Skip to main content

Full text of "Le estasi umane"

See other formats


Google 


This  is  a  digitai  copy  of  a  book  that  was  prcscrvod  for  gcncrations  on  library  shclvcs  bcforc  it  was  carcfully  scannod  by  Google  as  pan  of  a  project 

to  make  the  world's  books  discoverablc  online. 

It  has  survived  long  enough  for  the  copyright  to  expire  and  the  book  to  enter  the  public  domain.  A  public  domain  book  is  one  that  was  never  subjcct 

to  copyright  or  whose  legai  copyright  terni  has  expired.  Whether  a  book  is  in  the  public  domain  may  vary  country  to  country.  Public  domain  books 

are  our  gateways  to  the  past,  representing  a  wealth  of  history,  culture  and  knowledge  that's  often  difficult  to  discover. 

Marks,  notations  and  other  maiginalia  present  in  the  originai  volume  will  appear  in  this  file  -  a  reminder  of  this  book's  long  journcy  from  the 

publisher  to  a  library  and  finally  to  you. 

Usage  guidelines 

Google  is  proud  to  partner  with  libraries  to  digitize  public  domain  materials  and  make  them  widely  accessible.  Public  domain  books  belong  to  the 
public  and  we  are  merely  their  custodians.  Nevertheless,  this  work  is  expensive,  so  in  order  to  keep  providing  this  resource,  we  have  taken  steps  to 
prcvcnt  abuse  by  commercial  parties,  including  placing  technical  restrictions  on  automatcd  querying. 
We  also  ask  that  you: 

+  Make  non-C ommercial  use  ofthefiles  We  designed  Google  Book  Search  for  use  by  individuai,  and  we  request  that  you  use  these  files  for 
personal,  non-commerci  al  purposes. 

+  Refrain  from  automated  querying  Do  noi  send  aulomated  queries  of  any  sort  to  Google's  system:  If  you  are  conducting  research  on  machine 
translation,  optical  character  recognition  or  other  areas  where  access  to  a  laige  amount  of  text  is  helpful,  please  contact  us.  We  encourage  the 
use  of  public  domain  materials  for  these  purposes  and  may  be  able  to  help. 

+  Maintain  attributionTht  GoogX'S  "watermark" you  see  on  each  file  is essential  for  informingpeopleabout  this  project  andhelping  them  lind 
additional  materials  through  Google  Book  Search.  Please  do  not  remove  it. 

+  Keep  il  legai  Whatever  your  use,  remember  that  you  are  lesponsible  for  ensuring  that  what  you  are  doing  is  legai.  Do  not  assume  that  just 
because  we  believe  a  book  is  in  the  public  domain  for  users  in  the  United  States,  that  the  work  is  also  in  the  public  domain  for  users  in  other 
countries.  Whether  a  book  is  stili  in  copyright  varies  from  country  to  country,  and  we  cani  offer  guidance  on  whether  any  speciflc  use  of 
any  speciflc  book  is  allowed.  Please  do  not  assume  that  a  book's  appearance  in  Google  Book  Search  means  it  can  be  used  in  any  manner 
anywhere  in  the  world.  Copyright  infringement  liabili^  can  be  quite  severe. 

About  Google  Book  Search 

Google's  mission  is  to  organize  the  world's  information  and  to  make  it  universally  accessible  and  useful.   Google  Book  Search  helps  rcaders 
discover  the  world's  books  while  helping  authors  and  publishers  reach  new  audiences.  You  can  search  through  the  full  icxi  of  this  book  on  the  web 

at|http  :  //books  .  google  .  com/| 


Google 


Informazioni  su  questo  libro 


Si  tratta  della  copia  digitale  di  un  libro  che  per  generazioni  è  stato  conservata  negli  scaffali  di  una  biblioteca  prima  di  essere  digitalizzato  da  Google 

nell'ambito  del  progetto  volto  a  rendere  disponibili  online  i  libri  di  tutto  il  mondo. 

Ha  sopravvissuto  abbastanza  per  non  essere  piti  protetto  dai  diritti  di  copyriglit  e  diventare  di  pubblico  dominio.  Un  libro  di  pubblico  dominio  è 

un  libro  che  non  è  mai  stato  protetto  dal  copyright  o  i  cui  termini  legali  di  copyright  sono  scaduti.  La  classificazione  di  un  libro  come  di  pubblico 

dominio  può  variare  da  paese  a  paese.  I  libri  di  pubblico  dominio  sono  l'anello  di  congiunzione  con  il  passato,  rappresentano  un  patrimonio  storico, 

culturale  e  di  conoscenza  spesso  difficile  da  scoprire. 

Commenti,  note  e  altre  annotazioni  a  margine  presenti  nel  volume  originale  compariranno  in  questo  file,  come  testimonianza  del  lungo  viaggio 

percorso  dal  libro,  dall'editore  originale  alla  biblioteca,  per  giungere  fino  a  te. 

Linee  guide  per  l'utilizzo 

Google  è  orgoglioso  di  essere  il  partner  delle  biblioteche  per  digitalizzare  i  materiali  di  pubblico  dominio  e  renderli  universalmente  disponibili. 
I  libri  di  pubblico  dominio  appartengono  al  pubblico  e  noi  ne  siamo  solamente  i  custodi.  Tuttavia  questo  lavoro  è  oneroso,  pertanto,  per  poter 
continuare  ad  offrire  questo  servizio  abbiamo  preso  alcune  iniziative  per  impedire  l'utilizzo  illecito  da  parte  di  soggetti  commerciali,  compresa 
l'imposizione  di  restrizioni  sull'invio  di  query  automatizzate. 
Inoltre  ti  chiediamo  di: 

+  Non  fare  un  uso  commerciale  di  questi  file  Abbiamo  cotìcepiloGoogìcRiccrciì  Liba  per  l'uso  da  parte  dei  singoli  utenti  privati  e  ti  chiediamo 
di  utilizzare  questi  file  per  uso  personale  e  non  a  fini  commerciali. 

+  Non  inviare  query  auiomaiizzaie  Non  inviare  a  Google  query  automatizzate  di  alcun  tipo.  Se  stai  effettuando  delle  ricerche  nel  campo  della 
traduzione  automatica,  del  riconoscimento  ottico  dei  caratteri  (OCR)  o  in  altri  campi  dove  necessiti  di  utilizzare  grandi  quantità  di  testo,  ti 
invitiamo  a  contattarci.  Incoraggiamo  l'uso  dei  materiali  di  pubblico  dominio  per  questi  scopi  e  potremmo  esserti  di  aiuto. 

+  Conserva  la  filigrana  La  "filigrana"  (watermark)  di  Google  che  compare  in  ciascun  file  è  essenziale  per  informare  gli  utenti  su  questo  progetto 
e  aiutarli  a  trovare  materiali  aggiuntivi  tramite  Google  Ricerca  Libri.  Non  rimuoverla. 

+  Fanne  un  uso  legale  Indipendentemente  dall'udlizzo  che  ne  farai,  ricordati  che  è  tua  responsabilità  accertati  di  fame  un  uso  l^ale.  Non 
dare  per  scontato  che,  poiché  un  libro  è  di  pubblico  dominio  per  gli  utenti  degli  Stati  Uniti,  sia  di  pubblico  dominio  anche  per  gli  utenti  di 
altri  paesi.  I  criteri  che  stabiliscono  se  un  libro  è  protetto  da  copyright  variano  da  Paese  a  Paese  e  non  possiamo  offrire  indicazioni  se  un 
determinato  uso  del  libro  è  consentito.  Non  dare  per  scontato  che  poiché  un  libro  compare  in  Google  Ricerca  Libri  ciò  significhi  che  può 
essere  utilizzato  in  qualsiasi  modo  e  in  qualsiasi  Paese  del  mondo.  Le  sanzioni  per  le  violazioni  del  copyright  possono  essere  molto  severe. 

Informazioni  su  Google  Ricerca  Libri 

La  missione  di  Google  è  oiganizzare  le  informazioni  a  livello  mondiale  e  renderle  universalmente  accessibili  e  finibili.  Google  Ricerca  Libri  aiuta 
i  lettori  a  scoprire  i  libri  di  tutto  il  mondo  e  consente  ad  autori  ed  editori  di  raggiungere  un  pubblico  più  ampio.  Puoi  effettuare  una  ricerca  sul  Web 
nell'intero  testo  di  questo  libro  dalhttp:  //books.  google,  coral 


r 


LE  ESTASI  UMANE. 


i. 


DELLO   STESSO   AUTOBB  : 


Fisiologia  delVamofx L.  4  5<) 

Igiene  (leWamore 5  — 

Il  Dio  ignoto 6  — 

Un  giorno  a  Madera 2  50 

Un  viaggio  in  Lapponia 5  — 

Le  tre  grazie 6  — 

Fisiologia  del  piacere 4  50 

<^ìtadri  della  natura  umana 10  — 

Fisiologia  del  dolore  ....' 5  — 

Fisionomia  e  mimica 6  — 

Atlante  deW espressione  del  dolore 60  — 

Enciclopedia  igienica  popolare.   Raccolta  di  21  alum- 

nacclu.  Ognuno —  50 

La  Natura,  Tre  volami  in-8 .30  — 

India,  2  volumi  in-l«    . 7  — 

Gli  amori  degli  ìtomini.  2  volumi  in-16  .....    8  — 

éSfndi  sidla  etnologia  delVIndicij  con  60  fotogr.  originali.  50  — 


PAOLO   MANTEGAZZA 


é» 


LE  ESTASI  UMANE 


Qiiis  dabit  mìhi  peiinas  sicnt  co- 
lambee  et  volabo  et  reqoiescam? 

Salmo  LV,  6. 


Volume  Primo 


MILANO 

PAOLO  MANTEOAZZA,  EDITORE 

1887. 


B--  /3.-./ 


KYClj. 
UHM* 


Proprietà  Letteraria 


Biseryatì  i  diritti  dì  traduzione 


Milano.  —  Tip.  Treves. 


CESARE  (  i 

NELLE  AUDACIE  /  * 

E  NELLE  LOl 

COME  SCEITTORJ 

COME  STORICO  H 

COME   FADBH 

PROVÒ 

TUTTE  LE   PIÙ  ALTE  ESTASI  UMANE 

DEDICO  QUESTO  LIBRO 

COLLA  RIVBBENZA  D'UN  DISCEPOLO 

COLL' AFFETTO  D'UN  AMICO. 


290';;! 


Capitolo  Primo. 

m 

Questo  libro  è  una  battaglia.  —  L^estasi  nel  linguaggio  vol- 
gare, nel  dizionario  e  nella  scienza.  —  Definizione  delPautore 
e  difesa  di  questa  definizione.  —  Rapporti  e  confini  tra  Te- 
stasi, l'ipnotismo,  il  piacere  e  l'ebbrezza.  ~  Topografia  sche- 
matica dell'  estasi.  —  Evoluzione  del  processo  estatico.  — 
Eziologia  dell'estasi.  —  H  sistema  nervoso  e  l'ambiente.  — 
Cause  organiche  permanenti  e  transitorie.  —  Il  circolo  eterno 

che  racchiude  1'  uomo. 


Estasi  umane. 


Questo  mio  libro,  di  cai,  o  lettore  cortese,  stai 
legigendo  la  prima  pagina,  è  una  battaglia.  Bat- 
taglia non  cercata,  ma  accettata  ;  battaglia  di  di- 
fesa, non  già  d'offesa;  ch'io  non  ho  mai  sapnto 
serbare  an  rancore  al  di  là  da  una  notte  dormita. 

L'  avrei  voluto  dedicare  appunto  per  questo  a 
tutti  coloro,  che  in  buona  o  mala  fede  maledissero 
il  mio  ultimo  libro:  Oli  amori  degli  uomini;  ma  ho 
voluto  invece  scrivervi  un  nome  carissimo  a  me  ^ 
glorioso  per  tutta  l'Italia. 

Senza  quelle  maledizioni  lanciate  contro  di  me 
coll'impazienza  di  un  odio  antico  o  col  furore  d'una 
collera  subitanea,  io  non  avrei  scritto  mai,  nò  mai 
forse  immaginato  di  scrivere  Le  estasi  umane.  Of- 
feso, avrei  potuto  offendere;  innondato  da  un  tor- 
rente di  impertinenze  pettegole  e  di  articolucci  e 
articolacci,  avrei  potuto  ancor  io  versare  nel  campo 


•••  •*.  .....; 


r  !-•  ••    •  ••  •  -    • 

4 CAPITOLO    I 


••    •  •  *■  -  ■      *     »  - 


•  «   • 


•    •  r  •  •  • 


dei  miei  avversarii  fango,  ciottoli,  arena;  tutto  il 
tritume  dell'odio  ridotto  in  piccolo  dalla  debolezza 
degli  offensori.  Credetti  meglio  convertire  tutti  i 
miei  risentimenti,  tutti  i  miei  sdegni  per  tanta 
ingiustizia,  in  un  libro,  aspirando  sempre  a  quella 
ttasformaj^ione  delle  forze  che  migliora  la  materia 
in  una  serie  successiva  di  evoluzioni  ;  ammirato 
sempre  delPonnipotenza  della  natura,  che  trasforma 
il  letame  in  petali  di  rose  e  in  grappoli  d'uva. 
Anche  lo  sdegno  è  una  forza  :  ó  perchè  dunque 
non  potrà  trasformarsi  in  lavoro  utile  e  bello?  Non 
sentire  è  delle  pietre  ed  io  voglio  essere  uomo; 
non  rispondere  all'offesa  può  essere  evangelico,  ma 
non  è  umano.  Trasformarlo  in  una  nobile  vendetta, 
in  un  inno,  in  un'armonia,  in  un  libro,  può  esser 
cosa  grande,  almeno  nobile,  degna  a  tentarsi;  che 
non  tutte  le  cose  grandi  si  possono  fare,  ma  il  ten- 
tarle non  disonora  alcuno.  È  per  questo  ch'io  ho 
pensato  e  oggi  scrivo  :  Le  estasi  umane. 

Se  nel  mio  ultimo  libro  ho  osato  scendere  nel 
pantano  fangoso  e  fetido  dei  vizi  umani;  se  vi  ho 
dovuto  scendere  perchè  anche  là  vive  1'  uomo  ;  e 
perchè  non  potrei  salire ,  rinnovellato  di  novelle 
fronde  e  lavato  da  capo  a  piedi  coU'acqua  lustrale 
della  scienza:  perchè  non  potrei  salire  sulle  più  alte 
vette  del  pensiero  e  del  sentimento,  là  dove  l'uomo 
giunge  ansante  e  trafelato,  ma  pur  beato  di  esser 


QUESTO  LIBRO  È  UNA  BATTAGLIA  5 

salito  così  in  alto,  e  rizzandosi  ancora  sulla  punta 
dei  piedi,  tenta  di  ^lardare  se  vi  sia  una  vetta  an- 
cor più  alta  ch'egli  possa  scalare,  un  orizzonte  più 
largo  ch'egli  possa  conquistare? 

Se  ho  studiato  le  forme  più  bestiali  dell'amore 
amano ,  perchè  non  tenterei  di  studiare  le  estasi 
umane? 

E  per  estasi  non  intendo  già  tutti  i  travesti- 
menti del  superlativo,  che  nasconde  questa  pa- 
rola nel  suo  manto  gigantesco,  ma  solo  un  gruppo 
ben  distinto  e  determinato  di  fatti  psichici. 


4c   * 


Nel  linguaggio  volgare  le  voluttà  delPamore,  le 
delizie  della  musica  e  le  ebbrezze  del  vino  e  per- 
fino i  più  ghiotti  bocconi  della  cucina,  ci  danno 
nii^est€L»i;  ma  qui  non  si  tratta  che  di  un  super- 
lativo dei  superlativi,  di  un  tras  los  montesy  che  è 
r influito  inesprimibile  di  una  sensazione,  di  un 
pensiero,  di  un  sentimento.  In  tutte  le  lingue  dei 
X>opoli  civili  dopo  il  maggiore  vi  è  il  grandissimo; 
ma  al  di  là  del  grandissimo  vi  è  anche  un p'm  che 
grandissimo,  che  si  esprime  con  parole  strane  e 
diverse,  ch'io  rappresenterei  tutte  quante  col  se- 


CAPITOLO  I 


gno  oo,  con  cui  i  matematici  esprimono  l'infinito. 
Vestasi  nel  linguaggio  volgare  è  uno  di  quei  più 
che  superlativi  applicati  al  piacere,  alPispirazione, 
ai  voli  più  audaci  del  pensiero. 

Ma  non  è  di  queste  estasi,  ch'io  voglio  parlarvi 
nel  mio  libro;  ma  di  un  ipnotismo  del  pensiero  e 
deW  affetto;  più  spesso  dell' affetto  che  del  pensiero, 

A  questa  definizione  ch'io  credo  nuova,  che  forse 
è  anche  scientificamente  vera,  io  non  sono  giunto 
che  dopo  parecchi  mesi  di  meditazione;  dacché  il 
concetto  di  estasi,  anche  all' infuori  dell'uso  vol- 
gare della  parola,  è  molto  empirico  e  direi  anche 
molto  confuso.  £  uno  dei  tanti  segni  stenografici, 
dei  tanti  presso  a  poco,  coi  quali  la  povera  e  im- 
perfetta nostra  parola  tenta  di  designare  uno  stato 
incerto  o  molto  complesso  della  nostra  scienza. 


Spesso  a  farci  conoscere  bene  un  fatto  psichico 
incerto  o  molto  complesso  e  quindi ,  per  1'  una  o 
per  l'altra  ragione,  oscuro,  meglio  che  a  definirlo 
categoricamente,  scolasticamente,  giova  il  segnare 
i  confini  suoi  con  altri  fatti  consimili  e  che  ci  sono 
meglio  conosciuti  nella  loro  natura.  Anche  il  geo- 


DEFINIZIONI 


grafo,  quando  ci  vuol  descrivere  un  paese,  inco- 
mincia a  segnarcene  i  confini. 

Or  bene  l'estasi  confina  coW ebbrezza,  QoìTallu- 
emozione,  col  piiwere,  col  sonnambulismo,  col  delirio, 
colla  catalessi;  senza  essere  né  l'una  né  l'altra  di 
tutte  queste  cose. 

L'estasi  è  sempre  uno  stato  eccezionale,. passeg- 
gero, e  la  più  parte  degli  uomini  non  l'hanno  mai 
provato.  Taluni  piìl  rozzi  e  incolti  durano  fatica 
anche  a  immaginarselo.  La  sua  bella  etimologia 
greca  f  x-a-radic,  lo  star  fuori,  esprime  mirabilmente 
questo  concetto. 

La  parola  di  estasi  è  dunque  greca,  e  i  Greci 
pia  poeti  dei  Latini,  dovettero  conoscere  meglio 
di  questi  uno  stato  di  trascendente  idei^lità.  I  Eo- 
mani,  gente  positiva,  pratica,  popolo  d'azione,  non 
conobbero  Vestasi,  ma  l'indicarono  con  perifrasi 
diverse  :  mentis  excessu^,  animi  abalienatio. 

Se  cercate  nei  nostri  lessici  il  significato  di 
estasi  vi  trovate  :  "  che  esso  è  un  sollevamento  del- 
l'anima alla  contemplazione  di  cose  che  avanzano  la 
condizione  umana,  „ 

Questa  però  non  è  una  definizione  né  esatta,  né 
scientifica;  perché  tutt'al  più  non  può  servire  che 
ad  esprimere  l'estasi  religiosa,  una  delle  forme  più 
comuni,  ma  iion  l'unica  forma  dell'estasi. 


8  CAPITOLO  I 


*  ♦ 


La  mia  definizione,  s'io  non  m'inganno,  esprime 
il  fatto  più.  essenziale,  più  caratteristico  dello  stato 
estatico. 

li^  ipnotismo  è  an  sonno  artificiale  più  o  meno 
profondo,  in  cui  alcune  regioni  del  cervello  re- 
stano come  paralizzate ,  mentre  altre  invece  ven- 
gono straordinariamente  eccitate.  Noi  rendiamo 
artificialmente  ipnotico  un  individuo,  facendogli 
converger  gli  occhi  sopra  i  nostri  occhi  o  sopra 
un  corpo  lucente  o  praticando  i  passi  magnetici  sul 
suo  corpo. 

Anche  un  rumore  continuo  ed  uniforme,  uno  stri- 
sciamento o  palpamento  tepido  e  leggero,  il  suono 
d' un  diapason ,  ecc.,  possono  produrre  stati  con- 
simili. Or  bene,  nell'estasi,  invece  di  una  sensazione 
esterna,  abbiamo  un  eccesso  unilaterale  di  funzione 
del  pensiero  o  di  un  affetto,  per  cui  tutti  gli  al- 
tri organi  cerebrali  tacciono  o,  per  dirlo  con  frase 
più  scientifica,  rimangono  inattivi  ;  e  la  nostra  co- 
scienza isolata  dal  mondo  si  concentra  tutta  quanta 
ad  assorbire  l'energia  intensa,  indefinita  e  indefi- 
nibile di  un  affetto  o  di  un  pensiero,  che  si  trova 
in  condizioni  di  esaltatissima  attività. 


ESTASI  E  IPNOTISMO  9 

Quasi  sempre  questo  star  fuori  di  so  (ec  stasis), 
questo  esaltarsi  e  concentrarsi  di  tutte  le  forze 
psichiche  in  un  punto  solo  è  accompagnato  da 
una  grande  voluttà  ;  per  cui  spesso  si  adopera  la 
parola  di  estasi  per  esprimere  la  voluttà  amorosa 
o  i  piaceri  estatici  spinti  al  grado  più  alto. 

La  voluttà  amorosa,  per  quanto  conceda  alFuomo 
i  più  alti  gradi  di  piacere  e  benché  possa  produrre 
uno  stato  di  estasi  passeggiera  od  anche  più  o 
meno  lunga,  ha  confini  così  ben  determinati,  che 
non  può  rientrare  nel  circolo  delle  vere  estasi  e 
noi  la  lasciamo  da  parte,  avendola  già  studiata 
nella  Fmologia  del  piacere  e  nella  Fmohgia  delVa- 
more.  Io  non  voglio  esaminare  che  le  vere  e  pro- 
prie estasi,  che  traggono  la  loro  sorgente  dai  due 
sensi  più  alti  della  vista  e  dell'udito,  da  alcuni 
sentimenti  e  da  alcune  forme  dell'  esercizio  del 
pensiero. 


Per  ben  intendere  il  processo  fisiologico  delFe- 
stasi  dobbiamo  riassumere  brevemente  ciò  che  la 
scienza  possiede  oggi  di  più  sicuro  sull'ipnotismo, 
non  essendo  quella,  secondo  noi,  che  una  forma 
più  alta  e  più  rara  di  questo.  E  così  come  la 
scienza  moderna,  strappando  di  mano  dalla  ciarla- 


10  CAPITOLO  I 


taneria,  i  fatti  del  magnetismo,  lì  ha  saputi  col- 
locare nel  loro  vero  luogo,  rischiarando  colla  sua 
bice  alcune  regioni  fra  le  più  oscure  della  vita 
nervosa;  così  la  psicologia  positiva  e  sperimentale, 
studiando  le  estasi,  restituirà  alla  scienza  ciò  che 
finora  appartenne  alla  superstizione;  ciò  che  fu 
adorato  dagli  uni,  deriso  dagli  altri. 

Dopo  i  lavori  del  Braid,  del  Velpeau,  del  Guèri- 
nean,  dell' Azam,  del  Broca,  del  Bichet,  del  Chareot, 
delVHeidenhain,  del  Grtttzner,  del  Berger,  del  Tam- 
burini, del  Seppilli,  del  De  Giovanni,  del  Pozzo  di 
Mombello,  del  Silva,  dello  Czermack,  del  Preyer, 
del  Luys,  e  di  tanti  altri,  l'ipnotismo  è  conosciuto 
nei  suoi  fatti  più  salienti. 

Il  dottor  Liebeault  distingue  nell'ipnotismo  cin- 
que stadii  successivi: 

1.°  Samwlenza:  smino  dipeso,  di  intoì^idimento, 

2.°  /Sonno  leggiero,  nel  quale  si  ode  ancora  ciò 
che  si  dice  intomo  all'ipnotizzato. 

3.^  Sonno  profondo:  l'individuo  non  si  ricorda 
più  di  ciò  ch'egli  ha  fatto,  detto  o  inteso  durante 
il  sonno,  ma  è  sempre  in  rapporto  coi  presenti, 
come  con  chi  lo  ha  ipnotizzato. 

4.^  Sonno  profondissimo:  l'individuo  è  isolato 
completamente  dal  mondo  esterno  e  non  è  più  in 
rapporto  che  coli'  ipnotizzatore. 

5.^  Sonnambulismo. 


IPNOTISMO  11. 


Il  professor  Bemheìm ,  ipnotizzando  1014  indi- 
vidui, proTocò  in  essi  i  segaenti  fenomeni  : 

Soimambnlismo. ...  in  162,  cioè  nel  15,9  p.  7u 
Sonno  profondissimo.  „   232        „         22,8      „ 
Sonno  profondo  .  .  .  „   460        „         45,3 
Sonno  leggero.  .  .  .  „   100        „  9,8 

Sonnolenza «     33        „  3,2 

Nessuna  influenza.  .  „     27        „  2,6 


r 


1014 


Fino  ad  oggi  si  credeva  che  le  donne  fossero 
più.  ipnotizzabili  che  gli  nomini;  ma  le  recenti 
osservazioni  hanno  invece  dimostrato,  che  a  que- 
sto riguardo  nessuno  dei  due  sessi  è  privilegiato. 

Liebeault  tra  gli  altri  ho  potuto  riconoscere  che 
la  proporzione  è  quasi  identica  per  ciò  che  con- 
cerne il  sonnambulismo;  abbiamo  cioè  il  18,8  p.  ^/^ 
negli  uomini,  il  19,4  p.  7o  ^^^^^  donne. 

Il  sonnambulismo  si  osserva  assai  più  frequente 
nell'infanzia  e  nella  giovinezza  ;  26,5  p.  ^/^  da  1  a 
7  anni;  55,3  p.  ^/^  da  7  a  14  anni.  Nei  vecchi  in- 
vece è  un  fatto  molto  raro  (7-11  p.  7o)* 


12  CAPITOLO   l 


*   4e 


n  professor  Beaunis  in  un  suo  recente  lavoro 
ha  studiato  il  sonnambulismo  provocato  (1)  e  così 
riassume  i  principali  caratteri  di  questo  stato  sin- 
golare. 

Appena  V  individuo  è  addormentato  artificial- 
mente (non  importa  con  qual  mezzo)  si  trova  in 
uno  stato  di  sonnambulismo.  Le  membra  conser- 
vano la  posizione  che  dà  loro  l' ipnotizzatore  e  i 
movimenti  che  imprime  loro  si  continuano  auto- 
maticamente. 

L'individuo  non  è  in  rapporto  che  colla  persona 
che  lo  ha  ipnotizzato ,  non  ode  che  lui  e  non  ri- 
sponde che  a  lui.  Obbedisce  passivamente  a  lui 
solo  e  può  subirne  delle  snggesthnL 

Durante  il  sonno,  l'ipnotizzato  ricorda  perfetta- 
mente ciò  che  è  avvenuto  o  nello  stato  di  veglia 
0  durante  il  sonno  provocato  {interiormente,  mentre 
allo  svegliarsi,  dimentica  tutto  ciò  che  è  avvenuto 
durante  il  sonno  provocato. 


(1)  H.  Beaunis,  Le  aon^tamòidisme  provoqm'.  Études  phy- 
siologiques  et  psychologiques.  Paris,  1.  B.  Baillière,  18B6. 


MEEAVIGLIE  DELLA  SUGGESTIONE  13 

Per  chi  ignorasse  le  meraviglie  della  suggestio- 
ne, ecco  un  aneddoto  del  dottor  Beaunis:  - 

"  Durante  le  vacanze,  dovendo  lasciare  Kancy 
^  per  parecchi  mesi ,  la  signora  A.  E.  che  avevo 
"  Tabitudine  di  ipnotizzare  quasi  tutti  i  giorni,  mi 
^  disse  un  mattino  : 

"  —  Voi  non  potete  piti  addormentarmi,  dacché 
"  voi  state  per  partire. 
"  —  E  perchè  no  ? 

"  —  Ma  ciò  non  è  possibile,  non  essendo  voi  qui, 

"  —  ^on  importa:  io  vi  darò  dei  gettoni  magne- 

"  tizzati  e  quando  voi  vorrete  dormire,  non  avrete 

"  che  a  metterne  uno  in  un  bicchiere  d'acqua  zuo- 

"  oberata  e  voi  dormirete  un  quarto  d'ora. 

"  Poi,  soggiunsi  : 

"  —  Vi  è  un  metodo  più  semplice.  Quando  voi 
"  vorrete  dormire,  non  avete  che  a  dire,  pronun- 
"  ziando  il  mio  nome  :  "  Addormentatevi  I  „  e  voi 
^  dormirete  immediatamente. 
u  —  Ma  questo  è  uno  scherzo. 
^  —  Xou  è  uno  scherzo,  è  cosa  molto  seria. 
«  —  Xon  posso  crederlo. 

"  —  Che  cosa  vi  costa  di  provare  ?  Provate  su- 
"  bito  e  vedrete  se  la  cosa  riesce. 
^  —  La  farò. 

"  Essa  però  aveva  l'aria  poco  convinta  ed  io  con- 
"  fesso  che  anch'io  avevo  la  mia  parte  di  dubbiezze. 


14  CAPITOLO  I 


"  —  Se  ne  va  nel  giardino  ed  io  rimango  nel- 
"  r  appartamento  per  evitare  d' influenzarla  collo 
^  sguardo  o  colla  mia  presenza. 

^  Dopo  un  po'  di  tempo,  mi  si  viene  a  dire  :  Essa 
"  dorme.  —  Vado  nel  giardino  e  la  vedo  in  piedi, 
^  addormentata. 

"  Poteva  essere  però  un  effetto  dovuto  alla  mia 
"  presenza  ed  io  era  curioso  di  sapere,  se  una  volta 
"  allontanato  da  Nancy,  si  riprodurrebbe  lo  stesso 
"  fenomeno.  Pregai  il  dottor  Liebeault,  che  essa  vi- 
"  sitava  di  sovente,  di  osservarla  e  di  tenermi  in- 
"  formato  di  tutto.  H  risultato  fu  in  tutto  eguale. 
^  Essa  non  aveva  che  a  pronunziare  la  frase  sacra- 
^  mentale  per  addormentarsi  immediatamente.  „ 


* 


I  fatti  pid  sorprendenti  che  accompagnano  l'e- 
sta-si  religiosa  si  spiegano  oggi  anch'essi  colle 
esperienze  dell'  ipnotismo. 

II  dottor  Beaunis  dice  alla  signorina  A.  E.  du- 
rante il  sonno  ipnotico  :  "  Quando  voi  sarete  ri- 
svegliata, avrete  una  macchia  rossa  nel  punto  che 
io  tocco  in  questo  momento.  „  Tocca  allora  leg- 
germente  col   dito    un   punto   dell'  avambraccio. 


SUGGESTIONE  IPNOTICA  15 

Dieci  minati  dopo  che  la  signorina  è  risvegliata, 
in  quel  punto  appare  un  rosso  dapprima  leggero, 
che  poi  si  fa  sempre  più  intenso,  e  che  a  poco  a 
poco  sparisce. 

Si  parla  perfino  di  vescicazioni  della  pelle  otte- 
nute per  suggestione  ipnotica  (1).  Anche  le  secre- 
zioni dell'prina,  del  sudore,  delle  lagrime,  del  latte, 
{tossono  essere  eccitate  dalla  suggestione. 

Bourru,  professore  di  clinica  medica  nella  scuola 
di  medicina  navale  di  Bochefort,  e  Buret,  medico 
aggiunto  della  stessa  scuola,  hanno  annunziato  alla 
Sociétè  de  biologie,  n^Ua  seduta  deiril  luglio  1885, 
fatti  d'  epistassi  e  di  sudore  Muoguigno  ottenuti 
per  suggestione  ipnotica  in  un  individuo  emiple- 
gico  e  emianestetico.  Queste  esperienze  furono 
ripetute  collo  stesso  risultato  sullo  stesso  indivi- 
duo dal  dottor  MabiUe ,  direttore  deir  Asilo  di 
Lafond  (La  BocheUe)  (2). 

Una  di  queste  esperienze  merita  di  essere  ci- 
tata testualmente  : 

Lo  sperimentatore  traccia  il  suo  nome  sulle  due 
avambraccia  del  malato  coli' estremità  ottusa  del 
suo  stiletto  di  medicazione  e  poi  gli  comanda: 

(1)  Bbaiwis,  op.  cit,  pag.  73. 

(2)  Berjon,  La  grande  hystérie  chez  Vhommey  pMnomènes 
dHhhibitUm  et  de  dynamogénie,  cìmngements  de  la  personnor 
lite,  action  des  médicamenta  à  distaìice.  Paris,  1886. 


16  CAPITOLO  I 


"  Questa  sera ,  a  quattro  ore ,  tu  ti  addormen- 
terai e  tu  farai  uscir  del  sangue  dalle  linee  che 
ho  tracciate.  „ 

All'ora  indicata,  V  individuo  s'  addormenta.  Sul 
braccio  sinistro  i  caratteri  si  disegnano  in  rilievo 
sul  fondo  pallido  della  pelle,  e  in  molti  punti  si  ve- 
dono spuntare  delle  goccioline  di  sangu^.  Dopo  tre 
mesi  i  caratteri  sono  ancora  visibili,  benché  siano 
andati  poco  a  poco  impallidendo.  A  destra,  che  è 
il  lato  paralitico,  non  si  osserva  alcun  fenomeno. 

