mentali diversi,  come  maschere,  tritoni  a  coda  bi- 


fida, teste  rcmminili  o  erculee,  aquile,  vittorie  alale 
con  trofei.  L'identità,  d'insieme  con  la  cornice  del- 
ranlitcatro  di  Goilyna  è  evidente.  Soltanto  l'appli- 
cazione del  nuovo  stile  ornamentale  è  più  in  grande: 
dai  cassettoni  è  esteso  anche  alle  mensole.  —  Un'al- 
tra prova  della  larga  difTusione  di  questo  stile  dal- 
l'oriente all'occidente  ci  è  data  da  un  frammento 
di  cornice  nel  Landesmuseum  di  Klagenfurl,  dove 
in  due  cassettoni  successivi  sono  scolpiti  un  breve 
stelo  vegetale  e  un  rosone  (9). 

Vogliamo  ora  prendere  in  esame  i  singoli  mo- 
tivi ornamentali  dei  cassettoni  scolpiti,  in  vista 
dei  dati  di  fatto  positivi  che  da  questo  esame  si 
possono  trarre.  —  Incominciamo  cosi  dal  casset- 
tone a  del  frammento  n.  4.  La  rappresentazione 
di  quadrupedi  intrecciati  a  un  motivo  floreale  o 
uscenti  dal  calice  d'un  fiore  si  ritrova  in  Italia  e 
fuori  sin  dai  tempi  d'Augusto.  Cade  precisamente 
sotto  l'impero  d'Augusto  la  costruzione  del  teatro 
di  Arles,  con  cornicione  esterno  sormontalo  da 
un  fregio  composto  di  fiori  a  spirale  ricorrente, 
dal  cui  calice  escono  ligure  umane  e  animalesche  (  10). 
Lo  stesso  motivo  è  applicato  in  un  fregio  archi- 
tettonico proveniente  da  Pompei  (11).  Dei  cippi  fu- 
nerari della  prima  metà  del  i  sec.  presentano  lo 
stesso  motivo  (12),  il  quale  è  poi  nobilmente  appli- 
cato sopra  un  rilievo  marmoreo  dell'età  dei  Flavi, 
nella  Basilica  Immilla  al  Foro  Romano  il3l  e  sopra 
un  pilastro  dell'era  di  Traiano,  ora  nella  cripta  della 
chiesa  di  S.  Pietro  a  Roma  (14).  Dello  stesso  ge- 
nere, dal  fogliame  altrettanto  ricco  e  complesso, 
ma  assai  trascurato  nell'esecuzione,  con  protomi 
animalesche  e  maschere  umane,  è  il  fregio  corrente 
lungo  l'architrave  e  ai  lati  della  porta  del  Mausoleo 
di  Diocleziano  a  Spalato  1 15). 

Cassettone  b).  Quello  del  delfino  è  uno  dei  motivi 
ornamentali  che  cominciano  ad  apparire  sui  cippi  fu- 
nerari romani  della  seconda  metà  del  i  secolo  (ìfi). 
Nello  stesso  ufficio  di  riempitura  di  cassettone  trovasi 
già  sulla  cornice  (interna)  del  teatro  di  Aspendos  (17). 


(1)  DURM,  Ihf  Jiaiitiiiist  df>  F.lnistei  u.  der  Riimet, 
figg.  445-444.  GUSMAN,  /.'art  decorali/  de  Rome,  pi,  58.  — 
Un  frammento  marmoreo  arc)iitettonico,  facente  parte' di  soffi  Ito  ' 
interno,  trovato  a  Pozzuoli  (A'.  Mmeo  /ior/>an.  voi.  VI.  t.  XXVII i 
presenta  due  lacunari  scolpiti.  l'uno  adorno  d'una  testa  di  .Medusa, 
l'altro  d'un  rosone  a  due  ordini  di  petali  (forse  da  tempioi.  La 
nostra  affermazione  rispetto  allo  stile  arcliitettonico  romano,  non 
si  riferisce  ette  al  caso  generale,  alla  moda  predominante. 

(2)  NIEMANN-Petersen,  Sliidte  Pampliyltens  u.  Ptiidiens,  I. 
P-  113.  fig-  8g. 

(S)  Op.  ni.  Il  p.  91.  fig.  55. 

(4)  Op,  cit,  V.  e.  p.  156,  fig.  131. 

(5)  DURM  op.   cil.,  fig.  265. 

(6)  Ko\VAU:zVK.   Detìkmitler  d.   K'tiiist   in   Dalmal.  I,   t.  47. 


(7)  Op.  cil..  V.  e,  t.  48. 

(8)  NiEjWASN,  Dei  Palasi  Diocleliatis  in  .Spalalo,  t.XWW  e 
p.  85,  fig.  109. 

(g)   lahresh.  d.    Oesìeri.   Imi.  Hd.  XIII.  Beibl.   tjS.  fig.  56. 

(10)  DuRM.  op.  cil.,  V.  e.  ftgg.  458-39. 

<ii)  Real  Mns.  Jiorbon.,  voi.  io,  t.  XXXI. 

(12)  Altaiann,  Dietom.  Graball.  d.  Kaisetzeit,  p.  40,  fig.  26, 
p.  42.  fig.  30. 

(K)  Strono.  *o<Man.^>7.t.  XXXVI  (Lo  Studniczlia  attribuisce 
il  rilievo  all'età  dì  Settimio  Severo).  Gi;s.WAN.  op.  cil.,  12. 

114)  Strong.  op.  cil.,  t.  XXXVII. 

(15)  KOWALCZYK,   op.   cil.   t.   26;    DURM.  Op.   cil.,  fig.  462. 

(16)  Altmann,  oI>.  cil.,  nn.    36,  67,  106. 
(l7i  Niemans-Petkrsen.  op.   cil.,  I,  p.  113. 


37 


J8 


Frammento  n.  .5.  —  Cassettone  a).  Nella  pura 
arte  romana,  come  già  nell'  arte  greca  ed  etrusca, 
la  protome  della  Gorgone  è  frequentissima,  in  ispe- 
cie  su  monumenti  funerari,  a  datare  dal  i  secolo 
dell'Impero  (1).  Il  motivo  è  anche  applicato  nella 
decorazione  del  teatro  di  Aspendos  (2)  e  su  sarco- 
fagi Gortiniesi  di  epoca  larda.  In  questi  monumenti 
essa  appare  secondo  il  bel  tipo  classico:  volto  non 
contraffatto  e  composto  a  serietà,  due  ali  sbu- 
canti di  mezzo  alle  chiome  composte  o  artistica- 
mente arruffate,  e  talora  dei  serpenti  aggrovigliati 
intorno  alla  testa. 

La  trasformazione,  nel  nostro  caso,  delle  ali  o 
serpi  in  un  paio  di  corna,  non  è  forse  die  una 
deformazione  involontaria  dovuta  a  un'interpreta- 
zione errata  del  motivo  originario. 

Cassettone  b).  Il  motivo  araldico  di  questo  clic 
sembra  un  icone  movente  al  passo,  ci  riesce  assai 
pili  nuovo.  Nella  scultura  ornamentale  esso  non 
appare  usato  che  nella  colonna  scolpila  del  Museo 
Vaticano,  proveniente  dalla  Villa  Adriana  (3).  La  pit- 
tura, specialmente  la  pittura  pompeiana,  ci  potrebbe 
fornire  altri  riscontri  nei  semplici  motivi  ornamentali 
accampati  entro  riquadri  vuoti  (III  stile). 

Cassettone  e).  V  emblema  costituito  da  due  uc- 
celli affrontali  riscontrasi  anch'esso  scolpilo  sopra 
urne  funerarie  della  seconda  metà  del  i  secolo  4). 
Non  è  difficile  trovarne  esempi  anche  nella  pittura 
antica  (5).  Ma  il  motivo  trionfa  solo  col  trionfare 
dell'arte  cristiana  decorativa  e  simbolica,  perciò  in 
epoca  piuttosto  tarda  (0).  Sono  specialmente  noti 
i  sarcofagi  cristiani  ravennati  del  v  e  vi  secolo, 
con  pavoni  affrontati  allato  a  un  vaso  (7). 

l'nimmi'iito  n.  ti.  —  C.isscttone  n).  Uno  dei  mo- 
tivi più  caratteristici  dei  nostri  rilievi  è  quello  del- 
ra<iiiila  In  lotta  col  serpente.  Il  primo  esempio  del 
genere,  che  ci  sia  dato  conoscere  nella  scultura 
(leenratlvn,  è  quello  che  ci  viene  fornito  dall'Arco 


dei  Sergi  a  Pela  f30  circa  d.  C.)  |8Ì.  "  '  niì 
anni  più  tardo  è  forse  il  frammento  -c- 

polcrale  a  Vienna,  decorato  collo  stesso  motivo  in 
rilievo  (9).  Per  altri  esempi  del  genere  bisogna 
poi  scendere  fino  al  iv  secolo;  età  cui  sembrano 
appartenere  certe  pietre  ugualmente  scolpite,  inca- 
strate sulla  facciata  della  chiesa  dedicata  alla  Ver- 
gine Gorgopico  in  Atene  (IO)  Inoltre,  l'emblema 
araldico  dell'aquila  in  lotta  col  serpente  trovasi  im- 
presso sopra  monete  argentee  di  Gortyna.  poste- 
riori al  200  e  anteriori  al  67  a.  C  (11),  onde  il 
fregio  scolpito  potrebbe  indicare  una  reviviscenza 
non  involontaria  dell'antica  impresa. 

Cassettone  b).  La  testa  di  montone,  cosi  com'è 
qui  rappresentata,  è  ancora  rivestita  della  sua  carne 
e  non  già  ridotta  allo  slato  dì  teschio,  come  le 
lince  angolose  del  rilievo  lasciano  credere  a  tutta 
prima  (occhiaie  piene  e  non  vuotei.  Dal  motivo  or- 
namentale della  testa  di  montone,  dalle  corna  a  vo- 
lute, si  è  tratto  grande  profitto  specialmente  nei  cippi 
funerari  romani,  a  cominciare  da  Claudio  (12). 

Frammento  n.  7.  —  Cassettone  a).  Lo  stelo 
vegetale  applicalo  a  decorazione  di  lacunare  è  pro- 
prio dell'arte  orientale  e  della  decadenza  romana. 
Esso  comincia  ad  apparire  nella  cornice  scolpita 
del  teatro  di  Sargainssos  in  Pisidia  (1.3)  e  si  ritrova 
poi  nella  decorazione  del  tempio  di  Giove  a  Spa- 
lalo, nel  cui  soffitto  qualcuno  dei  cassettoni  è 
adorno  di  una  vera  e  propria  pianlicina  di  trifo- 
glio (14).  Il  raffronto  più  Interessante  è  quello  che 
ci  è  fornito  da  un  piccolo  frammento  di  cornice 
nel  Landesmuseum  di  Klagenfurt:  uno  stelo  rive- 
stilo di  foglie  e  terminante  in  un  bocciuolo,  scol- 
pito diagonalmente  entro  un  cassettone  il5i. 

Casscllonl  b  c\.  Il  motivo  ornamenl.ilc  è  dei  più 
semplici  e  comuni.  Le  due  rosette  sono  rappresen- 
tate nella  forma  più  schematica:  un  giro  solo  di 
petali,  In  numero  di  q:iallro  (16). 


(il   ALTMANN.  o/>.  li/,,  lÌBlf.    ig,    41,  «t,  ecc. 
U)    .NllIMASN    l'i  II  |/M  N.    I.    e. 

(il  (il.>l«A'. 

U)    AUMAS-  h^-ii,     IO,    4^.    46. 

(^)  bJ  anelli'  in  moulcl  ;  v.  pavimento  a  mnulcn  di  IMIa. 
>iin  i)uo  pavnni  allroniail  al  di  lopra  d'un  vato.  In  /akinkil. 
'i.Ufir.  /«!/.  XIV  (1411I,  tlriM.,  ti|f.  8. 

(ftl  In  una  plltur.t  Jelto  calai'nmhi»  "  In  fVi»Ti".t.itn  *  (««cnnda 
meli  II  MI. I  appalonii  uccelli  di  M<  >i  davanti  aj 

un  lioro  iWiii'iiwi.  le  pliiuro  ir  ..-,  i.  n,  a). 

(71  l'artUiilarmenle  Inipretunip  ym  U  .•>iiii„lidii<.i  ijuatl  per- 
lella  col  rilievo  che  veniamo  «Indiando  i  una  riDmeiia  raramlr^ 
del  A/mi-o  .l/iiKi  a  TiinM,  del  V  mc..    i 
IKio  crUtlano  di  <  iV/inw.  Al  lati  d'un  >  • 
.Inno  arrampicali  due  pavoni  che  ti  acciiifii'  »  l-ci.-  e  .lUlus-. 
M,  A.  XL,   IT,  p,  «i»i. 

(ai  Calai.  MoMra  Archviil.    Tome  Dlociei,  p,    41.  ttmSACii, 


AV/.  ilrs  tehf/i,  p.  e»6. 


nn.  1 1 i-t 

della  'UI1V 


la.  I.  Acc-   >^'* 
"lo  tanlatlt.» 


>ui^<i,>ic  ji  i»ij  I.  >i*v. .  j  tpnMi  la  p<4  t«rt. 


Jhii>miii      Anno  VI. 


30 


40 


Cassettone  d}.  L'uso  di  teste  bovine  o  taurine 
nell'arte  decorativa  romana  si  può  far  risalire  entro 
l'età  Augustca  (bucrani)  e  l'età  di  Adriano  (I). 

l'raminento  n.  7.  —  Così  di  questo  elemento 
decorativo,  della  maschera  teatrale,  come  de>;li  altri 
che  nel  nostro  studio  lo  hanno  preceduto,  se  si 
trovano  esempi  anche  numerosi  sparsi  nell'  arte 
classica,  sono  rari  i  casi  in  cui  il  motivo  sia  adi- 
bito a  riempitura  di  lacunare,  fuorché  in  epoca 
tarda.  Per  il  nostro  non  possiamo  citare  un  riscon- 
tro se  non  nella  decorazione  del  teatro  di  Aspen- 
dos  (2).  Più  tardi,  nell'architrave  della  porta  del 
Mausoleo  a  Spalato,  vediamo  applicate  sopra  le 
mensole,  insieme  a  soggetti  vari,  anche  delle  ma- 
schere di  esecuzione  assai  rozza  (.3).  Inoltre,  sopra 
un  fregio  d'architrave  testé  scoperto,  del  teatro  di 
Pola,  appare  scolpita  una  maschera  teatrale  roton- 
deggiante, dì  tipo  molto  simile  alla  nostra  (4). 


Come  risulta  da  tutto  11  già  detto,  1'  età  di  co- 
desti rilievi  appare  piuttoslo  bassa.  Sì  tratta  qui 
di  uno  stile  decorativo  il  quale,  movendo  dai 
paesi  dell'Asia  Minore  in  età  ancora  relativamente 
classica,  si  diffonde  grado   a  grado,  con  passo  si- 


curo, verso  l'Occidente  e  trova  la  sua  più  vasta 
espressione  e  il  suo  trionfo  col  decadere  degli 
ideali  classici  nell'arte  e  il  sormontare  del  cristia- 
nesimo. Tuttavia  ci  mancano  clementi  diretti  baste- 
voli  a  fissare  per  i  no>tri  rilievi  una  data  assoluta- 
mente precisa.  La  storia  di  Oortyna,  come  di  tutta 
l' isola,  durante  la  decadenza  dell'  impero  romano 
è  oscura.  I  documenti  epigrafici,  anche  di  sccon- 
d'  ordine,  ne  sono  scarsissimi.  Quello  che  in  ge- 
nerale sappiamo  si  è  che  l'importanza  edilizia  della 
città  non  venne  meno  neanche  in  epoca  di  pieno 
decadimento.  Non  possiamo  però  supporre  che  un 
edificio  pubblico  del  genere  d'un  anfiteatro,  e  cosi 
ricco  e  grandioso  come  doveva  essere  quello  di 
Gortyna,  sia  stato  costrutto  in  epoca  eccessiva- 
mente recente  e  troppo  poco  pagana. 

K  poiché  codesto  stile  architettonico  proprio  del- 
l'Anfiteatro Qortiniese  già  l'abbiamo  visto  svilup- 
p.irsi  liberamente  nell'Asia  Minore  fin  dal  i-ii  se- 
colo d.  C,  ben  possiamo  supporre  che  tra  il  fiorire 
spontaneo  di  quello  stile  in  suolo  Asiatico  e  il 
sorgere  di  quest'arte  rillessa  nell'isola  di  Creta  non 
corr.'i  che  un  periodo  intermedio  di  poche  diecine 
d'anni  (5). 

GOFFREDO  BENDINELLl 


(i)  AltMann,  op.  ci/.,  p.  07.   (ig-  6o. 

(2)  V.  sopra,  col.  55. 

())   NlE.«ANN,  ofi,  lil.,   p.  68,  tiK.  85. 

(i)  lahn'sh.  J.    0,-s/,-)>:   /usi.  XIV.  /IrM.  p.   54. 

(5)  Di  relazioni  .irtisliche  le  quali  correvano  dirette  tra  Creta 


e  l'Asia  Minore  abbiamo  testimonianze  epigrafiche.  Per  artist, 
dell'Asia  Min.  che  hanno  lavorato  a  Creta,  forse  nel  iisec.d.  Ci 
V.  I.OBWV.  JUliihaiii-riiìsftn-.  409  e  Mus.  It.  III.  707  (lo  stesso 
artislal;  e  LOEVVY.  op.  cit.  366;  le  prime  due  epigrafi  a  Gortyna. 
la  terza  a  Lyttos. 


42 


P.OLLHTTINO    1MI5LIOGRAMCO 


EPIGRAFIA  GRECA  (1909-1911)'" 
Generalia 

Raccolte.  Sui  fascicoli  delle  /G.  apparsi  nel  1909 
(/  G.  XII,  :>-  e  /G.  XII,  8)  v.  i  capitoli  relativi  a  Tene 
alle  Cicladi  e  alle  Isole  del  M.  Tracio.  È  annun- 
ciata come  imminente  la  pubblicazione  del  Corpus 
delle  iscrizioni  della  Laconia  e  della  Messenia  a 
cura  di  \V.  Kolbe,  ed  è  in  preparazione  quello  del- 
l'Arcadia a  cura  dello  I  liller  v.  Giirthringen  ;  una 
convenzione  per  la  stampa  della  silloge  di  Dclo 
nelle  /G.  è  avvenuta  tra  la  Scuola  archeologica 
francese  ad  Atene  e  l'Accademia  di  Berlino.  La 
.Missione  archeologica  italiana  a  Creta  ha  iniziato, 
sotto  la  guida  di  I".  H.ilbhcrr,  il  lavoro  per  la  pre- 
parazione del  Corpus  dell'Isola.  —  Rientrano  nella 
classe  del  grandi  Corpora  speciali,  l' iniziata  pub- 
blicazione nelle  Foiiitles  df  Delphes,  voi.  Ili,  fasci- 
coli 1-3  (1909-1911)  delle  iscrizioni  di  Dell!,  il 
l  volinne  ik'll.i  raccolta  delle  iscrizioni  delle  re- 
gioni del  Punto  edito  negli  Studia  Contica  III 
(V.  Delfi  e  Ponto)  e  la  continuazione  delle  /nscr. 
gr.  a.  r.  rom.  pert.  di  R.  Cagnal,  voi.  IV,  2,  rela- 
tivo a  Pergamo  (per  il  voi.  I,  fase.  6  (1909)  con- 
tenente I  supplementi,  le  correzioni  e  gli  indici  ni 
voi.  I,  V.  C.ri'la.  Mi'sia,  Italia).  —  Sullo  stato  ge- 
nerale del  lavori  per  la  raccolta  delle  Iscrizioni 
greche  nel  triennio  liTO-1911  v.  l'articolo  dello 
Miller  in  Klio.  1910,  liti  e  il  lintlel.  l'pifir.  In  Ràv. 
d.  lUiid.  nri-Ciì.    191)9-1911. 

Storia  f;rnrrali'  dctl'i-pìf'ra/ia.  All'articolo  l-'pi- 
iiraphii'  nel  Dirtion.  apologi't.  de  la  l'oi  cat/iol. 
(Paris,  I9III)  col.  1101-1457,  P.  I..  Jalabcrt  tratteg- 
gia magistralmente  lo  sviluppo  dcH'cpIgralia  green 
nel  morulii  cristiano,  segnando  con  mir.ibile  chia- 


rezza e  con  sicura  conoscenza  i  vari  rapporti  che 
intercedono  tra  l'epigralia  cristiana  e  il  cristiane- 
simo. 

Grammatica  e  lessico  delle  iscrizioni.  I  problemi 
generali  dell'cpigraiia  rispetto  alla  linguistica  rias- 
sume l'etruscologo  G.  Herbig  nell'articolo  F.pi^ra- 
pliik  u.  Spracliwissensclia/t  nei  \'eue  Jahrb.  /. 
Klass.  Alt.  1910,  1,  571-79.  —  Sul  buon  manuale 
di  A.  Thumb,  Handh.  d.  Griech.  Dial.  Heidelberg, 
19  »9,  e  l'utile  grammatica  di  C  D.  Buck,  Intra- 
duction  to  the  sliidy  of  the  gree<k  Diatect.  Gram- 
mar,  Select.  Inscr..  Glossar,  Boston,  1910,  v.  la 
recensione  dello  Schwyzer  in  Beri,  l'hil.  VC'och.. 
1911,  875.  —  Sul  gruppo  delle  iscrizioni  eoliche 
v.  le  note  critiche  e  grammaticali  di  Kr.  Bechlel, 
in  Aeolica.  Halle,  1909,  cf.  Beri.  Ph.  VCoch.  1910. 
col.  1169.  Quanto  alle  grammatiche  e  contributi 
allo  studio  delle  altre  zone  dialettali  v.  i  capitoli 
relativi  all'Attica,  Arcadia,  Beozia,  Cipro,  Creta. 
Macedonia,  Tessaglia. 

Della  Collitz's  Samniliini;  \G  D  J.)  e  uscito  il 
fase.  IV,  3  iI910)  come  appendice  al  voi.  Ili,  I  e 
il  fase.  IV,  -1,  1  (1911)  in  appendice  al  voi  III,  2: 
Il  primo  comprende  la  grammatica  e  il  lessico  delle 
iscr  megaresl  e  rodie  (O.  Hollmann),  di  Corinto 
e  colonie  (J.  Stenzcl).  di  Argo  iP.  Opitz),  di  Kgina, 
l'°olegandro,  .Anale,  Astipnica,  Telo.  Nisiro  e  ('nido 
(P.  Drathschmidt),  di  Cilimna  e  Coo  (O.  GladlsK 
il  secondo  la  grammatica  e  il  lessico  delle  Iscr. 
della  Laconia  e  .Mcssenla,  di  .Melo.  Tcra  e  Cirene 
(O.  lliifriM.uini.  —  !•■.  Soimsen  h.i  curato  un.i  ri- 
slamp.i  dell.i  sua  raccolta  delle  /«.«<•/■.  ^r.  ad  inliistr. 
dial.  xfleciae,  Teubncr,  1910  (qualche  correzione 
V.  In  Beri.  Ph.  Woch.,  191 1,  8791 

Sugli  usi  sintattici  nel  formulari  delle  Iscriilonl 
sepolcrali,  e  sull'uso  delle  prcpo.sixioni,  v.  ti.  N«ch- 


(t)  Quello  NtllnUmi  Juvrvhbo  iiolmAr».  r«r  I  («Ilari  Jvd'.ln. 
icniii.  In  Ui'unii  ,11  lr«  unni  (v.  .-Imiiini,!,  Ili,  tooN.  col.  it  «KS-  )• 
l.a  iiunnllU  Jol  mKlrTlAli>  e  r»l%l«n>ii  pct  gli  anni  ■«««•loio  Jl 
un  pln  ricco  rrpvrtorlo  ppisfdlic*i  nrlU  AVf.  J.  ?ImJ.  gi^.  v 
m'honno  InJiìliti  n  Ciiii,lpn<utr0  In  malvrlti  In  br«vl  «^pcnlilanl.  ■ 
velilo  In  oomiilki  InJlcailonl,  •  a  Iraxurar»  11  liawuraMI*.  Il  ctw 


ppfAlllK    n>>n    im    t,4    irnp«Jll.t    .(i    n.>t.tir    r    ii  \*^n^  are    '...f     .  N  <«  * 

tfu. 

•Ut-      ,   . 

non  tv)  pniuft>  i«n»r   conio  J»ii»   pubMiCAitoni   «v\«fluw  «icn*  it 
r«|tbriiki  iti  tutf. 


4} 


44 


manson,  Syntakt.  Inschriflenst.  in  Ada  Siiccana, 
1909,  .50-81  (a  p.  71  un  excursus  sulle  forme  di 
:v£z-^  ricorrenti  nelle  iscrizioni). 

Di  più  ulile  e  facile  oonsultazionc  ò  diventato 
il  Lexicon  snpplet.  et  dialect.  di  M.  Herwerdcn, 
uscito  rifuso  e  arricchito  in  una  nuova  edizione 
(l.cyden,  1910).  Ciò  non  ostante,  un  Tliesaiirus 
lin^(tae  ^rat-rne  cpigrapliicae  rimane  uno  dei  più 
grandi  desiderata  degli  epigrafisti. 

Sulla  lingua  delle  iscrizioni  metriche  v.  Il  Kock, 
De  epif>ramm.  Gr.  dialeclis,  Diss.  Miinstcr  1910, 
0  sulle  iscrizioni  bilingui  greco-latine  la  disserta- 
zione di  l-,  Zilken,  De  inscr.  lai.  gr.  biling.  quaest. 
sei.,  Bonn,  1909.  Lo  Zilkcn  ripromettendosi  di  pub- 
blicare il  corpus  di  tutte  le  iscr.  bilingui  greco- 
latine,  anche  su  manoscritti  e  monete,  offre  un 
saggio  di  1  capitoli  relativi  I  )  alla  trascrizione  dei 
prenomi  latini  in  greco,  e  2)  del  formulario  delle 
iscr.  votive  sepolcrali  e  onorarie,  ,3)  ad  alcune  di- 
vergenze occorrenti  nella  redazione  dei  due  testi, 
4)  all'ordine  in  cui  si  seguono  il  testo  greco  e  il 
latino  nelle  iscr.    bilingui. 

Di  speciale  interesse  per  l'onomastica  greca  è  la 
raccolta  e  lo  studio  di  E.  Sittig  sui  nomi  di  per- 
sona derivanti  dai  nomi  di  divinità  iDe  Graec. 
nominibiis  Theophoris,  Halle,  1911  >. 

Storia  dell'alfabeto  greco.  Oltre  alla  nota  teoria 
di  A.  Hvans  sulla  provenienza  dell'alfabeto  fenicio 
dalla  scrittura  minoica,  sistematicamente  esposta 
dall'A.  negli  Scripta  Minoa,  I,  1909,  interessano 
la  storia  dell'alfabeto  greco,  l'articolo  di  A.  H. 
Sayce  sull'origine  dell'alfabeto  fenicio  in  Proc.  of 
the  .Soc.  of  Bibl.  Ardi..  1910,  2l5-2'22  e  la  nota 
storica  di  H.  Nestle  sullo  sviluppo  seriore  dcU'al- 
tabclo  greco  in  occidente  (Beri.  Pliil.  Woch.  1911, 
631).  —  Sulla  carta  degli  alfabeti  del  Kirchhoff 
v.  Fr.  Wiedemann,  in  h'iio  1909,  364-5  (cf.  Alio, 
19  I.S.  52.3-6). 

Antichità  sacre.  Numerose  integrazioni  e  emen- 
dazioni al  testo  delle  Leges  Graecor.  sacrae  di 
L.  Ziehen  fa  G.  Papavassiliu  in  'V.^.  'Ap/.  1911, 
84.  —  Sulle  corporazioni  greche  ricordiamo  l'opera 
fondamentale  di  F.  Roland,  Gesch.  d.  griech.  Ve- 
reinswescns,  Lipsia,  19ii9,  il  breve  studio  supple- 
mentare del  medesimo  sulle  corporazioni  della  Pan- 
filia e  dell'Egitto  in  Philologus,  1911,  520-28,  e 
gli  Epigr.  Heitr.  z.  Gesch.  d.  dionys.  Kiinstler  di 
J.  Oeliler  (1909).  —  .">  defixiones  plumbee  del- 
V Antiquarinm  di  Monaco  pubblica  A.  Abt  in  Arch. 
f.  Religionswiss.,  1911,  143-58.  —  Della  più  im- 
portante denominazione  e  raffigurazione  simbolica 
nelle  iscr.  cristiane  trattano  le  due  monografie  af- 
fini di  Fr.  J.  Dòlger,  L\©YC.  Das  Fischsymbol  in 


f/tllichri.stl.  Zeil,  Rom,  1910  e  C.  R.  Morcy,  The 
Origin  of  the  l'ish-Symbol.  nella  Princeton  Theolog. 
Rew.,  1910,  93-100,  231-241.  Su  di  esse  v.  la  re- 
censione apparsa  nelle  MéJ.  lìeyrouth,  1911.  XIX: 
per  l'opera  del  Dolgcr  cf.  Byz.  Zeitsch.,  1911, 
p.  514-6. 

Palestre,  ginnasi  e  agoni.  Negli  F.pigr.  lieitraege 
z.  Gesch.  d.  Hildung  im  Klass.  Alterlh.\2)  1910, 
J.  Oehier  ha  raccolto  con  la  consueta  diligenza 
tutto  il  materiale  epigrafico  relativo  all'argomento. 

—  Oltre  che  nel  libro  Aiis  d.  Griech.  Schulwesen, 
19  )9,  E.  Ziebartli  studia  l'ordinamento  delle  scuole 
greche  nell'antichità  sui  dati  delle  iscrizioni  e  dei 
papiri  anche  in  Oesterr.  Jahreshefte,  1910,  108-16. 

—  Segnalo  R.  Schneider,  Die  Griech.  Gymn.  u. 
Palastren  nach  ihres  gesch.  Entwickl.,  Solothurn 
s.  d.  8  (sine  anno).  —  Sulle  espressioni  ò'.i  --/vt'jjv 
e  &  £-iv'/.to;  ricorrenti  nelle  liste  dei  vincitori  di 
agoni  musicali  v.  Fr.  Mie  in  Athen.  Mitth.,  1909, 
1-22. 

Scuole.  Sulle  tabelle  scolastiche  pubblicate  dal 
Kcnyon  nel  Joiir.  Hell.  stiid.,  XXIX,  p.  29  sgg., 
V.  anche  A.  Brinckmann  nel  Rhein.  Mus.,  1910, 
149-1.5.5. 

Nomenclatura  architettonica.  S.  Kayser  ha  ini- 
ziato nel  Musée  Belge,  1909,  37-55,  123-145, 
205-226,  il  lessico  completo  delle  voci  che  si  ri- 
feriscono alla  terminologia  dell'architettura  greca 
(gli  articoli  citati  non  vanno  oltre  %'A'j;).  L' im- 
presa, assai  meritoria,  è  stata  peraltro  giudicata 
prematura.  —  Quanto  lavoro  di  analisi  richieda  un 
lessico  dell'architettura  greca  si  vede  dallo  studio 
acuto  e  paziente  di  Courby  sul  termine  -ior.vEjA'.òe; 
5i,oxi  ricorrente  in  alcuni  atti  del  santuario  di 
Delo  (BCH.  1910,  501)  e  dalle  note  di  B.  Haus- 
soulier  sul  termine  -oor,-ii[i.i<i  t.t.-.oì'z-.ì.ì  ricorrente 
in  un  frammento  inedito  d'un  atto  del  santuario 
didiméo  (Rév.  d.  Phil.  1911,  p.  179)  —  Un  mi- 
nuto lavoro  di  analisi  architettonica  sulla  galleria 
coperta  delle  mura  di  Atene  è  dato  al  Caskey  di 
poter  fare  mercè  l'esame  e  la  discussione  dei  ter- 
mini architettonici  che  ricorrono  nell'/  G.  II,  167 
(Am.  /our.  Ardi.,  1910,  298  sgg.).  —  H.  Latter- 
mann,  l'A.  delle  Baiiinschriften,  discute  il  valore 
dei  termini  s-:?f i^saà»'-,  ÌT.nl>--.iri  e  ;-i;àv  nelle 
iscriz.  attiche  (Ath.  Mitth.,  1910,  367,  sgg.).  Altri 
termini  architettonici  vengono  studiati  da  L.  D. 
Caskey  in  Ath.  Mitth.,  1911,  341-3. 

Varia.  Nella  Miscellanea  in  onore  di  Fr.  Leo 
(Charites,  1911)  P.  lacobsthal.  p.  453-(ì5,  tratta, 
con  l'aiuto  di  belle  riproduzioni,  dell'uso  decora- 
tivo e  ornamentale  della  scrittura  nelle  iscrizioni 
greche  su  vasi,  stele  sepolcrali  ed  altri  monumenti. 


45 


46 


Il  vanto  di  aver  saputo  associare  artisticamente 
l'iscrizione  al  monumento,  non  spetta  esclusiva- 
mente all'epigrafia  romana  dell'  Impero,  ma  spetta, 
almeno  in  parte,  anche  all'cpigralla  greca  dell'età 
arcaica.  —  Uno  studio  archeologico  ed  epigrafico 
sui  rilievi  sepolcrali  attici  fa  H.  R.  Hastings  nelle 
Relations  betwfen  Inscript.  and  scutptured  Repre- 
sent.  upon  Altic  Tombstones,  University  of  Wi- 
sconsin, 1910.  —  E.  Nachmanson  in  liranos,  1910, 
I  sgg.,  esamina  sopra  un  certo  numero  d'iscrizioni 
i  casi  di  abbreviazioni  di  parole  per  contrazione, 
e  stabilisce  alcune  norme  dell'ortografia  epigrafica. 
A  questo  studio  va  ricunnesso  quello  di  Q.  Rud- 
berg  negli  Ada  Snecana,  1910,  71-100  sulla  con- 
trazione paleografica  negli  ostraka. 

Escono,  per  mole  varietà  e  complessità  di  ma- 
teria, da  una  qualsivoglia  classìlìcazione  bibliogra- 
fica di  studi  epigrafici  i  lìeitrage  z.  Griech.  In- 
schriftenkitnde  (1909)  di  A.  Wilhelm  (cf.  Ausonia 
IV,  1909,  p.  1 19).  Degli  articoli  raccolti  dallo  stesso 
A.  nei  Nette  Beitritfie  z.  Grieclt.  Inschriftcnk.  I, 
(=  Sitzitngsbir.  d.  Itais.  Akait  d.  Wiss.  in  M'ien, 
voi.  166,  Abh.  I)  verrà  data  notizia  n  parte  nel 
corso  del  bollettino. 

Bollettino  bibliografico.  Sempre  più  ricco  e  co- 
pioso è  il  //(///.  èpigraplt.  dei  due  anni  19  '9-1910, 
pubblicato  da  A.  .1.  Kcinacli  nella  RiV.  d.  et.  grecq., 
1910,  p.  287-315  e  1911,  297-333  (il  secondo  e  in 
continuazione). 

Attica. 

Atene.  Nei  Silztingsbericitte  dell'  Accademia  di 
Vienna  (voi.  16,5,  VI,  1911)  A.  Wilhelm  ha  Iniziato 
una  scric  di  notevoli  contributi  allo  studio  dell'epi- 
grafia attica,  riprendendo  in  esame  iscrizioni  e  gruppi 
d'Iscrizioni  di  allo  interesse  storico.  In  questo  primo 
fascicolo  vengono  studiati  e  sviscerati  i  pochi  do- 
cumenti epigrafici  che  si  conoscano  sulla  lega  di 
Corinto,  documenti  clic  il  Wilhelm  ha  avuto  per  II 
primo  II  merito  di  Identificare.  (I)  L'A.  aveva  già 
(.1//;.  Mitlh.  1899,9.5)  dimostrala  falsa  l'opinione 
generale  che  attribuiva  11  frammento  /  (/.  Il  IHI 
ai  confederali  ilella  guerra  Lamia  in  base  ad  un 
confronto  supcilicialc  della  lista  delle  città  e  degli 
etnici  men/ionatl  nel  frammento  suddetto  con  la 
lista  di  Dlodoro  I  2n2.  L'A.  torna  a  dlino.strare  con 
nuovi  e  più  stringenti  argomenti  che  l'Iscr.  /  (/.  Il 
IHI  nulla  ha  che  Lite  con  I  confederali  della  guerra 
Lamia,  nitro  non  essendo  clic  un  frammento  della 
lista  ilei  confederati  della  lega  corinzia  degli  l^llcnl 
fondala  da  l'ilippo  II  dopo  la  balt.iglla  di  Clieionea 
e  rinnovala  da  Alessandro  Magno.  L'Lscr.  /  U.  Il  tiiO 


è  un  altro  frammento  della  stessa  iscrizione.  II 
testo  dei  due  frammenti  assai  migliorato  dalla  let- 
tura del  Kochler  è  dato  a  pp.  7,  30.  Notevole  è  Io 
studio  dell'A.  sull'estensione  e  sul  numero  dei  fe- 
derati della  lega  corinzia,  desunto  e  dai  dati  epi- 
giafici  conservati  nel  frammento  J  G.  Il  liyi  e  da  un 
calcolo  approssimativo  della  parte  manchevole  di 
questa  lista  :  legge  a  1.  3  i-rJju-uv  invece  di  •I'aOt- 
3Ìojv:  a  I.  4  'I-JX£!(i];toTiùv  invece  di  'A/i'.<ù<  4>à>^ 
Tù)v,  a  I.  10  'Arlfaiwv  invece  di  '.\).i|:;i'..uv  e  calcola 
a  più  di  trenta  i  nomi  dei  federati.  -  (III  Un  2'*  do- 
cumento relativo  alla  lega  corinzia  il  Wilhelm  rico- 
nosce nei  7  frammenti  dell'iscriz.  /  G.  IV  92-J  (Epi- 
dauro)  relativa  alle  norme  per  il  pagamento  dei 
contingenti  degli  alleati  in  caso  di  guerra  :  i  fram- 
menti B,  F,  G  vanno  ricongiunti  nel  senso  della 
larghezza  (cf.  tav.  III).  -  (III)  Un  3"  documento  è 
stato  tratto  alla  luce  dagli  scavi  del  1897  sul  pendio 
settentrionale  dell'Acropoli  e  riguarda  l'approvigio- 
namenlo  dell'esercito  fornito  dalla  lega;  r'AìuJi»- 
Ò3'j;  che  ivi  ricorre  non  è  altri  che  Alessandro  Ma- 
gno. (A  proposito  della  scrittura  IIìt>i  per  ll».i 
il  W.  pubblica  a  p.  48  e  riproduce  alla  tav.  IV  un 
frammento  inedito  da  riconnctterc  al  decreto  di  pros- 
senio  /G.  169  e  cita  alcune  stelc  con  la  rafllgura- 
zionc  sul  frontone  degli  stemmi  (ni;Ì3T,|i»)  della 
città  che  conferisce  la  prosscnia  e  della  città  a  cui 
appartiene  l'onorato). 

Un  certo  numero  di  correzioni  ad  iscrizioni  del 
V-IV  scc.  (/G.  I  40.  77.  IV  1,  J77  e.  IV  1,  373. 
IV  2,  4331;  II  677,  736  B.  737  B)  fa  W.  Bannier 
nella  Beri.  Phil.  Wocli.  1911,  853  sg. 

Uoctuncnti  amministrativi.  —  A.  Wilhelm  nel- 
VAnz.  ti.  pli.  Itisi,  kl.  d.  Wien.  Attad.  d.  Wiss.  1909. 
41  sgg.  studia  una  buona  scric  di  rrammcntì  dclU 
lista  dei  tributi  del  \' sec.  i  !.>mc  d'inedili, 
stabilendo  nuovi  aggruppali.  .landò  e  inte- 
grando con  r abituale  acutezza  i  testi  IO.  I  '266, 
25-,  37,  .18,  41).  -  A.  M.  Woodward  ntW  Ann. 
Brit.  Sdì.  1908-9.  •J-29-52  riferendosi  alla  nuova 
lettura  data  dal  Wlllieli:;  '.  .Id  fiam- 
iiienlo  /  (ì.  I  2<>'>  In  t;t  '  ,i  nuovo 
frammento,.!  ione  U  un  .Mram- 
mentodclla  .-,1- ,  ..jduce  parzialmente 

il  testo  e  calcola  che  il  novero  degli  stali  Itibutarì 
salga  In  questa  lista  a  130140  .<:  •    —Lo 

stesso  A.  (ibid.   19)9  10,  187)   p.;  ic  fram- 

menti  relalivi  al  p.igamcnli  avvenuti  In  iinu  .sIcmo 
anno  per  la  costruzione  del  Partenone  ed  uno  re- 
lativo al  Propilei.  Tre  altri  frammenti  appartenenti 
al  cataloghi  it    '  '  .ii>. 

bllca  nel  Jo:.  ic^ 

laltvo  al  Paiicnunc  e  un  irammcnto  dell  JO.  i  171 


47 


48 


(a.  421/0);  il  secondo  è  un  nuovo  considerevole 
brano  dell'/  G.  Il  2,  665  databile  a  dopo  l'a.  375 
(in  base  a  questo  fraTtimeiito  viene  data  un'inte- 
grazione meno  lacunosa  dell'/  G.  II  2,  666,  672, 
t)94,  697);  il  terzo  infine  è  un  documento  frammen- 
tario inedito  in  doppia  colonna  da  riavvicinare  per 
la  forma  e  il  contenuto  all'/  O.  Il  2.  677,  678,  salvo 
clic  nel  nuovo  frammento  le  indicazioni  del  peso 
degli  oggetti  sono  alla  sinistra  delle  rispettive  de- 
nominazioni degli  oggetti  e  non  alla  destra.  Per 
questa  particolarità  e  per  la  redazione  del  testo  in 
doppia  colonna,  l'A.  fa  oscillare  la  data  del  docu- 
mento dall'a.  375  4  all'a.  369,8.  —  Nello  stesso  pe- 
riodico (ibid.  1910,  2o0-6)  il  medesimo  A.  fa  alcune 
correzioni  ad  un  buon  numero  di  frammenti  attici 
pubblicati  recanti  il  n"  d'inventario  2635,  4054, 
lii.')4  A,  4064,  4070,  e  rettifica  il  supplemento  da 
lui  stesso  proposto  nel  Joiirn.  19ii8,  291.  —  Infine 
nel  Joiini.  Iteti.  Situi.  1911,  31  sgg.  il  Woodward 
pubblica  tre  nuovi  frammenti  delle  liste  dei  tesori 
del  V  sec,  dei  quali  il  1"  appartiene  al  Pronaos  e 
il  2»  e  il  3»  all'Hekatompedon. 

Sopra  un  nuovo  profondo  esame  dei  documenti 
epigrafici  che  si  riferiscono  alla  costruzione  del- 
l'L^rechteion,  L.  D.  Caskey  basa  il  suo  notevole 
definitivo  studio  sulla  costruzione  del  santuario 
(Ath.  Mitih.,  1911,  317-343;  cf.  Amer.  Joiii:  Ardi., 
1908,  184  e  1910,  291). 

Due  frammenti  epigrafici  della  Clialcotheka  ha 
pubblicato  J.  Sundwall  nel  Giorn.  tifi  Aliti,  tiri- 
ristr.  Pubhl.  (russo)  1910,  271  sgg..  —  Alle  tradilio- 
nes  dell'a.  344  3  appartiene  l'importante  stele  ammi- 
nistrativa edita  dallo  stesso  A.  neH"Ki.  'A,^/..  1909, 
197-200:  V.  una  giusta  correzione  di  W.  Bannier 
nella  Beri.  Phil.  n'odi.  1910  n.  26.  —  Un  notevo- 
lissimo nuovo  documento  della  marineria  ateniese 
il  Sundwall  stesso  ha  pubblicato  e  commentato 
nelle  Atli.  Mitili.  1910,  37  sgg.  Trattasi  di  un  com- 
pendio del  resoconto  amministrativo  fatto  dal  con- 
trollore dei  cantieri  navali  nell'a.  365  4  (O/.  103,4), 
con  una  lista  dei  trierarchi  debitori  e  l'inventario 
delle  navi  esistenti  nei  cantieri.  Tale  revisione  av- 
veniva, secondo  l'A.,  regolarmente  ogni  4'^  anno  di 
ciascuna  olimpiade.  —  Un  frammento  di  lista  dei 
beni  dell'Athena  Polias  dati  in  locazione  nell'a.  343  2 
pubblica  il  Sundwall  nelle  Atti.  Mitth.  19ln,  64;  per 
la  forma  e  per  il  contenuto  il  frammento  si  richiama 
all'iscr.  I  G.  il  2,  851,  della  quale  l'A.  integra  la 
2"  colonna.  Un  giusto  appunto  al  supplemento 
^YOjia  -pr;,|T«.  .1  fa  il  Bannier  (Bcd.  Pli.  Wodt.  1910, 
854);  i.y)'^i  non  può  essere  che  indicazione  di 
luogo.  —  Uno  studio  d'insieme  sulla  redazione,  com- 
posizione e  sui  vari  sistemi  di  aggruppamento  degli 


atti  amministrativi  del  V-IV  sec.  fa  W.  Bannier  nel 
Rliein.  Mas.  65,  1-21  e  06,  .38-55.  L'A.  osserva  la  più 
grande  variet;i  nel  (ormulario  della  registrazione 
d'archivio,  e  quanto  all'ordine  degli  inventari,  può 
stabilire  che  nei  primi  anni  del  IV  sec.  i  donari 
dei  singoli  depositi  vengono  inscritti  su  stele  di- 
verse, ad  eccezione  di  un  buon  numero  di  donari 
trasferiti  dall'Artemis  Brauronia  all'Opistodomo  che 
vengono  invece  registrati  sulle  stcle  dcll'Ecatom- 
pedon  ;  negli  anni  susseguenti  i  donari  vengono 
aggruppati  sulla  stele  in  due  colonne;  da  una  parte 
sono  registrati  i  donari  di  Atene  e  le  ■^.■■ì'i.tl:  delle 
altre  divinità,  dall'altra  i  donari  delle  altre  divinità. 
Si  nota  anche  col  processo  del  tempo  un  tentativo 
di  aggruppamento  degli  oggetti  per  classi  e  per 
materia.  I  documenti  della  Chalkotheka  si  rinven- 
gono sempre  scritti  da  una  parte  delle  stele,  mentre 
l'altra  parte  è  occupata  da  un  altro  gruppo. 

La  continuazione  delle  ricerche  del  Ferguson  sui 
documenti  ateniesi  del  III-I  sec.  {KUo  1909,304-340, 
n.  10)  riguarda  i  documenti  relativi  alla  pitaide 
ateniese  i  viene  ritracciata  una  storia  della  pitaide 
e  si  fa  piij  d'un'obbiezione  critica  al  noto  libro  del 
Colin),  il  testo  dell' /  G.  II  985.  l'ammontare  delle 
spese  per  le  i-otp/»'.  dall'a.  102,1-9)4,  la  deno- 
minazione e  la  funzione  del  va-jai/o;  e  z-^i-r,-^hi 
ìrì<.  tò  vajTi/.óv,  infine  le  correzioni  ed  emendazioni 
alle  precedenti  ricerche  dell'A.  in  base  al  materiale 
epigrafico  pubblicato  negli  ultimi   anni. 

Di  grande  interesse  per  la  storia  commerciale  di 
Atene  nel  II  sec.  a.  C.  (a.  176'."))  è  il  decreto  in 
onore  di  un  munifico  mercante,  meteco  ateniese, 
il  quale  avrebbe  in  tempo  di  penuria  recato  al  Pi- 
reo un  grosso  carico  di  grano  e  di  olio  venden- 
dolo a  cosi  tenue  prezzo  da  procurare  al  bilancio 
pubblico  un  notevole  guadagno  nella  rivendita. 
Secondo  l'acuto  commento  di  Anton  v.  Premerstein 
nelle  Atli.  Mitili.  1911,  73-86,  questo  documento 
serve  ad  illuminare  il  periodo  oscuro  della  storia 
interna  ateniese  tra  la  guerra  dei  Romani  con  An- 
tioco e  la  terza  guerra  macedonica.  Siamo  vicino 
ai  tempi  in  cui  Pausania  dirà,  riferendosi  intorno 
all'a.  156  a.   C;   VII,    14,  4:  -svU:  h   -o    h/rizoM 

'\Sr,'/:vJj'-    rr,'/'.zaJTJ   r/.ov. 

Sull'uso  della  doppia  data  nei  decreti  del  IIMI 
sec.  V.  lo  studio  di  J.  Kirchner  nei  Sitzimgsber. 
ti.  Beri.  Akad.  1910,  982-88:  il  x^zi  5cóv  si  ha 
negli  anni  comuni,  il  xar'  ìpyjovTa  negli  anni  con 
mese  intercalare.  Negli  anni  in  cui  si  trova  usata 
la  doppia  data,  viene  preferito  l'uso  del  '.iti  5sóv. 