Il  Beaunis,  fin  da  trent'  anni  or  sono,  nella  sua 
tesi  dottorale  (De  V  habltude  en  getterai.  Montpeì^ 
Uer,  1856)  aveva  già  ravvicinato  questi  fatti  ai 
sudori  di  sangue  e  ad  altri  fenomeni  consimili  os- 
servati nei  santi  estatici: 

"  Basta  guardare  con  attenzione  una  parte  del 
"  proprio  corpo,  di  pensarvi  intensamente  per  qual- 
"  che  tempo  o  di  sottoporla  alle  manipolazioni 
"  ('passes)  magnetiche  per  provocare  sensazioni 
"  indefinibili ,  punzecchiamenti ,  bruciori ,  pulsa- 
"  zioni,  ecc.  Si  possono  riscontrare  prove  di  que- 
"  sti  fatti  nelle  descrizioni  così  minuziose  degli 
"  sperimentatori  omeopatici  e  se  ne  trovano  prove 
"  ancora  più  singolari  in  quei  famosi  martiri  del 
"  medio  evo,  nei  quali,  nelle  ore  di  estasi,  si  vede- 
"  vano  flussioni  di  sangue ,  emorragie  e  perfino 
"  piaghe  nella  fronte,  sulle  mani  e  sui  piedi.  „ 


IPNOTISMO  17 


Anch'  io  nei  tre  anni  d' ipocondria  che  ho  sof- 
ferto nel  corso  di  mia  vita,  poteva  a  volontà  sen- 
tire nn  dolore  in  qualunque  parte  del  corpo  io 
avessi  voluto  e  talvolta  anche  produrre  eritema  o 
orticaria. 


Braid,  Garpenter,  Liebeault  e  molti  altri  autori, 
spiegano  i  fenomeni  dell'ipnotismo  coìT attenzione 
concentrata,  colla  concentrazione  del  pensiero.  Que- 
sta spiegazione  però  è  poco  chiara  e  non  ci  fa 
penetrare  mólto  addentro  nella  natura  dei  fatti. 
Durand  de  Gros  ne  ha  fatto  invece  un'analisi  più 
profonda.  Per  lui  il  momento  essenziale,  caratte- 
ristico dell'ipnotismo  è  quello  di  ridurre  a  un 
minimo  l'attività  del  pensiero,  riducendo  il  suo 
lavoro  ad  uno  dei  suoi  modi  più  semplici.  È  per 
questo  che  si  sottopone  il  cervello  all'eccitazione 
esclusiva  d' una  sensazione  semplice ,  omogenea , 
continua.  Si  ottiene  in  questo  modo  una  specie 
di  sospensione  mentale,  fuorché  in  un  punto  solo  ; 
ma  la  forza  nervosa  continua  non  pertanto  a  pro- 
dursi nel  cervello,  dove  si  accumula,  perchè  non 
è  adoperata;  e  ne  risulta  quindi  una  congestione 
nervosa. 

Estasi  umane.  2 


18  CAPITOLO  I 


Questa  forza  nervosa  così  accumulata  nel  cer- 
vello può  spostarsi  o  portarsi  sopra  1'  una  o  l' al- 
tra parte,  sopra  Tuno  o  l'altro  nervo,  l'uno  o  l'al- 
tro organo  dei  sensi  e  aumentarne  quindi  l' atti- 
vità in  un  modo  rimarchevole.  I  fenomeni  ipnotici 
non  sono  quindi  che  uno  spostamento  di  forza 
nervosa  accumulata  nel  cervello  e  sottoposta  alla 
direzione  che  le  è  impressa  dall'  ipnotizzatore. 
Questo  spostamento  avviene  sotto  l'influenza  d'una 
idea  suggerita. 


* 
*  * 


Questa  teoria  è  per  noi  la  più  chiara  e  quella 
che  serve  anche  a  giustificare  la  nostra  definizione 
detestasi. 

Così  come  nel  sonnambulismo  provocato  con 
oggetti  lùcidi  o  i  pdssi  magnetici  isoliamo  una  parte 
del  cervello,  sovreccitandola,  mentre  tutti  gli  altri 
territorii  nervosi  rimangono  inattivi;  così  nell'estasi 
per  un  intenso  fissarsi  del  pensiero  in  una  sola 
contemplazione,  in  un  solo  desiderio,  in  un  solo 
.  affetto,  l' uomo  concentra  tutte  quante  le  forze 
psichiche  in  un  punto  solo:  e  si  trovano  tutti  i 
fenomeni  dell'ipnotismo;  quali  la  catalessi,  le  al- 


IPNOTISMO  ED  ESTASI  19 

lacìnazioni,  il  delirio,  Tanestesia  e  perfino  le  emor- 
ragie capillari  della  pelle  (stigmate). 

Così  come  nell'ipnotismo,  perchè  una  sensazione 
possa  farci  sonnamboli,  occorre  che  questa  sia 
intensa  e  ripetuta  e  Tindividuo  predisposto  a  sen- 
tirla; così  nell'  estasi  non  sono  che  i  sentimenti 
più  intensi,  più  indefiniti  nella  loro  natura,  che 
possono  darci  quello  stato  strano  e  fenomenale,  e 
per  di  più  occorre  ancora  che  l'emozione  si  ripeta 
più  e  più  volte  e  la  percossa  si  faccia  sempre 
sullo  stesso  chiodo. 

Dei  cinque  sensi  specifici   soltanto   la  vista  e 
l'udito  sono  le  vie  che  possono  condurci  all'estasi, 
perchè  sono  i  sensi  più  strettamente   legati   col 
pensiero  e  il  sentimento.  Perchè  un  sapore  o  un 
odore  ci  porti   all'  estasi  o  alle  sue  frontiere,  oc- 
corre che  noi  ci  troviamo,  per  straordinaria  debo- 
lezza o  per  morbosa  eccitabilità,  in  una  condizione 
affatto  anormale.   E  le  sensazioni  dei   tatto  non 
I>ossono   raggiungere   quello    scopo    che  quando 
hanno  strette  simpatie  coll'istinto  sessuale. 

All'infuori  di  questi  casi  del  tutto  eccezionali 
o  patologici,  non  abbiamo  per  la  via  dei  sensi  che 
le  estasi  estetiche  e  le  estasi  musicali.  E  non  son 
neppur  queste  le  forme  più  comuni  dell'estasi. 

Queste  appaiono  in  regioni  più  alte;  là  dove 
l'amore  si  spoglia  del  desiderio  o  dove  si  amano 


20  CAPITOLO  I 


creature  invisibili  e  create  dalla  nostra  fantasia, 
o  dove  il  pensiero  ammira  sé  stesso,  assorto  nella 
contemplazione  delle  creazioni  intellettuali,  delle 
divinazioni,  delle  scoperte. 

Di  qui  le  estasi  amorose,  religiose  ;  di  qui  i  ra- 
pimenti del  poeta,  dello  scrittore,  delP  uomo  di 
scienza  ohe  apre  nuovi  orizzonti  air  occhio  insa- 
ziabile e  insaziato. 


*  * 


Le  allucinazioni  o  visioni,  la  catalessi,  il  delirio, 
l'insensibilità  generale  o  lyavzìale,  il  sonnambo- 
lismo,  le  emorragie  capillari  della  pelle  sono  fe- 
nomeni che  posson  trovarsi  tutti  assieme  o  alter- 
nativamente da  soli  in  (.ompagnia  dello  stato  esta- 
tico, che  produce  e  governa  tutti  questi  svariati 
fenomeni  della  vita  nervosa  e  di  circolazione. 

L'estasi  però  ha  altri  confini  con  fatti  psichici 
meglio  conosciuti,  e  questi  sono  il  piacere  e  Veb- 
brezza. 


IL  PIACERE  21 


4(  « 


Vi  possono  essere  piaceri  intensissimi  senza 
estasi ,  e  l' estasi  può  essere  scompagnata  dal 
piacere. 

Sono  però  due  fatti  che  camminano  vicini,  che 
si  intrecciano  spesso,  che  hanno  fra  di  loro  stret- 
tessimo  vincolo  di  parentela. 

I  piaceri  più  alti  e  più  forti  possono  isolarci 
nel  godimento  di  una  sensazione  sola;  in  quella 
concentrazione  ohe  abbiam  trovato  neiripnotismo. 
Di  qui  annestasi  non  vi  ha  che  un  breve  passo. 

Dairaltra  parte,  meno  pochi  casi  eccezionali, 
Testasi  è  sempre  un  rapimento  pieno  di  voluttà, 
e  chi  l'ha  provata  una  volta,  se  ne  innamora,  la 
pone  in  cima  d'ogni  altra  gioia  della  vita,  si  studia 
di  riprodurla  più  e  più  volte  ;  finché  1'  estasi  di- 
viene lo  scopo  primo  ed  ultimo  delPesistenza,  di- 
nanzi a  cui  impallidisce  ogni  altro  piacere,  si 
spunta  ogni  ambizione,  si  raffredda  ogni  fiamma 
di  passione.  Lo  vedremo  i)iù  innanzi  nella  vita  di 
santa  Teresa  e  di  altre  sante  minori,  che  passa- 
rono tanti  anni  in  uno  stato  di  estasi  quasi  per- 
manente. 


22  CAPITOLO  I 


Perchè  Testasi  produca  tanta  voluttà  non  è  fa- 
cile a  dirsi.  In  generale  i  piaceri  fisiologici  sono 
tutti  quanti  conseguenza  della  soddisfazione  di 
un  bisogno;  e  quanto  più  il  bisogno  è  intenso  e 
irresistibile  e  tanto  più  forte  è  la  voluttà  che 
l'accompagna. 

In  molte  estasi  invece  si  tratta  di  bisogni  tra- 
scendenti creati  da  uno  stato  tutto  particolare  e 
spesso  anormale  dei  nostri  centri  nervosi.  Anzi 
talvolta  è  appunto  la  nessuna  soddisfazione  dei 
bisogni  più  prepotenti  del  nostro  organismo  che 
induce  l'estasi  religiosa  o  l'estasi  dell'amore  pla- 
tonico; ed  è  allora  che  un  desiderio  violentissimo 
non  mai  soddisfatto  e  tenuto  sempre  allo  stato 
potenziale  sembra  trasformare  tutte  quante  le  pas- 
sioni in  una  passione  sola,  tutte  quante  le  voluttà 
in  una  voluttà  sola;  e  la  nostra  coscienza  aleg- 
gia vibrando,  come  farfalla  crepuscolare,  che,  di- 
nanzi al  fiore,  succhia  il  nettare  senza  muoversi 
dal  proprio  posto. 

Lo  Spirito  Santo  foggiato  nel  mito  cattolico, 
cioè  la  colomba  colle  ali  aperte  e  sfolgorante  nel 
centro  d'un  infinità  di  raggi  luminosi,  è  forse  l'im- 
magine più  fedele  di  questa  forma  di  estasi. 


l'ebbrezza  23 


Anche  l'ebbrezza  ha  rapporti  intimi  coll'estasi, 
e  ne  ha  comuni  molti  caratteri.  Non  tutte  però 
le  ebbrezze.  L' alcoolica  può  procurare  all'  uomo 
gioie  grandissime,  rapimenti,  allucinazioni  ;  ma  in 
generale  vi  predomina  il  tumulto  disordinato  di 
tutti  gli  elementi  psichici,  e  le  manifestazioni  cen- 
trifughe della  vita  nervosa  impediscono  la  vera  e 
propria  estasi,  che  è  quasi  sempre  un  concentra- 
mento interiore,  senza  espressioni  centrifughe. 

Quando  poi  l'ebbrezza  è  così  intensa  da  farci  per- 
der del  tutto  la  coscienza  di  noi  stessi  e  del  mondo 
che  ci  circonda  ;  non  si  ha  l'estasi,  ma  il  letargo, 
il  sonno  e  perfino  la  morte  apparente.  Nell'estasi 
la  coscienza  è  anzi  ìperestetica ,  ma  concentrata 
in  un  punto  solo  del  nostro  mondo  psichico:  nel- 
l'ebbrezza alcoolica  essa  è  confusa  prima,  x)oi  del 
tutto  smarrita. 

L'ebbrezza  che  ha  parentela  strettissima  col- 
l'estasi  è  la  narcotica,  anzi  in  talune  forme  l'ana- 
logia è  così  evidente,  che  si  potrebbe  dire  essere 
il  narcotismo  un'estasi  artificiale  i^rodotta  dall'in- 
troduzione di  alcune  sostanze  nel   nostro  sangue 


24  CAPITOLO  I 


e  l'estasi  alla  sua  volta  un  narcotismo  spontaneo 
e  psìchico.  Nell'ano  e  nell'altro  di  questi  stati 
avete  l'isolamento  completo  o  quasi  dal  mondo 
esteriore,  avete  1'  anestesia,  la  allucinazione  o  vi- 
sione, potete  avere  la  catalessi;  sempre  poi  tro- 
vate lo  sprofondarsi  dell'Io  nella  contemplazione 
delle  immagini  che  ci  passano  davanti  alla  visione 
interiore.  Nessun  uomo  rassomiglia  tanto  ad  un 
dervish  assorto  in  estasi  religiosa  quanto  un  coquero 
della  Bolivia  o  un  fumatore  d'oppio  dell'India,  e 
s'io  fossi  pittore  potrei  in  altrettanti  quadri  rap- 
presentarvi queste  scene  sorelle,  delle  quali  fui 
testimonio  nei  miei  lunghi  viaggi  nel  vecchio  e 
nel  nuovo  mondo  (1). 

Nò  in  questo  caso  noi  abbiamo  rassomiglianza 
di  due  cose  diverse  per  contingenza  fortuita  di 
accidenti  secondari  o  di  forme  esteriori,  ma  dob- 
biamo avere  naturale  parentela  di  fatti  anatomici  • 
e  biologici  che  soltanto  la  scienza  dell'avvenire 
potrà  rivelarci. 

Ai  nostri  occhi,  un  pazzo,  un  innamorato  o  un 
fumatore  d'oppio  possono  presentarci  gli  stessi 
fenomeni,  benché  le  cause  del  turbamento  siano 
tanto  diverse;  ma  l'istologia  e  la  chimica  dovranno 
spiegare  in  tempo  forse  non  troppo  lontano  come 

(1)  ^Iantegazzà,  Quadri  della  natvra  umana,  Y.  passim. 


NARCOTISMO  25 


e  perchè  nervi  e  cervello  risentano  la  stessa  in- 
fluenza per  opera  di  un'alterazione  patologica  del 
àìstema  nervoso,  o  per  opera  dell'  amore  o  del- 
Toppio. 

Le  allucinazioni  dell'estasi  sono  tanto  rassomi- 
glianti a  quelle  prodotte  dai  narcotici,  che  dopo 
le  immagini  liete,  appariscono  spesso  i  quadri  di 
tristezza  e  di  terrore.  Il  mangiatore  d'oppio  dopo 
il  paradiso  iacantevole  delle  sue  visioni  ha  l'in- 
ferno degli  spettri  e  dei  cadaveri,  e  santa  Teresa 
(come  vedremo  più  innanzi)  dopo  gli  angeli  vede 
i  demoni. 

Goethe  ha  detto  stupendamente  che  "  la  gio- 
ventù è  V ebbrezza  senza  il  vino  „  e  noi,  studiando  l'e- 
stasi, possiamo  dire  con  eguale  verità  che  l'estasi  è 
un'ebbrézza  narcotica  senza  oppio,  senza  haschisch 
e  senza  coca. 


* 


Quando  si  è  collocata  l'estasi  nel  suo  j^osto  na- 
turale, si  è  già  a  mezza  strada  per  intenderne  i 
misteri  e  le  apparenti  contraddizioni.  Più  in  alto 
dell'ipnotismo  e  dell'ebbrezza,  forse  ad  ugual  di- 


26  CAPITOLO  I 


Stanza  da  entrambi,  come  lo  vorrebbe  rappresen- 
tare questo  diagramma  che  vi  presento. 

£8tasi 


\ 

Ipnotismo    /- — — --^     Ebbrezza 

narcotica 


Ecco  la  topografia  dell'estasi  nel  mondo  dei  fatti 
psichici.  • 


4e   IH 


Ed  ora  tentiamo  di  segnare  V  evoluzione  del 
processo  estatico,  come  Darwin  e  i  darwiniani 
hanno  tentato  di  fare  per  le  forme  dei  viventi. 

Perchè  si  abbia  Testasi  occorrono  condizioni 
particolari  del  sistema  nervoso  e  agenti  esterni 
che  si  accordino  con  esse.   Si  può   nascere   colla 


EZIOLOGIA  DELL'ESTASI  27 

natara  più  estatica  del  mondo,  ma  se  l'ambiente 
ohe  ci  circonda  non  la  favorisce,  morremo  senza 
aver  mai  provato  e  forse  neppur  subodorato  che 
cosa  sia  Testasi;  mentre  se  i  nervi  sono  ottusi  e 
nel  cervello  non  v'è  Vubi  conmtwn,  possono  intorno 
a  noi  nel  tempio  di  Santa  Croce  echeggiarejle 
divine  sinfonie  del  Beethoven,  senza  che  s'innalzi 
da  noi  nna  sola  vibrazione  estatica.  Quando  in- 
vece sistema  nervoso  e  mondo  esterno  si  favori- 
scono e  si  aiutano  1'  un  l' altro  ,  possiamo  avere 
estasi  infinite,  di  svariatissime  forme  e  frequenti. 

È  l'eterna  storia  del  terreno  e  del  seme  :  senza  ter- 
reno, nessuna  pianta;  senza  seme,  nessuna  pianta. 
A  tal  seme  tal  terra,  e  via  di  seguito  l'eterna  li- 
tania dell'ambiente  e  della  natura,  della  natura  e 
dell'arte;  l'eterno  arrabattarsi  e  sudar  della  scienza 
per  precisare  volta  a  volta  quanta  influenza  abbia 
il  terreno  e  quanta  il  seme;  l'eterno  arrovellarsi 
di  ridurre  a  cifre  precise  queste  due  incognite; 
quando  pur  non  si  dimentica  che  anche  il  seme 
è  già  alla  sua  volta  nna  risultante  di  altri  semi 
cresciuti  in  altro  terreno. 

Ciò  che  possiamo  però  dire  con  molta  sicurezza 
è  ohe  dei  due  elementi,  sistema  nervoso  e  agenti 
estemi ,  a  produrre  1'  estasi  contribuisce  il  primo 
assai  più  che  il  secondo.  L'  ambiente  modificherà 
la  forma  estatica,  ma  quando  cervello  e  nervi  vi- 


28  CAPITOLO  I 


brano  potenti ,  oscillando  a  brevissima  distanza 
dallo  zero  al  mille;  e  la  forza  si  sprigiona  tnmul- 
tuosa  e  gigantesca,  lasciando  a  breve  intervallo 
spenti  i  fuochi  e  muta  la  macchina;  quando  si 
nasce  per  vivere  come  Y  aquila  o  il  condor  nelle 
regioni  dei  ghiacciai  e  delle  meteore:  il  più  pic- 
colo incidente  esteriore  basta  a  rapirci  in  estasi 
e  il  rapimento  è  inevitabile.  Se  santa  Teresa  fosse 
nata  ai  nostri  tempi  e  nel  mondo  industriale  di 
Bristol  o  di  Manchester,  non  sarebbe  forse  dive- 
nuta una  santa,  né  avrebbe  avuto  le  visioni  asce- 
tiche,  ma  avrebbe  pur  sempre  avuto  estasi  amo- 
rose, o  estetiche,  o  d'altra  natura. 

In  alcuni  periodi  storici  Y  ambiente  è  singolar- 
mente adatto  a  sviluppare  in  molti  il  germe  la- 
tente dell'  estasi  e  a  dargli  anche  un  indirizzo 
piuttosto  che  un  altro.  Senza  pretendere  di  dir 
cosa  nuova  e  peregrina,  è  facile  affermare  che 
nella  Grecia  antica  le  estasi  estetiche  dovettero 
essere  frequenti;  mentre  tutti  sappiamo  ohe  il 
medio  evo  fu  terreno  fecondissimo  di  rapimenti 
religiosi.  Oggi  il  nervosismo  è  sommo,  ma  la  fede 
vacilla  e  il  culto  estetico  è  disseminato  sopra 
troppi  altari,  perchè  si  concentri  in  un  punto  solo 
e  divenga  estasi.  Non  mancano  però  di  certo  le 
estasi  religiose  e  le  affettive  e  le  estetiche,  ma 
sparse  e  solitarie  e  celate  nelle  pareti  domestiche 


IL  SISTEMA  NEKVOSO  29 

o  nei  chiostri  si  occultano  ai  nostri  occhi  e  pas- 
sano ignorate.  In  tutti  i  tempi  poi  l'estasi  amò  il 
silenzio  e  le  tenebre  e  fu  sepolta  nell'  obblio.  I 
grandi  amori,  le  alte  idealità,  le  estasi  sono  piene 
di  pudore,  irte  di  timidezze  e  di  astruserie;  e  solo 
.li  conosce  V  alpinista,  che  affronta  il  piede  teme- 
rario sul  ciglio  degli  abissi  alpini  per  cogliervi  il 
leontopodio.  Certi  fiori  per  sbocciare  hanno  biso- 
gno dell'aria  eterea  delle  grandi  altezze,  della  luce 
silenziosa  che  irradia  dai  ghiacciai,  delle  nubi 
sfolgoranti  di  aurore  boreali. 


* 


Alcune  condizioni  organiche  del  sistema  ner- 
voso e  che  predispongono  all'  estasi  sono  perma- 
nenti, perchè  congenite;  altre  sono  passaggere, 
I)erchè  legate  ad  uno  stato  transitorio. 

Un  uomo,  chiuso  in  un  buio  carcere  per  dieci 
anni,  anche  senza  essere  dotato  di  squisita  sensibi- 
lità estetica,  se  liberato  ad  un  tratto  aves.^e  dinanzi 
agli  occhi  una  grandiosa  scena  della  natura,  a  cui 
la  gloria  del  sole,  le  iridi  dei  fiori,  lo  sfolgoreg- 
giare dell'azzurro  e  il  manto  del  verde  facessero 
corona,  potrebbe  cadere  in  estasi  contemplativa. 


30  CAPITOLO  I 


E  non  son  rari  i  casi,  nei  quali  la  subita  emozione 
produsse  in  tali  condizioni  la  sincope  e  perfino  la 
morte. 

Così  una  lunga  e  rigorosa  castità  può  nel  gio- 
vane meno  estatico  di  questo  mondo  produrre  un 
rapimento  dinanzi  ad  una  statua  greca,  che  mo-. 
strasse  le  sante  nudità  della  bellezza  femminile. 

Così  la  stessa  musica ,  che  ci  ha  lasciati  indif- 
ferenti le  cento  volte,  può  rapirci  in  estasi,  se  siamo 
fortemente  eccitati  dal  caffò  o  dalla  vicinanza 
della  donna  amata  o  da  una  gloriosa  vittoria  con- 
quistata nei  campi  dell'arte,  della  scienza  o  della 
guerra. 

Pochi  sono  gli  sfortunati,  che  in  nessun'ora  della 
vita  e  in  nessun  minuto  di  un'ora  non  provarono 
almeno  i  crepuscoli  d' un'  estasi  qualunque.  Io  li 
compiango  sinceramente,  perchè  essi  non  hanno 
provato  il  paradiso  in  terra. 


* 
*  * 


Dato  il  terreno ,  cioè  l' ambiente  adatto ,  dato 
il  seme,  cioè  il  sistema  nervoso ,  l' estasi  non  ap- 
pare mai  come  folgore  a  ciel  sereno;  ma  si  pre- 
para, si  adombra,  si  disegna,  si  accentua,  si  plasma 


EVOLUZIONE  DELL'ESTASI  31 

per  apparire  in  tutta  l'abbagliante  luce  della  sua 
apoteosi. 

Ecco  schematicamente  la  scala  d'evoluzione.  £ 
qui,  che  A.  De  Musset  potrebbe  dire  : 

Montez  :  voilà  Téchelle  ! 

E  la  scala  è  questa: 

Concentramento  deW attenzione  in  un  unico  fatto  di 
coscienza,  sia  poi  aensaaione  del  mondo  estemo  o  del 
mondo  interiore,  pensiero  in  azione,  sentimento  che 
vibra. 

PaUore  e  raffreddatnento  crescente  di  tutte  le  altre 
sensazioni,  di  tutti  gli  altri  pensieri,  di  tutti  gli  altri 
affetti  passati  e  presenti. 

Accorrere  tumultuoso,  prorompente  di  tutte  le  forze, 
di  tutte  le  energie  in  un  punto  solo ,  attratte  quasi 
du  una  calamita  irresistibile. 

Scomparsa  di  tutte  le  forme  della  sensibilità  estema 
ed  intema. 

Paralisi  e  piU  spesso  catalessi  di  tutti  i  muscoli, 
per  cui  atteggiamento  fisso  e  spastico  in  una  sola  po- 
sizione, che  esprime  per  lo  più  o  V estremo  annientar 
mento  o  il  massimo  esaltamento. 

Una  tendenza  irresistibile  al  salire ,  non  foss' altro 
che  cogli  occhi. 

Comparsa  di  immagini  convergenti  in  un  sol  quadro. 


32  CAPITOLO  I 


o  di  una  sola  imma{flne,  che  concentra  in  se  tutte  le 
bellezze  del  disegno  e  del  colore. 

Risultato  finale:  un'unix^a,  una  tremenda  sensazione 
che  fonde  in  sé  tutte  le  altre  minori ,  un  unieo  y  «n 
tremendo  affetto  in  cui  si  trasformano  tutte  le  altre 
energie  affettive. 

Un  irradiare  da  questo  unico  punto  di  ra{jgi  di 
luce,  di  folgori  di  trascendenza. 

Il  rapimento  o  Vestasi. 


*  * 


L'uomo  che  è  salito  per  questa  scala,  protende 
le  braccia  del  corpo  e  del  pensiero  verso  Tinfìnito 
e  aspira  a  pieni  polmoni  Paria  inebbriante  di  tutti 
i  superlativi  umani.  É  allora  ch'egli,  giunto  agli 
estremi  confini  dell'umano,  intravede  e  sogna  un 
uomo  più  uomo  di  lui ,  uà,  angelo  o  un  Dio,  e 
spesso  si  crede  convertito  in  angelo  o  in  Dio; 
cioè  in  un  uomo  alato  o  in  una  creatura  invisi- 
bile, onnipotente  e  per  necessità  amorfa  nel  tempo, 
cioè  eterna  ;  amorfa  nello  spazio,  cioè  infinita.  Siam 
fuori  del  reale  quotidiano,  non  siamo  più  nella 
ginnastica  pedestre,  ma  nell'acrobatica. 

E  chi  contempla  l' uomo  estatico ,  lo  ammira  o 


VEHSO  L'INFINITO  33 

Io  derìde ,  secondo  la  propria  fede  o  il  proprio 
scetticismo;  lo  divinizza  o  lo  consacra  al  mani- 
comio; ne  fa  nn  Dio  o  nn  pazzo;  di  tanto  gli 
estremi  poli  del  sensibile  e  dell'  intelligibile  sono 
Ticini;  di  tanto  si  toccano  le  lagrime  della  gioia 
e  qneUe  del  dolore;  i  sorrisi  del  fanciallo  e  quelli 
dello  scettico  ;  le  convulsioni  della  voluttà  e  quelle 
dell'agonia;  i  delirii  lirici  e  la  mania ,  le  divina- 
zioni del  poeta  e  le  ipotesi  dello  scienziato. 

Circolo  e  sfera,  serpente  che  si  morde  la  coda  ; 
petalo  che  diventa  escremento,  e  escremento  che 
ridiventsf  petalo  ;  singhiozzo  di  morente  che  si  riac- 
cende nel  gemito  d'una  culla;  circolo  e  sfera  che 
rinchiudono  in  una  prigione  inesorabile  tutti  gli 
umani  pensieri ,  tutti  gli  affetti,  tutte  le  speranze 
del  figlio  di  Prometeo, 


Estasi  umane,  3 


Capitolo  II. 


Fatale  condanna  del  figlio  di  Prometeo.  —  Classificazione  delle 
estasi.  —  Le  piccole  e  le  grandi  estasi.  —  Schizzo  sommario 
delle  piccole  estasi.  —  Piccole  estasi  permanenti  e  transitorie. 
—  Le  grandi  estasi.  —  Trasformazione  dell'estasi  in  lavoro 
utile.  —  Classificazione  di  tutte  le  estasi  dalla  loro  origine. 


Studiare  vuol  dire  distinguere  e  distinguere  pur 
troppo  vuol  dire  incidere,  recidere;  separare  il 
tendine  dal  muscolo  e  il  nervo  dalla  carne  ;  dis- 
fungere  cose  nate  insieme  e  fatte  per  morire 
insieme,  sia  poi  che  siano  strette  tra  di  loro  per 
contiguità  di  luogo  o  per  continuità  di  tempo.  É 
questo  tale  un  tormento  per  il  naturalista  pensa- 
tore, è  tale  un  fatale  andare  che  accompagna  le 
mostre  ricerche,  che  io  me  ne  cruccio  e  me  ne 
cruccerò  fino  all'ultimo  respiro. 

In  questa  triste  necessità  di  distaccare  le  mem- 
bra dall'organismo  che  si  esamina,  mi  par  di  ve- 
dere la  più  fedele  rappresentazione  del  peccato 
originale  adombrato  in  tante  religioni  ;  mi  par  di 
udire  la  voce  di  un  Dio  risponder  beffardamente 
all'uomo  che  l'aveva  sfidato  :  —  no,  io  non  ti  inca- 
tenerò allo  scoglio,  né  ti  manderò   un   avvoltoio 


38  CAPITOLO  II 


che  ti  divori  le  viscere;  io  sarò  più  pietoso  con 
te,  di  quel  che  lo  fui  con  Prometeo  :  io  ti  darò  un 
coltello  e  tu  lo  terrai  eterno  nella  tua  mano.  ITon 
è  un'arme  con  cui  tu  abbia  ad  uccidere,  ma  lo 
strumento  necessario  per  la  ricerca  del  vero.  Tu 
vuoi  conoscere  il  segreto  delle  cose:  ebbene,  tu 
le  hai  a  tagliare;  tu  hai  voluto  in  ogni  fibra  di 
carne,  in  ogni  gocciola  di  sangue  ricercare  il 
perchè  della  vita,  ebbene  taglia.  Dividi  e  sappi!  — 

Eterno  tormento  delle  nostre  mani  e  del  nostro 
pensiero ,  quel  fatale  coltello ,  con  cui  facciamo 
sangue  a  ogni  passo  delle  nostre  ricerche;  eterna 
tortura,  con  cui  solo  sappiamo  costringere  la  na- 
tura a  dare  una  risposta  alle  nostre  afiPannose 
domande.  Fortunato  colui  che  incide  con  poco  di 
sangue  e  con  poco  di  dolore:  immortale  colui  che 
riesce  a  separare  senza  reciderei 

E  anch'io,  uomo  come  tutti  gli  altri,  condannato 
alla  stessa  pena,  dirigo  la  punta  del  mio  coltello 
in  uno  degli  organismi  più  delicati  della  psicologia 
e  tento  con  voi  di  distinguere  e  di  classificare  le 
estasi.  Me  fortunato,  se  riuscirò  a  far  poco  strazio 
delle  carni  delicate  e  dei  delicatissimi  nervi. 


ESTASI  PICCOLE  E  GRANDI  30 


Una  prima  e  naturale  distinzione  delle  estasi  è 
quella  che  separa  l'estasi  vera,  completa,  da  al- 
cuni stati  incipienti,  crepuscolari,  che  molto  la 
rassomigliano,  ma  che  mancano  dei  fenomeni  più 
alti  e  più  complessi.  Di  qui  una  classificazione  in 
piccole  esiasi  e  in  grandi  estasi. 

£ì  a  un  dipresso  come  per  l'ipnotismo,  che  fu 
distinto  (come  abbiamo  già  veduto)  in  sonnolenza, 
sonno  leggiero,  sonno  profondo,  e  profondissimo,  e 
sonnambulismo. 

Le  piccole  estasi  sono  naturalmente  le  più  co^ 
munì  e  non  v'ha  forse  uomo  di  razza  superiore, 
che  in  qualche  ora  della  vita  non  le  abbia  provate. 

La  musica,  la  contemplazione  di  opere  d'arte  o 
di  scene  della  natura,  molte  emozioni  affettive, 
la  religione,  possono  procurare  uno  straordinario 
esaltamento,  che  si  concentra  tutto  quanto  nel 
godimento  e  nell'  ammirazione.  Qualunque  sia  la 
sorgente  del  nostro  rapimento,  noi  ci  sentiamo 
quasi  del  tutto  isolati  dal  mondo  esteriore,  a  cui 
Siam  stretti  soltanto  per  quell'unica  sensazione  o 
quell'unico  aflfetto  che  è  causa  dell'estasi.  Vi  è  quasi 


40  CAPITOLO  n 


sempre  in  noi  l'espressione  della  distrazione  stra- 
ordinaria ,  della  fissazione ,  dell'  assorbimento  di 
tutti  gli  organi  e  di  tutte  le  sensazioni  in  un  unico 
punto  del  sistema  nervoso. 

Finché  però  noi  esaminiamo  le  sorgenti  del- 
l'estasi,  finché  l'attenzione  é  accompagnata  da 
tutta  l'acuità  della  nostra  coscienza,  il  rapimento 
non  si  verifica.  Possiamo  ammirare,  amare,  sentire 
intensamente,  ma  finché  i  contorni  dell'immagine 
reale  o  psichica  o  le  note  musicali  appaiono  chiare 
e  distinte  al  nostro  occhio  o  al  nostro  orecchio, 
l'estasi  non  esiste. 