Epigrafia,  topografia  e  monumenti  di  Atene.  — 
Nuova  e  vivace  discussione  del  Petersen  sull'iscri- 
zione dell'  Hekatompedon   e  l'ipy.aioc  vewc,   e  op- 


49 


SO 


posizione  all'interpretazione  data  dal  Frieckenhaus 
del  passo  deiriscriz.  /  G.  Il  733.  Il  13-15  e  7.3,5 
(  KUo,  19 19,  229-47).  —  A.  Kòrte  crede  di  aver  tro- 
vato la  soluzione  del  problema  epigrafico  ed  ar- 
cheologico della  stele  opistografa  di  Athena  Nike, 
riconoscendo  nella  finale  ■•z'ì:  del  proponente  il 
r  decreto  il  nome  Hipponikos  nipote  prediletto  di 
Cimonc,  figlio  della  sorella  Elpinice,  e  nel  Callias 
del  11  decreto  il  figlio  omonimo  di  Hipponikos 
{Hermes  1910,  62.3-7).  —  Da  alcuni  passi  degli  ac- 
conti delle  spese  per  l'Eretteo  dell'a.  408-7  (Mi- 
chaelis,  Arx,  append.  epigr.  28  a  Col.  I  4-24,  42-5'l 
e  28c  col.  II  12-22)  B.  H.  Hill  ricava  che  i  lavori 
si  riferiscono  al  soffitto  in  legno  della  cella  occi- 
dentale e  ritrae  elementi  sufficienti  per  una  rico- 
struzione del  soppalco  (Atti.  Joiir.  Arch.  1910, 
291-7).  —  Il  Dinsmoor,  opponendosi  all'opinione 
del  Versakis  sulla  cronologia  dell'iscr.  coregica  del 
monumento  di  Nicla  rispetto  alla  cronologia  del 
monumento  stesso  ('H:p.  'Ai/.  1999,  221-38),  sostiene 
che  l'iscrizione  e  il  monumento  sono  contempo- 
ranei, dovendosi  la  fondazione  di  questo  attribuire 
a  Nicla  II,  e  cioè  immediatamente  dopo  l'a.  320-19 
(Am.  Joiir.  Arch.  1910,  149  sgg.i.  B.  Perrin  con- 
sentendo con  il  Dinsmoor  nello  spostamento  crono- 
logico, nega  peraltro  clie  Plutarco  abbia  confuso 
nella  sua  testimonianza  la  dedica  dei  tripodi  di 
Nicla  il  vecchio  con  il  monumento  coragico  di 
Nicla  il  giovane  (Am.  Jour.  Ardi.  1911.  168-9): 
v.  anche  il  consenso  del  Doerpfeld  alla  tesi  del 
Dinsmoor  in  Atti.  .Mitili.  1911,  60.  —  Una  base 
onoraria  sull'ala  meridionale  dei  Propilei  dedicata 
ad  un  Sesto  Pompeo,  è  attribuita  da  P.  Oroebe 
all'omonimo  propretore  in  Macedonia  morto  in 
guerra  nel  117  a.  C.  contro  I  Celti,  avo  del  trium- 
viro. —  Sulla  galleria  coperta  delle  mura  di  Atene 
V.  sopra  Genera  Ha. 

Ceramico.  —  Olire  l'opera  fondamentale  del 
Brueckncr.  Dus  Friedhof  am  Eridanos,  1909.  ab- 
biamo del  Brueckncr  stesso  una  scric  di  studi  e 
di  notizie  sugli  ulteriori  scavi  del  Ceramico.  Una 
prima  imporlanle  rel.izione  degli  scavi  del  liNW  in- 
torno alla  chies.i  di  II.  Triada  ù  apparsa  nel  ll:>x- 
T.x»  1909  (1911)  p.  10512  (cf.  Kóv.  Arch.  1911. 
I  157  e  Arch.  Anz.  1910.  531-2):  uno  studio  spe- 
ciale sul  recinti)  degli  Hraclcesl  e  tombe  immedia- 
tamente contigue  (cronologia  della  stole  di  Agalhon, 
xi')V',3X'){  di  Dioskuridcs,  ecc.)  v.  nella  '10-^.  '.\yf_. 
1910,  107  sgg.;  e  uno  studio  più  largo  e  profondo 
sulle  sepolture  pubbliche  ad  Atene,  .1II.1  destra  dcl- 
rijldanos,  il  Brueckncr  f.i  nelle  ,4//i.  Mitth.  1910, 
1K3-'J3I,  cercando  di  stabilire  I  vari  aggruppamenti 
e  classificazioni  delle  stole,  l'ordine  delle  Uste  del 


morti,  ecc.  In  questo  stesso  artic 

blicati  i  due  nuovi  frammenti  de _ 

polcrale  per  i  morti  nelle  battaglie  di  Corinto  e  di 
Coronea  già  segnalato  da  Pausania  I  29,  11:  a 
p.  224  si  dà  uno  schema  ricostruttivo  della  stele. 

Agorà.  —  G.  P.  Oikonomos  pubblica  nella  "E^. 
'A.V..  1910,  1-28;  401-8.  il  risultato  epigrafico  degli 
scavi  fatti  nel  1907-8  sul  lato  orienulc  dell'antica 
agorà  ;  a)  decreto-legge  del  iv  sec.  a.  C.  relativo 
all'olTerta  dell'  ^-iyi\  dovuta  dalla  città  di  Atene 
alle  divinità  eleusinic.  a  complemento  o  rettifica 
d'un  altro  nomos  datato  da  Chraimonides  a  cui 
l'iscr.  si  riferisce.  L'A.  nota  le  dilTerenze  che  cor- 
rono in  simili  decreti  tra  un  documento  del  v  ed 
uno  del  iv  secolo;  b)  dedica  del  sacerdote  della 
Madre  degli  dei  Armenos  di  Aniifates  (a.  .328-7); 
c\  decreto  onorario  dei  prìtani  della  tribù  Antio- 
chide  della  4*  pritania  sotto  l'arconte  Glaucippo 
(1»  metà  del  in  sec);  a  p.  175-6  aggiunte  e  ret- 
tifiche al  precedente  commento  ;  d\  psephisma  in 
onore  dei  taxiarchi  ol  jx-t'  Eijtvtn-o-j  (3034)  sotto 
l'arconte   Nikokles  (302-1). 

Ma  la  scoperta  epigraficamente  più  importante 
avvenuta  negli  scavi  dell'agorà  è  la  ^itìàXwv  Sh- 
vfa-i7',  pubblicata  a  parte  dallo  stesso  A.  nelle  Alh. 
.Vìitth.  1910.  274-322.  Il  nuovo  importantissimo  do- 
cumento della  storia  mineraria  di  Atene  viene  ad 
arricchire  la  serie  dei  frammenti  /  G.  II  780-3  e 
Suppl.  7806,  superandoli  per  l'ampiezza  del  testo 
e  la  straordinaria  ricchezza  di  dati  prosopografici 
e  toponomastici-  Trattasi  di  una  stele  opistografa 
su  una  faccia  della  quale  ci  son  conservate  tre 
colonne  di  testo  di  138  lince  complessivamente: 
sull'altra  faccia  11  testo  frammentarlo  d'una  colonna 
di  48  linee.  Il  documento  reca  I  nomi  degli  arconti 
Camerate  (.349-8)  e  Tcofilo  (3|S-7)ed  ò  probabil- 
mente contemporaneo  al  secondo. 

Via  .Sacra.  —  Nel  suo  notevole  studio  sullo 
hieròn  di  Afrodite  presso  II  convento  di  Dafni. 
Sam  Wide  ('Ev.  'A?/..  191o.  50)  raccoKlIc  in  un 
gruppo  le  poche  e  tarde  Iscrizioni  appartenenti  a 
quel  santuario. 

r.leusi.  -  Nel  testo  dell'iscr. /G.  I.  232  (Wilhelm 
««•//r<l/,v  J909.  24)  AIj'  'V--  ■  •  jtìIX»); 
X1ÒÌ.JIXIV  I  'AXxl^oo»  «  ;;v  itX,, 

A.  KItcr  (/?/i«n.  .Vf/«.   l'Jii.  Ji  "><) 

sugli  esempi  / G  .-X.  297  e  liC  II  ■  v»- 

lora  l'Ipotesi  emessa  dal  Wilhelm  che  le  siclc  men- 
zionate ncll'lscr.  segnassero  1  veri  termini  del  i.;ùs«o« 
di  lileusl  recando  a  conferma  per  l'uso  della  paroU 
jTi.Xr  In  tal  sensi).  1  versi  ili   '  "       "U. 

,\fo  rhiìkron.  —  Con  i..  .<m- 

surlllevo  relativo  al  mito  di  lon  nnvcnuto  presso 


5' 


52 


il  Phalcron  nella  supposta  località  del  demo  de- 
gli l-chclidi  ('i:p.  'Af/..  1909,  243-57;  cf.  Aiisoniu 
IV,  2,  102),  son  venute  alla  luce  tre  iscrizioni  di 
dedica:  a)  dedica  alle  dicci  divinità  venerate  nel 
hnienos  tra  cui  al  Celiso  e  alle  Ninfe  ;  b)  base  con 
il  nome  dell'arconte  Cefisodoto  di  Dcmogenos 
(IV  sec.  a.  C.)  relativa  all'instaurazione  di  un  |"ì">;j.ó; 
e)  dedica  di  Xcnocrateia  al  Cclìso  e  ai  5jv,'i'..aot 
ìi'A.  Ai  dubbi  sollevati  dal  testo  di  quest'ultima 
iscrizione,  lo  scopritore  e  editore  Val  Stais,  risponde 
in  'l'jj).  'A,5/..  1910,  173  sg.  confermando  la  sua  let- 
tura. Si  oppone  0.  Papavassiliu  (TCi.  'A^/.  1911, 
78-81)  proponendo  una  buona  emendazione  all'ul- 
rima  linea  del  testo,  e  cercando  di  ricostituire  il 
testo  originario  dell'iscr.  sconvolto,  secondo  l'A., 
dal  lapicida.  Questa  ricostituzione  e  la  spiegazione 
data  del  òiòaj/.aX'a:  tóòe  òòipov  sollevano  dubbi  più 
clic  non  ne  risolvano. 

Pireo.  A.  Wilbclm  ripubblica,  con  una  bella  ri- 
produzione, l'importante  frammento  d'un  editto  per 
il  mercato  del  pesce  nel  Pireo  datandolo,  in  base 
al  ricorrere  dcWepimeletes  Tib.  lui.  Erodiano,  all'età 
di  Adriano  (Oest.  Jahresh.  1909,  p.  147:  a  p.  148 
una  nuova  iscrizione  relativa  ad  un  epimeletes).  — 
1. 'eforo  ,1.  X.  Dragatsis  pubblica  in  'Ho.  'Ap/_.  1910, 
65-82  un  buon  numero  di  stele  e  di  /.tovtazot  dal 
Pireo:  una  correzione  all'epigramma  della  p.  73  v. 
in  'Ha.  'Ap/..  1910,  399  sg.  e  1911,  122. 

l.aiirion.  —  Al  domo  di  Anaphlystos  presso  il 
Laurion  va  attribuito  l' importante  oio;  ipotecario 
del  IV  secolo,  ripubblicato  da  A.  v.  Premerstein 
dopo  la  pubblicazione  del  Robinson  in  Amen  Jour. 
of  Phil.  1907,  430.  È  una  wv^  i-\  Xugei  nella  quale 
compaiono  come  creditori  un  privato  e  4  associa- 
zioni religiose  di  cui  due  hanno  denominazione 
gentilizia  (rx[a]j>';tòai  e  'KztzXETSai)  e  due  la  deno- 
minazione di  'ooìt^oe:  rj\  tLiz'i  Tou  òsTvo;.  Le  due 
ultime  associazioni  non  sarebbero  che  i  i-.-xi',: 
d'una  fratria  del  demo  di  .Anaplilystos.  Importante 
discussione  sulle  suddivisioni  delle  fratrie.  —  V.  piià 
sopra  la  nuova  [j-i'-xXhov  5taYc.a./r|  delle  miniere  del 
Laurion. 

Ramnunte.  —  J.  Kirchner  pubblica,  con  un  testo 
alquanto  tipogralìcamente  scorretto  ('lOo.'Aox- 1909, 
271-6),  un  interessante  decreto  del  collegio  degli 
Anliaraisti  a  Ramnunte  (iii-ii  sec.)  relativo  a  una 
sottoscrizione  di  tutti  i  membri  del  collegio  per 
sopperire  ('j^ov  iv  [ìouIriTai  (t;c)  alle  spese  neces- 
sarie al  restauro  del  santuario.  La  perfetta  conser- 
vazione dell'  epigrafe  e  il  modo  particolareggiato 
con  cui  si  indicano  i  lavori  necessari  di  restauro, 
fanno  di  questo  documento  uno  dei  più  belli  del 
genere,  e  non  si  capisce  perchè  il  dotto  epigraQsta 


attico  si  sia  limitalo  a  semplici  note  prosopografi- 
che  sulla  lista  dei  componenti  il  collegio  (cf.  Bull. 
i-pigr.  1911,  .'{07).  Una  rettifica  sul  signllìcato  dato 
dal  Kircimcr  al  termine  óX;jo;  v.  intanto  in  'lOs. 
'A?/..   191 0,  399. 

Orópu.  Il  Latlcrmann  (/!///.  Mitth.  1910,81-102) 
si  giova  delle  precise  indicazioni  contenute  nella 
nota  iscr.  dell'Amphiaraion  /G.  VII,  4255  sul  per- 
corso e  sui  lavori  della  condottura  d'acqua  nell'in- 
terno del  santuario,  per  stabilire  alcuni  punti  fissi 
nella  topografia  delle  costruzioni  limitrofe.  Note- 
vole è  lo  studio  sulla  tecnica  delle  costruzioni  del 
canale  coperto  (ò/:tÌ;  /.'^ivo;  «pj-TÓ;)  desunta  dai 
termini  occorrenti  nell'epigrafe.  —  Un  frammento 
d'iscrizione  forse  votiva  sopra  un  rilievo  prove- 
niente dall'Amphiaraion  v.  in  "Iv,.  'A,i/.  1910, 
p.  262  sg. 

/scrizioni  vascolari.  —  Dell'importante  tesi  del 
Brauchitsch,  Die  Panatlienciischen  Preisamplioren. 
Teubner  1910,  va  considerato  come  integramento 
l'articolo  del  Dinsmoor  neir.4/n.  Journ.  Arch.  1910, 
422-5:  oltre  alla  conferma  della  lettura  dell'arconte 
Neaichmos  (a.  i572,3)  sull'anfora  edita  in  Arti. 
Journ.  Arch.  190,-i,  p.  47-8,  vengono  pubblicati  una 
nuova  anfora  con  l'iscr.  :-  '.Vste- o  'iy/vi-'ì:  la  più 
antica  di  tutta  la  serie  delle  anfore  datate  (da  no- 
tare la  formula  ir::  -'rj  'jv.'j  ,:  invece  del  comune  ó 
òiTvi),  e  un  frammento  di  lìleusi  in  cui  VA.  rico- 
nosce il  nome  dell'arconte  Timocrates  (a.  361,3). 
A  p.  425  si  dà  la  lista  completa  delle  anfore  pa- 
natenaiche  datate.  Una  buona  riproduzione  dell'an- 
fora di  Asteios  v.  in  Ani.  Journ.  Ardi.  1911, 
504  seg.  —  Frammenti  d'un'anfora  panatenaica  da 
Camiros  v.  in  Ann.  Brit.  Sch.  1909  10,  206. 

Su  di  un'anfora  a  figure  nere  recante  una  rappre- 
sentanza del  mito  di  fìuropa  (=  Ulrichs,  Verzeicli. 
ci.  ani.  Sanimi,  d.  Univer.  Wiirzburg,  111,  n.  113), 
P.  Jacobsthal  legge  accanto  all'iscrizione  Ej;<i-:;a 
l'iscr.  iT]:»(3)o'Jc  ivaiòr.c,  invece  dell'impossibile 
forma  onomastica  'i'osaviiòr,;  letta  dal  Gerhard 
(Hermes,  1910,  158-9). 

Lo  stesso  (ibid.  1911,  478)  nell'  anfor.i  attica  di 
Berlino  con  la  scena  d'una  cavalcata  umoristica  di 
giovani  efebi  (Furtwangler,  1697),  risolve  l' iscri- 
zione EIO+EO+E  nella  lettura  j'.  '  óf^v.  ó/r.. 

Stele  attiche  e  monumenti  sepolcrali.  —  Nuove 
stele  attiche  con  iscrizione  sono  :  la  stele  di  Callicrite 
figlia  di  Aristophanes  d'Afidna  (i"  sec),  pubblicata  in 
'E9.  'Acy.  1909.  p.  132,  due  stele  da  Ramnunte 
(Klio,  19Ò9.  371),  due  acquistate  dal  Aìuseo  di  Mo- 
naco (V.  Bull.  Epigr.  1911,  p.  302)  ed  una  dal  British 
Museum  (Arch.  Anz.  1911.  155).  Una  stele  attica 
del  Museo  del  Louvre  è  riprodotta  nelle  Ath.  Aiitth. 


53 


54 


1910.  p.  12,  tav.  iV,  e  due  rilievi  del  Museo  di  Edin- 
burgo  sono  segnalati  da  S.  de  Ricci  Rév.  Arch. 
1909.  I,  266).  —  Una  ricca  silloge  di  iscrizioni  se- 
polcrali inscritte  per  la  maggior  parte  su  ziov'i/.o; 
(iii-i  sec.  a.  C.)  è  pubblicata  dal  Robinson  nello 
Americ.  Jour.  oj  PhyL.  1910,  ,377-399.  -  Nella 
classe  dei  monumenti  sepolcrali  rientrano  anche  i 
due  dischi  funebri  editi  dal  Marshall  in  Joiir.  fieli, 
stud.  1909,  152  sg. 

Varia.  —  Sulla  questione  lungamente  discussa 
se  i  poeti  fossero  anche  istruttori  dei  cori  e  della 
azione  drammatica,  e  sul  valore  di  Ò'.òìo/.iao;  e 
ò'.5i;a;  nei  cataloghi  dei  condirsi  drammatici,  v.  J. 
H.  Lipsius  nel  RItein.  Mas.  1910,  161-8.—  Qualche 
nota  al  testo  della  missiva  su  laminetta  plumbea 
riedita  dal  Wilhelm  nelle  Oest.  Jahresfi.  VII,  94  fa 
W.  Cronert  nel  Rhein.  Miis.  1910,  157  sg.  —  Th. 
I3irt  ripubblica  nel  Rliein.  Mas.  1911,  147  la  stele 
sepolcrale  di  Timocrates  ortogrdphos  (ii-m  sec. 
d.  C),  fatta  oggetto  di  una  comunicazione  di  Sp. 
Lambros  nel  Congresso  archeologico  del  1905  ad 
Atene.  L'epiteto  Òìjoy.-ì-ìo;  non  vale  né  '•.\.';.\\.'i-'/jÌ- 
■i'i;  nò  come  alcuno  stranamente  pensò  riferendosi 
alla  figura  dritta  del  defunto  sulla  stele  ó  Ypatpuv 
òpàó;,  ma  semplicemente  ortografo  nel  signifi- 
cato ancora  vivo  e  moderno  della  parola,  vale  a 
dire  un  grammatico  la  cui  professione  era  del  ;;c- 
nere  di  quella  clic  Suida  testimonia  per  il  gramma- 
tico Kaprogencios  t(5v  XiEiiov  SripiTÌn  xi'i  tòIv  toìtujv 

«vriiToi/'ov   «xoi^Sr,;  ópSoYfitpo;    (a,  V.    ivoiy •<.••<);  cf. 

Dalmazia  (Salona). 

Lingua  e  dialetto.  —  Segnalo  la  dissertazione  di 
I'".  Schla^ctcr,  Der  WortSthatz  der  ausscrlialb  At- 
tikas  gefiind  .III.  Inschrìflen.  Konstanz,  1910,  8*. 

l'i'I.OPONNHSO 
Argolide. 

Argo.  —  Il  Wollgraff  pubblica  in  li  CU.  liK)9. 
171 -2(K)  e  445  170  il  primo  Importante  ri.sullato 
cpigralìco  della  camp.ngna  di  scavi  ad  Argo.  1)1 
singolare  interesse  é  11  lesto  relativo  al  lavoil  falli 
nel  santuario  di  .Apollo  Pytlilos  ad  Argo  per  in- 
giunzione profetica  del  dio.  11  principio  di  un  te 
sto  (notevole  II  prescritto)  contenente  un  oracolo 
reso  al  Mcsseni,  e  un  frammento  d'  una  cura  me- 
illcorellglosa  {ii;ix:ii  operai.)  dal  dio.  Tra  le  iscri- 
zioni dell'  et.^  riiman.i  merita  sficclale  mcn/ione 
un  atto  di  ammini.strazione  (/)  redatto  secondo  le 
date  del  calendario  romano.  Ma  II  documento  cpl- 
grallk'o  più  importante  di  (jucsla  campagn.i  è  In 
copia  della  conveii/ionc  stipulata  per  l'aibitralo  di 


Argo  fra  Cnosso  e  Tilisso  (B  C  H.  1910.  331  sgg. 
v.  Cieta).  —  L'abbreviazione  71:  nelle  isciiz.  argive 
é  spiegata  da  J.  Baunack  in  Philol.  LXIX.  466-478 
come  y=vó;ì£vo;  (ftvojiiv»;   arrcÀtj^ifo;. 

Methana.  —  Un  importante  epigramma  sepol- 
crale del  VI  sec.  è  pubblicato  da  A.  v.  Premerstein  in 
Ath.  Mitili.  1909.  3ó';-62:  cf.  H.  Draheim  in  Woch. 
kl.  Pliil.  XXVII.  50,  p.  1382  e  Radermacher  nel 
Rhein.  Mas.,  1910.  p.  472  sg. 

Trezene.  —  Il  decreto  di  Trezene  conservatoci 
dal  nuovo  codice  ambrosiano  di  Ciriaco  d'.^^con3 
(v.  sopra  La  co  ni  a),  è  meglio  letto  e  integrato  dal 
Wilhelm  (Neue  Beitr.  n.  4).  Il  decreto  C I G.  100 
giustamente  riconnesso  dal  Sabbadim  all'iscrizione 
copiata  da  Ciriaco,  non  è  attico  ma  di  Alicarnasso. 
colonia  di  Trezene. 

Ermione.  —  Oli  'X-^y'''  J'Iiììvì;  menzionati  in  un 
frammento  epigrafico  di  Hermion.  relativo  senza 
dubbio  ad  una  delimitazione  di  contini  (IG.  IV. 
827)  non  vanno  ricercati  con  il  Fraenkel  fra  i  ter- 
ritori di  Hermion  e  Kleonai.  ma  invece  a  nord- 
ovest tra  Hermion  ed  Epidauro.  probabilmente  nella 
vicinanze  del  golfo  di  Vurlià  (Wilhelm,  in  Seue 
Beitr.,  p.  26-32). 

l-pidatiro.  Sull'iscr.  IG.  IV.  924  v.  Attica,  Alene. 

Egina. 

A.  Maturi  e  L.  Savignoni  in  Róm.  Miiteil.  XX\'. 
1910.  p.  197.'>05  e  '206-222  combattono  strenua- 
mente In  due  articoli  diversi  il  testo  e  il  signifi- 
cato dell'iscrizione  di  Apliaia  quali  erano  stali  sta- 
biliti da  A.  l'urtwanglcr  e  M.  l-rilnkcl:  il  primo, 
dimostrato  assurdo  il  supplemento  della  teaa  lin. 
xi'v  -lUix'j];  r.t3'[i^r.o:T^3r„  sostiene  chc  i  Supple- 
menti delle  tre  linee  del  testo  ni  corrispondono 
alla  lunghezza  originaria  dell'  iscrizione,  ni  con- 
vengono alla  natura  e  al  carattere  del  documento. 
Questo  non  sarebbe  stato,  come  poneva  il  Furt- 
wilnglcr.  relativo  e  contemporaneo  alla  fondazione 
del  I  tempio  (vii  sec.)  ma  pertinente  Invece  a 
lavori  di  restauro  e  di  riitit  '     lutto  o  me- 

glio d'una  sola  parte    del    :      .  < .;       ccII.t>) 

(VI  sec).  L  Savignoni  mentre  da  una  parte  con- 
valida le  conclusioni  di  .A.  Maturi  dimostrando 
quando  sia  problematica  l'esistenza  d'un  tempio 
del  MI  secolo,  se  ne  ^  he 

rigu.ird.1    la  nuova    cn,  m- 

tc^M  ,:  ■ 


Tt'iu.    0    11)' 


fb>  ypwaid  . 


>». 


/iuiimiii      Anno   VI. 


J? 


55 


56 


l/o'z'i;  non    snrcbiìc   soltanto  la  cella  ma  lutto  il 
tempio. 

Due  nomi  di  artisti  ligineti  ricorrono  nelle  iscri- 
zioni d'una  |)yxis  attica:  i^iiz.có?  e  KpirjXo:  (acq. 
Brit.  Miiscum;  Ardi    Anz.  1910,  506). 

Laconia. 

Un'inatteso  notevole  contributo  al  materiale  e 
alla  storia  delle  scoperte  epigralichc  della  Laconia 
in  special  modo  e  delle  parti  meridionali  del  Pelo- 
ponneso in  generale,  è  venuto  dalla  scoperta  di 
un  numero  di  schede  autografe  della  descrizione 
del  Peloponneso  di  Ciriaco  d'Ancona  nel  codice 
Ambrosiano  (Trotti)  373.  fol.  101-124.  Il  codice 
pubblicato  egregiamente  da  R.  Sabbadini  in  Mi- 
scellanea Ceriani  1910.  pag.183  seg.,  contiene  36 
iscrizioni  di  cui  buona  parte  sono  inedite,  mentre 
non  poclie  offrono  un  testo  notevolmente  migliore 
del  testo  del  Boeck  (v.  le  correzioni  dello  Ziebartli 
nella  lierl.  Phil.  Wocli..  1910.  306  .sg.  e  del  Wilhelm 
nei  Neue  Beitràge,  v.  appresso). 

I,a  conoscenza  del  materiale  epigrafico  dovuto 
alle  ultime  scoperte  e  ricerche  è  agevolata  dalla 
pubblicazione  nelle  (jD./.  IV.  fase.  4.  1  (1911)  dei 
Nachtriige  di  O.  Hoffmann  alla  silloge  delle  iscri- 
zioni dialettali  della  Laconia.  I  no  4410  e  4412 
(copia  del  Fourmont  e  frammento  rinvenuto  da! 
Dressel  e  Milchoefcr)  sono  pezzi  diversi  d' una 
stessa  iscrizione;  il  no  4416  (stele  di  Damonon)  è 
ripubblicato  con  la  nuova  parte  inferiore  della 
stele.  Vengono  inoltre  ripubblicate  43  tra  le  più 
importanti  iscrizioni  scoperte  negli  scavi  della 
Scuola  .Americana:  no  1-9  dediche  del  santuario  ad 
Artemis  Orthia.  7-14  iscrizioni  dedicatorie  dei  vin- 
citori dei  -D;iòr/.o\  àycovE^,  n.  14  parole  o  forme 
dialettali  ricorrenti  nelle  altre  iscrizioni  del  santua- 
rio di  Artemis.  no  17-22  iscr.  di  Athena  Chalkioikos. 
24-25  serie  di  bolli  dei  due  santuari  e  d:  una  sza 
vo^v'.ot.  27  dedica  di  Aiglatas  ad  Apollo  Karneios 
(BAS.  1910.  81).  Le  iscr.  '29-4:?  provengono  da 
vari  centri  della  Laconia  :  Geronthrai.  Marios.  Epi- 
dauros  Limena.  Thalamai.  Pyrgos.  Oitylos.  Tutto  il 
ricco  materiale  dialettale  e  lessicale  delle  iscrizioni 
laconiche  viene  metodicamente  ripartito  in  un'  ec- 
cellente schema  grammaticale  e  in  lessici  speciali 
(ibid.  p.  693-728). 

Meritano  di  esser  ricordate  dall'ultimo  rapporto 
di  scavi  della  Scuola  Americana  {A  B  S.  1909-10.  54). 
due  iscrizioni  su  colonne  onorarie  estratte  dalle 
fondazioni  del  teatro  romano,  di  cui  l'una  è  re- 
datta in  scliietto  dialetto  lacone.  l'altra  in  koiné. 
A.  Wilhelm  nei  Neue  Beitr.  n.  6.  p.  32,  dà   una 


nuova  pili  completa  lettura  dell' iscr.  GD 7.  1439: 
degna  di  nota  è,  tra  l'altro,  la  spiegazione  di  due 
abbreviazioni  epigrafiche. 

Dalla  Laconia  proviene  probabilmente  la  statuetta 
di  bronzo  con  iscrizione  di  dedica  ad  Era  tArch. 
Anz.  1910,  p.  506). 

Gythion.  Il  decreto  onorario  per  il  medico  Da- 
miadas  {Anc.gr.  Inscr.  in  the  Brit.  Mus.  n.  543) 
è  fatto  oggetto  di  un  nuovo  studio  da  parte  di 
P.  Foucart  nella  Rév.  étud.  grecq.  1909,   405  sgg. 

In  un  notevole  studio  sulle  tribù  personali  e  le 
tribù  locali  a  Sparta  (Read.  Acc.  Line.  XIX.  1910. 
4.55-73).  L.  Pareti  raccoglie  il  materiale  epigrafico 
relativo  alle  tribù  locali  spartane.  Dello  stesso  A. 
v.  le  Note  sul  Calendario  spartano  negli  Atti  d.  R. 
Acc.  di  Torino,  XLV.   1909-10. 

Sui  due  mattoni  recanti  l' iscr.  zaTÌAj[xi  tòjv 
■Pcoaa'.ojv  /.c('i  Ò'.ztljtSv  e  il  relativo  diritto  di  z'/oiz'.ov 
V.  E.  Ziebarth   nel  Rliein.   Mus.  1909,    p.  335  sg. 

Messenia.  —  Le  iscrizioni  accolte  dallo  Hoffmann 
nel  già  citato  fase,  delle  G DJ.  sono:  ai  (no  44)  la 
stele  di  Ciparissia  pubblicata  nel  B  C  fi.  1897,  con- 
tenente un  regolamento  commerciale  ;  b)  (no  45) 
la  stele  del  demo  di  Aipeia  edita  dal  Tod  nel 
Journ.  fieli,  stud.  1905.  p.  491;  e)  (no  46)  il  de- 
creto rinvenuto  nell'agorà  di  Magnesia  ^  Inschr. 
V.  Magnesia,  no  43;  d-e)  (no  47-48)  le  iscrizioni 
no  48  e  54  del  Journal.  1905.  9.  12.  La  gramma- 
tica e  il  lessico  delle  iscr.  comprendono  le  p.760-788. 
—  A.  N.  Skias  in  'E?.  'Xy/.  1911.  p.  HO  sgg.  fa  la 
revisione  del  testo  delle  iscrizioni  rupestri  del  fiume 
Nedon  nelle  vicinanze  di  Pharae  (RoehI.  Jnscr. 
ant.  74  e  GDJ.  4673):  ne  enumera  7  mentre  il 
Roehl  ne  conosceva  4,  e  riesce  a  dare  una  lettura 
soddisfacente  dei  nomi  scritti  in  caratteri  arcaici 
sulla  roccia.  Da  Pharae  lo  Skias  comunica  un  fram- 
mento d'  una  copia  dell'  editto  di  Diocleziano  = 
CIL  III.  suppl.  II.  23'28->^  cap.  8.  71. 

Arcadia. 

Orcomeno.  —  Dall'arcade  Orcomeno  è  venuto 
alla  luce  uno  dei  più  importanti  trattati  di  sineci- 
smo  politico:  pubblicato  da  A.  v.  Premerstein  in 
Ath.  Mitth.  1909.  247-68  con  un  ricco  commento 
storico  e  linguistico,  è  stato  riedito  da  R.  Meister 
in  Berichte  d.  Sùclis.  Ges.  1910.  p.  11  sgg.  con 
nuove  notevoli  osservazioni  dialettali  e  qualche 
importante  variante  al  testo;  cf.  il  commento  lin- 
guistico di  F.  Solmsen  nel  Rliein.  Mus.  1910,  321-30. 
Recentemente  il  Solmsen  in  Rhein.  Mus.  1911,319, 
sosteneva  contro  il  Meister  la  legittimità  della  sin- 
golare forma  verbale  j<J<ìjòt,wv  ìv  (=  P  pers.  Gong.) 


57 


già  ammessa  da  W.  Schultze  nel  testo  del  Preiner- 
stein.  Il  trattato  è  relativo  alle  città  degli  'Ey/',iii:',i 
e  degli  Kl«'u.;ioi.  -'  Appartenente  ad  Orcomeno  è 
anche  un'  iscrizione  onoraria  a  Settimio  Severo  co- 
municata nel  libro  di  Nik.  K.  Alexopulos,  '\y/.w.r.i, 
1911,  p.  56  (cf.  Beri.  Phil.  Woch.  1911,  1168). 

Tegea.  L'importante  decreto  della  confederazione 
arcade  in  onore  di  P  h  y  I  a  r  e  li  o  s  tiglio  di  Lisicrates 
da  Atene,  già  pubblicato  dal  Foucart  nelle  Meni. 
Acad.  d.  Inscr.  Vili,  1870,  è  ripubblicato  con  una 
nuova  profonda  discussione  storica  ed  cpigraGca 
dallo  Hiller  v.  Gilrthringen  nelle /1//i.  .lf//<//.  1911, 
p.  .349  sgg.  Il  ritrovamento  dell'origin-ile,  creduto 
smarrito,  permette  allo  Hiller  di  rcttilìcare  l'errore 
in  cui  era  caduto  il  houcart  attribuendo  l'iscr. 
al  III  sec.  ;  ì  caratteri  epigrafìe!  sono  evidentemente 
del  IV  sec.  e  il  documento  va  riportato  al  periodo 
di  tempo  che  intercorre  fra  la  battaglia  di  Mantinea 
e  l'estate  del  361. 

Tliisòa.  —  La  menzione  in  Pausania  Vili,  28,  4 
d'una  f^ciaóo  /ùipa  ha  avuto  una  bella  conferma  dal 
rinvenimento  d'un'iscrizione  arcade-  che  si  riferisce  a 
una  città  di  \wmt^-):t'>%(Berl.  Phil.  Woch.  1911.  1206). 

Licosura.  Sulla  base  edita  in  "Ivj.  'Ai/.  1896, 
p.  263  n.  1,  lo  Miller  v.  Giirlliringcn  legge  [1]  -Ló]>.t; 
K[a?ja]T[S]v  (in  'l'V.  'Ap/.  1910,  p.  393-4).  —  Lo 
stesso,  ibid.,  p.  395-6,  valendosi  delle  due  basi  di 
Xcnophllos  edite  nello  AtìS.,  .\ll,  1905-6,  132-3, 
integra  tre  frammenti  d'una  terza  bisc  proveniente 
da  licosura  e  conservata  nel  Musco  Naz.  di  Atene  : 
cf.  anche  'Ky.  'Ap/.   1911,  p.  122. 

Non  posso  da  ultimo  che  segnalare  le  Arkad. 
/•'orsrhting  dello  Miller  v.  U^lrthringcn  e  Lattennann 
nc\ìe  .\b/iamll.  dell'Accademia  di  Berlino  (  191 1 1. 

Elide. 

0//w/>/<i.  —  Ncll'iscr.  di  Bybon  ad  Olimpia /</.(. 
370.  A.  HIter  in  Mi.  Mas.  1911.  202,  pensa  ad  una 
chiusa  come  questa:  Hj'i<it  ;iiipti  /ip't  'jr.ìf  xisiXì;, 
ùr.ipi^aXi  tó  où  fo[pÌ4i  àv  sXXot  où8<i(]. 

Achaia. 

Iritaitt.  Il  lesto  dun'iscr.  rinvenuta  da  tcm|)o 
ail  I  l.ighl.i  iM.irlna  (V.^.  .V.f.  n.  2038),  localil.\  presso 
le  falde  occidentali  dell'tirimanlo  idcnllllcala  a  ra- 
gione con  r  nnllcn  Tritala,  è  oggetto  d"  un  acuto 
esame  da  parie  di  A.  Wilhelm  nel  S'ciic  lifilr. 
no  7.  p.  ;i7.  P.  un  decreto  rel.illvo  alla  vola/Ione 
popolare  per  I  .ninnlssliuie  di  nuovi  rlltadlnl  e  agli 
cibbllghi  che  contraggono  questi  ulllnii  per  avere 
Il  dirillo  di  ]u|t;:oXiTitx 


ISOLE. 

11  materiale  cpigrafìco  relativu 
dei  nesioti  è  raccolto  ora  nella  dissertazione  di 
W.  Koenig,  Der  Bund  der  S'esìoten,  1910  ;  cf.  l'arti- 
colo di  V.  Costanzi  in  Klio,  IH  10,  277-283,  di  W.  W. 
Tarn  nel  /our.  Hell.  stud.  191 1,  251-9  e  di  P.  Roussel 
nel  BCH.  1911,  p.  441-455. 

Ceo  e  Citno. 

Nel  fascic.  delle  /  G.  XII,  5-^  addenda,  l'isola  di 
Ceo  con  le  città  di  Ceo,  Cartea,  Poeassa,  lulide  e 
Coresia  appare  con  un  notevole  gruppo  d'iscrizioni 
aggiunte:  n.  1066-1103.  A  Qtno  appartengono  i 
n.  1057-1059. 

Delo. 

Iscrizioni  finanziarie.  —  \n  BCH.  1910,  122- 
186  F.  Durrbach  (e  E.  Schulhof)  pubblicano  in  con- 
tinuazione del  primo  rapporto  BCH.  1908.  gli 
altri  atti  amministrativi  del  santuario  scoperti  negli 
scavi  del  1904-1905;  in  BCH.  1911.  1-S6  e  '243- 
287,  F.  Durrbach  pubblica  le  iscrizioni  lìnaiuiarie 
scoperte  negli  scavi  del  1906-1909.  Sono  86  nuovi 
documenti  (compresi  i  frammenti  minimi)  per  la 
storia  amministrativa  del  santuario  dal  in  al  ii  se- 
colo; il  frutto  che  se  ne  ricava  per  la  cronologia 
degli  arconti  dclii  è  notevolissimo,  grazie  alla  nota 
perizia  del  Durrbach  nella  discussione  acuta  e  mi- 
nuta di  simili  testi.  Sulla  questione  dei  termini  di 
locazione  dei  terreni  sacri  un'improvvisa  luce  reca 
BCH.  1911,  n.  5  A-B.  datala  dal  nome  di  un 
nuovo  arconte,  '.VSv.i;  (315-30-1);  dal  frammento 
B  sappiamo  che  verso  la  line  del  iv  sec.  la  locazione 
si  faceva  per  5  anni,  iniziandosi  nel  mese  Hcka- 
lombaion  I  dell'anno  attico,  \'ll  dell'anno  di  Dclo. 
.'\  proposilo  di  uno  dei  più  import.inli  atti  li- 
nanziari  di  Delo,  il  nolo  frammento  di  Cleosiralos 
la.  '282 1  recante  le  indicazioni  precise  del  salario, 
del  villo  degli  operai  e  II  prezzo  mensile  del  ce- 
reali, è  importante  la  revisione  di  O.  lilotz  In  RH>. 
</.  l'I.  gri-cq.    1910.  p.  246. 

P.  Kousscl  e  J.  Ilallzlcld  pubblicano  In  BCH. 
lìMHJ,  p.  172  U::  le  iscrizioni  provenienti  dagli  »ca\i 
dcH'agor.^  di  Tlicopliraslos  e  dalle  vicinanze  della 
sala  hypostylt,  e  In  BCH.  1910,  .Vv.S.4.M  le  Ucri- 
zlonl  scoperte  nel  Icmcnov  tos- 

sima    regione    .i    Sud.   un  u  In 

tutto,  ossia  più  di  Ilenia  decreti  popolari.  Ira  cui 
un  frammento  del  più  antico  decreto  delio  alno  ad 
ora  noto,  numerose  dediche  onorarle,  atti  di  tao 


59 


6o 


ciazioni  e  collegi  religiosi,  iscrizioni  monumentali, 
sepolcrali  e  frammenti  di  dodccadc. 

Dall'  aver  riconosciuto  nel  frammento  B  C  li. 
XXIX,  344,  n.  112  un  frammento  d'una  lista  di  ar- 
conti di  Dclo,  P.  Rousscl  in  BCH.  1911,423-432 
argomenta  l'esistenza  d'nna  lista  ufficiale  di  arconti 
la  cui  originaria  collocazione  doveva  essere,  se- 
condo una  congettura  dell'A.,  nell'edincio  chiamato 
impropriamente  Dionysion  (pritanco?).  Di  una  tale 
lista   l'A.  identifica  e  pubblica  altri  4  frammenti. 

.Scavi  e  topografia.  Per  la  conoscenza  d'una 
parte  del  materiale  epigrafico  in  stretta  connessione 
con  gli  scavi  e  la  topografia  di  Dclo,  sono  utili  i 
rapporti  dell'I  lolle.uix  e  Roussel  in  C"  R.  d.  l'Acati, 
ti.  Inscr.  1909,  p.  413  sgg.;  1910,  p.  301  sgg. 
p.  521  sgg.  (Fonte  di  Minoe  e  dedica  di  Spurio 
Stertinio,  dedica  ad  Atargatis  nel  temenos  delle  divi- 
nità siriache  e  iscr.  del  santuario  dei  Cabiri  ecc.). 
Contributi  alla  topografia  di  Delo  sono  lo  studio  di 
K.  Vallois  sul  portico  di  Filippo  e  la  relativa  iscr. 
sui  blocchi  dell'architrave  \C li.  ti.  Ac.  ti.  Inscr. 
1911,  p.  214  sgg.),  l'articolo  di  G.  Leroux  in  BCH. 
1911,  4S6  a  proposito  del  guerriero  di  Delo  in 
rapporto  della  base  di  'Ay^o-I»;  o  di  N-./.>;?7tci:  e 
l'acuta  discussione  di  P.  Roussel  in  BCH.  1910, 
llU-tl.j  sul  significato  dell'espressione  ricorrente 
in  due  decreti  di  Delo:  '/.  tv  xi-^i.-^w^o^i  io-(xV'- 
\utin.  L'epiteto  TcTpi-coivo;  non  si  riferisce  né  a  un 
portico  come  voleva  l'Homolle,  né  all'agorà  come 
preferiva  il  Diirrbach,  ma  alla  -t.^^voìvoc  sf^aoia  e 
quindi  gli  0'  T.   -iT-j.  s.-.-f»:.  sono  gli 'E^iJ-^iiiTal. 

Varia.  —  Clermont-Ganneau  in  C  R.  Acati,  ti. 
inscr.  1909,  p.  307  pubblica  la  dedica  di  un  altare 
a  Zeus  Urios,  Astarte  llaX^'iTivr,  e  Afrodite  Urania 
con  una  le.x  sacra  sui  sacrifici:  o-j  3:;j-'.-òv  ò.  -jo- 
cii-fs'.v  I  a''Y:'.fjv,  Jtx'jv,  'fi'jh;  ir^X-'.n;.  —  Sulla  forma 
e  sul  contenuto  della  deprecazione  sepolcrale  di 
Rheneia  importanti  osservazioni  fa  J.  Bergmann  in 
Pliiloiogus.  1911,  50310:  rientra  nel  costume  se- 
polcrale giudaico  di  dare  alle  iscrizioni  funerarie 
dei  morti  innanzi  tempo,  la  forma  di  una  preghiera 
rivolta  alla  divinità  in  cui  s'invoca  la  vendetta  con- 
tro coloro  che  possono  aver  causato  la  morte  im- 
matura. —  A  proposito  della  dedica  delia  a  C.  Bil- 
lienus.  P.  Roussel  {B  C  fi.  19  J9,  p.  443)  conferma 
l'identificazione  proposta  dal  Boeck  con  il  giurecon- 
sulto omonimo  pretore  nell'a.  107  d.  C.  —  Th. 
Reinach  fa  qualche  nuova  osservazione  sulla  dedica 
onoraria  a  Laodice  Filadelfa  sorella  di  Farnace  e 
Mitridate  {BCH.  1911,  429).  —  13  sono  le  iscri- 
zioni di  Delo  relative  alla  produzione  artistica  dello 
scultore  Agasias  di  Efeso;  son  tutte  raccolte  e 
pubblicate,    edite    e   inedite,    da    Ch.    Picard    nel 


BCH.  1910,  p.  538-548.  —  Interessa  la  storia 
dell'epigrafia  di  Delo  l'articolo  di  Et.  Michon  in 
B  C  II.  1911,  349,  sulla  provenienza  di  alcune  iscri- 
zioni di  Delo  nel  Musco  del  Louvre. 

Andro,  Siro  e  Micono. 

Andro.  —  Una  sola  iscrizione  di  Andro  é  com- 
presa negli  addenda  alle  IO.  XII,  y,  n.  1107,  e 
qualche  nuovo  frammento  epigrafico  dà  lo  Hitler 
V.  Gàrthringen  in  Atli.  Mittli.  1909,  18-)-lS7.  - 
Th.  Sauciuc  alla  revisione  del  testo  dell'importante 
decreto  onorario  di  Antidotos  per  un'elargizione 
di  frumento  alla  città  di  .\ndro,  aggiunge  un  no- 
tevole studio  sulle  relazioni  politiche  corse  tra 
Atene  e  Andro  (Atli.  Mitth.,  1911,  4-20).  —  J.  K. 
Bogiatzidis  pubblica  (' Hi.  'A?/.-  1911),  40  iscrizioni 
di  Andro;  di  esse  26  sono  inedite,  altre  sono  emen- 
date e  integrate  sul  testo  dell' /G.  XII,  5  e  sui 
frammenti  editi  dallo  Miller  (v.  sopra). 

Siro.  —  A  Siro  appartengono  le  iscrizioni  n.  I  lOt- 
1 106  negli  atldentia  alle  /  G.  XII,  5.  —  All'interes- 
sante gruppo  delle  iscr.  imperiali  dei  stepfiano- 
p/ioroi  peculiari  a  Siro,  Th.  Sauciuc  aggiunge  un 
nuovo  documento  epigrafico  del  tempo  di  .Antonino 
Pio  mii.  .Mitili.  1911,  157-162).  —  N.  Polites  pub- 
blica un  epigramma  sepolcrale  del  ii-in  sec.  d.  C. 
relativo  ad  un  tale  morto  a  Delo  e  sepolto  a  Rhe- 
neia ;  Delo  é  detta  /.u/.Xi;  (/!//;.  Mittlieil.  1909, 
183  sg.). 

Micono.  —  Revisione  da  parte  di  A.  J.  Reinach 
del  testo  dell'iscr.  BCH.  1887,  275  e  1891,  626 
(Ri'v.  Ardi.  1909,  II,  271). 

Teno. 

Con  il  fase.  I G.  XII,  5-  (1909)  è  uscito,  per 
opera  dello  Hitler  v.  Garthringen,  il  Corpus  dell'  i- 
sola  di  Teno.  Quasi  tutto  il  materiale  epigrafico 
del  volume  si  deve  agli  scavi  della  Scuola  belga, 
all'opera  sovratutto  di  C.  Demoulinedi  P.  Graindor 
che  non  hanno  mancato  di  fornire  allo  Miller  altro 
materiale  inedito  nonché  l'opera  di  revisione  e  di 
controllo  dei  testi.  Il  fascicolo  comprende  209  iscri- 
zioni: 81  decreti,  19  cataloghi  e  una  ricca  serie 
d'iscrizioni  onorarie,  sepolcrali  e  varie.  A  fine  del 
fascicolo  si  ha  l'indice  copiosissimo  dell'intero  vo- 
lume /  G.  XII  (p.  339-396)  e  un  prezioso  repertorio 
bibliografico  di  libri  et  itinera  p.  398.  —  Intanto 
i  nuovi  rapporti  di  scavo  danno  nuova  messe  d'i- 
scrizioni. P.  Graindor  in  .Wiisce  Belge,  1910.  p.  18 
sgg.,  pubblica  altre  2'>  iscriz.  quasi  tutte  rinvenute 
nelle  vicinanze  dello  liieròn.  Segnalo:  n.  2  dedica 


6i 


62 


della  guarnigione  rodia  a  Tenos  (a.  2X)-116)  ai  Dio- 
scuri e  ad  Elena,  n.  3-4  dediche  della  sacerdotessa 
Malttiake  (j;/!ài'jj>r,-3i7«  1,  n.  9  decreto  d'  onorlli- 
cenza  a  un  5són?o-o;,  n.  18  decreto  con  la  raffigu- 
razione sulla  stele  di  un  -a?Ì3r,;ja  (tridente:  forse 
per  un  cittadino  di  Trezene);  p.  239  decreto  di 
prossenia  collettiva  per  prósstni  in  gran  parte  di 
città  cretesi  (in  occasione  dell' ì-j>.''i  invocata  dai 
Teni  durante  la  restaurazione  del  tempio  di  Po- 
seidon?).  Osservo  che  l'identificazione  del  prosscno 
Kiòi;  con  il  Kiò»?  delle  monete  di  Cnosso  è 
quanto  mai  dubbia  poiché  quel  nome  è  frequente 
in  tutta  la  Creta  centrale.  —  Sull'iscr.  del  Attisée 
Helge  XV,  201-209  v.  le  giuste  osservazioni  di 
B.  Haussouller  in  Rév.  d.  Phil.  1911,  213-  -  Una 
lista  di  arconti  eponimi  a  Tcno  è  redatta  dal  Grain- 
dor  nel  Musée  Belge  XV,  3,  p.  253  261. 

Paro,  Nasso  e  Amorgo. 

37  iscr.  di  Paro  fanno  parte  degli  addenda  al 
Corpus  delle  isole:  /G.  XII.  5-,  1019- 1056.  — 
A.  Eller  {Rh.  Mas.  1911,  l',)9,i  legge  e  Integra  nel 
noto  passo  della  legge  sacra  di  Paro  (Ziehcn,  Leg. 

sacr.    196):  Zi'.vio   Aù>?i^'.  oj  5I;ì!L; 1  'jj[ò]è  ò.. 

utiaxópr,  aari»  £  —  ',  £:iv(o  A(upt>it  '>■■>  ii^'-\i  5u£tv)  aù[3]l 
ò[ouXl(ui  a  KoijT,!  ajT(ìj  "[iti  (5j£  v).  —  Lo  Stesso 
(ibid.  p.  217)  a  proposito  dell'epigramma  pario 
I G.  XII,  5,  n.  2I.">,  nota  con  molla  acutezza,  che 
un  nuovo  e  valido  sussidio  allo  studio  della  me- 
trica degli  epigrammi  inscritti  su  pietra  e  in  con- 
seguenza della  metrica  greca,  può  venire  dall'  os- 
servazione della  divisione  sull.i  pietra  delle  lettere 
e  delle  lince,  corrispondenti  il  più  delle  volte,  e  so- 
vntutto  negli  epigrammi  arcaici  e  dcU'et.'i  classsica, 
n  una  vera  divisione  metrica.  L'osservazione  delle 
Eller  avvalorata  da  una  buona  serie  di  esempi  evi- 
denti, è  destinala  ad  avere  una  larga  eco  e  a  por- 
tare buoni  Imiti  allo  studio  dell'epigrainmalica.  — 
O.  Kern  (llrniirs,  1911,  p.  .10»)  emenda  il  testo 
della  dedica  a  Dcmctra,  Core,  Zeus  Eubulcus  e 
Baubo  IG.  XII,  5.  227.  Quel  che  Ivi  è  detto  dei 
\t(,ii\  e  delle  ii.sii  può  riportarsi  a  complemento  del 
relativo  ea|).  di  (1.  Cardinali  nelle  ;Vu/«'  di  tfrnii- 
nologia  i-pigra/ka  nel  Rriul.  Acc.  di  Une.  I9<'K. 