£)  ad  un  certo  punto  di  tensione  prolungata 
del  nostro  sistema  nervoso,  ohe  i  contorni  del- 
l'immagine  sfumano,  le  note  si  confondono^  e  la 
coscienza  sembra  sciogliere  tutti  gli  elementi  di- 
stinti della  sensazione  in  un  lago  sconfinato  che 
tutto  assorbe  e  confonde. 


* 
*  * 


Un  momento  prima  noi  contemplavamo  una 
vergine  del  Bafaello  o  una  vergine  vivente  della 
natura,  e  ad  una  ad  una  ammiravamo  le  bellezze 
di  quella  creatura. 


PICCOLA.  ESTASI  41 


Le  linee  molli  e  ondeggianti  della  persona,  che 
rinchiudevano  tatto  nn  mondo  di  grazie  e  di  bel- 
lezze,  e  i  mille  particolari  fusi  armonicamente  in 
qaeirarmonia  di  forme  e  di  colorì  e  quella  melodia 
soave  deirammirazione  del  prima,  che  non  era  fi- 
nita e  si  fondeva  coll'ammirazione  del  poi,  facevan 
vibrare  tutte  le  nostre  energie  estetiche  con  una 
grandissima  voluttà;  ma  eravamo  sempre  osserva* 
tori,  pensatori,  critici  fors' anche;  ma  non  estatici. 

Ma  ecco  che  di  quell'immagine  noi  non  vediamo 
più  né  le  linee  curve,  né  le  grazie;  non  distin- 
guiamo più  né  la  fronte,  nò  gli  occhi,  né  il  colo- 
rito ,  né  altri  particolari  ;  ma  ogni  bellezza  si  di- 
Bcioglie  in  una  bellezza  sola.  Non  più  contorni, 
non  più  colori,  non  più  punti,  né  linee;  ma  la 
vibrazione  potente  di  tutti  insieme  quei  contorni, 
quei  colori,  quei  punti  e  quelle  linee,  che  conqui- 
stano ed  abbracciano  tutta  quanta  la  nostra  co- 
scienza, che  sembra  stringere  in  un  poderoso  am- 
plesso quel  capolavoro  dell'arte  o  della  natura. 

Allora  Testasi  incomincia  e  alle  sensazioni  di- 
stinte tien  dietro  l'indistinta,  la  indeterminata  e 
quindi  l'indefinibile.  Allora  siamo  nei  primi  stadii 
dell'  anestesia  e  della  catalessi,  senza  avere  né 
l'una  né  l'altra;  e  godiamo  nna  phcola  estasi,  É 
una  voluttà  squisita,  alta,  e  ahimé  troppo  rara. 
L'immagine  che  fu  causa  dell'estasi  spesso  sparisce 


42  CAPITOLO  II 


affatto  ai  nostri  occhi,  la  musica  che  ci  portò  a 
quell'altezza  non  è  più  udita,  benché  occhi  e  orec- 
chie sembrino  intenti  all'attenzione;  e  noi  a  mez- 
z'aria vediamo  un'  altra  figura,  udiamo  un'  altra 
armonia,  che  è  una  transustanziazione  di  tutte  le 
cose  belle,  di  tutte  le  musiche  del  mondo,  e  a 
mezz'aria  guardiamo  e  ascoltiamo  cose  che  ci  im- 
paradisano. I  pensieri  si  affbllano  come  rondini 
saettanti  che  al  richiamo  di  una  rondine  che  cian- 
gotta sulla  gronda  d'un  tetto,  accorrono  a  lei  ;  ma 
non  appena  comparsi  quei  pensieri ,  svaniscono , 
sfumano,  prima  di  prender  forma,  come  nuvolette 
rosee  e  dorate  che  una  brezza  repentina  del  cre- 
puscolo mattutino  chiama  a  raccolta  e  lo  spazio 
infinito  del  cielo  inghiotte  e  consuma.  Anche  quei 
pensieri  venuti  da  ogni  lato,  quasi  a  prender  parte 
al  gran  banchetto  dell'estasi;  accorsi  dagli  archivi 
del  passato,  dall'eco  lontano  di  versi  non  obbliati, 
dai  nidi  abbandonati  d'amori  svaniti;  venuti  dai 
calici  d'ogni  fiore,  dalle  bucce  pubescenti  e  fra- 
granti dei  frutti  dell'orto;  accorai  freschi  freschi 
dal  ghiacciaio  adamantino,  o  tepidi  dei  tepori  vo- 
luttuosi di  colombe  innamorate,  o  caldi  degli  ar- 
dori inebbrianti  dei  boschi  tropicali:  tutti  quei  pen- 
sieri venuti  dall'alto,  dal  basso,  da  ogni  punto  lon- 
tano e  vicino  dal  mondo  delle  creature  terrene  e 
dagli  abissi  degli  spettri  e  degli  spiriti,  fan  capo- 


L'ESTASI  IN  LAVOEO  UTILE  43 


Udo  alla  nostra  coscienza  estatica,  ma  fuggon  via 
subito,  prima  di  aver  coperto  le  loro  vaghe  nudità 
colla  veste  della  parola.  Vengono,  vanno ,  si  rin- 
corrono, si  appiattano,  e  noi  non  cerchiamo  punto 
di  afferrarli  o  di  arrestarli.  Son  nuvolette,  che  coi 
loro  contrasti  bizzarri  accrescon  bellezza  all'  az- 
zurro profondo  del  cielo;  ma  è  in  questo  azzurro 
che  noi  sprofondiamo  la  nostra  coscienza,  è  in 
queir  oceano  di  luce ,  che  noi  godiamo  la  nostra 
estasi. 


È  questo  un  momento  capitale  nella  storia  del 
pensiero  umano,  perchè  giunti  a  queste  frontiere 
altissime  e  lontane  del  sensibile,  la  forza  che  si 
sprigiona  dai  nòstri  centri  nervo{$i  o  finisce  tutta 
quanta  in  estasi,  cioè  in  fatti  di  coscienza,  o  si 
trasforma  in  opere  d'arte ,  siano  poi  di  penna,  di 
stecca  o  di  pennello.  Allora  l'estasi  svanisce, 
perchè  la  sensibilità  si  traduce  in  moto,  perchè 
la  forza  diventa  lavoro. 

Nella  donna,  nell'uomo  a  tipo  psichico  femmi- 
nile, nelle  nature  contemplative,  ogni  forte  ammi- 
razione, ogni  intenso  affetto  ha  lo  stadio  estatico 


44  CAPITOLO  II 


e  in  esso  si  consuma  e  finisce,  Neil'  uomo  invece 
e  in  tutte  le  nature  operanti,  Testasi,  incominciata 
appena,  si  traduce  nel  lavoro  utile  di  una  poesia, 
di  una  pagina  eloquente,  di  un  quadro,  di  una 
statua.  Nel  psicologo  naturalista  il  bisogno  pre- 
potente dell'osservazione  fa  violenza  all'estasi  ed 
egli  1'  arresta  e  la  studia.  Nessuna  opera  grande 
d'arte  o  di  letteratura,  che  non  abbia  il  suo  stadio 
estatico  ;  nessuna  estasi  lunga,  ripetuta ,  che  non 
consumi  gran  parte  delle  energie  del  pensiero,  se 
pure  è  consumazione  il  godere  voluttà,  che  solo 
il  ricordare  può  riempir  la  vita  di  gioia. 

É  legge  fatale  che  la  sensibilità  soverchia  sia 
a  danno  del  movimento,  e  che  rare  volte  i  poeti 
siano  uomini  d'azione.  Ma  se  le  donne  tutte,  che 
nei  campi  del  sentimento  provarono  le  sante  estasi 
del  rapimento,  avessero  potuto  lasciare  ai  posteri 
la  pittura  di  quei  mondi  fantastici  da  esse  visi- 
tati, quante  opere  d'arte  avremmo  nei  tesori  delle 
nostre  biblioteche  !  Pur  troppo  invece  torrenti  di 
voluttà  estetiche  scendono  muti  nel  fondo  del 
mare  o  si  perdono  fra  le  arene  dei  deserti,  senza 
che  fecondino  un  cespo  di  viole  o  una  spiga  di 
grano. 


LE  OBANDI  ESTASI  45 


*  * 


Molte  volte  le  piccole  estaM  non  sono  che  il  prin- 
cipio, r  introduzione,  il  primo  stadio  delle  grandi 
A  queste  non  si  giunge  quasi  mai  che  attraverso 
le  piccole;  poi,  T isolamento  della  coscienza  si  fa 
più  intenso,  diventa  completo,  raggiunge  Tultimo 
stadio  della  tensione  massima  e  noi  abbiamo  la 
catalessi,  il  rapimento  perfetto. 

A  raggiungere  le  grandi  estasi  non  basta  quasi 
mai  l'ammirazione,  ma  si  esige  la  nota  dell'affetto. 
Anzi,  meno  rare  eccezioni,  non  si  sale  così  in  alto 
che  per  due  scale ,  P  amore  e  il  sentimento  reli- 
gioso, le  due  più  gigantesche  energie  umane;  Vuua 
che  crea,  l'altra  che  adora  e  spera.  Delle  due  più 
frequenti ,  più  perfetta  l' estasi  religiosa ,  perchè 
Dio  non  si  può  vedere  né  abbracciare;  mentre 
Venere  è  più  vicina  a  noi,  e  anche  quando  non 
Bi  stringe  al  petto  innamorato,  ci  inviluppa,  ci 
accarezza  colle  grandi  ali  vellutate  dell'eterno 
femmineo.  Lo  vedremo  più  innanzi ,  facendo  uno 
studio  i)articolare  delle  massime  estasi  concesse 
all'  uomo.  Fin  d'ora  però  possiamo  dire ,  che  1'  a- 
more  platonico ,  solo  suscettibile   dei   più  grandi 


46  CAPITOLO  II 


rapimenti,  è  sempre  un  desiderio  di  cosa  viva. 
Vi  è  sempre  nell'estasi  amorosa  una  nota,  altis- 
sima fin  che  si  vuole,  ma  nota  di  sensualità;  men- 
tre questa  è  così  lontana ,  è  così  sbiadita  nell'  e- 
stasi  ascetica  da  svanir  del  tutto  o  da  riuscire 
invisibile  nel  rapimento  religioso. 


All' infuori  della  classificazione  delle  estasi  se- 
condo il  grado  e  l' intensità,  noi  possiamo  distin- 
guerle naturalmente  dalla  natura  della  loro  ori- 
gine. Io  modestamente  propongo  questo  metodo 
di  distinzione. 

Primo  gruppo,  —  Estasi  affettive. 

Secondo  gruppo,  —  Estasi  estetiche. 

Terzo  gruppo.  —  Estasi  intellettuali. 


PRIMO  OBUFFO 

ESTASI  AFFETTIVE. 

1.  Estasi  dell^  amore. 

2.  Estasi  degli  affetti  di  famiglia. 

3.  Estasi  dell'  amicizia. 

4.  Estasi  dell'affetto  umano  e  sociale. 

5.  Estasi  del  sagrifizio. 

adorazione, 

6.  Estasi  religiosa  }  consacrazione,  dedizione,  prostrazione, 
°         >  visioni, 

preghiera. 


CLASSIFICAZIONE  47 


SECONDO   GEUPPO 

ESTASI  ESTETICHE. 


1.  Estasi  estetiche  della  figura  e  della  forma. 

2.  Estasi  del  colore. 

a  Estasi  della  simmetrìa. 

4.  Estasi  dell*  infinitamente  piccolo. 

5.  Estasi  dell'  infinitamente  grande. 

6.  Estasi  della  molteplicità. 

7.  Estasi  musicali. 


TEBZO  OBUPFO 

ESTASI  INTELLETTUALI. 


1.  Estasi  deUa  conquista  del  vero. 

2.  Estasi  della  creazione. 

3.  Estasi  dell'eloquenza. 

4.  Estasi  della  potenza  e  dell'  azione. 

5.  Estasi  metafisiche. 


Non  pretendo  aver  designate  tutte  qaante  le 
forme  e  le  origini  dell'  estasi  :  spero  soltanto  di 
aver  distinto  le  principali,  riducendo  le  complesse 
alle  forme  più  elementari,  che  si  raggruppano  poi 
e  si  intrecciano  in  cento  modi  diversi,  presentando 
al  nostro  occhio  aflfascinato  scene  e  quadri  di  tra- 
scendente bellezza. 

U  mineralogista  che  misura  con  istrumenti  geo- 


48  CAPITOLO  II 


detici  le  forme  diverse  dei  cristalli  può  preten- 
dere ad  un'esattezza  assoluta,  benché  alcune  forme 
intermedie  o  di  passaggio  sembran  talvolta  ridere 
delle  sue  rubriche.  Così  il  chimico,  che  colle  bi- 
lancio e  i  reattivi  segna  i  confini  insuperabili  di 
tutte  le  possibili  combinazioni  della  materia,  può 
vantarsi  di  esprimere  nelle  sue  formole  la  vera 
fotografia  del  vero,  la  vera  genealogia  evolutiva 
dei  corpi  composti.  Il  povero  psicologo  invece  non 
ha  fra  le  mani  cristalli  o  aggregazioni  matema- 
tiche di  molecole,  ma  studia  movimenti  invisibili 
della  più  mobile,  della  più  elastica  fra  le  materie: 
il  cervello  che  pensa;  —  e  deve  accontentarsi  di  ap- 
prossimazioni, di  divinazioni,  di  presso  a  poco.  Per 
lui  ogni  problema  di  distinzione  e  di  classifica- 
zione si  riduce  quasi  sempre  a  questa  formola  : 
misurare  Vinfinito,  pesare  VinìponderabUe, 


Capitolo  III. 

L'  ESTASI  NEGLI  ANIMALI. 

Le  forme  crepuscolari  dell'estasi  negli  animali.  —  Piccole 
estasi  muscolari,  musicali  e  estetiche.  —  Le  orgie  muscolari 
dei  bambini  e  delle  bestie.  —  Estasi  musicale.  —  Estasi  este- 
tica. —  La  passera  solitaria  a  San  Terenzo.  —  Gli  usignuoli 
ad  Acqui.  —  H  mio  papagallo  rosso  delle  Molucclie.  —  Le 
paradisee  e  i  loro  rapimenti  estetici.  —  Forme  crepuscolari 
delle  piccole  estasi  nei  nostri  bambini  e  nei  selvaggi.  — 
Un'antologia  dei  popoli  analfabeti. 


Estasi  tim(me. 


Per  quanto  V  estasi  poggi  sulle  più  alte  vette 
della  psicologia  nmana  e  il  nostro  orgoglio  da 
secoli  riserbi  all'uomo  il  privilegio  di  tutte  le  cose 
alte  e  buone  e  belle;  pure  la  scienza  imparziale, 
giusta,  che  colloca  ogni  cosa  al  suo  posto  e  non 
chiude  gli  occhi,  quando  un  fatto  della  natura 
sembra  umiliarci,  deve  riconoscere  che  anche  in 
molti  animali  si  possono  osservare  piccole  estasi, 
forme  crepuscolari  del  rapimento. 

Se  parlo  d'orgoglio  e  di  umiliazione  è  per  usare 
il  linguaggio  volgare,  non  già  ch'io  senta  né  l'und 
né  r  altra  cosa ,  quando  nell'  anatomia  del  mio 
corpo  o  del  mio  pensiero  o  dei  miei  sentimenti  io 
mi  veda  collocato  accanto  agli  insetti,  agli  uccelli 
o  ai  mammiferi.  Mi  sento  anzi  felice  di  questa 
fratellanza  cosmica,  nella  grande  repubblica  dei  vi- 
venti; dove  se  vi  sono  oppressori  e  oppressi,  grandi 


52  CAPITOLO  III 


e  piccini,  i  corridori  si  passano  però  tutti  quanti 
dall'una  all'altra  mano  la  fiaccola  della  vita,  e  la 
culla  e  la  tomba,  e  il  piacere  e  il  dolore  ci  strin- 
gono nel  circolo  d'una  stessa  famiglia  e  con  vin- 
coli ben  più  inesorabili  e  fatali,  che  non  siano  le 
gerarchie  nobiliari,  le  caste  e  l'identità  del  co- 
gnome. 

Gli  animali  più  vicini  a  noi,  così  come  sono  su- 
scettibili di  ipnotismo,  sono  anche  capaci  di  estasi. 
Bono  estasi  semplicissime,  passaggere,  ma  chi  po- 
trebbe negare  che  sono  senza  visioni  e  senza  ca- 
talessi? —  La  psicologia  degli  animali  è  ancora 
al  sillabario,  e  ogni  giorno  che  passa  ne  allargai 
confini  e  li  avvicina  sempre  più  a  noi.  Io  non  pre- 
tendo di  aver  studiato  i  nostri  fratelli ,  i  nostri 
primi  e  secondi  cugini  colla  profondità  con  cui  li 
hanno  studiati  l'Audubon,  il  Brehm,  il  Darwin  e 
pochi  altri;  ma  pure  tra  le  pareti  domestiche  e 
nelle  foreste  di  San  Eossore  (quand'ero  studente 
a  Pisa)  come  più  tardi  nelle  vergini  foreste  del- 
l'America meridionale  e  dell'India,  come  nei  campi 
e  nei  giardini  d'Europa,  ho  passato  anch'io  lunghe 
ore  neir  osservare  usignuoli,  x)apagalli,  gazzelle, 
cavalli,  guanacchi,  scimmie  ed  altri  nostri  parenti 
alati  o  pelosi,  e  credo  di  averli  veduti  in  estasi. 
Mi  sembra  anzi  di  poter  distinguere  in  tre  gruppi 
questi  loro  rapimenti,  e  cioè  in  : 


V  ESTASI  53 


1.^  Estasi  muscolari  e  vegetative; 

2.^  Estasi  musicali; 

3.^  Estasi  estetiche; 
per  non   dij^correre  dell'  estasi   amorosa  che  ap- 
partiene (come  ho  già  detto)  alla  voluttà  e   ohe 
ho  già  studiato  in  altri  miei  scritti. 


Da  ogni  punto  del  sistema  nervoso  centrale  si 
sprigionano  continuamente  energie  latenti,  che 
sono  nuU'  altro  che  trasformazioni  di  movimento 
e  che  quando  non  si  traducono  in  lavoro ,  si  ac- 
cumulano, si  addensano  rimanendo  allo  stato  po- 
tenziale. Quando  la  tensione  è  soverchia,  le  cel- 
lule nervose  non  la  possono  più  contenere  e  ad 
un  tratto  sprigionano  la  forza  sotto  mille  forme 
diverse.  Ora  è  un  canto ,  ora  è  una  corsa ,  o  un 
salto  o  un  incomposto  e  convulso  agitarsi  di  tutti 
i  muscoli.  Chiamerò  questo  un'orgia  muscolare, 

É  un  cavallo  selvaggio,  che  nitrendo  alza  il 
capo,  poi  si  dà  a  una  corsa  sfrenata  nelle  pampa 
0  nelle  steppe  e  caracollando  e  impennandosi 
senza  bisogno  di  frusta  o  di  sperone,  interrompe 
la  corsa  per  saltare ,  per  girare   sopra  sé  stesso; 


54  CAPITOLO  m 


poi  si  getta  a  terra,  mordendo  l'erba  senza  man- 
giare; convulso,  beato,  ebbro  di  movimento  e  di  vita. 

È  un  cagnolino,  che  s'alza  dalla  cuccia  e  corre 
ad  inseguire  mosche  immaginarie,  abbaia  a  ne- 
mici invisibili ,  salta  e  si  rotola ,  schiamazza  e  si 
esalta  del  proprio  moto  e  dell'ebbrezza  della  forza 
ohe  sprigiona  da  ogni  muscolo. 

È  un  gibbone,  ohe  appeso  colle  due  braccia  al 
ramo  d' un  albero ,  nelle  foreste  di  Sumatra  o  di 
Bomeo,  fa  salti  mortali  e  guizzi  acrobatici  verti- 
ginosi e  giri  e  rigiri,  che  stancano  il  nostro  occhio. 

Son  centinaia  di  papagalli,  che  sulle  rive  di 
un  laghetto  del  Paraguay  circondato  da  denso 
foreste,  si  rotolano  nell'arena,  sbraitando,  beccan- 
dosi per  chiasso,  gettandosi  sul  dorso,  facendo  e 
sciogliendo  gruppi  di  piume  verdi  e  rosse  e  gialle, 
e  gettandosi  nell'  acqua  e  bagnandosi  a  vicenda 
collo  sbattere  convulso  dell'ala. 

Or  bene,  in  tutte  queste  orgle  muscoìarij  in  qu^,- 
sti  inni  di  vita  piena  e  baldanzosa,  che  le  crea- 
ture sane  e  felici  lanciano  al  cielo,  vi  sono  mo- 
menti nei  quali  ogni  moto  cessa,  ogni  voce  si  tace, 
e  l'animale,  pennuto  o  peloso,  rimane  assorto  nella 
piena  di  una  sola  sensazione,  una  delle  più  sem- 
plici forse;  quella  di  sentirsi  pienamente  vivo.  Di 
certo  è  quella  una  forma  crepuscolare  dell'estasi, 
perchè  V  animale  in  quei  momenti  di  beatitudine 


L' ESTASI  55 


dimentica  i  bisogni  più  urgenti  della  vita  e  può 
esporsi  ai  maggiori  pericoli,  lasciarsi  sorprendere 
dai  suoi  nemici. 


U  estasi  musicale  non  è  nota  a  noi  che  negli 
uccelli  cantori ,  ma  chi  sa  che  l'asino  che  raglia, 
il  gibbone  che  percorre  tutta  la  scala  delle  nostre 
note,  chi  sa  che  gli  insetti,  le  cicale  e  i  grilli,  per 
esempio,  non  provino  anch^essi  rapimenti  estatici, 
quando  parlano  la  loro  lingua,  che  al  nostro  orec- 
chio riesce  così  disgustosa  e  perfino  insopportabile? 

Quasi  tutti  gli  animali  riserbano  il  meglio  della 
loro  musica  per  la  festa  delle  nozze,  e  siccome  in 
quella  primavera  metton  fuori  dagli  scrigni  i  loro 
gioielli  più  preziosi ,  così  non  è  a  dubitarsi  che 
si  inebbrino  anche  della  loro  voce.  La  voce  d'una 
donna  può  bastare  a  farcene  innamorare  e  molti 
cantanti  fecero  strage  spietata  di  cuori  femminili 
colle  note  della  loro  laringe:  precisamente  come 
molti  uccelli  s'invitano  all'amplesso  col  loro  canto 
e  moltissimi  non  sanno  cantare  che  nella  stagione 
d'amore.  Il  canto  è  il  loro  inno  di  gioia,  ò  il  mes- 
saggero del  loro  cuore,  e  porta   sulle  sue   ali  la 


56  CAPITOLO  in 


sedazione  e  il  fascino.  Il  frangaello  maschio  che 
aspira  ad  avere  una  sposa  e  un  nido ,  sale  sulle 
più  alte  cime  d'  un  ciriegio  e  innalza  al  cielo  i 
suoi  trilli  potenti.  Altri  rivali  si  associano  a  lui 
e  lo  sfidano  a  singoiar  tenzone,  alternando  i  loro 
inni  erotici.  E  intanto  la  pallida  femminetta,  na- 
scosta fra  le  fronde,  con  molta  civetteria  si  mette 
in  ordine  le  morbide  piume  sotto  le  ali  e  aspetta 
di  darsi  al  più  robusto  e  al  più  abile  cantore.  E 
i  pretendenti  cantano  e  ricantano  la  loro  canzone 
d^amore,  variandone  all'infinito  l'intonazione  e  la 
forza,  e  tanto  impegno  ci  mettono  e  tanta  pas- 
sione, che  fu  veduto  più  d'una  volta  cadere  dal- 
l'albero fulminato  dall'apoplessia  un  franguello  che 
aveva  troppo  cantato.  Senza  dubbio  in  questa 
crisi  l'estasi  non  può  mancare,  benché  sia  difficile 
il  dire  quanta  parte  vi  abbia  il  suono  musicale  e 
quanta  il  desiderio  d'amore. 

Io  ho  veduto  molti  uccelli  far  sosta  a  un  tratto 
nel  loro  canto  e  rimanersene  coU'oochio  fisso,  col 
corpo  immobile,  assorti  in  una  vera  estasi.  Più 
spesso  ho  veduto  la  passera  solitaria. 


ESTASI  ESTETICA  57 


Il  pavone  ohe  apre  la  sua  coda  smisurata  dai 
cento  ocohi  luccicanti ,  il  tacchino  che  gonfia ,  il 
gallo  che  fa  la  ruota,  sono  altrettanti  esempii  di 
estasi  estetica  negli  uccelli;  e  spesso  ne  godono 
anche  all'infuori  d'ogni  eccitamento  sessuale. 

Questi  e  molti  altri  animali  godono  nel  vedersi 
belli,  e  della  propria  bellezza  si  innamorano  e  si 
esaltano,  giungendo  di  grado  in  grado  fino  al  ra- 
pimento. Della  parte  che  hanno  queste  ostenta- 
zioni di  bellezza  nei  fatti  d'amore,  non  parlo,  perchè 
già  se  ne  sono  occupati  tanti  naturalisti  e  fra  gli 
altri  e  più  degli  altri  il  Darwin  nella  sua  opera 
sxxW  elezione  sessuale.  Il  credere  però  che  questi 
rapimenti  estatici  siano  sempre  e  necessariamente 
un  episodio  della  vita  riproduttiva  è  un  errore. 
Molte  altre  energie  psichiche  hanno  uno  scopo  ben 
determinato,  ma  airinfuori  del  loro  cerchio  natu- 
rale, diflfondono  la  loro  influenza  anche  in  altri 
campi  del  sistema  nervoso  e  del  mondo  psicolo- 
gico. Perchè  la  voce  è  stnimento  di  fascino  nella 
seduzione  amorosa,  non  è  detto  che  non  si  possa 
cantare  o  poetare  anche  per  semplice  sfogo  este- 


58  CAPITOLO  III 


tico,  e  così  accade  appunto  nel  pavone ,  nel  tac- 
chino ,  nel  gallo  e  vedremo  più  innanzi,  nelle  pa- 
radisee. 


4r 


Accanto  alla  mia  Serenella  a  San  Terenzo,  vi 
è  una  falda  di  monte,  che  è  un  paradiso  per  gli 
occhi,  che  è  un  incanto  di  solitudine  e  di  poesia. 
Si  alza  da  un  microscopico  seno  Ai  ghiaia  molle- 
mente bagnata  dal  mare  e  si  incorona  in  alto  di 
lecci  sempre  verdi,  che  saldi  al  loro  posto  colle 
radici  nei  crepacci  della  rupe,  si  inclinano  verso 
il  mare  e  si  piegano  in  cento  modi  come  fanciulla 
che  si  molleggia  a  far  risaltare  tutte  le  perfidie 
seduttrici  del  suo  corpo  voluttuoso ,  a  provare 
tutte  le  capacità  elastiche  della  sua   giovinezza. 

Fra  quei  lecci,  cespi  di  cisto,  di  lentischio,  di 
cripto,  che  nascono,  fioriscono  e  maturano  i  loro 
semi,  senza  che  mano  di  curioso  o  falce  di  contadino 
possa  toccarli  mai.  A  sinistra,  un  antico  cartello 
convertito  in  focolare  di  luce  elettrica,  a  destra 
e  in  alto,  dove  finiscono  i  lecci,  una  chioma  folta 
e  cinerea  di  ulivi.  A  sinistra  la  guerra  e  a  destra 


L' ESTASI  59 


la  pace;  a  sinistra  la  mano  dell' aomo  che  uccide 
l'uomo  ;  a  destra  la  mano  dell'uomo  che  nel  solco 
bagnato  dal  proprio  sudore,  pianta  il  pane  e  il 
Tino.  Fra  quei  due  grandi  travagli  umani  dell'uc- 
cidere  e  del  mangiare,  quella  falda  di  monte  è 
un'oasi  di  verginità  che  l' uomo  non  può  'violare. 
Piante  e  animali ,  lecci  e  lucertole ,  lentischi  e 
volpi,  rondini  e  passere  solitarie  vi  stanno  felici 
senza  la  paura  dell'uomo. 

Ee  di  quel  piccolo  mondo  è  la  passera  solitaria, 
che  in  un  crepaccio  dei  più  celati  e  inaccessibili 
intreccia  il  suo  nido  e  dei  pinnacoli  della  rupe 
fa  teatro  dei  suoi  canti  e  delle  sue  armonie. 

D'un  colore  azzurro  cupo,  quasi  avesse  assorbito 
e  concentrato  tutti  gli  azzurri  del  cielo,  in  cui  si 
tuffa  da  mane  a  sera,  col  suo  occhio  che  luccica  an- 
che da  lontano  come  grano  di  antracite,  canta  e  sì 
delizia  dei  suoi  canti  sfogati ,  che  squillano  per 
Tarla  dorata  dell'estate,  come  inni  di  lirica  audace. 
E  di  quel  canto  s'inebbria  e  alza  il  collo  e  soc- 
chiude gli  occhi  e  si  contorce,  Anche  non  potendo 
contenere  la  piena  dell'emozione  che  lo  innonda, 
si  alza  fulmineo  neir  aria ,  quasi  volesse  sprofon- 
darsi nell'  infinito  e  coli'  ali  distese  s' immobilizza 
sospeso  fra  l'azzurro  del  mare  in  cui  si  specchia 
e  r  altro  azzurro  del  cielo  che  guarda  dall'  alto 
quella  creatura  alata ,  tutta  bellezza  e  tutta  ar- 


60  CAPITOLO  III 


monia;  e  che  innalza  il   suo  grido  di  gioia  e  di 
voluttà  alla  natura,  madre  di  tutti  i  viventi. 

In  quell'istante  di  certo  la  passera  solitaria  prova 
un'estasi  complessa,  muscolare  e  musicale  ad  un 
tempo,  e  rapimenti  consimili  devono  osservarsi  in 
altri  uccelli  da  chi  li  studierà  con  curiosità  di 
naturalista  e  amore  di  poeta. 


♦  * 


Passai  per  tre  anni  di  seguito  i  tre  mesi  più 
caldi  dell'anno  ad  Acqui,  dove  i  fanghi  fumanti 
e  le  lamentazioni  di  tanti  sciancati,  di  tanti  zoppi, 
di  tanti  gottosi  non  potevano  di  certo  offrirmi 
materia  dì  estasi  estatiche.  Unico  conforto  ai  lun- 
ghi giorni  il  confortare,  unica  gioia  il  dar  un  po' 
di  gioia  a  chi  soffre.  Avevo  però  bisogno  ancor  io 
di  Un'ora  almeno  di  poesia  nelle  ventiquattro  che 
la  provvidenza  distribuisce  ogni  giorno  con  giusta 
misura  ad  ogni  mortale. 

Ed  io  trovavo  quell'ora  nei  colli  ridenti  di  pam- 
pini e  di  spighe,  che  fanno  corona  alla  Bormida 
gentile  e  capricciosa,  fra  le  sue  sabbie  e  le  sue 
spire.   Acqui   è   una  bolgia  di  fanghi  plutonici  e 


L'USIGNUOLO  D'ACQUI  61 

t 

di  dolori  nmaDi,  chiusa  in  una  cornice  vaga,  ricca, 
splendente  di  bellezze  peregrine. 

Io  salivo  nell'ora  più  calda  del  giorno,  quando 
perfino  i  gottosi  non  si  lamentano  e  i  bagnini  er- 
culei dormono;  salivo  sul  colle  più  vicino,  dove 
lungo  la  strada  tortuosa  le  folte  siepi  di  sambuco 
e  di  caprifoglio  mettevano  un  po'  d'ombra  profu- 
mata. 

Non  avevo  a  compagni  della  mia  solitaria  pas- 
seggiata clie  gli  usignuoli,  e  in  quell'ora  calda, 
infuocata,  forse  perchè  non  turbati  dalla  presenza 
degli  uomini,  essi  si  davan  convegno  per  le  loro 
gare  di  armonia. 

Non  tutti  gli  usignuoli  cantano  egualmente  bene, 
X>erchè  anche  in  essi  l'individuo  campeggia  sulla 
specie  e  sulla  razza,  e  anche  gli  uccelli  hanno  i 
loro  Eossini,  le  loro  Patti,  i  loro  Tamberlick.  Gli 
usignuoli  di  Acqui  sono  tra  i  più  squisiti  cantori. 
Ch'io  abbia  mai  uditi,  e  la  Provvidenza  deve  averli 
di  certo  collocati  in  quel  luogo  a  far  contrapposto 
a  tanti  urli  di  umani  dolori. 

Io  non  tardava  a  trovarmi  vicino  ad  un  usi- 
gnuolo; senz'esser  veduto,  mi  siedeva  per  terra, 
0  sopra  un  pilastrino  deUa  strada  al  ridosso  di 
una  siepe,  e  lo  guardavo.  Per  lo  più  il  cantore  era 
sul  ramo  di  un  olmo  o  di  un  pesco.  Come  era  mo- 
desto l'abito  di  quella  creaturina  I  Due  o  tre  toc- 


62  CAPITOLO  III 


chi  presi  dalla  tavolozza  di  mezzo  Intto  bastavano 
a  dipingerlo;  un  po'  di  bigio,  un  po'  di  castagno, 
qua  e  là  più  cupo  e  pòi  basta:  solo  gli  occhietti 
vivaci,  lucenti,  fulminei,  mobilissimi  proiettavano 
nel  fitto  del  verde  raggi  intensi  di  intelligenza  e 
di  passione. 

Si  può  essere  brutti  come  Esopo  o  come  So- 
crate, oscuri  e  modesti  come  l'usignuolo,  torpidi 
e  mostruosi  come  l' elefante  :  ma  l' occhio  basta 
in  Esopo ,  in  Socrate ,  nell'  usignuolo  e  nell'  ele- 
fante, a  dirci  che  in  quei  corpi  o  brutti  o  vol- 
gari ,  o  informi ,  palpita  un  genio ,  canta  un'  ar- 
monia o  sfavilla  una  passione  superiore.  L'occhio 
è  il  fuoco  massimo  di  concentrazione  di  tutte  le 
energie  estetiche,  affettive  e  intellettuali;  in  lui 
convergono  come  in  uno  specchio  assorbente 
quanti  raggi  emana  la  vita  nei  suoi  ardori,  nelle 
sue  aspirazioni,  nelle  sue  idealità. 

E  l'usignuolo  cantava,  assorto  in  sé,  in  sé  rac- 
colto,  per  modo  che  quel  corpicino  bigio  sembrava 
scomparir  tutto  quanto  e  fondersi  col  collo,  che 
gonfiava  al  soflfto  delle  note  e  del  gorgheggio. 
Quella  testolina  col  suo  beccuccio  fine  fine  sem- 
brava tutt'occhi  e  gli  occhi  dicevano  tutte  le  de- 
lizie che  quel  cantore  godeva  nei  suoi  canti  ispi- 
rati. Dapprima  le  note  lente  lente,  interrotte  dal 
desiderio  che  domanda  e  si  affretta  col  salir  della 


L'  USIGNUOLO  B'  ACQUI  63 

curva  della  passione ,  quasi  richiesta  d' amore, 
che  si  rinforza  ad  ogni  nuova  preghiera.  E  le 
onde  del  desiderio  si  affollavano,  precipitavano 
poco  a  poco  in  un  torrente  finale,  che  era  non 
più  preghiera,  ma  implorazione,  spasimo,  delirio; 
che  non  era  più  elegia  o  treno,  ma  inno  lirico,  che 
echeggiava  per  l'aria  azzurra  e  dorata  dal  sol  di 
giugno ,  chiedendo  amore  con  tutta  l'irresistibile 
prepotenza  d'un  grande  amore. 

Variavano  i  trilli,  s'intrecciavano  diversamente 
le  note  armoniche  di  quel  canto,  che  aveva  come 
la  nostra  musica,  le  proprie  variazioni;  mail  mo- 
Uva  potente  era  sempre  quello;  quel  motivo  che 
segna,  m  ogni  canto  d'uccello  come  in  ogni  poema 
d'uomo,  l'eterna  storia  della  passione.  Prima  la 
preghiera  e  poi  la  violenza,  prima  la  pioggia  e 
poi  l'oragano,  prima  il  profumo  appena  adombrato 
di  un  bottoncino  di  fiori  e  poi  la  corolla  aperta 
con  tutto  il  lusso  dei  suoi  colori  e  delle  sue  alte 
fragranze;  prima  la  speranza  e  poi  l'amore;  prima 
il  corruscar  dei  lampi  e  poi  il  fulmine.  Tutto 
questo  dice  il  canto  dell'usignuolo,  uno  dei  tanti 
specchi  nei  quali  la  natura  riflette  la  sua  im- 
magine. 

Ma  tutto  questo  ignora  beatamente  il  modesto 
cantore  delle  siepi ,  ma  quel  che  non  ignora  è  la 
delizia  del  suo  canto,   è   la  voluttà   acustica  che 


04  CAPITOLO  IH 


tutto  lo  assorbe.  E  quando  dopo  un  breve  riposo 
ascolta  un  altro  usignuolo  che  risponde  al  suo 
canto  e  si  prova  a  superare  il  rivale  con  note 
più  alte  e  più  tenere  e  quando  crede  di  aver 
vinto  nel  certame  dell'armonia,  allora  alza  la  te- 
stolina superba  con  aria  di  oratore  che  trionfa  e 
fissa  gli  occhi  nel  vuoto  e  cade  in  rapimento. 

Più  d'una  volta  in  quel  momento  mi  alzai,  mi 
feci  vicino  all'usignuolo;  e  l'usignuolo  mi  guardò 
come  chi  non  vede,  non  si  diede  pensiero  a  fug- 
gire. O  quella  è  un'estasi  o  l'estasi  non  esiste  nel 
mondo  animale. 


* 


Io  ho  prigioniero  in  una  gabbia  un  altro  uccello, 
fra  i  più  vaghi  del  mondo  ornitologico  e  che  mi 
presenta  spesso  lo  spettacolo  di  un'estasi  animale. 

Io  l'ho  pescato  in  quel  ciclopico  pandemonio 
di  cose  animate  e  inanimate  che  è  il  mercato  di 
Bombay  nell'India.  Là  dove  s'addensano  a  valan- 
ghe i  fiori,  le  frutta,  e  gli  animali,  vi  è  un  piccolo 
territorio  pestifero  e  affascinante  in  una  volta 
sola  e  dove  si  vendono  uccelli  e  scimmie.  Per 
terra  tutto  il  lezzo  e  tutto  il  fango  di  una  razza 


IL  MIO  PAPPAGALLO  65 


sudicia,  benché  si  lavi  non  so  quante  volte  al 
giorno;  là  tutto  il  letame  degli  animali  che  fer- 
menta sotto  il  sole  del  tropico  col  sudore  degli 
uomini. 

È  là  che  voi  vedete  migliaia  di  bengalini  che 
sembrano  pullulare  dalla  terra,  come  formiche  alate 
con  le  più.  svariate  tinte  del  bigio  che  diventa 
nero,  del  castagno  che  divien  rosa;  è  là  che  voi 
vedete  migliaia  di  verdi  papagalli  cicalare  in 
coro  come  folla  di  pettegole  di  San  Frediano;  è 
là  che  centinaia  di  scimmie  fanno  la  caricatura 
di  tutti  i  ceffi  umani  e  di  tutto  le  umane  passioni. 
Grida,  canti,  urli,  fischi,  che  fanno  ooro  per  Paria 
fetente  e  uomini  neri  e  castani  che  gridano  e 
urlano  e  fischiano  cogli  animali  :  tutta  una  gaz- 
zarra di  bestie  ebbre  di  vita. 

È  in  quel  pandemonio  che  io  ho  trovato  il  mio 
pappagallo  delle  Molucohe.  Era  il  re  di  tutta 
quella  festa,  era  la  creatura  x)iù  bella  fra  tutte 
quelle  centomila  creature.  Io  me  ne  innamorai  e 
lo  volli.  Invano  mi  fu  detto  ohe  nato  sotto  i  raggi 
più  infuocati  del  tropico  non  sarebbe  giunto  vivo 
in  Europa,  e  se  ma|  avesse  potuto  sopportare  la 
lunga  e  difficile  traversata,  sarebbe  morto  alle 
prime  brezze  dell' inverno  italiano.  Lo  volevo  po- 
ter dir  mio,  almeno  per  qualche  giorno  e  me  lo 
comprai.  La  mia  ostinazione  ebbe  ragione,  perchè 
Estasi  umane,  6 


66  CAPITOLO  III 


il  mio  pappagallo  non  solo  giunse  vivo  a  Firenze, 
ma  ha  poi  impunemente  attraversato  tre  inverni, 
e  si  è  fatto  fiorentino  per  modo,  che  non  stupirei 
udirlo  qualche  mattina  bestemmiare  come  un  fiac- 
cheraio di  piazza  del  Duomo. 

Io  non  rho  mai  battezzato,  perchè  non  trovo 
nome  degno  di  lui.  E  che  importa  il  nome? 

Mi  hanno  detto  che  nei  lunarii  della  scienza 
l'hanno  chiamato  Eclectas  Linno^l;  ed  io  chino  il 
cax)o  ai  responsi  della  scienza.  A  me  basta  sapere 
che  il  mio  pappagallo  è  una  delle  più  belle  fra 
le  creature  alate  del  nostro  inaneta. 

É  quasi  tutto  rosso,  ma  di  un  rosso  scarlatto, 
che  ò  fuoco  ed  è  velluto,  che  è  seta  e  fiamma  di 
bengala.  Rosso  ha  il  capo,  il  petto,  il  ventre,  le 
spalle;  nere  le  gambe,  verdi  le  ali  e  le  penne  della 
coda  più  vicine  al  corpo;  il  becco  color  dell'ambra. 
Nella  testa  fiammeggianti  scintillano  due  gemme 
che  sono  gli  occhi.  Due  diamanti  neri  incastonati 
in  due  cerchielli  d'oro;  mille  bellezze  raccolte  in 
un  corpo  caldo,  vellutato,  lucente  e  che  si  può 
tener  fra  le  mani  e  accarezzare  come  una  testo- 
lina di  bambino  o  come  un  piede  di  donna. 

Pari  alla  bellezza  il  mio  pappagallo  ha  la  viva- 
cità dei  movimenti  e  le  abilità  della  voce.  Dal 
brontolìo  confuvso  delle  sue  rrrr^  dei  suoi  ccorrr  e 
dei  suoi  fnrr  giunge  per  una  scala   di   fischi,  di 


IL  MIO  PAPPAGALLO  67 


gemiti,  di  trilli  e  di  grida  fino  alla  voce  umana, 
imitata  con  molta  maggior  perfezione  che  dal  suo 
celebre  rivale  dell'  America  meridionale.  Egli  sa 
ripetere  con  note  chiarissime  alcune  delle  parole 
piìi  care  del  mio  dizionario....  Laur'ma,  Manuelito, 
Bita,  BiUna,...  Non  dimentica  sé  stesso  e  canta 
spesso  le  proprie  lodi  :  Papa^allino,  papa{fallhio 
bello...,  bello,  bellino.  E  quando  ha  esaurito  il  pro- 
prio vocabolario,  dà  una  fischiata  e  via  di  nuovo 
coi  suoi  trilli  in  trrrr,  frrr,  cccrrrr. 

Ma  il  canto  e  la  parola  non  bastano  a  sfogare 
tutte  le  energie  psichiche  dell'alato  abitante  delle 
Molucche.  Mentre  canta  o  jiarla,  si  sospende  colle 
zampine  inguantate  di  nero  all'  alto  della  gabbia 
e  tiene  all'  ingiù  tutto  il  suo  co^:p^ ,  e  balla  e  si 
molleggia  come  se  fosse  appeso  ad  un'  altalena. 
Poi  si  mette  in  piedi  e  si  alza  e  si  abbassa,  dan- 
zando in  cadenza  al  suono  della  sua  voce,  e  apre 
le  ali  e  fa  le  più  strambe  acrobatiche  dei  suoi 
cento  muscoli ,  come  un  cloicn;  mentre  imita  il 
riso  degli  uomini  e  forse  li  canzona.  Altre  volte 
apre  le  ali  e  le  agita  convulsivamente,  e  distende 
la  coda,  come  ventaglio,  mostrando  la  bellissima 
e  doppia  fila  delle  sue  penne,  rosse  in  alto,  verdi 
in  basso. 

Quante  espressioni,  quanta  mimica,  quanto  scop- 
piettar di  vita  in  quel  corpo  di  velluti   fìammeg- 


68  CAPITOLO  III 


gianti!  Ora  si  fa  piccino  piccino  e  striscia  salla 
terra;  ora  si  innalza  quanto  è  alto  e  atteggia  capo 
e  collo  e  petto  come  aquila  orgogliosa;  ora  buf- 
fone ed  ora  tenerissimo;  ora  gaudente  di  una  falsa 
collera  ed  ora  pettegolo;  ora  brontolone  pessimista 
ed  ora  ubbriaco  fradicio. 

Di  tutto  quello  schiamazzo,  di  tutte  quelle  con- 
vulsioni, di  tutto  quel  vociar  confuso  e  parlar  di- 
stinto, il  mio  papagallo  si  innamora  e  si  inebbria 
e  cade  in  estasi.  Bimane  fisso,  assorto,  inconscio 
del  mondo  che  lo  circonda ,  ed  io  lo  guardo  e  lo 
riguardo,  pensando  che  ho  sotto  i  miei  occhi  una 
scena  del  mondo  dei  viventi ,  che  conduce  ai  ra- 
pimenti del  poeta  che  crea ,  dell'  artista  che  di- 
pinge o  scolpisce,  dell'asceta  che  prega.  —  Quel 
papagallo  è  in  quei  momenti  più  uomo  di  molte 
scimmie,  più  uomo  di  molti  nomini,  che  hanno  la 
santa  ignoranza  di  tutte  le  estu>si. 


*  * 


Gli  uccelli  del  paradiso  o  le  paradisee  sono  fra 
le  più  splendide  creature  del  mondo  animale  e  la 
bellezza  delle  loro  penne  ha  loro  valso  il  glorioso 
battesimo  che  portano.  Ma  essi  non  sono  soltanto 


UCCELLI  DEL  PABABISO  69 


beUissimiy  ma  hanno  uno  squisito  senso  del  bello 
e  sulle  loro  energie  esfceticlie  ha  raccolto  fatti  pre- 
ziosi quel  grande  viaggiatore  e  pensatore,  quel- 
l'iUnstre  botanico  che  è  Odoardo  Beccari.  Le  sue 
osservazioni  sepolte  nel  tabernacolo  di  un  giornale 
scientifico,  meritano  di  esser  note  anche  ai  profani 
della  scienza,  che  anche  senz'essere  botanici  o  zoo- 
logi, amano  il  bello  dovunque  lo  trovano  (1). 

Le  paradisee  provano  di  certo  emozioni  molto 
vicine  air  estasi.  Se  mi  date  la  mano,  scenderemo 
col  Beccari  nella  Nuova  Guinea  e  vedremo  da  vi- 
cino quei  miracoli  iridescenti  delle  creature  alate. 


La  Paradisea  apoda  al  levare  e  al  tramontar  del 
sole  posa  sui  più  alti  alberi  delle  foreste  e  sembra 
in  adorazione  del  sole.  In  quel  paese  i  tramonti 
sono  sublimi.  Di  sera  le  nuvole  più  lontane  si  in- 


(1)  Dante  descrisse  stupendamente  in  tre  soli  versi  T  e- 
stasi  dell^allodola  : 

Qnal  lodoletta  che  in  aere  si  spazia 
prima  cantando  e  poi  tace,  contenta 
dell^nltima  dolcezza  che  la  sazia. 


70  CAPITOLO  III 


dorano  o  si  imporporano  intensamente,  spiccando 
sulUazzurro  celeste  del  cielo.  La  foresta  si  fa  d'nn 
verde  pia  cupo  per  la  notte  ohe  incalza.  Or  bene, 
tutti  questi  colori  del  crepuscolo  della  sera  tu 
vedi  dipinto  nel  manto  sfarzoso  di  cui  si  veste 
quella  paradisea. 

Nelle  penne  gialle  tu  raffiguri  gli  strati  sottili 
dorati  dell'orizzonte,  il  colore  delle  molli  piume 
del  petto  è  in  tutto  simile  a  quello  delle  nuvole, 
il  becco  e  i  piedi  sono  azzurri  come  il  cielo ,  sul 
collo  è  il  verde  della  foresta,  la  testa  è  d'oro  come 
il  sole  che  muore. 

E  la  paradisea  di  quella  bellezza  del  cielo  spec- 
chiata nella  sua  bellezza,  si  innamora  e  si  estasia. 
Svolazza  di  ramo  in  ramo,  apre  le  ali,  le  stende, 
le  agita  con  convulso  tremolìo,  solleva  le  sue  lun- 
ghe penne  sottoasoellari,  abbassa  ed  «alza  la  testa, 
grida,  incurva  la  coda  e  gode. 

Il  Beccari,  che  fu  più  volte  fortunato  spettatore 
di  questo  quadro  chiuso  in  così  splendida  cornice, 
osò  proporre  un'ardita  teoria  per  spiegare  i  vaghi 
colori  delle  paradisee.  L'ipotesi  è  degna  del  suo 
ingegno  e  può  sembrar  temeraria,  ma  ben  altre 
ipotesi  e  ben  altre  divinazioni  trovarono  poi  nelle 
scienza  sperimentale  la  loro  riconferma. 

Diamogli  la  parola: 

"  È  strano  forse  supporre  che  un  vivo  desiderio, 


PABADISEE 


^  una  impressione  oòntinua   di  poter  arrivare  ad 

"  un  tipo  di  bellezza,  possa  aver  prodotto  un  cam- 

^  biamento  nella  colorazione   e  nella   produzione 

^  delle  penne?  Non  credo;  e  quel  che  più  mi  sor- 

^  prende  si  è,  che  mentre  nel  paese  abitato  dalle 

*  Paradisee  papuane  i  tramonti  sono  quasi  sempre 

"indorati,  a  Waigheu  sono  al  contrario  rosso-in- 

^  fnocati.  E  sarà  forse  un  caso ,  che  la  specie  di 

"  Paradisea  che  vi  si  trova,  abbia  il  manto  simile 

"  al  fenomeno  quasi  giornaliero  che  ivi  si  produco? 

"  Perchè  la  Schlegelia  calva  ha  la  testa  nuda  color 

"  del  cielo,  che  essa  deve  vedere  ed  ammirare  fra 

^  mezzo  ai   rami   degli   alberi  nel!'  ore   dei   suoi 

"amori  crepuscolari?  Perchè  nella  medesima con- 

"  dizione  la  Paradisea  mag^nifica  ha   sul  dorso  un 

"  mantello  che  rassomiglia  pel  colore  e  la  forma  ad 

"  una  mezza  luna,  di  cui  forse  un  raggio  illumina  la 

"sua  palestra  od  arena,  nascosta   fra  i  cespugli 

"  nel  folto  dei  boschi  e  nella  quale  goffi  campioni 

"  sopraccarichi  di  ornamenti   si  contendono  i  fa- 

"  vori  della  modesta  spettatrice  in  un  torneo  ga- 

"  laute?  Il  Cicinnurus  è  per  serai)lice  caso  esatta- 

"  mente  del  colore  delle  infiorazioni  di  Costus  dei 

"  cui  semi  si  nutre  ? 

"  Perchè  i  succiacapre ,  le  civette  ed  altri  uc- 
"  celli  notturni  sono  a  colori  scuri?  E  perchè  fra 
"  essi  non  si  vede  alcuna  specie  a   colori  vivaci, 


72  CAPITOLO  ITI 


"  per  esempio,  verdastri ,  che  sarebbero  per  essi 
"  una  protezione  grandissima  durante  il  giorno, 
"mentre  durante  la  notte  qualunque  colore-  do- 
"  vrebbe  essere  indifferente?  Perchè  le  macchie 
"  di  alcune  succiacapre  rammentano  lo  stato  del 
"  cielo,  colle  nuvole  frammezzate  e  colla  luna  che 
"  si  mostra  fra  di  esse ,  come  nelle  notti  in  cui 
"  essa  risplende ,  quando  posati  su  di  un  ramo 
"  stanno  ripetendo  per  ore  ed  ore  la  loro  mono- 
"  tonissima  voce ,  che  rammenta  colpi  metodica- 
"  mente  applicati  con  un  pezzo  di  legno  su  d' un 
"  tronco  d'albero  ?  „  (1) 

Il  Beccari  spiega  questi  fatti  con  una  trasforma- 
zione del  sentimento  del  bello  in  un  fatto  nutritivo 
delle  penne:  in  un  mimismo  voluto  o  desiderato 
dall'animale.  Le  recenti  scoperte  sull'ipnotismo,  le 
emorragie  avute  per  suggestione  aggiungono  pro- 
babilità alla  ardita  teoria.... 


(1)  0.  Beccabi,  Le  capanne  e  i  giardini  delV  "  Amòlyor- 
ni8  iìiornata.  „  Annali  del  Museo  Civico  dì  Storia  Naturale 
di  Genova.  Voi.  IX,  76-77,  3-4  aprile  77. 


PARADISEE  73 


* 


n  Beccari  ha  veduto  la  Paradisea  apoda  in  estasi 
eoi  raggi  del  sole  ohe  tramonta,   ma  altre  para- 
disee di  colori  men   belli  hanno   trasformato   in 
altre  energie  psichiche  la  loro  sensibilità  estetica; 
ed  io  non  dubito  che  VAmblyornis  inornata  cada  in 
estasi,   contemplando   i  singolari  giardinetti  che 
costruisce  e  che  furono  tanto  bene  studiati  dallo 
stesso  viaggiatore,  che  li  ha  descritti  e  disegnati. 
È  pur  aingoiare  che  mentre   le  paradisee  più 
sfolgoranti  di  bellezza  non  costruiscono  capanne 
né  giardinetti,   una  loro  sorella   di   colori  mode- 
stissimi sfoga  la  sua  estetica   in   costruzioni  bel- 
lissime; precisamente  come  il  bellissimo  rigogolo 
0  r  azzurro  martin-pescatore   ed   altri   uccelli  di 
vaghe  piume  non  cantano  che  assai  male   e   V  o- 
scuro  e  modesto  usignuolo  delizia  sé  stesso  e  noi 
con  note  piene  di   armonìa.  Non   accade  spesso 
anche  nell'umana  famiglia,  dove  alcune  donne  di 
trascendente  bellezza  non  si  distinguono  per  al- 
cuna virtti  psichica,   mentre  spesso  donne  di  in- 
gegno potente  sono   appena  mediocri ,   o   anche 
bruttine   o   bruttissime'?   —   La   natura,  quando 


74  CAPITOLO  ITI 


spende  a^sai  per  un  lato ,   è  forse   costretta ,  da 
buona  massaia,  a  far  economia  dall'altra. 


Dopo  gli  amori  della  Paradisea  apoda  coi  cre- 
puscoli, vediamo  le  capanne  e  i  giardini  dell'Ai»- 
hlyornis,  É  Beccari,  che  ci  guida  alla  scoperta  di 
queste  singolari  costruzioni. 

£2  un  dì  di  giugno,  e  Beccari  aveva  già  da  cinque 
giorni  lasciato  Anda ,  dirigendosi  ad  Hatam  sul 
Monte  Arfek.  Era  però  stato  costretto  di  fermarsi 
un  giorno  a  Warmendi  per  dar  riposo  ai  suoi 
portatori.  Anzi  quel  giorno  non  lo  accompagna- 
vano che  soli  cinque  uomini,  avendo  lasciato  in- 
dietro alcuni  dei  cacciatori  con  la  febbre ,  ed  il 
restante  dei  i)ortatori ,  che  non  credevano  di  es- 
sersi riposati  abbastanza. 

Era  partito  di  buon  mattino  ed  era  già  un'ora 
dopo  il  mezzogiorno  e  marciavano  ancora  per  una 
strada  molto  faticosa,  né  si  erano  riposati,  perchè 
poco  mancava  a  giungere  alle  capanne  di  Hatam, 
termine  della  gita. 

Egli  si  trovava  sulla  pendice  di  uno  sprone  del 
Monte  Arfak;  la  foresta  vergine   era  alta  e  bel- 


L'ESTASI  NEGLI  ANIMALI  75 


lissìma  e  appena  qualche  raggio  di  sole  vi  pene- 
trava. Il  suolo  era  qnasi  libero  dalle  piccole  piante, 
e  nn  sentiero  battuto  mostrava  che  le  abitazioni 
non  potevano  esser  lontane:  aveva  anche  oltre- 
passata una  piccola  sorgente,  alla  quale  sembrava 
che  spesso  si  venisse  ad  attinger  acqua; 

Egli  incontrava  ad  ogni  passo  cose  nuove.  Una 
Balanaphara  in  forma  di  bernoccoli  arancioni  spun- 
tava qua  e  là  sul  terreno  a  guisa  di  funghi;  palme 
eleganti  ed  altre  piante  nuove  attraevano  la  sua 
attenzione.  Era  però  continuamente  distratto  dal 
canto  e  dai  gridi   di  uccelli ,   che   gli   riuscivano 
nuovi  e  sconosciuti,  come  sempre  accade  quando 
si  giunge  per  la  prima  volta  in  un  paese  non  prima 
esplorato.  Ogni  muover  di  foglia  faceva  sospettare 
una  scoperta,  né  era  solo  sospetto,  perchè  si  può 
dire  che  ogni  colpo  di  fucile  cagionava   una  sor- 
presa, e  gli  uccelli  che  incontrava  non  solo  per  lo 
più  erano  differenti  da  quelli  della  pianura,   ma 
bene  spesso  erano  nuovi  affatto. 

Aveva  appunto  ucciso  un  piccolo  marsupiale, 
che  si  arrampicava  sul  tronco  nudo  e  dritto  d'un 
grande  albero  alla  maniera  di  uno  scoiattolo  (il 
Pkascohgale  doì^salis),  quando  voltandosi,  proprio 
in  prossimità  del  sentiero ,  si  trovò  in  presenza 
dell'opera  più  bella,  che  ingegno  di  animale  abbia 
mai  saputo  costruire. 


76  CAPITOLO  ni 


Era  tina  capanna  in  mezzo  ad  un  praticello 
smaltato  di  fiori.  Il  tutto  in  miniatura.  Eiconobbe 
all'  istante  i  famosi  nidi  che  gli  erano  stati  de- 
scritti dai  cacciatori  di  Bruìjn,  ma  che  subito  so- 
spettò dovessero  avere  altro  scopo ,  quantunque 
gli  fossero  allora  del  tutto  ignote  le  costruzioni 
delle  Chlamydodere,  Si  contentò  di  esaminare  su- 
perficialmente per  il  momento  quella  meraviglia 
e  proibì  severamente  ai  suoi  cacciatori  di  scom- 
porla. Per  conto  dei  P<apua  era  ben  apparente  che 
non  era  necessaria  alcuna  raccomandazione;  giac- 
ché, quantunque  sulla  loro  strada,  il  nido  o  meglio 
la  capanna  era  intatta  e  mostrava  la  pace  in  cui 
i  suoi  abitatori  eran  vissuti,  finché  la  loro  cattiva 
stella  non  condusse  il  Beccari  e  i  suoi  a  distur- 
barli nella  loro  quieta  e  romantica  dimora.  Pote- 
vano essere  a  4800  piedi  di  altezza:  ancora  una 
mezz'ora  di  ripida  salita  e  giunsero  alla  loro  ilieta.... 

Pochi  giorni  dopo,  il  nostro  viaggiatore,  presa  la 
matita,  i  colori  e  il  fucile,  che  dette  a  portare  ad 
un  Arfak,  si  incamminò  verso  l'abitazione  del- 
VAmblyomi^,  Strada  facendo  provvide  alla  sua  co- 
lazione, uccidendo  un  paio  di  grassi  colombi  (Car- 
pophaga  chalcanota,  Salvad.)  che  come  si  costuma 
dalle  altre  specie,  mangiavano  dei  frutti  sopra  di 
un  grande  albero,  e  su  cui  sarebbero  invisibili,  se 


L' ESTASI  77 


col  muoversi  da  un  ramo  all'altro  e  col  far  cadere 
dei  frutti  al  suolo ,  non  svelassero  ben  presto  il 
loro  ritiro. 

Giunto  al  luogo  della  capannuccia,  sì  mise  tosto 
all'opera  e  ne  fece  uno  schizzo 

UAmblyomis  sceglie  un  luogo  pianeggiante  ed 
intomo  a  un  piccolo  frutice  che  è  circa  della 
grossezza  di  una  canna,  costruisce  con  delle  bor- 
racine una  specie  di  cono  di  un  palmo  di  diame- 
tro alla  base.  Essa  diventerà  il  pilastro  centrale 
e  sulla  sua  sommità  si  sosterrà  tutto  1'  edifizio  : 
l'altezza  però  del  pilastro  è  un  poco  minore  del- 
l'altezza totale  della  capanna  che  arriva  al  mezzo 
metro.  All'ingiro  dall'alto  del  jnlastro  centrale,  ed 
irraggiante  da  sé,  vengono  appoggiati  in  posizione 
inclinata  e  metodicamente  dei  fuscelli  che  toccano 
la  sommità  sull'apice  del  pilastro  e  con  l'altra  in 
terra,  e  così  tutte  all'ingiro  meno  che  sul  davanti, 
da  ciò  ne  nasce  la  forma  a  capanna  conica  molto 
regolare  che  presenta  l'assieme  quando  il  lavoro 
è  completo.  Molti  altri  stecchi  poi  sono  aggiunti 
ed  incrociati  in  varii  modi  per  rendere  questa 
specie  di  tetto  stabile  ed  impermeabile. 

Si  capisce  come  fra  il  pilastro  centrale  ed  il 
punto  corrispondente  al  luogo  di  appoggio  dei  fu- 
scelli sul  terreno  rimanga  una  galleria  circolare  o 


78  CAPITOLO  III 


meglio  a  ferro  di  cavallo.  Tutta  la  costruzione  Del- 
l'insieme  misura  circa  un  metro  di  diametro.  I 
fiiscelli  dei  quali  VAmhlyornh  si  era  servito  erano 
quasi  tutti  fusti  sottili  e  dritti  di  una  specie  di 
orchidèa  (Dendrobium),  epifita  che  cresce  in  grandi 
ciuffi  sui  rami  muscosi  dei  grandi  alberi,  sottili 
come  pagliuzze  e  lunghi  un  mezzo  metro  o  un  poco 
meno;  avevano  le  foglie  molto  piccole  e  strette, 
attaccate  e  quasi  vegetanti,  così  che  potrebbe  far 
supporre  che  appositamente  sia  stata  scelta  co- 
desta pianta,  per  impedire  che  la  casa  presto  im- 
putridisca e  si  sfaceli,  continuando  a  mantenersi  in 
vita  per  lungo  tempo ,  come  è  il  caso  per  la  più 
gran  parte  delle  orchidee  epifite  dei  tropici. 

Il  senso  raffinato  del  giardiniere  non  si  limita 
a  costruirsi  una  capanna.  £]  singolare  che  il  gusto 
del  bello  néìVAmblyornis,  come  in  molti  altri  uo» 
celli,  corrisponda  alla  medesima  maniera  di  vedere 
che  nell'  uomo  ;  vale  a  dire  che  ciò  che  piace  ad 
essi  piace  anche  a  noi.  La  passione  pei  fiori  e  pei 
giardini  è  indizio  di  buon  gusto  e  di  senso  raffi- 
nato; e  Beccari  rimase  sorpreso  nel  vedere  come 
gli  Arfak  con  gli  esempii  delV  Aìnblyornis  sieno 
così  poco  estetici  nelle  loro  abitazioni  e  che  i  din- 
torni delle  loro  case  sieno  tali  ammassi  di  soz- 
zurrc  da  essere  impossibile  V  avvicinarvisi.  Il  ve- 
derli col  corx)o  imbrattato   di   mota  e  di  ceneri, 


CAPANNE  DELL' AMBLYOBNIS         79 

^— ^  ■  ■  ^^—^-11    ■■!■  ■  ■  I      ■         -  ■  -   ■       -  I  ■■  IBI       ^^^-^1^——  m 

giaocliè  dormono  framezzo  al  focolare  e  con  la 
faccia  sudicia  di  Caligine,  ha  sempre  rammentato 
al  Beccari,  che  è  al  porco,  per  le  sue  abitudini  e 
per  la  sua  pelle  seminuda  e  sempre  lucida,  che 
l'uomo  selvaggio  rassomiglia,  più  che  a  qualunque 
altro  animale. 

Ecco  come  son  fatti  i  giardini  deW  Amblyomls 
inumata.  In  fronte  alla  capanna  vi  è  una  spiazzata 
che  occupa  una  superficie  assai  più  grande  di  essa. 
È  un  praticello  di  soffice  musco  tutto  trasportato, 
tutto  pulito  e  libero  da  erba,  da  pietre  o  da  altri 
oggetti,  che  ne  offenderebbero  T  armonia.  Su  co- 
tCwSto  grazioso  tappeto  verde  sono  sparsi  dei  fiori 
e  dei  frutti  a  colori  vivaci  in  modo  che  realmente 
presentano  l'apparenza  di  un  elegante  giardinetto. 

Il  maggior  numero  degli  ornamenti  sembrano 
riuniti  presso  l' ingresso  :  è  là  probabilmente  che 
il  maschio  porta  le  sue  sorprese  giornaliero  nelle 
sue  visite  amorose  alla  femmina.  Molto  diversi 
sono  gli  oggetti  che  esso  vi  dex)osita,  ma  sono 
sempre  a  colori  vivaci. 

In  quelle  disegnate  dal  Beccari  vi  crjino  presso 
l'ingresso  alcuni  frutti  di  Oarcmia  grossi  come 
piccole  mele  e  di  un  colore  violescente  :  altri  di 
Gardenia  pure  assai  grossi  e  che  aperti  irregolar- 
mente come  sono  in  quattro  o  cinque  valve,  mo- 
stravano la  polpa  e  i  semi  colorati  d'un  bel  croceo 


80  CAPITOLO  III 


vivo.  Vi  erano  molti  grappoli  di  piccoli  frutti  ro- 
sei, rinchiudenti  un  seme  giallo  che  esce  mezzo 
fuori  dal  guscio.  I  fiori  rosei  di  una  bellissima 
specie  di  Vaoclnium  sono  uno  dei  principali  orna- 
menti ,  i  quali  certamente  devono  variare  con  la 
stagione.  Non  è  solo  fra  i  fiori  e  i  frutti  che  VAm- 
hlyornis  cerca  i  suoi  ornamenti,  ma  fanghi  ed  in- 
setti vagamente  colorati  sono  pure  stati  veduti 
depositati  nei  giardini  e  dentro  le  gallerie  delle 
capanne.  Quando  questi  oggetti  sono  stati  esposti 
per  lungo  tempo  ed  hanno  perso  la  loro  freschezza, 
vengono  gettati  fuori  dalla  dimora  e  rimpiazzati 
da  altri. 