Nasso.  ■  Negli  addenda  I G.  XII.  5^,  Nasso  è 
rappresentata  da  due  Iscrizioni  n.  lOltilH.  Un  (ram- 
mento assai  malconcio  d'una  lista  di  coiilrlbutl  C 
pubhlhalo  da  .lac.  A.  Naupliolls  e  lllllet  v.  Oilr- 
llirlngiMi  nelle  Allt.  Mitili.  1911,  JHl  sug.  ila  lei- 
tura  ò  del  Naupliolls,  la  collazione  del  testo  <tu 
calchi  0  (ologralic  ò  dello  lllllcr). 

Amorgo.        Sulla  fondazione    sacra   di   Acgl.ilc 


V.  lo  studio  di  Th.  Reinach  in  Rév.  d. 
1909,241. 

Melo. 

Analisi  acuta  di  A.  Elter  in  Rhein.  Mas.  1911, 
p.  212  dell'iscrizione  della  columna  Saniana  in 
riguardo  alla  nota  questione  del  nome  del  dedicante 
e  dell'artista  :  Tf^ó-Ziov  non  può  essere  che  il  nome 
dell'artista,  'Kx-Ajvt'j;  il  nome  del  dedicante.  — 
La  grammatica  e  il  lessico  delle  iscr.  di  .Melo  è  in 
GDJ.  vo!.  IV,  fase.  4  parte  1,  1911  (O.  Hoffmann), 
p.  845-848. 

Tera. 

Le  correzioni  e  aggiunte  latte  da  O.  HolTmann 
nelle  GDJ.  IV,  4,  1  (l'.iUi,  p.  790  sgg  ,  alle  iscri- 
zioni dialettali  di  Tera,  sono  tutte  desunte  dal  sup- 
plemento /  G.  XII,  3,  ad  eccezione  delle  4  dediche 
di  Theraioi  rinvenute  nei  pressi  della  grolla  Vari 
suirimetto  m.  70  ad  =  Amer.  Joiir.  Ardi.  1903, 
p.  297).  La  grammatica  e  il  lessico  delle  iscrizioni 
di  Thera  è  redatta  dallo  stesso  O.  Hollmann,  ibid. 
p.  799-K.3ti. 

Astipalea. 

W.  CrOnert  pubblica  un  epigramma  sepolcrale  da 
Astipalea  (iii-ii  sec.  a  C.)  redatto  secondo  lo  stile 
e  le  note  forme  calllmachée;  il  nome  della  de- 
funta, sottoscritto,  è  K';j;iiT3i  (Rhein.  .Wus.  1910, 

p.  M6  sg). 

Rodi. 

Sull'Importante  l.iviuo  di  P.  Nilsson    <  Timbres 
ampliorii/iii-.s  de  l.indos  piihlies  afec  une  Hiuie  sur 
les  timbres  ampli,  rhodiens.  |-!slralto  dal  />':. 
l'Ac.  d.  Sciences  et  de  t'Ac.  de  Ihinemark.       i* 
p.  37-180,  349-5;».  v.   la   rccrnslone   dello  Miller 
V.  G.lrthrmgen  In  Iteri.  Phil.  Woch.  l'.UO,  Ci'       - 
stJg-   ~  ^  "  "'""^  mRK'"'  blbliogralico  sulla  K 
tura  relativa  alle  raccolte  a  allo    studio    dei    libili 
greci  soprntutto  di    Kodl,  d.)   lù   BrcccU   in   Hall. 
tl'Ale.x.  1909,  p.  SO  sg.  —  Un'equivalenza  Ira  1"  »»« 
Si  ;><  di  un'.mfora  vinaria  di  Rodi  r  il    veeta  di 
un'anfora  pompcliina  st.iblllscc  il  So^lLmo  in  Rend. 
Acc.  (/.  I.inc.   !  I 

In  nCH.  101. 

parte  tarde  sepolcrali,  della  cllM  di  Rodi  e  di'--: 
-  N.  e  M.  l),  Chavarl.»  pubblicano  in  '' 
1911,  p.  S'2  II   seguito   delle    scoperte 


6? 


64 


:'z  T»;;  nciiai»;  T<V)v  'I'ojÒÌojv  (n.  17-38;  cf.  'Rf.  'Af/. 
1907,  209-218):  1  nn.  17-18  sono  relativi  al  culto  di 
Zeus  Atabyrios,  il  n.  IH  e  una  tex  sacra  del  san- 
tuario. 

Creta 

l.a  Missione  archeologica  italiana  a  Creta  ha  ini- 
ziato nello  scorso  anno  sotto  la  guiila  di  1'.  Halbherr 
il  lavoro  per  la  compilazione  della  silloge  epigra- 
fica cretese. 

Regione  orientale.  Itanos.  È  avvenuta  la  pub- 
blicazione nella  Rèv.  d.  et.  gr.  1911  della  inagfrior 
parte  delle  iscrizioni  scoperte  da  .1.  Demargne  negli 
scavi  del  1899  a  Itanos  a  cura  di  A.  .1.  Reinach.  È 
una  raccolta  di  testi  di  considerevole  importanza 
per  la  storia  delle  principali  città  della  regione  orien- 
tale dell'isola.  Mi  riservo  un  esame  altrove. 

Praisos.  La  scoperta  di  un  nuovo  frammento  del- 
l'iscr.  Musco  ita!.  111,599,  permette  al  Bosanquet 
(^Annual  of  B.  Sdì.  XIV,  1909-10,  p.  282)  di  pre- 
sentare quel  decreto  integrato  nelle  prime  linee  del 
testo  (il  patronimico  di  Wpiawv  è  Hsaiwv'òr,?)  ;  due 
altri  testi  assai  frammentari  si  riferirebbero  ad  un 
trattato  con  Litto  (ibid.  n.  2  (?),  3);  inlìne  nel  fram- 
mento n.  13  proveniente  dal  villaggio  di  Moslem 
le  lettere  della  lin.  7  -  /-oiivc  -  farebbero  pensare 
all'  -  ■xTioy.vi.'i  -  d'una  iscrizione  eteocretese  e  quindi 
ad  un  nuovo  documento  epigrafico  redatto  nella 
lingua  sconosciuta  dei  Presii. 

Gamia.  A.  J.  Reinach  in  Bull,  i'pigr.  1910,  p.  :517, 
segnala  l'esistenza  di  un  gruppo  di  iscrizioni  di 
epoca  romana  nel  territorio  di  Gurnià  già  segna- 
late da  M.  Boyd-Hawes  ma  trascurate  nella  grande 
opera  di  costei  su  Gurnià. 

Palaikastro.  Di  eccezionale  importanza  è  la  prima 
edizione  critica  dell'inno  curetico  a  Zeus  Kuros 
rinvenuto  negli  scavi  del  santuario  dicteo  {Annual 
of  B.  Sdì.  XIV  38S-56).  Il  commento  antiquario  ed 
epigrafico  è  in  due  a'ticoli  diversi  di  Miss  Harrison 
e  di  R.  C.  Bosanquet;  la  ricomposizione  metrica 
del  testo  è  dovuta  a  G  Murray.  L' iscrizione  è  del 
li  sec.  d.  C,  ma  la  forma  e  il  contenuto  del  testo 
ci  riportano  a  una  tradizione  piii  antica  della  piena 
età  classica.  Il  testo  di  G.  Murray  è  ripubblicato 
con  qualche  variante  dovuta  a  S.  Xanthudidis  in 
Bull,  épigr.  1911  p.  331. 

lerapitna.  Alcune  emendazioni  al  testo  dell'  i. 
GDJ.  ."yi52  ho  dato  in  Atti  d.  R.  Acc.  di  Torino 
XLV,  1910  p.  435.  A  lerapitna  appartiene  anche  il 
frammento  da  me  ricavato  da  un  ms.  Ambrosiano 
(ibid.  p.436,  sgg.)  —  Emendazioni  e  raffronti  al  testo 
del  trattato  fra   Antigono  e  lerapitna  GDJ.   5043, 


lerapitna  e  Rodi  GDJ.  3745  e  Rhein.  Mus.  LIX, 
ri65  dà  il  Wilhelm  in  Sitzungsber.  d.  Kais.  Akad. 
d.  Wiss.  in  Wien  voi.  165,  1911,  fase.  6  p.  50  sgg. 
Regione  centrale.  —  Cnosso  e  Tilisso.  V  impor- 
tante trattato  fra  Cnosso  e  Tilisso  scoperto  da  A. 
Wollgraff  negli  scavi  dell'agorà  di  Argo  (cf.  Auso- 
nia II,  55  sg.)  è  pubblicato  dal  Wollgraff  stesso  con 
un  copioso  e  in  buona  parte  esauriente  commento 
storico  e  antiquario  in  BCH.  1910,  p.  .332  sgg. 
Databile  secondo  il  W.  alla  metà  circa  del  V"  sec, 
sarebbe  insieme  con  quello  tra  Cortina  e  Rizene, 
uno  dei  piìi  antichi  trattati  dell'isola.  Nell'inter- 
vento di  Argo  si  dovrebbe  vedere  riflesso  il  mo- 
vimento politico  che  dovè  seguire  a  Creta  le  vi- 
cende della  contesa  tra  Sparta  e  Argo.  Il  significato 
dei  primi  due  capitoli  del  trattato  relativi,  secondo 
il  W.,  alla  mutua  proibizione  pattuita  tra  i  con- 
traenti di  acquistare  terre  nel  territorio  delle  due 
città,  urtava  in  evidenti  difficoltà  grammaticali  del 
testo:  yfijiaTa  5;  \>.i'ir.ir.izv.i:ìo  'o  Kvójio;  iv  Tj- 

XlO'jt,  'O  Si  TjX'.ZIO;  Vi  Kv/30T.  'o  "/0Ìl^[0]  V   [J4Òl    /ó,-»; 

C.  D.Buck  {Classic.  Pfiilol.  VI,  1911,219  sg.)  tra- 
sportando il  punto  dopo  /pÉ'.^ov  e  dando  a  questo 
verbo  il  valore  di  ó  ,';ojÀóa£vo;,  stabilisce  un  testo 
grammaticalmente  più  corretto,  con  che  si  modifica 
radicalmente  il  contenuto  del  comma  del  trattato: 
si  proibisce  cioè  ai  Cnossii  l'acquisto  di  terre  nel 
territorio  di  Tilisso,  ma  si  lascia  a  quelli  di  Ti- 
lisso la  facoltà  di  acquistarne  nel  territori)  dei 
Cnossii.  Evidentemente  Argo  sosteneva  in  questo 
trattato  il  diritto  del  piìi  debole,  con  che  meglio  si 
spiegherebbe  il  comma  n.  6  relativo  ad  un  aggiu- 
dicamento  delle  prede  da  farsi  da  Argo  e  Cnosso 
in  contese  eventuali  con  altre  città  cretesi. 

Eh-fterna  e  Lappa.  Eust.  Petrulakis  pubblica  in 
Gioita  HI,  1911,  68  sgg.  un  importante  frammento 
arcaico  e  una  dedica  imperiale  provenienti  da  al- 
cuni saggi  di  scavo  nel  territorio  di  Elefterna,  e 
infine  un  epigramma  metrico  sepolcrale  da  Lappa. 
Da  una  revisione  dei  testi  da  me  fatta  al  Museo  di 
Rettimo  credo  sia  necessaria  una  ripubblicazione. 
—  Le  quattro  laminette  orfiche  di  Elefterna  sono 
ora  egregiamente  pubblicate  da  D.  Comparetti  nella 
sua  raccolta  delle  laminette  orfiche  d'Italia  (v.  Ita- 
lia, Bruzzi). 

Gortina.  A.  Maiuri  pubblica  in  Ausonia  IV,  1909, 
238  un'  iscrizione  onoraria  dell'epoca  romana  da 
parte  di  un  collegio  di  Priapisti,  e  studia  in  relazione 
con  quest'iscrizione  le  poche  vestigia  epigrafiche  e 
letterarie  che  si  hanno  delle  associaz  oni  cretesi.  Lo 
stesso  presenta  in  Atti  Acc.  Se.  di  Torino  XLV,  1910, 
p.  431  sgg.,  una  revisione  di  alcuni  passi  del  trat- 


65 


66 


tato  fra  Gortìna  Prianso  e  Jcrapitna  {GDJ.  5024), 
conservato  nel  Musco  archeologico  di  Venezia,  e 
nel  fascicolo  presente  AeW Ausonia  coli.  7  sjjg.  pub- 
blica un'importante  iscrizione  del  in  sec.  d.  C.  rela- 
tiva ai  giuochi  gladiatori  dell'anfiteatro  di  Cortina. 

Un'altra  breve  raccolta  di  iscrizioni  di  epoca  clas- 
sica romana  e  bizantina  proveniente  da  ricerche  e 
da  saggi  di  scavo  nel  territorio  gortinio  verrà  pubbli- 
cata tra  breve  dallo  stesso  A.  —  Sul  notevole  fram- 
mento del  trattato  di  Eumene  II  con  trenta  città 
cretesi  (Mon.  Ant.  d.  Line.  XVIII.  1907,  col.  308) 
v.  A.  J.  Reinach  in  Rt'v.  Arch.  1909,  I,  373.  — 
Alcuni  bolli  bizantini  v.  in  Byz.  Zeitsch.  XIX. 
1909,  177. 

Strettamente  connessi  con  il  materiale  epigrafico 
sono  gli  articoli  di  A.  Maiuri  suH'Eòv/ii'i  a  Creta 
(Rend.  Acc.  Line.  XIX,  I91ii,  3-1-46),  spiegata  non 
come  collegio  di  cosmi  ma  come  un  collegio  a  sé 
con  funzioni  eguali  a  quelle  degli  Ìitvivóulo!,  c  sul 
calendario  e  sull'onomastica  cretese  (Rend.  Acc. 
Une.  I9M,  109-129  e  ibid.  32!i-363  (Il  2"  in  conti- 
nuazione). Alle  antichità  greche  dell'  isola  si  riferi- 
sce anche  l'articolo  di  J.  Svoronos,  in  Rév.  Belge 
de  Numism.  1910  sulla  nota  questione  dei  \i'}r,-.i; 
e  Tplr:oÒ£;  come  valuta  monetaria;  un  utile  contri- 
buto al  diritto  gortinio  è  lo  studio  di  H.  Lipsius 
in  Abh.  d.  fli.  Itisi.  Kl.  d.  KOnigl.  .Siichs.  Gesetl. 
XXVII,  1909,  393,  e  l'opera  di  Eb.  Er.  Hruck,  Die 
SchenkunR  auf  den  Todesfall  im  griecfi.-rOm. 
Rechi  -  Slitdien  z.  erlùuleriing  d.  bUrgerl.  Rechi 
von  R.  Leonhard^  fase.  31,  Bresiau  19:  i9,  p.  14-32 
(cf.  Gnu.  Gel.  .Am.  1911,  p.  Ui6).  -  Sul  dialetto 
dell'isola  e  l'intrudu/ionc  della  x  .ivi,  v.  E.  Kieckcrs 
In  Indogerm.  Forsch.  XXVII,  72  e  Buttenwicscr 
Ibld.  XXVIII,  16,  92. 

Cipro. 

K.  Meisler  con  la  continuazione  della  scric  del 
Heilritgf  ziit  giech.  l:/>igni/>hi/i  ti.  Dialtklol.  In 
Herichle  tlb.  die  V'erhandt.  d.  Konigl.  Silchs.  (ìes. 
d.  W'iss.  zit  Leipzig,  tiene  quasi  dn  solo  il  campo 
dcll'eplgralia  cipriota.  Klpubblic.i  un'Iscrizione  di 
.Salamis  incisa  sopr.i  un  pll.isirino  rettangt)larc  re- 
lativa a  un'indicazione  di  proprictik  privata  (pcral- 
tro  II  supplemento  xìrq(  xi[vih'ó(l  xi'i  à?xai(fo;]  i 
per  più  r.igloiil  dubbio)  (Herichte,  61.  1909,  p.  3 
sgg.)  e  un  IrainuicMlo  d.i  Athienti  di  un  atti)  am- 
ministrativo del  tcMipio  di  Afrodite  a  CioIkoI  In  cui 
è  notevole  11  ricorrere  del  nome  i«>.«i.i');  epiteto 
di  Zeus  a  Creili  (ibld.  61,  1910.  p.  '233):  tetllflcn 
un'lscr.  edita  dal  Munro  proveniente  dall,i  localllA 
dell'anllca  .Wariun  con  una  larga  discussione  omo- 


matologica  su  un  nome  frammentario  Tiaa7r,;(?) 
e  pubblica  da  .Marion  stessa  un'iscrizioncella  se- 
polcrale (ibid.  190*.t,  6sgg.  e  1910,  p.  242  sg.):  un 
copioso  commento  filologico  fa  ad  una  delle  più 
antiche  e  più  sicuramente  databili  iscr.  dell'isola 
(vi  sec.)  in  cui  ricorre  il  nome  di  l'-.À-i'i^»  moglie 
legittima  >ovi  ■^ri.-.x)  di  Philles  (ibid.  63,  1911. 
fase.  2);  infine  un  considerevole  gruppo  di  iscri- 
zioni scoperte  in  massima  pane  dallo  Zalin  a 
Rantidi  nel  1910  viene  dato  nei  Berichte  del  1910 
p.  2.33  n.  1-6  e  nei  SZ/Ju/igsétr/f/W*?  dell'Accademia 
di  Berlino  XXVIII.  1911.  p.  630-650  (n.  7-138  più 
un'iscrizione  fenicia?  n.  I:i9).  Le  iscrizioni  di  Ran- 
tidi sono  scritte  per  le  lettere  e,  a,  u.  le,  va,  ko.  to. 
nelle  forme  dell'alfabeto  di  Pafo,  per  il  resi 
comune  alfabeto  ciprioto.  Esse  si  riferisca 
parte  ad  un  santuario  di  Afrodite  venerata  con  nomi 
diversi  tra  cui  quello  di  Kj»  xa:o;  e  F'.inóii.-:!  (fti 
vei  lai.)  (n.  2-6)  e  in  parie  a  un  tempio  di  Apollo 
mantico  (òòia»  X-^viov).  —  Nelle  AbhandL  d.  .'<iUhs. 
Akad.  1909.  (9).  p.  302  332  il  Melster  pubblica 
un  ostrakon  proveniente  dagli  scavi  del  tempio 
di  Zeus  Epikoinios  a  Salamis  già  edito  dal  .Mur- 
ray, Smitli  e  Waliers.  Il  nuovo  editore  vi  ricono- 
sce giustamente  il  testo  scritto  di  un  oracolo  reso 
dal  dio  a  un  devoto  che  1'  aveva  interpellato.  — 
Un  altro  importante  testo  sacro  anteriore  al  \'  se- 
colo a.  C.  pubblica  il  Meistcr  nei  Sitztingsber.  dci- 
l'Accademia  di  Berlino  (1910.  148-64)  come  prove- 
niente da  Jastrikà  di  Cipro:  l' is^rriz.  incisa  su  di 
una  tavoletta  in  terracotta  contiene  da  un  lato  una 
lista  di  nomi  (personale  sacro  o  d'amministrazione) 
e  dall'altro  la  menziune  delle  ofTertc  fatte  per  la 
celebrazione  d'una  (estiviti  religiosa.  —  Inlìnc  una 
Iscrizione  scritta  in  alfabeto  ciprioto  ma  in  una 
lingua  non  greca  conservata  nel  .Musco  Ashmolcan 
di  (Vxford,  è  pubblicata  nei  Sitzungsher.  di  Ber- 
lino 1911.  p.   I(>6  ^tavola). 

c;r1':ci.\  ci-nirai  i 

lì   SHTTUNIKION  \l.l-: 

Eubea. 

Erìtre.  —  Un  gruppo  considerevole  d'iscrìtioiil 
(46)  pubblica  K  Kurunlolls  In  T  ' '>  I. 
p.  I  $KK'-  od  eccezione  delle  Isci  i 
ptovcn^oiui  tutte  dalle  rovine  del  I' 
Uaphncphoros  ad  Utitrc  ed  appj:;-..„. ..  ,..  ;j 
maggior  parte  alla  '2*  mclA  del  iv  secolo.  Impor- 
tantissimo ^  Il  decreto  n.  I  t.'  '  .  .\i 
osservate  nella  celebrazione  >:  .1 


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68 


di  Orcos,  Chalkis,  Rritrc  e  Karystos  in  diverse  epoche 
dell'anno;  notcvoii  i  .5  calalof>lil  frammentari  dei 
cittadini  erctricsi  (n.  2-6);  altri  numerosi  frammenti 
di  prosscnle  e  di  decreti  (n.  8-23),  alcune  dediclie 
a  divinità  (n.  2-1-28)  tra  cui  una  ad  Eracle  su  d'un 
frammento  di  vaso  m.  24\  e  infine  £-;tÌ|j..ìi"i  (nu- 
meri l:9-HÌ). 

Calcide.  —  11  iscrizioni  sepolcrali  comunica 
G.  Papavassiliu  in  'Kp.  'Ao/.  1911,  p.  83.  Lo  stesso 
(il)id.  p.  81)  s'oppone  al  Wilhelm  a  proposito  di 
un  preteso  ricoiigiiinKimento  di  due  frammenti  epi- 
grafici da  Tamy  nai  ('Ivi.  "ì\,ì/..  1892,  p.  159  e  jbid. 
191)7,  p.  23).  —  Altre  iscr.  da  Calcide  v.  nel  .loiirn. 
Int.  Ardì.  Nnm.  Xll.  1910,  p.   121-148. 

Beozia. 

Tebe  —  Una  stele  arcaica  in  (ì  frammenti  con 
scarsissime  tracce  d'iscrizione  è  tra  gli  acquisti  re- 
centi del  Museo  di  Boston  (Ardì.  Aiiz.  1909,  p.  -427). 
Un  buono  studio  ricostruttivo  fa  L.  D.  Caskey 
nello  Aiiìer.  .loitr.Ardì.  1911,  p.  293-301  :  il  nome  del 
defunto  sarebbe  H„\^a;  o  i->/,o(;.  —  Una  nuova  stele 
del  Museo  di  Tebe  v.  in  IbvaSr'.vata,  IX,  1909,  p.  232 

Thespiai  —  Sull'epigramma  del  poeta  Honestos 
rinvenuto  negli  scavi  del  monumento  delle  nove 
Muse  nella  valle  d'Elicona  [HCH.  1902,  153),  no- 
tevoli osservazioni  fa  A.  Wilhelm  nei  Neìie  lieitriige 
n.  1  ;  l'epigramma  si  riferirebbe  a  Livia  madre  di 
Tiberio  e  di  Druso  e  non  a  Giulia  figlia  d'Augusto. 
11  testo  dell'epigramma  è  emendato.  —  Sempre  in 
rela/.ione  con  lo  stesso  gruppo  di  scoperte  archeo- 
logiche ed  epigralìche  il  Wilhelm  (ibid.  n.  2)  in- 
tegra il  testo  della  dedica  di  Philinos  di  Tespiai. 
suggerendo  opportune  modificazioni  allo  studio 
prosopografico  fatto  dagli  scopritori  francesi.  -  11 
medesimo  A.  riconosce  nel  frammento  B  C  H.  1902, 
570,  un  brano  relativo  ad  una  delimitazione  di 
confini  deir'HXi/.'uvii;  -^x  fra  Lebadeia  e  Coroneia 
e  si  studia  di  ricavare  dai  pochi  dati  dell'iscrizione 
l'identificazione  topografica  dell'odo;  (ibid.  n.  3). 

Da  un  villaggio  presso  Copaide  proviene  il  de- 
creto di  prossenia  comunicato  senza  commento  da 
H.  Dragumis  nell'  'Eo.  'A,-/..  1909,  55-6,  e  dalla 
chiesa  di  S.  Giorgio  a  Karditza  l'iscrizione  franca 
dell'a.  1313  {Joimi.  Hell.  Stitd.   1909,  197). 

Alla  Beozia  appartiene  il  vaso  con  iscrizione 
dialettale  pubblicato  nello  Amer.  Joiir.  Arch.  1909, 
393  ;  lo  studio  dell'  iscrizione  è  stato  ripreso  dal 
Kretschmer  in  Gioita,  19C9,  Beilage,  p.  82.  —  Di 
origine  beotica  è,  secondo  P.  Jacobsthal  (  Charites, 
p.  456),  la  coppa  di  Oikophes  con  scrittura  or- 
namentale sull'orlo  della  coppa. 


Possono  considerarsi  come  contribuii  allo  studio 
del  dialetto  beolo  gli  articoli  di  f;.  Nachmanson 
sull'apocope  nelle  iscrizioni  bcoliche  e  sulla  lingua 
dei  nuovi  frammenti  di  Corinna  (fj/o/Za,  1910,  I4C-49 
e  131-4  ;. 

Nello  studio  di  H.  Swoboda  sulla  costituzione 
dello  stato  nella  Beozia  in  base  sovratutto  al  cap.  1 1 
degli  Hellenica  O.xyrinchia  di  Teopompo.  viene 
utilizzato  anche  il  materiale  epigrafico. 

Focide. 

Delfi.  —  Con  il  volume  III,  fase.  1,2(1909-1911) 
delle  l-'oiiilles  de  Delphe  s'inizia  da  parte  di  due 
eminenti  epigrafisti  francesi  E.  Bourguet  e  G.  Colin, 
il  grande  lavoro  di  raccolta  delle  iscrizioni  di  Delfi 
in  stretta  connessione  con  la  topografia  dei  monu- 
menti. La  raccolta  cosi  intesa  e  attuata  e  del  piii 
alto  interesse  storico  antiquario  e  topografico.  Dove 
sovratutto  emerge  ed  è  stato  applicato  con  lar- 
ghezza, mercè  un  ricco  sussidio  di  riproduzioni  in 
disegno,  il  metodo  dello  studio  del  documento  epi- 
grafico in  diretta  relazione  con  il  monumento,  è 
nel  fase.  1  (tav.  I-VIIl)  consacrato  alle  iscrizioni 
dei  monumenti  della  Via  sacra  dall'ingresso  del 
Santuario  al  tesoro  degli  Ateniesi.  Il  fascicolo,  in 
continuazione,  comprende  186  iscrizioni  e  cioè: 
n.  1  Base  dei  Crotoniati  (esclusione  del  nome 
Phayllos',  2  base  dei  Corciresi,  3-46  degli  Arcadi, 
47-4!»  di  Filopemene,  50-69  dei  Lacedemoni,  7091 
degli  Argivi,  92-128  iscriz.  della  nicchia  quadrata, 
129-135  dei  Tarantini,  136  base  di  Hieron,  137-141 
dei  Cnidii,  142-154  degli  Etoli,  155-186  decreti  di 
Megaresi.  —  All'opera  del  Bourguet  si  riconnette 
quella  del  Colin  con  la  pubblicazione  iniziata  del 
fase.  2  dedicato  a  tutte  le  iscrizioni  inscritte  sui 
muri  del  Tesoro  degli  Ateniesi  comprese  quelle 
che  si  rinvennero  nelle  vicinanze  immediate  del 
tempio  e  quelle  inscritte  sul  muro  della  terrazza 
Est.  I  due  terzi  delle  iscr.  inscritte  sulle  mura  del 
Tesoro  sono  conosciuti  e  dai  rapporti  del  B  CH. 
e  dal  noto  studio  del  Colin  sul  culto  di  Apollo 
Pythios  ad  Atene  (1905\  Nella  distribuzione  dei 
testi  relativi  alla  Pythaide,  aggruppandosi  le  teorie 
ateniesi  intorno  ai  soli  quattro  arcontati  di  Timarco 
(a.  138),  Dionisio  u-i-.'^  \jv.W/.'j-j  (a.  128),  Agatocle 
(a.  106)  e  .\rgeo  (a.  97)  e  importando,  secondo  l'A., 
più  che  altro  di  conoscere  gli  elementi  di  cui  si 
componevano  le  teorie  delfiche,  vien  preferito  l'or- 
dinamento in  classi  a  quello  cronologico  e  cioè 
nei  nn.  2-6  si  hanno  le  iscr.  relative  ai  capi  civili 
e  religiosi  della  Pythaide,  nei  nn.  7-22  i  Stujpoi 
e  i  pythaisti,  in  23-28  la  scorta  degli  efebi   e   ca- 


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valicri,  e  29-33  le  canefore  e  pyrphoroi,  in  34-50 
giuochi  agonistici,  musicali  e  i  concorsi  letterari.  I 
pochi  testi  relativi  alla  pythaide  nel  i  sec.  a.  C.  non 
vanno  oltre  i  n.  34-58,  e  i  testi  della  dodecadc 
comprendono  i  n.  59-67  (  in  fine  otto  tav.  con  22 
testi  in  fototipia  oltre  la  base  di  Maratona  i.  Nel 
cap.  Ili  (n.  68-70)  si  hanno  gli  atti  relativi  agli  ar- 
tisti Dionisiaci  di  Atene,  nel  cap.  IV  le  prossenie 
e  i  decreti  onorilìci  (n.  71-8S  del  ni  sec:  88-97 
del  li  sec;  98-118  età  imper.);  nel  cap.  V  gli  atti 
di  manomissione  (n.  ll'.i  133);  nel  cap.  VI  (n.  134- 
157  in  continuaz.i  iscrizioni  diverse:  è  pubblicato 
solo  il  decreto  per  il  diritto  d'asilo  a  Teos  (tav. 
XIV-XVl;  le  tav.  IX-XIII  sono  rimandate  alla  Qne 
del  fascicolo). 

E.  Bourguct  ha  in  liCH.  1910-1911  una  serie 
di  capitoli  sull'epigrafia  e  topografia  delfica  con 
nuove  ricerche,  nuove  letture  e  nuovi  testi.  In 
HCH.  1910,  p.  231  vien  data  la  lettura  complet.i 
dell'iscr.  della  base  d'uno  dei  navarchi  vincitori  ad 
Aegospotamos  (esistenza  delle  /mii-.  .\ax£5oii[i.otv'i.iv 
alla  metà  del  iii  sec.  a.  C.)  e  ibid.  p.  222  l'A.  espone 
minutamente  le  ragioni  del  collocamento  delle  basi 
degli  Argivi  adottato  nelle  Fouilles  de  Dflphes  ; 
in  HCH.  1911.  p.  149  sgg.:  a)  si  restituisce  il 
testo  delle  due  dediche  dei  Liparesi;  b)  a  p.  162 
sgg.  viene  ripubblicato  col  sussidio  di  un  nuovo 
frammento  la  base  di  Pausanias  re  di  Sparta  al  fi- 
glio I  lagcsipolis  già  edita  dal  Wlllielm  e  dal  Pomtow  ; 
r)  si  pubblica  la  base  di  un  Theodutos  forse  l'è- 
tolico  generale  del  Philopator  in  Coelesyria  ;  </)  in 
seguito  ad  un  nuovo  esame  paleografico  dei  testi 
viene  assodato  che  i  13  decreti  della  base  degli 
litoli  apprtengono  tutti  al  ii  secolo  e  sono  quindi 
copie  degli  originali  più  antichi:  e)  la  dedica  di 
Miniciiis  Rufus  è  oggetto  di  un  nuovo  più  dili- 
gente studio  (cf.  HCH.  1910,  305  sg.;  327  sg.), 
/)  la  dedica  della  base  del  carro  dei  Rodii  (p.  4'>6) 
e  II  decreto  per  Nicoinede  sulla  base  di  l'rusias 
(revisione  delle  ultime  lince  del  testo);  g)  la  base 
della  figlia  di  Timolaos;  /i)  questioni  sulla  crono- 
logia della  Usta  antìzlonica  di  Archladas. 

I.e  copiose  note  del  l'i'inlow  sull.i  topografia  e 
cronologia  dei  monumenti  delfici  {Hert.  /'li.  VC'ocli. 
1910.  1517,  157K.  Kill,  lti4l  e  Klio  Ht09,  1.53-9.3) 
sono  riassunte  da  A.  J.  Uclnach  in  Hiill.  l'pigr.  1910. 
p.  .305.  Correzioni  e  aggiunte  al  Pomtow.  l>rl/>liitii, 
II  (19091.  5-12,  1,56-384,  764-766.  fa  W.  Cronert  In 
()i:it.  Jiihri'sh.  l'.H)9.  151-3.  -  Sulla  ba^e  del 
gruppo  (Il  D.iochos  V.  I:.  M.  (ìardncr  e  R.  K.  Smith 
In  Ani.  Joiini.  of  Ardi.  liKI9,  p.  177  sgg. ;. sul  tem- 
pio di  Athena  Marmarla  v.  1°.  l'oulscn  nel  HiiU.  lit 
l'Ac.  ti,-  Daiu-nitirk  1909.  X\  '-426. 


Statuaria.  Sulla  lettura  data  dal  Keramopulos 
dell'iscr.  dell'auriga  di  Delfi  e  sui  dubbi  espressi 
al  riguardo  dal  Sundwall  e  dal  Pomtow  rimando 
al  bollettino  archeologico  deW Ausonia  IV  tl9.(9). 
85  sg.  —  A.  v.  Premersteìn  in  seguito  ad  un  esame 
più  diligente  e  accurato  delle  basi  del  gruppo  di 
Clcobis  e  Biton.  è  riuscito  a  dare  un  testo  più 
completo  dell'iscrizione  che  forma,  con  l'unione  del 
plinto  A  al  plinto  B.  una  sola  iscrizione  bustro- 
fedica di  una  linea  sul  plinto  A.  di  due  linee  sul 
plinto  B:  KÀio^i;  xi'i  B:  tov  tiv  ztz.sx  ,  ti^»T(<»  T'7t 
òjv.;..  I  ....  li.ò;;  ir.v.it  //lifìTo;  (Oesterr.  Jahiesh. 
1910,  41-9).  J.  Baunack  (Phitologus.  1911,  312  sg.) 
non  trovando  giustificata  né  la  forma  verbale  :ìt*T''* 
né  l'impiego  di  un  tal  verbo  senza  un'Indicazione 
di  luogo,  ritiene  che  anche  la  base  A  avesse  due 
linee  di  scrittura  come  B  e  che  in  A  sia  quindi 
caduta  la  necessaria  determinazione  di  luogo  :  egli 
pensa  quindi  a  supplire  K>.io,:'.;  xsV  B  ]tov  tiv  )ix- 
tì.ì»  I  ll£f»?ó<ò]j  oppure  in'  'Apf»»;  Iliif4v5/i  o 
ll:;iT'jvò;  ivav/,v  xtà..  Con  questi  supplementi  si 
avrebbe  un  testo  epigrafico  assai  più  fedele  al  testo 
letterario  di  Erodoto  (I.  31):  lo  storiografo  non 
avrebbe  fatto  che  parafrasare  il  testo  dell'iscrizione. 

Alla  lettura  data  dal  Premerstcin  era  già  perve- 
nuto in  parte  e  indipendentemente  il  Pomlow 
{Arcli.  Geselt.  z.  lierlin.  .Maggio-Giugno  1910); 
peraltro  II  Pomtow  non  vede  nella  pietra  l'asta 
obliqua  del  •;  della  parola  -ìjio;  e  legge  to',  i^'ft:— ■:o\ 
So'.oi  0  Tot  S'u'tot. 

Donazione  testamentaria.  —  La  donazione  te- 
stamentaria della.  315  d.  C.  a  favore  della  città 
di  Delli  pubblicala  dal  Bourguct  nel  /V  ri-t>  dflph. 
iinp.  art.  cap.  duo,  19  ó,  p.  45  é  oggetto  d'uno 
studio  da  parte  di  E.  Cuq  in  RH>.  d.  Phil.  1911. 
1.S3-93.  Il  donatore,  L.  Gelilo  Menogene.  avrebbe 
annullato  parzialmente  gli  efTctti  d'una  precedente 
donazione  disponendo,  sempre  a  favore  di  Delfi, 
d'un  diverso  impiego  della  metà  del  capitale  do- 
nato. Un  tal  atto  giuridico  sarebbe  stato  facilitato 
dal  fatto  che  il  testatore  era  egli  stesso  preside  del 
collegio  del  demiurgi  di  Delfi. 

Scavi  nella  Focide.  —  G.  Sotiriadis  comunica 
nei  ll,;.i<:<x>  del  III09.  129-30.  Il  testo  di  due  iscii- 
zioni  onorarie  a  M.  I.  Damasippo  archlereus  di 
Dionisio,  scoperte  nel  dintorni  dell'antica  Anficlca. 
(cf.  Jour.  hell.  sliid..  191' ».  26i. 

Acurnania  ed  Ltolia. 

Ihermon.  ìi.  Swoboda  mostra  In  A'//»,  1910. 
397-4U6  di  quanta  Impoitania  sia  II  lesto  del  trai- 
lato  fra  gli  Eloll  e  gli  Acarnanl  pubblicalo  dal  So- 


.Im>.)iii.i  -  Anno  VI. 


td 


71 


72 


tiriadis  nella  'Ivi.  'Ao/.  1905,  5)  sgf^.  Lo  Swoboda 
f^iiiriKC  a  fissare  la  cronologia  del  documento  tra 
l'a.  272  (morte  di  Pirro)  e  l'a.  2.5  (inizio  delle 
operazioni  per  la  guerra  Ocmonidcai.  Un  fram- 
mento bronzeo  d'ima  copia  di  questo  trattato  ha 
riconosciuto  il  Wilhelm  nel  frammento  Inschr.  v. 
Olympia,  p.  79,  n.  40  ('Ivf.  'A.v/.  1910,  p.  147  sgg.l. 

Una  bella  iscr.  sepolcrale  di  tipo  ornamentale, 
conservala  nel  Museo  di  Budapest  e  proveniente 
dall'antico  Museo  Nani  a  Venezia,  è  pubblicata  da 
P.  Jacobsthal  nelle  Cliarites,  o.  e,  p.  460,  tav.  V, 
ed  è  attribuita  verosimilmente  alle  regioni  occiden- 
tali della  Grecia. 

Segnalo  la  dissertazione  di  ,1.  De  Keitz,  De  Aetol. 
et  Acarn.  sacris,  Halle,  l'.'ll. 

Epiro. 

Ambracia.  Dedica  ad  Artemis  Pasicra tas  ('R-i. 
■A.oy.  1910,  p.  397-H  e  1911,  p,  122-3). 

Tessaglia. 

H.  0.  Pringslieiin  in  Atlten.  Miti.  1909,  p.  81, 
pubblica  da  (ìonnos  due  stcle  e  tre  iscrizioni  vo- 
tive di  cui  due  relative  ad  Asclepios  ed  una  ad 
Artemis:  il  nome' A.-ho-ìt.^  in  questa  è  nuovo  e 
singolare.  —  Un  materiale  considerevole,  quasi 
tutto  inedito,  è  pubblicato  dal  nuovo  eforo  delle 
antichità  A.  S.  ArvanitopuUos  in  tre  articoli  diversi: 
neir'R-i.  -A.^y.  1910,  p.  331-382  (n.  1-25)  nella  Rév. 
d.  Phii  1911,  p.  123-282  (n.  26-50)  e  di  nuovo 
nell"lvi.  '^y|.  1911,  p.  123-12S  (n.  51-63):  com- 
prende iscrizioni  sacre  (noto  a  n.  31  la  dedica  a 
/s-j;  Wiy^i'^i-.-x;  giustamente  riavvicinato  al  mace- 
done 'V-Ep,'i;,i£Tr,c),  iscrizioni  agonistiche,  nuovi  atti 
di  manomissione,  decreti  per  acquisto  di  terre  da 
parte  di  una  città  e  per  delimitazione  di  confini 
(n.  36,  41),  nuovi  nomi  di  strateghi  (n.  40)  ecc.  — 
Correzioni  e  rettifiche  ai  testi  dell'Arvanitopullos 
V.  in  "Eo.  'A,=/..  1910,  407-8.  1911.  121.  Buon 
contributo  all'onomastica  tessalica  recano  le  iscri- 
zioni delle  stele  di  Pagasae  pubblicate  nel  cata- 
logo del  Museo  di  Volo  (1909)  compilato  dallo 
stesso  eforo  A.  S.  .ArvanitopuUos  (una  lista  dei 
nomi  più  interess?nti  anche  di  altre  parti  della 
Grecia  è  nel  Bull,  épigr.  del  1911  p,  319;  cf.  il 
Kern  in  Beri.  Phil  Woch.  1911,  col.  1327).  - 
Un"  iscr.  da  Pagasae  è  pubblicata  nello  Hell.  Herald, 
1909,  p.  163  (cf.  Am.  Jotir.  Ardi.,  1910,  p.  109.  —  Al- 
cune nuove  iscrizioni  comunica  J.  Haltzfeld  in  BCH. 
1911,  p.  231  tra  cui  una  serie  di  atti  di  manomis- 
sione da  Atrax  (Alifaka)  con    tre    nuovi    strateghi 


da  aggiungere  alla  lista  del  Kroog  e  un  bell'epi- 
gramma sepolcrale  da  Oloossonc  (Blasona)  del 
v  secolo.  —  Nuove  sono  anche  le  iscrizioni  tes- 
saliche  pubblicate  in  Ann.  Ardi.  Anihr.  Ili,  1910, 
p.  145-ltiO.  —  Un  epigramma  da  Pharsalos  v.  in 
herl.  Phil.  Wodi.  1911,  col.  i;2.  —  Una  buona  serie 
di  letture  e  correzioni  sulle  iscr.  della  confedera- 
zione dei  Magneti  dà  il  Wilhelm  in  Hermes,  19  )9. 
40-.59.  —  Sul  dialetto  delle  iscrizioni  tessalichc 
v.  O.  Fohien,  Untersiidi.  z.  tliess.  Dial.  Disser. 
Strassburg  1910  (infiltrazione  della  koini-  e  sin- 
tassi delle  iscrizioni). 

Macedonia. 

P.  Perdrizet  in  Klio  1910,  16  pubblica  un  epi- 
gramma del  IV-. II  sec.  a.  C.  da  Sdravik  (ant.  Dra- 
veskos).  —  Tre  iscriz.  sepolcrali  da  Berrhoia  co- 
munica .1.  Haltzfeld  in  BCH.  1911,  p.  238.  —  Un 
gruppo  di  iscrizioni  bizantine  da  Salonicco,  tra  cui 
notevoli  quelle  della  basilica  di  S.  Demetrio,  si  ri- 
trova in  CB.  Ac.  d.  Inscr.  1911,  p.  25  e  Beri. 
I^hil.  Hoc/;.  1911.  597.  —  P.  N.  Papageorgiu  nelle 
/1//ì.  Mitth.  1911,  p.  278  sg.  dà  il  testo  sensibil- 
mente migliorato  dell' iscr.  di  .Vr,  tt,  edita  da  J.  Du- 
clièsne  e  Bayet  nella  Mém.  sur  une  mission  au 
.M.  Athos.  1876,  p.  80-81,  e  la  collazione  delle  iscr. 
BCH..  1894,  p.  438  e  Ath.  Mitth.  1S96,  p.  99  (sar- 
cofago di  Salonicco).  —  Da  segnalare  per  lo  studio 
del  dialetto  macedone  la  recensione  del  Kretschmer 
in  Goti.  Gel.  Anz.  191 '\  p.  69  alla  nota  opera  dello 
HolTinann,  Die  Makedonen.  1908,  e  l'articolo  di 
Perdrizet  in  BCH.  1911. 

Tracia  e  isole  del  Mar  Tracio. 

Nel  Novembre  del  1909  è  uscito  I G.  XII.  8  per 
opera  di  C.  Fredrich.  11  fascicolo  comprende  la  sil- 
loge delle  iscrizioni  di  Lemno,  Halonnesos,  Imbros, 
Samothrake,  Tliasos,  Skiathos,  Peparethos,  Ikos, 
Skiros  e  contiene,  con  gli  Addenda,  687  iscrizioni. 
Quel  che  distingue  la  redazione  di  questo  fasci- 
colo dagli  altri  delle  isole  è  la  larghezza  delle  no- 
tizie storiche,  topografiche  ed  antiquarie  fornite 
dall'A.  nelle  prefazioni  alle  raccolte  di  ciascuna  isola 
e  sovratutto  di  Lemnos,  Imbros,  Samotrake  e  Tliasos. 
L'.\.  non  si  arresta  con  i  sussidi  bibliografici  all'età 
classica,  ma  va  sino  all'età  franco-veneziana  e  turca 
(cf.  lo  Miller  in  k'iw,  1910,  p.  116).  Un  esame  par- 
ticolareggiato del  materiale  edito  ed  inedito  v.  in 
Bull,  épigr.  1911,  p.  321:  A.  J.  Reinach  si  ripro- 
mette di  recare  tra  breve  nuovi  contributi  al  ma- 
teriale epigrafico  delle  isole  tracie.  Ch.  Picard  prò- 


73 


74 


pone  un'emendazione  al  testo  dell' /G.  XII,  8,  n.  269 
in  Rév.  d.  Phil.  1909.  p.  354.  -  P.  Perdrizet  pub- 
blica in  liCH.  1911,  p.  115  un'iscr.  sepolcrale 
(a.  148  d.  C)  del  villaggio  di  Anastasacaza  (an- 
tico territosio  degli  Odomanti)  in  cui  ricorrono 
i  nomi  traci  di  KoìJe-Xi;,  K>jr:'/.;vTo;  riavvicinati 
dall'A.  a  Kój.;  tatoueur  nel  mimo  di  Eronda  V,  65. 

—  11  nome  della  città  tracia  nell'epigramma  /G.  Ili, 
170,  non  può  essere  altro  che  ìitj  tò  ili^òtuv  o 
ilipòtov  (Wilhelm,  Neue  lieitr.  n.  9,  p.  44). 

Tra  le  Inschr.  aus  der  Levarli  (At/i.  Mitili.  1911, 
p.  287  sgg.),  Th.  Wicgand  pubblica  un'iscr.  tracia 
dell'etii  romana  (n.  3.  p.  288»  contenente  la  lista 
delle  onorilicenzc  di  un  orf^eon  di  carattere  dioni- 
siaco e  un  gruppo  d'iscrizioni  sepolcrali  da  Bi- 
sanzio (Stambul  e  Psammatia)  n.  5-12,  p.  289  sgg. 
Speciale  menzione  merita  una  base  votiva  (n.  2, 
p.  287)  a  Iside  e  Scrapide  dedicata  da  un  Artemidoro 
che  aveva  ricoperto  la  carica  di  nauarchos:  la 
base  è  datata  all'a.  1-2  a.  C.  ,3a7i)>éiovTo;  "I'ocjjl-tóXxo'j 
e  contiene  la  menzione  delle  feste  Panaphcsia. 

Mesia   inferiore  e  Dacia. 

Negli  Addenda  del  voi.  I,  6  (1909)  delle  Iriscri/H. 
f^r.  ad  r.  rorit  peri.  (n.  I"39.>1.")04|  vengono  ripub- 
blicate una  gran  parte  delle  iscrizioni  raccolte  dal 
Kalinka  negli  Ani.  henJim.  aus  Htilfiarien  e  dal 
Dobrusky  nei  Malcrianx  d'ardi,  en  Unitarie,  VI. 

—  Il  lesto  dell'iscrizione  bilingue  alla  Madre  idea 
edita  dal  I-"ilow  in  Klio  l'.H  9,  2.58,  è  emendato  da 
O.  Walter  nelle  Alti.  Mitili.  191»,  Iti4.  -  Una  nota 
sul  xotv'iv  della  sponda  sinistra  del  Mar  Nero  v.  in 
Klio,  1909,  p.  492  sg. 

Dal  Mitnicipiiim  Aelitim  Viminaciiim  provengono 
due  anelli  con  Iscr.  greche  pubblicati  da  N.  Vullc 
in  (lesi,  lahrcsh.   1910,  lii-ìbl.  211   sg 

Al  docuiiienll  cpigralìci  esaminati  da  A.  J.  Keinacli 
nell'importante  studio  sulla  popolazione  celtica  del 
liaslarni  nella  valle  inferiore  dell'lstro  (H  C  H.  191 1, 
100),  ().  l-'leblger  aggiunge  due  iscrizioni  greche 
del  Museo  di  Kukarest  (Ditlenb.  Syll.  .Ì2.').  .VI".), 
alte  ad  ilhimlii.ire  l.i  storia  dei  U.istarnl  nella  se- 
conia  mel.i  iK'l  ii  m'cdIo  .i.  C  iDrsl  lithrrsh.  1911, 
/''l'ibi.  61) 

Russia  ineridionale 

DIbllograllcamcnte  utile  può  cs.ncrc  l'iirllcoln  di 
E.  V.  Stcrn  sulla  colunUxazionc  greca  della  ro- 
sta scitcnitlonale  del  Mar  Nero  In  Klio,  X,  I90*>. 
UI9-I52,  e  rome  un  ulllc  rnnlrollo  di  leali  ni  offre 
la  raccolta  del   U'nlt/ingcr  e  KIvscritaky,  Grirch. 


Grabreliefs  aus  Sfid-Russland,  !    • 

Sulla  missiva  plumbea  di  Artik 

Olbia  edita  dal  Lalyschew  nel  Hull.  d.  I.  Comm. 

Imp.  Arch.,  \.  lo,  vedi  lo  studio  di  .A.  Wilhelm  in 

Oest.  Jahresh,  .\ll,   119  sgg.,  e  le  acute   osser\'a- 

zioni  del  CrOnert  nel  Rhein.  Mus..  6'.,  1910,  15«. 


ASIA. 

Nella  dissertazione  di  H.  Stemler,  Die  Grìeeh. 
Grabinsclir.  Kleinasiens,  Strassburg  1909,  vengono 
sommariamente  studiati  e  classificati  forme  e  tipi 
dell'cpigralia  sepolcrale  asiatica,  e  le  norme  che  si 
riferiscono  all'acquisto,  usufrutto  e  protezione  delle 
tombe. 

Ponto,   Armenia,  Cappadocia 
e  Galazia 

Con  il  volume  111  degli  Studia  Ponlica  di  F.  Cu- 
mont  è  uscita  la  prima  parte  della  silloge  delle 
iscrizioni  greche  e  latine  del  Ponto  e  dall'Arme- 
nia per  opera  di  J.  G  C.  Anderson,  V.  Cumont  e 
H.  Grégoire  (Bru.xelles,  Lamertin,  1910  pp  256). 
Quest'importante  raccolta  d'un  materiale  poco  ac- 
cessìbile e  assai  sottoposto  a  dispersioni  e  rovina, 
è  in  gran  parte  il  risultato  delle  esplorazioni  con- 
dotte rispettivamente  dai  tre  egregi  collaboratori 
nel  1.99,  nel  1900  e  nel  19 17;  comprende  161  Ic- 
.sti,  dei  quali  soltanto  42  edili  nel  e  IO.,  quasi 
lutti  riprodotti  in  facsimile  avendo  gli  .W.  ridotto 
al  minimo  l'uso  delle  capitali  tìpograliche  e  pre- 
ferito, in  caso  di  perdita  di  originali  già  edili,  la 
semplice  trascrizione  in  mlnuscoU.  Gcogralìcamcnlc, 
la  presente  raccolta  è  limitata  alla  zona  racchiusa  Ira 
Il  corso  dell'Halys  e  una  linea  passante  per  Tclio- 
rouin  e  .-Madja;  comprende  quindi  I  centri  e  I  terri- 
tori di  Amisos,  Nco-Claudiopolls,  .-Xmasìj,  i:uchaila 
e  la  frontiera  galala  (escluse  le  colonne  mllliari). 
Zela  e  Gaziura.  lì  poiché  la  silloge  pontica  del 
Cumont  abbr.irrerA  tutto  il  territorio  mud-esl  al 
di  l.\  dell'  I  !  ine  un  primo 

lavoro  di  v  i-rialc  romuni- 

calo,  alquanto  frcItoloMmcnlc,  da  li.  Grégoire  In 
HCH.  33  il9<>9i  p.  <  '■"  ' '  una  prima  escur- 
sione In  Ciippadocl.i  il  no  &S  i  un'cvi- 

,i,  ,11  •y>.t^. 

V  ti  epico- 
rici).  L'Iscr.  n.  7H  malamente  edita  dal  Grrgolrc  é 
emendata  da  O.  Mlllct  In  BCH.  1910  p    "        ■ 
che  aggiunge,  ad  Illustrarla,  un  notevole  ^ 
ilgntlU.alo  Iconoclastico  della    rafllguratlunc  UciU 


75 


76 


Croce.  —  Alle  regioni  del  Ponto  si  riferiscono  an- 
che in  parte  le  note  epigrafiche  di  H.  Grégoirc  in 
Rév.  de  l'Instr.  pubi,  eri  Belfiique  32  (1909 1  1-17. 
l.lt).(;(i.  _  Tre  brevi  iscriz.  sepolcrali  comunica  R. 
Campbell  Thompson  in  una  relazione  di  viaggio  a 
traverso  la  regione  fra  Angora  ed  lircgli  (/'roceed. 
oj  the  Society  of  Bibl.  Arch.  XXXll  1910-1911.  - 
Un  gruppo  d' iscr.  cristiane  dalla  Galazia  e  dalla 
Cappadocia  è  edito  in  Ann.  Arch.  Anthr.  IV,  1911, 
p.  3")-4l.  —  25  iscr.  da  Comana  di  Cappadocia  rac- 
colte da  P.  Gransault,  pubblica,  con  uno  studio 
d'insieme,  L.  .lalabcrt  nelle  Mélang.  Beyrouth, 
p.  301  sgg.  Le  stesse,  più  9  testi  inediti,  appaiono 
nell'opera  di  U.  Orollie,  Meirie  Vorderasiat.  expedit. 
l9(Ui-1907  (1),  Leipzig,  1911  (cfr.  Wclang.  Beyrouth. 
1911,  p.  XIV).  —  Alcune  iscrizioni  pubblicate  dal- 
l'Anderson (/Olir.  Hell.  stitd.  1909,  163)  testimoniano 
della  persistenza  dei  culti  celtici  nella  regione  ga- 
lata.  —  Una  moneta  proveniente  dalla  capitale 
della  Grande  Armenia,  acquistata  recentemente  dal 
Cabinet  des  Medailles,  fa  restituire  il  giusto  nome 
etnico  degli  'Ajti^isìtoil  {CR.  de  i Acad.  d.  Inscr. 
1911,  363). 

Bitinia. 

Bnissa.  —  Sul  nuovo  Museo  di  Brussa  e  il  suo 
materiale  archeologico  v.  Ausonia  IV,  66  sg.  — 
l.a  raccolta  epigrafica,  pubblicata  da  G.  Mendel  nel 
catalogo  generale  del  Museo  di  Brussa  (B  C  H. 
1909,  277-435',  è  una  delle  più  importanti  dell'Asia 
Minore,  se  non  per  la  ricchezza  di  testi  di  alto  in- 
teresse storico-antiquario,  di  cui  assolutamente  di- 
fetta, per  la  quantità  del  materiale  e  per  la  larga 
esemplificazione  di  alcuni  gruppi  di  monumenti 
tardi  d'interesse  archeologico  ed  epigrafico.  Note- 
vole il  gruppo  delle  stele  di  Altyn-tach  (n.  45-52) 
lavorate  ed  iscritte  evidentemente  da  una  corpora- 
zione o  da  una  famiglia  di  Xaru-ot;  è  un  raro  ci- 
melio il  rcliquario  (n.  102)  di  S.  Trofimo  martire 
(a.  276-282),  singolare  appare  l'iscrizione  gnomo- 
logica  (n  401),  e  degno  di  nota  è  il  tardo  0,-05 
n.  43"x  Un  bel  gruppo  d'iscr.  cristiane  si  ha  nel 
n.  426-429.  (Un  indice  particolareggiato  v.  nel  Bull, 
cpii^r.  19  19,  322).  —  H.  Schlumberger  pubblica  nei 
CR  de  l'Acad.  d.  Inscr.  1911,  411  sg.  un  bnllotirion 
per  la  fabbrica  di  bolli  e  sigilli  bizantini,  prove- 
niente dagli  scavi  di  Brussa.  —  Per  il  significato 
della  parola  i/.an  che  si  trova  esemplificata  in  I  G. 
IV  955.  in  un'orazione  di  Aristide  e  in  un'iscri- 
zione di  Apollonia  di  Rhyndakos  {.ìour.  Hell  stud. 
18  17  p,  270  n.  8  e  B  C  H.  1901,  326)  e  sempre  in 
connessione  con  il  culto  di  divinità  salutari,  B.  Keil 


pensa  ad  5/.o{-ix£oii»i  e  in  conseguenza  alle  ninfe 
delle  acque  salutari  ' X/.i-n-'^d'ii:  e  ''.\'.fii\  {Hermes 

1910,  474-8).  —  Ad  Apollonia  Rhyndakos  appar- 
tiene anche  la  stcle  di  C.  Saufcio  Macro  relativa 
alla  costruzione  di  un  macello  nella  città  (Ath.  Mitth. 

191 1,  294  n.  4).  -  Iscrizioni  di  Nicomcdia  v  in  lichos 
dOrient,  1910,  336-38.  —  Due  nomi  di  phylai 
i-Jr|,'5si;  e  i^:,'3aaTr,vr,  già  note  ncllc  iscriz.  di  Prusias 
(Usklibì  occorrono  su  due  oggetti  di  bronzo  pro- 
babilmente della  stessa  provenienza  1/I//1.  Mitth. 
1911,  289  n.  4). 

Frigia. 

Un  nuovo  corpus  delle  iscrizioni  neo-frige  è  re- 
datto W.  M.  Calder  nel  Jour.  hell.  stud.  1911,  160- 
215;  il  numero  dei  testi  scoperti  nel  1908-10  e  le 
molte  revisioni  dei  testi  editi  fatte  dal  Calder,  dal- 
l'Hogarth,  dal  Ramsay  sugli  originali,  danno  alla 
silloge  del  Calder  un  carattere  più  stabile  e  defi- 
nitivo di  quello  che  hanno  le  minori  più  antiche 
sillogi  del  Ramsay  nelle  Oesterr.  Jahresh.  1905, 
Beìbl.  79-120  e  nella  Auhns  Zeiischrift,  XXVIII, 
381.  —  Un  nuovo  frammento  d'iscr.  frigia  da  Jasily- 
Kaja  e  una  buona  riproduzione  deliiscr.  rupestre 
di  Maltasch  presso  Hairan  Veli  pubblica  Th.  Wie- 
gand  in  Ath'.  Mitt.  1911  p.  297-<S  n.  9-M,  fig.  4-5. 

—  11  Wiegand  stesso  (ibid.  p.  299-300  n.  11-12)  co- 
munica due  iscr.  sepolcrali  da  Golbazar  e  Amasra. — 
Grazie  ad  un'iscr.  scritta  sul  rovescio  d'una  mo- 
neta di  Amorion  (età  romana)  il  nome  d'uno  degli 
affluenti  del  Sangarios  tra  cui  giace  l'antica  .-Xmorion 
sarebbe  Kv£-:Xao:  (ibid.  300  n.  13).  — Sulla  moneta- 
zione della  frigia  Hierapolis  v.  L.  Weber  nella  miscel- 
lanea in  onore  di  Fr.  Leo  (Charites,  1911  p.  436). 

Misia. 

Isole  del  .\\.  di  Marmara.  —  L'isoletta  di  Halone 
ha,  oltre  l'iscr.  arcaica  segnalata  dallo  Hasluck  [Jour. 
Hell.  stud.  1909,  17),  l'epigrafe  sepolcrale  del  vi  se- 
colo a.  C.  edita  dal  Wilamowitz  nelle  Nordion. 
Steine  p.  64  (v.  appresso  Chio  ed  Erytre):  il  nome 
del  defunto  Mandron  ci  riporta  ai  coloni  ionii 
della  pianura  del  Meandro. 

,'\bido. —  Uno  studio  acuto  e  profondo  sulla  fa- 
mosa stele  ionico  attica  di  'hivóò'./.o;  si  deve  allo 
Eller  nel  Rhein.  Miis.  1911,  203  sgg. 

Cizico.  —  Alcune  iscr.  conservate  nel  Musco  di 
Brussa  sono  pubblicate  dal  Mendel  nel  catalogo  di 
questo  Museo  (B  C  H.  1909,  277  sgg:  v.  Bitinia). 

—  Un  frammento  di  un  decreto  di  onorificenza  con- 
servato nel  Museo    di  Costantinopoli  proveniente 


77 


7» 


probabilmente  da  Cizico,  è  comunicato  da  Tli.  Wic- 
gand  in  Atti.  Mitt.  1911,  287  n.  1. 

Pergamo.  —  H.  Hepding  comunica  in  Ath.  Aliti. 
1910,  401  sgg..  il  ricco  materiale  epigrafico  venuto 
alla  luce  nelle  campagne  del  1908-09  e  sovratutto 
nello  scavo  del  santuario  di  Demetra,  che    è    una 
delle  scoperte  più  importanti  nella  storia  degli  scavi 
pergameni.  È  un  gruppo  di  98  iscrizioni,  comprese 
le  iscrizioni  sepolcrali  e  i  graffiti.  Poco  rappresen- 
tata è  la  classe  dei  decreti  e  atti  pubblici  n.  1-7: 
il  n.  1  è  un  importante  documento  relativo  alla  ri- 
chiesta di  attori  drammatici  per  la    costruzione  di 
un  teatro,  ma  disgraziatamente  lo  stato    del    testo 
non  permette  di  farci  un'idea  chiara  della  forma  e 
del  contenuto    dell'iscrizione;  i  n.  2,  4-5  vengono 
ad  aumentare  la  classe  già  ricca  dei  decreti  onorari 
di  Aioòoifo; 'll,ioj'òoj  [li^-.1;J'l■,  (ci.  Ath.  Aliti.  19»j7, 
243  n.  .36-39,   18):  i  n.  3,  6-7  sono  rispettivamente 
nuovi  supplementi  alle  Atli.  Aiitt.   1907,  272  n    9, 
286  n.  15,  296  n.   19.  Più  ricca  si  presenta  la  serie 
delle  iscrizioni  efebiche  e  affini  n.  9-21  :  a   p.  419 
l'A.  fa  un  excursus  sull'amministrazione  finanziaria 
del  ginnasio.  Archeologicamente  ed  cpigralìcamcnte 
importante  è  il  bel  gruppo  di  iscrizioni  di  dedica 
relative  agli  edifici  del  tfaEvo;  di  Demetra  :  n.  22-23 
dedica  di  Filetairos  e  di  Eumene  1  sull'epistilio  del 
tempio  Jnèji  T?;;  [irjTpòj  lìja;  (a.  di  fondazione  269- 
263)  e  sugli  ortostati  del  tempio  slesso;  n.  24  de- 
dica di    Apollonis    moglie    di  Aitalo  1  delle  itoìi 
(settcntr.   e  mcrid.)   e   degli  o'izoi  ad  esse   annessi 
(l'iscr.  6  sui  blocchi  dell'archilravc  del   propylon): 
n.  25  iscr.  di  Claudio  Siliano  Aisimos    per    il    re- 
slauro  del  pronao  (ii  sec).  Segue    una    bella    rac- 
colta di  iscrizioni  di  contenuto  e  di  significato  or- 
lìco-mistico  :   n.  26   dedica   di   un  (l'oiió^  a  Mise; 
n.  39  ai  ito'i  «yIv*"'*"'^'   c   agli  ìvnioi;  n.  4')-43, 
(>3  ad  altre  divinili^  o  a  membri  dell'associazione. 
Tra  le  Iscrizioni  onorarie,  notevole  una  (n.  45)  di 
Ivumcnc  I  ad  un  figlio,   sino   ad   ora   sconosciuto. 
Aitalo  che  poteva  essere  premorto  al  padre  (V);  tra 
le  Iscr.  sepolcrali  un  grande  frammento  (n.  77)  del- 
l'Iscr.  del  sepolcro  di  P.  Cornelio  Nasica  morto  a 
Pergamo  nell'a.  132.  (ìraflill  n.  K1-9S.    -  Sul  ^;ruppo 
(Ielle  iscrizioni  orlic»  nilstiche  dei  santuario  di  De- 
metra e  sulla  loro    slrctla    dipcndcn/a    dagli    Inni 
orlici,  V.  U.  Kern  in  Hirnus  I9U   p.  431   (Invece 
(Il  Siol  «YtvwoTotJ  II  Kcrn  pcnsn    plutlosto  a  3iv. 
»T[ii.'it«toi1    --  Alla  topografia  pergamena  si  tlcon- 
nelle  lo  studio  di  (i.  l.croiix  sulla  prelcs.i  cslslcnita 
di  una  basilica  a  Pergamo,  in  base  alle  marche  di 
fabbrica  ,i»itXut,  rinveniile  Incise  su  iiiatluiil;  non 
si  deve  Intendere  con   II   l'racnkcl  ,}»9iXi«J|  («nu; 
ma  scinplii'Ciiienlc  ,naiXixr,  (««pii|ii{). 


Un  secondo  esemplare  dell'iscriz.  onoraria  a  Mi- 
thrcdates  di  Menodotos  (ci.  .Ath.  .Miti.  r.i08,  407 
n.  36)  è  stato  rinvenuto  nagll  scavi  del  1908.  Dal 
fatto  che  all'onorato  si  dà  la  lode  j-o/Xtittt.suti 

ToT;  niTlpoiO'.;  5ioT;  tt,v  t£  niX-.v  xa'i  tt,v  /i^fHt  e  Vien 

detto  vfo;  y-T'iTT,;  della  città  dopo  Pergamos  e  il 
Philetairos,  lo  Hepding  Alh.  .Min.  I^<09,  329-40) 
ricava  che  il  Mitradate  pergamene,  tìglio  di  Mitra- 
date  Eupatorc  re  del  Ponto,  non  potè  meritare  tanto 
onore  se  non  ottenendo  dal  dittatore  G.  Cesare  suo 
amico  gli  stessi  privilegi  a  favore  di  Pergamo,  che 
Teopompo  di  Cnido  aveva  da  Cesare  stesso  otte- 
nuto a  favore  della  sua  città:  i'tujj-.-J.i  e  i->.ry.'jy.x, 

—  Sul  decreto  di  asylia  del  tempio  di  Athena  Nike- 
plioros  V.  Holleaux  in  Mélang.  Havet  1909,  187.  — 
Nell'interessante  studio  sui  vari  gruppi  etnici  dei 
mercenari  a  servizio  della  dinastia  di  Pergamo, 
A.  J.  Reinach  si  giova  criticamente  e  con  larghezza 
del  materiale  epigrafico  i,lì,-v.  .Arch.  1909, 1,  102-19, 
363-77). 

Nel  voi.  IV,  2  (1910)  delle  Inscr.  a.  r.  mm.  peri. 
(Asiat  R.  Cagnat  ha  inizialo  la  silloge  completa 
delle  iscrizioni  pergamene  dell'età  romana  (n.  276- 
507).  La  raccolta,  in  questo  fascicolo,  non  va  oltre 
la  pubblicazione  delle  Alh.  Mitt.  1908. 

Ionia. 
Olio  ed  lirythrai.  —  Dopo  l'attesa  pubblicazione 

di  G.  J.  Zolotas  Xtixùv  xì:   'l'^j^j^iVuóv    :'nif^i^y 

jjvaTWT'.  in'.Vir.vi,  1908.  113-354  e  5  »9-526  (Beri. 
Phil.  Woch.  1910,  41-43)  curata  e  continuala  da 
Emilia  Zolotas,  figlia  del  valente  e  benemerito  cforo, 
si  sono  discluusi  i  cancelli  del  .Musco  di  Ohio  an- 
che ai  dotti  di  Europa,  e  il  materiale  epigrafia) 
dell'isola  di  Chio  e  della  penisola  di  .Mimas,  è 
stato  oggetto  dei  primi  poderosi  lavori  di  raccolta 
e  di  ripetuti  pazienti  studi  di  jn.ilisi  storica  e  11- 
lologica,  promotore  dei  primi  il  Wilamowilz,  prose- 
cutori degli  altri  il  Kcil.  il  Wilhelm  e  l'Hassoulller. 

—  Nel  Sordionìsche  Steirif  mit  Mirai;  v.  D.  P.  Ja- 
cobslhal  di  U.  v.  Wilamowilz  Mocllcndorf  (~  Abti. 
d.  lii-rl.  Akad.  Il,  1909.  1-71»  si  trovano  raccolti 
22  testi  cplgraiicl  ricavali  nella  maggior  parte  da 
Erylhral  e  dalla  penisola  A\lnu.-i  da  P.  Jacobsthal 
In  mia  campagna  epigrafica  del  l'.KV).  App.trlcngono 
a  Chio  un  rilievo  di  .-X^klcplos  con  un'lscr.  di  de- 
dica, un  '  \  ..il) 
e  rim|i'  sc- 
oli \  '                                 :ia  su  4  facce  d'una  pi- 

ramldcii.i  .,  ^,', >...iU».  Della  più  ricca  serie 

di  lesti  erelrlc.ll  secnalo;  n.  Si  Usta  di  contributi 
per   costruzione  di   mura  (a.  ^  3t)0  a.  C)  die  lo 


79 


Jacobstlial  suppone  fossero  le  )(randl  mura  del  pc- 
riinclro  di  Erctria  e  il  Wilamowitz  più  verosimil- 
mente le  mura  della  cittadella;  n.  7)  legge  di  Apel- 
Mas  con  cui  viene  proibita  l'iterazione  e  l'accu- 
mulamento dell'ufiìcio  di  grammateus  dei  Taaiit; 
n.  8)  regolamento  religioso  dei  Kyrbantes;  n.  11) 
legge  sacra  per  il  culto  di  Askicpios;  n.  12)  reso- 
conto di  spese  per  sacrifici  di  animali;  n.  14-16) 
testi  relativi  al  ginnasio  di  F.retria.  —  In  stretta 
connessione  con  la  pubblicazione  del  Wilamowitz 
sono  le  Forscluwgcn  in  der  Erytraia  di  J.  Kcil 
(^-  Oest.  Ja/ires/i.  13  |191()]  Beibl.  6-74);  vengono 
integrate  le  prime  tre  linee  del  testo  della  legge 
di  Apcilias,  alcune  lacune  del  regolamento  religioso 
dei  Kyrbantes  con  un  notevole  commento  sul  con 
tenuto  sacro  dell'iscrizione,  e  proposte  alcune  im- 
portanti emendazioni  al  n.  12  della  raccolta  del 
Wilamowitz:  per  il  resto  le  Forschungen  del  Keil 
sono  una  nuova  preziosa  silloge  di  nuove  iscrizioni. 
Segnalo  n.  2)  frammento  di  psephisma  relativo 
a  norme  procedurali  nei  giudizi  (iv  sec),  n.  1)  fram- 
mento di  un  regolamento  sacro  per  alcuni  sacrifizi 
e  i  relativi  emolumenti  dei  sacerdoti,  n.  6)  dedica 
a  un  Daemon  Philantropos  ic<;  'Xt/Xt-.:',:  (nuova 
ipostasi  del  dio),  n.  7)  base  votiva  degli  strateghi 
sotto  lo  'tJio-oió;  lipicrate  (gli  stessi  dell'iscr.  Arcfi. 
epigr.  Mitt.  1  1877,  719),  n.  8)  altare  con  dedica 
ad  una  divinità  sconosciuta  •  .  a-jot  e  a  Demetra 
("lalao;  integra  giustamente  O.  Kern  in  Hermes 
1911,304),  tipi  e  classi  di  stele  sepolcrali  tra  cui 
le  stele  onorarie  n.  .")4-57.  —  Nelle  Ocsterr.  Jali- 
resii.  1909,  126-48,  A.  Wilhelm  ripubblica  con  un 
testo  notevolmente  migliorato  e  con  un  ricco  com- 
mento, due  importanti  iscrizioni  della  silloge  di  Zo- 
lotas  ("Aiivi  1908,  190,  221);  la  prima  di  esse  (v- 
IV  sec.)  scritta  su  tre  lati  di  una  stele  contiene  norme 
per  il  procedimento  giudiziario  da  raffrontare  con  il 
Wilhelm  con  le  norme  del  diritto  attico,  la  seconda  è 
una  legge  commerciale  sulla  vendita  della  lana. 
Ambedue  questi  testi  sono  stati  riveduti  sugli  ori- 
ginali da  J.  Keil  [Oest.  Jahnsh.  1911,  Beibl.  50 
sgg.)  che  nello  stesso  articolo  pubblica  anche  una 
revisione  all'iscr.  Zolotas  1.  e.  p.  230  datandola  con 
sicurezza  all'a.  72  d.  C,  e  poche  correzioni  al  testo 
del  decreto  per  .\-£uxio;  Namo;  edito  in  'A3r,vx 
1909,  347.  Una  revisione  ad  un  altro  importante 
testo  eretriese  (Sylloge-,  60  i)  il  Keil  stesso  fa  nel 
Tatigskeitshericht  d.  Vereins  Phil.  zìi  ÌVien  1909, 
10-1.  —  Una  serie  infine  di  correzioni  e  rettifiche  ai 
testi  della  silloge  Zolotas,  fa  B.  Haussoullier  nella 
Rév.  d.  Pili!.  1909,  9-17,  1910,  119  sgg.  (si  riven- 
dicano a  Chio  le  dediche  di  corporazioni  e  associa- 
zioni (Zolotas  n.  3),  e  viene  integrato  il  testo  delle 


Alli.  Mitt.  1888,  n.  17,  p.  175;  altre  correzioni  ri- 
guardano i  testi  surriferiti). 

Un'iscr.  cristiana  di  Chio  v.  in  Christiania  Ve- 
densk.  Selsi'.  l'orfiandlingen  1910,  2  p.  11. 

Clazomcne.  —  Base  onoraria  per  l'imp.  Claudio 
e  base  onoraria  delia  •'/^'j'ijz':i  per  un  Aof  !7tt,;  (epo- 
nimo?) (Oest.  Jahresh.  \9ll.  Beibl,  55  sg.) 

Smirne.  —  Due  iscr.  sepolcrali  vengono  comu- 
nicate da  f:.  Naclimanson  in  Ath.  Mitth.  191C,  177 
e  Th.  Wiegand  in  AUi.  Mitth.  1911,  294  n.  2. 

Samo.  —  Un  epigramma  di  squisita  fattura  let- 
teraria (dal  II  al  I  sec.  a.  C.)  proveniente  dalla  ne- 
cropoli di  Samo  (Tigani)  è  pubblicato  dal  Wila- 
mowitz nei  Nordionisclie  Steine  19  t9,  p.  i)2. 

Magnesia  sul  Meandro.  —  Si  riferisce  alla  co- 
struzione d'una  grande  strada  tra  Magnesia  e  i 
centri  più  meridionali  della  Caria,  la  stele  di  Amy- 
zon  (v.  più  sotto)  in  onore  di  M.  Cecilio  Numa. 
rinvenuta  dal  CrOnert  nelle  vicinanze  immediate  di 
Magnesia  (Oest.  Jahresh.  1910,  lieibl.  75  sgg.); 
altre  due  stele  sepolcrali  v.  ibid.  79-80.  Notevole 
nell'una  l'uso  della  parola  ■s--fivM'x%  {=  ^ti.sbuaa) 
ad  indicare  il  suolo  battuto  e  rialzato  di  un  recinto 
funebre. 

.Mileto  e  Didima.  —  È  uscita  la  \'1I  relazione 
degli  scavi  di  Mileto  e  Didima  (1903-1909)  in  ap- 
pendice alle  Abhandl.  d.  A'.  Preuss.  A/cad.  del  1911 
(pp.  1-16  tav.  1-XIII);  cf.  Beri.  Phil.  Woch.  1909, 
446  e  Arch.  Anz.  1911,  420  sgg.  —  Delle  iscri- 
zioni connesse  con  la  storia  monumentale  di  Mi- 
leto, notevoli  sono  l'iscr.  di  dedica  di  Laodice, 
moglie  di  Aitalo  II,  incisa  sui  blocchi  d'una  costru- 
zione di  stile  corinzio  presso  il  mercato  meridio- 
nale, l'iscr.  ugualmente  di  dedica  del  pronao  del 
tempio  di  Serapide,  un'iscr.  onoraria  per  Eumene  li 
sul  propylon  delllo  Stadio,  e  un'iscr.  della  fine  del 
VI  sec.  d.  C.  relativa  alia  fondazione  d'una  basi- 
lica bizantina.  Un  cospicuo  numero  di  frammenti 
si  riferisce  agli  atti  amministrativi  delle  costruzioni 
pubbliche  dal  111  sec.  in  poi.  Un  2"  decreto  ono- 
rario per  Eumene  II,  ci  dà  con  il  quantitativo  d'una 
grande  elargizione  di  frumento  fatta  nel  natalizio  del 
re  (6  Lenaion),  una  buona  base  per  un  calcolo 
approssimativo  della  popolazione  di  Mileto:  in  base 
a  questo  calcolo  si  avrebbero  da  70  a  100.000 
abitanti.  —  A  Didima,  un  centinaio  di  nomi  inscritti 
sui  gradini  del  lato  meridionale  del  tempio,  con- 
ferma l'ipotesi  che  questo  lato  della  gradinata  rien- 
trasse nell'ambito  dello  stadio. 

Un'  iscrizione  del  tipo  agonistico  vlzr,  -où'  òcTvoc 
pubblica  P.  Jacobsthal  in  Hermes  1911,478.  —L'iscr. 
greco-nabatea  edita  dal  Wiegand  nel  rapporto  del 
1906,  è  riprodotta  neh'  Eph.  /.  Semit.  Epigr.  1911 


8i 


83 


89.  _  Un  nuovo  studio  suU'iscr.  milesia  relativa 
alla  vendita  dei  sacerdozi,  è  dovuta  a  W.  Otto  in 
Hermes  1909,  594-599. 

Isola  di  Lero.  —  Iscr.  sepolcrale  ad  un  r,v..;  Tliar- 
sagoras  [Ath,  Miti.  1911,  294  n.  3). 

Lidia. 
È  uscito  il  2"  rapporto   di    viaggio  di  J.  Keil  e 
A.  von  Premerstein    (Denksclir.  d.  Wiener  Akad. 
LIV,  1911).  1  dotti  investigatori  nella  campagna  del 
1908  hanno  fatto  oggetto  delle  loro   ricerche  tutta 
la  regione  interna  della  Lidia  bagnata  dall'Herinos 
e  dai  suoi  alTIucnti   lino  al  confine  nord-nord-est, 
e  il  territorio  bagnalo  dal  Meandro,  di  Urschak  e 
Hlaundos,  fino  al  contine  lidio-frigio.  Il  nuovo  ma- 
teriale epigrafico  assomma  a  .380  iscrizioni  ira  cui 
alcune    latine  e   una    epicoria  ;  i  testi    riveduti    ed 
emendati  non  sono   stati    meno  di  14i>.  Di  queste 
due  categorie  d'iscrizioni  vengono    pubblicate  con 
la  nota  perizia,  con  un  ricchissimo  corredo  biblio- 
grafico e  con  un  buon    sussidio  di  riproduzioni  e 
disegni,  le  più  importanti  (n.  1-278).  Straordinaria- 
mente abbondante  è  il  gruppo  di  Thyateira  (p.  11-52, 
n.  l:!-lll).  —  Con  la  campagna  del  191 1  gli  egregi 
A  A.  si  ripromettevano  di  terminare  il  lavoro  pre- 
paratorio dei  Titilli  Asine  Minoris.  Come  una  pri- 
mizia intanto  di  questa  .J'  campagna   epigrafica  il 
Keil  e  il  Premerstein  pubblicano  negli  Oest.  Jalirestt. 
1911,  lieibl.  45-48,  un  frontone  marmoreo  con  un 
busto  dcll'imp.  Commodo  in  rilievo  e  un'iscrizione 
di  dedica  da  parte  di    un'associazione  di  "V.y'i:i; 
inscritta  sul  timpano,  sul  fregio  e  l'architrave,  l.'iscr. 
di  Philadelphia  contiene    una  lista  di  21    associati 
e  in  line,  a  parte,  1  nomi  degli  £'f-c:;St7TÌTat       ìf.- 
fiJttiTiT»!.  SI  tratta  probabilmente  del  coronamento 
di  un  edicola  votata  dal  collegio.  —  Per  Tyalhcira 
V.  anche  l'importante   cippo    sepolcrale  del  II  scc. 
d.  C.  edito  da  Th.  Wiegand  in  Alh.  Miti.  191 1,  291. 
Sardes.  —  Singolare  il  cofano  di  marino  prove- 
niente da  scavi  nel  tempio  di  CIbclc   con  l'iscrlz. 
ì;:'i  iipi(o5  ll«v;piXou   MT|Tp4?iu-,'j;  ' A'j-.t\i.\'ji'-tyt\i    ntpi- 
oivT»)?  (I  sec.  a.  C).  L'epiteto  nuovo  non  può  che 
riferirsi  all'uso  lustrale  del  ::i>'f.,'U'/:r,-/i»  (Joiir.  lieti, 
sttid.  wm),  155).   -   Due  Importanti  iscrizioni  cpi- 
corlc  rnccolle  da  C.  Rutlcr  vengono  pubblicate  da 
A.   rhumb  wW'Amer.  Joiirn.  of  Ardi.  1911,  IVJ-tiO 
(c(.  p.  1 19-152).  Sono  I  due  più  lunghi  e  più  com- 
pleti   testi  della  lliigii.i    lidia.  Il  Thumb    no   studia 
l'alfabeto,  le  coniblna/ionl  delle  lettere.  Il  c.iiaitcrc 
fonetico  della  lingua,    giungendo  all'idcntillcazlonc 
di   '20  suoni  sonanti  e  consonanti.  La  base  coinpa- 
ralivit  del  suo  studio  è  d.ila  sovratullo   dalle  Iscri- 
zioni lidie  (cf.  RtH'.  d.  <lud.  aiic.  1911.  42»  sgK-'- 


Caria. 

Alabanda.  —  In  base  ad  una  bella  iscr.  ono- 
raria dell'epoca  traiana.  A.  v.  Premerstein  studia 
l'ordinamento  militare  provinciale  della  stessi  epoca 
in  Asia  (Klio  1910.  20i-9).  —  Secondo  un  giusto 
supplemento  di  H.  GrCgoire  {bCH.  1909.  170) 
nel  decreto  in  onore  dì  un  :»Xof  iitt,;,  edito  dal  Cou- 
sin,  è  tributata  all'onorato  la  lode  di  ìx\'j-.vi. 

Amyzon.  —  Un  decreto  onorario,  rinvenuto  nel 
territorio  di  Magnesia  sul  .Meandro,  per  .M.  Caeci- 
lius  Numa  procurator  Augusti,  pubblica  \V.  Crònert 
negli  Oest.  Jahresh.  1910.  Beibl.  Ib.  e  un  testo 
meno  lacunoso  dell'iscr./OHr.  llell.  stiid.  \\'\,  232  A 
presenta  A.  Wilhelm  in  Hermes  19  9,  47. 

Bargylia.  —  Il  culto  delle  divinità  egiziane  su 
questa  parte  della  costa  asiatica  è  attestato  da  un 
frammento  edito  da  J.  Keil  {Oest.  Jahresh.  1911, 
Beilb.  57  seg.). 

Isnik.  —  4  iscrizioni  sepolcrali  tra  cui  il  note- 
vole epigramma  di  ' i\--':%  Y't.'iz'.y.zzi  vengono  bre- 
vemente comunicate  da  M.  Schede  in  .4///.  .Wi"r/. 
1911.  97  sgg.:  cL  Dyz.  Zeitsch.  1911,  614. 

Theangela.  —  Notevoli  osservazioni  del  Grain- 
dor  (Musie  Belge  .\V.  '207-09)  sul  significalo  dcl- 
l'iscr.  edita  dal  Wilhelm  Oest.  Jahresh.  UKW.  62 
sgg.  Peraltro  è  falsa  l'interpretazione  del  Oraindor 
sul  significato  di  '.ifos  come  prestazione  d'opera 
nelle  liste  di  sottoscrizione;  non  sta  a  indicare 
una  coppia  di  buoi  ma  si  bene  una  giornata  di 
lavoro  calcolata  sul  lavoro  giornaliero  d'una  coppia 
di  buoi  {RH'.  de  Phil.  1911.  215). 

Tralles.  —  l'rammento  di  un  rilievo  con  ninfe 
ed  iscrizione  votiva  \Ath.  Mitf.  1911.  212  n.  5). 
Chersoneso  Cnidio.  —  8  iscriz.  in  gran  parie 
tarde  sepolcrali  comunica  N.  Chavlarà  dagli  antichi 
centri  della  penisola  cnldia  ^Bybassos  ('■'),  Akanthos. 
Stadia,  Stefania):  il  n.  1  è  un'lscf.  onorarla  da 
parte  degli  '/i  xi:oi«i5vt«j'1'<u(ii"oi  cv  T.ltXtK  (Bybas- 
sos  (?).  —  Appartengono,  nella  maggior  patte, 
al  Chersoneso  cnidio  le  iscrizioni  pubblicate  da 
M.  Schede  nelle  .4///.  Min.  1911.  97.  In  una  di 
esse  P.  Roussel  ha  riconosciuto  un  frammento  da 
riconiielterc  al  decreto  di  prosscni.i  edito  In  Afi't' 
/;•/.  gr.  189«>.  420  n.  9  =  Michel.  Rtc.  449.  Il  de- 
creto del  IV'  scc.  sarebbe  relativo  all'  Iphiadcs  di 
Abido.  ricordato  da  Aristotile.  Pollt.  Nili.  p.  I.UMi  a 
Qucst'lscriz.  ò  stala  anclu'  '>  di 

A.  Wilhelm  In  An:.  d.  Il  •   - 

Per  il  Chersoneso  rodio  v.  Kudl. 

Un  Impotl.intc  studio  llnculsllco  ^■•|'■•■■• •■«ilca 

caria  desunta  dalle   Iscrizioni,  fa  lo'  I  In 

Klio.  1911.  fase.  4, 


8? 


84 


Licia  e  Pamfìlia. 

VV.  Arkwrij,'lit  studia  il  sistema  delle  multe  com- 
niiiKitc  nelle  iscrizioni  sepolcrali  licie  dai  '.empi 
ellenistici  alla  tarda  epoca  romana  iJoiirn.  Iteli, 
s/iid.  1910,  269-75).  —  W.  Klugc  inizia  i  suol  studi 
di  glottologia  comparata  sulle  lingue  caucasiclie, 
con  il  gruppo  delle  iscrizioni  licie  (Mitili,  ti.  vor- 
derasiat.  Gesell.   1910). 

O.  Kern  in  un'iscrizione  della  Panilìlia  tWillielm 
Beitrage  1010  n.  169),  propone  di  leggere  Zìi^j- 
(iio-j  =  ii5ja:o'j  invece  di  '(.('-■'■ìo-j  (Ardi,  of  Reli- 
gionswiss.  1911),  475-8).  —  Una  revisione  del  noto 
testo  epigrafico  di  Adalia  relativo  all'  i'jroaY^/.o- 
\i.T.^-:''.i,  dà  .1.  Sundvvall  nel  Joiir.  Hell.  stud.  1910, 
260-6.  —  D' interesse  epigrafico  è  l'art,  di  A.  v. 
Domaszewski,  Die  l'estCira  der  Panipli.  Stiidtc 
nella  Wien.  Num.  Zeitscli.  I9I1,  fase.  1. 


Isauria  e  Licaonia. 

A  Zenonopolis  Isaurìca  attribuisce  Tli.  VViegand 
una  bella  iscrizione  dell'  a.  448  d.  C.  relativa  al 
restauro  della  fontana  del  martire  S.  Socrate,  curato 
dal  vescovo  della  città  fMrmiano  ed  eseguito  da  un 
ùòpxfcuYÓ;  di  Primnesso  (.4;/;.  Miti.  1911,  296  n.  7; 
cf.  Armi.  Boll.  1911,  316). 

W.  M.  Calder  pubblica  16  iscrizioni  dalla  Licaonia 
(Proseilemmene)  tra  cui  l'importante  epitaflìo  del 
vescovo  Eugenio  di  Laodicea  Combusta  (n.  1), 
una  dedica  alla  moglie  di  Gallieno  Corn.  Salonina 
(n.  2)  ad  un  liberto  curator  Caletidarii  Veliani 
(n.  3).  un  gruppo  di  dediche  a  Zeus  Alsenos  [Klio 
1910,  232-42).  SuH'epitaflìo  di  Eugciuo  v.  le  cor- 
rezioni del  Wilhelm,  ibid.  1911,  388;  cf.  Byz. 
Zeitsch.  1910,  p.  .")39.  —  Iscrizioni  da  Iconium  v. 
in  F.chos  d'Orient  1910,  336-3-ì.  —  Nel  bel  libro 
di  W.  M.  Ramsay  e  M.  G.  Bell,  The  Tlwttsand  and 
one  Chiirches,  Londra,  1909,  il  Ramsay  raccoglie 
a  p.  505-570  il  materiale  epigrafico  delle  Chiese  di 
Kara  Dagh.  —  50  nuove  letture  su  testi  di  iscri- 
zioni cristiane  e  bizantine  appartenenti  nella  mag- 
gior parte  alla  Lidia,  Pamfilia  e  Licaonia,  vengono 
date  da  Nic.  Vees  in  'Eo.  'A?/.   1910,  97  sgg. 

Ciucia. 

A.  V.  Uoiiiaszewski  studia  nella  ÌVien.  Num. 
Zeilsch.  1911,  fase.  1,  un  gruppo  d'iscrizioni  di 
Mopsuestia  e  Aegeae,  e  ibid.  l'epiteto  di  Zeus 
Olybrios  ricorrente  nell'i,  cilicia  Dittenberger, 
Or.  er.  iiis.  sei.  n.  577. 


Siria  sett    e  Hauràn. 

Un  importante  resoconto  critico  sul  I  rapporto 
dei  lavori  della  Missione  archeologica  americana  in 
Siria  {Public,  of  ari  Americ.  Ardi,  lixped.  to  Syria, 
1899-I9U0,  Di  vis.  Ili,  Greek  a.  Latin  Inscr.  by  W. 
K-  Prentice,  New- York,  1908)  e  sulla  contemporanea 
pubblicazione  dell'Università  di  Princeton  (Uivis.  Ili 
Greek  a.  Latin  Inscr.  by  linno  Liltmann  e  W.  K. 
Prentice  —  Sect.  A  Southern  Syria  (Ammonitis)  ; 
Sect.  B  Northern  Syria  ('Aia  u.  Qasr  ibn  WardSn) 
Leyden,  1908),  è  dovuta  al  dotto  epigrafista  sirìaco 
P.  L.  Jalabert  nelle  Mélang.  LSeyrouth,  1909,713-752; 
cf.  fìerl.  Phil.  Woch.,  1909,  16.  —  Di  questa  se- 
conda grande  pubblicazione  edita  dall'Università  di 
Princeton,  è  uscito  in  continuazione  della  raccolta 
dei  testi  della  Siria  meridionale  iniziata  dal  Litt- 
mann,  il  fase.  Sez.  A,  parte  li  (Leyden,  l'.tlO)  com- 
prendente il  territorio  meridionale  del  Hauran,  com- 
pilato da  E.  Littmann,  D.  Magie  e  D.  R.  Stuart. 
È  un  gruppo  considerevole  di  testi  che  illumina 
una  delle  regioni  più  sconosciute  della  Siria  meri- 
dionale, essendo  nella  maggior  parte  strettamente 
connessi  con  la  storia  dei  ricchissimi  avanzi  mo- 
numentali della  regione  (fortificazioni  romane,  ca- 
stelli, basiliche  e  fortezze  bizantine).  La  più  antica 
di  queste  iscrizioni  si  riferisce  ad  una  costruzione 
del  perìodo  nabatèo  (a.  'JO  a.  C.)  ;  le  altre  al  pe- 
riodo cristiano  dall'a.  325  al  principio  del  vii  se- 
colo. La  gemma  dell'intera  raccolta  è  un  editto  del- 
l'imp.  .Anastasio  I  (a.  491-518)  relativo  all'ammini- 
strazione civile  e  giudiziaria  degli  ufficiali  della 
provincia,  rinvenuto  in  frammenti  nel  castello  ro- 
mano di  Kosèr  il  Ilallabàt.  Da  segnalare  è  anche 
l'iscr.  di  Umm  ir-Rumman  relativa  alla  restaurazione 
del  culto  pagano  nella  regione.  —  Della  stessa 
opera  nell'anno  1909  è  uscita  la  Div.  Ili,  Sect.  B, 
pait.  II-lII  (W.  K.  Prentice),  relativa  ai  distretti  set- 
tentrionali di  Il-.\nderin,  Kerratin,  Ma  'rata  (v.  Beri. 
Phil.  Woch.,  1910,  196  >  e  Djebel  Riha  e  Djebel 
Wastaneh;  nel  1910,  della  stessa  sezione  B,  la 
parte  IV',  comprendente  30  iscrizioni  greche  del  di- 
stretto di  Djebel  Barìshra  a  cura  dello  stesso  W.  K. 
Prentice. 

Xelle  Mélang.  Beyrouth,  1909,  540  sgg.,  ven- 
gono pubblicate  alcune  iscrìzioni  greche  della  Siria 
tra  cui  notevoli  quella  di  M.  Cassio  .Apollinare 
<  consul  sufL  ;>  nel  150  d.  C,  inscritta  sulla  sezione 
inferìore  d'un  capitello  (a  p.  544  si  dà  la  lista  delle 
iscrizioni  siriache  con  data  consolare).  — •  Delle 
nuove  iscrizioni  siriache  edite  da  L.  Jalabert  e  R. 
Mouterde  nelle  .Wlang.  Beyrouth,  1910,  209  sgg., 
vanno  segnalati    un    frammento    d' un    nuovo  ópo? 


85 


86 


della  tetrarchia,  un  cippo  od  ara  proveniente  dal 
tempio  di  Hosn  Niha  e  alcune  iscrizioni  funebri 
di  varia  provcnicn/.a.  —  Speciale  interesse  merita 
un  '/?o;  di  Damasco  relativo  al  diritto  d'asilo  reli- 
gioso in  un  santuario  della  regione  iMélang.  Bey- 
roiit/i,  1911,  71).  —  Nella  Rév.  bibl..  1911,  115  sgg. 
F.  M.  Abel  pubblica  6  iscrizioni  greche  da  Alcppo, 
Antiochia,  Selcucia  Pieria  e  Gaza:  il  testo  delle 
due  iscrizioni  di  Seleucia  (n.  4,  5)  è  emendato  da 
P.  Jalabert  nelle  Mélang.  Beyroutli,  1911,329).  — 
.-\lcune  iscrizioni  sono  pubblicate  in  una  relazione 
di  viaggio  a  traverso  la  regione  Ira  Homs  e  Hamah 
(da  Beyrouth  verso  Aleppo)  in  Eph.  /.  Semit. 
epigr.,  1911,  157.  —  Un'iscrizione  sepolcrale  dalla 
Siria  settentrionale,  v.  in  Arch.  Anz.,  1910,  .'08. 
Dalla  Siria  proviene  una  croce  processionale  con 
iscrizioni  edita  da  G.  Sclilumberger  nei  Atonuni. 
bvzant.  inedits,  Paris,  1909,  p.  555-568;  cf.  Byz. 
Zeitsch.,  1910,  p.  664. 

Palestina. 

Nella  Réu.  bibl.  ini.,  11»09,  è  pubblicato  un  buon 
numero  d'iscr.  greche  dalla  Palestina:  ì\  M  Abel 
offre  un  testo  meno  lacunoso  e  imperfetto  d'un 
nuovo  importante  frammento  del  giò  noto  editto 
bizantino  di  Ucrsibca,  edito  dal  Robinson  nel- 
ì'Am.  Jotir.  Arch.,  1908,  34:t-9,  pubblica  un'iscr. 
relativa  all'archiatra  Stefano  e  due  altri  frammenti 
da  Hersabca.  —  H.  Vincent  pubblica  una  stele  fune- 
bre da  Apollcnia  (Arsoul)  ibid.,  p.  445,  e  l'Abel 
l'iscr.  del  grande  altare  di  Dscherasch,  ibid.,  p.  448, 
su  cui  vedi  anche  Mitth.  ti.  Nadir,  d.  Deittsch.  Pa- 
litstina-Verein,  1910,  p.  39  e  Zeitsch.  d.  Deiitsch. 
l'ut.  Ver..  1910,  2'22. 

Un'Iscrizione  da  (ìcrasn  relativa  ad  un  M.  .Vurclio 
?ixii:,2'.)To;  V.  In  AUtang  Beyrouth,  U)09,  551.  — 
Iscrizioni  da  ierlcho  e  Scythopolis  pubblica  F.  M. 
Abel  nella  RìH).  bibl.  1911.  286-2;t0.  L'iscrizione 
di  Scythopolis  è  ripubblicata  con  un  testo  più  com- 
pleto neWh.chos  ifOr.  1911,  '207:  cf.  anche  llyz. 
Zeitsch..  I9ll,(il3.  —  21  Iscrizioni  sepolcrali  cri.stlane 
sono  state  raccolte  da  Natii.  Schmidt  nello  scavo 
d'una  necropoli  a  nord  di  KuhCbeh  ed  altre  Ire  da 
Bccrsheba:  a  questa  ultima  clltik  appartiene  una 
singolare  iscrizione  metrica  su  d'una  lastra  mar- 
more.i,  In  cui  ricorre  il  nome  di  ,'\ntlpntr»s.  Se- 
condo lo  Schmidt  trattasi  di  un  eplgrannia  l.iud.i- 
tiv»  d'iin'opera  d'atte  eseguita  da  un  artista  di 
nome  Antlpiitro  (Am.  Jotir.  Arch.  1910.60-70).  Su 
(|ucst'lscrl/lone  v.  le  note  critiche  esposte  nella 
/<•<('.  biM.  1910.  p.  Ii:i3  e  le  correzioni  di  A.  Ilei 
senbcrg  nclln  liyt.  Zeitsch.  1910,  p.  t'>72.        Uni» 


bella  iscrizione  greca  fu  mosaico  scoperta  nelle 
rovine  d'una  chiesa  di  Madaba,  v.  nel  A'.  Bull. 
dArch.  Crist.  1911,  IH  sg.:  cf  Rév.  bibl.,  1911. 
437-440  —  Germer-Durand  pubblica  neW Echos 
d'Orient,  1909,  75,  un  lampadario  con  iscrizione 
votiva  e  ibid.,  1911,  176  quattro  sigilli  bizantini. 
—  Un  mosaico  bizantino  con  iscrizioni  (da  Bettir) 
è  pubblicato  da  H.  Vincent  nella  Rév.  bibl.  1910, 
p.  254  sgg. 

Nella  Zeitsch.  d.  Deutsch.  Palùstina-Veri . 
113,  R.  Horning  ha  compilato  un  catalogo  descrit- 
tivo dei  mosaici  esistenti    in    .\\esopotamia,   Siria. 
Palestina  e  Sinai  ;  buona  parte  di  essi  contengono 
iscrizioni. 

Sugli  scavi  e  rinvenimenti  nella  Palestina  dal 
1905  al  1909  vedi  il  repertorio  Tliomsen  Peter, 
Die  Palastina-literatur,\ì  1,1905-09),  Leipzig  1911. 