L' abilità  deir Amèfyortji»  non  consiste  solo  nel 
sapersi  costruire  un  luogo  di  piacere.  È  un  uccello 
sapiente,  ed  uno  dei  tanti  nomi  che  ha  ricevuto,  è 
quello  di  Burunn  guru  ossia  uccello  maestro,  per- 
chè rifa  il  verso  ed  imita  il  grido  di  una  quantità 
di  altri  uccelli  e  varia  le  sue  note  in  ogni  circo- 
stanza. Esso  era  la  disperazione  dei  cacciatori  del 
Beccaria  che  attratti  da  un  grido  sconosciuto,  si 
ripromettevano  qualche  scoperta;  che. poi  non  ri- 
sultava esser  altro  che  VAmblyomis.  Altro  nome 
che  riceve  è  quello  di  Tukaa  Kobon  ossia  giardi- 
niere, nome  che  il  Beccari  adottò  in  italiano. 

Le  capanne  e  i  giardini  deWAmbìyoniis  sono 
luoghi  di  piacere  e  di  ritrovo ,  nei  quali  in  certe 


CHLAMYDODEEE  8X 


stagioni  dell'  anno  i  maschi ,  spinti  dal  tormento 
d'amore,  si  riuniscono  a  corteggiare  le  femmine  e 
a  contendersi  i  loro  favori. 


*  * 


Altri  uccelli  costruiscono  gallerie,  pergolati,  ca- 
panne e  li  ornano  a  diletto  dei  loro  occhi,  a  sod- 
disfazione dei  loro  gusti  estetici. 

Sono  ben  conosciute  le  costruzioni  delle  Ghia- 
mydodere.  Gli  Inglesi  le  hanno  chiamate  playing  o 
gporting  places,  halls,  play  hauses;  ma  più  special- 
mente hoicers,  nomi  che  il  Beccari  traduce  in  quelli 
di  fergoluti,  gallerie  o  capanne.  Gli  uccelli  che  le 
costruiscono  sono  stati  chiamati  hower  hirds. 

Queste  costruzioni  apparvero  tanto  meraviglio- 
se, ohe  sul  principio  si  dubitò  potessero  essere  Pe- 
perà di  animali  e  si  suppose  fossero  culle  fatte 
dagli  indigeni  per  i  loro  bambini.  Presto  si  rico- 
nobbe che  non  potevano  nemmeno  esser  nidi ,  i 
quali  sono  fatti  dalle  chlwnydodere  nel  modo  ordi- 
nario fra  i  rami  degli  alberi  e  rassomigliano  molto 
per  la  forma  e  la  grandezza  a  quelli  delle  nostre 
comuni  ghiandaie. 
La  Chlamydodera  nuohalis  è  un  uccello  poco  piri 

Estasi  umane.  ^ 


82  CAPITOLO  ni 


grande  di  una  tordela  (Turdus  visdvorus),  di  colori 
brani  e  pooo  vistosi ,  ma  con  una  bella  macchia 
rosea  sulla  nuca.  Il  suo  pergolato  ha  la  forma  di 
una  galleria  formata  da  stecchi  appuntellati  in 
terra  e  riuniti  alU  apice ,  in  modo  da  formare  il 
tetto  di  una  specie  di  capanna  primitiva.  Il  ter- 
reno tutto  air  ingiro  è  seminato  di  conchiglie.  È 
stato  veduto  1'  uccello  svolazzare  in  avanti  e  in- 
dietro, prendere  una  conchiglia  con  il  suo  becco, 
e  trasportarla  attraverso  la  galleria  ora  da  una 
part«  ora  dall'altra. 

Le  gallerie  della  Chlamydodera  maculata  sono 
pure  formate  di  stecchi,  ma  sono  inoltre  bella- 
mente rivestite  di  alte  erbe  disposte  in  maniera 
che  si  toccano  quasi  coll'estremità,  le  decorazioni 
sono  abbondanti  e  consistono  di  conchiglie  bi- 
valve, cranii  di  piccoli  mammiferi  ed  altre  ossa 
imbiancate  dalla  lunga  esposizione  ai  raggi  solari. 
Secondo  i  racconti  di  alcuni  osservatori  le  con- 
chiglie devono  talvolta  essere  state  trasportate 
per  lunghi  tratti ,  giacché  i  piìi  vicini  dei  fiumi , 
dove  possono  essere  state  raccolte,  trovansi  a  rag- 
guardevole distanza. 

Si  assicura  che  in  questa  specie  molti  individui 
si  riuniscono  nelle  medesime  gallerie  a  far  la  cort^ 
alle  femmine  :  sembra  anche  che  la  medesima  gal' 
leria  venga  usata  per  molti  anni.  La  Chlamydodera 


GALLERIE   DI  UCCELLI  83 

guUata  fa  pare  nua  galleria  in  lìnea  retta  nella 
quale  sono  stati  trovati  sul  terreno  all'ingiro,  frutti 
rotolati  dal  mare,  che  rimanendo  assai  lungi,  do- 
vevano, esser  pure  pazientemente  stati  trasportati 
dall'uccello. 

La  galleria  della  Chlamydodera  cerHnivmiris  dif- 
ferisce da  quella  delle  altre  specie,  perchè  le  sue 
pareti  sono  molto  spesse  e  quasi  dritte,  ossia  poco 
inclinate  l'una  verso  l'altra  alla  sommità,  cosicché 
il  passaggio  intemo  è  molto  stretto  e  formato  da 
bei  fuscelli  collocati  sopra  una  folta  piattaforma 
di  stecchi.  £ì  lunga  e  larga  circa  metri  1,20  e  qua 
e  là  per  decorazione  vi  sono  sparse  bacche,  chioc- 
ciole e  conchiglie. 

Altri  uccelli  che  costruiscono  gallerie  con  non 
minore  ingegno  sono  i  Ptilanorhynehus.  Il  satin 
loicer  bird  ossia  il  Oapanniere  di  raso  (P.  viólaceus) 
fa  gallerie  come  la  clamidodera  e  le  orna  cogli 
Oggetti  a  colori  più  vivaci  che  può  riunire,  come 
belle  piume  di  uccello,  ossa  imbiancate,  conchiglie 
terrestri,  ecc.  Alcune  delle  penne  sono  spesso  in- 
serite fra  i  fuscelli,  mentre  altri  ornamenti,  come 
le  ossa  e  le  conchiglie  sono  disseminate  intorno 
all'ingresso  della  capanna. 

L' inclinazione  di  questo  uccello  per  rapire  ogni 
oggetto  attrattivo  è  così  grande,  che  gli  indigeni 
cercano  sempre  le  sue   gallerie  per  ogni  piccola 


84  CAPITOLO  IH 


cosa  che  abbiano  accidentalmente  perduta.  Vi  sono 
stati  trovati  perfino  accette  in  pietra  e  stracci  di 
colore  turchino  (1). 

Anche  fra  noi  la  Ga^za  ladra  ci  rammenta  V  i- 
stinto  di  alcuni  membri  della  famiglia  dei  Corvi, 
che  hanno  stretta  parentela  zoologica  con  quella 
delle  paradisee  e  che  presentano  il  singolare  istinto 
di  raccogliere  oggetti  luccicanti. 

Ed  io  rammento  fin  da  fanciullo  il  nido  di  un 
rigogolo,  nel  cui  fondo  era  stato  trovato  un  ma- 
rengo. 


* 
^  * 


Nei  bambini,  negli  uomini  di  razza  <ilta  ma  di 
bassissima  gerarchia  intellettuale  e  nei  selvaggi 
posti  sugli  ultimi  gradini  della  scala  umana,  Testasi 
ci  presenta  quasi  sempre  le  stesse  forme  crepu- 
scolari, che  troviamo  negli  animali. 

I  nostri  bambini  spesso  son  presi  da  un  bisogno 
irresistibile  di  muoversi,  di  saltare,  di  abbandonarsi 
ad  un'orgia  incomposta  e  quasi  delirante  di  tutti 
i  loro  muscoli,  e  spesso,  muovendosi,  cantano,  gri- 
ll) 0.  Beccabi,  op.  cit. 


L 


FANCIULLI  E  SELVAGGI  85 

dano,  ridono.  E  a  qaando  a  quando  si  arrestano 
ebbri  di  quella  vita  piena  e  calda  che  li  innonda 
per  ogni  part«,  non  badando  al  mondo  che  li  cir- 
conda. È  una  piccola  estasi  in  tutto  rassomigliante 
a  quella  dei  pappagalli,  delle  scimmie,  dei  cavalli 
e  di  chi  sa  quanti  altri  animali  giovani,  sani,  pieni 
di  vita  e  che,  innamorati  inconsciamente  di  sen- 
tirsi vivi,  si  sprofondano  in  quell'unica  sensazione 
e  se  ne  estasiano. 

ISfei  miei  Quadri  della  natura  umana  (1),  tentando 
una  monografia  dell'  ebbrezza ,  ho  parlato  lunga- 
mente dell'  ebbrezza  muscolare  e  dei  dervwh  gi- 
ranti. Orbene,  là  appunto  ci  troviamo  sopra  una 
frontiera  che  separa  l'ebbrezza  dall'estasi  e  a  volta 
a  volta  confonde  l'una  coll'altra.  Finché  si  gira,  si 
balla  e  si  fa  schiamazzo,  si  è  ebbri,  e  quando  il 
moto  si  arresta,  si  può  aver  l'estasi,  che  dura  poco, 
che  sembra  la  pausa  di  un  riposo  e  riprende  poi 
la  corsa  vertiginosa  del  delirio  muscolare. 

Le  grandi  energie  estetiche  mancano  affatto  nei 
bambini ,  non  già  nei  selvaggi ,  i  quali  spesso  si 
ornano  prima  di  vestirsi  e  mostrano  di  essere  tal- 
volta molto  sensibili  dinanzi  alle  grandi  sceno 
della  natura.  Il  sole  e  il  mare,  il  cielo  e  i  vasti 
panorami  della  terra,  parlano  a  voce  così  alta  e 

(1)  Mantegazza.  Quadri  della  natura  umana.  Voi.  I. 


86  CAPITOLO  III 


in  una  lingua  così  universale,  che. tutti  l'intendono, 
e  fra  le  cento  prove  chMo  potrei  porgervi,  ne  to- 
glierò alcune  fra  le  pia  eloquenti,  spigolate  nel 
vasto  campo  della  psicologia  comparata. 


Si  domandava  un  giorno  ad  un  negro  betchuana 
dello  Zambese,  che  cosa  egli  intendesse  per  san- 
tità ed  egli  rispondeva: 

^  Quando  una  pioggia  abbondante  è  discesa  dn- 
"  rante  la  notte,  quando  la  terra,  le  foglie  e  il  be- 
^  stiame  ne  son  stati  lavati ,  quando  il  sole  com- 
"  parendo  fa  vedere  una  goccia  d'acqua  sopra  ogni 
^  stelo  di  erba,  quando  si  respira  un'  aria  pura  e 
"  fresca,  ecco  la  santità  !  „ 

Questa  è  davvero  lirica ,  estasi ,  espressione  di 
altissima  estetica  e  in  bocca  d' un  negro. 


In  Patagonia  ci  sono  bellissime  sorgenti  circon- 
date da  laghetti  circolari  trasparentissimi  con  una 
magnifica   arena  bianca   sul  fondo.   Gli   Indiani 


I  SELVAGGI  87 


amano  lavarsi  mani  e  piedi  in  quei  luoghi  e  vi  si 
fermano  lungamente  ad  ammirarli  e  li  chiamano 
occhi  del  deserto. 


I  negri  di  Loango  hanno  un  gusto  estetico  molto 
squisito ,  che  permette  loro  di  apprezzare  alcune 
riposte  e  fine  bellezze  del  corpo  umano,  che  sfug- 
gono a  molti  volgari  ammiratori. 

Non  solo  essi  apprezzano  un  bel  polpaccio  nella 
gamba,  che  chiamano  tschiwumu  ischi  Jculu  o  ven- 
tre della  gamba;  ma  ammirano  le  pozzette  ai  lombi, 
alle  mani,  al  mento  e  nelle  guancie.  Distinguono 
perfino  con  arte  sottile  le  pozzette  delle  guancie 
in  mafidu  ma  munu,  che  non  appariscono  che  du- 
rante il  riso  e  in  mafiàu  ma  munu,  che  si  vedono 
sempre  (1). 


(1)  Pechubl-Loesche,  Indiscretes  am  Loango.  Zeiischrift 
fUr  Eihnol  Berlin  1878.  H.  I,  pag.  29. 


88  CAPITOLO  III 


*  * 


Se  mai  un  giorno,  innanzi  morire,  io  potrò  pab* 
blicare  nn^ Antologia  dei  popoli  analfabeti,  voi  po- 
trete vedere  nei  primi  vagiti  dell'  arte  selvaggia 
apparir  sempre  la  nota  dell'  ammirazione  per  le 
grandi  scene  della  natura  e  per  le  bellezze  delle 
creature  vive.  Dall'ammirazione  all'estasi  non  v'ha 
che  un  passo  ;  e  anche  il  povero  negro,  1'  austra- 
liano e  il  fuegino  possono  in  alcuni  rari  momenti 
della  loro  vita  miserabile  e  travagliata  esser  ra- 
piti in  alto  e  toccare  i  primi  gradini  di  quella 
altissima  scala,  che  conduce  alle  estasi  estetiche  di 
Rafaello,  di  Beethoven  e  di  Byron  o  ai  rapimenti 
ascetici  di  santa  Teresa  (1). 


(1)  Io  ho  pubblicato ,  pochi  anni  or  sono  ,  nel  Fanfulla 
della  Domenica ,  alcuni  saggi  sulla  Letteratura  dei  popoli 
aìialfabeti. 


Capitolo  IV. 


LE  ESTASI  AFFETTIVE. 


Diverso  fonne  delle  piccole  estasi  affettive.  —  Estasi  della 
carità.  —  Per  via  della  religione,  del  dolore  e  del  pentimento. 
—  La  redenzione.  —  Estasi  miste  di  carità  e  di  estetica  del 
bene.  —  Contemplazione  del  bene.  —  La  bellezza  della  bontà. 


Non  tutti  gli  aflfetti,  né  tutti  i  gradi  di  affetto 
possono  portare  l'uomo  fino  all'  estasi.  I  più  anzi 
non  hanno  provato  mai  un  rapimento  per  questa 
via,  oppure  hanno  scambiato  la  voluttà  dell'amore 
per  l'estasi  del  sentimento. 

Perchè  un  affetto  ci  porti  all'estasi,  deve  essere 
fra  i  più  potenti  che  scuotono  il  cuore  e  deve 
trovarsi  in  uno  stato  di  insolita  e  straordinaria 
tensione.  Solo  per  rara  eccezione  1'  amicizia ,  V  a- 
more  degli  uomini,  l'affetto  fraterno,  l'affetto  figliale 
possono  giungere  a  tanto  da  condurci  ad  un  vero 
e  proprio  rapimento.  Anche  l'affetto  paterno  è  per 
lo  più  calmo  e  sereno  e  tale  da  non  farci  estatici. 
L' estasi  è  riserbata  quasi  unicamente  alle  due 
massime  energie  della  vita  riproduttiva:  all'amore 
dell'  uomo  per  la  donna,  della  donna  per  1'  uomo, 
e  all'afffetto  di  madre.  Il  diventare  è  sempre  il  mo- 


92  CAPITOLO  IV 


mento  capitale  d'ogni  fenomeno  della  vita  e  quando 
il  presente  genera  il  faturo,  allora  si  sprigionano 
le  scintille  più  fulgide,  si  innalzano  le  fiamme  più 
ardenti. 

Anche  l'amore  e  T affetto  materno,  che  sono  le 
due  sorgenti  più  comuni  e  più  feconde  di  estasi 
affettive,  non  ci  danno  rapimenti,  che  a  certi  gradi 
di  tensione  e  in  certi  momenti  della  loro  vita.  Si 
esige  un  immenso  desiderio,  un'immensa  gioia  o 
un  eroico  sacrifizio  di  sé  stesso  alla  persona  amata. 

Di  qui  tre  forme  speciali  di  estasi ,  che  sono 
comuni  anche  a  tutti  gli  altri  sentimenti,  in  quei 
rari  casi,  nei  quali  per  squisita  sensibilità  dell'in- 
dividuo o  per  particolari  condizioni  dell'ambiente 
l'estasi  è  possibile. 


♦  . 


Le  estasi  di  desiderio  sono  tensioni  permanenti 
verso  un  polo  del  mondo  affettivo,  quasi  sempre 
tinte  a  bruno  da  una  specie  di  poetica  malinconia, 
spesso  accompagnate  da  una  intensa  ammirazione. 
B  qui  sul  bel  principio  delle  nostre  distinzioni  e 
classificazioni  le  vediamo  zoppicare  e  mostrare  le 
loro  magagne. 


ESTASI   AFFETTIVE  93 


Abbiamo  distinto  le  estasi  affettive  dalle  esteti- 
che,  ma  esse  si  danno  la  mano  e  si  intrecciano 
quasi  sempre.  1/  oggetto  amato  o  desiderato  è 
sempre  bello  agli  occhi  del  cuore  e  Tammirazione 
che  in  noi  ridestano  le  cose  belle  si  accompagna 
di  an  moto  del  caore  che  ce  le  fa  amare  e  desi- 
derare. Questa  doppia  natura  d'ogni  rapimento  ci 
apparirà  più  innanzi  ad  ogni  passo  dei  nostri 
stadii. 

Le  estoM  di  gioia  o  di  soddisfazione  sono  tra  le 
più  alte,  ma  sono  anche  tra  le  piti  fagaci,  perchè 
in  esse  la  forza  si  traduce  tutta  quanta  in  pia- 
cere e  r  equilibrio  si  ristabilisce  completo  tra  il 
desiderio  e  la  gioia  di  aver  ottenuto  o  di  posse- 
dere ciò  che  si  voleva.  La  voluttà  è  un  fatto  d'or- 
dine inferiore  che  può  accompagnare  o  seguire 
Vestasi  d'amore,  ma  questa  può  aversi  anche  senza 
di  quella. 

Vi  è  poi  una  terza  forma  di  estasi,  inista  di  do^ 
love,  di  compassione  e  di  sagrifizio,  nella  quale  tutte 
le  nostre  potenze  affettive  si  dirigono  verso  un 
punto  solo ,  verso  il  polo  della  carità.  Perchè  si 
abbia  l'estasi  convien  sempre  che  alcuni  degli  ele- 
menti morali  che  complicano  questo  fenomeno  si 
trovi  in  uno  stato  di  somma  esaltazione. 


94  CAPITOLO  IV 


* 


Daremo  prima  uno  sguardo  alle  piccole  estasi 
dei  sentimenti  minori ,  per  passar  poi  ai  grandi 
rapimenti  dei  due  massimi  amori  umani,  quella 
diamante  e  quella  di  madre. 


* 
*  * 


L'uomo  è  fra  gli  animali  uno  dei  più  socievoli 
e  convien  essere  misantropo  fino  alla  pazzia  per 
odiare  la  compagnia  di  altri  uomini.  Lo  stesso 
Schopenhauer  negli  atti  della  sua  vita  ci  mostra 
troppe  contraddizioni  tra  ciò  che  scriveva  e  ciò 
che  faceva. 

Il  bisogno  di  respirare  il  fiato  degli  uomini,  di 
associare  lavoro  e  riposo,  gioia  e  dolore,  di  spec- 
chiarsi in  altre  nature  umane,  ha  gradi  diversi  di 
intensità.  Il  minimo  grado  ci  è  presentato  dal- 
l' uomo  maschio ,  dall'  egoista ,  dal  mutilato  delle 
battaglie  della  vita.  I  gradi  massimi  si  osservano 
nella  donna,  nell'uomo  di  forti  energie  affettive. 


CAETTl  95 

Molti  rinnnzierebbero  alla  felicità,  se  questa  non 
dovesse  essere  divisa  con  altri  e  v'ha  perfino  ohi 
non  ha  mai  pensato  in  vita  sua  un  solo  pensiero, 
né  fatto  atto  alcuno,  senza  parteciparlo  ad  altri. 
V  ha  perfino  chi  non  può  pensare  senza  parlare, 
tanto  è  in  lui  prepotente  il  bisogno  di  pensare, 
di  sentire,  di  agire  in  due. 

Questo  bisogno  di  società  umana  è  ben  raro  che 
basti  a  portarci  all'estasi,  dacché  per  sua  natura 
questa  energia  si  suddivide  in  troppi  centri,  per- 
chè possa  concentrarsi  in  un  punto  solo;  e  quando 
ciò  avviene  è  perchè  nasce  un  sentimento  nuovo, 
che  ha  diversa  natura  e  porta  quindi  di  necessità 
auolie  un  nuovo  battesimo. 

L'affetto  per  gli  uomini  non  può  portare  al  ra- 
pimento, che  quando  si  manifesta  sotto  forma  di 
carità;  parola  dolce,  calda,  che  non  invano  ha  una 
etimologia  comune  con  caro  e  deriva  da  amore. 
Questa  parola  sta  scritta  sulla  bandiera  del  cri- 
stianesimo, che  per  essa  potrà  sempre  vantare  il 
primo  posto  nella  gerarchia  delle  religioni,  benché 
l'industria  delle  simonie  e  la  speculazione  di  tutte 
le  umane  imbecillità  abbiano  fatto  ogni  sforzo  per 
deturparla. 


I 
! 

96  CAPITOLO  IV  i 


Senza  bisogno  di  simpatie  sessuali,  né  di  vin- 
colo di  sangue  o  di  benefizii  ricevuti ,  chi  ha  il 
santo  bisogno  di  beneficare,  ama  tutti  gli  uomini, 
sol  perchè  uomini ,  e  misura  soltanto  il  proprio 
amore  dal  patimento  altrui.  I  felici  sono  la  cala- 
mita che  attrae  l'egoista;  il  dolore  è  la  calamita 
dell'uomo  caritatevole. 

Per  poter  raggiungere  le  estasi  della  carità  con- 
vien  avere  una  natura  delicata,  sublime,  eccezio- 
nale; conviene  risolvere  questo  problema  che  può 
sembrare  una  quadratura  del  circolo,  di  amare  gli 
altri  piti  che  sé  stesso.  Questo  non  è  naturale  e 
neppure  il  Cristo  osò  pretenderlo  dagli  uomini;  vi 
è  però  chi  raggiunge  questo  ideale.  Sono  eccezioni 
che  nel  campo  del  sentimento  raggiungono  lo  stesso 
livello  del  genio  nel  campo  del  pensiero. 

Se  il  Cristo  non  osò  pretendere  dagli  uomini  ohe 
amassero  gli  altri  più  di  sé  stessi,  ne  diede  però 
l'esempio ,  e  il  Budda ,  volendo  idealizzare  i  suoi 
discepoli,  perchè  poi  raggiungessero  il  massimo 
premio  dell'  annientamento ,  impose  loro  di  spo- 
gliarsi di  ogni  ricchezza,  di  ogni  proprietà,  facen- 


ESTASI  DELLA  CARITÀ  97 


clone  dono  agli  altri.  Consigliato  e  non  imposto 
dal  Cristo,  consigliato  dal  Biidda  e  dal  braraani- 
smo  ad  nna  casta  eletta,  questa  sostituzione  del- 
Valtrtiismo  àlVeffoismo  è  possibile  nell'uomo,  che  per 
questa  via  raggiunge  alcune  delle  più  alte  vette 
d€»iridealità  afìettiva.  E  noi  troviamo  nella  storia 
di  tutte  queste  religioni,  uomini  e  donne  che  eb- 
bero per  primo  fine  della  vita  Tesercizio  della  ca- 
rità interpretata  nel  senso  più  largo  e  più  nobile 
della  parola. 

Dare  e  dar  sempre,  non  ricevere  che  per  dare  ; 
non  ritenere  per  sé  che  quanto  è  necessario  agli 
strettissimi  bisogni  della  vita;  non  esser  soddisfatti 
che  della  gioia  altrui  data  dalle  nostre  mani,  non 
sorridere  che  dei  sorrisi  altrui  ;  fare  della  felicità 
degli  altri  1'  unica  fórma  della  felicità  propria.... 
Ecco  il  sogno  dell'uomo  di  carità;  sogno  che  non 
si  raggiunge  mai,  sete  che  mai  non  si  sazia  e  che 
ha  quindi  davanti  a  sé  tutti  gli  orizzonti  delFin- 
finito,  che  soli  possono  calmare  i  desiderii  infiniti, 
che  soli  possono  portare  al  rapimento  deirestasi. 

E  chi  mai  può  credere  di  aver  fatto  sempre  il 
bene,  e  chi  mai  può  pretendere  di  aver  potuto 
asciugare  tutte  le  lagrime ,  dato  pane  a  tutti  gli 
affamati ,  dato  conforto  a  tutti  i  disperati  !  L'  u- 
mana  famiglia  è  così  innumerevole  e  la  miniera 
dei  dolori  umani  così  infinita,  che  Tuomo  di  ca- 
Estasi  umane,  7 


98  •  CAPITOLO  IV 


rità  non  potrebbe  aver  pace  in  una  vita  di  secoli. 
Egli  è  come  il  giudeo  errante,  ma  è  il  pellegrino 
della  consolazione.  Nessuna  voce  imperiosa  lo 
scaccia,  ma  la  voce  degli  infelici,  ma  il  lamento 
del  bambino,  le  querimonie  del  vecchio,  Furio  del 
disperato  lo  chiamano,  lo  invocano  per  ogni  lato; 
e  quando  egli  si  riposa  un  istante,  nuovi  lamenti, 
nuove  querimonie,  nuovi  urli  lo  fanno  rizzare  dal 
breve  riposo  e  lo  attraggono  alP  opera  di  carità. 

Per  raggiungere  1'  estasi  per  questa  via  non  si 
deve  mai  avere  a  compagno  l'orgoglio,  la  vanità, 
il  bisogno  della  riconoscenza.  Chi  fa  il  bene  per 
orgoglio  o  per  vanità ,  mette  troppo  vicino  a  sé 
l'orizzonte  della  propria  aspirazione;  egli  è  pagato 
mentre  paga;  egli  riceve  mentre  dà,  e  per  quanto 
utile  l'opera  sua,  è  sempre  una  forma  di  egoismo. 
Quando  poi  sì  esige  la  gratitudine,  si  è  poco  meno 
che  usuraio,  dacché  nessun  capitale  frutta  un  pia 
alto  interesse  che  il  bene  che  facciamo.  Una  mano 
dà  e  l'altra  è  già  aperta  a  ricevere.  —  Tutto  que- 
sto non  può  condurre  all'estasi. 

Perchè  questa  si  abbia ,  conviene  che  l' opera 
nostra  di  confortare,  di  beneficare,  di  soccorrere 
ci  sembri  sempre  al  disotto  del  nostro  desiderio, 
e  che  una  santa  insaziabilità  di  bene  ci  porti 
da  un  infelice  a  uno  sciagurato,  dal  letto  di  un 
morente  alla  capanna  di  un  poverello,  dalla  culla 


ESTASI  DELLA  CARITÀ  99 

ili  un  orfano  al  pandemonio  di  nn  ospedale.  Le 
strette  di  mano,  le  parole  di  riconoscenza  raccolte 
lungo  1»  nostra  strada  son  subito  dimenticate, 
perchè  altri  dolori  ci  attendono,  altre  miserie  ci 
implorano.  E  se  il  plauso  e  1'  ammirazione  della 
folla  ci  arresta  per  farci  festa,  e  se  i  potenti  scen- 
dono dal  trono  per  inchinarci,  noi  fuggiamo  lon- 
tani ,  non  volendo  col  trionfo  dell'  orgoglio  gua- 
stare la  voluttà  sovrumana  del  sagriftzio  completo, 
assoluto  di  tutte  le  umane  debolezze.  Noi  proviamo 
allora  tutto  il  disgusto  ohe  avrebbe  colui,  che 
dissetandosi  all'acqua  fresca  e  vivida  di  una  fonte 
alpina  fosse  invitato  a  versarvi  ùelVaniHette  o  del 
cognac.  E  fin  dalle  nostre  viscere  riusciamo  a  strap- 
pare il  germe  del  plauso  di  noi  stessi  e  giungiamo 
a  crederci  indegni  d'  ogni  lode ,  perchè  la  carità 
basta  a  sé  stessa.  La  modestia,  questo  santo  pu- 
dore della  forza,  ci  accompagna,  come  dicesi  che 
l'angelo  custode  protegga  i  fanciulli,  e  ci  difende 
colle  sue  grandi  ali  da  ogni  peccato  di  vanità,  da 
ogni  gonfiezza  di  orgoglio. 


100  CAPITOLO  IV 


*  * 


L'estasi  della  carità  è  premio  della  carità;  noi 
non  vediamo  più  cogli  occhi  del  corpo  V  ultimo 
poverello  soccorso,  né  il  penultimo  naufrago  tratto 
a  riva  da  una  delle  tante  temi)este  della  vita.  Noi 
siamo  assorti  in  una  contemplazione  dei  dolori 
umani ,  in  mezzo  ni  quali  ci  sentiamo  ministri  di 
un  ignoto  Dio  del  bene,  di  un'occulta  e  misteriosa 
provvidenza.  Ci  vediamo  in  mezzo  a  un  vasto 
campo  di  battaglia,  dove  poche  ore  prima  fra  la 
polvere  dei  cannoni  e  lo  scintillar  delle  baionette 
e  il  guizzar  delle  sciabole  si  vedevano  membra 
divelte  e  teste  mozze;  dove  gli  urli  feroci  del  vin- 
citore si  mescevano  oscenamente  colle  bestemmie 
dei  feriti  e  dei  morenti.  Poche  ore  prima  il  san- 
gue si  frammischiava  col  fango  e  i  nostri  piedi 
tuifavansi  in  quella  melma  calda  e  nauseante. 
Grida  disperse ,  che  chiedevano  soccorso ,  ululati 
lontani  e  gemiti  vicini;  mani  che  afferravano  le 
nostre  e  vi  si  attaccavano  per  un  istante ,  poi  si 
diseioglievano  a  un  tratto,  paralizzate  dalla  morte: 
tutto  un  lamento,  tutta  un'  invocazione  di  pietà  e 
di  soccorso. 

Ed  ora  non   più   singhiozzi ,  non  più  urli ,  non 


ESTASI  DELLA  CARltÀ  101.  -     -  - 


■j     -» 


più  sangue;  il  campo  della  carneftcina  divenuto 
campo  di  conforto;  il  terreno  della  battaglia  di- 
venuto terreno  di  ospedale.  Ferite  fasciate,  mem- 
bra spezzate  ^  ricomposte;  fronti  ardenti  rinfre- 
scate dal  ghiaccio,  la  disperazione  divenuta  spe- 
ranza ,  r  urlo  delle  bestemmie  trasformato  in  pa- 
role di  grazia;  spasimi  di  tortura  convertiti  in 
sorrisi  di  gratitudine,  la  mano  che  malediva  com- 
posta alla  preghiera.  —  L'iride  che  squarcia  le 
nubi  e  impone  la  speranza  e  irradia  le  sue  luci 
variopinte  sul  campo  divelto  dall'uragano. 

E  voi  siete  V  iride  di  quel  cielo  ;  siete  voi  che 
in  mezzo  all'atmosfera  calmata,  al  solco  dissetato, 
vi  sentite  centro  massimo  di  tutte  quelle  benedi- 
zioni. Un  soave  tepore  vi  circonda  e  vi  accarezza, 
in  voi  sentite  tutte  le  dolcezze  dei  dolori  calmati, 
delle  procelle  svanite;  nel  grande  silenzio  della 
vostra  coscienza  mormorano  i  grazie  infiniti  che 
mandano  al  cielo  tutti  quelli  infelici  consolati, 
forse  restituiti  per  voi  alla  vita.  E  cadete,  dirò 
meglio,  salite  all'estasi.  Estasi  fra  le  più  belle  e 
le  più  alte  a  cui  possa  aspirare  l'uomo,  perchè  in 
una  volta  sola  sentite  ai  vostri  i)iedi  schiacciati 
l'egoismo,  l'orgoglio,  la  vanitìV;  tutti  i  draghi  e  le 
belve  e  i  rettili  dell'  umanità  ;  perchè  vi  sentite 
Y erratorcorrige  del  gran  libro  della  vita;  perchè 
in  un  solo  istante  vedete  ricomporsi  tutti  i  dolori 


•  •  .  •  • 


.••  :  :  •:  ?Q2-.-:  •    :  .-.  •'  •.  capitolo  iv 


•  •  •    •  • 


umani  in  nna  benedizione,  perchè  vi  beate  della 
sovrumana  dolcezza  di  sentirvi  divenato  da  ano 
mille  nomini;  dacché  le  mille  gioie  degli  altri  si 
riflettono  tatte  quante  e  in  una  volta  sola  nella 
vostra  grande  coscienza  di  nomo  di  carità.  Nel- 
r  amplesso  piii  ardente  di  due  innamorati ,  vi  è 
raddoppiamento  semplice  dell'  umana  coscienza  e 
deir  umana  felicità.  Nel  benefizio  che  è  eroismo , 
nel  benefizio  che  compie  il  miracolo  evangelico 
della  moltiplicazione  dei  pani  e  dei  pesci,  vi  ha 
riflessione  all'infinito  della  gioia  di  tutti  nella  gioia 
di  un  solo. 