Mesopotaniia. 

Babilonia.  Tre  iscrizioni  greche  da  Babilonia 
pubblica  B.  Haussoullier  in  k'iio,  1909,  :152  sgg.: 
le  prime  due  (il  n.  2  appartiene  al  Brìtish  Museum) 
sono  datate,  per  la  prima  volta  in  epigralì  greche, 
con  la  doppia  era  scleucidica  e  arsacidica  rispetti- 
vamente agli  anni  109  8  e  120  a.  C.  e  cadono 
quindi  entro  il  regno  di  .-Xrsakes  IX  (VII)  Mitridate  II, 
di  cui  recano  il  nome  nel  prescritto  :  ?aaiXiiovTO{ 

MiviXoj'A.iaix'jj  Ivli^ivoi;  •■■•.XiXl.r.vo;  (quest'ultimo 

titolo  è  affatto  nuovo  per  il  re  Arsakcs).  Un'impor- 
tante questione  cronologica  è  sollevata  dal  n.  1.  ri- 
sultando da  esso  una  dìiTcrcnza  di  65  anni,  anziché 
di  1:4,  Ira  l'inizio  dell'era  scleucidica  e  l'inizio  del- 
l'era arsacidica.  Incominciando  le  due  ere  dallo 
stesso  mese  Nisan,  l'A.  non  vede  altra  spiegazione 
probabile  che  in  un  possibile  uso,  da  parte  di  co- 
loni greco-macedoni  di  Babilonia,  del  calendario 
macedone,  per  il  quale  l'anno  incominciava  nel  mese 
corrispondente  al  babilonese  Tisri.  L'iscrizione  con- 
tiene una  lista  dei  giuochi  e  del  premi  del  s;lnnaslo 
greco.  Il  n.  3  è  l'iscrizione  v  ■•  .-Vrlstcas 

di  Tco  detto  anche  con  non  •>. 

Sull'esistenza  di  parole  babilonesi  ii  luri 

delle  •  dellxionum  labcllac  >  v.  Lchni... .  :.-.,  i  al- 
l'articolo Sarapis  del  Roschcr's  Uxicon  e  In  Klio, 
1910.  395. 

Arabia. 

Pochi    Itiimmcntl  cplgrallcl  sono   pubblicati  da 
Jausscn  e  S.ivlgnac.  .Wi.Mj«>rt  (iri':         '     '       '"■''' 
19  19.  p   2\«.        Sul  materiale  - 
ncH'opcta  di  K.  l'I.  Brilnnow  e  A.  v.  UoinauciAkkt, 


.'iMjoHi'a       Alimi  VI 


37 


87 


88 


Die  'Provincia  Arabia  .  1909,  p.  201-20",  v.  le 
note  eli  L.  Jalabcrt  in  Metani'.  Iteyroiith  1910, 
p.  xi.iii  sg.  -  Un  jjriippo  di  iscrizioni  grcconabalcc 
pubblicale  dal  Oermcr-Durand,  è  raccolto  noWIlph- 
f.  Scmil.  cpifir.,  1911,  89  sg. 

Egitto. 

Un  buon  numero  di  correzioni  al  testo  di  alcune 
iscrizioni  greche  tarde  deH'Iìgitto  pubblicate  in 
BC/i.  XXVIl,  3-15-390.  Ardi./.  Pap.  11  -130,  n.  5; 
432.  n.  13  e  Journ.  oj  Hell.  Sf'd.  XXIV,  9,  fa 
W.  Cronert  in  Oest.Jahresh.  1909,  AWW.col.  205-.S. 

Il  materiale  della  singolare  necropoli  di  Ibralii- 
mieli  presso  Alessandria  con  iscrizioni  dipinte  su 
strie  e  sulle  pareti  delle  tombe  è  pubblicala  da 
E.  Breccia  in  Bull.  dAle.x:  1909,  p.  35:  dal  trovar 
commisti  in  questa  necropoli  Tessali,  Achei,  Arcadi, 
Ateniesi,  Cretesi  (^:Ì5i;  K--r,c  è  nome  di  uomo  e 
non  di  donna)  e  Megaresi,  insieme  con  un  nu- 
mero notevole  di  ebrei,  il  Breccia  suppone  che  si 
tratti  d'un  cimitero  di  famiglie  di  mercenari  di  età 
tolemaica  (in-i  sec.  a.  C).  Lo  scavo  ha  dato  una 
ricca  serie  di  bolli  tra  cui  uno  cretese  (?)  llan'.'.os- 
(rr,;?)  (il  nome  è  invero  scliiettamente  cretese». — 
Minore  interesse  epigrafico  ha  l'ipogeo  cristiano  di 
Hadra  con  sette  iscrizioni  sepolcrali  (Breccia,  ibid. 
p.  2-(3-285i.  —  24  iscriz.  relative  in  gran  parte  al 
culto  dei  Tolemei  sono  state  acquistate  dal  Lyceum 
Osianum  di  Braunsberg  e  pubblicate  da  O.  Ruben- 
sohn  ntW'Arch.  f.  Papyr.  1009,  p.  156.  —  Nelle 
sue  note  dì  epigrafia  egiziana  (Bull.  d'Alex,  p.  322 
sgg.)  Seymour-De  Ricci  pubblica  un  gruppo  d'iscri- 
zioni greco-giudaiche,  fa  la  revisione  di  un  impor- 
tante testo  tolemaico  edito  dal  Botti  (/iull.  d'Alex. 
IV,  83-84)  e  del  testo  trilingue  di  Athribis  [Archiv. 
IV,  246  sg.),  comunica  il  testo  di  3  iscriz.  da  Fa- 
youm,  2  da  Philae,  e  infine  di  1  iscriz.  dal  Louvre, 
5  dal  Museo  di  Berlino,  2  dal  Museo  di  Firenze 
e  di  un  ostrakon.  —  Non  meno  interessanti  sono 
le  note  epigrafiche  di  E.  Breccia  (Bull.  d'Alex. 
1910  p.  87  segg.)  con  la  pubblicazione  d'un'iscrì- 
zione  dell'a.  34  d.  Aug.  attestante  l'esistenza  di  un 
Kleopatreion  a  Rosetta,  di  due  anfore  panatenaiche 
datate,  l'una  delle  quali  col  nome  dell'arconte  Era- 
sicleides  (a.  3710)  costituirebbe  l'esempio  più 
antico  della  datazione  eponima  sulle  anfore,  di  due 
stele  dalla  necropoli  di  Scialbi  e  infine  di  fram- 
menti di  ceramica  a  smalto  con  iscriz.  relativa  a 
Berenice  moglie  Ji  Tolomeo  111  (a  p.  95  sg.  l'A. 
raccoglie  in  serie  le  oinochoe  e  i  frammenti  cera- 
mici con  iscrizione  .  —  R.  Cagnat  ripubblica  in 
C  R   de  l'Ac.  des  Inscr.  1910  l'importante  iscrizio- 


ne incisa  sopra  una  colonna  di  diorite  comunicata 
dal  Green  in  Proc.  of  the  liibt.  Arclt.  1909,  p.  323 
lav.  IV,  relativa  alla  consacrazione  di  uno  i-fóv  a 
Pane  da  parie  di  un  affrancalo  di  P.  Juventius 
Riifus  iy/i[i.tzi'K\ip/r,i  dell'Egitto.  A  proposito  di 
quest'iscrizione  K.  Fitzier  in  Arch.  /.  Papyr.  1911 
p.  422  nota  giustamente  che  con  i  dati  del  testo 
si  può  ricostruire  il  cursus  Iwnorum  dell'  ìy/vt-i-:i'i- 
'■■''.'/.'ii  •  non  centuria  ma  tribnnus  della  legione  III 
Cirenaica  fu  P.  Juventius  Rufus,  in  seguito  ì-iy/rj- 
ossia  praefectus  montis  Berenicidis  e  da  ultimo 
2-  i;i!ra"AÀi;/r,;  di  tutte  Ic  miniere  dell'Egitto.  — 
Dall'originale  conservato  a  Gottinga  dell'epigramma 
n.  430  del  Kaibel,  P.  Jacobsthal  ricava  un  testo  no- 
tevolmente migliorato  (Hermes  XLVI,  318-:i20|.  — 
Un  certo  numero  di  iscrizioni  dovute  a  viaggiatori  e 
pellegrini  nell'Egitto  comunica  A.  J.  Reinach  in  Bull. 
d'Alex.  1910  p.  1 1 1  sgg.  (in  continuazione)  cuna 
raccolta  completa  dei  graffiti  greci  del  tempio  d 
Seti  prepara  H.  Perdrizet.  -  Un  alabastron  con 
l'indicazione  del  profumo  e  il  nome  del  profumiere 
V.  in  C  R.  Ac.  des  Inscr.  1910,  p.  .336. 

Nubia.  In  The  Archaeologic.  Survey  of  Nubia, 
Cairo  1910,  n.  5,  O.  Bates  dà  in  facsimile  13  iscriz. 
graffite  sulla  roccia  nelle  vicinanze  di  Dakka  (Pselchis) 
contenenti  il  ricordo  dei  visitatori  del  vicino  santua- 
rio. —  Altre  iscriz.  greco-nubie  comunica  il  Sayce 
(Proc.  ofthe  Soc.  of  Bibl.  Ardi.  1910.  p.  266);  una 
raccolta  di  iscriz.  greche  dei  tempi  di  Philae  ha  ini- 
ziato F.  Zucker  (Sitzber.  Beri.  Ak.  1910,  p.  587). 
—  Nell'iniziata  pubblicazione  dei  lavori  della  Mis- 
sione americana  nella  Nubia  da  parte  dell'Univer- 
sità di  Pensilvania  (E^ypt.  Departm.  -  Exp.  to 
Xubia,  1909...»  viene  comunicato  il  testo  di  alcune 
iscrizioni  grei;he  delle  basiliche  di  Debèreh  ed 
Fa  ras  (11,  1910,  p.  29,  34,  36)  ;  un  piccolo  gruppo 
di  graffiti  è  nel  fase.  Ili,  1910,  p.  78.  Il  ricco  ma- 
teriale epigrafico  d'una  necropoli  greco-romana  è 
riservato  ad  un  fascicolo  d' imminente  pubblica- 
zione. 

Al  materiale  epigrafico  dell'Egitto  attingono  A. 
J.  Reinach  nell'interessante  studio  sui  Galli  in  Egitto 
(Rév.  des  et.  ano.  1910.  p.  37-74),  in  parte  P.  Jou- 
guet  nelle  sue  note  suU'efebia  in  Egitto  (Rév.  des 
Phil.  XX.KIV.  43-56)  e  più  largamente  nell'opera, 
La  vie  municipale  dans  l'Egypte  romain,  1911. 
Interessano  in  special  modo  la  papirologia  i  Bei- 
tràge  z.  Kenntniss  d.  Geriditsorgan.  im  Ptolem. 
u.  roemisch.  Aegypten  di  Fr.  Zucker  (Philologus 
Supplb.  XII,  1,  1911).  —  Nella  2=-  parte  della  sua 
bell'opera  su  La  serie  dei  Prefetti  dell'Egitto  (li 
1911)  L.  Cantarelli  nell'iscr.  della  celebre  colonna 
di  Pompeo  preferisce,   secondo  l'integrazione   del 


89 


90 


Clarke,  di  leggere  il  nome  del  Prefetto  nóa[TOj;i]o; 
(o.  e.  p.  322.  n.  92). 

Africa 

W.  Thieling  nel  saggio  Der  Hellenismus  in 
Kleinafrika,  Dissert.  1910,  Leipzig  »  raccoglie  a 
p.  14  sgg.  il  materiale  epigrafico  greco  delle  Pro- 
vincie tripolitana,  byzacena,  proconsularis,  della 
Numidia,  della  Mauretania  Cesarensis  e  Tingitana 
(80  iscrizioni),  più  le  iscrizioni  su  amuleti  (p.  32) 
e  quelle  del  periodo  cristiano-bizantino. 

Cirenaica 

Nell'estate  del  1910  la  Missione  arclieologica  ita- 
liana composta  dei  Proff.  F.  Halbherr  e  O.  De  Sanctis 
ha  raccolto  in  una  rapida  ma  assai  fruttuosa  esplo- 
razione delle  città  di  Tokra,  Tolmeta  e  Berenice, 
una  copiosa  messe  di  testi  epigrafici  relativi  in  parte 
al  dominio  tolemaico  e  in  parte  all'epoca  romana. 
Oli  antichi  blocclii  inscritti  che  si  rinvengono  in 
gran  numero  nelle  mura  della  fortezza  bizantina  di 
Tokra  sono  stati  rilevali  da  F.  Halbherr,  che  ha  cu- 
rato anche  la  raccolta  delle  numerose  epigrafi  se- 
polcrali delle  necropoli  di  Tokra  e  Tolmeita  ;  altri 
testi  da  Berenice  ha  collazionato  e  copiato  O.  De  San- 
ctis. Non  si  può  qui  fare  a  meno  di  segnalare  il 
ricco  materiale  di  iscrizioni  epicoric  in  alfabeto  li- 
bico scoperto  e  copiato  dall'  Halbherr.  La  pubblica- 
zione dei  risultati  di  quest'esplorazione  scientifica 
è  attesa  con  il  più  vìvo  interesse. 

Tunisia 

Cariatine,  l-'rammcnti  d'iscrizioni  cristiane  della 
basilica  di  Damus  cl-Karlta  (C.  li.  de  lAcad.  ti. 
Inscr.  1911,571). — Sussa.  Comunicazione  d'una 
Iscrizione  cristiana  dalla  necropoli  di  Sussa  (Ibid. 
p.  514). 


ri'.M.iA 

Ravi'ima.  Le  tscrlziunl  bizantine  di  Ravenna 
sono  slate  raccolte  da  C.  M.  Patrono  ncjjli  Atti  <• 
Atrtnorir  ilellit  li.  ilt'(tiita:ionc  ili  Storia  /uilriit, 
XXVII,  1911),  p.  .10  segg.  Sulle  manchevolezze  di 
questa  silloge  In  riguardo  al  lesto  e  al  commento 
v.  A.  McIscnberR  In  liyz.  /.eilseti.  XIX,  1910. 
p.  ()73. 

Roma.  I-  annunciata  d.i  parte  del  eh.  Pr.  0. 
Gatti    l'imminente    pubbllca/lonc  del    .1."    volume 


delle  Inscript.  Chrìst.  urbis  Romae  (S.  Bull.  dArch 
crisi.  XVI.  1910.  p.  278).  —  Nell'opera  monumen- 
tale di  O.  Marucchi  <■  I  monumenti  del  Museo 
Pio-Lateranense  riprodotti  in  aliante  di  XCV 
tavole  con  testo  illustrativo  di  O.  .M.  >  'Milano 
Hoepli  191' 1,  in  fol).  nelle  51  tavole  XLIII  XCVH) 
riservate  alla  raccolta  epigrafica  latcranensc  ven- 
gono naturalmente  comprese  anche  le  riproduzioni 
delle  iscrizioni  greche  cristiane:   ti^  '      mer- 

gono    Tiscr.    di  Abercio  (tav.  XLIIIi  jale 

l'A.  non  ha  potuto  giovarsi  dell'edizione  ci'iuca  di 
W.  Luedtke  e  Th.  Nissen,  Die  Urabschrift  des  Aber- 
kios.  Ihre  Ueberlieferung  u.  Otre  Text  Teubner, 
1910.  tav.  1  (dove  la  riproduzione  dell' i«— 
che  paleograficamente  migliore),  le  iscr: 
data  consolare  di  Pio  e  Ponziano,  di  Socratcs 
(XLVll,  no  2,  19',  le  iscrizioni  dei  pontefici,  dì 
papa  Ponziano  e  papa  Fabiano  lUli,  1-A,  J)  sco- 
perte di  recente  nelle  catn-  -'  '!  S.  Callisto  (cf. 
.V.  Bull.  dArch.  crisi.  XV,  s,  tav.  1,  no.  1. 

e  The  Journal  of  Roman  studics,  1911,  voL  1, 
fase.  1,  pag.  125  e  tav.  XVIII,  3).  Poco  numerosa  è 
la  serie  delle  iscrizioni  greche  sepolcrali  e  cimite- 
riali. Sopra  una  di  esse  recante  un  gruppo  sim- 
bolico (tav.  LVII,  8i  V.  l'esegesi  di  G.  Schncider 
in  .V.  Bull.  d'.Arch.  crisi.  XVII,  1911.  p.  59.  e  la  mia 
rettifica  in  questa  Ausonia,  coli.  1  sgg.  —  Il  testo 
epigrafico  della  Tabula  Iliaca  Capitolina  è  nuova- 
mente e  diligentemente  riveduto  in  edizione  critica 
da  U.  Mancuso,  Rtrid.  Acc.  Line.  1910,  p.  933.  e 
una  splendida  tavola  fotolipica  del  monumento  è 
aggiunta  nella  memoria  dello  stesso  A.  <  l.a  Tabula 
Iliaca  del  Musco  Capitolino  •  In  Memorie  Acc. 
Une.  1911.  —  Con  alcune  iscrizioni  cristiane  ine- 
dite del  Musco  Nazionale  delle  Terme,  R.  Parìbcni 
pubblica  un'iscrizione  sepolcrale  di  un  tale  da  Tlico- 
dosiopolis  di  Tracia  (.V.  Bull,  d  .Arch.  crisi.  XVI,  1910. 
p.  1  sgg.):  una  correzione  al  testo  la  A  Heisen- 
berg in  Byz.  /.eitsch.  XX.  l'.M  1.35.5.  -  R.  Kaniler 
nella  relazione  degli  scavi  eseguiti  dalla  Commis- 
sione di  archeologia  sacra  nelle  Catacombe  • 
mane  durante  gli  anni  19*t7-19«»9.  comunic.i  qual- 
che Iscrizione  cimiteriale  Ita  cui  quelle  gii  ricor- 
date dei  papi  Ponziano  e  Fabiano  (.V.  BuU.  d'Arti». 
crisi.  XV.  litO».».  p.  1  I7-23.S.  '207-215).  —  6  iscrizioni 
sepolctali,  Ita  lut  un  Irami'  Ullc 

vie  Appla,  ColLitina   e    1'  mu- 

nicatl  In  .Vi»/,  i/.  5«-  .iltra 

più  notevole  ìsctìzUxi-.    ^v  ,.,.,vi....   >l 

nla  v.  In  Sol.  d.  Se.  1910.  p.  \m.      Il 

e  la  . 

lucus 

In  .Wi'/(in.v.   d.  Rome   lliW,   (>.  C>4  nota    II   «iiu'^i 


91 


9i 


xf.ocT£oó;  si  riferirebbe  a  tavolette  magiche  raccliiuse 
in  una  cavità  a  cui  la  lastra  di  marmo  serviva  di 
coperchio,  mentre  che  il  compianto  Oaukicr  C.  R. 
de  l'Acad.  d.  Inscr.  1908,  p.  525  riteneva  il  òe^iaó; 
relativo  ad  un  lavoro  di  presa  e  di  canalizzazione 
dell'acqua  sacra  del  santuario.  Al  Oaukicr  consente 
R.  Cagnat  in  tnscript.  gr.  a.  r.  r.  peri.  I,  fase.  6 
(Addenda)  no  1388.  Ad  opere  idrauliche  si  riferi 
rcbbe  più  sicuramente  l'altro  frammento  /.o]v"'i5  '=■  -- 
7:jio/uv--  edito  in  Mélang.  de  Rome  1909,  p.69, n.  4. 

In  riguardo  alla  ripresa  dibattuta  questione  dei 
due  epigrammi  relativi  a  Boethos  inscritti  su  due 
lati  d'una  base  rinvenuta  nel  1667  presso  le  Terme 
di  Traiano  (Loewy,  BUdhaueririscfir.,  n.  535  ;  cf. 
Svoronos,  'Ivi.  'Af/.,  1909,  p.  156,  sgg.),  credo  op- 
portuno di  comunicare  che  la  base,  creduta  smar- 
rita, esiste  tuttora  nel  cortile  dol  palazzo  Medici 
(già  balconieri)  al  Lungotevere  Tebaldi.  Pubblicherò 
presto  una  breve  comunicazione  scientilìca  con  le 
fotogratìe  delle  iscrizioni. 

Ostia.  —  Da  segnalare  è  la  dedica  di  Aquilio 
Theodotos  a  Serapis,  l'iscrizione  frammentaria  in- 
cisa su  d'un  busto  acefalo,  e  l'epigramma  sepol- 
crale scritto  su  due  colonne  sulla  fronte  d'un  sar- 
cofago (Not.  d.  se.  1909,  86,  94  e  1910,  15).  D'un 
altro  epigramma  assai  più  frammentario  (Not.  d. 
se.  19111,  16)  qualche  buon  supplemento  vien  dato 
da  A.  Vogliano  in  Rend.  Acc.  Line.   1911,  p.  82  sg. 

l'regellac.  —  Tre  bolli  di  anfore  rodie  verranno 
pubblicati  nelle  Not.  d.  Se.  1912. 

Teano.  —  E.  Cabrici  pubblica  nei  Moniim.  Ant. 
d.  Line-  XX,  1910,  3J  un  vaso  proveniente  dalla 
necropoli  ellenistica  di  Teano  con  l'iscrizione  IlÀi- 
Tcuvo;  ^i/.cXuÓTj;  'AnoXuv.rj;  lr.o':7^ji  relativa  se- 
condo l'A.  ad  un  artista  siceliota  da  Apollonia  (la 
corruzione  llXaTojvo?  per  IlXartóvio:  è  inammissibile). 

Clima.  —  Dal  Bullet.  épìgr.  del  1909,  p.  344, 
ricavo  la  notizia  dell'esibizione  di  uno  striglie  di 
bronzo  cumano  con  l'iscr.  IlJpY"''',  nell'esposizione 
IVlorgan  del  19U9  a  South-Kensington  (no.  Ili80).  — 
A  Cuma  deve  anche  attribuirsi  un'  importante  iscri- 
zione arcaica  incisa  sopra  un  dischetto  di  bronzo, 
appartenente  alla  collezione  privata  dei  duchi  Ca- 
rata d'Andria.  Pubblicata  dal  Sogliano  negli  Atti 
d.  R.  Acc.  d'Ardi.  Lett.  e  B.  A.  di  Napoli.  N.  S. 
voi.  I,  1908,  p.  103  sgg.,  è  stata  oggetto  delle  se- 
guenti pubblicazioni  con  relativo  testo  e  commento: 
G.  Oliverio  in  Atene  e  Roma,  1910,  col.  148,  B. 
Haussoullier,  Rév.   d.   Phit.  XXXIV,  1910,  p.  134, 


D.  Comparetti  in  Stjmbolae  Hit.  in  lion.  Jul.  de 
Retro.  1911  e  A.  jMaiuri  in  questa  rivista  (p.  1  sgg.). 
L'esame  fallo  in  quest'ultimo  articolo  delle  diverse 
interpretazioni  mi  dispensa  qui  da  un  riassunto  (1). 
Napoli.  —  Nell'epigrafe  della  statua  del  pale-. 
strita  conservata  nel  Museo  di  Napoli,  O.  Oliverio 
tenta  di  ricavare  dalle  lettere  K'ì>,ì A.\--,  l'etnico 
dell'artista  di  nome  '.Vyooò-.aiEu;  (Atti  Acc.  di  Arch. 
Lett.  e  B.  A.  1910,  p.  41  sgg.).  L'equivalenza  K'u- 
^■.»).ó;  -  .\'Y'.a).ó;  -  If/.jióvio;  è  fantastica,  né  si  sa 
quanto  giovi  alla  sicurezza  di  una  lettura  epigrafica 
il  metodo  usato  di  preferenza  dall'A.  di  ridurre  le 
lettere  a  figure  geometriche  dandone  le  misure  dei 
lati  e  degli  angoli.  A  siffatte  misurazioni  si  può 
ricorrere  soltanto  in  casi  eccezionali.  —  Dallo  stesso 
A.  viene  ripubblicata  in  Sludi  it.  di  FU.  ci.  Xl'lll, 
445  una  defi.xio  inscritta  su  d'una  laminetta  plum- 
bea del  Musco  di  Napoli  (Audollent,  Defi.x.  lab. 
p.  422,  addit.  n.  302,  Buccheler,  Rliein.  .Mus.  LVIil, 
1903,  p.  624).  Il  testo  non  è  migliorato  che  nella 
lettura  sicura  del  nome  "A^tooivo;  (gen.)  invece  di 
Wz-.'.yjM'ii;  per  il  resto  è  necessario  un  disegno 
fedele.  —  Sulla  dedica  del  tempio  dei  Dioscuri  a 
Napoli  (Kaibel  714)  in  riguardo  sovratutto  ad  una 
ricostruzione  ideale  del  frontone,  v.  le  comunica- 
zioni di  A.  Trendelenburg  nel  resoconto  delle  se- 
dute della  Società  archeologica  di  Berlino  (Beri. 
/'liil.  ìl'ocli.,  1911,  p.  821  sgg.)  e  le  osservazioni 
di  U.  V.  Wilamowitz  sul  doppio  dativo  Aio-zoifot: 

xai    77;    r:oX:i. 

Pompei.  —  Un  graffito  greco  da  un  recinto  fu- 
nebre (Not.  d.  Se  1910,  p.  404). 

Bruzzi 

Tlturii.  —  È  uscita  in  una  bella  silloge  critica, 
la  prima  che  possa  chiamarsi  tale  dopo  lo  scem- 
pio fatto  dal  Kaibel  nel  Corpus,  la  serie  delle  la- 
minette  orfiche  d'Italia  iThurii,  Petelia  e  Roma)  per 
opera  di  D.  Comparetti  (vi  sono  aggiunte  le  4  ta- 
volette orfiche  ili  Eleutherna  a  Creta  e  l' iscrizioue 
cumana  emendata  e  interpretata  rettamente  in  Au- 
sonia 1,  p.  13  sgg.  .  L'edizione  corredata  del  ne- 
cessario sussidio  di  disegni  e  fototipie,  di  notizie 
storiche  ed  archeologiche,  e  di  un'acuta  analisi 
filologica,  è  quale  poteva  attendersi  dall'  insigne 
uomo  che  primo  ebbe  il  vanto  di  riconoscere  nelle 
indecifrabili  iscrizioni  di  Thurii  e  di  Petelia  il  ca- 
rattere e  il  contenuto  di  testi  mistico-orfici  (Lami- 


,il  Da  comunicazione  avuta  dopo  la  pubblicazione  del  mio  ar-  venuto  il  prof.  G.  De-Sanctis.  Il  De  Sanctis  aveva  riconosciutojl 
ticolo,  sono  lieto  di  poter  aggiungere  che  alla  lettura  proposta  ii7.VTi-isi3-3f.  e  leuo  con  me  o-jy.  =at  :  aveva  mantenuto  v.o; 
dall'Halbherr  era  anche  in  buona  parte  e  indipendentemente  per-        (con  soggetto  sottinteso)  ma  conviene  nella  migliore  lettura  "Hpr,. 


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94 


nette  orfiche  edite  ed  illustrate  da  D.  Compa- 
retti,  Firenze,  Oalletti-Cocci,  1910,  pp.  1-52,  ta- 
vole \-\V).  —  R.  Pichon  in  Rcv.  d.  FA.  gr.  1910. 
p.  58,  interpreta  un'  espressione  di  signilicato  mi- 
stico religioso  ricorrente  nelle  tavolette  orfiche  di 
Corigliano:  ty-y.,  :;  yiX'  ir.i'.'n  (:n:T£;).  Essa  in- 
dica una  reale  immersione  mistica  dell'iniziato  ai 
misteri,  ma  non  è  necessario  supporre  che  il  lava- 
cro avvenisse  it,  t»).»;  il  lavacro  nel  latte  era  sim- 
bolico e  il  latte  poteva  essere  surrogato  da  una 
qualsiasi  acqua  lustrale.  Cf.  ora  la  diversa  opinione 
del  Comparetti  (o.  e,  p.  9  nota  2). 

Caulonia.  —  P.  Orsi  pubblica  in  N.  d.  Se.  1909, 
327  una  stele  attica  con  iscrizione,  conservata  presso 
una  famiglia  di  Neo-Caulonia.  La  presenza  del  de- 
motico l'apYV'io;  aggiunto  al  patronimico  della 
defunta,  fa  escludere  che  il  titolo  sia  originario  del- 
l'antica  Caulonia  o  comunque  d'una  delle  colonie 
greche  dei  Bruzzi  Si  tratterebbe  d'una  stele  im- 
portata dall'Attica  da  più  o  menu  vecchia  data.  La 
redazione  epigralìca  presenta  una  forma  singolare 
dell' r,  e  un'  inconseguenza  dialettale  nella  voce 
enianai.  B.  I  laussoullicr  {/ahi.  d.  l'Iiil.  1910,  (17) 
preferisce  di  leggere  'iVi^tai/oj,  forma  nota  e  co- 
mune, invece  di  'I'tjjijìì/ou,  ma  se  la  riproduzione 
edita  dall'Orsi  è  fedele,  bisogna  fare  di  '\\t.\i.ii-i')^ 
una  forma  analoga  di  'l'r,a!ip/o;,  nome  anch'esso 
cscmplilìcato,  se  pur  '{'r,i\'i.i./r,:,  non  è  una  forma 
dialettale  attica  per  '\'iX'\t.i/it;. 

/■'elelia.  —  L'atto  di  donazione  di  Saotis  i  Kaibel 
636),  è  oggetto  d'un  commento  nell'opera  già  citata 
di  lìb.  l'r.  Bruck,  Die  Scfie/i/iiirig  auj  den  Todes- 
fall  ini  griech.-rOm.  Recht.  Bresiau,  19  i9,  p.  33  sgg. 

Locri.  —  L' identilìcaziune  dei  resti  di  un  san- 
tuario scoperto  da  1'.  Orsi  un  poco  al  di  fuori  della 
cerchia  dell'antica  Locri  con  il  santuario  locrcse 
di  Pcrscfonc  ricordato  e  celebrato,  tra  gli  altri,  da 
Ulodoro,  ha  avuta  la  sua  delìnitiva  riprova  nelle 
due  seguenti  iscrizioni  dedicatorie  rinvenute  Ira 
l'ammasso  della  stipe  sacra  del  tempio:  a)  fram- 
mento de!  labbro  di  bacino  marmoreo  con  1'  I.  del 
iv"  set.  a.  C:  -  -  »  'W^i-^im  jvi^f.x:  tJ^  Ajoi  (Not. 
d.  Se.  1909,  p.  :i2l):  h)  cimo  attico  con  l' i.  arcaica: 
i-ip»iii?,i;  ivià'.ii»  Tii  i  '11  (Saggi  di  St.  .-int.  (■ 
d'Are/!,  in  onore  dì  O.  Beloefi,  1910.  p.  167  e  Hidl. 
d'Arte  Ili,  p.  478:  manca  un  disegno^  Ambedue 
sono  rinvvicinatc  all'  (litro  titolo  arcaico  di  sicura 
provenienza  lofresc,  Kaihcl  630,  e  all'altro  atlinc 
Koehl,  Iniiig  '  538  por  II  quale  l'origine  locrcse  non 
è  altrettanto  sicura.  Oltre  a  ciò  l'Orsi  comunica  tuia 
tcrzn  iscrizione  dedicatoria  Incisa  su  d' un  cippo 


rettangolare  su  base  quadrata  proveniente  da  Locri 
e  conservato  al  .Museo  di  Reggio  {Set.  d.  Se.  1919, 
p.  324)  :  TÈI  5:'j\  |  Ò£/.»tt,  |  Kàei-^ito;  prima  metà 
del  sec  v). 

Reggio.  Una  marca  di  mattoni  appartenenti  a 
sepolcri  ellenistici  reca  il  nome  .Mì;ì«uv  lA'of.  d.  Se. 
1909,  p.  314). 

Sicilia 

.Siracusa.  Dal  teatro  greco  di  Siracusa,  in  pros- 
simità della  parete  rocciosa  incavata  di  nicchie  son 
venute  alla  luce  alcune  scodelline  di  terracotta  di 
uso  rituale,  recanti  quasi  tutte  sul  labbro  l' iscr. 
graffila  i:  |  fov  (Not.  d.  scav.  1909,  p.  341).  P.  Orsi 
emette  l'ipotesi,  discutibile,  che  si  debba  leggere 
'lip'jjv  e  che  si  tratti  di  Cerone  11.  Da  scavi  nel- 
l'agorà sono  stali  raccolti  12  bolli  greci  (ibid.  p.  342) 
e  6  iscrizioni  greche  cimiteriali  dalle  catacombe  di 
S.  Giovanni  (ibid.  p.  350  sgg.;  cf.  A'.  Bull,  d'arch. 
crist.Wl  1910,  p.  166).  Un  epitaffio  cristiano  da  Co- 
miso  pubblica  B.  Pace  in  .Miscellanea  .Salinas.  p.  243. 

Licata.  —  Nell'articolo  •  Per  la  storia  e  ia  lo- 
pogra/ia  di  Gela  ■  in  ROm.  .MitteiL  XXV.  I9ri. 
1-26,  L.  Pareti  riesamina  il  lesto  delle  quattro  iscri- 
zioni greche  rinvenute  a  Licata  (Kaibel  25tì-259), 
e  sovratutto  delle  iscrizioni  n.  258-259  credule  a 
torto  dalla  Schubring  e  da  altri  anteriori  all'  anno 
della  distruzione  di  Gela  (a.  282).  Tulio  il  gruppo 
(Kaibel  256-259)  sarebbe  relativamente  tardo  (dal 
1"  sec.  a.  C  In  poi),  e  l'i.  259  sarebbe,  per  non 
poche  evidenti  incongruenze  paleografiche,  addi- 
rittura falsa. 

Sardegna 

Cagliari.  -  Un'  interessante  iscrizione  sepol- 
crale cristiana  è  pubblicata  dal  Taramclll  in  Not. 
d.  Se.  190^»,  p.  IS5  (1"  iscr.  latina  opistografj  è  al- 
Iribuila  dal  V'aglicrI  ai  tempi  di  Citacalla  o  di  Set- 
timio Severo).  Il  testo  dell'  l.  greca  è  stalo  propo- 
sto da  I-.  Malbhcrr 

Dalmazia 

Salona.  La  stclc  del  tachigrafo  Aslcrls  da  Sa 
Iona  {(  ti..  MI  SHW)  i  riprodotta  e  studiala  In  Rhein. 

Mts    l'in     iM    tu-.  2. 

Britannia 

I.c  due  lamincl'c  di  bronto  con   dedica   di  De- 
metrio di    r.itso,  Il   lì 
latco,  soli  ri|nibbllc.ii' 
I.Sli-lìO 


Roma,  fo!>l)i.ilo   1912. 


A.  Mauiki. 


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96 


S'I'OKI  A  •  WIMCllli'  \    NOM  \\H  .  HI)  ■  ]■]']('.]<  \]']\ 


STORIA  E  ANTICHITÀ  ROMANE. 

Ciermani.  Sulle  condizioni  economiche  e  politi- 
che presso  i  Germani  al  tempo  di  C.  Giulio  Ce- 
sare. Studio  di  O.  Th.  Scliulz,  in  klio  XI  |19ir, 
p.  48-82. 

Mura  Scrinane.  L'età  delle  mura  Senna  ne  in 
/?OOTfl.  Articolo  di  P.  Ciraffunder,  il)idcm,  p.  83-123. 

Culto  imperiale.  Hubert  Heincn  studia  la  fon- 
dazione del  culto  imperiale  romano  (48  a.  Cr.  -  a 
D.  14);  I  parte:  il  culto  di  Giulio  Cesare:  II  parte: 
//  culto  di  M.  Antonio  e  di  S.  Pompeo:  III  parte: 
/'/  culto  di  Ottaviano  Augusto  :  IV  parte  :  //  culto 
dei  memhri  della  casa  imperiale:  Livia,  M.  Agrip- 
pa, lulia,  C.  e  L.  Caesar,  Tiberias  l 'laudius  Nero, 
ibidem,  p.  129-177. 

Vopisco.  Studio  di  li.  Hohl  intorno  a  \'opisco  e 
alla  biografia  dell'imperatore  Tacito,  ibidem,  p.  1 78- 
229;  284-324. 

Annali  dei  Pontefici.  Sulla  più  antica  forma 
degli  annali  dei  pontefici  e  sulla  battaglia  del- 
l'Allia  in  relazione  a  cotesti  annali,  studio  di 
K.  E.  Kornemann,  ibidem,  p.  245-257;  3:!6-342. 

Annibale  e  gli  elefanti.  Come  Annibale  abbia 
posto  gli  elefanti  sul  Rodano;  a  questa  dimanda 
risponde  Job.  Pliilippi,  ibidem,  p.  343-354. 

.17.  Aurelio.  Col  titolo  di  ricerche  per  la  stoiia 
dell'imperatore  M.  Aurelio  Autonino,  .\.  v.  Pre- 
merstein  inizia  una  serie  di  studi  relativi  al  regno 
di  cotesto  imperatore;  1.  sulla  guerra  Portico  sotto 
L.  Vero:  I.  il  legato  Saturnino  -  2.  battaglia  sul 
Caucaso  -  3.  //  contingente  della  lega  Lacedemo- 
nica,  ibidem,  p.  3")5-366. 

Conquista  Romana  della  Sabina,  del  Piceno  e 
dell'  Etruria.  Studio  di  Tenney  Frank,  ibidem, 
p.  367-381. 


Macedonia.  .Sul  principio  della  terza  guerra 
Romano-Macedonica.  Studio  di  U.  Kahrstedt,  ibi- 
dem, 415-430. 

Carausio  e  Allecto.  Studio  di  R.  H.  Forster  so- 
pra questi  due  <  usurpatori  dell'Impero  nella  Bri- 
tania  ».  Archaeological  Journal,  XVI  (1911),  1, 
p.  33-43. 

Asdrubale.  Sulla  marcia  di  Asdrubale  nella  bat- 
taglia del  Metauro.  Breve  nota  di  N.  Vulic  in 
Klio  XI  (1911),  p.  ,'584-387. 

Cronologia  romana.  Studi  relativi  alla  cronologia 
romana  di  L.  Holzapfel,  ibid.  XII  (1912),  p.  83-115. 

Scriptores  Historiae  Augustae.  Osservazioni  cri- 
tiche di  A.  Jaekel  sulla  morte  di  /_..  Aelius  Caesar: 
e  sulla  adozione  di  Antonino  l'io,  ibid.,  p.  121-125. 

Valerio  Levinio.  .Studio  di  R.  Pichon  sulla  sto 
ria  di  Valerius  Laevinius  in  Tito  Livio,  XXVl,  22  : 
uomo  di  opposizione  democratica;  uno  dei  primi 
fattori  dell'  imperialismo  romano.  Rev.  des  étud. 
anciennes,  1911,  p.  183-190. 

Spopolamento  della  Gallio.  Le  scoperte  archeo- 
logiche provano  lo  spopolamento  della  Gallia  nel 
m  e  IV  Secolo.  C.  Jullian,  ibidem. 

Augusto.  Nota  di  C.  Pascal  sulla  deificazione  di 
Augusto.  Rendiconti  del  R.  Ist.  Lombardo  di  Scienze 
e  Lettere,   1911,  p.  438-449. 

Mauretania.  Le  lotte  contro  i  .Mauri  al  tempo 
di  Antonino  Pio  sono  studiate  da  Giuseppe  Mesk 
in  Wiener  Eranos,  19  )9,  p.  246-250. 

Erctas.  Erctas  (Heirkte)  è  il  titolo  di  una  breve 
monografia  che  Giovanni  Kromayer  dedica 'ai  luo- 
ghi che  furon  teatro  delle  lotte  avvenute  durante  la 
prima  guerra  Punica,  al  tempo  di  Amilcare  Barca 
che   aveva   fatto    centro    delle    sue    operazioni 


97 


98 


monte  che  in  Diodoro  e  in  Polibio  chiamasi  Izrctos 
dal  vicino  castello  di  queste  nome,  ibidem,  pagg. 
223-245. 

Dacia.  La  tripartizione  della  provincia  Dacica 
studio  di  Antonio  v.  Premerstein,  ibidem,  pagg. 
256-269. 

Qiiaestores  Urbani.  Il  titolo  dei  questori  urbani. 
Nota  di  Stefano  Brassloff,  ibidem,  p.  275-282. 

M.  l'orcio  Catone  e  L.  Valerio  Racco.  Ricerche 
storiche  e  letterarie  sulla  censura  del  184  183  di 
Plinio  Fraccaro,  Studi  storici  per  l'antichità  clas- 
sica, IV,  (1911),  p.  1-139. 

Historiae.  Studio  di  A.  Solari  su  Pistoia  si- 
tuata sulla  via  Cassia  detta  da  Plinio  Pistoiium,  ma 
il  cui  nome  nelle  fonti  epigralìchc  e  conservato 
nell'.iblativo  plurale  Pistoris  che  deriva  evidente- 
mente da  /'istoriae,  ibidem,  p.  140-151. 

Nerone  e  i  Cristiani.  A.  Pirro  torna  sulla  ves- 
sala questione  relativa  a  Tacito,  e  alla  persecuzione 
Ncroniana  dei  Cristiani  sostenendo  che,  nella  se- 
conda metà  del  secolo  iv  o  al  principio  del  v,  una 
mano  cristiana,  spostando  il  brano  di  Tacito  in- 
torno alla  persecuzione  di  Nerone,  l'abbia  colle- 
gato all'  incendio  di  Roma  col  nesso  i\(M' abolendo 
rumori  e  vi  abbl;i  apportato  qualche  modificazione. 
Ibidem,  152-172. 

Triballi.  Studio  di  O.  M.  Coliimba  sui  Triballi 
dell'età  romana:  il  nome  di  questo  popolo  ha  sem- 
plicemente il  valore  di  una  designazione  lopogra- 
lica,  ibidem,  p.  I',)ti-2ii9.  L'articolo  ò  una  continua- 
zione di  quello  pubblicato  dall'A.  sulle  sedi  dei 
Triballi  nello  stesso  periodico,  UllO,  p.  203  e  scg. 


scuola  -  2.  La  soluzione  mista:  religiosa  e  politica: 
Binder  -  3.  Soluzione  politica  :  Niebuhr  e  Mommsen. 
Della  distinzione  fra  i  plebei  e  i  clienti  e  della  pre- 
senza dei  plebei  nelle  curie  -  4.  La  plebe  urbana  e 
la  plebe  rurale.  La  questione  dell'.Aventino.  Ritorno 
alla  teoria  dal  Niebuhr  -  ."».  importanza  e  decadenza 
della  plebe  rurale.  La  questione  delle  nundine.  La 
plebe  urbana  e  la  censura  di  App.  Claudio  -  6.  Ori- 
gine della  plebe  rurale.  La  teoria  di  Ed.  Meyer. 
La  questione  del  connubium.  Conclusioni.  La  so- 
luzione vera  è  quella  del  Niebuhr.  La  plebe  si 
compone  in  sostanza  delle  popolazioni  vinte  e 
incorporate,  dopo  le  prime  conquiste  di  Roma,  nel 
Lazio.  Revue  Historique,  voi.  106  il9ll),  p.  244- 
275;   voi.  107  (1911),  p.  1-42. 

Sen>aggio.  P.  Allard  in  uno  studio  magistrale 
del  quale  annunciammo  il  principio  nel  precedente 
Bullcttino,  esamina  le  origini  del  servaggio  romano 
che  si  distingue  dalla  servitù  personale  e  coesiste 
con  essa  nel  iv  e  v  secolo.  .Al  tempo  delle  inva- 
sioni, le  condizioni  dello  scliiavn  e  del  servo,  di- 
stinte nell'ultimo  stadio  del  diritto  romano,  tendono 
di  nuovo  a  confondersi.  Revue  des  Questions  His- 
toriques,  voL  89  (19II(.  p.  5-22;  385  413;  voi.  9a 
(1911),  p.  28-.->3;  voi.  91  (1912),  p.5-35.  Lo  studio 
non  è  ancora  finito.  Le  due  ultime  parti  riguar 
dano  l'epoca  Merovingia. 

Urilannia.  Sulla  Britannia  romana  e  stalo  di  re- 
cente pubblicato  un  lavoro  di  F.  Sagot  'Paris  1911) 
e  sull'esercito  di  quella  provincia  un  lavoro  di 
L.  Le  Rou.x  (Paris  1911). 

F.pistrategi.  Un  buon  lavoro  sugli  cpislratcgi 
in  I-gitto  nel  periodo  tolemaico  e  nel  periodo  ro- 
mano ha  pubblicato  di  recente  V.  Martin,  (iincvra. 
1911. 


Scipioni.  Ampia   monografia  di    P.  Fraccaro  sui 
processi  degli  Scipioni,  ibidem,  p.  217-414. 


Germani  carpare   custodes.   Ne    tratta    In    una 
breve  comunicazione  M.  Bang,  Kllo,  1911  p.  497-499. 


Rabiri^r  Postumo.  Sulla  pcrsonalilit  storica  del 
cavaliere  romano  C.  Rablrlo  Postumo  accusato  nel- 
l'anno 51  a.  Cr.  di  aver  partecipato  alle  ruberie  del 
proconsole  di  Siria  A.  (ìablnlo  e  difeso  da  Cicerone 
nell'orazione  giunta  lino  a  noi,  scrivo  II.  Dessau,  con 
Ih  consueta  dottrina.  neW'Hermes,  voi.  46  (1911), 
p.  ()I3-(Ì2() 

l'tebr  roimiiiii.  S(U(lio  Kiipoii.inic  ih  1 1.  lilm  li 
sulla  /'/(7>i"  /-omunii,  I.  Soluzione  religiosa:  Vico, 
l''ustel  de  Coulangcs,  Ubcrzlncr,  Ucrnlioll  e  In  sua 


■Sei'irato  e  Viginliviraio.  Studio  di  S.  BrassIoCT 
nel  Wiener  Sludien,  XXXII  (1910),  p.  117-121. 

Ari^,  i.  Sulla  questione   cosi    \ . 
nella  religione  romana,  tratta  N.  B: 
Ibidem,  XXXIII  il9ll).  p.  155-17.'. 

Priscilliiinismo.  A  proposito  del  libro  di  E,  Ch. 

H.ibiil,  Il  Moncciux  li    ' 
scillitnismo.  Journal  .: 
104  113. 


00 


lOO 


Tiisciilantim.  Pubblicaziont  recenti  offrono  occa- 
sione a  R.  Cagnat  di  studiare  il  Tusnilununi  di 
Cicerone,  ibidem,  p.  1  15- 152.  Col  tilol(j  l'usi  iilaiia 
Monsignor  G.  Biasotti  (in  cooperazionc  col  com- 
pianto prof.  O.  Tomassctti),  lia  teste  pubblicato  uno 
studio  interessante  con  molte  belle  illustrazioni  sulle 
memorie  eìvili  e  cristiutie  di  Tiiscolo  e  Frascati 
(Rom.i   HI12). 

Colonato.  Studio  di  G.  B.  Mispoulet  sul  co- 
lonato romano,  a  proposito  dell'opera  recente  di 
M.  Rostowzew  e  già  annunziata  in  questo  Bullet- 
tìno.  Journal  des  Savants,  1911,  p.  2ii3-21l. 

Asse  e  comizi  centuriali.  Ne  tratta  E.  Ca.  aignac, 
ibidem,  p.  247-260. 

Miniere.  V..  Cuq,  Lo  si'iliippo  deU'induslria  mine- 
raria al  tempo  di  Adriano,  ibidem,  p.  294-304-3.56. 

Ostraka.  Una  rarità  epigrafica  sono  gli  ostraka 
latini  di  Cartagine  che  sono  illustrati  da  R.  Cagnat 
e  da  A.  Merlin,  ibidem,  p.  514-523 

Pilnm.  SuW'origine  del  piliim  tratta  A.  Schulten, 
Rh.  .Waseam,  66  (1911),  p.  573-584. 

Tacito  e  i  Germani.  Nota  di  M.  Bang  sull'ori- 
gine del  nome  Germani  in  Tacito,  I  list.  Zeitsclirift, 
Voi.  108  (1911),  p.  351-3"i3. 

Origini  italiche.  Studio  di  R.  v.  Scala  sulle  ori- 
gini della  vita  storica  in  Italia,  ibidem,  108(1911). 
p.  1-37. 

/..  Valerio  Fiacco.  Il  console  suffetto  L.  ì'alerio 
Fiacco  e  la  guerra  mitridatica,  studio  di  Carolina 
Lanzani,  Riv.  di  Filologia,  voi.  39  (191 1  ',  p.  71-37. 

Zama.  Nota  di  L.  Pareti  suWa  battaglia  di  Zama 
e  questioni  connesse.  (Atti  Accad.  di  Torino,  voi.  46 
(1911),  p.  302-327). 

Caecilia  Attica.  11  Oroebe  continua  a  pubblicare 
la  seconda  ed  utilissima  edizione  della  Storia  Ro- 
mana di  W.  Drumann.  È  uscita  da  poco  tempo  la 
prima  parte  del  quinto  volume  che  contiene  la 
storia  dei  Pomponii,  dei  Porcii  e  il  principio  dei 
/■(/////. (Leipzig  1912).  A  pagina91,  n.  91  il  Groebe  fa 
giustamente  osservare  che  la  figlia  di  Pomponio 
Attico  si  chiamava  non  Pomponia  come  scriveva 
il  Drumann  nella  prima  edizione  (Pomponia  chia- 
mavasi  la  sorella  di  Attico),  bensì  Caecilia  Attica. 


Campi  di  battaglia.  Annunziamo  qui  la  prima 
parte  del  terzo  volume  dell'opera  magistrale  di 
.1.  Kromayer  AntiUe  Sclilachtfelder  (Berlin  1912) 
che  contiene  lo  studio  dei  campi  dì  battaglia  della 
prima  guerra  punica  in  Sicilia  e  della  seconda  fino 
al  Mctauro.  Il  volume  di  494  pagine  è  accompa- 
gnato da  IO  carte  fotografiche  e  da  molte  illustra- 


Iramoiito  del  mondo  antico.  La  storia  del  tra- 
monto del  mondo  antico  di  Ottone  Sceck  è  giunta 
al  IV  volume  (Berlin  1911)  che  contiene  la  dinastia 
Costantiniana  e  l' imperatore  (,'ioviano. 

Armenia.  Le  relazioni  politiche  fra  T  impero  ro- 
mano e  P  Armenia  da  Claudio  a  Traiano  (41-113 
d.  C).  Saggio  sulla  politica  orientale  dell'  impero 
romano  di  .\.  Abruzzese  nel  Bessarione,  Vili,  s.  ni 
(1910-11)  p.  389- l:U. 

Scribonio  Canone.  Sulla  elezione  di  C.  Scrl- 
bonio  Curione  al  tribunato  della  plebe  (a.  51  a.  Cr.i. 
Studio  di  R.  Durand  nei  Mélanges  Chatelain, 
p.  557-574. 

.Senato  Romano.  Amtliche  Citate  in  den  Beschlt'is- 
seii  des  ROm.  Senates,  studio  di  V.  Oardthausen, 
ib.  p.  15-25. 

Africa  Romana.  Sull'ellenismo  nell'Africa  ro- 
mana nord-occidentale  o  Africa  minore,  è  stato  di 
recente  pubblicato  un  libro  da  W.  Thieling  (Leip- 
zig 1911). 

Scriptores  Historiae  Augusiae.  .Monografia  di 
Carlo  Hònn  sulle  fonti  della  biografìa  di  Elaga- 
balo  e  di  Severo  Alessandro  nel  Corpus  degli 
Scriptores  Historiae  Augustae  (Leipzig  1911). 

Donatismo.  Studio  sulla  Chiesa  Donatista  nel- 
l'. Africa  Romana  di  P.  Monceaux,  nella  Revue  de 
l'Histoire  des  Religions.  voi.  63  a911)  p.  148-194; 
257-295;  voi.  64  (1911)  p.  21-58. 

Hatria  =  Atri.  Monografia  di  Luigi  Sorricchio 
sulla  storia  antica  di  Hatria  (Roma  1911).  A  pag. 
239,  leggo;  l'impero  (al  tempo  di  Diocleziano  e  di 
Costantino»  •  diviso  in  tredici  diocesi,  fu  governato 
da  quattro  prefetti  del  pretorio  e  dai  prefetti  o  vi- 
carii  di  Roma  e  di  Costantinopoli,  che  avevano 
autorità  generale,  indipendente  dai  preposti  al  pre- 
torio !  !■  A  pag.  289,  dove  l'.A.  compila  un  dizio- 
nario epigrafico    gentilizio  di  Hatria,  leggo:      le 


I02 


gentes  hatrianae  dedurremo  principalmente  dalle 
epigrafi  già  tutte  edite  in  autorevoli  e  purgale  rac- 
colte», fra  le  quali  cita  quella  del  Orutero.  Queste 
due  sole  citazioni  ini  paiono  suflìcicnti  per  mo- 
strare il  metodo  seguito  dall'A.  nelle  sue  ricerche 
e  la  loro  precisione. 

Persecuzioni  contro  i  Cristiani.  Col  titolo  His- 
loire  jiiriciique  des  persécutions  contre  les  Cliré- 
liens,  Léonce  Cczard  ha  pubblicato  (Paris  1911) 
una  buona  monografia  che  tratta  il  difficile  tema 
sa  Nerone  a  Settimio  Severo.  L'A.  sostiene  che  il 
delitto  di  cui  si  rendevano  colpevoli  i  Cristiani  era 
la  perdueltio  :  poiché  confessare  il  nome  di  Cri- 
stiano in  qualche  modo  equivaleva  a  confessare  la 
propria  complicità  coi  nemici  dello  Stato. 

Regioni  stibitrbicarie.  Studio  di  L.  Cantarelli  sulle 
regioni  sttbiirbicarie  che  formavano  il  territorio  am 
ministrato  dal  vicaritis  urbis  Romac  e  sulla  pole- 
mica che  intorno  ad  essa  si  accese  nel  scc.  .wiii 
fra  il  Qotofrcdo,  il  Salmasio  e  il  Sirmond,  nel  volume 
dedicato  a  CtsAUE  B,\Rr)Nio  (Roma  191 1)  p.  47.J-I87. 

Regione  .Sorana.  Ricerche  di  S.  Aurigcmma  sulla 
configurazione  stradale  della  regione  Sorana  nel- 
l'epoca romana,  ibid,  p.    l'JI-ólli. 

Di  dove  era  l' Arpinate ?  SuWìì  disputa  accesa  fra 
Sora  ed  Arpino  rispetto  al  luogo  ove  nacque  Ci- 
cerone, scritto  di  r.  d'Cìvidio,  ib.  p.  61Ó-635. 

Termantia.  Studio  di  A.  Schulten  sopra  Termanlia, 
ima  città  del  Ccltiberi,  iV.  /nlirh.  fiir  l\.  Alt.  1911, 
p.  •259-27ti. 

Magn.i  Maler  nelle  iscrizioni  Ialine.  Studio  di 
A.  v.  Domaszevvski  in  Tlic  Journal  of  Roman 
Studies,  1911,  p.  "in.-,t; 

Sacer  II  signilicilii  i)rij;ifi.ilc  ilcll.i  parola  sacer, 
sludlo  di  W.  lardcr  l'owler,  ih.  p.  .i7-6.{. 

his  l'ublicum.  Sopra  alcune  i/ueslioni  di  diritto 
pubblico  romano,  studio  di  J.  .1.  Keld,  ib.  p.  tìH OJI. 

Annibale.  Contributi  per   la   storia   della   giù. 
.uHilb.illca  di  luigi  Pareli,  Riv.  di  l'ilologia.  I9IJ. 

|t    .'tr-t'i  1   (in   i'iiiitii)ii-i/ii>iii-l 

l  (Hill,  sMii  '  i|iu;>|H  Ululo  r.iiiiinciitl.iniii  le  se- 
guenti pubblic.i/.loni  :  1.  Il  lcr/.4>  volinnc  dcllu 
I  inleitung  in   die  Alterluinswinsenuchii/I  (l.rlp/ig 


1912)  che  contiene  la  storia  romana  fino  alla 
fine  della  repubblica  di  Giulio  Bcloch:  l'impero 
romano  di  Ernesto  Kornemann  ;  e  le  antichità  pub- 
bliche romane  di  C  I.  Neumann  -  2.  Sumbolae  Ulte- 
rariae  in  honorem  lulii  De  Petra  (Ncapoli  191 1  che 
contengono  fra  le  altre  uno  scritto  Ji  Ch.  Huclsen, 
Satura  l'ompeiana  Romana  e  una  nota  di  R.  Ca- 
gnat  sopra  il  procuratore  di  Numldla,  L.  Titinius 
Clodianus  -  3.  Oli  scritti  minori  di  E.  Meyer  (Halle 
1910)  fra  i  quali  quello  suW origine  del  tribunato 
e  i  comuni  delle  quattro  tribii  :  le  ricerche  per  la 
storia  dei  (ìracchi:  e  l' imperatori  Augusto  -  l.  Le 
memorie  pubblicate  in  occasione  del  giubileo  della 
Università  di  Ginevra  (l^KKM.  fra  cui:  I.  Pariseli. 
dell'editto  .«(//ralienatio  iudicii  mulandi  causa  facla; 
Cli.  SeitE,  lo  storico  Niebuhr  cittadino  di  lìinevra. 

EPIGRAFIA  ROiMANA 

Iscrizioni  Ferentine.  Negli  scavi  intrapresi  dalla 
Società  Archeologica  prò  l-'erenlo  »  sono  torn.ili  in 
luce  tre  importami  iscrizioni,  luna  relativa  all'impe- 
ratore Marco  Salvio  Otonc  nativo  di  quella  città,  un 
altra  che  ricorda  diverse  opere  pubbliche  eseguite 
in  l'ercnto  al  principio  dell'impero  e  precisamente, 
fra  gli  anni  D.  12-17  a  spese  d'un  Sesto  Ortensio 
e  una  terza  relativa  ad  un  I..  Gallo  che  occupò 
varie  cariche  pubbliche  fra  cui  quella  di  /tpiafslorf 
provinciae  Siciliae  i  E.  Galli,  Notule  degli  Scavi, 
1911,  p.  22-.}5!. 

Iscrizioni  Ostiensi.  Negli  scavi  recenti  di  OsH« 
diretti  con  tanta  cura  da  D-  \'aglieri,  tornarono  in 
luce:  una  tabula  defi.\ionis,  nella  quale  si  ricordano 
donne  schiave,  e  tutte  eccetto  una,  omalricrs. 
(ibidem,  p.  S7i:  e  un  cippo  marmoreo  con  l'iscri- 
zione relativa  a  un  beneficiarius  pr/iieircti/  coh.  UH 
vig(ilum),  (ih.,  p.  20*t). 

epigrafe  di  Pignalaro  Intrramma.  Tra  le  iscri- 
zioni l.tline  inedite  di  1'  m  pio- 
vliicia  di  C.'iserta  che  S  i  nollc 
Notizie  degli  Scavi,  191 1,  p.  Ili  e  scg..  e  notevole 
quella  in  cui  si  fa  menzione  di  sci  .Uagi.'itri  la- 
rum,  e  tulli  di  condizione  servile. 

•  iraffili  l\iinpeitmi.  Negli  scavi  cscRiiKt  \n  Pom^ 
pel.  nella  cas.i  dctu  «  del  Conte  di  1 

narono  In  luce   alcuni  grallltl   I  quali  , — :..    :i<> 

di  stabilire  che  la  cau  apparteneva  a  M.  OIkIIIo 

l''lrmo  e  al  p.i  '  i.i 

noli  pei  altri  V 
Della  Corte,  il*,  p 


Anumiit      Anno  VI 


103 


104 


CV/v'o  marmoreo  ili  Gemano  di  Noiiin.  In  Ckn- 
ziiiio  fu  scoperto  un  cippo  innrmoreo  sepolcnilc  con 
inscrizione  relativa  ad  un  sodalis  et  quiruìlitennalisl 
iuveimm  colleg/ij  Maritisi  saliitlaris/  ed  anche 
(liiiiui/iiennnlis/  colk'f^i  lolorum  tiemorensitim  di 
Ariciii.  Questi  lotores  erano  addetti  ai  bagni  pub- 
blici annessi  al  santuario  di  Diana  ncmorense  e 
la  voce  che  li  designa  è  equivalente  a  Jullones. 
(U.  Mancini,  iln  p-  265-26(ì). 

Cippo  marmoreo  di  Roma.  Si  è  rinvenuto  in 
Roma  un  cippo  marmoreo  con  iscrizione  di  un 
Primiis  servo  di  /Umilia  Clementina  clic  dedica 
forse  una  statua  al  genio  santo  di  una  località 
designata  con  le  sigle  H.  S.,  probabilmente  gli 
liorrea  Seiana,  per  ordine  avutone  (iiissuj,  si  può 
supporre,  in  sogno.  (G.  Mancini,  ib.  p317). 

Iscrizione  Pompeiana.  Nota  di  G.  Oliverio  sopra 
una  iscrizione  graflìta  pompeiana  (C.  IV.  6892).  — 
Riv.  di  niot.  (1911),  p.  38.5-389. 

Iscrizione  di  Terracina.  In  Terracina  è  tornata 
in  luce  una  base  di  statua  con  iscrizione  relativa 
ad  Avianiiis  Vindicianiis,  v.  e.  cons(ularis)  Cam- 
pianiaei  ncll'a.  D.  378.  (G.  Mancini,  ib.  p.  326). 

Iscrizioni  di  Trieste.  |-'ra  le  recenti  scoperte  di 
antichità  avvenute  in  Trieste  e  nel  suo  territorio 
ricorderemo  l' iscrizione  di  Sesto  Vibio  Cordo  mi- 
les  coliortis  tertiae  practoriae:  tre  conche  vntive 
(labeìln)  con  la  menzione  della  A'ona  Dea:  una 
iscrizione  arcaica  relativa  a  una  costruzione  ese- 
guita da  due  magistrati  municipali;  un  elmo  con 
iscrizioni  incise  a  punzone  sulla  sua  gronda  (P. 
Sticotti,  /1/'c//<?t)4'/'rt/o  Triestino  s.  Ili,  VI  191 1|, 
p.   171-223). 

Iscrizione  di  Dongga.  Una  singolare  iscrizione 
è  stata  rinvenuta  di  recente  in  Dougga  (Tunisia), 
incisa  fra  l'a.  D.  167-163  e  relativa  alla  concessione 
del  ius  legatorum  capiendorum  al  pagus  Thuggensis 
(L.  Poinssot,  C.  R.Acad.  dcs  Ins.,  191 1,  p.  196-503). 

Iscrizione  di  I lencliir-Tecliga.  Piedestallo  con 
iscrizione  relativa  all'imperatrice  Sabinia  Tranquil- 
lina, moglie  dell'imperatore  AI.  Antonius  (jordiamis 
dedicato  dal  Mnnicipinm  Aìlinm  Tliizica  (A.  Merlin, 
TUdl.  Ardì,  du  Comité  des  Travau.\-  Historiqnes, 
1910,  p.  crxxvii  e  seg.). 


conosciuta;  il  nome  Polenliiis  si  trova  menzionato 
nel  mosaico  dcdicatorio  delia  basìlica  di  S.  Salsa  in 
Tipasa  nella  Mauretania  (  (  orp,  Inscr.  I.at.  R,  2'J9I •) i  ; 
forrie  è  lo  stesso  Potenzio  che  il  papa  S.  Leone 
.Magno  incaricò  di  una  inchiesta  disciplinare  nella 
Mauretania  circa  l'a.  '116  (Dclallrc  e  Monccaux, 
liuti,  des  Ant.  />.   1910  p.   1^2). 

Iscrizione  mitriaca  di  Palaeopoli  nell'isola  An- 
dros  (Cicladi).  Iscrizione  dedicata  al  principio  del 
l'anno  D.  202  al  ritorno  della  spedizione  di  Settimo 
Severo  contro  i  Parli  da  .U.  Anrelius  Rufinus  evo- 
catus,  il  quale  sancto  deo  invicto  speleiim  consti- 
luit  cum  militihus  praetorianis  (Ih.  Sauciuc,  A\itt. 
Ardi.  Inst.  Roeni.  abt.  1910,  p.  l'oì-in. 

Iscrizione  di  Dougga.  L.  Poinssot,  il  valoroso 
epigralìsta  francese,  continua  a  pubblicare  nel  Non- 
velles  Ardiives  des  .Wissions,  XVIII  (  I9KM  p.  83174, 
le  iscrizioni  di  Dougga  da  lui  incominciate  a  racco- 
gliere nel  volume  Xill  dello  stesso  periodico.  Sono 
97  iscrizioni  pubbliche  e  11  cristiane.  Fra  queste 
ricorderemo  :  la  prima  di  L.  Iiilius  Crassus  tribiiniis 
militum  legionis  XXI  Rapacis  in  Germania  al 
tempo  di  Tiberio  o  di  Caligola  (?),  e  l'altra  di  Anlus 
Vitellius  Honoratiis,  che  menziona  l' interessante 
cursus  honorum  di  questo  (lersonaggio  vissuto  al 
tempo  dell'  imperatore  Gallieno. 

Iscrizione  di  Sasamón  tBurgos).  Iscrizione  se- 
polcrale di  .Scriboniiis  T'iiscinus  Sueslatiensis  e 
di  Aemilia  AVa^terna  Sueslatiensis,  interessante 
per  l' aggettivo  Snestatiensis  che  per  la  prima 
volta  si  incontra  nella  epigralia  iberica,  sebbene  la 
città  di  Siiestatiiim  fosse  nota  dalle  fonti  gco- 
gralìche.  ^V..  Albertini,  C.  R.  Acad.  Iscr.,  1911, 
p.  402-406). 

Diploma  militare  dell'  imperatore  Alassimino  il 
Trace.  Nella  Bulgaria  è  stato  rinvenuto  di  recente 
un  diploma  militare  che  sarà  collocato  nel  musco 
nazionale  di  Solìa.  È  il  primo  che  finora  si  co- 
nosca dell'imperatore  Massimino  e  deve  ascriversi 
all'a.  D.  237.  Ci  rivela  il  prenome  finora  ignoto  di 
uno  dei  consoli  di  quell'anno;  /,.  Alarius  Perpe- 
tuus.  11  milite  a  cui  il  diploma  venne  rilasciato 
chiamavasi  Al.  Aurelius  Aìucatralis  filius  Zerula  ed 
era  oriundo  di  Ulpia  Serdica  ex  Thracia  :  apparte- 
neva agli  equites  singulares.  (V.  Dobrusky,  Osterr. 
alireshefte  XIV  (1911)  p.   130-1:!4). 


Disco  di  terracotta  di  Cartagine.  Porta   questa  Iscrizione  della  Tunisia.  Iscrizione  sepolcrale  di 

iscrizione;  De  Dei  (donisi  Polentiiis.  La  formula  è      un  personaggio    oriundo  di  Tonini    Flaminu    nel- 


loO 


r  Umbria  e  morto    in    Carlngine   (A.  Merlin,  Bull.      DieliI 
Archéologiqtie,   1911,  p.  X\'lj.  pidc). 


relativa    all'  importanza    storica    della    la- 


Iscrizione  di  Timgad.  Iscrizione  del  tempo  del- 
l' imperatore  (Giustiniano  e  relativa  alla  civitas 
Tamofitidensis  edificata  a  fundamiiitis  proi'i- 
di'ntia  viri  excellentissimi  Solomonis  iniigistri  iiii- 
lititm  ex  console  ac  pallidi ..  et  per  Africa  (sic} 
pnfecti.  (Ballii,  ibidem,   p.  VII,  con  una  nota  del 


Iscrizioni  di  Djemilali.  La  prima  è  relativa  a 
Q.  l'ianius  Sardiis  Amhibulus  console  nell'a.  IJ6; 
la  seconda  si  riferisce  a  /,.  Alfenus  Senecio  pro- 
curatore della  Belgica  (R,  Cagnat,  bull.  Ant.  /•>.. 
1911,  p.  118-r.M). 

LUIGI  CANTARbLLI. 


107 


loK 


Kl-Cl-\s|(  )M 


Ai..    I:)i;m  a    Si;r.\,    lielifiionr  rd   aitr   Jiiiiircild. 
Roiii.i,  Dniicsi,   1^12. 

Nello  studiar  la  genesi  delle  forme  artistiche,  e 
l'impulso  clic  queste  ricevono  verso  un  apice  di 
granc'ez/.a  estetica,  si  è  pur  sentito  dagli  antichi  e 
provato  dai  moderni  un  sentimento  fondamentale, 
tiucllo  che  ha  animato  l'arte,  lincilo  non  è  soprag- 
giiinto  gelido  il  materialismo  dei  nostri  tempi.  Tale 
genio  ispiratore  dell'arte  è  senza  dul)l)io  il  sofllo 
potente  dello  spirito  religioso,  sicché  oggi  si  è  po- 
tuta formulare  la  legge  che  l'arte,  in  origine  al- 
meno, non  è  che  una  manifestazione  del  rito  reli- 
gioso d'un  popolo. 

Ammesso  ormai  quasi  da  tutti  questo  principio, 
sorge  la  necessità  di  dimostrare  nei  singoli  casi 
come  il  linguaggio  estetico,  cioè  i  motivi  artistici 
e  lo  stile  dipendano  dai  principii  religiosi,  e  come 
in  armonia  colle  forme  dì  sentimento  si  esplichino 
le  forme  materiali  dell'arte. 

Questo  concetto  che  ai  nostri  giorni  gode  di 
gran  favore  specialmente  per  gli  studi  ravvicinan- 
tisi  de'  paletnologi  e  de'  mitologi,  è  il  fulcro  della 
teoria  sviluppata  dal  Della  Seta  in  questo  bel  libro, 
ricco  di  erudizione  e  piacevole  alla  lettura,  adeguata 
anche  alle  menti  colte,  non  spécialiste  in  materia. 

Egli  parte  dall'esame  dell'arte  de'  popoli  primi- 
tivi e  degli  aflìni  incolti  moderni,  poggiandosi  sopra 
un  postulato  che  specialmente  per  opera  del  Reinach, 
ha  trovato  larga  applicazione  nello  studio  de'  culti 
antichi:  l'arte  in  origine  non  è  clie  una  forma  di  magia. 

1  concetti  religiosi  primitivi  si  esplicano  nella 
forma  dell'animismo  o  del  totemismo,  e  questi  in- 
formano ogni  manifestazione  dello  spirito  ;  il  carat- 
tere dell'arte  trova  riscontro  nella  letteratura,  nella 
musica  e  nella  danza.  1  principii  informatori  della 
religione  e  dell'arte  primitiva  lasciano  tracce  e  lunghe 
sopravvivenze  presso  i  popoli  antichi  anche  più 
civili  ;  ma  i  popoli  che  sono  privi  di  senso  storico, 
rimangono  come  cristallizzati  a  un  certo  punto  del 
loro  sviluppo.  Cosi  gli  ligizii.  Un  primo  tentativo 
di  uscire  dalla  cerchia  tirannica  del  pensiero  ma- 
gico è  dato  dal  monoteismo  ebraico. 


La  civiltà  micenea  e  uno  sprazzo  di  luce  in  mezzo 
ad  un  mondo  morto,  e  solo  più  tardi,  nella  civiltà 
greca,  ritorna  il  sentimento  libero,  dell'arte  indi- 
pendente dalla  religione. 

L'A.  spiega  la  profonda  differenza  clic  c'è  tra  il 
carattere  dell'arte  egea  e  quello  dell' arte  arcaica 
greca  con  l'abisso  che  separa  le  due  religioni,  quale 
si  manifesta  principalmente  nell'antropomorfismo,  ed 
ha  forse  radice  in  diversità  etniche. 

Coir  arte  ctrusca  si  ritorna  ai  concetti  primitivi 
dell'arte  selvaggia  ed  orientale.  L'arte  etrusca  manca 
di  unità  di  sviluppo,  e  deriva  dalla  greca  con  par- 
ticolare spirito  locale.  Si  volge  però  principalmente 
allo  scopo  funerario  in  conformità  delle  idee  reli- 
giose sviluppate  presso  quel  popolo.  Poi  Roma 
compie  la  mirabile  fusione  delle  civiltà  italica  e 
greca,  e  tende  verso  il  concetto  storico  dell'arte,  in 
un  grado  non  mai  raggiunto  prima. 

La  teoria  è  esaminata  anche  in  regioni  più  lon- 
tane, presso  popoli  che  han  potuto  sentire  l'in- 
lluenza  della  civiltà  mediterranea.  L'arte  buddistica 
deriva  dalla  greca  ellenistica,  ma  si  anima  di  di- 
verso spirito,  è  un'arte  simbolica,  e  solo  più  tardi 
diventa  iconolatrica. 

Tutto  converge  poi  verso  lo  spirito  dei  tempi 
nuovi  :  la  grande  riforma  apportata  nel  sentimento 
religioso  dal  cristianesimo,  doveva  modificare  so- 
stanzialmente l'essenza  dell'arte.  E  l'arte  cristiana 
ha  veramente  raggiunto  il  culmine  della  perfezione, 
perchè  la  religione  ha  trasformato  i  principii  del- 
l'arte. L'arte  storica  romana,  divenuta  didattica,  ge- 
nera il  carattere  narrativo  della  stessa  e  riprendendo 
le  mosse  dal  tentativo  giudaico,  tende  verso  un 
sublime  spiritualismo. 

Ed  a  proposito  dell'arte  cristiana  giova  richia- 
mare, per  ben  riferire  il  concetto  dell'Autore,  le 
parole  con  le  quali  il  Della  Seta  chiude  il  capitolo 
sull'arte  israelitica. 

«  Monoteismo  adunque,  divieto  d'immagine,  nessuna  preoccu- 
«  pazione  dell'olire  tomba,  mancanza  del  senso  magico,  ecco  ciò 
«  elle  la  civilLi  ebraica  deve  a  particolari  condizioni  politiche,  ed 
«  ecco  ciò  che  essa  per  particolari  condizioni  politiche  ha  tena- 
«  cementi  conservato.  Ala  il  monoteismo  ebraico  aveva  Imito  per 
«  sollevare  il  dio  troppo  al  disopra  della   terra,    per  allonunarlo 


log 


«  Irnppo  Jac'i   uomini,   Perciù  esso,  pur  riuscenio  a  fare   Indl- 

<  vidualmcnte  proseliti  in  mellito  alle  comunità  ririentali  j^reche  e 

<  romane,  non  fu  capace  Ji  uscire  dalla  cerchia  del  suo  popcilo. 
■*  Spellava  alla  religione  cris.iana,  che  sul  tronco  del  monoteismo 
«  ebraico  innestò  la   vigorasa    cemma   della   concezione   umana 

<  propria  delle  relicioni  classiche,  o  se  si  vuole  che  sull'  umane- 
«  Simo  di  ()uesic  reli(;ioni  innestò  il  monoteismo  ebraico,  spellava 
u  alta  religione  cristiana  che  dall'altezza  del  cielo,  richiamò  il  dio 
«  in  terra,  e  che  iiuesto  dio  rappresentò  per  mezzo  dell"  arte,  di 
«  tar  compiere  al  monoteismo  <|ucl  cammino  che  t?ss<t  non  aveva 
«  |i4ituto  fare  con  la  relif^ìone  ebraica  ». 

Lo  sguardo  sintetico  dclf.Vutore  penetra  con 
acume  nell'essenza  di  ciascuna  arte  in  rapporto  con 
tutta  la  civiltà  d'un  determinato  popolo.  Il  lavoro 
è  frutto  di  grandi  studi  clic  sono  giudiziosamente 
tenuti  nascosti,  sicché  la  teoria  ne  balza  fuori  lim- 
pida e  sicura  di  sé,  allctlalricc  per  la  forma,  ma 
pili  ancora  per  la  apparente  evidenza  del  concetti. 
Tuttavia  ripensando  con  calma  e,  direi  quasi,  dige- 
rendo tutta  la  teoria  svolta  dal  Della  Seta,  non  si 
pili)  fare  a  meno  di  sentirsi  sorgere  nell'animo  il 
dubbio,  che  l'abilità  dello  scrittore  non  abbia  talvolta 
forzato  preconcetti  sulla  traccia  del  suo  sistema. 

Non  si  può  disconoscere  infatti,  che  talvolta  il 
nostro  modo  di  vedere  si  ribella  agli  assiomi,  veri 
forse  nel  caso  di  popoli  selvaggi  i>  primitivi,  applicati 
a  grandidsc,  sublimi  concezioni  dell'esletica  classica. 

C'è  insomma  una  uniformità  di  vedute,  una  uni- 
lateralità e  generalizzazione  di  teoria. 

Cosi  pure  talvolta,  come  nell'esame  dell'arte  egi- 
zia, ci  appare  un  po'  troppo  uniforme  il  modo  di 
concepirla,  od  i  mezzi  di  un'arte  ci  sembrano  spro- 
porzionati per  lo  scopo  clic  secondo  l'autore  l'arte 
avrebbe  dovuto  raggiungere.  Ne  si  put')  dimenti- 
care, che  nello  spirilo  umano  l'arte  è  spesso  un  fe- 
nomeno psichico    spontaneo    e  fine    a    sé    stessa 

Ma  con  tutto  ciò  e  con  molte  altre  osservazioni 
die  si  potrebbero  fare  scendendo  a  particolari,  se 
la  materia  cosi  condensala  permettesse  una  espo- 
sizione sommaria,  non  voglio  diminuire  II  pregio 
ilei  libro,  il  quale  se  offre  adito  a  molte  discus- 
sioni, è  senza  dubbio  perchè  raccoglie  ed  clat)ora 
In  un  idi)  sintetico  un  vasto  complesso  di  fatti  che 
lliior.i  sono  stali  considerati  troppo  unilateralmente 
e  (lisordinalamenle. 

LUCIO  MAKIANI. 

ri;Tr\//nNi  KaitmìiIv,  /.h  rrlii;iorir  pn'mitii'ii  in 
Santi'i;i>ii  l'Incen/a,  Società  l:dltricc  l'unlrcmo- 
Icse,  li»  12. 

Il  chiaro  niitorc  dopo  aver  esposto  nella  prefa- 
zione le  ragioni  varie  che  impedirono  lino  ad  ora 
o  per  lo  meno  rlt.irilarono  In  It.illa  l'intcìcssaincnlo 
allo  studio  dello  religioni  inleso  nel  suo  più  ampio 


signincato,  conclude  augurando  -  che  l'Italia  vc- 
«  nendo  per  ultima  a  dare  il  suo  contributo  alla 
•'  scienza  delle  religioni,  abbia  a  portare'!  qucll'equi- 

<  librio  di  pensiero,  quel  contemperamento  di  ana- 

<  lisi  e  di  sintesi,  di  critica  e  di  speculazione,  che 
«  sembra  esser  proprio  del  suo  genio  etnico,  e  che 
«  fu  già  suo  vanto  negli  altri  campi  del   sapere  >. 

Chiudendo  il  libro,  e  ripensando  ad  altri  pochi 
ma  buoni  studi  recentemente  pubblicati  da  italiani, 
mi  son  detto  che  l'augurio  si  colora  di  speranza. 
Nel  nostro  A.  appunto  le  belle  doti  italiane  di  saggio 
equilibrio  e  di  lucidus  orda  sono  le  caratterisiichc, 
e  con  assai  lieta  promessa  si  congiungonu  a  una 
solida  cultura  litologica,  archeologica,  e  ciò  che  più 
monta  ed  è  più  raro,  etnologica. 

Le  feracissime  campagne  di  scavo  condotte  in 
Sardegna  dalla  instancabile  attività  di  Antonio  Ta- 
ramelli  hanno  in  pochi  anni  rivelato  importanti  no- 
vità sull'antichissima  religione  dei  Sardi,  e  già  prima 
del  l'ettazzoni  il  direttore  del  Museo  di  Firenze, 
Luigi  Milani,  aveva  sottoposto  alle  dotte  sue  inda- 
gini i  nuovi  fatti.  Ma  mentre  il  Milani  volge  deci- 
samente all'Oriente  la  sua  attenzione,  e  attraverso 
l'Iigco  e  la  Lidia  patria  degli  Etruschi  ricollega  con- 
cetti e  monumenti  della  religione  preistorica  sarda 
a  concetti  e  monumenti  delle  religioni  sumcrìchc 
e  babilonesi,  il  Pettazzoni  respinto  senz'altro  ogni 
legame  col  più  lontano  Oriente,  e  non  oltrepas- 
sando nella  ricerca  di  analogie  l'isola  di  Creta, 
scruta  il  problema  piuttosto  entro  l'arca  segnata 
come  uniforme  dall'antropologia,  dalla  preistoria  e 
dalla  etnogralìa  comparata,  ossia  nel  .Mediterraneo 
Occidentale  e  nell'Africa  Settentrionale.  Nozioni 
sulla  antichissima  religione  sarda  noi  abbiamo  da 
pochi  testi,  da  alcuni  monumenti  (tomt>c  dei  gi- 
ganti e  tempio  nuragico  della  tìiara  di  Serri)  da 
un  certo  numero  di  ligurinc  di  bronzo  e  da  monete 
romane  della  gens  Alia  che  recano  rcflìgic  del 
SartUis  Pater.  I  testi  ci  parlano  di  Incubazione 
presso  le  tombe  dei  morti,  di  pratiche  di  giudizi 
ordalici  mediante  l'acqua;  le  to'  'i  ci 

presentano  |  sepolcri  degli    avi  so  I 

quali  avevano  luogo  le  cerimonie  culturali  compresa 
quella  dell'Incubazione,  il  tempio  della  lìlara  di 
Serri,  e  gli  altri  di  cui  si  può  sos|>etlatc  resistenza 
ci  mostrano  1'  ali  usi 

religiosi.  l,Hianti>  udc 

che  esse  possano  rappresentare  ligure  divine.  Nò  si 
lascia  distogliere  dn  questa  opinione  pel  latto,  che 
alcune  di  esse  hanno  quattro  occhi  e  quattro  buccia 
Non  S"' 
altre  tu 
perfettamente  normali   quanto  al  numero  dei  loto 


iirK;iiii,  e  devono  perciò  rappresentare  degli  uomini. 
Ora  a  me  pare  clic  un  (ale  ragionamento  polrcl)l)e 
condurre  a  negare  (pialunquc  rnpprcsenia/.ione  di- 
vina in  ogni  arte  ispirata  a  un  concetto  antropo- 
uiorlico  della  diviniti.  Ma  non  solo;  il  l^cllazzoni 
respinge  anche  la  teoria  più  conciliativa  del  Pais, 
clic  vedeva  in  quelle  ligurine  esseri  partecipi  della 
natura  divina  e  della  umana,  cioè  gli  avi  eroizzati. 
l'el  Petlazzoni  esse  sono  ligure  ipcrantropiclic  con- 
nesse con  l'ordalia  delle  acque  ;  per  essa  i  sospetti 
di  furto  debbono  ])ortare  agli  occhi  l'acqua  sacra, 
e  resteranno  ciechi  se  veramente  rei,  vedranno 
meglio,  se  innocenti.  Le  slatuinc  a  quattro  occhi 
sono  coloro  che  vedono  meglio,  sono  i  ladri  assolti. 
.Ma  se  la  spiegazione  può  sembrare  poco  esauriente 
per  i  quattro  occhi,  meno  che  mai  lo  diviene  per  le 
quattro  braccia. 

Sgombrato  cosi  il  terreno  da  molteplici  ligure  di 
divinità,  resta  ad  occuparlo  non  primiis  inter  pares 
ma  unico  il  Sardiis  Pater,  V  essere  supremo,  il 
padre  e  il  demiurgo,  uguale  a  Sardos  primo  mitico 
duce  di  coloni  libi  nell'isola,  parallelo  a  lolaos 
l'eroe  che  avrebbe  condotto  i  coloni  greci.  Cosi  la 
religione  protosarda  sarebbe  andata  dal  culto  dei 
morti  e  dall'animismo  verso  una  certa  forma  di 
monoteismo,  cosi  come  si  può  osservare  in  molte 
delle  attuali  religioni  africane  V.  all'Africa  setten- 
trionale e  occidentale  ci  richiamano  molte  altre  cose 
in  Sardegna,  i  riti  funebri,  le  forme  dei  sepolcri, 
il  culto  dei  morii  con  l'uso  dell'incubazione,  il 
culto  delle  acque  con  la  pratica  dell'ordalia,  l'uso 
di  uccidere  i  vecchi.  A  proposito  di  questo  ultimo 
costume.  l'A.  propone  una  ingegnosa  spiegazione 
del  ^apòivto;  YiXto:.  Raccontano  alcuni  autori  an- 
tichi derivando  la  notizia  da  Timeo,  che  in  Sar- 
degna i  vecchi  che  avevano  passato  i  settanta  anni 
erano  uccisi  a  colpi  di  bastone  dai  loro  figli,  e  che 
In  crudele  impresa  si  compiva  tra  risa  feroci  degli 
assistenti  e  degli  assassini.  La  notizia  è  credibile, 
perchè  usi  identici  sono  attestati  anche  per  altre 
popolazioni.  Quel  riso  inumano  sarebbe  stato  il 
dato  etnografico  base  dell'appellativo  riso  sardonico. 
Cosi  ricco  di  dotti  confronti,  di  ingegnose  indu- 
zioni, di  nuove  vedute  poggiate  sempre  su  larghi 
confronti  il  libro  del  Pettazzoni  per  quanto  possa 
offrirsi  a  discussioni,  è  ora  e  sarà  per  lungo  tempo 
il  saggio  più  completo  di  quanto  possa  dirsi  sul- 
l'antichissima religione  sarda  e  ad  un  tempo  il 
più  nobile  tentativo  di  muovere  col  sussidio  dei 
|)ochi  fatti  archeologici,  dei  testi  insufficienti,  e  del 
materiale  di  confronto  etnogralìco  alla  conquista  di 
una  integrazione  sintetica  del  pensiero  religioso 
del  più  misterioso  tra  i  popoli  italici  primitivi. 


Koufrt  (!\Rf.,  Dir  Mnsi-pii  dcr  iteiicren  altischen 
KomoecUi-.  Halle,  r.Ml. 

Un  libro  veramente  Indovinato  questo  del  Robert; 
interessante  e  simpatico  il  tema,  degno  della  fama 
dell'autore  lo  svolgimento  elegante  e  c-mplcto. 
Polluce  enumera  una  buona  serie  di  personaggi 
nella  nuova  commedia  attica,  e  dà  oltre  che  il  loro 
nome  di  palcoscenico  le  rispettive  caraneristiche 
fisiche  e  morali.  Le  illustrazioni  di  alcuni  preziosi 
codici  di  antiche  commedie  specialmente  di  Te- 
renzio, illustrazioni  che  rimontano  ad  archetipi  al 
più  tardi  del  primo  impero,  ci  presentano  serie  di 
maschere  coi  rispettivi  nomi  vicini,  e  scene  di  com- 
medie con  personaggi  mascherati.  Di  fronte  a  questi 
preziosi  documenti  era  finora  una  massa  amorfa  di 
maschere  di  marmo  e  di  terracotta,  di  statuine  in 
terracotta  e  in  bronzo,  di  pitture,  di  mosaici,  per 
le  quali  era  molto  se  gli  editori  rispettivi  dicevano 
niaschera  maschile' o  femminile,  comica  o  tragica. 
L'accurata  indagine  del  Robert  condotta  su  ricco 
materiale  permette  ora  di  dare  il  proprio  nome  a 
parecchie  di  tali  figure.  Riconosciamo  cosi  l'rvsjii'.iv 
biyJL-M-i  il  cuoco  TiTTi5  il   parassita  e  il  zòÀi;  la 

'I/:jòo/.óprj,   r:Ta'.;'.ò'.'<v.    la   -ayst»  Yp55:  etc. 

La  ricca  conoscenza  del  materiale  e  l'acutezza 
del  Robert  rendono  sicuri  questi  riconosLÌmenti. 
Resta  a  sperare,  che  ulteriori  pubblicazioni  delle 
molte  figurine  che  sono  tuttora  inedite  in  tanti 
musei  e  magazzini  di  musei,  ad  esempio  una  mi- 
gliore conoscenza  della  ricca  collezione  antiquaria 
che  fa  parte  del  nuovo  Museo  Teatrale  della  Scala 
a  Milano,  possano  permettere  al  chiaro  autore  un 
volume  di  supplemento. 


The  Cornell  r.xpedition  to  Asia  Minor  and  the 
Assyra-Babylonian  Orient.  voi.  I.  part.  II.  The 
Hittite  Inscriptions  by  A.  T.  Oi.Msrn.xD,  B.  B. 
CiiAKi.Es,  J.  K.  Wrf.xcii.  New-York,  1911. 

Dei  risultati  ottenuti  da  un.i  missione  scientifica 
americana  organizzata  dalla  liberalità  di  ricchi  si- 
gnori si  è  voluto  far  precedere  la  pubblicazione 
delle  iscrizioni  hittite  che  a  detta  degli  esplora- 
tori costituiscono  il  più  pregevole  materiale  ripor- 
tato. Non  tutte  le  iscrizioni  pubbhcate  sono  nuove, 
ma  la  nuova  revisione  non  è  stata  inutile.  Infatti 
la  diligenza  dei  dotti  americani,  la  cura  avuta  per 
ottenere  ottimi  calchi  e  ottime  fotografie,  la  bontà 
delle  riproduzioni  permettono  letture  più  complete 
e  più  certe  di  quelle  fatte  finora.  Specialmente  no- 
tevoli sono  i  risultati  ottenuti  per  la  iscrizione  di 


"3 


"4 


Nislian  Tasti,  clic  il  Wincklcr  e  altri  preceder' 

sitaturi  avevano  dato  per  assolutamente  illegyi 

È  dcssa  la  più  grande  delle  iscrizioni  liittitc  (trenta 
piedi  per  otto)  incisa  su  una  roccia  di  diflìclle  ac- 
cesso, e  ora  le  sue  dicci  linee  sono  quasi  comple- 
tamente lette.  Cosi  pure  importanti  iscrizioni  e  ri- 
lievi furono  scoperti  a  Malatia. 


Die  Ghuiìneiskn  \V'.,  Le  portrail.  Tradilions  liei- 
linistiqiies  et  influences  orientales.  Roma,  Modcs, 
1911. 

Con  questo  volume  il  De  Griineisen,  autore  della 
poderosa  opera  su  Sanciti  Maria  Anliqna,  inizia 
una  serie  di  litudes  Comparatives,  clic  dello  studio 
maggiore  sulla  insigne  diaconia  del  Foro  Romano 
dovrebbero  esser  quasi  corollari  e  complementi.  Né 
alcun  altro  dei  temi  clic  l'A.  nella  sua  prefazione 
dice  di  avere  in  animo  di  trattare,  poteva  avere 
l'interesse  grande  di  questi  contributi  alla  storia 
del  ritratto. 

Questa  singolare  forma  artistica  clic  talora  per 
lunghi  periodi  è  del  tutto  inusitata  o  trascurata  spe- 
cialmente all'inizio  di  una  corrente  artistica,  e  clic 
invece  si  protrae  anche  in  periodi  di  decadenza,  e 
che  rimane  anzi  quasi  sola  a  rappresentare  con  una 
certa  nobiltà  l'arte  ligurala,  è  infatti  degnissima  di 
ammirazione  e  di  studio,  h  il  ricco  materiale  ar- 
cheologico recentemente  venuto  in  luce  special- 
mente dagli  .scavi  d'Iigitto  offre  il  mezzo  per  una 
prolìcua  ed  originale  trattazione  sintetica. 

■  .'autore  comincia,  come  è  suo  costume,  dalle 
fondamenta,  e  in  un  capitolo  assai  interessante  e 
originale  tratta  del  modo  come  furono  resi,  attra- 
verso 1  secoli,  I  tratti  anatomicamente  immutabili 
della  lìsionoinia  umana  rappresentata  allo  st.ito  at- 
tivo e  allo  stato  di  riposo. 

Un  secondo  capitolo  espone  I.1  storia  del  ritratto, 
lerinandosi  piuttosto  clic  alle  origini,  al  periodo 
ciisliano  e  dell'alto  medio  evo,  e  ponendo  in  ri- 
lievo l'iiiipoitan/.a  del  ritratto  orientale  e  la  grande 
(illTiislone  che  esso  ha  avuto  per  mezzo  delle  stoffe 
.luche  nel  inondo  occidentale. 

Avendo  poi  limitalo  II  suo  studio  al  ritratto  in 
pittura,  studia  la  bella  e  ricca  serie  del  ritratti  egizio, 
ellenici  d.itl  dalle  tavolette  di  muminii-  del  Ka.sso 
ligillo  e  del  lajuni.  Nola  lo  spirilo  di  verili^,  il 
senso  del  carattere,  lo  .'itudlo  della  soinlglliinza 
propria  dell'arte  greca  nei  più  antichi  di  questi  ri- 
tratti :  e  mostra  come  queste  doti  iialiiralistlclu'  ce- 
diuio  in  progresso  di  tempi  .il  principi  decorativi 
dell'.irle  oiientalc.  Cosi  in  questi  iltrattl   più  tardi 


frontaliti  :ta  sostituisce  le   vedute  di 

;.'-  quarti  o  ;  ...  .. n;  al  prolìlo.  Un  po' troppo 
severo  è  forse  il  giudizio  dell'A.  sul  rilralto  pom- 
peiano, al  quale  si  fa  rimprovero  di  esecuzione 
schematica  e  di  colorito  convenzionale  Dal  punto 
di  vista  tecnico  il  pittore  italiano  è  meno  line  e 
delicato  colorista  del  greco,  si  compiace  di  esage- 
rare le  opposizioni  di  luce  accentuando  le  ombre 
col  bruno  carminio,  e  aumentando  gli  edeltì  di 
luce  coi  toni  biancastri.  Anche  la  leggera  luce  la- 
terale è  sostituita  dall'uso  di  rappresentare  le  ligure 
esposte  in  piena  luce  al  sole,  che  obbliga  a  colori 
forti  e  opposti,  sprovvisti  dì  ogni  trasparenza.  E 
per  riassumere,  le  abilità  del  rìlrattisla  pompeiano 
sono  più  di  disegnatore  che  di  pittore.  E  però  pur 
da  notare,  che  un  esatto  confronto  tra  il  ritratto 
egizio-cllcnico  e  quello  pompeiano  non  si  può  isti- 
tuire completamente,  perchè  il  primo  è  soltanto 
ritratto  funerario,  l'altro  è  eseguito  sui  vivi,  e  spesso 
perciò  la  lìsonomia  è  mossa  e  vivace.  Passando 
ad  esaminare  il  gruppo  di  due  ritratti  ispesso  ma- 
rito e  moglie)  l'A.  osserva  che  tale  aggruppamento 
è  abbastanza  frequente  nella  pittura  pompeiana, 
molto  più  raro  nella  greco-egizia.  E  la  ragione  è 
evidente,  perchè  il  ritratto  greco-egizio  o  almeno 
quel  ritratto  greco-egizio  che  noi  conosciamo,  è 
un  ritratto  esclusivamente  funerario  da  sovrapporre 
alla  mummia,  e  il  rito  sepolcrale  con  la  sua  mum- 
milicazionc  non  consentiva  che  deposizioni  singole 
e  ritratti  singoli.  L'A.  però  fa  gran  caso  di  un  me- 
daglione in  legno  trovalo  dal  Gayet  a  Aniinoe  con 
due  ritratti  indipendenti  uno  dall'altro  ma  mecca- 
nicamente riuniti,  forse  a  signilicare  l.i  loro  paren- 
tela, e  trova  che  questo  caso  di  riunione  puramente 
meccanica  porla  una  gran  luce  sulla  questione  delle 
lunghe  lite  di  santi  affrescale  sulle  pareti  delle 
chiese  ;  il  che  forse  è  un  po'  soverchio. 

Passando  al  ritratto  cristiano,  l'A.  prova  giusta- 
mente, che  già  la  pittura  lomaa.i  delle  catacombe 
conosce  e  ammette  il  ritruttu  del  defunto,  studia 
poi  la  .serie  dei  vetri  cimiti  i    '  dio 

di  transizione  dal   rilr.itti  'I  ;i  a 

quelli  dell'alto  ni 

Tra  questi  ritr.i;  ■•  medio  evo  l'A.  d.i  U 

iii.iggioic  importanza  a  (|iiclU  per  I  quali  si  può 
suppone  che  l'autore  conosceva  l'ori.  '  '  ve- 
deva vivente,  e  jivevii  t'liitrn/ìi>iir  ilo 
II-.!  U 
/ri.                                                                                                                   :.i 

tale   iniportaii/.a   dcll.i 

scrina  il-  '                 '  ui 

Il   per-  la 

pllluia  vuol  cMi'ie  un  iiImIIo.  I.  ohkihc  di  «|uc»la 


115 


Ito 


conveiiziutu:  l'A.  Im  mostralo,  che  si  debba  riattac- 
carla .li  ritraili  funerari  Lg\/A.  Nell'litiitto  cristiano 
viceversa  la  tabula  circa  vcrticum  è  da  principio  il 
seyno  compendiato  del  pilastro  sepolcrale,  e  solo 
più  tardi  acquista  di  ritorno  dall' liuropa  il  sif;nilì- 
cato  occidentale  di  designazione  d'un  vivente. 

Per  progresso  di  tempo  i  caratteri  individuali  ten- 
dono a  scomparire  nel  ritratto  cristiano,  i  qualili- 
cativi  delia  lìsonomia  umana  non  si  sanno  più  co- 
jjlicrc,  e  solo  gli  attributi,  o  le  vesti  o  le  iscrizioni 
valgono  a  determinare  e  a  far  riconoscere  1'  indi- 
viduo. Cosi  il  naturalismo  e  il  verismo  ellenico 
cedono  il  passo  alla  rumorosa  e  prepotente  deco- 
razione orientale  clie  nel  ritratto  cristiano  riprende 
il  sopravvento. 

Il  libro  è  bene  illustrato,  ricco  di  vedute  origi- 
nali, clic  sembrano  alle  volte  molto  audaci.  Pec- 
cato, che  siasi  introdotta  qua  e  là  qualche  menda 
specialmente  nelle  traduzioni  dal  greco,  (cfr.  p.  10: 
ó  ò/,;j.'j;  tò,v  'AàT|Vaiu)v  2=2  ie  Dcmon  Oli  le  Genie  des 
Atlicniens). 


Ckssi  Cam  11.1.0,  La  poesia    ellenistica.    Rari,    La- 
terza, 1912. 


lori  ellenistici  altro  che  grammatici,  eruditi,  imita- 
tori,  solisti  e  pedanti,  l:  anche  questo  fu  gran  l)enc. 
non  solo  perché  tra  gli  avanzi  della  letteratura  el- 
lenistica non  mancano  delle  vere  gemme,  ma  anclic 
perchè  la  produzione  letteraria  di  quell'età  è  in 
fondo  quella  a  cui  la  nostra  età  più  si  avvicina, 
clic  ha  più  sapore  di  modernità,  e  alla  quale  è  più 
dovuto  da  tutti  noi. 

lìgrcgio  proposito  fu  pertanto  quello  del  Cessi, 
dettando  questo  bel  libro  sulla  poesia  ellenistica, 
di  offrire  a  quelli  che  non  si  occupano  di  propo- 
sito di  studi  ellenistici  notizie  più  ampie  di  quelle 
che  si  leggono  nei  manuali  scolastici  e  nelle  storie 
letterarie.  Il  trattato  è  ricco  e  completo  ;  dopo  una 
introduzione  che  accuratamente  espone  i  risultati 
dello  studio  storico  dell'ambiente,  e  dopo  conside- 
razioni generali  sulla  poesia  ellenistica,  si  passa  ad 
esaminare  ad  una  ad  una,  seguendo  uno  schema 
che  può  sembrare  (in  troppo  rigorosamente  meto- 
dico, ogni  forma  poetica.  Se  ne  annotano  i  carat- 
teri e  lo  svolgimento,  e  si  fanno  seguire  notizie 
sui  singoli  poeti  e  sulle  loro  opere  corredate  di 
esempi  bene  scelti  e  talora  di  recente  scoperta, 
tradotti  in  italiano,  appunto  perchè  il  libro  possa 
rivolgersi  a  più  largo  pubblico. 