Il  bisogno  della  carità  spinto  fino  alPentusiasmo 
e  al  fanatismo,  la  gioia  di  beneficare  portata  fino 
all'estasi,  bastano  a  fare  di  un  uomo  un  miracolo 
vivente  ,  e  la  chiesa  cattolica  ha  santificato  quei 
pochi,  che  furono  capaci  di  quell'entusiasmo  e  di 
quelle  estasi.  San  Giovanni  ili  Dio,  san  Vincenzo 
de  Paoli  e  tanti  altri  sono  fra  questi.  Ve  ne  sono 
parecchi  (specialmente  donne)  che  nascosero  con 
tanto  miracolo  di  modestia  la  loro  opera  di  ca- 
rità da  sfuggire  all'  attenzione  di  coloro  che  fab- 
bricano i  beati  e  i  santi  ;  ma  che  non  per  questo 
furono  meno  santi  e  meno  beati.  Santi,  perchè 
questa  parola  è  superlativo  dell'umana  moralità; 
beati,  perchè  godettero  anche  quaggiCi  di  una  delle 
massime  beatitudini  umane. 


:MrsTiciSMO  103 


A  queste  grandi  altezze  della  caritì\  non  si 
giunge  per  lo  più  che  sulle  ali  della  relìf/ione,  di 
un  grande  dolore  o  di  un  (grande  pentimento. 

Il  misticismo ,  secondo  la  natura  diversa  de;:^li 
individui  umani,  porta  ora  all'ascetismo  contem- 
plativo, che  studieremo  in  tre  capitoli,  ora  alla  ca- 
rità. Quando  si  giunge  a  questa  suprema  gioia  del 
beneficare  per  via  della  religione,  Testasi  acquista 
sempre  un  carattere  di  misticismo,  che  lo  indora 
che  lo  copre  del  manto  splendente  di  arcane  bel- 
lezze. 

È  di  certo  la  piti  alta  interpretazione  del  sen- 
timento religioso  questa  di  beneficare  gli  uomini 
e  di  giungere  a  Dio  attraverso  alle  lagrime  del 
dolore.  La  religione  cristiana  sarebbe  anche  per 
questo  solo  di  molto  superiore  al  buddismo  e  al 
liramanesismo:  jicrchè  il  Vangelo  è  soprattutto  co- 
dice di  carità.  Fors'  anche  questa  direzione  filan- 
tropica, benefica  della  religione  del  Nazzareno  fu 
piò.  spontanea,  più  facile,  perchè  la  nuova  scuola 
convertì  tra  i  primi  i  popoli  latini;  gente  pratica, 
gente  d'azione.  Se  il  Papa  di  Roma  avesse  pian- 


104  CAPITOLO  IV 


tato  il  suo  trono  fra  genti  orientali,  il  misticismo 
contemplativo  avrebbe  prevalso  alla  carità  ope- 
rosa. Infatti  i  precetti  del  Budda  sono  poco  di- 
versi dall'etica  cristiana,  ma  là  abbiamo  più  asceti, 
qui  inìi  benefattori  deir  umanità. 


Molti  dolori,  di  quelli  che  uccidono,  possono  ri- 
sanare con  due  opposti  rimedii,  colla  vendetta  o 
col  benefìzio.  Più  comune ,  più  facile  rimedio  il 
primo;  più  raro,  infinitamente  raro  il  secondo. 

I  grandi  dolori  portano  molti  al  suicidio,  mol- 
tissimi alla  vendetta,  pochi  alla  carità  universale. 

Chi  rimane  vivo  dopo  una  grande  e  immeritata 
sventura  può  seminare  di  dolore  tutte  le  strade 
maestre  della  vita.  Ogni  dolore  arrecato  ad  altri 
diventa  una  vendetta  personale  e  impersonale  ad 
un  tempo,  e  V  uomo ,  che  forse  era  naturalmente 
buono  ,  diventa  cattivo  per  opera  della  sventura. 
Io  ho  soflferto  :  ebbene  farò  soffiire.  Io  fui  battuto 
ed  io  batterò;  io  fui  deriso,  calpestato,  calunniato, 
ed  io  deriderò,  calpesterò,  calunnierò.  Gli  uomini 
deformi  e  le  donne  bruttissime  sono  non  di  rado 
cattivi  per  quest'unica  ragione. 


I  GRANDI  DOLOEI  105 


Le  anime  elette,  nobilissime,  invece  restituiscono 
in  tanti  conforti,  in  tante  benedizioni,  le  sventure 
e  le  maledizioni  avute  dagli  uomini.  Si  propon- 
gono di  risanare  dai  grandi  dolori ,  risanando  ì 
dolori  altrui.  È  questa  la  vendetta  di  Cristo,  che 
prega  per  gli  offensori  prima  che  per  gli  amici. 
Non  nego  che  in  questa  trasformazione  dell'  odio 
in  amore  non  ci  possa  essere  talvolta  anche  un 
po' d'orgoglio,  ma  chi  di  noi  oserà  chiamar  vizio 
questo  orgoglio,  e  chi  non  sarà  tentato  invece  di 
mutargli  nome  nel  nostro  dizionario,  che  ha  tanti 
bastardi  e  tanti  falsi  battesimi  nelle  sue  colonne 
irte  di  vocaboli  e  di  errori? 

Eravamo  nati  per  amare  e  fummo  odiati,  era- 
vamo fatti  per  vivere  di  carezze  e  di  baci  e  non 
abbiamo  trovato  che  percosse  e  insulti.  Il  nostro 
tesoro  di  amore  che  ci  aveva  dato  la  mamma  na- 
scendo ,  rimase  intatto  nei  nostri  scrigni  ;  e  noi , 
dopo  una  lunga  e  sanguinosa  meditazione  sui  per- 
chè della  vita,  sui  misteri  della  giustizia  e  del- 
l' ingiustizia ,  abbiamo  un  giorno  aperto  il  nostro 
tesoro  e  l'abbiamo  sparso  fra  le  turbe  degli  uo- 
mini. Ne  vnmf  JEhcoìie.  —  Ne  vuoi  ancora  f  Eccone 
ancora!  Ancora  e  senvpre!  —  Il  dare  compensa  del 
non  aver  ricevuto.  Noi  paghiamo  anche  i  debiti 
degli  altri,  perchè  i  nostri  debiti  non  hanno  tro- 
vato mai  chi  li  pagasse. 


106  CAPITOLO  IV 


Un'estasi  meno  alta  di  quella  che  stiamo  stu- 
diando, e  appunto  più  comune  perchè  meno  alta, 
è  quella  che  si  prova,  beneficando  chi  ci  ha  of- 
feso, rendendo  bene  per  male.  Molti  moralisti 
hanno  creduto  di  trovare  nel  Vangelo  che  si  esi- 
geva troppo  dall'  uomo  imponendogli  di  offrire 
air  offensore  la  guancia  destra,  quando  gli  era 
stata  schiaffeggiuta  la  sinistra.  Se  si  prendesse  la 
cosa  nel  senso  letterale,  starei  anch'io  con  quei 
moralisti ,  perchè  in  tal  caso  la  morale  cristiana 
sarebbe  una  morale  di  gente  eunuca  e  abbietta; 
ma  il  linguaggio  orientale,  figurato,  della  Sacra 
Scrittura  vuole  che  noi  interpretiamo  quelle  pa- 
role in  un  senso  ben  più  alto  e  ben  i>iù  largo. 

A  chi  ci  offende  dobbiamo  mostrare  ohe  l'offesa 
non  giunge  fino  a  noi.  L'uomo  che  è  sicuro  di  sé, 
della  propria  dignità,  della  propria  invulnerabilità, 
sta  fermo  e  col  capo  alto  al  bersaglio  delle  basse 
invidie,  delle  calunnie,  degli  insulti  plebei,  e  con 
facile  agilità  prende  ogni  freccia  che  gli  viene- 
scoccata ,  e  «i^ezzandola  come  lussello  di  paglia, 
la  mette  sotto  ì  piedi  o  la  getta  nel  fango.  Poi, 
quando  si  sono  stancati  e  s:'ora:jrgiti ,  vedendolo 
invulnerabile,  egli  sorride  e  se  ne  va,  aspettando 
con  impazienza  Fora  della  vendetta. 

E  questa  non  tarda,  perchè  anche  gli  offensori 
sono  uomini  e  anche  per  essi  l'ora  del  dolore  non 


VENDETTE   GENEROSE  107 


X>uò  esser  lontana.  Allora  noi ,  non  veduti ,  non 
sospettati,  ci  avviciniamo  al  nostro  nemico  e  con- 
fortiamo il  suo  dolore,  soccorriamo  alla  sua  sven- 
tura, più  felici  che  mai  quando  la  nostra  opera 
di  carità  giunge  pronta,  opportuna,  generosissima. 
La  calunnia  ci  aveva  condannati  e  noi  difendiamo 
il  calunniatore  se  innocente,  invochiamo  le  atte- 
nuanti se  colpevole.  Vogliamo  la  giustizia  per  chi 
era  stato  ingiusto  con  noi ,  diamo  la  mano  per 
sostenere  chi  ci  aveva  voluti  nel  fango.  La  moglie, 
i  figli ,  gli  amici  del  nostro  nemico  diventano  gli 
amici  nostri,  perchè  noi  dobbiamo  vendicarci  an- 
che di  essi  per  gli  stretti  vincoli  che  li  legano  a 
lui.  Felici,  se  tutto  questo  nostro  lavorìo  di  ven- 
dette generose  rimane  ignorato;  beati  fino  all'  e- 
atasi,  quando  Toffensore  per  via  indiretta  viene  a 
sapere  da  quali  mani  egli  fu  soccorso,  difeso, 
forse  salvato. 

Quest'estasi  di  carità;  è  più  comune  delle  altre, 
perchè  anche  l'orgoglio  vi  porta  le  sue  forti  ener- 
gie, perchè  in  quel  momento  ci  sentiamo  sopra 
una  roccia  inaccessibile,  dove  nessuno  ci  può  slog- 
giare, perchè  ci  sentiamo  rapiti  dall'ebbrezza  della 
vittoria,  perchè  ci  sentiamo  invulnerabili  di  dentro 
e  di  fuori. 


108  CAPITOLO  IV 


Il  pentimento  è  un'altra  via  che  può  condurre 
alle  grandi  estasi  della  carità.  Anche  all'  Infuori 
d'ogni  legge  scritta  nei  codici  civili  e  nei  religiosi, 
l'uomo  civile  non  può  fare  il  niale  impunemente, 
e  il  primo  giudice  che  lo  accusa  e  lo  condanna 
è  la  sua  coscienza. 

Gli  uomini  che  fanno  il  male  per  il  male ,  che 
hanno  l'incapacità  del  rimorso  sono  rare  eccezioni, 
sono  avanzi  atavici  dei  nostri  padri  antropofagi, 
ma  tutti  gli  altri,  quando  seminano  il  dolore  sulle 
vie  che  attraversano,  lo  fanno  per  un  grande  in- 
teresse o  per  un  impeto  subitaneo  di  una  passione 
prepotente.  Soddisfatto  il  bisogno,  saziata  la  fame 
del  pane,  della  i)assione  o  del  vizio,  rientrati  nel 
sentiero  della  vita  pedestre  e  tranquilla,  noi  ci 
sentiamo  feriti  o  avvelenati.  Vi  è  entro  di  noi  una 
frattura  o  una  piaga ,  vi  è  nel  sangue  qualcosa 
che  ci  fa  la  bocca  amara  e  la  vita  incresciosa. 
Possiamo  sforzarci  per  ogni  via  di  distrarci  e  di 
divertirci,  possiamo  ridere  e  saltare;  ma  il  pen- 
siero e  sempre  là  dove  noi  abbiamo  i)eccato,  e  se 
le  labbra  sorridono,  dentro  a  noi  l'anima  piange. 


IL  RTVIOBSO  109 


Nell'acqua  che  beviamo,  nel  pane  che  mangiamo 
vi  è  del  fiele;   nel  sorriso   dei   nostri   bambini  e 
delle  nostre  donne  crediamo  vedere   il  ghigno  di 
Mefistofele  che  ci  canzona;   la  molla   degli  entu- 
siasmi è  arrugginita  o  spezzata.  Ad  ogni  momento 
rientriamo  in  noi  o  guardiamo  addietro,  e  dentro 
o  addietro  vediamo  sempre  una  macchia,  sempre 
nello  stesso  posto;  e  più   la   guardiamo  e  più  ci 
sembra  vederla  allargarsi,  allargarsi,  fino  ad  im- 
bevere  di  sudiciume  e  di  unto  tutte  le  fibre  del 
nostro  corpo,  tutta  la  superficie  della  nostra  pelle. 
Per  ridere  dobbiamo  farci   il   solletico ,   per  non 
vedere  quella  macchia,  che  ci  sta  negli  occhi  come  * 
mosca  volante,  dobbiamo  ubbriacarci;  ma  il  solle- 
tico è  una  convulsione  e  non  dura  che  pochi  mi- 
nuti; ma   r  ubbriachezza   è   una   vergogna   o   un 
sonno  che  dura  poche  ore.  E  passato  il  solletico, 
svampati  i  fumi  del  vino,  la  macchia  è  lì  ancora, 
è  lì  sempre,  e  ci  tormenta  come  un'idea  fissa  di 
maniaco ,   ci  tormenta  come  r  ostinazione  di  una 
mosca;  è  un  incubo,  è  un  canchero. 

Jean  Yaljean  che  diventa  il  santo  maire  di  ***,  che 
si  trasforma  da  galeotto  in  un  grande  filantropo, 
è  una  sublime  utopia  di  poeta.  Chi  nasce  tigre, 
tigre  muore,  e  tutti  gli  sforzi  della  scuola,  della 
religione  per  farne  un  agnello,  son  sogni  di  alchi- 
mista che  vuol  trasformare  il  piombo   in   oro   e 


110  CAPITOLO  IV 


crede  ancora  alla  pietra  filosofale.  Ma  le  tigri  son 
poche,  e  noi  tutti  che  abbiamo  nelle  nostre  vene 
soltanto  qualche  goccia  di  tigre,  sentiamo  il  ri- 
morso, quando  quelle  gocciole  di  sangue  felino  ci 
fanno  veder  rosso  V  orizzonte  e  rosse  d'  odii  e  di 
delitti  le  vie  che  percorriamo. 

Quasi  tutti  gli  uomini  son  capacci  di  pentimento 
e  questa  è  la  sentenza  prima  e  più  giusta  che 
colpisce  la  colpa.  Il  rimorso  è  una  malattia  da  cui 
il  volgo  guarisce  pagando  una  tassa  al  giudice  o 
al  prete,  e  l'uomo  superiore  risana,  beneficando  e 
confortando.  Questa  cura,  di  cui  non  son  capaci 
che  pochissimi,  esige  una  gran  forza  morale,  un 
santo  entusiasmo  del  bene,  una  squisita  idealità 
del  sentimento  ;  ma  senza  arrivare  all'estasi,  tutti 
i  buoni,  anche  i  mediocri,  drizzano  inconsapevoli 
la  prora  della  loro  navicella  a  quei  lidi  incantevoli. 

Oh  quante  volte  un  nostro  figliuolo  corre  ad 
abbracciarci  e  baciarci  con  insolita  tenerezza  e  oi 
circonda  di  assiduità  affettuose;  e  di  tutta  quella 
festa  noi  ci  sorprendiamo  e  ce  ne  domandiamo  il 
perchè.  Il  nostro  figliuolo  ha  peccato,  ha  offeso  il 
nome  che  gli  abbiam  dato  col  nostro  sangue,  ed 
egli  sente  acuto  il  bisogno  di  punirsi ,  di  giusti- 
ficarsi ai  proprii  occhi,  di  sparger  fiori  dove  aveva 
gettato  ortiche  e  spine. 

Un'altra  volta  è  la  nostra  donna  che  con  baci 


IL  PENTIMENTO  111 


più  ardenti,  con  carezze  più  soavi  ci  dimostra  il 
suo  amore  e  si  intenerisce  fino  alle  lagrime  dei 
baci  e  delle  carezze  che  noi  restituiamo  con  sor- 
presa e  stupore.  Queirinsoiita  cortesia  pur  troppo 
spesso  non  è  che  la  restitazione  di  un  furto,  non 
è  che  il  pentimento  tradotto  in  opere  di  carità. 
Felici  noi,  quando  ignoriamo  il  perchè  di  quelle 
opere  :  felici  noi ,  quando  godiamo  della  bellezza 
e  della  fragranza  di  un  fiore,  senza  sapere  in  qual 
giardino  fu  colto,  da  quali  mani  fu .  coltivato. 


* 


Queste  sono  le  piccole  e  comuni  trasformazioni 
del  male  in  bene ,  del  pentimento  in  carità ,  del 
fiele  in  miele;  ma  ben  altri  miracoli  di  evoluzione 
psicologica  noi  vediamo  nelle  nature  umane,  che 
sanno  volare  e  che  sole  sono  capaci  dei  grandi 
rapimenti  afifettivi. 

Senza  bisogno  di  pene  inflitte  dai  giudici  o  di 
penitenze  imposte  dal  confessore,  noi  a  noi  stessi 
e  soli  abbiamo  imposto  tutta  una  vita  di  riabili- 
tazione e  di  redenzione.  Il  mito  del  Cristo,  figlio 
di  Dìo,  che  sulla  sua  croce  e  coi  suoi  dolori  infi- 
niti lava  e  cancella  il  gran  peccato  dei  primi  no* 


112  CAPITOLO  IV 


fttri  padri,  può  sembrare  fiaba  mistica  agli  occhi 
superficiali  dei  filosofi  da  dozzina.  Per  me  quel 
mito  è  tutto  un  poema  di  altissima  idealità,  è 
tutto  un  codice  di  morale  che  basta  da  solo  a  im- 
primere un  marchio  di  nobiltà  ad  una  religione. 
Peccato  che  il  pomo  dell'Eden  sia  capito  da  tutti 
e  che  pochi  x)ossano  intendere  i  misteri  trascen- 
denti del  peccato  originale  lavato  da  un  Dio  fatto 
uomo  e  che  sul  Calvario  compie  la  grande  ven- 
detta che  vuole  il  male  guarito  dal  beije. 

E  un  Dio  diventa  ogni  uomo,  che  guarisce  dal 
rimorso  con  una  vita  intiera  consacrata  al  sagri- 
fìzio  di  sé  stesso,  alla  rivendicazione  della  colpa. 
A  questi  galeotti  divenuti  santi  credo  ancor  io, 
a  queste  Maddalene  che  lavano  i  piedi  del  Cristo 
colle  proprie  chiome  pollute  di  tanti  baci  lascivi, 
credo  ancor  io. 

Da  una  parte  il  peccato,  la  ferita,  la  macchia; 
dall'altra  l'abnegazione,  la  riabilitazione,  la  salute 
dell'anima  che  guarisce  sé  stessa.  Da  una  parte  le 
debolezze  umane  del  Getsemani,  dall'altra  la  croce 
divina  sulla  quale  si  immola  un  Dio.  Nessun  usuraio 
esige  un  usura  più  crudele  dell'  uomo  che  vuol 
lavare  quella  macchia,  guarire  da  quella  ferita: 
nessun  ambizioso  più  evSigento  deU'uomo  since- 
ramente pentito.  Per  un  solo  peccato,  dieci,  cento, 
mille  azioni  generose,  nobili,  sublimi;  per  una  sola 


:»^~»^ 


IL  PENT13IENT0  113 


colpa  mille   sagrifizii,  per  una  lagrima  sola  fatta 
spargere  da  noi  mille  sorrisi  provocati  dalle  nostre 
carezase;  per  una  piccola  ferita,  mille  benefìcii,  mille 
opere  baone.  L'uomo  è  debole,  è  fragile,  è  caduco; 
ma  in  un  impeto  di  passione  generosa  può  essere 
fortissimo,  generosissimo,  sublime.  Egli  può  sopra 
una  pozzanghera  di  fango  alzare  una  piramide  alta 
quanto  il  cielo  e  innanzi  morire  può  salire  con  santo 
orgoglio  su  quella  cima  innalzata  colle  proprie  mani 
e  alzando  gli  occhi  in  alto  può  dire  a  so  stosso: 
qui  sotto  nel  fondo  di  questa  piramide  è  sepolto 
per  sempre  un  peccato,  una  colpa  che  non  esisto 
pia  che  come  una  mesta  memoria.  La  colpa  è  ven- 
dicata ,   r  uomo  per  opera  propria  è  divenuto  un 
angelo,  la  giustizia  è  compiuta.  Vi  sono  scjogli  e 
isole,  che  saranno  un  giorno  continenti  por  civiltà 
nuove;  e  lo  scheletro  di  quel  nuovo   mondo  è  il 
guscio  microscopico  di  vili  creature  microscopiche. 
Se  è  bello  l'uomo  che  non  ha  mai  peccato,  perchè 
non  avea  nelle  proprie  carni   una   sola  goccia  di 
veleno,   è  bellissima  la  creatura  che  <la  verme  è 
divenuta  farfalla ,  che  da  uomo  s'  è  fatta  angolo, 
e  da  angelo  s'è  trasformata  in  un  Dio. 

Se  mai  nei  sentieri  della  vita  vi  siete  incontrati 
in  uno  di  questi  santi,  che  si  son  fatti  sac^.ordoti 
(Iella  religione  del  dovere,  venerateli  come  altret- 
tanti redentori,   che  da  soli    si  sono  condannati 
Eftasi  umane.  8 


114  CAPITOLO  IV 


alla  croce  ;  che  da  soli  hanno  fatto  giustizia  di 
sé  stessi.  Eispettateli ,  non  chiedete  loro  mai  il 
perchè  dei  loro  entusiasmi,  delle  loro  estasi  di 
carità.  Non  profanate  con  un'  inquisizione  da  le- 
guleio quei  martiri ,  non  chiedete  loro  il  libro 
maestro  dei  loro  conti  correnti.  Son  debitori  ono- 
rati, che  vanno  ogni  giorno  travagliando  e  sudando 
per  onorare  la  propria  firma  e  non  chiuderanno 
gli  occhi  al  sole  prima  di  aver  pagato  tutto  il  loro 
debito  con  tutti  gli  interessi  accumulati.  Morranno 
forse  poveri,  forse  digiuni  delle  feste  quotidiane 
dei  ricchi  e  dei  fortunati,  ma  morranno  beati  di 
aver  fatto  il  loro  dovere,  godendo  ad  ogni  mo- 
mento il  solenne  rapimento,  le  estasi  soavi  della 
carità  e  del  sagrifizio.  Buddisti  o  cristiani,  israe- 
liti o  miscredenti,  essi  sono  i  discepoli  di  una  re- 
ligione, che  non  ha  forse  nome  nella  storia  del 
misticismo ,  ma  che  è  la  religione  di  tutti  coloro 
che  credono  nel  piacere  e  nel  dolore,  che  credono 
in  una  giustizia  che  vuole  che  ogni  lagrima  si 
asciughi  con  una  carezza,  che  ogni  dolore  sia  ri- 
vendicato con  altrettanta  gioia. 

La  carità  ci  può  dare  estasi  soavi,  anche  perchè 
può  esser  bella  ;  iniò  rapirci  in  alto,  anche  quando 
non  è  virtù  nostra,  ma  è  contemplata  da  noi  negli 
altri.  Intendo  però  parlare  di  quella  bontà  che 
non  consiste  nel  piangere  ad  ogni   pianto   e   nel 


ESTASI  DELLA  CABITA  115 


metter  le  mani  in  tasca  ad  ogni  mano  di  mendi^ 
cante  che  ci  viene  aperta.  Io  intendo  parlare  di 
qnella  carità  che  vuol  dire:  sentir  di  lontano  come 
cane  da  caccia  che  annusa  il  vento  infido ,  i  do- 
lori più  celati,  vuol  dire  intendere  le  umiliazioni 
dell'amor  proprio  e  le  delusioni  dell'amore  tradito, 
vuol  dire  carezze ,  baci ,  parole  dolci ,  vuol  dire 
saper  camminare  sulla  punta  dei  piedi  in  una  ca- 
mera di  malato ,  vuol  dire  compassione  per  ogni 
dolore ,  tenerezza  per  o.:?ni  miseria  ;  indulgenza 
grande,  larga,  generosa  i)er  ogni  peccato,  per  ogni 
umana  debolezza. 

Da  certe  mani  io  non  vorrei  i  tesori  di  Roth- 
schild,  da  altre  mi  basterebbe  una  carezza;  da 
certe  labbra  non  vorrei  la  promessa  d'un  mondo, 
da  certe  altre  mi  basterebbe  un  sorriso. 

Vi  sono  alcune  nature  coàì  nobili,  così  generose, 
così  simpatiche,  che  ad  ogni  passo  seminano  la 
gioia,  con  ogni  sorriso  acquetano  un  dolore,  in 
ogni  parola  hanno  una  carezza  o  una  carità.  Danno 
tutto  a  tutti  e  la  loro  ricchezza  consiste  nello 
spargere  a  piene  mani  i  tesori  del  loro  cuore.  At- 
traversano le  lande  della  vita,  beneficando  e  con* 
fortando,  e  accanto  a  loro  si  provano  le  delizie 
dell'  ombra  quando  il  sole  scotta ,  della  frescura 
quando  c'è  l'afa,  del  tepore  quando  soffia  la  bora, 
dell'acqua  quando  si  ha  sete,  del  cibo  quando  si 


116  CAPITOLO  IV 


lia  fame.  Pare  che  essi  rappresentino  Fimmagine 
vivente  della  provvidenza,  come  ce  la  dipingono 
gli  artisti  dell'ottimismo. 


La  bellezza  della  bontà  non  è  una  sola:  sono 
dieci,  son  cento,  son  mille.  Son  profumi  fuggevoli 
e  delicati  come  quelli  d'un  fiore  che  vive  un  giorno, 
son  tinte  rosee  di  crepuscoli,  son  bagliori  di  stelle, 
sono  incanti  di  un  paesaggio  misterioso,  che  nes- 
sun pennello  di  artista  può  riprodurre.  Io  non 
toccherò  che  di  alcune. 

La  prima  bellezza  della  bontà  è  la  grazia ,  la 
pia  indefinibile  delle  cose,  ma  anche  uno  dei  te- 
sori pili  alti  dell'umana  psicologia. 

I  Greci  le  dissero  tre,  ma  chi  mai  le  ha  contate 
le  forme  della  grazia?  Chi  mai  ha  osato  nume- 
rarle o  ha  tentato  di  descriverle? 

La  grazia  è  lo  splendore  della  bellezza,  è  la  bel- 
lezza in  movimento  e  giovane,  è  il  sorriso  dell'in- 
fanzia ,  è  la  bontà  della  forza ,  è  il  profumo  del 
frutto  saporoso ,  è  V  eleganza  della  palma  che  si 
I)iega  ondeggiando  alle  carezze  del  vento  ;  la  grazia 
è  la  poesia  della  bellezza.  Felici  gli  artisti  che  in 


LA  BELLEZZA  DELLA  BONTÀ        117 

nn  cenno ,  in  nn  atteggiamento ,  in  un  tocco  di 
pennello  involano  alla  natura  questa  fragranza 
delle  fragranze,  questa  voluttà  delle  voluttà,  que- 
sta leccornia  delle  leccornie. 

Jj  la  bontà  ha  la  grazia,  che  ne  è  la  prima  bel- 
lezza. Noi  per  medicare  le  piaghe  abbiam  bisogno 
di  spugne  che  stropicciano,  di  pietre  che  bruciano, 
di  filacele  che  son  ruvide,  di  unguenti  che  son 
sudici,  di  fascie  che  son  stretture.  La  bontà  che 
ha  grazia  posa  i  suoi  balsami  con  mano  invisibile 
e  che  non  pesa,  alita  sulle  piaghe  un  fiato  fresco 
e  profumato  da  fanciullo,  accarezza  con  una 
mano  che  è  tutta  nervi  e  non  sembra  aver  mu- 
scoli, con  una  mano  che  è  morbida  come  il  vel- 
luto, soave  come  una  carezza,  tepida  come  un  nido. 

La  bontà  che  ha  la  grazia  nasconde  il  benefìzio, 
occulta  il  sagrifizio,  e  fa  parere  che  chi  riceve  dia 
e  che  il  debitore  diventi  creditore. 

La  bontà  che  ha  grazia  non  domanda  alFamico: 
abbisogni  tu  del  denaro?  ma  lo  dà  prima  che  lo 
si  chieda;  né  mai  donna  di  cuore  al  letto  di  un 
malato  ebbe  bisogno  che  le  si  chiedesse  acqua 
o  medicina  o  che  il  sofferente  domandasse  di  mu- 
tare la  posizione  al  corpo  o  alle  membra. 


118  CAPITOLO   IV 


Un'altra  bellezza  della  bontà  è  la  modestia. 

La  vostra  destra  non  sappia  oi6  che  ha  fatto 
la  vostra  sinistra ,  disse  il  Cristo ,  e  dopo  di  lui 
hanno  detto  quanti  sono  artisti  del  bene.  Chi  fa 
il  bene  con  orgoglio,  lasciando  cadere  dall'alto  la 
moneta  della  borsa  o  la  parola  del  conforto,  può 
tramutare  quasi  il  benefizio  in  insulto. 

Chi  fa  il  bene  superbamente,  vuol  esser  pagato 
subito  del  suo  benefizio  e  lo  sconta  coli'  umilia- 
zione dell'amor  proprio  altrui. 

La  modestia  è  nelle  opere  buone  ciò  che  è  il 
pudore  per  l'amore;  è  un'altra  ineffabile  fragranza 
del  bene.  Il  benefizio  che  grida  in  piazza,  la  bontà 
che  suona  la  tromba,  sono  cose  da  mettere  sul 
carro  dello  strappadenti  di  fiera.  La  cronaca  le 
registra,  ma  la  gente  eletta  sorride  e  non  applaude. 

La  8empU<!Ìtà  nel  fare  il  bene  è  l' aristocrazia 
vera  della  bontà ,  è  l' immagine  dell'  abbondanza 
sicura  e  inesauribile,  è  la  castità  della  giovinezza 
robusta,  è  la  forza  del  cuore. 

Lo  stento ,  1'  apparato ,  ogni  forma  acrobatica 
della  carità,  è  una  prova  di  povertà  di  cuore,  è 


LA  BELLEZZA  DELLA  BONTÀ        119 

rartifizio  che  supplisce  alla  manoanza  del  vero,  è 
il  crìMophìe  della  bontà. 

La  bontà  modesta  è  oro  puro,  di  24  carati,  Toro 
che  potete  martellare  e  fondere,  polverizzare  o 
laminare  ,  seppellire  sotto  terra  o  gettare  nel 
fuoco ,  ma  che  resiste  a  tutto  e  rimane  sempre 
quel  che  egli  era;  il  più  nobile,  il  più  bello,  il  più 
ricco  dei  metalli. 


* 
*  * 


La  tenerezza  è  la  carezza  dell'  anima ,  che  ac- 
compagna il  benefizio;  è  il  sospiro  che  tien  dietro 
al  dolore;  è  la  simpatia  dei  cuori;  è  un  ammor- 
bidirsi di  tutte  le  punte,  un  arrotondarsi  di  tutti 
gli  angoli  spinosi  della  natura  umana. 

È  uno  degli  elementi  psichici  più  diflScili  a  de- 

« 

finirsi ,   ma  è  anche  una  delle  maggiori  bellezze, 
che  accompagnano  alcune  forme  della  bontà. 

Vi  si  sente  la  gaia  semplicità  del  fanciullo  e  la 
morbidezza  della  donna.  Pare  che  nella  tenerezza 
la  forza  si  nasconda  per  non  umiliare  la  debolezza, 
che  l'abbondanza  si  celi  per  non  far  arrossire  la 
miseria  e  che  la  bontà  si  disciolga  tutta  quanta 
in  un  lago  azzurro  e  sereno  come   i  laghetti  del 


120  CAPITOLO  IV 


Sikkiin,  per  non  apparire  agli  occhi  nostri  che 
sotto  forma  di  un  sorriso  che  consola,  di  una  la- 
grima che  piange  con  noi. 


Un'  altra  grande  bellezza  della  bontà  è  la  ric- 
chezza, è  la  profusione.  Allora  la  bontà  non  mi- 
sura  i  proprii  doni  col  metro  deireoonomia  o  colla 
bilancia  della  previdenza;  essa  dà  tutto  e  subito, 
e  dopo  aver  dato,  vorrebbe  dare  ancora  e  domanda 
a  sé  stessa  se  ancora  non  vi  sia  un  dolore  da 
confortare,  una  piaga  da  sanare,  una  lagrima  da 


asciugare. 


È  come  la  natura  che  semina  a  milioni  i  suoi 
frutti  e  sparge  per  Paria  nuvole  infinite  di  pollini 
fecondi,  senza  calcolare  se  tutti  quei  semi,  se  tutti 
quei  pollini  troveranno  una  terra  che  li  accolga. 
Che  importa  la  griititudine ,  che  importa  se  la 
giustizia  non  possa  controfirmare  tutti  i  nostri 
benefìzii?  Che  importa  se  il  dolore  sia  forse  figlio 
d'una  colpa?  C'è  chi  soffre  e  deve  essere  conso- 
lato ,  e'  è  chi  ha  fame  e  deve  essere  nutrito ,  c'è 
chi  ha  sete  e  deve  essere  dissetato. 

La  bontà  ricca  è  come   la  giovinezza,   che  di- 


I 


LA  BELLEZZA  DELLA  BONTÀ        121 


vampa  tutti  i  fuochi  generosi  delle  sue  pas^sioni, 
che  accende  su  ogni  vetta  di  monte  un  faro,  span- 
dendo  luce  e  calore  per  ogni  lato. 