Avviene  ora  per  la  storia  letteraria  e  per  la  storia 
dell'arte  del  periodo  ellenistico  quello  che  un  paio 
di  decenni  fa  avvenne  per  la  storia  politica.  Oli 
studiosi  dedicavano  più  volentieri  le  loro  cure  al 
|icriodo  cosi  bello  e  hiininoso  che  rifulgeva  dei 
gloriosi  fatti  della  guerra  Persiana,  e  dei  grandi 
nomi  di  Temistocle  e  di  Pericle,  lieti  che  le  storie 
mirabili  di  i^rodoto,  di  Tucidide  e  di  Senofonte, 
fossero  là  pronte  a  offrire  nella  più  eletta  forma 
possibile  ordinato  e  vagliato  il  materiale  dei  fatti. 
Uel  periodo  ellenistico  tanto  più  tumultuoso,  e 
tanto  meno  simpatico,  perchè  tutto  sembrava  in 
esso  dovuto  alle  feroci  ambizioni  dei  Diadochi.  le 
fonti  erano  più  incerte,  più  incomplete,  più  arruf- 
fate, e  si  faceva  volentieri  a  meno  della  fatica  di 
studiarle,  specialmente  sapendosi  o  immaginandosi 
che  i  risultati  non  potevano  essere  brillanti.  Ma 
avanzandosi  la  ricerca  archeologica  nei  paesi  del 
Mediterraneo  Orientalo,  alle  scarse  fonti  scritte  si 
aggiunsero  inlìniti  monumenti  e  documenti  di  quel 
periodo,  e  gli  arclieo'.ogi  liiiirono  per  trarre  a  ri- 
morchio su  (|uel  camiio  anche  gli  storici  che  in 
fondo  poi  non  se  ne  trovarono  male.  Così  per  la 
letteratura  ellenistica  più  d'ogni  altra  cosa  le  sco 
perle  dei  papiri  letterari  coi  fascino  della  novità 
vinsero  il  disdegno  degli  esclusivisti  adoratori  di 
l'indaro  e  di  Sofocle  che  non  vedevano  negli  serit- 


Mi<  H AicLis  Adolfo,  Un  secolo  di  scoperte  arctieo- 
logiche.  Traduzione  di  I\loisa  Pressi.  Bari,  La- 
terza, 1912. 

l:bbi  già  a  riferire  in  questa  stessa  rivista  del- 
l'opera del  Michaelis,  quando  nel  1906  essa  apparve 
in  una  prima  edizione.  Ne  segui  una  seconda  edi- 
zione tedesca,  traduzioni  in  francese,  in  inglese 
ed  ora  questa  in  italiano  a  cura  della  Sig.na  l^loisa 
Pressi.  Quando  un  lavoro  di  archeologia  raggiunge 
un  cosi  largo  successo  librario,  mi  pare  che  non 
sia  più  il  caso  di  starne  a  far  le  lodi.  Basta  dire, 
che  il  successo  è  veramente  meritato.  lì  non  solo 
per  la  bellezza  del  tema,  che  la  storia  delle  sco- 
perte archeologiche  seguite  nel  secolo  ormai  tra- 
scorso e  ricca  e  ferace  più  forse  che  altra  storia 
di  altra  scienza,  ma  anche  per  la  perfetta  e  precisa 
conoscenza  dei  fatti,  per  la  eccellente  distribuzione 
della  materia,  per  la  felice  serrata  sintesi  che  l'autore 
ha  saputo  fare  di  tanti  trovamenti  separati  e  non 
di  rado  causali  e  indipendenti  da  qualunque  piano 
prestabilito. 

Solo  io  ripeto  ancora  quello  che  già  scrissi,  che 
il  libro  sarebbe  stato  più  completo  e  più  interes- 
sante, se  il  chiaro  autore  non  avesse  voluto  dare 
alla  parola   archeologia  il  senso  ristretto  di  storia 


117 


iiS 


dell'arte  antica  {Kunstarchaologie).  In  ogni  modo 
perché  il  dono  avrebbe  potuto  essere  maggiore,  non 
dobbiamo  essere  però  meno  grati  a  chi  ce  lo  ha 
fatto,  e  questo  libro  Jel  Michaelis  che  deve  essere 
costato  non  poca  fatica  e  non  poca  abnegazione, 
è  veramente  un  bel  dono  non  solo  per  coloro  che 
si  occupano  ex  professo  di  studi  archeologici,  ma 
anche  per  coloro  che  in  qualche  modo  se  ne  inte- 
ressano. La  traduzione  italiana  varcando  i  limiti  del 
secolo,  aggiunge  notizie  di  scoperte  archeologiche 
lino  al  1911,  e  fa  agli  studi  e  alle  scoperte  italiane 
mia  parte  un  pochino  più  ampia  (torse  c'era  ancora 
da  dire)  che  non  l'abbia  fatta  l'autore.  Per  tal  modo 
il  pregio  dell'opera  ne  esce  aumentato. 

R.  Paribeni. 

IJoll.  l'.MBERTO  iVlANXuso,  La  <  Tabula  Iliaca  - 
ilei  Museo  Capitotiuo.  (l:stratlo  dagli  Atti  della 
Reale  Accademia  dei  Lincei,  Serie  5',  Voi.  .\IV, 
pp.  75,  in-4). 

Di  quel  monumento  cosi  originale  e  importante 
che  è  la  Tabula  Iliaca  -  Capitolina,  si  sentiva  fi- 
nora la  mancanza  di  uiui  degna  illustrazione  archeo- 
logica e  filologica,  unita  ad  un'  adeguata  riprodu- 
zione fotografica.  Il  dott.  Umberto  Mancuso,  col- 
mando questa  lacuna  per  mezzo  del  suo  studio 
testé  accolto  negli  Atti  della  Reale  Accademia  dei 
Lincei,  si  è  reso  perciò  benemerito  al  pubblico  degli 
studiosi.  I.'A.  aveva  già  pubblicato  e  illustrato  a 
parte  il  testo  epigrafico  della  Tabula  ■  nei  Ren- 
diconti della  stessa  Accademia  (Voi.  XIX,  Ser.  .5", 
fase.  K")  e  si  era  venuto  così  preparando  a  que- 
st'altro studio,  di  diversa  indole,  più  ampio  e  com- 
prensivo. Quivi  l'importanza  della  '  Tabula  Iliaca  • 
viene  lumeggiala  in  tulli  i  sii)!  lati  :  storico,  ar- 
cheologico, artistico,  letterario.  —  Della  •  Tabula 
cosi  frammentaria  com'  ò,  l'A.  ha  avuto  anche  la 
cura  di  darci  lui.i  ricostruzione  nella  sua  disposi- 
zione architettonica  schematica  (p.  l.ti.  .\1,i  l.i  parte 
in  cui  eccelle  il  l.ivoro  e  quella  della  interpretazione 
dei  rilievi,  Interpretazione  condotta  sull'originale  te 
che  ò  dato  a  ogni  lettore  di  .seguire  su  un'ottima 
riproduzione  fotograllca:  v.  tavola  In  cliograiiH  fuori 
lesto)  e  sulle  fonti,  con  coscienza  di  inclodo  e  acu- 
tezza di  vedute.  Il  risultato  di  (|ueslo  studio  si  è 
che  l'.irtelice  si  .illenne  iillo  fonti  poetiche  e  spe- 
cialmente all'  Iliade,  per  In  (piale  II  ilscontro  è  pos* 
slblle,  mollo  più  sciupolosaincnio  clic  non  si  fosse 
finora  credulo  dai  preiedenll  sIiuIIom  dell' argo- 
mento.  Nell'ullim.i  p.iili'  del  lavoro  si  tende  a  nict- 
lire  In  pnrticolnr  rilievo  II  signiticalo  spccliilc  della 


-  Tabula  >  per  la  ricostruzione  della  perduta  «  Iliu- 
pcrsìs  '  di  Stcsicoro,  alla  quale  l'artefice  dovette 
pure  attenersi.  Per  la  venuta  di  Enea  in  Italia,  poi. 
che  la  paternità  di  questa  versione  della  leggenda 
sia  da  rivendicare  a  Stesicoro,  come  dall'iscrizione 
incisa,  è  tesi  che  l'autore  conforta  di  validissime 
argomentazioni.  La  nuova  integrazione,  infine,  de| 
distico  della  <  Tabula  '  appare  fra  le  precedenti 
l'unica  convincente  e  sicura.  —  I  risultati  di  tutte 
le  indagini  e  ricostruzioni  non  potranno  a  meno 
di  persuadere  il  lettore.  Qualche  punto  in  cui  non 
potrà  sempre  consentire  è  nella  parte  strettamente 
esegetica  dei  rilievi,  in  cui  l'A.,  preoccupato  della 
fedeltà  alle  fonti,  ha  forse  talora  voluto  vedere  più 
di  quello  che  in  realtà  non  si  veda.  —  Trattasi  in- 
somma d'una  pubblicazione  altamente  lodevole  nel 
suo  genere  e  di  capitale  importanza  ormai  per  lutti 
coloro  che  s' interesseranno  dell'argomento  e  del 
molteplici  problemi  del  Ciclo  epico. 


Vittorio  M.vcchioro.  —  Per  la  storia  della  cera- 
mografia italiota  —  III.  Prolegomeni.  (Aiis  den 
Mitteit.d.  K.  l).  Arcliaetog.  Iiisliiuts.  Rom  1912, 
tìd.  XXVII,  p.  U)3- 188). 

I:  questo  il  terzo  degli  scritti  che  il  Dr.  Vìllurlo 
iVIacchioro  pubblica  nelle  .lf/r/<'//f/n;gi'n  dell' Istituto 
Archeologico  Germanico  di  Roma,  intorno  alla  ce- 
ramica dell'Italia  meridionale,  ed  è  questo  il  più 
importante  dei  tre,  mirando  a  presentare  al  letture 
un  quadro  multo  sintetico  e  comprensivo  drlla  pro- 
duzione ceramica  in  una  chiara  e  ordinata  classi- 
ficazione topografica  e  cronologica.  Il  tcnlalivo  gli 
Iniziato  dal  Patroni  nella  sua  monoijrafia  '  La  ce- 
ramica ncil'It.dia  rr  ripreso  con 
ardire  e  spinto  ad  usiimi  asso- 
lute, non  scevre  di  audacia.  Audace,  e  prematuro 
per  giunta,  sarebbe  pcrtS  l'addentrarsi  ora  in  un.i 
critica  partici>larei;i;iata  delle  teorie  dclI'A  .  poiché, 
come  l'A.  ste- 
egli  ora  non  : 
pale,  frutto  di  suol  lunghi  e  p.i.  sullo 

varie  tasi  dei  iiunll  il  lettore  é  aii l...<ìi  p^irlc 

all'oscuro.  Tale  nuovo  metodo  csposltlvo  non  sjp- 
piamo,  se  incunlrcrA  l'approvazione  di  lutli  gli  ar- 
cheologi. 

La  ceramica  italiota,  di  cui  l'A.  t\\\ 
ginnlltà  rispetto  alla  pr<>duj!lone  greca 
divisa  nelle  Ire   rcKioni   di  Apulla.  1 1:  i 

pania,  e  sudi)  < 

gruppi  di  tre.  ' 
Pesto,  Sallcula,  Cutna.  At>clta  Centro  irradiaiorc  di 


119 


(|iicsta  ceramica,  Riivo.  Ciascuna  fablirica  porla  poi 
una  successione  di  vari  periodi,  lino  a  cincpic  i  Kuvo, 
Anzi),  distinti  da  particolari  caratteri,  movendo 
dal   15' I  lino  al  200  a.  C. 

A  parie  le  critiche  finali,  cui  un  lavoro  dell'indole 
del  presento  non  potrà  a  meno  di  sottostare,  os- 
serviamo come  ima  classitica/.ionc  per  la  prima 
volta  cosi  netta  e  decisa  non  potrà  far  che  del 
bene,  poiché  servirà  in  via  positiva  o  negativa,  a 
chiarir  molte  idee,  e  a  stabilire  fin  d'ora  un  punto 
fisso  di  partenza  per  le  successive  indagini  e  con- 
clusioni nella  vasta  materia. 

A  proposito  delle  fabbriche  attiche  cui  l'A.  è 
costretto  per  le  sue  deduzioni  a  riportarsi,  notiamo 
com'egli  accetti  per  Midia  la  cronologia  del  Nicole 
e  dell'  Hauser  (prima  metà  i\  sec.  )  contro  la  crono- 
logia ultiniarnciitc  sostenuta   dal   Ducati   (•120-tiOi. 

(J.   BliNDINKLLI. 


W.  DiioNNA,  L'archeologie,  sa  valeur,  ses  métho- 
(les,  I  e  III,  Paris.  Kénouard-Laurens,  1912. 

11  giovane  e  ardito  archeologo  ginevrino,  dopo 
aver  esordito  con  una  serie  di  pubblicazioni  che 
dimostrano  una  singolare  fecondità,  di  alcune  delle 
quali  abbiamo  avuto  occasione  di  parlare  nei  pre- 
cedenti volumi  di  Ausonia,  ha  cambiato  indirizzo, 
e  dopo  una  breve  sosta,  in  cui  pare  che  il  suo 
pensieni  abbia  avuto  una  crisi  di  pessimismo,  lan- 
cia al  pubblico,  come  una  sfida,  due  volumi  di 
circa  5  IO  pag.  ognuno,  d'un'opera  colla  quale  egli 
tenta  di  rinnovare  gli  studi  archeologici.  Il  primo 
volume  destinato  ed  esaminare  i  metodi  lin  qui  in 
vigore  è  stato  seguito  a  breve  distanza  dal  terzo  in 
cui  si  illustrano  i  «  ritmi  artistici  »  ;  il  secondo  che 
dovrebbe  contenere  la  parte  veramente  positiva  del 
suo  nuovo  sistema,  (le  leggi  dell'arte)  si  fa  atten- 
dere di  più;  riesce  perciò  difficile  e  mi  sembra 
prematuro,  il  dare  un  giudizio  complessivo  e  de- 
finitivo del  tentativo  del  Deonna.  Tuttavia  i  due 
volumi,  varii  di  argomento,  ricchi  di  materia,  la- 
sciano abbastanza  bene  intravedere,  quale  sia  il 
pensiero  dell'autore-  onde  è  bene  non  tardare  a 
farne  conoscere  il  contenuto. 

11  Ueonna  spiega  chiaramente  nella  prefazione 
del  primo  libro  le  ragioni  che  l'hanno  indotto  ad 
abbandonare  il  lavoro  tradizionale  e  disciplinare 
della  nostra  scienza,  che  gli  sembrava  poco  pro- 
ficuo. Perchè?  perchè  i  risultati  di  tutto  questo 
immenso  lavoro  che  si  è  fatto  dal  Winckelmann 
in  poi,  gli  sembrano  incerti,  vacillanti  e  non  ade- 


guati agli  sforzi  compiuti.  Gli  è  parso  che  vagliare 
le  raglimi  degli  insuccessi,  ricercare  nuovi  critcrli 
di  KÌodizio,  rifare  la  strada  con  altro  includo  sin 
rendere  maggior  servizio  alla  scienza. 

Tutto  il  primo    volume  è  infatti    una    specie  di 

esame  di  coscienza  »  dell'arclieologo,  il  quale 
osservando  spassionatamente  l'edifìcio  ormai  ben 
eccelso,  costruito  d'ipotesi  sopra  ipotesi,  teme  di 
vederlo  crollare,  li  molte  infatti  sono  le  parti  già 
crollate! 

Il  volume  e  pervaso  da  uno  scetticismo,  spesso 
ironico,  sui  frutti  della  scienza  archeologica  e  spe- 
cialmente sulla  archeologia  germanica.  |-  una  rivista 
di  tutto  il  campo  arato  dagli  archeologi,  e  la  messe 
varia  raccolta  si  sgretola,  si  dissolve  al  soffio  della 
critica.  11  Deonna  incomincia  colla  storia  della 
formazione  della  nostra  disciplina  fino  al  Wincl<el- 
mann  e  poi  della  errata  applicazione  del  metodo 
e  delle  sue  consegnenze. 

Molti  assiomi,  che  non  sono  altro  che  precon- 
cetti, hanno  inquinato  il  nostro  lavoro,  come  quello 
della  perfezione  e  serenità  dell'arte  greca,  la  logi- 
cità eccessiva,  la  suggestione  e  il  fanatismo,  la  fan- 
tasia, l'arbitrio,  le  generalizzazioni  o  le  specializ- 
zazioni affrettate,  il  patriottismo,  il  simbolismo  ecc. 
Con  una  quantità  di  esempii,  egli  illustra  quella 
che,  secondo  lui,  è  la  bancarotta  della  scienza. 
Passa  poi  ad  esaminare  il  valore  di  certe  ricerche 
e  sopratutto  la  possibilità  di  certi  risultati  che  si 
cerca  d'ottenere,  la  risurrezione  del  passato,  la 
storia  degli  artisti,  la  classificazione  delle  scuole  e 
l'analisi  dei  particolari.  Tutto  ciò  nel  primo  volume 
è  svolto  con  spigliatezza,  con  spirito;  ma  mi  si 
conceda  il  dirlo,  con  un  po'  troppo  di  unilateralità 
e  di  superficialità  di  giudizio.  In  tutte  le  indagini 
scientifiche  accade  che  il  lavoro  penoso  di  con- 
quista sia  fatto  a  gradi,  a  tentoni,  e  che  molto  ne 
vada  perduto;  ma  il  giudicare  da  questi  insuccessi, 
il  totale  insuccesso  della  scienza  e  perciò  del  metodo, 
ini  pare  eccessivo.  Il  Deonna  ha  copiosa  e  varia 
cultura,  e  perciò  ne  fa  sfoggio  spesso  e  volentieri, 
divaga  in  campi  diversi  della  letteratura  e  delParte 
anche  moderna  e  della  filosofia  anche  modernis- 
sima, e  tutto  ciò  può  essere  oltre  che  piacevole 
alla  lettura,  utile  alla  comprensione  vasta  di  pro- 
blemi che  toccano  spesso  la  psicologia;  ma  per  il 
generale  e  il  superficiale  fanno  talvolta  perder  di 
vista  lo  specifico.  Il  problema  della  archeologia 
talvolta  si  allontana,  e  si  vede  poi  che  non  in  tutte 
le  questioni  egli  ha  una  completa  informazione, 
non  ha  compreso  p.  e.  il  concetto  del  nostro 
maestro  Loewy  nella  sua  teoria  della  Naturwìe- 
(iergabe  e  della  appena  iniziata  Typenwaiiderung. 


121 


Pili  geniale  mi  è  parso  il  contenuto  del  III  vo- 
lume, sebbene  l'idea  fondamentale  non  sia  nuova, 
quella  dei  «  ritorni  »  nell'arte.  Basandosi  su  questo 
principio  che  lo  spirito  umano  è  sempre  uno.  che 
il  fondamento  psicologico  dell'arte  è  insito  nella 
natura  umana,  e  che  perciò  vi  sono  dei  cicli  uso 
Vico  nella  storia  universale  dell'arte,  cerca  di  pre- 
cisare meglio  con  esempii  e  con  la  ricerca  di  leg- 
gi stilistiche  questi  fenomeni  uguali  e  paralleli  che 
si  manifestano  in  varie  epoche.  I  confronti  sono 
istituiti  da  lui  fra  varii  periodi  dell'arte  antica  e 
periodi  dell'arte  medievale  e  moderna,  specialmen- 
te francese,  i  qual»,  secondo  l'autore,  presentano 
somiglianze  veramente  straordinarie,  nello  stile  e 
nelle  idee  prevalenti. 

Per  il  Deonna  l'evoluzione  dell'arte  antica  si 
manifesta  in  quattro  grandi  periodi:  l'arte  quater- 
naria paleolitica,  la  civiltà  egea,  la  rivillà  greco- 
romana e  la  cristiana.  Poco  egli  ci  può  dire  per 
lo  stato  attuale  delle  nostre  conoscenze,  dell'arte 
quaternaria,  il  cui  naturalismo  tuttavia  egli  ritrova 
nell'arte  minoica;  più  particolareggiato  è  il  con- 
fronto tra  l'arte  minoica  e  l'ellenistica,  nelle  quali 
riscontra  affinità  d'ideali:  figure  muliebri,  paesaggio, 
animali,  scene  di  genere,  di  storia,  rappresenta- 
zioni della  folla,  e  leggi  uguali  che  regolano  lo 
stile.  L'arte  greca  arcaica  trova  analogie  con  l'arte 
arcaica  medievale  e  in  iiueslo  capitolo  la  teoria 
dei  ritorni  è  meno  nuova  perchè  e  più  evidente. 
L'arte  classica  del  v  scc.  si  confronta  con  quella 
del  XIII  scc.  quella  del  iv  con  l'arte  del  .\iv; 
l'ellenistica,  nei  suoi  due  indirizzi,  corrisponde  ai 
due  periodi  dell'arte  del  xv-.wi  sec.  e  del   .wiii. 

Così  si  giunge  alla  conclusione,  che  l'archeologia 
serve  a  meglio  comprendere  il  presente,  ed  ha  perciò 
una  funzione  più  vasta,  più  pratica,  più  universa- 
le clic  non  si  creda.  Come  II  passato  serve  ad 
illustrare  il  presente,  la  civiltà  contemporanea  ci 
aiuta  n  comprendere  il  passato,  e  il  Deonna  giunge 
lino  a  credere  possibile  II  prevedere  l'avvenire. 


in  lutto  ciò  c'è  del  vero,  come  c'è  del  fantasti- 
co; non  credo  che  il  Deonna,  nonostante  il  suo 
ingegno,  si  sia  sottratto  alle  illusioni  che  anneb- 
biano il  cer\'elIo  umano  sopratutto  quando  si 
sforza  di  comprendere  cose  superiori.  Del  resto 
egli  stesso  ha  previsto  le  critiche  che  avrebbe  su- 
scitalo ed  ha  realmente  già  sollevato  il  suo  lavoro, 
e  le  enumera  ampiamente  nella  prefazione. 

Ma.  ripelo,  un  giudizio  adeguato  si  potrà  dare 
del  valore  delle  riforme  intraprese  da  lui,  quando 
avremo  sotto  gli  <'cchi  la  parte  più  positiva  della 
sua  opera,  cioè  il  secondo  volume. 

In  esso  l'Autore  si  propone  di  studiare  le  leggi 
che  governano  l'arte;  l'analisi  dei  monumenti  nei 
particolari  ci  fa  scoprire  dei  fatti  d'indole  generale, 
l'evoluzione  dell'arte  non  si  compie  tranquilla  e 
regolare,  ma  ci  sono  delle  cause  determinanti  o 
perturbatrici,  ci  sono  sopravvivenze  ed  arresti, 
arcaismi  prolungati  ed  anticipazioni  di  fenomeni. 
Varie  sono  le  cause  di  questi  fenomeni,  d'indole 
tecnica,  personale,  gcogralica  ecc.  ,Ma  il  principio 
fondamentale  è  quello  delle  somiglianze  spontanee. 
Se  non  si  lien  conto  delle  varie  forme  in  cui  quc 
sto  si  presenta,  si  incorre  in  molti  errori  che  il 
D.  si  propone  di  esaminare  particolarmente.  Un 
altro  principio  importante  è  quello  del  passaggio 
del  procedìiiicnli  di  espressione  dal  cosciente  al- 
l'incosciente  e  viceversa  e  il  mutamento  di  signi- 
ficato delle  forme  durante  la  loro  evoluzione. 
Questa,  a  dire  dello  stesso  autore,  è  ìa  traccia  del 
secondo  volume,  aspettando  il  quale,  pur  non  na- 
scondendo la  nostra  diffidenza  sulla  efficacia  della 
teoria,  non  possiamn  non  ammirare  il  coraggio, 
l'audacia  anzi,  con  cui  il  Deonna  è  partito  In  lizza, 
giovane  ancora,  contro  idee  vecchie  e  viete,  colla 
convinzione  di  possedere  l'esperienza  tinta  anche 
dell'amaro  sapor  del  disinganno,  che  di  solilo  si 
attaglia  più  ni  maestri  canuti,  alla  fine  della  pro- 
pria carriera. 

Luciu  Mariani. 


1^) 


124 


xi':(K(  )i.^  )(:i(  ) 


Il  (i  luglio  1911  ALl-SSANDRO  PKOSDOCIMI, 
(.he  insiclinto  da  lento  e  grave  malore  aveva  da  due 
anni  lasciata  la  dirc/.ionc  del  Musco  Nazionale  Ate- 
slino,  e  si  era  appartato  con  la  famiglia  in  una  quieta 
e  solitaria  villa  a  Gaiarinc  in  quel  di  Treviso,  (iniva 
quivi  serenamente  la  nobile  e  onorata  sua  vita. 

Nato  ad  I-lste  il  22  agosto  1843,  incline  per  l'in- 
dole dell'ingegno,  pronto  ed  aperto,  agli  studi  delle 
lettere,  si  era  educato,  sia  frequentando  il  ginnasio 
del  Seminario  di  Padova,  sia  addestrandosi  da  sé 
e  con  l'aiuto  di  privati  maestri  in  liste;  quando  a 
sedici  anni  appena,  nei  giorni  memorabili  in  cui 
intraprendevasi  la  grande  opera  della  rigenerazione 
della  patria  dalle  servitù  straniere,  pieno  d'ardore 
generoso,  s'arruolò  nell'esercito  piemontese,  e  mi- 
litò come  volontario  fra  gli  anni  '59  e  '60. 

Tornato  ad  Este,  ripresa  e  condotta  innanzi  la 
sua  preparazione  letteraria  nel  modo  che  la  mo- 
desta condizione  della  sua  famiglia  gli  consentiva, 
giunse  a  conseguire  in  Padova  il  diploma  di  pro- 
fessore di  storia  e  geografa,  mediante  il  quale  ot- 
tenne l'uflicio  d' insegnante  prima  nella  Scuola 
Tecnica  di  Oderzo,  ove  stette  fra  gli  anni  1870 
e  1872,  poi  in  quella  di  liste,  la  cara  sua  nativa 
città.  Quivi  si  destava  e  s'accendeva  vieppiù  sempre 
nell'animo  suo  l'amore  fervente  e  il  culto  devoto 
per  le  memorie  e  gli  avanzi  della  storia  del  suo 
paese;  tanto  che,  morto  Eugenio  Gasparini  che 
aveva  diretto  il  Museo  Civico  fino  al  187;^  il  Mu- 
nicipio affidò  al  Prosdocimi  la  direzione  di  quel- 
l'istituto. Al  quale  s'apriva  quind' innanzi  mediante 
l'opera  geniale,  entusiastica  e  indefessa  di  lui  una 
era  nuova  di  sviluppo  e  d' incremento. 

Nell'anno  1877  iniziava  egli  la  serie  delle  sco- 
perte dell'agro  atestino  che  lumeggiavano  di  una 
luce  inattesa  la  storia  primitiva  dei  Veneti,  e  ag- 
giungevano alle  raccolte  romane,  ond'era  insino 
allora  quasi  esclusivamente  costituito  il  patrimonio 
del  Musco,  una  congerie  di  monumenti  ignoti  affatto 
agli  eruditi  del  tempo. 

Il  Prosdocimi  fu  lo  scopritore  fortunato  e  l'in- 
vestigatore accorto  e  sagace  della  vastissima  necro- 
poli preromana  che  si  stendeva  alle  falde  ed  ai  piedi 
de'  Colli  Euganei.  Dirigendone  con  rigore    di   me- 


todo topografico  l'esplorazione,  guardando  ai  di- 
versi strali  del  sottosuolo  In  cui  apparivano  le  tombe, 
considerando  le  forme  e  le  strutture  di  queste,  sot- 
topunendo ad  attenta  disamina  i  caratteri  tipologici 
delle  suppellettili  funebri,  ebbe  il  felice  inluitn  di 
trarre  da  tutti  codesti  dati  i  contrassegni  scierlilì- 
camente  sicuri  per  la  determinazione  de'  periodi  di 
svolgimento  attraverso  ai  quali  la  civiltà  del  paese 
era  passata  dall'età  del  bronzo  agli  inizi  della  do- 
minazione romana. 

Di  tutte  le  cose  dissepolte  fece  tesoro;  tutte  pro- 
curò che  passassero,  distinte  secondo  le  tombe  sin- 
gole a  cui  appartenevano,  nel  patrio  Museo,  che 
andò  ampliandosi  e  arricchendosi  con  prodigiosa 
rapidità,  cosi  da  diventare  col  favore  del  Governo 
il  principalissimo  museo  della  regione  veneta  ed 
uno  dei  più  cospicui  dell'  Italia  superiore. 

Trasformato  in  istituto  nazionale  fino  dal  1887, 
trasferito  in  più  degna  sede,  nel  palazzo  cinque- 
centesco dei  Mocenigo,  circondato  dal  recinto  tur- 
rito del  vetusto  castello  estense,  messo  in  assetto  e 
ordinato  in  modo  esemplare,  da  lui  e  dal  suo  disce- 
polo A.  -Mfonsi,  fu  inauguratoli  12  luglio  1902  con 
solenne  e  magnifico  convegno  d'Autorità  dello  Stato, 
di  cultori  insigni  della  scienza  e  dell'arte.  Certa- 
mente fu  quello  il  giorno  più  bello  e  più  fausto 
della  vita  scientifica  di  Alessandro  Prosdocimi.  Il 
nuovo  Museo,  diremo  col  Pigorini  [Bullettiiio  di 
paletnol..  XXXVll,  1911,  p.  Ili),  «  doveva  poi  mu- 
tarsi in  un  vero  monumento  da  lui  inalzato  alla 
propria  memoria    . 

Le  numerose  memorie  da  lui  pubblicate  si  pos- 
sono distinguere  in  tre  classi:  paletnologiche,  ar- 
cheologico-classiche  e  storico-artistiche.  Quelle  della 
prima  serie  hanno  il  più  ragguardevole  valore,  perchè 
si  riferiscono  ad  un  materiale  nuovo,  indagato  e 
illustrato  da  lui  con  criteri  propri,  con  originalità 
di  vedute.  L'ampia  relazione  inserita  nelle  Nolìzic 
degli  scavi  del  1882,  accompagnata  da  otto  tavole, 
ha  servito  e  serve  tuttora,  si  può  dire,  di  fonda- 
mento a  chi  voglia  conoscere  la  fisonomia  e  le 
note  generali  della  civiltà,  che  egli  disse  euganea, 
nelle  quattro  fasi  della  sua  lenta  e  progressiva  evo- 
luzione, acutamente  da  lui  intravvcdute. 


125 


136 


Né  è  da  tacere  fra  le  memurie  della  prima  serie 
quella  dedicata  agli  avanzi  di  antichissime  abita- 
zioni nell'agro  atestino,  edita  nel  HiiUettino  di  pa- 
letnologia del  18S7.  Quegli  avanzi  il  Prosdocimi 
studiò  parallelamente  alle  reliquie  funerarie,  cer- 
cando d'intravvedere  a  quale  stadio  della  civiltà 
della  necropoli  corrispondessero,  e  mostrando  di 
ben  comprendere  quanta  e  quale  importanza  ab- 
biano, allato  ai  cimiteri,  quegli  umili  detriti  degli 
abitati,  a  cui  il  nostro  Pigorini  non  si  stanca  con 
ragione  di  richiamare  insistentemente  l'attenzione 
degli  studiosi  delle  antichità  paleoitaliclie. 

Per  quanto  non  fosse  l'arclicologia  classica  il 
campo  in  cui  l'attività  del  compianto  professore 
principalmente  si  svolse,  tuttavia  è  notevole  anche 
la  serie  degli  scritti  inseriti  nelle  S'otizie,  ove  egli 
rese  conto  perspicuamente  e  ordinatamente  delle 
scoperte  di  avanzi  romani,  (tombe,  lapidi,  monetcì, 
cui  andava  via  via  assistendo.  V.  degna  di  lode  è 
la  Guida  pubblicata  da  lui  appunto  della  sezione 
romana  del  Museo  the  doveva  avere  e  non  ebbe 
pur  troppo  compimento  con  la  parte  attinente  la 
sezione  preromana. 

Della  prima  serie  di  pubblicazioni  relative  alle 
antichità  primitive  è  data  dal  Pigorini  nel  /iiillet- 
liiw  sopra  citato  un'accurata  bibliogralia.  La  ripc- 
terlamo  qui,  interpolando  ad  essa  in  ordine  cro- 
nologico la  menzione  degli  scritti  che  riguardano 
le  antichità  romane  : 

1.  Necropoli  etiganee:  in  Notizie  detjli  Scavi, 
1887.  p.  193  e  in  liuti,  di  paletn   il.  Ili,  p.  2V2. 

2.  La  necropoli  eunanea  di  liste  :  Monta- 
gnana,  1878. 

3.  Le  necropoli  eai;anee  di  liste:  l;stc,  1879. 

4.  Le  necropoli  cutanee  di  liste:  liste,  1881). 
.'').  Le  necropoli  euganee   e  una    tomba  della 

Villa  lienveniiti  in  liste:  in  (//'  Unii,  paletn.  it.  \'l. 
p.  79. 

().  Necropoli  preromani  di  liste:  in  Unii,  del- 
risi,  di  corr.  Ardi..  1881,  p.  7o. 

7.  Necropoli  euganee  di  liste:  In  Notizie,  188'2. 

8.  Notizie  di  alcuni  fondi  di  capanne  euganee 
rinvenuti  nell'agro  atestino:  I-!ste,   1881. 

e.  IH  un  fondo  di  capanne  preromane  rinve- 
nuto nell'agro  atestino:   in   Notizie,    188J.  p.   Il>. 

II).  Avanzi  di  antichissime  abitazioni  nell'agni 
aleslino  :  In  liuti,  di  paletn.  il.  XIII,  p.  IM  e  185  scg. 

11.  Nuove  scoperte  di  anticliit,!  nel  fondo 
Haratrla  (liste):  in  Notizie.  1888,  p.  .18,3 

l'i.  /)/  due  tombe  euganee  scoperte  nel  predio 
La  lioldue  nella  necropoli  di  Morlungo:  In  No- 
tizie, 1889.  p.   Iti. 


13.  Scoperte  di  antichità  varie  avvenute  nei 
territori  di  liste  e  dei  comuni  di  Casale  di  Sco- 
dosia.  Saletto  di  Montagnana.  S.  Urbano,  Villa 
listense.  .Montagnana  e  .Monselice:  in  Notizie 
degli  scavi.  1890,  p.  76. 

14.  Scoperte  vane  nel  territorio  atestino:  in 
Notizie.  1890,  p.  1.5.i. 

15.  Avanzi  di  acquedotto  romano  a  Baone: 
in  Notizie.  1890,  p.  158 

16.  Nuove  scoperte  di  antichità  nella  chiu- 
sura Haratela  a  liste:   in  .\'otizie,    l->*tO,    p.    199. 

17.  Antichità  galliche  e  romane  di  Villa  Bar- 
tolomea  :  in  Notizie.  1890,  p.  28.5. 

18.  Nuove  scoperte  nella  necropoli  atestina 
presso  S.  Stefano:  in  Notizie,  1891,  p.   175. 

19.  Di  un  ripostiglio  di  monete  romane  sco- 
perto nella  Villa  Boiani  :  in  Notizie.  1891,  p.  27V. 

20.  .Muove  scoperte  di  antichità  nell'agro  ate- 
stino: in  Notizie,  1893,  p.  89. 

21.  Scoperta  di  una  stazione  litica  in  Val 
Calaona:  in  .S'otizie,  IS.")3,  p.  106. 

22.  Scoperta  di  oggetti  dell  epoca  litica  a  \'i- 
ghizzolo  presso  liste:  in  .\'otizie,  1898,  p.  107. 

23.  .Antichità  preromane  scoperte  presso  S. 
.Maria  di  Carceri  nel  territorio  di  /iste  :  in  .Vo- 
tizie,   I8'.i3,  p.  ,396. 

21.  I.aminella  in  bronzo  figurata  di  t'str  in 
.\olizie,  1896.  p.  79. 

25.  Scoperta  di  una  tomba  preromana  ntlla 
nicropoli  settentrionale  atestina:  in  Soline,  1896, 
p.  302. 

26.  Nuovo  ripostiglio  di  monete  romane  sco- 
perto nella  Villa  Boiani:  in  Notizie.   189*»,  p.  73. 

27.  Scoperte  varie  avveiuite  nel  territorio 
atestino:  In  Notizie,  1900,  p.  155. 

28.  Brevi  cenni  del  Museo  Nazionale  Ale- 
.Uino:  liste,  li)02. 

29.  Ciuida  sommaria  del  R.  .Museo  Atestina. 
Sezione  Romana,  liste.  \W2, 

30.  Scoperte  archeologiche  dell'epoca  romana 
in  liste:  in  Notitie,  l'.H>3.  p.  Kl. 

31.  Scoperta  di  monumenti  sepolcrali  romani 
in  liste:  in  Notizie.  l'.iftJ,  p.  3.51. 

32.  Scoperte  arcA.  a  Saletto  di  .Mor.t,iLn>ìtui 
In  .S'otizie.  190-1.  p.  3. 

;J3,  Scoperte  di  antichità  nel  siihnrru'  ..-;  /  .mi- 
•S/'/m/o  di  bronzo  del  terzo  periodo:  in  .S'otizie. 
I'.K)5,  p.  6. 

31.  .scoperte  a  liste,  a  l\mumia.  a  S.  Pieir,' 
.Montagnon,  a  .Migliadino  in  .\olitie,  I?»' 
e  417. 

G.  UtllHAKDINI. 


128 


Libri  ricevuti  in  dono. 


Ciiida  dill' liiip.    Musco    dell' l'.iiiiiila<;i\    Pietro-  MAYHK  M.  I.a  coppa  taraiiliiiu  di  argeulo  doralo 

Iniind   1912  (in  russo).  del  Musco  /^roi'iiicia/c  di  Ilari.  Bjri   lyio. 

Ol.MSTHAD  A.T..  CHARLKS  B.B.,Wl<ENCHS.I£.  UOIÌIÌKT  C.    MV   Maskcii   dcr  iiciurni   alliuhai 

V'rarcls  and   sliidics   in   llic   iirar  /ùist,    voi.    I  KiniiOdic.   H.'illc   1911. 
pari.  11.  limile  liiscripliotis.  Nevv-Yi)rl\  lyii. 


Cambi. 


.ìiiicricaii  /oiinial  0/  .ìrchacology. 

AniiaU's  de  l' l'iiivcrsilé  de  Lyon. 

.ìiniinil  of  the  lìiìlish  School  al  Allicns. 

.ìrclìiv  fiìy  A'('lì,!j^it»is7t'!ssciisc/ia/l. 

.ìrc/iivio  della  .Soeielà  l\i>ntai/a  di  .'Gloria  Patria. 

ìiol lei  lino  d'arie. 

Ball,  de  Corresp.  llelUiiique. 


Unii,  de  la  Soeielé  .ìrcluoloi^iqne  Hiilj^arc. 
Hall,  of  llie  areli.  Insl.  of  .ìinerica. 
lùnporiìiiii. 

Jahreshefle  des  A'.   A',   (leslerrlt.   Iiisliluls. 
luslilnl  d' ICsliidis  Calalans.  ^Iniiary. 
Milleiliingen  des  Insliluls  (Ath.  Ableil.). 
Papcrs  of  llìc  Urilisli  Sel/ool  al  Rome. 


AITI     i)i:ll\  •  sociirrA 


La  Società  col  gennaio  di  quest'anno  lia  iniziato  la  serie  delle  sue  adunanze  scientifìclie  nella  splen- 
dida sala  messa  n  disposizione  da  S.  E.  il  Principe  Doria,  nel  suo  palazzo.  Alcuni  degli  argomenti 
trattali  iianno  fornito  materia  ad  articoli  pubblicati  nella  nostra  o  in  altre  riviste  ;  di  tutte  le  comuni- 
c.izioni  vicn  reso  conto  qui  appresso. 

Col  cambiamento  di  sede  dell'Economato,  passato  nelle  mani  del  Dott.  Roberto  Paribeni,  si  è  accen- 
trato l'uflìcio  di  Segreteria  nel  Museo  Nazionale  Romano  alle  Terme  Diocleziane,  dove  è  anche  la  Bi- 
blioteca della  Società  afiìdata  alle  cure  del  Dott.  Giuseppe  Cultrcra.  Il  Dott.  G.  .Moretti  ha  assunto  l'ul- 
licio  di  segretario  dell'Economo. 

Il  12  giugno  fu  tenuta  l'assemblea  generale  per  l'approvazione  del  bilancio  clic  si  pubblicherà  nel 
volume  se>CLn;nlL'  e  per  la  rinnovazione  delle  cariche.  In  essa  riuscirono  eletti  vicepresidente  (non  residente) 
il  Prof.  Antonino  Salinas,  e  consiglieri:  Prof.  Giulio  Cantalamessa,  Prof.  Alessandro  Della  Seta,  Prof.  Do- 
menico Gnoli,  e  Duca  D.  Leopoldo  Torlonia  Sen.  del  Regno.  Amministratore  venne  eletto  il  Dott.  Ro- 
berto Paribeni,  Direttore  del  Museo  Nazionale  Romano.  A  revisori  de' conti  :  I  prof.  E.  Mancini,  C  Fon- 
tani e  P.  Seccia. 

Per  le  contradittorie  opinioni  espresse  dai  soci,  il  Consiglio  non  ritenendo  matura  la  modiOcazionc 
proposta  all'art.  20  dello  statuto,  decise  di  sospendere  ogni  ulteriore  pratica  per  la  riforma. 

Il  giorno  ly  giugno  1912,  la  Società  compi  una  gita  a  Cerveteri  per  vedervi  gli  scavi  importantis- 
simi compiuti  nella  necropoli  ad  incinerazione  dall' Ing.  Raniero  Mengarelli.  Dopo  aver  assistito  agli 
scavi,  i  gitanti,  visitarono  le  principali  tombe  a  tumulo  precedentemente  esplorate  e  quelle  recentemente 
aperte. 

fi  stalo  pubblicato  il  voi.  V  di  Ausonia  nel  giugno  lidi  e  si  è  allestito  il  presente  volume  da  pub- 
blicarsi entro  il  1012,  In  modo  da  rlguad;ignare  il  tempo  perduto,  e  di  rimettere  al  corrente  la  pubbli- 
cazione entro  il  presente  anno. 

La  .Società  li.i  preso  parte  al  Congresso  della  .\ssoclazionc  per  il  progresso  delle  Scienze,  tenutosi 
In  Roma  nel  settembre,  rappresentata  dal  membri  del  Consiglio,  proL  Pigorini,  Mariani  e  dott.  Pcltazzonl. 

La  Società,  d'accordo  con  le  altre  associazioni  artlslìche  e  archeologiche  di  Roma,  ha  partecipalo 
,illc  i|ucstiiinl  ,ii;it.itc  In  comune  ed  in  Ispeclc  a  quella  riguardante  la  sistemazione  di  Piazza  rMi.inii  i 


131  132 


ADUNANZE  SCIENTIFICHE  A  PALAZZO  DORIA 
ncH'anno   191 i 


9  Gennaio  ; 

A.  Vi:ntuki,  Opere  giovanili  del  Perittiino  tv.  L'Arte,  1911,  p.  53  scgg.). 

CoiiR.  Kkxi,  //  miracolo  di  S.  Domenico  della  Calzada. 

Il  Dott.  Corrado  Ricci  parlo  su  alcuni  lavori  Ji  Melozzo  da  ("orli.  Nella  chiesa  di  S.  Biagio  In  <]uclla  c\\\h  crede  il  Ricci 
di  poter  indicare  un'  opera  fatta  in  comunanza  da  Melozzo  e  da  Marco  Palmezzano.  cioè  la  decorazione  della  cupola.  Che  i  due 
pittori  abbiano  lavurato  insieme  si  desume  da  ciò  che  ha  scritto  testò  Luca  Pacìoll,  e  da  ciò  che  il  F^icci  stesso  ha  sapulo  ricavare 
dalle  cronache  di  Porli,  li  Ricci  crede,  che  Meloz^io  abbia  dato  il  disegno  e  Palmez/ano  la  povera  esecuzione.  La  data  dell'opera  può 
a  un  dipresso  desumersi  dal  soggetto  della  decorazione,  in  cui  si  vede  rafliguralo  un  miracolo  attribuito  a  San  Domenico  della  Cal- 
zada che  avrebbe  salvato  un  innocente  dalla  forca  a  cui  già  era  sospeso,  sostenendolo  sotto  ì  piedi  invisibile.  Il  miracolo  si  racconta 
come  avvenuto  nel  1491  nelle  cronache  forlivesi,  e  si  collega  alla  congiura  dei  cittadini  della  città  romagnola  contro  Caterina  Sforza 
e  suo  tìglio  Ottaviano  Riario.  Tra  i  congiurali  condannati  tu  certo  Giovanni  Montanari  di  cui  rifulse  1*  innocenza  appunto  bOtto 
alla  forca. 

23  Cjcnnaio: 

Ed.  Bricccia.  l^a  necropoli  di  Alessandria  (v.    Rapporf  sur  la   marche  dn   serx'ice  des  Muséc, 

Alexandrìe,   1912. 

Il  chiaro  direttore  del  Museo  di  Alessandria  d'  Egitto  illustrò  la  topogratia  e  le  tombe  più  insigni  dei  vari  gruppi  sepolcrali 
della  necropoli  alessandrina,  specialmente  fermandosi  sulle  tombe  con  rilievi  di  Kom  csc-Sciugafa. 

13  I-'cbbraio: 

Ad.  Vkxturi,  //  maestro  di  Raffaello,  (v.  L'Arte,  1911,  p.  139  seg.). 

G.  Caxtalamkssa.  //  busto  del  card.  Ginnasi,  opera  del  Bernini  (v.  Ballettino  d' Arte,  1911  p.  Si), 

27  Febbraio. 

L.   l'iGORiNi,  L' arte  figurata  nel  periodo  del  renne. 

L' illustre  scienziato  con  la  sua  parola  etlicace  e  con  1'  entusiasmo  che  egli  nutre  per  la  sua  scienza,  tratteggiò  a  grandi 
linee  il  tiuadro  dell' Kuropa  preistorica  all'età  paleolitica,  quando  compare  improv\-isamente  l'arte  figurata  delle  incisioni  e  della  scul- 
tura sulle  corna  di  renne.  li  un'  arte  primitiva  essenzialmente  realistica,  tna  espressa  con  tanto  brio  e  spirito  di  osservazione  da  as- 
somijjliare  ai  pupazzetti  dei  giornali  quotidiani , 

Passò  quindi  a  trattare  delle  sin:^olarÌssime  pitture  rupestri,  che  egli,  allontanandosi  dall'  opinione  corrente  fra  i  paletnologi 
francesi,  inclina  a  ritenere  di  epoca  più  recenti-,  e  a  connettere  con  le  influenze  venute  dal  Mediterraneo  anzi  che  con  le  correnti 
delle  civiltà  nordiche. 

L'argomento  interessantissimo  tenne  avvinta  l'attenzione  del  pubblico,  il  quale  ebbe  modo  di  ammirare  le  fedeli  riproduzioni 
di  soggetti  figurati  di  quell'arte  che.  pur  risalendo  ad  epoche  cosi  remote,  mostra  una  verità  e  una  spontaneità  quale  solo  si  riscontra 
nelle  arti  più  progredite. 

13  Marzo:  ] 

L.  SavictXoxi,  Minerva  Vittoria  (v.  Ausonia  V.  191(i  p.  60). 

30  Marzo: 

R.  Paribeni,  Divinità  niilitari  romane,  (v.  Bnlletin  de  la   Socictc   Arcliéologiqiie  d' Alexandrie. 
voi.   13.   lilll): 

A.  MuNo/,  Studi  sali'  arie  romana  del  Seicento,  (Martino  herabosco  e  Gianlorenzo  Bernini). 

Al  Herabosco  appartiene,  come  il  Muiì"/.  Ila  dimostrato,  la  meravij;liosa  decorazione  in  stucco  della  volta  della  cappella  Pao- 
lina al  Quirinale  fatta  eseguire  da  P.aolo  V.  e  che  andava  sotto  il  nome  dell' Algardi,  il  rivale  dì  Lorenzo   Bernini. 

Gli  stucchi  della  cappella  l*aolina  sono  uno  dei  più  importanti  monumenti  dell'arte  romana  del  seicento;  tutta  la  immensa 
volta  della  cappella  è  uno  scintillio  d'oro,  un  miracolo  di  decorazione.  Martino  i-erabosco  disegm»  anche  la  porla  principale  del  pa- 
lazzo Vaticano  (demolila  dal  Bernini  .|uando  .luesti  innalzò  il  grande  colonnato  di  S.  Pietro),  e  avc\a  pure  dato  un  disegno  pel  ta- 
bernacolo della  basilica  vaticana,  che  servi  pi)i  di  modello  al  Bernini. 


133  134 

Il  Munoz  passato  a  studiare  il  baldacchino  bcrniniano,  ha  sc(*nalJte  le  Inieresuntt  imitazioni  ch«  Jl  e%v>  si  feccrt>  pochi 
anni  dopo  a  Spello,  a  Foli[;no,  e  in  molti  paesi  della  pr'ivìncia  mmana.  Da  ultimo  il  confereniiere  ha  dato  n«Htiia  di  un  importante 
monumento  dell'arte  romana  del  seicento,  finora  icnolo;  una  cattedra  marmorea  del  Uernini.  da  t4uesti  e^eguiu  per  contenere  la  cat- 
tedra di  S.  Pietro,  e  abbandonata  poi,  quando  concepì  la  mole  di  bronzo.  Il  riconovimento  ii  «questa  bella  cattedra  decorala  ia  me- 
ravigliose teste  di  cherubini,  è  dovuto  a  G>rrado  Ricci. 

10  Aprile: 

Ettore  Cabrici.  Clima  preellenica  e  protogreca. 