Oh  datemi  anche  per  un'ora  sola  questa  santa 
ebbrezza  di  contemplare  la  bontà  ricca,  la  bontà 
scialacquatrice,  la  bontà  spensierata,  la  bontà  che 
non  ha  misura  né  peso  e  che  dimentica  oggi  quel 
che  ha  fatto  ieri  ;  la  bontà  senza  cassa  da  rispar- 
mio e  senza  Corte  dei  conti,  la  bontà  ricca  come 
la  giovinezza,  grande  come  la  natura  I 


*  * 


La  bontà  vera  e  bella,  ben  lungi  dalUessere  una 
forma  di  debolezza,  ha  bisogno  spesso  di  essere 
forte  e  coraggiosa. 

V.  Hugo,  che  quando  non  declama  è  anche  un 
grande  filosofo,  come  del  resto  lo  sono  tutti  i 
grandi  poeti,  ha  detto:  étre  hon ,  c^est  hien ,  étre 
juste,  e* est  mieux  encore. 

Ed  è  vero  :  la  giustizia  è  spesso  pii\  difficile  che 
la  bontà,  ed  è  per  sé  stessa  un'armonia  di  buono 
e  di  vero,  è  una  temperanza  di  varie  e  diverse 
virtù,  che  esige  varie  e  diverse  facoltà  ed  equi- 
librio di  cose  buone. 


122  CAPITOLO  IV 


E  la  i^iustizia  è  bella,  perchè  appaga  in  una 
volta  sola,  tutti  i  nostri  bisogni  più  alti  del  vero 
e  del  buono  e  ci  guarisce  dallo  scetticismo  e  ci 
risana  dall'amara  dubbiezza,  che  il  mondo  sia  una 
buffa  tragedia,  dove  i  prepotenti  sono  i  fortunati 
e  i  deboli  sono  i  malnati. 

La  giustizia  è  V errata-corride  della  parte  brutta 
della  commedia  umana ,  di  quella  rappresentata 
dal  mito  del  diavolo.  La  giustizia  è  la  bontà 
che  va  a  braccetto  della  verità  e  ad  essa  si  ap- 
poggia come  a  una  creatura  più  robusta  e  più  fida. 

Quando  vedo  una  giovinetta  bella  e  spensierata 
che  va  a  braccetto  d'  un  vecchio  babbo  a  cui  si 
appoggia  confidente  e  amorosa,  parmi  veder  l'im- 
magine  fedele  della  giustizia. 

La  bontà  forte  e  coraggiosa  esce  dai  sentieri 
pedestri  delle  cose  facili  e  buone  e  ci  porta  al 
sagriflzio.  Entriamo  allora  neirOlimpo  della  bontà 
e  rideale  ci  appare  coi  suoi  fulgori  iridescenti  e 
i  suoi  panorami  insuperabili. 

É  allora  che  V  uomo  buono  sceglie  fra  le  cose 
buone  le  più  difficili;  schiaccia  sotto  i  piedi  il 
proprio  egoismo,  Tamor  proprio,  tutte  le  viltà  più 
naturali  della  nostra  natura  fragile  e  caduca  e  si 
riesce  ad  amare  e  beneficare  chi  ci  ha  insultato 
o  tradito.  È  allora  che  si  fanno  tacere  i  rancori 
l)iù  giusti,  che  si  acquetano  le  ribellioni  più  sante 


LA  BELLEZZA  DELLA  BONTÀ        123 


del  nostro  affetto  e  si  perdona;  ma  non  si  per- 
dona soltanto,  ma  si  rende  bene  per  male. 

È  il  Cristo  che  con  nna  lagrima  immobile  nel- 
l'occhio straziato  contempla  Giuda  e  gllperdona« 
È  il  Cristo  che  rivolto  al  cielo  chiede  pietà  per 
coloro  che  lo  hanno  martoriato  e  crocifisso ,  im- 
perocché €88i  non  sanno  quello  che  si  fanno. 

Quante  gemme  celate  nel  mistero  della  casa  del 
povero,  che  rlsplendono  come  i  divini  quadri  del 
Nazareno!  Bambine  gracili  e  clorotiche,  che  non 
mangiano  per  preparare  un  brodo  alla  mamma 
malata,  e  mogli  tisiche  che  ansando  sudano  sul 
telaio  e  nascondono  il  male  per  preparare  la  cena 
al  marito  che  ritorna  dall'  officina,  e  vecchi  che 
sudano  ancora  sulla  gleba  per  preparare  una  doto 
alla  nipotina  spensierata,  che  non  saprà  mai  quanti 
dolori  sarà  costato  il  vezzo  di  perle  che  porterà 
allo  sposo  nel  dì  delle  nozze. 

Di  questa  bontà  bella,  santificata  dal  sagrifizio 
e  «lair eroismo,  ve  n'ha  in  ogni  luogo  dove  l'uomo 
calpesta  la  terra  del  suo  pianeta  o  naviga  l'onda 
che  lo  bagna.  Capitani  che  non  lasciano  la  nave 
naufragata  che  dopo  aver  messo  in  salvo  tutti  i 
passeggeri,  e  medici  che  succhiano  la  ferita  vele- 
nosa di  un  bambino  operato  di  croup,  e  mariti  che 
dormono  sotto  la  stessa  coltre  della  moglie  tisica 
per  non  spaventarla,  e  re  che  stanno  per  ore  tra 


124  CAPITOLO  IV 


i  letti  visitati  dalla  morte  per  rialzare  il  cora^^gio 
di  una  popolazione  presa  da  panico,  e  soldati  che 
difendono  la  bandiera  fino  all' ultimo  bagnandola 
del  proprio  sangue.  Tutte  sante  e  grandi  bel- 
lezze della  bontà  eroica,  della  bontà  del  mar- 
tire, che  ha  consacrato  la  culla  della  religione 
e  ha  santificato  la  lotta  della  libertà  contro  la 
tirannide;  fosse  poi  di  scettri,  di  sciabole  o  di 
superstizioni. 


* 


Né  io  credo  che  le  bellezze  della  bontà  finiscano 
tutte  in  quelle  che  vi  ho  accennato  di  volo.  No: 
la  grazia,  la  modestia,  la  semplicità,  la  tenerezza^ 
la  abbondanza,  la  forza,  il  coraggio,  non  sono  le 
sole  cose  belle  che  ci  presenti  la  bontà.  Ve  ne 
sono  altre  molte  e  minori,  che  è  difficile  descri- 
vere, più  difficile  ancora  di  definire. 

Chi  mi  darà  la  voce  e  le  parole  per  descrivere 
tutte  quelle  astruserie  sante  del  sentimento,  tutti 
quegli  scrupoli  verecondi ,  tutti  quei  pudori  sel- 
vaggi della  bontà  delicata,  chi  mai  potrà  analiz- 
zare quei  misteri  reconditi,  pieni  di  paure  sublimi 
e  di  rimorsi  paradossali,  che  si  nascondono  nelle 
nature  più  fine  e  delicate  dell'umana  famiglia  ì 


LA  BELLEZZA  DELLA  BONTÀ  125 


L' uomo  ha  Bei  suoi  sogni  mistici  e  nei  suoi 
voli  fantastici  scoperte  molto  false  e  vere  trinità. 
Una  delle  più  vere  o  almeno  delle  più  belle  è  di 
certo  quella  del  buono,  del  vero  e  del  bello.  Con 
queste  tre  sole  note  un  poeta  ci  potrebbe  dare 
un  poema  di  armonia  e  di  melodia,  e  un  filosofo 
tracciare  tutta  una  cosmogonia  del  mondo  reale 
e  del  mondo  pensabile. 

E  nelle  bellezze  del  buono   e   nelle   bont\  del 
bello ,  e  negli  intrecci  del  vero   col   buono  e  del 
bello  col  vero,  abbiamo  tali  e  tanti  gruppi  plastici 
da  far  impallidire  le   stupende   figure   delle  Tre 
Grazie  di  Fidia,  di  Canova,  di  Thorwaldseu  e  del 
Foscolo.  Gli  artisti  dell'avvenire,  sieno  poi  artisti 
del  pennello  o  della  stecca,  dello  scalpello  o  della 
penna ,  daranno  ai  nostri  figli  altre  divine  imma- 
gini di  questi  intrecci,  ma  la  natura  eternamente 
feconda  sarà  sempre  più  ricca  di  Fidia,  di  Canova, 
di  Thorwaldseu  e  del  Foscolo,  e  ci  presenterà  air  in- 
finito quadri  divini  di  coso  belle  e  buone  e  vere, 
che  innamoreranno   le  pupille  attonite  dei  nostri 
nipoti  e  pronipoti. 

E  voi,  donne  care ,  donne  belle ,  donne  gentili, 
che  siete  la  delizia  e  il  tormento  della  nostra  vita, 
avete  ad  essere  le  vestali  di  quella  bontà  che  è 
anche  bella.  Noi  altri,  del  sesso  forte  e  sgarbato, 
possiamo  anche  noi  fare  cose  buone ,  ma  di  raro 


126  CAPITOLO  IV 


sappiamo  anclie  associarvi  il  battesimo  della  bel- 
lezza. Voi  altre  invece  siete  sempre  belle  in  ogni 
pensiero  del  vostro  cuore ,  siete  sempre  delicate 
neir  espressione  della  vostra  bontV.  Così  come  la 
natura  vi  ha  fatte  custodi  della  forma  nel  mondo 
fisico,  così  voi  avete  ad  essere  anche  nel  mondo 
del  pensiero  e  del  sentimento  le  vestali  della  bel- 
lezza che  è  anche  buona,  della  bontil  che  è  anche 
bellezza.  —  A  noi  vostri  schiavi  e  ammiratori  la 
parte  severa  di  custodi  del  vero. 


Capitolo  V. 


ESTASI    DELL'AMICIZIA 
E  DELL'AMOR  FRATERNO. 

« 

Xie  estasi  dell' amicizia.  —  Rapimenti  dell'amor  fraterno. 


Anche  senza  il  fascino  del  sesso ,  anche  senza 
i  vincoli  del  sangue  l'nomo  può  amar  l'uomo  di 
quel  sentimento  che  si  chiama  amicizia.  Ho  gii\ 
parlato  troppe  volte  e  a  lungo  nella  mia  Fisiolo- 
gia del  piacere  e  in  altri  miei  libri  più  recenti 
dell'amicizia,  né  starò  a  ripetermi.  Qui  non  dob- 
biamo occuparci  che  di  quelle  rarissime  forme  di 
questo  sentimento  che  possono  portarci  fino  al- 
l'estasi. 

L'amicizia  è  possibile  fra  uomini  e  uomini,  fra 
uomini  e  donne,  fra  donne  e  donne;  ma  il  sesso 
è  tale  un  elemento  perturbatore  d'ogni  altro  af- 
fetto ,  che  non  sia  amore ,  da  rendere  1'  amicizia 
assai  rara  fra  due  persone  di  sesso  diverso,  e 
anche  quando  i  sensi  non  parlano  e  nessun  desi- 
derio accompagna  l'amicizia,  questa  è  però  modi- 
ficata profondamente  da  quella  tenerezza  irresisti- 
bile che  l'uomo  ha  per  la  donna,  di  quel  bisogno 
di  protezione  che  la  donna  sente  dinanzi  all'uomo. 
Ecco  perchè  preferirei  separare  dal  gruppo  delle 
Estasi  umane.  9 


130  CAPITOLO   V 


amicizie  vere  quella  che  Tuomo  e  la  donna  pos- 
sono intrecciare  tra  di  loro,  ravvicinando  queste 
alla  famiglia  degli  amori  platonici. 


V  amicizia  è  un  sentimento  di  lusso  e  noi  lo 
vediamo  mancare  affatto  o  presentarci  forme  atro- 
fiche negli  uomini  di  bassa  gerarchia  psichica.  Le 
sue  energie  sono  deboli,  talché  cedono  subito  il 
campo  ad  altri  sentimenti  più  imperiosi  e  che 
hanno  una  grande  missione  nel  ciclo  della  vita. 
È  anche  per  questo  che  le  donne  ci  presentano 
più  raramente  esempio  di  calde  e  tenere  amicizie. 
In  esse  l' amore  e  la  maternità  occupano  tanta 
parte  del  cuore  da  non  lasciare  il  posto  per  altri 
sentimenti  minori,  e  d'altronde  la  galanteria  virile 
fa  delle  donne  altrettanti  rivali  e  semina  la  ge- 
losia e  inviperisce  le  vanità  e  solletica  la  malizia 
e  la  maldicenza;  per  cui  V  amicizia  fra  donne  è 
pianta  rara,  che  vive  per  lo  più  vita  breve  e  fra 
le  pareti  di  una  stufa  ben  calda  e  custodita. 

Che  l'amicizia  sia  una  pianta  di  lusso  lo  prova 
il  vederla  fiorire  nell'  età  delle  massime  energie 
affettive,  cioè  nella  giovinezza.  Col  primo  aocenno 


L' AMICIZIA  131 


di  capelli  bianchi ,  col  primo  chinar  della  curva 
vitale,  le  amicizie  nuove  sono  molto  rare  e  le  an- 
tiche si  conservano  spesso  per  abitudine,  per  ri- 
conoscenza, ma  son  fiacche  e  messe  quasi  sempre* 
nel  secondo  giro  degli  affetti. 

Se  r  amicizia  è  sentimento  raro ,  è  tanto  più 
delicato  e  si  muove  in  una  sfera  di  altissima  idea- 
lità. Intendo  sempre  parlare  della  vera,  della  su- 
blime amicizia,  di  quel  sentimento  che  fa  di  due 
nomini  un  nomo  solo,  che  li  unisce  mano  con 
mano,  cuore  con  cuore,  anima  con  anima.  Per  lo 
più  fra  la  massa  del  volgo  si  chiamano  con  quésto 
nome  simpatie  fugaci,  associazioni  d'interessi,  con- 
suetudini d'occasione  ed  altre  cose  ancor  più  vol- 
gari e  più  basse.  Per  questa  via  di  certo  nessun 
rapimento  è  possibile. 

Ciò  che  dà  il  marchio  di  nobiltà  all'amicizia  è 
V eleziùne  che  ne  è  il  midollo  e  lo  scheletro,  che- 
ne  è  il  motivo  informatore.  Non  è  soltanto  negli 
ordini  politici  che  relezione  sostituita  all'eredità 
o  alla  forza  segna  un  gigantesco  progresso:  anche 
nel  campò  degli  affetti  l' elezione  è  il  battesimo 
che  li  consacra  ad  una  vita  gloriosa,  che  li  tra- 
sporta  dai  bassi  fondi  delle  necessità  organiche 
nel  cielo  dell'  idealità.  Neil'  amore,  nell'  affetto  di 
patria,  nella  maternità,  in  tutti  i  potenti  affbtti 
che  stringono  l'uomo  coi  vincoli  della  famiglia,  vi 


132  CAPITOLO  V 


è  un  vigore  irresistibile ,  vi  è  una  forza  trascen- 
dente, ma  nello  stesso  tempo  noi  ci  sentiamo  ra- 
piti dal  fato,  dalla  necessità:.  Siamo  ben  felici  di 
questa  cara  necessità,  Ina  V Io,  sempre  superbo, 
sente  qualcosa  più  forte  di  lui  e  riverente  s' in- 
china e  ubbidisce  alle  leggi  della  natura. 

Nell'amicizia  invece  nulla  di  tutto  questo:  nes- 
sun fato,  nessuna  necessità,  nessuna  tirannia  d'uo- 
mini, di  cose  o  di  tempi.  Due  anime  umane  si 
incontrano  nel  viavai  della  folla,  si  contemplano 
e  s'intendono.  Un  riso  sorriso  in  due,  una  lagrima 
pianta  in  due,  un  grido  d'  entusiasmo  escito  pro- 
rompente, irresistibile  in  uno  stesso  momento  da 
due  petti  umani ,  avvicina  i  cuori  e  stringe  le 
destre.  Son  due  note  musicali,  che  partito  da  due. 
strumenti  lontani  si  sono  incontrate  per  V  aria , 
formando  un  accordo  d'armonia. 

E  quello  stringersi  delle  mani  rivela  nella  sua 
espressione  semplicissima  tutta  la  psicologia  più 
fine  e  più  profonda  dell'amicizia.  In  amore  son  le 
labbra  che  tendon  Farco  e  si  cercano;  in  amore 
son  le  viscere  che  si  intrecciano  e  si  fecondano: 
neir  amicizia  son  le  mani,  che  si  cercano  e  si 
stringono;  gli  istrumenti  del  pensiero  e  dell'azione. 
Sentire  insieme  e  sentire  egualmente,  ammirare 
le  stesse  cose  e  disprezzare  gli  stessi  uomini,  par- 
lare commossi  cogli  stessi  i)oeti  e  benedire  con 


ESTASI  DELL'  AMICIZIA  133 

una  voce  sola  lo  stesso  sole ,  ci  fa  parenti  nelle 
anime,  come  in  amore  le  simpatie  fanno  di  due 
sangui  un  sangae  solo ,  di  dae  desiderii  un  desi- 
derio solo,  e  colla  fiisione  intima  di  due  esistenze, 
creano  una  terza  vita. 

L'amicizia  è  una  parentela  d'elezione,  è  un  amore 
delle  anime,  è  un  sentire  il  proprio  pensiero  som- 
mato a  un  altro;  i  proprii  sentimenti,  le  proprie 
simpatie,  le  proprie  aspirazioni  ripercossi  sempre 
dall'eco  affettuosa  di  un'altra  simpatia,  di  un'altra 
natura  umana,  che  risponde  alla  nostra.  Dolcezze 
ineffabili,  voluttìi  di  altissima  sfera,  che  fanno 
l'uomo  superbo  d'esser  uomo. 

Questo  consenso  non  cercato  ma  trovato,  questo 
combaciarsi  intero  e  completo  di  due  anime,  questo 
libero  matrimonio  di  due  nature  umane  può  ba- 
stare a  rapirci  in  estasi  ;  quando  soprattutto  ci 
rifugiamo  in  seno  all'  amicizia  per  sfug;^ire  dagli 
urli  del  profanum  vulgus;  quando  siamo  inseguiti 
dal  latrato  dei  cani  ;  quando  ci  sentiamo  asfissiati 
dal  lezzo  del  fango  in  cui  pur  troppo  dobbiamo 
le  tante  volte  camminare  e  sommergerci.  È  allora 
che  l'oasi  dell'amicizia  ci  stende  la  sue  braccia  e 
ci  involge  colle  sue  ombre  profumate ,  colle  sue 
brezze  inebbrianti ,  e  proviamo  la  santa  gioia  di 
chi  escito  da  una  cloaca  immonda  e  oscura,  si 
trova  nell'aperto  cielo  in  mezzo  alla  luce,  all'aria 


134  CAPITOLO  V 


pura;  fors'anche  fra  il  profiimo  dei  fiori  e  il  sor- 
riso dei  bambini. 

L'estasi  di  due  amici  che  si  comprendono,  che 
^i  stringon  le  mani .  che  si  guardan  negli  o:;chi, 
leggendovi  riflessa  Pimmagine  di  so  stessi,  è  muta 
come  quasi  tutti  i  rapimenti  della  vita.  É  muta 
ed  è  profonda:  è  serena  eie  azzurra.  Non  si  sa 
eome  incominci  e  dove  finisca;  appunto  come  noi 
non  sappiamo ,  guardando  in  alto ,  dove  il  cielo 
incominci  e  dove  esso  finisca.  Tiriamo  profondo 
profondo  il  respiro,  perchè  vorremmo  quasi  ingran- 
dirci di  dentro ,  come  ci  sentiamo  raddoppiati  di 
fuori;  e  il  nostro  Io  si  confonde,  si  sprofonda  con 
un'altra  coscienza,  quasi  due  parti  di  un'anima 
sola,  che  separate  dalla  violenza,  incontratesi  nello 
spazio,  ritornano  ad  essere  una  cosa  sola.  In  quei 
momenti  beati  ogni  confine  ben  definito  della  co- 
Jàcienza  si  ofiftisca  e  si  sperde  :  ci  pare  di  essere 
due,  perchè  godiamo  sentimenti,  bellezze,  splendori 
^el  vero  o  del  buono  in  due;  ci  par  di  essere  uno, 
perchè  sentiamo  vibrare  due  coscienze  in  unaco- 
43cienza  sola;  perchè  le  due  anime  si  son  abbrao- 
-ciate  e  strette  e  confuse  in  un'anima  sola. 


[ 


ESTASI  dell'  A^knCIZIA  135 


*  * 


Sante  e  care  e  dolci  ebbrezze  dell'amicizia,  che 
si  elevano  per  la  loro  purezza  nelle  sfere  più  alte 
dei  sentimenti  umani.  Se  sono  men  calde  di  quelle 
dell'amore,  sono  però  più  durevoli  e  serene;  se  vi 
è  meno  volutt:\,  vi  è  più  pensiero;  se  vi  è  meno 
fuoco,  vi  è  più  luce. 

Ma  perchè  questi  sterili  e  vani  confronti?  Per- 
chè sagrificare  anche  noi  a  quel  maledetto  gallo 
d' Esculapio,  che  costringe  sempre  V  uomo  a  con- 
frontare le  cose  che  studia  e  de^scrive  ?  Forse  che 
si  potrA>  risolvere  il  problema  ^  la  rosa  sia  più 
bella  del  giglio,  lo  zafiBro  più  splendi<lo  del  dia- 
mante, il  cavallo  più  bello  del  leone?  Lasciamo 
ogni  bellezza  al  suo  posto  e  non  tormentiamo  le 
creature  del  nostro  pianeta,  facendole  passare 
sotto  le  forche  caudine  delle  nostre  gerarchie.  La 
natura  feconda  e  generosa  non  ha  mai  scrìtto  dei 
numeri  sulle  proprie  creature:  nessuna  prima,  nes- 
suna ultima,  e  il  muschio  microscopico  che  nasce 
e  fiorisce  fra  le  fessure  del  tronco  d' una  palma 
superba,  è  bello  quanto  l'albero  maestoso  che  le 
offre  l'ospitalità;  e  la  stretta  di  mano  dell'amici- 


136  CAPITOLO  V 


zia  è  cara  quanto  lo  stringersi  insieme  delle  lab- 
bra innamorate. 


Le  estasi  dell'amicizia  sono  di  varie  forme,  ma 
quasi  tutte  possono  ridursi  a  queste  due:  estasi 
di  simpatm  e  estasi  di  conforto. 

Delle  prime  ho  parlato  fin  qui,  riducendole  ad 
un'espressione  sola.  Le  altre  sono  più  facili  e  più. 
comuni.  Esse  non  sono  che  estasi  di  carità  rese 
più  intense,  più  calde,  più  poetiche,  perchè  il  sen- 
timento che  le  ispira  è  di  più  alta  natura.  Nella 
carità  facciamo  il  bene  agli  altri,  solo  perchè  uo- 
mini; all'amico  diamo  tutto  noi  stessi,  per  lui  fac- 
ciamo i  maggiori  sagrifizii,  perchè  uomo  e  perchè 
amico. 

Dall'elemosina  che  ci  umilia  e  può  anche  avvi- 
lirci, incomincia  una  scala  ascendente  e  che  ha 
mille  gradini  e  pei  quali  si  sale  alle  forme  più 
squisite  della  beneficenza. 

Sulla  più  alta  cima  sta  sempre  1'  amicizia ,  che 
conforta  e  aiuta  e  soccorre  senza  umiliare  e  porge 
il  dono  con  tale  delicatezza,  che  mal  sapresti  dire, 
se  sia  più  prezioso  il  dono  o  più  caro  il  modo  con 
cui  ti  vien  presentato. 


ESTASI  dell'amicizia  137 

Impiccolire  il  sagrifizio  fino  a  nasconderlo  af- 
fatto, mostrare  che  chi  dà  è  invece  colui  che  ri- 
ceve, ohe  il  donatore  rimane  debitore  ;  nascondere 
nella  gioia  di  dare  l'orgoglio  di  dare  e  soffocare 
fin  dal  suo  nascere  l' involontario  rossore  di  chi 
riceve ,  sono  altrettanti  miracoli  che  V  amicizia 
compie  colla  massima  agilità ,  colla  maggiore  na- 
turalezza di  questo  mondo. 

Indovinare  il  dolore  anche  senza  il  pianto,  pre- 
sentire l'imbarazzo  quando  nessuno  lo  sospetta, 
prevedere  la  sventura  prima  che  arrivi,  il  pericolo 
prima  che  l'allarme  sia  dato,  non  attender  mai  che 
la  mano  si  stenda  a  voi,  ma  stendere  la  vostra  e 
nella  stretta  di  mano  nascondere  il  benefizio,  sono 
le  prime  lettere  dell'  alfabeto  dell'  amicizia  ;  son 
problemi  elementari  che  il  cuore  risolve  di  primo 
acchito  e  senza  bisogno  di  studiare  la  matematica. 

Davvero  che  in  questi  ca^i  è  diflBcile  dire  chi 
più  goda  dei  due,  chi  primo  arrivi  al  rapimento 
del  benefizio  fatto  o  della  riconoscenza  caldissima. 

L'uno  ha  preveduto ,  ha  presentito ,  ha  indovi- 
nato.  L'  amico  soffre  ed  io  posso  far  tacere  quel 
dolore.  L'  amico  ha  bisogno  di  soccorso ,  di  con- 
forto, ed  io  sarò  quei  fortunato  che  potrò  soccor- 
rere e  confortare.  Il  cuore  batte  forte  forte  in 
petto ,  le  mani  tremano  per  1'  emozione  e  un  sor- 
riso involontario  e  angelico  corre  sul  nostro  volto. 


138  CAPITOLO  V 


Tutti  gli  artificii  più  astati  sono  da  noi  adoperati 
per  far  sembrar  facile  ciò  che  è  difficile,  naturale 
ciò  che  forse  è  per  noi  un  doloroso  sagrìflzio.  Nes- 
suna astuzia  è  più  raffinata,  nessuna  ipocrisia  più 
opaca,  nessuna  fantasia  più  immaginosa  di  quella 
che  adopera  l'amico  per  occultare  il  benefizio,  per 
giungere  in  tempo;  per  abbellire  la  carità  collo 
splendore  della  sorpresa.  Il  dono  dell'amico  è  un 
fiore  bello  e  profumato  che  ci  presenta  la  mano 
di  un  bambino,  innocente  e  giulivo  come  la  bontà 
sempre  aperta  dell'uomo  generoso,  rìdente  come 
tutte  le  primavere  della  vita  e  della  natura. 

E  chi  riceve  ed  è  costretto  a  non  vergognarsi 
di  ricevere  e  chi  indovina  tutte  le  sante  astruserie 
e  i  fini  accorgimenti  che  accompagnano  V  opera 
del  conforto  e  chi  misura  tutta  1'  altezza  dell'  a- 
nima  che  corre  soccorrevole  a  noi,  rimane  confuso 
e  commosso  e  dallo  strazio  della  disperazione  è 
portato  di  volo  alla  beatitudine  più  sicura  e  più 
alta.  L'amico  ci  ha  indovinato  e  l'amico  risponde 
con  un'onda  di  riconoscenza;  il  sorriso  di  chi  fa 
il  bene  è  nobile  come  il  sorriso  di  chi  lo  riceve, 
e  due  estasi  si  confondono  in  un'estasi  sola. 

Chi  più  felice  dei  due?  Nessuno.  —  Chi  più 
grande?  Nessuno.  —  Quale  il  debitore,  quale  il 
creditore?  Nessuno  dei  due;  o  entrambi  creditori, 
entrambi  debitori. 


ESTASI  DELL'  AMICIZIA  139 


Chi  più  bello  del  sole  che  illumina  o  della  terra 
che  è  baciata  dal  sole!  Chi  più  bello  del  cielo 
che  si  specchia  nel  mare  o  del  mare  che  si  fa 
azzurro  al  sorriso  del  cielo?  Chi  più  dà  e  più  ri- 
ceve della  gloria  dei  grandi  o  del  riflesso  d' ami- 
cizia che  le  turbe  innalzate  dal  genio  rimandano 
al  sole  del  pensiero?  —  Beata  ignoranza  codesta, 
di  non  poter  distinguere  due  bellezze  che  si  fon- 
dono in  una  bellezza  sola  ;  due  gioie  che  si  unifi- 
cano ìa  una  voluttà  sola;  due  grandezze  che  si 
sperdono  e  si  consumano  in  una  sola   immensità. 

Non  malediciamo  la  vita,  se  questa  ci  lascia  lo 
spazio  e  il  tempo  per  essere  uno  di  questi  amici 
o  per  assistere  ad  una  di  queste  scene  del  mondo 
morale.  Quante  bassezze,  quante  viltà,  quanto  fango 
si  devono  trovare  nei  sentieri  pedestri  della  vita 
por  dimenticare  uno  di  quei  quadri,  quante  tene- 
bre ci  vorranno  per  cancellare  tanta  luce,  quanto 
male  per  far  dimenticare  tanto  bene!  Nessun  fiume, 
per  fangoso  che  sia,  ha  potuto  togliere  all'oceano 
le  sue  trasparenze;  nessun  sofiQo  di  uomo  ha  po- 
tuto spegnere  il  sole,  nessun  gelo  Tha  mai  potuto 
raffreddare  ! 


140  CAPITOLO  V 


*  * 


L'affetto  ohe  ravvicina  i  nati  tVuno  stesso  padre 
e  d'una  stessa  madre,  esiste  abbozzato  anche  negli 
animali.  Gli  uccellini  allevati  in  uno  stesso  nido, 
spesso  anche  quando  Thanno  abbandonato,  vivono 
assieme  e  si  amano:  spesso  anche  le  scimmie  ed 
altri  mammiferi  sentono  di  essere  fréitelli,  ma  que- 
ste fratellanze  son  pallide  e  di  piccola  durata.  I 
colpi  di  fucile  del  cacciatore  crudele ,  i  lunghi 
viaggi,  i  nuovi  amori,  spezzano  ben  presto  i  vin- 
coli di  fratellanza,  e  dopo  pochi  giorni,  o  poche 
settimane,  o  pochi  mesi,  secondo  i  casi;  ogni  ri- 
conoscimento di  uno  stesso  sangue  si  dilegua  e 
scompare.  I  fratelli  possono  intrecciare  un  nuovo 
nido,  un  incestuoso  amore,  o  possono  farsi  la  più 
spietata  guerra. 

Anche  fra  gli  uomini  l'amore  fraterno  è  spesso 
pallido  e  non  presenta  che  deboli  energie;  i  molti 
cuculi  deposti  nel  nido  d'una  famiglia,  le  antipatie 
e  le  dissonanze  dei  caratteri  troppo  frequenti  ad 
onta  della  comune  genealogia ,  le  lotte  d'interesse 
opposto ,  le  lunghe  e  necessarie  assenze  imposte 
dalle  vicende  della  vita,   sono   altrettante  cause 


l'amoe  fraterno  141 

che  possono  rallentare  o  rompere  le  catene  fra- 
terne. Fra  fratello  e  fratello,  fra  sorella  e  sorella 
si  aggiunge  poi  la  ruggine  delle  gare  di  vanità  e 
di  emulazione,  e  questa  ruggine  corrode  più  ohe 
la  lima  di  forti  passioni.  Per  tutte  queste  ragioni 
i  forti  amori  fraterni  son  rari,  rarissime  le  estasi 
affettive. 

Oserei  però  dire  che,  meno  rare  eccezioni,  Ta- 
more  fraterno  non  ci  mostra  scene  commoventi  e 
sublimi ,  che  quando  è  rafforzato  dalla  simpatia 
dei  sessi  opposti.  Earo  V  affetto  intenso  fra  due 
fratelli,  forse  più  raro  ancora  quello  fra  due  so- 
relle ;  più  comune  invece  il  sentimento  che  lega  il 
fratello  alla  sorella. 

Quando  fratello  e  sorella  si  amano  davvero,  si 
amano  molto ,  il  sentimento  che  li  unisce  è  un'a- 
micizia resa  ancor  più  calda  dalla  comunanza  del 
sangue  e  può  giungere  a  tanta  forza  e  a  tanta 
idealità  da  avvicinarsi  assai  all'  amore  platonico. 
Son  due  creature  che  non  possono  amarsi  d'amore, 
perchè  troppo  rassomiglianti ,  perchè  esciti  dalle 
stesse  viscere ,  perchè  hanno  ricevuto  il  primo 
bacio  dalle  stesse  labbra,  perchè  hanno  succhiato 
dallo  stesso  seno  quel  secondo  sangue  che  è  un 
secondo  vincolo  di  parentela.  E  poi  son  cresciuti 
insieme,  hanno  respirato  i)er  tanti  anni  l'aria  dello 
stesso  nido,  hanno   dormito   tra   le   pareti  della 


142  CAPITOLO   V 


Stessa  casa,  hanno  pregato  sotto  la  vòlta  della 
stessa  chiesa,  hanno  pianto  le  tante  volte  insieme  ; 
hanno  diviso  i  terrori  infantili,  si  sono  inebbriati 
insieme  nelle  feste  dell'  infanzia  e  insieme  hanno 
subito  le  procelle  dell'adolescenza  e  della  prima 
giovinezza.  Come  e  perchè  non  si  amerebbero 
quelle  due  creature,  che  vedono  a  vicenda  rispec- 
chiata tanta  parte  di  sé  stesso  nel  cuore  e  nel 
pensiero  dell'altra?  La  comunanza  delle  memorie 
è  parentela  del  cuori  e  ad  essa  basta  un  cenno, 
un  sorriso,  una  parola  per  rifare  quei  viaggi  poe- 
tici e  affascinanti  nel  tempo  che  fu.  Quei  due 
forse  hanno  già  passata  più  che  mezza  la  vita 
insieme,  fors'anche  hanno  insieme  composto  nella 
fossa  il  loro  babbo  e  la  loro  mamma,  e  in  un  certo 
giorno  dell'anno,  anche  lontani  e  senz'essersi  chia- 
mati, si  trovano  insieme  sopra  una  stessa  tomba. 
E  come  e  perchè  quelle  due  creature  non  si  ame- 
rebbero; non  si  amerebbero  molto;  non  si  amereb- 
bero sempre? 