\\  più  antico  nucleo  di  abitatori  sutl'  acropoli  di  Cuma  si  andò  formando  in  seguito  a  relazioni  commerciali  fra  i  navij^iori 
es:e(,  che  si  recavano  sulle  coste  della  Toscana  per  il  commercio  del  rame,  e  le  p'ipotaJoni  indicene  della  Campania.  Tali  rapporti 
commerciali  rimontano  alla  fine  del  secolo  xi.  In  gualche  parte  dell'  lulia  centrale  e  meridiijnale  la  prima  età  del  ferro  ridale  anctte 
più  in  là:  ma  Cuma  ben  presto  diventa  uno  del  più  importanti  fattori  di  questa  antichissima  civiltà,  che  ha  molti  elementi  dell'uttima 
fase  neolitica. 

I  Calcidesi,  stabilitisi  a  Ischia  in  età  remotissima,  dapprima  commerciarono  con  el'  Indigeni  di  Cuma.  importando  il  rane  e 
i  prodotti  delle  loro  industrie;  di  poi.  per  effetto  di  una  lenta  evoluzione,  k'' indiceni  proKreJiti  al  contatto  colCakiJesi,  lì  accol^mo 
fra  di  loro  e  vissero  insieme.  Questo  segui  vers'i  la  fine  del  secolo  nonu  avanti  Cristo.  La  ceramica  ielle  più  antiche  tombe  cre^he 
a  fossa  nella  necropoli  di  Cuma  presenta  numerose  affinità  cun  quella  delle  issile  dell'Egeo  e  con  quelle  iell'  Attica  «•  della  Htniljk. 
Essa  appartiene  alla  più  antica  industria  del  Calcidesi  di  Eubea.  e<d  è  anteriore  alla  ceramica  protiKorinzia  dì  Siracuvx  (V.  Gaiktm.i, 
Crani  sulla  origine  dello  stile  gromeltico  tU  Cuma  e  sua  ptvfiagazioH'-  in  /tulio,  in  A/tr*ti.  .ItV.  </i  -N'a/'*/i.  1911,  11,  p.  m  «ccC-K 

24  Aprile: 

VV,  Amelung,  Statue  antiche  del  Palazzo  Doria. 

II  Dr.  Amclung  parlò  sulte  statue  che  trovansl  appunto  nell'androne  del  Palazzo,  una  raccolta  mirabile  di  nonuncnti  losicnl 
di  scultura  antica,  che  in  pochi  saggi  ra  traversare  rapidamente  la  storia  dell'  arte  greca  Ix  Fidia  ai  tempi  romani.  L'  Amelung  Il- 
lustro con  dottrina  e  forma  smagliante  I.1  bella  raccolta,  eh?  si  e  resa  familiare  ai  frequentatori  per  la  liberalità  del  pruprietario.  pre- 
sidente della  Società.  E,  rievocando  In  occasione  del  Natale  di  Roma,  il  fascino  della  città  eterna,  rilevò  la  Inituenza  dell'  ambiente 
che  ci  induce  In  ogni  fatto  particolare  a  risalire  alla  generalità  J.i<><-  '•••.•■.n,.ni  porticulari,  come  ogni  episodio  delta  vita  di  Roma  e 
un  fatto  d' Importanza  universale. 

F.  HicKMA.viN,  Di  un  quadro  del  Sacchi  nella  (JalUriu  Nazionale. 

Lo  Hermanin  parlo  intorno  ad  un  nuovo  quadro  della  lialk'ria  Na/lonale  d  Arto  Antica  che  egli  ha  tratto  dall' oMlo,  r1v*> 
landone  l'autore,  il  Sacchi  F'avesc,  del  primo  quarto  del  .\vi  sec.  Il  qu.idro  rapprescnu  U  visione  del  B.  Tommaso  da  Cetano. 


.In.icoim  -  Anno  VI  . 


\  (  )  1  1  /  1 1 


Nel  corrente  anno  avran  luogo  parecchi  congressi  internazionali  ciie  interessano  spe- 
cialmente gli  studi  coltivati  dai  nostri  consoci. 

I, asciando  da  parte  il  Congresso  della  Storia  delle  Religioni  che  avrà  luogo  a  Leida 
nella  prima  metà  di  settembre,  e  quello  di  antropologia  ed  archeologia  preistorica  che  si 
terrà  a  Ginevra  dal  g  al  15  settembre,  meritano  speciale  menzione  i  due  congressi  che  si 
terranno  a  Roma  nell'ottobre  venturo:  il  III  Congresso  archeologico  internazionale,  dal  9 
al  16  ottobre  e  il  Congresso  di  Storia  dell'Arte  nella  quindicina  successiva.  Ci  facciamo 
un  do\ere  di  portare  a  conoscenza  dei  lettori  e  dei  consoci  le  norme  che  regolano  entrambi 
i  L( ingressi,  desunte  dai  programmi  recentemente  pubblicati. 

Come  fu  stabilito  nel  li  Congresso  tenutosi  al  Cairo,  Roma  è  sede  del  Ili  Congresso 
Archeoldgico,  il  quale  avrebbe  dovuto  aver  luogo  nel  191 1,  ma  fu  differito  per  toglierlo 
dall'eccessivo  condensamentu  di  feste  e  di  riunioni  dell'anno  giubilare. 


I   COXC.RUSSO    AkClIIiOLOCilCO    IXTI- k\  AZK  )\.\LI 

R  O  M  A  .  M  e  M  X  1 1 


COMITATO  D'ONORE  DEL  CONGRESSO 

PRKSIDENTE   D'ONORE: 
S.   M.   IL   RE   VITTORIO  EMANUELE   III. 

VICE   PRESIDENTI    D'ONORE: 

S    E.   IL   MINISTRO  DELLA   PUBBLICA  ISTRUZIONE. 

IL    SINDACO   DI    ROMA. 


S.  E.  il  Sotto  Segretario  di  Stato  per  la  Pubblica  Istruzione.  —  On.  Barone  Giovanni  Barracco, 
Senatore  del  Regno.—  On.  Prof.  Luigi  Bodlo,  id.  —  On.  Duca  Onorato  Cactani  di  Sermoncta,  id.  — 
On.  Prof.  Giovanni  Capellini,  id.  —  On.  Conte  Antonio  di  Prampcro,  id.  —  On.  Conte  Enrico  di  San 
Martino,  id.  —  On.  Prof.  Francesco  d'Ovidio,  id.  —  On.  Comm.  Giovanni  Mariotti,  id.  —  On.  Profes- 
sore Pompeo  Molmenti,  id.  —  On.  Conte  Nicolò  Papadopoli  Aldobrandini,  id.  —  On.  Conte  Pier  Desi- 
derio Pasolini,  id.  —  On.  Comm.  Oreste  Tommasini,  id.  —  On.  Duca  D.  Leopoldo  Torlonia.  id.  — 
On.  Marchese  Emilio  Visconti  Venosta,  id  —  On.  Prof.  Guido  Baccelli,  Deputalo  al  Parlamento.  — 
On.  Prof.  Felice  Barnabei,  id.  —  On.  D.  Leone  Caetani  Principe  di  Teano,  id.  -  On.  Prof.  Ettore  Cic- 
cotti,  id.  —  On.  Comm.  Edoardo  Daneo,  id.  —  On.  Dr.  Romeo  Gallenga,  id.  —  On.  Comm.  Roberto 
Galli,  id.  —  On.  Marcliese  Alfredo  Lucifero,  id.  —  On.  Prof.  Vittorio  Emanuele  Orlando,  id.  —  On. 
ProL  Luigi  Rava,  id.  -  On.  Dr.  Domenico  Ridola,  id.  —  On.  Avv.  Giovanni  Rosadi,  id.  On.  Avv. 
Antonio  Scano.  —  On.  Nob.  Dr.  Nello  Toscanelli,  id.  —  Donna   Ersilia  Caetani  Contessa  Lovatelli  — 


137 


i}8 


Comm.  Augusto  Castellani.  Direttore  Onorario  dei  Musei  Capitolini.  -  Prof.  Elia  La'.tes.  —  Prof.  Gia- 
como Luinbroso.  Il  presidente  della  R.  Accademia  dei  Lincei.  Il  Presidente  della  R.  Accademia 
di  S.  Luca.  —  Il  Presidente  dell'Istituto  Storico  Italiano.  —  Il  Presidente  della  Società  di  Storia  Patria. 
—  Il  Primo  Segretario  dclllstitulo  Archeologico  Germanico  in  Roma.  —  Il  Direttore  della  Scuola  .Ame- 
ricana di  Archeologia.  —  Il  Direttore  della  Scuola  Britannica  di  .Archeologia.  —  Il  Direttore  della 
Scuola  Francese  in  Roma.  —  Il  Direttore  della  Scuola  Spagnuola  in  Roma.  —  Il  Direttore  dcH'Istituto 
Austriaco  di  Studi  storici  in  Roma.  —  Il  Rettore  della  R.  Università  di  Roma.  —  Il  Preside  della  Fa- 
coltà di  Filosofia  e  Lettere  della  R.  Università  di  Roma.  —  Il  Presidente  del  Consiglio  direttivo  della 
Scuola  italiana  di  Archeologia.  —  Il  Direttore  della  Scuola  Archeologica  Italiana  in  .Atene.  -  11  Presi- 
dente dell'Associazione  Artistica  Internazionale.  —  Il  Presidente  della  Società  Italiana  di  .Archeologia  e 
Storia  dell'arte.  —  11  Presidente  della  Società  Italiana  per  il  Progresso  delle  Scienze.  --  Il  Direttore 
Generale  dell'Istruzione  Supcriore.  —  L'Ispettore  Generale  delle  Antichità  e  Belle  .Arti.  —  11  Direttore 
Capo  del  Segretariato  Generale  al  Ministero  della  Pubblica  Istruzione.  —  Il  Direttore  Capo  della  Divi- 
sione X  al  .Ministero  della  Pubblica  Istruzione.  11  Direttore  Capo  della  Divisi. me  .\.l  al  Ministero 
della  Pubblica  Istruzione.  —  L'Ispettore  Centrale  per  le  Antichità  e  Belle  Arti.  —  Il  Sopraintcndente 
alle  Gallerie,  ai  Musei  medioevali,  e  agli  Oggetti  d'arte  in  Roma.  —  Il  Sopraintcndente  per  la  Conser- 
vazione dei  Monumenti  di  Roma. 

COMITATO   ORDINATORE 

PRESIDENTE: 
Dr.  Corrado  Ricci,  Direttore  Generale  delle  Antichità  e  Belle  Arti. 

VICE  PRESIDENTI: 

Ardi,  (jiacomo  Boni,  Direttore  degli  Scavi    del    Foro    Romano    e    del    Palatino.  —  Prof.  Federico 
Halbherr  della  R.  Università  di  Roma.  -    Prof.  Emanuele  Loew.v  della  R.  Università  di  Roma. 

AVE.MBRI: 

Prof.  Giuseppe  Bellucci,  Perugia.  —  ProL  Giulio  Belocli  della  R.  Università  di  Roma.  —  Barone 
Gian  Alberto  Blnnc,  Uorna.  —  Prof.  Luigi  Cantarelli  della  R.  Università  di  Roma.  —  Prof.  Pompeo 
Castelfranco,  R.  Ispettore  Onorario  degli  Scavi  e  Monumenti  in  Milano.  —  Prof.  Luigi  Ccci  della 
R.  Università  di  Roma  —  Dr.  Arduino  Colasanti,  Roma.  —  Prof.  Giuseppe  Colini.  Direttore  del  .Musco 
Nazionale  di  Villa  Giulia,  Roma.  —  ProL  Alessandro  Della  Seta,  Ispettore  al  .Musco  Nazionale  di  Nllla 
Giulia.  -  Prof.  Giulio  De  Pietra  della  R.  Università  di  Napoli.  —  Prof.  Gaetano  De  Sanctis  della 
R.  Università  di  Torino.  —  Prof  Giuseppe  Gatti,  Roma.  —  Prof.  Gherardo  Ghirardini  della  R.  Univer- 
sità di  Bologna.  -  ProL  Ignazio  Guidi  della  R.  Università  di  Roma.  —  Prof.  Arturo  Isscl  della  Kegia 
Università  di  Genova.  —  Ing.  Raniero  Mengarclll,  Direttore  dell'Ufficio  per  gli  Scavi  nei  .Mandamcnil 
di  Civitavecchia  e  Tolfa,  Romi.  —  Prof.  Luigi  Adriano  .Milani  del  R.  Istituto  di  Studi  superiori  in  Fi- 
renze. -  Prof.  Paolo  Orsi,  Sopraintcndente  agli  Scavi  e  Dircttor  •  del  .Museo  di  Slrrcusa.  —  Prof.  Et- 
tore Pais  della  R.  Università  di  Napoli.  -  ProL  Roberto  Parlbcni,  Direttore  del  .Museo  Nazionale  Ro- 
mano. -  Cav.  Angelo  Pasqui.  Direttore  dcU'Ulficlo  per  gli  Scavi  di  Roma,  nel  La/io  e  della  Provìncl.i 
di  Aquila,  Roma.  Prof.  Giovanni  Patroni  della  R.  Università  di  Pavia.  —  Prof.  Giuseppe  Pellegrini 
della  R,  Università  di  Padova.  -  Prof.  Quintino  Quagliati,  Sopraintcndente  ai  .Musei  e  Scavi  di  Ta- 
ranto. —  ProL  Giulio  Emanuele  Rizzo  della  R.  Università  di  Torino.  —  Prof.  Antonino  Salinns  della 
R.  Università  di  P.ilermo.  --  ProL  Ernesto  Schiaparelll,  Sopraintcndente  al  .Musei  e  Scavi  in  Torino. 
-  Prof.  Antonio  Sogliano  della  R.  Università  di  Napoli.  -  ProL  Vittorio  Splnazzol.i.  Sopr.iinlcndcnlc 
ai  Musei  e  Scavi  di  Napoli.  -  Cav.  Enrico  Stefani.  Ispettore  presso  il  .Mu-  v  lalc  di  Villa 
Giulia,    -     Prof.  Antonio   Taramclll,    Sopraintcndente   .li    .Musei  e  Scavi  per    Li  C.i(jllarl.   — 

ProL  Dante  Vaglicri  della  R.  Università  di  Roma.  Direttore  degli  Scavi  di  Osti  i  .\niu...  ProL  Adolfo 
Venturi  della  R.  Univeisllà  di  Roma. 

SEllRETARIO  GI^NI  R.\l  I 
l'idi.  Lucio  Mariani  della  R.  UnlvcrsllA  di  Pisa. 

SEUMETAWI : 
Dr.  Giulio  Quirino  (ilglloll.    -  Prof.  Antonio  Mui-ior  —  Dr.  Frani  Pcllall,   -    Dr.  AUlllo  Ro$$L 
Dr.  Giorgio  Stara  Tedde. 


I  ]<> 


COMITATO   ESECUTIVO  E  SEZIONI 


Si;/.  I.    —   Archeologia  preistorica  e   protostorica. 

l'resident".-  -  l'rof.  Gii  s.  A.N(;i;i.(>  Coi.r.si. 

Se>;rct.irio  -  l'rof.  Antonio  Taka.mki.i.i. 

»  -  l'rof.  l'iarone  <•.  Aliiickto  Bi.anc. 


Si;/,.  11.   —  Archeologia  orientale. 

Si;z.  111.   —   Archeologia  preellenica. 

Si;z.  1\'.          Archeologia   italica  ed  etnisca. 

Si;/.  \'.   —    Storia  dell'Arte  classica. 

Skz.  \'I.    —   Antichità  greche   e   romane. 

Skz.  \'II.   -     Epigrafia  e   Papirologia. 

Sii/.  Vili.  —  Numismatica. 

Si-;/.  IX.   —   Mitologia  e   Storia  delle   Religioni. 

Si;/.  X.      -  Topografia  antica. 

Sez.  XI.   —  Archeologia  cristiana. 


Prcsidenle  -  Prof.  Ekxicsto  Sciiiai'AKKI.ij. 
.SL-grelario    -   I  )olt.   ('■idkiìih  I.i;vi  Di-.i.i.a  \'iija. 

rri-sideiile  -   Doli.   I.rici   Pkk.nikk. 
Segretario   -  Uott.  Amkijko  .\Iaiiki. 

»  -    Dolt.    Gol-j-KKlJO    Bli.NlJl.\KLI,l. 

ff.   l'residente  -  Prof   Lrcio  Mariani. 

Presidente  -  Prof   IC.ma.mki.k  Lokwv. 
Se.sjretario   -   Dott.   liiii.io  y.   Gici.ioi.i. 

Presidente  -  Prof   ICrroRic  Pais. 
Segretario    -  Dott.  GiiDO  Calza. 

»  -   Dott.   PiKTRO   Paolo   Tko.mi'Iìo. 

Presidente  -  l'rof.  Dami-;  X'aglieri. 

Segretario   -  Dott.  Giova.n.m  Costa. 

»  -  I  I-POLITO  Galante. 

l'residente  -   Prof.   .Antonino  Salinas 
Se.gretario   -  Prof.   IviroRic  Gap.rici. 

Presidente  -   Prof.   I(;na/io   Giiui. 
Segretario    -  Dott.   Liic.i  Salvatorelli. 
»  -  Dott.  Rakfaelle  Pettazzo.m. 

Presidente  -  Ardi.  Giacomo  Boni. 
Se.s:relario    -  Dott.  Giuseim'E   Frola. 
»  -  Dott.  Alkonso  Bartoli. 


l'residente  -  Prof.  Adolfo  Ve.ntiri. 
Segretario    -  Dott.  Giiseppe  Ciltrera. 
.Sic/.         XII.   —   Organizzazione  del  lavoro  archeologico. 

Presidente  -  Prof.  Emamele   Loewv. 
Sesrretario    -  Dott.   Marino  de  Szo.mbathélv. 


HI  142 

Il  Comitato  pubblicherà  a  suo  tempo  l'elenco  dei  temi  ammessi  alla  discussione  e  la 
loro  distribuzione  nelle  varie  sezioni.  In  temp<j  utile  ne  sarà  data  personale  partccipaziiinc 
ai  proponenti.  I  temi  saranno,  secondo  la  loro  indole,  discussi  in  sezioni  sinjjolc  o  in  due 
o  più  sezioni  riunite.  La  linjjua  ufficiale  del  Conjjresso  è  l'italiana.  I  congressisti  potranno 
servirsi  nelle  loro  comunicazioni  di  qualunque  lingua.  Il  Comitato  si  riserva  di  tenere  conto 
nei  processi  verbali  soltanto  di  quei  discorsi,  che  i  segretari  saranno  in  «rado  di  riassumere. 
Un  regolamento  speciale  disciplinerà  le  discussioni  e  le  pubblicazioni  deijli  Atti. 

Dei  seguenti  temi  d'indole  generale  il  Comitato  ritiene  upptjrtuna  la  discussione  nel 
presente  congresso: 

Se/..       I.  —  1)  L'origine  dclln  civiltà  del  ferro  in  Italia. 

2)  La  civiltà  preistorica  della  Sardegna. 

3)  Rapporti  fra  K:  antichità  preistoriche   e    protostoriche   della    Sicilia    e    dell' Italia 

meridionale. 

Si:/..      11.  —  I  monumenti  dell'Egitto  e  dell'Asia  anteriore  come  criterio  cronologico  e  artistico 
della  civiltà  egea. 

Su..     III.    —   1 1  Se  ed  in  quanto  le  scoperte  minoiche,  posteriori  al  1905  possano  modificare  le 
conclusioni  di  Arturo  J.  Evans  nel    suo  scritto  :       Essai   de   classilìcation   des 
époques  de  la  cìvilisation  minocnne  >. 
2)  In  che  consista  la  evidenza   degl'influssi   dell'Oriente   preelicnico   sui   paesi  del 
bacino  occidentale  del  Mediterraneo. 

Si:z.     IV.  —  Le  iirigini  della  civiltà  etrusca. 

Si;/.      V.  —  II  problema  dell'arte  romana. 

Si;/,     vi.  —  1)  Le  cinte  e  i  territori  delle  antiche  città  d'Italia  come  elemento  di  ricerca  etnografica. 
2)  In  qual  misura  la  civiltà  romana   ha    trasformato   le   civiltà    locali   delle   diverse 
Provincie  dell'  Impero. 

Si:z.  VII.  —  1)  Della  necessità  di  dare  agli  studi  storici  romani  un  più  ampio  fondamento  cpl- 
grnlico  non  solo  nel  campo  critico  ma  ben  anche  e  l)en  più  in  quello  rleo- 
struttivo. 
i)  Sui  progressi  conseguiti  finora  negli  studi  di  diritto  antico  merci  l'uso  delle 
fonti  papirologichc  e  sulla  necessità  di  diffonderne  la  conoscenza  mediante 
l'insegnamento. 

Si/    \'III.        Quale  deve  essere  l'indirizzo  della  Numismatica  perche  esso  risponda  alle  condi- 
zioni presenti  degli  studi  di  archeologia  e  di  storia. 

Si./..     IX.        1)  Dei  nionumenli  religiosi  hetlici  e  delle  loro  evcntunll  relazioni  colle  civili.^  del 
bacino  del  Mediterraneo. 

2)  Rapporti  fra  la  mitologia  egco-miccnca  e  la  mitologia  ellenica. 

3)  Credenze  di  carattere  astrale  e  cosmico  nel  monumenti  dell'ct.^  Imperiale. 

Si         \         I)  Coordinamento  degli  studi  ed  esplorazioni  sulle  l'irti-  e  Limitfs  dell'Impeto. 

1)  Vcstigin  di  antiche  divisioni  agrarie  ed  urbane  in  alcuni  territori  e  cltt.^  d' Italia. 

Si./.     XI.    -  Quali  materiali  e  quali  impulsi  abbiano  dato  Roma  e  l'Oriente  all'arte  cristiana  sulla 
line  dell'  l'!vo  antico. 

Si./.    XII.  -     I)  Dibliogralia  archeologica. 

2)  Accordi  relativi  a  pubblicazioni  nrchcologiclic,  riproduzioni  folograflche  e  dia* 

positivi. 


U)  144 

Nel  periodo  Jfllo  st'clute  Jd  Con^^resso  avranno  liiojio  visite  ai  monumenti  di  Roma 
e  J<i  dintorni.  In  esse  saranno  pruhatti! mente-  comprese-  yite  aj^li  scavi  di  Ostia  e  dì  Caere. 

Il  Comitato  prov\ederà  inoltre  a  che,  dopo  la  cliiiisura  del  Conj,'resMj,  i  conjiressisti 
possano  partecipare  ad  escursioni  in  comitive  in  altre  parti  archeolo^^icamente  interessanti 
d' Italia.  Così  si  stanno  orj^anizzando  una  i;ita  in  Sardejjna  ed  un'altra  nella  Mayna  Grecia 
e  Sicilia,  per  le  quali,  dovendo  contenersi  in  certi  limiti  il  numero  dei  partecipanti,  si 
ricevono  fin  da  ora  le  adesioni. 

Le  esclusioni  dureranno  circa  10  j^iorni  ciascuna  e  la  spesa  di  ciascuna  si  af{girerà 
intorno  alle  300  lire. 


Sono  liià  state  accordate  concessioni  di  ribasso  dalle  Ferrovie  italiane  di  Stato 
(40-60  "o  sulla  tariffa  />'i  e  dalle  Ferrovie  sarde,  nonché  da  quelle  ini»lesi  (South  Eastern 
and  Chatham  RaiK\a\-  :  Londra-Parigi,  andata  a  tariffa  intera  con  ritorno  jjratuito),  fran- 
cesi (Paris-Lyon  Mediterranée  :  50  %  sulla  tariffa  ordinaria),  russe,  ecc.,  come  risulterà  più 
precisamente  dalle  comunicazioni  nel  prossimo  Bollettino,  essendo  tuttora  in  corso  alcune 
trattative. 

Un  Comitato  di  signore  e  signorine  avrà  cura  di  ricevere  le  signore  dei  congressisti 
e  accompagnarle  nelle  visite  ai  monumenti. 


Ogni  congre.ssista  riceverà  una  tessera  di  riconoscimento  ed  un  distintivo. 
Le  tessere  dei  congressisti  (L.  20)  e  delle  signore   della    loro  famiglia  (L.    io)  danno 
diritto  a  : 

1)  usufruire  dei  ribassi  ferroviari  che  sono  e  saranno  concessi; 

2)  partecipare  alle  sedute  del  Congresso  ed  ai  festeggiamenti  che  verranno  offerti 
ai  congressisti  ; 

3)  fruire  dell'ingresso  gratuito  ai  musei,  gallerie,  scavi  e  monumenti  governativi  in 
tutto  il   Regno  per  il   mese  di   Ottobre; 

4)  fruire  dell'ingresso   gratuito    ai    musei    comunali  di  Roma  per  lo  stesso   periodo 
di  tempo  ; 

5)  partecipare  alle  gite  che  verranno  offerte  ai  congressisti; 

5)  partecipare,  secondo  le  condizioni  che  verranno  stabilite,  ai  viaggi  eventuali  che 
si  intraprenderanno  in  occasione  del   Congresso. 

Inoltre  i  congressisti  effettivi  a\ranno  diritto  a  un  esemplare  degli  Atti  del  Congresso. 


Corrispondenze,  adesioni  e  quote  d'iscrizione  vanno  dirette  al  Segretario  Generale: 
Prof.   LUCIO  MARIANI 
presso  la  Direzione  Generale  delle  Antichità  e  Belle  .Arti 

ROMA    —    Piazza    Venezia,     11. 

Le  rice\ute  delle  quote  versate  vengono  spedite  immediatamente  agli  aderenti.  A  coloro 
che  avranno  versato  la  quota  saranno  inviate  le  tessere  in  tempo  utile  per  fruire  dei  van- 
taggi sopraindicati. 


145 


146 


X   a).\(.l<l:SS()    I.Xri-kNAZIoNAIJÌ 

DI    STORIA    DI-LI/. \R'ri:    [\    RnM  \ 

SOITO  LA  PRKSIDliNZA  ONORARIA  DI  S.  M.  VITTORIO  tAlANUiiLE  III, 

RE  D'ITALIA 
XVl-XXI  OTTOBRE    MCMXII 


Roma  è  sede  del  X  Congresso  per  voto  degli  storici  dell'Arte  convenuti  in  Monaco 
di  Baviera,  nel  settembre   1909. 

Le  adunanze  si  terranno  dal  16  al  21  ottobre  1912  nelle  aule  della  Reale  Accademia 
de'  Lincei  a  palazzo  Corsini. 


Nella  prima  adunanza  il  Congresso  mirerà  a  determinare  la  posizione  che  la  Storia 
dell'Arte  medievale  e  moderna  deve  assumere  di  fronte  alle  discipline  storiche,  ciò  che  poi 
è  la  determinazione  anche  de'  suoi  metodi,  de'  suoi  tini,  del  suo  grado  di  sviluppo. 

Nella  stessa  prima  adunanza  si  tratterà  del  posto  assegnato  alla  Storia  dell'Arte  nelle 
Università,  negli  Istituti  superiori  e  politecnici,  nelle  scuole  medie,  nelle  Accademie  di  Belle 
Arti  e  nei  Seminari  ecclesiastici;  e  si  discuterà  sui  mezzi  più  acconci  e  sui  metodi  speciali 
da  adottarsi  per  attuarne  cou  la  maggiore  efficacia  l'insegnamento. 

Il  lavoro  storico  artistico  del  Congresso  si  s\i)lgerà  nelle  riunioni  successive  sui  rapporti 
artistici  interniizionali,  e  particolarmente  su  quelli  dell'Italia  con  gli  altri  paesi;  su  problemi 
generali  di  metodo  e  di  ordinamento  dell'opera  degli  studiosi. 

I  discorsi  e  le  discussioni  si  terranno  nelle  seguenti  sezioni  : 

i''  Storia  dell'Arte  paleo-cristiana  e  medievale  sino  a  tutto  n    ireccnto; 
2'  Il  Quattrocento; 

3*  Storia  dell'Arte  dal  Cinquecento  sino  ai  Contemcniranei  ; 

4'  Metodica  storico-artistica;   provvedimenti  generali  per  le  opere   d'arte;   ricerche 
di  tecnica  artistica;  organizzazione  del  lavoro  comune. 

II  Comitato  centrale  d'accordo  con  la  (ìiunta  esecutiva  eleggerà  i  relatori  dei  temi  dì 
generale  importanza  da  esporsi  nelle  riunioni  plenari»*. 

Nel  Congresso  si  ammette  l'uso  delle  lingue  itali.uKi,  '.  ^pagnol.i. 

A  complemento  del  lavoro  del  Congresso,  si  tarani  „  , 

Mostra  di  riproduzioni  foloincccanichc  a  una  o  più  Unte  per  illuslrazionf  di  optrt  Ji 
Storia  artistica. 

J/ostra  di  /•  ■■ '■  '  di  puóó/iiii  Ufi    o  no,  relativi  allf  indagini  di 

Storia  artisliia. 

Mostra  delle  pubbli  ti'  1  reperibili  in  ioni  mere  io  prixMle 

e  di  vendila,  pnbòlieaziont  nuotali,  omaf^t;!/. 


147  '48 

.ìfflsìra  di  lifii  di  raiia  adatti  />er  libri  di  Storia  dell'  Arte,  tali  che  ne  assicurino  la 
durala  e,  ad  un  tini/ìo,   la  nitidezza  delle  riproduzioni  folo-lipografiche. 

Per  i  mij^liori  espositori  della  prima  e  Jell'  ultima  mostra  il  Ministero  d'Agricoltura, 
Jeiriiuiustria  e  del  Commercio  assejjnerà  grandi  medaglie  d'oro. 

Per  i  bibliofili  che  meglio  avranno  concorso  alle  altre  mostre,  il  Congresso  assegnerà 
un  diploma  d'onore. 

Nella  prima  adunanza,  dopo  il  discorso  inaugurale  di  Adolfo  Venturi,  si  svolgeranno  i 
temi  relativi  all'insegnamento  della  Storia  dell'Arte  dai  seguenti  iscritti:  F.  Benoit,  Arduino 
Colasanti,  Cj.  Giovannoni,  Guglielmo  Pacchioni,  Giulio  Pasteiner,  M.  de  Benedetti. 

Nella  3''  edizione  del  programma  sono  pubblicati  i  principali  temi  di  discussione  con 
i   nomi   dei  relatori. 

l.a  tassa  d'iscrizione  a  membro  effettivo  del  Congresso  è  di  L.  25  (marchi  20,  lire 
sterline   i)  e  quella  per  ogni  signora  della  famiglia  del  congressista  è  di  L.   io. 

Per  gli  studenti  muniti  di  tessera  universitaria  la  tassa  è  pure  di  L.   io. 

Ogni  congressista  che  abbia  pagato  la  tassa  d'iscrizione  ne  riceverà  regolare  ricevuta 
ed  a\TÙ  poi  una  tessera  di  riconoscimento  che  gli  darà  diritto: 

i)  ad  usufruire  dei  ribassi  ferroviari  che  sono  e  saranno  concessi.  (Per  ora  sono 
stati  concessi  :  dalle  Ferrovie  italiane  dello  Stato  la  tariffa  differenziale  B  con  riduzione  del 
40  al  60  per  cento;  dalle  ferrovie  inglesi  [South  Eastern  and  Chatham  RaiKvay]  il  viaggio 
Londra-Parigi  con  andata  a  tariffa  intera  e  col  ritorno  gratuito;  dalle  Ferrovie  francesi 
Paris-Lyon-Mediterranéej  la  riduzione  del  50  per  cento  sulla  tariffa  ordinaria;  dalle  fer- 
rovie ungheresi,  *icc.  si  attendono  concessioni  speciali); 

2)  a  partecipare  alle  sedute  del  Congresso  ed  ai  festeggiamenti  che  verranno  offerti 
ai  congressisti  e  che  saranno  precisati  nel  programma  definitivo; 

3)  a  fruire  dell'ingresso  gratuito  nei  musei,  gallerie,  scavi  e  monumenti  governativi 
d'Italia  per  tutto  il  mese  di  ottobre  ; 

41  a  fruire  dell'  ingresso  gratuito  ai  musei  comunali  di  Roma  per  lo  stesso  periodo 
di  tempo  ; 

5»  a  visitare,  con  qiielle  nonne  che  verranno  stabilite,  le  principali  gallerie  pri\'ate 
generalmente  non  aperte  al  pubblico  e  di  difficile  accesso,  per  cui  la  Giunta  esecutiva  ha 
ragione  di  sperare  un  permesso  speciale; 

61  a  partecipare  alle  eventuali  gite  che  verranno  offerte  ai  congressisti: 

7)  ad  un  esemplare  degli  atti  del  Congresso. 


La  Giunta  esecutiva  pubblicherà,  nel  regolamento  del  Congresso,  informazioni  circa 
l'uso  che  i  congressisti  potranno  fare  nel  loro  soggiorno  a  Roma  di  biblioteche  e  di  altri 
istituti  per  agevolare  le  loro  ricerche  speciali.  Così  la  Giunta  stessa  nell'inviare  le  tessere 
ai  congressisti  darà  schiarimenti  circa  gli  alloggi  (in  alberghi  0  pensioni)  disponibili  durante 
la  durata  del  Congresso,  talché  il  soggiorno  a  Roma  sia  loro  in  ogni  modo  facilitato. 

Per  il  pagamento  delle  tasse  d'iscrizione  0  per  ogni  richiesta  0  schiarimento  rivolgersi  a 

ROBERTO   PAPINI 

Segretario  generale  del  X  Congresso  Internazionale  di  Storia  dell'.Arte 

ROMA,  Palazzo  Corsini  alla  Lungara. 


149 


I50 


COMITATO    D'ONORE    DEL    X    CONGRESSO 


S.  M.  MTTORiO  EMAXL'ELH  Ili,  RE  D'ITALIA,  PRESIDHNTE 
S.  E.  IL  PkOF.   LUIOI  CREDAHO,   MINISTRO  DELU  ISTRUZIONE:   VICE-PRESIDENTE 


S.  E.  II,  Ministro  dkoli  Estkki 

S.  E.  II,  Ministro  di  AokicoLTCRA.  1n- 

nrSTKIA    K  Co.MMKKCIO 
S.    E.  II,  SoTIOSKOKKTARIO  IH  StATO  PKR 

(.LI  Appari  Iìstkri 
S.  E.  II.  SorrosK(;RKrARio  ni  Stato  pkk 
i.'Istkczionk 

II.    SlNI>A<:o    DI      kuMA 

I  l'RKSIDKNTI  : 

(le  la  K,  Accademia   «lei   LìiiCtri 
dulia   K.    Accademia  dì  San   I.iira 
dell'  IsiìtulQ  Storico  Italiano 
della    K.    Società    Koniatta    di    Storia 

Patria 
(Iella  lusitane  CotiKreKa^ione  Artistica 

tiei  ViriiioM  al   Paiiihcnn 
clell'Associa/ioiic  Artistica  Iiitcniaz. 
dell'  AssociazioiiL*    Artistica    fra  i  cul- 
tori deirArcliitctliira 
Jella  Sotiet^   FiluJ.iEica   Koiitaiia 
della    Società    degli    Ingegneri  eil  Ar- 

ciiilcttl 
dell'A-ssocia/.ioiic  per  la  Cultura  Ani 

listila  Na/ioiiak- 
della    Società  Italiana  di  Archeologia 

e  Storia  «IflIArte 
della    Società    degli    Amici    di    Castel 

Saiit'AtiKcIo 
della  Società  Italiana  iwr  II  Progresso 

ilelle   Scienze 
della    Scuola    ili    Storia  dell'Arte  nic- 

diticvalc  e  mnderiin 
della  Scuola  Arctitrologica 
del    Consiglio  Nazionale  delle   iJoiiiic 

italiane 

II  Ki-rroRK  MAt.Nii'U'o  delta  R.  Inivcr- 
sìtà  flt   Konia 

I     Ì)IKI-.  TTORI  : 

del    Srgrelariato    Ctnerale    del    Mini- 
stero dell'  Istru/ione 
de  r  hliiuto  Storico  Prussiano 
dell'  Ittitulo    ArclienloKicii  («ermanlco 
della  Scuola  Urtt«iintca  eli   Kotna 


della  Scuota  Americana  di  Studi  Clas- 
sici 
dtflla  Scuol:i  Kraiice^  di   Roma 
dell' Uiiluto  Storico  Olandese 
de'la    Scuola   Spagnoia  d'Arclieot->gia 

e  Storia  dcHA'tc 
dell'  Uiìtuto    Austriaco   di    Studi   Sto- 
rici 
dell'  Istituto  Storico   Belga 
del   Musco  PreiHtorico  e  Kircheriann 
del   Musco  N'azionale  delle    Tcrnii: 
della  Biblioteca  Naziutialc    Vittorio 

Mmanuelc 
del   K     Ar-Miivio  di  Sia  o 
della  Kihiìo  eca  Ca>auatciise 
della    Galleria    .Nazionale   d'Arte  mo- 
derna 
degli  Scavi  al   l**oro  Romano 
del   Museo  di  Villa  t*iulia 

KAf.i':siR\  coinin.  a.v.  Giacomo,  senatore 
ilei   Regno 

HakraìCo  barone   Roberto,    seiiatote  del 
Regno 

RdDUi  prof.   Luigi,  senatore  del  Regno 

ItoN ASI    conte    prof.    Aflewlato,   senatore 
del    Regno 

Hosi.ij.i  conte  Patdo.  senatore  ilei  Regi>o 

Croci-,  comm.  prof,   Itenedetio,    senatore 
del   Regno 

DoRiA   Pami'IIH.i  pritici|ic  Alfonvi.  sena- 
tore del    Regno 

Lanciam  prof,  cuinm.   Rodolfo,  citatore 
del    Regno 

MiciiKi  II  Lonim.  prof.  Kranceaico  Paolo, 
•lenatore  del   Regno 

Moi.Mi-.Mi    comm.    prof.   Pumi»eo,  sena- 
tore ilei   Regno 

Mmm  i:m-.ki>i-    coinni,  prof.  Giulio,  sena- 
lorc  del    Regno 

Pasolini    conte    comm.    Pier    Dc^idef io, 
senatore  del   Regno 

San  Makiino  k  Vai.I'I.Koa  conte  Kiiiico. 
senatore  del  Regno 


TOM3IASIN1  comm.  Oreste,  senatore  del 
Regno 

ToKLONiA  duca  Lco|M>ldo,  senaiure  del 
Regno 

Visconti  \>..n»>ìta  S,  K.  marche^:  Krai- 
liu.  senatore  del   Rc^o 

UhKTOi.iM  doli.  Pietro,  deputalo  al  Pair- 
1  amento 

Camkhim  conte  doti.  Paolo,  deputalo  al 
Parlameiitu 

FKADhiuro  i»rol".  comtu.  Antonio,  depu- 
tato al   Parlamenlo 

Gaii>.N('A  Stl^art  hob.  Romeo,  dc(>u- 
tato  al   Parlamenlo 

Gi4fv  ANhLi.1  princi|*c  Alberto,  deimtalo 
ni  Parlameiiio 

Lt'ciKKHit  marchese  AlfouM»,  de|*uiato  al 
Parlamenlo 

MAitri.M  p'of.  comm.  h'erdtnando.  Ue|>u- 
lato  al  Parlamento 

RvvA  prof.  comm.  Luigi,  deputato  al 
Parlamento 

RiiML'ssi  nv'v.  Carlo.  <!c|tulato  ad  Parla- 
mento 

RosADi  avv.  Ciovanai.  deputalo  al  Par- 
lamento 

Si  \Hiii  conte  Gianforte,  deputato  al  Par- 
lamento 

Tom'anmi-I  dott.  Nello,  depu'ato  al  Pac- 
lamento 

ViAX/i  prof.  av%.  Pio,  ileputalo  al  Par* 
lamento 

S.   A.   R.  Il   Plincipe  di   Hulou 

L«^VAT^tl1  **^^T^^'(  d'»MMa   Kr«llia 

litui  \ 

.Mas 


.\li<Ni>t    MIMIMI      |i(>>l.     LttkCUU 

S\KioHi<>    pTol.   AiKtide 


COMITATO   PKKMANENTE   DEI   CONGRESSI   DI  STORIA  DELL  ARTE 

Rudolf  Kai  r/^Lii   lll^«.■^l.llll,  finsidiii/i- 

A.  «  .m.DsiiiMiDr  (lU-rlino),  vin-  piYsiiliiili-  —  K.   K<iktscii.\<'  i  Merlino)  ì«-a''W'»''/" 

A.   W'akiuki;    (Aml)iirKo).  tfsorieif 

A.  Aiiii-KC  (Christiai)ial    -    (1.  Ci.hmk\  iHonn)    -    C.  niuiiisuN  (Luiulra)   -    M.   I»v<>ì<ak   ì\'k-iiii.i) 

A.   IIasi;i.<>i-|-  (Ki>iiia)  -  C.   Hoksti-;!»!-:  hk  Okiihi' (llaiiu)  -  M-  W-  ScMMiiMMunafo  ili  ll.ixivr.i) 

IL  'riniin;  ((  lardoni- 1   -    A.  \'kn  riki  (Roiiiai  ■    11.   WOi.iri.iN  (MoniKo  ili  liavirra) 

COMITATO  LOCALE  ORDINATORE 

Ailiilli'   ItKkTiNi-CAi.ossn  •    Manaiiii  lliiKi.Ai  n        Leone  Ivi  r  ani    ■    limilo  Cam 
l'iftro     D'AoiiiAKiii    -    Curio   i>i'    Hiiiu    -   Mons.    I.iiìkì    Pi  >'ii;  m  disin,.  i 

Arturo  II AsKi.iii'i"  -   l-Vili-rii'o  Hirmamn    •   Koilollo  l 
Aiitotiio  Mi  >?(!/  -  llciirv  NuLsiiN  ^'^\\  -  J.  .\.  F.  Okiiaan  -  K^' 

Corrado  Kicci  -  KiiK^niii  SruoNc;  -  Aduifu  Vk.nti'Hi  •  Mimo.  ttiiincpiH?  Wii.i-kki 


GIUNIA    ESECUTIVA    DEL   COMITATO   LOCALE  ORDINATORE 


Vl-.Mi    11      -      Il  V  .. 
Ihiiihiii  •  Ann»  VI 


I'AI'INI. 


INDICE  Dl-L  VOL\'ME  \I 

MCMXI 


TSS»®^ 


CARICHF.  VFFICIAI.I  PHP  L'ANNO  1912   P.ij;.        Ili 
ELF.NCO  DHI   SOCI »         V 

BKNDINF;LI.I  Dr.  GOFFRHDO  -  Un' antici 
st.-ituetta  di  bron/i)  rnppresentnnte  una  poe- 
tessa       ...»       88 

Cantarelli  Prof,  lvigi  -  li  P.itrizio  Li- 
berio e  l'imperatore  Giustiniano      .     .     »       12 

COSTANZI  Prof.  VINCENZO  -  Tr.idizioni  ci- 
renaiche   »       27 

GIGLIOLI  L)r.  GIVLIO  Q.  -  N<ite  archeolo- 
giche sul  l.atlum  Novum »       jq 

GVIDI  Arch.  PIETRO  -  Il  restauro  della  Lor- 
Hia  e  del  Palazzo  papale  di  Viterbo      .     »      117 

KIELLBERG  ProL  I.FNNAKT  -  Il  Trono  Lu- 
dovici e  il  monumento  corrispondente.     »     101 

MAIVKI  Dr.  AMEDEO  -  Arcan.i  Cum.ina  - 
Un  disco  oracolare  Cumano     ....■<         1 

Minto  Or.  Antonio  -  Terrccotte  cretesi. 
Contributo  allo  studio  dei  v.isi  con  forme 
umane »     108 

MORETTI  Dr.  (JIVSEPFE  -  Rilievo  «reco- 
arcaico  rappresentante  una  corsa  di  cav.i- 
lieri 147 

PariiiHNI  Dr.  KoBEHTO  -  Un  nuovo  ritr.ilto 
di   Nerone »       ìi 

SCACCIA  SCARAIONI  Prof.  CAMILLO  -  Un 
nuovo  .irtist.i  Sulmonese  In  una  croce  pro- 
cessionale di  Veroli »     IS4 

VAIilbT.X: 

(iKil.lOLI  Dr.  tilVI.Io  f.).  -  Un'eplKrafe  ro- 
mana di  S.  M.  sopra  Minerva 

Maivri  Dr.   AMI. DIO  -  A  pri'p.- 
raflÌKtir.i/ione    simbolica    In    un'i-».ii 
«reco-crlstian.i  del  Mu^eo  Plo-I  aler.mcii  • 


SCAVI  : 

BENDINELLI  Dr.  GOFFREIX)  -  Fram:iienti 
architettonici  deirAnliteatro  di  Gortyna.  •       .77 

Maivri  Dr.  AA\EDE0  -  Ricerche  intorno  al- 
l'antiteatro di  Gortyna  nell'  isola  di  Greti  >        7 

BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO: 

Cantarelli  Pr..f   imiìi  -  =;i..ri,  ,-.i    on?. 

chità  romana 
Maivri  Dr.  A.MEDLu  -  bpinran.i  Grev.»     .       // 

RECENSIONI 
BENDINELLI  C.  -  (op.  di   M.icchioi..  .    V,.,,, 

CUSo) »       /.T 

Mariani  L.  -  (op.  di'Deonna.  Della  Set 
Paribeni  R.  -  (op.  di  Cessi,  RoK-rt.  Cornn: 
E,\ped.,  De  Griincisen,  Miclinelis  e  Pett.i/- 
zoni) •     /<>vi 

NECROLOtJlO 

li.  GlIIRARlJIM  -   Aless;indro  ProsJ.K.in.,   -     ,.. 

I  l»RI  RICHVVIT  IN   DONO  H  CAMBI  •     -.- 

\  I  1 1  hi!  I  \  ^orn-T  \ 


\DVN\N 
DORI  \ 

\|  >l  1 


\  I    \  /  /i  1 


—^  S» 


AVSONIA.  VI.  1911. 


TESI ^    w     NtRONE 


(MV^' 


kj«-    V        «.^UaNI'I^ 


AVSONIA.  VI.  10i 


Tiv.    M 


TESTA   Di    N; 
(mvsco  N«;ioH«Lf  -^ 


AVSONIA  •  VI  ■  MCMXI. 


TAV.  III. 


THSTA  hi  M-;i<ONE  (Gnlicrl.i  Jculì  Uni/l| 


AVSONIA.  VI.  MCMXI. 


TAV.  IV 


l*tn«>i    '    Hiiwit 


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INDICE  DEL  VOLViME  VI 

MCMXI 


-"♦■ — issxfa-t — *- 


Cariche  vfficiali  per  l'anno  1912  Pnt;.     m 

ELENCO  DEI  SOCI »        V 

Bendinelli  Dr.  Goffredo  -  Un'  antica 

statuetta  di  bronzo  rappresentante  una  poe- 
tessa   »       88 

Cantarelli  Prof.  LVIGI  -  il  Patrizio  Li- 
berio e  l'Imperatore  Giustiniano      .     .     »       12 

COSTANZI  Prof.  VINCENZO  -  Tradizioni  ci- 
renaiciie *      27 

GlGLlOLI  Dr.  GIVLIO  0-  -  Note  archeolo- 
giche sul  Latiuiii  Novum »       39 

GvlDt  Arch.  PIETRO  -  Il  restauro  della  Log- 
gia e  del  Palazzo  papale  di  Viterbo     .    »     117 

KJELLBERG  Prof.  I.ENNART  -  Il  Trono  Lu- 
dovisì  e  il  monumento  corrispondente  .    »     loi 

MAIVRI  Dr.  AMEDEO  -  Arcana  Cumana  - 
Un  disco  oracolare  Cumano    ....    »        i 

Minto  Dr.  Antonio  -  Terrecotte  cretesi. 
Contributo  allo  studio  dei  vasi  con  forme 
umane »     108 

MORETTI  Dr.  GIVSEPPE  -  Rilievo  greco- 
arcaico  rappresentante  una  corsa  di  cava- 
lieri      147 

PARIBENI  Dr.  ROBERTO  -  Un  nuovo  ritratto 
di  Nerone "       22 

SCACCIA  SCARAFONI  Prof.  CAMILLO  -  Un 
nuovo  artista  Sulmonese  in  una  croce  pro- 
cessionale di  Verolì »     i54 


VARIETÀ: 

GlGLlOLI  Dr.  GIVLIO  Q.  -  Un'epigrafe  ro- 
mana di  S.  M.  sopra  Minerva     ...» 

MAIVRI  Dr.  AMEDEO  -  A  proposito  di  una 
raffigurazione  simbolica  in  un'  iscrizione 
greco-cristiana  del  Museo  Pio-Lateranense  :> 


SCAVI: 

BENDINELLI  Dr.  GOFFREDO  -  Frammenti 
architettonici  dell'Anfiteatro  di  Gortyna.  »      ^7 

MAIVRI  Dr.  AMEDEO  -  Ricerche  Intorno  al- 
l'antiteatro di  Gortyna  nell'  isola  di  Creta  »        7 

BOLLETTINO  BIBLIOGRAFICO: 

CANTARELLI  Prof.  LvlGI  -  Storia  ed  anti- 
chità romana »      pj 

MAIVRI  Dr.  AMEDEO  -  Epigrafia  Greca     »      41 

RECENSIONI: 

Bendinelli  C.  -  (op.  di  Macchioro  e  Man- 

cuso) »    7/7 

Mariani  L.  -  (op.  di  Deonna,  Della  Seta)  »    loj 
PARIBENI  R.  -  (op.  di  Cessi,  Robert,  Cornell 
Exped.,  De  Griineisen,  Michaelìs  e  Pettaz- 
zonì) »    log 

NECROLOGIO: 
G.  Ghirardini  -  Alessandro  Prosdociml  »    123 

LIBRI  RICEVVTl  IN  DONO  E  CAMBI  »     127 

ATTI  DELLA  SOCIETÀ »     /.'p 

ADVNANZE  SCIENTIFICHE  A  PALAZZO 
DORIA >>     '3' 

NOTIZIE  -  (Congressi) -'>     '35 


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5320 

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