La  nostra  sorella  slam  noi  stessi  incarnati  in  un 
sesso  diverso  e  quando  in  essa  noi  vediamo  ripro- 
dotti i  nostri  lineamenti,  rifatti  gli  stessi  gesti, 
riprodotti  gli  stessi  gusti,  le  stesse  antipatie;  sor- 
ridiamo di  compiacenza,  esclamando:  s'io  fossi  una 
donna,  sarei  lei! 

E  la  nostra  sorella  non  solo  ci  rassomiglia  nel 


PBATBLLO  E  SORELLA  143 


volto,  nei  gesti,  ma  desidera  le  stesse  cose,  sor- 
ride degli  stessi  scherzi,  ha  come  noi  qnelle  stesse 
debolezze,  delle  quali  dobbiamo  spesso  arrossire. 
E  si  ride  insieme,  e  si  arrossisce  insieme,  dicen- 
doci nell'orecchio  :  Anche  tuf  —  8Ì  anch^io  ! 

E  la  nostra  sorellina  (che  sorellina  è  sempre  ogni 
sorella,  quando  è  molto  amata),  e  la  nostra  sorel- 
lina rassomiglia  tanto  alla  nostra  mamma,  che  la 
si  direbbe  la  mamma  ringiovanita.  Essa  ha  per 
noi  tenerezze  materne,  indulgenze  materne;  essa 
ci  può  abbracciare  e  baciare,  benché  essa  sia  una 
donna.  Quanto  è  indulgente  e  buona!  —  Con  lei 
possiamo  sfogare  le  nostre  bizze,  confessare  i  no- 
stri rancori;  con  lei  possiamo  dividere  tutte  le 
amarezze  dell'  orgoglio  offeso ,  dell'  ambizione  de- 
lusa ,  delle  speranze  svanite.  Essa  non  e'  invidia^ 
ma  ci  ama;  essa  non  riderà  di  noi,  né  ci  vorr.Y 
consolare  colF  accusarci  fattori  della  nostra  sven- 
tura. Essa  è  donna  e  con  noi  quasi  madre;  nes- 
suna osservazione,  nessun  rimprovero  prima  di 
averci  medicati  e  guariti.  Nessuna  domanda  im- 
portuna o  impertinente  prima  di  averci  fasciata 
la  ferita.  Possiamo  essere  più  vecchi  di  lei;  essa 
ci  tratterà  sempre  come  bambini,  sarà  capace  per- 
fino di  prenderci  fra  le  sue  braccia  e  di  farci  la 
ninna  nanna. 

E  la  sorella  si  getta  fra  le  braccia  del  fratello. 


144  CAPITOLO  V 


come  non  può  fare  colle  braccia  di  nessun  altro 
uomo.  Del  marito  ha  suggezione,  del  padre  ha 
rispetto;  davanti  al  figlio  vuol  essere  infallibile. 
Il  fratello  invece  non  è  né  marito,  né  padre,  né 
figlio,  ma  un  po'  di  tutto  questo.  Egli  è  un  uomo 
e  la  sorella  può  appoggiarsi  a  lui  come  alla  forza 
che  protegge  e  difende;  egli  é  un  uomo,  ma  non 
sarà  mai  un  giudice  severo,  perchè  anch' egli  prima 
di  gridare  al  peccatore,  vorrà  guarire  il  peccato 
e  risanare  la  ferita.  La  sorella  è  sicura  che  il 
fratello  di  lei  avrebbe  peccato  come  lei,  s'egli  si 
fosse  trovato  nelle  stesse  circostanze  ed  essa  è 
sicura  di  trovare  una  grande  indulgenza,  una  mi- 
sericordia grande  come  quella  del  Cristo. 


* 
*  * 


Ma  non  occorre  peccare  per  rifugiarsi  fra  le 
braccia  fraterne  del  figlio  della  nostra  mamma. 
Il  fratello  ha  piti  ingegno  di  noi,  più  di  noi  ha 
studiato  e  vissuto.  Egli  ci  darà  la  luce  per  cam- 
minare nelle  tenebre  della  vita,  egli  ci  darà  un 
braccio  poderoso  per  appoggiarsi,  egli  sarà  la  no- 
stra bussola  nel  gran  mare  delle  umane  dubbiezze. 
^'  E  che  faresti  tu  In  questo  caso  f  Come  esciresii  tu 


AMOS  FRATERNO  145 


da  questo   labirinto  f  Dimmi  se   io   ho  fatto   benet 
Dimmi  86  vi  è  ancora  un  rimedio  a  tanto  male  f  „ 

E  le  domande  si  succedono  le  une  alle  altre,  senza 
attender  risposta  e  le  risposte  diventan  altrettante 
domande;  ed  è  un  affollarsi  confuso  e  prorompente 
di  parole,  di  sorrisi,  di  lagrime  :  e  sono  abbracci 
che  interrompono  domande  e  risposte  e  sono  baci 
che  valgono  più  d'un  volume  di  ragionamenti  e 
son  singhiozzi  che  taciono  alla  soavità  d'  una  ca- 
rezza e  son  carezze  che  vogliono  esser  rimproveri 
e  rimangono  invece  carezze  dolcissime  e  sono  due 
anime  di  uomo  e  di  donna,  che  possono  vedersi 
nudi  l'un  l'altro  senza  arrossire,  perchè  non  hanno 
sesso  e  sono  come  Adamo  ed  Eva  prima  che 
avessero  bisogno  di  coprirsi  delle  foglie  dell'  al- 
bero mistico  dell'Eden. 


* 
*  * 


In  questi  casi  e  in  altri  consimili  la  commozione 
può  giungere  fino  al  rapimento,  e  l'estasi  si  af- 
ferma con  tutti  i  suoi  caratteri  di  isolamento  dal 
mondo  esterno  e  di  concentrazione  di  tutte  le  forze 
del  sentimento  e  del  pensiero  in  un  punto  solo 
del  mondo  psicologico.  Beati  coloro  che  1'  hanno 
Estasi  limane,  10 


~r^^ 


146  CAPITOLO   V 


provata,  fosse  poi  gioia  che  prendeva  il  posto 
d'un  grande  dolore  o  gioia  che  si  faceva  cento 
volte  maggiore,  perchè  si  moltiplicava  colla  igioia 
d'  nn'  anima  sorella. 

L'amore  fraterno  è  un  sentimento  di  lusso,  tanto 
è  vero  che  è  appena  abbozzato  e  fuggevole  negli 
animali  e  così  pure  è  debole  nelle  razze  e  nelle 
nature  inferiori.  I  sentimenti  di  lusso  sono  i  più 
indistinti,  quelli  che  hanno  frontiere  meno  sicure, 
per  modo  che  si  confondono  facilmente  con  altri 
affetti  di  analoga  natura.  L'  amore  fraterno  (l'ab- 
biamo già  veduto)  confina  coir  iimore  platonico  e 
coli' amicizia,  e  tanto  è  vero  che  spesso  udiamo 
escire  dalle  labbra  commosse  di  due  amici,  che 
non  pensan  punto  a  far  della  psicologia,  questi 
gridi  dell'anima: 

Io  il  amo  più  che  un  fratello  —  Tu  mi  sei  più 
fraUllo  che  amico  —  La  nostra  amicizia  è  una  vera 
fratellanza  delle  anime  —  Noi  non  siamo  amici  ma 
frnt4ilU  ! 

E  d' altra  parte  non  di  raro  due  fratelli  escla- 
mano alla  lor  volta  : 

Ma  il  nostro  affetto  è  una  santa  amicizia  —  Ma 
anche  senza  i  lincoli  del  sangue  noi  saremmo  due 
amici. 


ESTASI  dell'amicizia  147 


* 
*  * 


Se  mi  fosse  permesso  tentare  di  distinguere  il 
caratt-ere  proprio  delle  estasi  dell'amicizia  e  quello 
dei  rapimenti  dell'affetto  fraterno,  direi  che  nel 
primo  caso  vi  è  una  grande  fratellanza  nell'urna- 
nità  che  ci  eleva  al  disopra  del  volgo  e  che  nel 
secondo  la  voce  del  sangue  ci  tiene  più  vicini  al 
nido  e  quindi  piti  caldi,  più  commossi,  più  inte- 
neriti. Nei  rapimenti  dell'  amicizia  vi  è  più  pen- 
siero, in  quelli  dell'affetto  fraterno  vi  è  più  vi- 
scere. Nei  primi  la  differenza  di  sesso  turba  l'estasi 
o  la  porta  in  altre  regioni,  nei  secondi  invece  questa 
differenza  è  quasi  sempre  necessaria  e  contribuisce 
assai  ad  accendere  i  cuori,  ad  affinare,  a  intene- 
rire, a  commuovere  gli  animi  che  salgono  insieme^ 
in  quest'Olimpo  del  sentimento. 


* 

41    * 


Descrivere  tutte  le  possibili  estasi  umane  s.i-^ 
rebbe  dar  fondo  all'universo  psicologico  e  nessuna 
forza  d'uomo  vi  basterebbe.   Io   mi  accontenter(> 


148  CAPITOLO   V 


(li  accennare  ad  alcuni  rapimenti  dell'affetto  fra- 
temo:  altrettanti  quadri  presi  dal  vero  e  che  po- 
trebbero ispirare  il  poeta,  il  pittore,  lo  scultore. 


*  * 


Due  fratelli  vivono  in  paesi  lontani  Uun  dal- 
l'altro e  vengono  a  conoscere  per  via  indiretta, 
che  il  babbo  si  trova  in  grave  imbarazzo  di  afifari 
commerciali.  Accorrono  non  chiamati,  si  incon- 
trano sulla  soglia  della  casa  paterna.  Si  sorpren- 
dono, si  interrogano.  Son  venuti  per  la  stessa 
ragione  chiamati  dalla  stessa  voce  interiore.  Hanno 
pensato  la  stessa  cosa,  lo  stesso  piano,  gli  stessi 
progetti  per  salvare  l'onore  del  padre.  Lo  possono 
fare  e  lo  faranno. 

Esaltati,  commossi,  si  gettan  nelle  braccia  l'un 
dell'altro  e  godono  un  soavissimo  rapimento  del- 
l'anima. 


Due  fratelli  che  lavorano  insieme,  hanno  pen- 
sato uno  stesso  libro,  senza  scambiarsi  una  sola 
parola.  Venuti   a  comunicarsi  a   vicenda   i   loro 


BAPrMENTI  dell'amor  FRATERNO  149 

progetti,  si  trova  che  essi  si  incontrano  e  si  com- 
baciano. Lo  stupore  diventa  ammirazione,  Tammi- 
razione  contentezza,  beatitudine.  Essi  si  abbrac- 
ciano, si  inebbriano  della  gioia  di  aver  fusi  due 
pensieri  in  un  solo  pensiero. 

I  fratelli  De  Goncourt  devono  aver  provato  più 
volte  quest'estasi  deliziosa. 


* 

*  * 


Due  sorelle  hanno  perduto  runico  fratello,  ve- 
dovo e  padre  di  numerosa  famiglia.  Sul  cadavere 
del  caro  perduto  suggellano  un  bacio  in  due,  che 
è  conclusione  d'un  giuramento   fatto  in   silenzio, 
nello  stesso  momento.  Esse  non  prenderanno  ma- 
rito, esse  daranno  tutto  il  loro  tempo,  il  loro  de- 
naro ai    nipotini   che   fanno  loro  figlinoli,  che  si 
stringono  al  seno  in  uno  slancio  di  carità  generosa. 
Quelle  due  anime  beate  di  aver  pensato  in  uno 
stesso   istante   la  stessa  cosa  si   abbracciano,  si 
stringon   forte  forte  cuore  contro  cuore;  confon- 
dono lagrime,   singhiozzi,   sorrisi   e   godono   una 
deUe  estasii  fraterne  più  complesse  e  più  alte  che 
possa  godere  anima  umana. 


150  CAPITOLO  V 


4> 
*    * 


Una  donna  è  tradita,  tradita  nel  santuario  della 
famiglia,  precipitando  nella  disperazione  dall'alto 
d'ana  felicità  senza  nubi.  Tutto  si  oscura,  V  aria 
divien  gelo,  la  terra  spine,  il  cielo  un'uragano. 
Essa  ha  un  fratello,  le  scrive  una  parola  sola: 
Vieni  e  mi  salva  ! 

Ma  il  fratello  ha  saputo  la  sventura  piombata 
sul  capo  della  sorella,  prima  ancora  che  la  let- 
tera fosse  scritta.  Suona  un  campanello,  si  apre 
un  uscio,  vi  si  precipita  un  uomo.  La  sorella  lo 
guarda,  non  sa  piangere  e  non  può  ridere.  Gli 
porge  la  lettera  ancora  umida  dall'  inchiostro  ed 
egli  legge  quelle  quattro  parole  e  neppur  lui  può 
ridere  o  piangere  o  parlare. 

Perchè  quei  due  fortunati  non  cadrebbero  in 
estasi  in  quel  momento? 


RAPIMENTI  dell'amor  FRATERNO  151 


Due  naufraghi  iV  una  fiera  procella  della  vita 
8on  rimasti  soli  nel  mondo.  La  donna  in  un  mese 
ha  perduto  tutti  i  figliuoli  uccisi  dalla  difterite, 
ruomo  era  solo  ed  è  divenuto  cieco.  Quei  due 
non  hanno  più  né  padre,  né  madre,  né  zii,  né 
cugini,  ma  essi  son  fratello  e  sorella.  Questi  hanno 
attraversato  continenti  e  mari  e  si  sono  abbrac- 
ciati per  non  separarsi  più  mai.  Perché  non  ca- 
drebbero essi  in  estasi? 


Capitolo  VL 


LiB   ESTASI  DELL'  AMOR  MATERNO. 


Le  estasi  dell'amor  materno.  —  I  rapimenti  della  coutempla- 

zione.  —  L'uomo  bambino  dinanzi  agli  occhi  di  tutti  e  a<,di 

occhi  dell»  madre.  —  L'orgoglio  materno.  —  Il  sagrifizio.  — 

I  rapimenti  dell'amore  paterno.  —  II  padre  e  la  figliuola. 


La  donna  è  sempre  madre  :  madre  anche  quando 
è  vergine.  Ogni  cosa,  ogni  creatura  che  la  donna 
ama,  è  per  lei  anche  un  figlio.  La  bambola  nel- 
l'infanzia, il  fratello  nell'adolescenza,  l'amante 
nella  primavera  della  vita,  son  sempre  figliuoli 
della  donna.  Li  nessuna  parola  la  donna  versa 
tanto  fuoco  di  passione,  tanta  tenerezza  di  viscere 
quanto  in  quelle  di  mio  figlio,  di  bambino  mio,  di 
mia  creatura.  —  Uomini  che  temete  di  non  essere 
piti  amati,  aprite  gli  occhi  quando  queste  dolci 
parole  non  corrono  più  alle  labbra  della  donna  che 
amate. 

La  donna  è  imbevuta  di  maternità  e  ne  porta 
il  sacro  stampo  in  tutto  il  suo  organismo,  dai  ca- 
pelli del  capo  alle  unghie  dei  piedi;  lo  porta  nel 
seno  e  nei  fianchi,  nell'andatura  e  nel  sorriso;  in 
tutte  le  sue  debolezze  e  in  tutte  le  sue  forze. 


156  CAPITOLO  VI 


Quando  essa  abbraccia  con  arcano  trasporto  la 
propria  bambola  e  la  stringe  al  petto  e  pudica- 
mente audace  le  porge  un  seno  che  ha  di  là  a 
venire,  essa  sente  già  nelle  viscere  profonde  pal- 
pitare il  cuore  della  madre,  e  quando,  con  sudata 
fatica,  alza  da  terra  un  bambino  quasi  grande 
come  lei  e  fa  la  mammina,  essa  si  sente  felice, 
perchè  presente  la  futura  maternità. 

La  donna  che  non  ha  figli  può  esser  madre  nel 
cuore  e  nel  pensiero,  anzi  lo  è  sempre.  Essa  ama 
i  figli  degli  altri,  ama  gli  infelici,  ama  i  deboli, 
gli  orfani,  i  derelitti;  ama  sempre  qualcuno  che 
possa  chiamar  creatura.  La  donna  senza  materniti 
fisica  o  psichica,  può  essere  femmina,  può  essere 
uomo;  ma  non  è  donna. 

La  donna  madre  è  la  donna  completa:  la  donna 
giovane,  bella,  ricca,  invidiata  da  tutte  le  donne 
e  desiderata  da  tutti  gli  uomini,  regina  del  mondo 
e  dei  cuori,  non  è  ne  può  essere  felice  se  in  lei 
non  palpita  la  materni tiì.  Essa  potrà  essere  un 
fiore,  ma  non  sarà  mai  un  frutto;  strumento  di 
voluttà  o  operaia  nella  grande  oflScina  sociale  ; 
poeta  o  artista,  santa  o  filosofo;  non  mai  donna 
completa,  donna  perfetta,  donna  che  compie  la 
prima  e  la  più  grande  missione  che  la  natura  le 
ha  affidato. 

La  donna  che  non  è  madre  è  l'eunuco  del  prò 


LA  3IADEE  157 


prio  sesso  e  T  intricato  meccanismo  della  nostra 
società  civile  fabbrica  pur  troppo  ogni  giorno  e  a 
mille  di  queste  mutilate.  Fora'  anche  un  giorno 
la  legge  inesorabile  di  Malthus  farA  una  casta 
speciale  di  esseri  neutri,  nei  quali  verrà  meno  la 
maternitìl,  come  lo  vediamo  nelle  formiche  e  in 
molti  altri  insetti.  Finché  però  questa  orrenda 
creazione  psicologica  non  si  compia,  la  donna  ma- 
dre è  l'unica  donna  completa. 


*  * 


La  maternità  è  passione  ed  è  missione:  è  amore 
ed  è  sagriflzio:  è  tensione  di  pensiero  ed  è  olo- 
causto di  affetti;  è  pane  ed  è  vino;  è  viscere  e 
pensiero  ;  è  tutto  l'uomo  che  sagriflca  sé  stesso  a 
creature  che  vivranno  dopo  di  noi;  è  il  presente 
che  genera  il  futuro. 

Vi  sono  certi  fiori,  che  dell'inviluppo  dei  propri 
petali  fanno  la  buccia  al  frutto,  e  fiore  e  frutto  in 
una  volta  sola  fanno  della  propria  casa  nido  e 
casa  alla  propria  creatura.  Tale  è  la  madre  del- 
l'uomo;  fiore  per  la  fragranza  e  la  bellezza  della 
corolla;  frutto  per  il  succo  saporoso  e  nutriente 
che  por^e  al  figlio.  L'immagine,  per  quanto  teme- 


158  CAPITOLO  VI 


raria  possa  sembrare  all'ocohio  superfioiale  del- 
Tosservatore,  è  invece  rappresentazione  del  vero, 
è  espressione  più  scientifica  che  poetica. 

t'inchè  il  cuoricino  deUa  nuova  creatura  batte 
nel  profondo  delle  viscere  materne,  il  figlio  è 
membro  vivo  della  madre,  è  carne  della  carne  di 
lei,  è  sangue  del  suo  sangue;  ma  anche  quando 
il  frutto  si  è  staccato  dal  ramo  che  l'ha  nutrito, 
non  cessa  per  questo  di  esser  membro  delle  mem- 
bra materne.  L'ovario  più  non  l'abbraccia,  ma  lo 
stringono  ancora  le  braccia  innamorate,  lo  riscal- 
dano i  baci  e  le  carezze;  e  quel  secondo  sangue, 
che  è  il  latte,  lo  alimenta  ancora,  lo  alimenta 
sempre  coi  succhi  materni.  E  disseccata  anche 
questa  fonte,  vi  ha  un  ovario  invisibile  non  più 
fatto  di  carne,  ma  di  affetti  e  di  pensieri  che  lo 
circonda,  lo  abbraccia  e  lo  riscalda.  Feto  o  bam- 
bino, fanciullo  o  giovinetto,  uomo  o  vecchio,  il 
figlio  dell'uomo  porta  sempre  sulla  pelle,  nel  cuore, 
nel  pensiero  lembi  di  quel  velo  materno,  che  per 
nove  mesi  lo  ha  custodito  e  alimentato.  Finché 
vive  la  nostra  mq^mma,  vene  e  nervi  invisibili  ci 
tengono  congiunti  strettamente  alla  placenta  di 
lei,  e  non  v'  ha  palpito  del  nostro  cuore  che  non 
faccia  battere  il  suo  cuore  ;  non  v'ha  dolore  del- 
l' anima  nostra  che  non  si  ripercuota  nell'  anima 
di  lei. 


L'AMOR  MATERNO  151^ 


E  gli  aomini  nascono  e  muoiono,  e  le  genera- 
zioni snocedono  alle  generazioni,  ma  sopra  ogni 
figlio  di  donna  si  serba  indistruttibile  nn  lembo 
del  velo  materno,  ohe  la  prima  Eva  lasciò  snl 
corpo  del  primo  figlio  di  Adamo,  e  in  quel  sotti- 
lissimo velo  invisibile  agli  occhi  del  volgo  è  tes- 
suta quella  tenerezza  che  non  manca  neppure  al 
più  feroce  galeotto,  all'ultimo  paria  dell'umana 
famiglia.  Solo  un  uomo,  che  non  fosse  nato  da 
una  donna,  potrebbe  essere  intieramente  e  sempre 
cattivo,  crudele,  bestiale. 

L'amore  materno  x>o3Siede  tutte  le  forze,  tutte 
le  tenerezze,  tutte  le  idealità  del  sentimento.  Ha 
i  ruggiti  e  gli  artigli  del  leone  per  difendere  la 
propria  creatura  e  ha  le  molli  tenerezze  dell'amore 
felice;  ha  le  diffidenze  della  debolezza  e  le  ipo- 
crisie feline,  ha  tutti  gli  eroismi  del  soldato  e 
tutti  gli  accorgimenti  del  diplomatico;  ha  le  ge- 
losie della  passione  più  esigente  e  i  sagrifizii 
del  martire;  ha  i  misticismi  della  religione  e  tutte 
le  poesie  del  cuore.  Chi  osa  affermare  che  alla 
donna  la  natura  ha  assegnato  la  parte  del  dise- 


IGO  CAPITOLO  VI 


redato,  non  ha  letto  neppure  la  prima  pagina  nella 
storia  del  sentimento.  La  maternità  è  tale  un 
abisso  di  voluttà,  è  tale  un  ministero  di  sublimi 
travagli,  è  tale  una  missione  di  creazione  da  te- 
nere il  luogo  di  tutti  quegli  altri  lavori  virili,  che 
si  chiamano  politica,  industria,  commercio,  scienza, 
arte,  ecc.,  ecc. 

Tutti  i  codici  del  mondo  hanno  insegnato  al- 
l'uomo ad  amare  i  genitori,  i  fratelli,  gli  amici  ; 
hanno  mostrato  la  via  della  giustizia  e  messi 
gli  indicatori  su  tutte  le  grandi  vie  maestre  che 
conducono  alla  felicità,  alla  gloria,  alla  scienza. 
Nessun  codice,  né  umano  né  divino,  ha  mai  sentito 
il  bisogno  di  scrivere  queste  parole:  O  donna  tu 
amerai  II  tuo  Jigliuoh  ! 


*  * 


Un  affetto  così  umano,  così  irresistìbile,  così 
potente  deve  aver  le  proprie  estasi  e  ne  ha  molte 
e  svariate  e  d'ineffabile  voluttà.  I  più  sublimi 
rapimenti  dell'amor  materno  non  furono  mai  scritti, 
perchè  le  donne  scrivono  molto  meno  di  noi,  for- 
s'anche  perchè  essi  sono  indescrivibili. 

Sono  estasi  di  ammirazione,  di  carità,  di  sagrifizio, 


L'UOMO  BAMBINO  161 


dì  gloria  altrui  riflessa  nella  nostra,  sono  apoteosi 
iridescenti,  nelle  quali  ogni  fiore  del  cuore  porta 
il  proprio  colore  e  i  proprii  profumi;  sono  inni  di 
gaudio,  osanna  di  felicità  che  si  innalzano  al  cielo 
dal  petto  della  più  felice  delle  creature  della  terra. 
No  :  nessuno  è  più  felice  della  madre  felice,  della 
madre  ohe  palleggia  colle  mani  irrequiete  il  bam- 
binello nudo,  roseo,  rotondetto,  che  agita  le  mem- 
bricciuola  delicate  sul  morbido  letto  preparato  a 
lui  dalla  mamma.  Nessuno  più  felice  di  lei,  nep- 
pure l'amante  che  possiede  la  donna  amata. 


* 


L'uomo  bambino  risveglia  tale  un  coro  di  tene- 
rezze, fa  scaturire  dalle  nostre  viscere  tanti  tor- 
renti di  affettuosa  ammirazione,  che  uomini  e 
donne  e  vecchi  e  fanciulli  si  sentono  intenerire 
tutti  quanti  davanti  a  quella  creaturina  impastata 
di  petali  di  rose  e  tutta  illuminata  di  sorrisi.  Ho 
veduto  famosi  egoisti,  più  duri  e  più  asciutti  della 
cartapecora,  far  carezze  ai  bambini;  e  chirurghi 
celebri  per  la  loro  sapiente  crudeltà  intenerirsi  e 
sorridere,  quando  nel  letto  della  clinica  si  trova- 
vano dinanzi  a  un  fanciuUetto. 

Estasi  umane.  11 


162  CAPITOLO  VI 


E  come  non  intenerirsi  davanti  all'  uomo  bam- 
bino? Come  non  sentirsi  disoiogliere  tutti  i  ran- 
cori, disperdersi  tutte  le  ostruzioni  del  fegato 
davanti  a  quella  creatura,  che  sorride  alla  vita, 
alla  luce,  agli  occhi  della  mamma;  ignorando  ogni 
cosa  e  avendo  bisogno  di  tutti  I  La  più  grande 
delle  debolezze,  l'ignoranza  assoluta,  chiuse  in  una 
forma  d'  nomo  colla  spensieratezza  assoluta  !  Un 
fiore  che  sbuccia  inconscio  e  confidente  sull'orlo 
di  un  abisso  o  lungo  una  via  percorsa  da  carri 
e  da  pedoni! 

Un  uomo  come  noi,  ma  che  non  morde;  un  uomo 
come  noi,  ma  che  non  invidia,  non  odia,  non  oi 
canzona.  Un  uomo  come  noi,  ma  che  non  si  regge 
in  piedi,  che  un'ora  di  abbandono  può  uccidere, 
che  uno  schiaffo  potrebbe  ammazzare.  Quando  la 
compassione  accompagna  gli  affetti,  pare  che  una 
gocciola  di  dolore,  frammischiandosi  alla  gioia,  la 
renda  più  intensa  e  più  tenera;  come  avviene  di 
un  pizzico  di  sale  che  aggiunto  allo  zucchero  in 
certe  paste,  le  rende  ancor  più  dolci. 

E  poi  alla  contemplazione  di  quelle  bellezze 
umane,  a  quella  tenerezza  fatta  d'amore  e  di  com- 
passione, s'aggiunge  tutto  il  fascino  del  mistero. 

Il  bambino  nel  mondo  umano  è  la  a?  delle  x.  Sarà 
egli  ancor  vivo  fra  un  anno?  Fra  cinque,  fra  dieci 
anni  non  avrA.  raggiunto  quella  legione   di  crea- 


IL  PIANTO  E  IL  BISO  163 


ture,  che  nascono  per  morire  prima  di  aver  rag- 
giunto la  fanciullezza,  che  sembrano  nascere  sol- 
tanto per  far  piangere  i  loro  genitori?  E  poi  anche 
vivendo  che  cosa  sarà,  che  cosa  diverrà  quella 
creaturina  rosea,  quando  i  peli  ispidi  del  volto 
avranno  mutato  i  petali  di  rosa  in  cuoio  di  belva? 
Che  cosa  sarà,  quando  il  dolore  e  il  vizio,  le  fe- 
rite e  le  piaghe  avranno  scritto  su  quella  pelle  di 
seta  la  loro  storia  vergognosa  o  crudele?  Come 
amerà,  cosa  penserà,  che  cosa  far.\  quella  a?  umana? 
Sarà  dessa  la  benedizione  della  famiglia  o  il  tor- 
mento di  tutti?  Sarà  un  cretino  o  un  uomo  di 
genio  ;  un  santo  o  un  malfattore  ? 

Quanto  avvenire  ignoto  in  quel  corpicino  tepido 
e  inerme!  Quanto  bene  e  quanto  male,  quante 
gioie  e  quanti  dolori,  quanta  gloria  e  quante  viltà, 
quanta  storia  sta  forse  nascosta  in  due  palmi  di 
carne  tenerella!  E  mentre  noi  stiamo  affacciati  a 
quel  problema  umano,  mentre  ristiamo  pensosi 
davanti  al  futuro  vicino  e  al  futuro  lontano,  il 
bambino  sorride  e  sembra  guardare  e  stupirsi 
della  nostra  meditazione  piena  di  soave  malinconia. 

Sorride  e  di  che  e  perchè  sorride? 

Sorride,  ma  appena  è  venuto  alla  luce  del  mondo, 
ha  pianto  e  ogni  giorno  piange ,  perchè  il  dolore 
sembra  essere  nell'uomo  la  lingua  più  universale. 
La  sua  lingua  non  ha  che  due  parole,  il  pianto  e  il 


164  CAPITOLO  VI 


riso:  primo  e  più  spesso  il  pianto,  secondo  e  più  raro 
il  riso.  Fatale  mistero!  —  Con  quelle  due  parole 
qaell'  ignorante  sublime  dice  ogni  cosa  e  quelle 
due  parole  gli  bastano.  Ignorante  e  felice,  benchò 
più  spesso  pianga  che  non  rida;  felice  perchè 
ignora  ancora  il  tormento  dei  perchè  e  dei  come; 
perchè  ignora  le  torture  dell'alfabeto  e  le  vergogne 
della  politica  ;  perchè  ignora  il  manicomio  ed  il 
carcere ,  la  casa  in  cui  si  vende  V  amore  e  il  pa- 
lazzo in  cui  si  vende  la  coscienza;  perchè  non  sa 
che  vi  siano  i  capestri  tessuti  dal  giudice  e  le 
menzogne  inventate  dagli  uomini  per  calunniare 
gli  Dei  I 

Povera  creaturina  dalle  carni  impastate  di  pe- 
tali di  rosa  e  illuminata  di  tutti  i  sorrisi  del  cielo! 
Povero  bambino  che  guardiamo  con  così  tenera 
compassione  e  che  potrà  essere  Napoleone  o  Ce- 
sare, Tito  0  Tiberio! 


Io  ho  veduto  il  grande  zoologo  Burmeister,  ohe 
è  anche  artista,  contemplare  lungamente,  quasi  in 
estasi,  bambini  e  fanciulli  bellissimi;  e  anch'io  mi 
son  sorpreso  più  d'una  volta  in  analoghe  oontem- 


MADONNA  COL  BAMBINO  165 


plazioni.  Questi  però  sono  rapimenti  estetici,  nei 
quali  possono  entrare  come  elementi  secondarii 
anche  fenomeni  del  pensiero  e  dell'affetto. 

Non  è  però  che  la  madre,  che  può  cadere  in 
estasi  affettiva  dinanzi  al  proprio  bambino.  E  al- 
lora voi  avete  sotto  gli  occhi  vostri  scene  sublimi 
di  estetica  morale,  che  alcuni  grandi  pittori  sep- 
pero rappresentare  e  fare  immortali:  primo  fra 
tutti  il  divino  Rafaello ,  che  nelle  molte  sue  Ma- 
donne col  bambino,  ha  saputo  portar  così  in  alto 
la  bellezza  femminile  da  renderla  degna  di  ornare 
la  madre  di  un  Dio,  e  in  esse  ha  saputo  trasfon- 
dere tante  estasi  di  contemplazioni  arcane,  da  por- 
tarci assai  vicini  all'estasi  del  sentimento  materno. 

Un  critico  psicologo  (e  tutti  i  critici  non  vol- 
gari dovrebbero  esserlo)  potrebbe  anche  suUe  sole 
Madonne  del  Rafaello  fare  uno  studio  comparativo 
della  diversa  misura  del  misticismo  e  dell'affetto 
di  madre  eh'  egli  ha  saputo  incarnare  nelle  sue 
divine  creazioni.  Ora  è  la  donna  che  adora  un 
Dio  bambino,  e  il  misticismo  predomina  sulle  vi- 
scere; ora  è  invece  la  madre  che  avanza  l'asceta; 
ora  due  dei  sentimenti  più  potenti  che  fanno  vi- 
brare l' anima  umana ,  si  associano  e  si  danno  la 
mano;  talché  tu  sapresti  difficilmente  dire,  se  mag- 
giore sia  r  adorazione  o  1'  affetto  ;  se  più  alto  si 
libri  il  pensiero,  o  più  calde  palpitino  le  viscere. 


166  CAPINOLO  VI 


* 
*  * 


Se  il  bambino  desta  la  simpatia  di  tatti,  se  con- 
viene esser  fatti  di  pietra  o  di  fango  per  non  ri- 
spondere con  un  sorriso  al  sorriso  di  lui,  è  facile 
immaginare  gli  ardori  affettivi  della  madre  che 
contempla  la  sua  creatura. 

Dagli  occhi  di  lei  sembra  che  escano  fasci  di  luce 
calda  che  irradiano  sul  corpicino  gentile  e  l'anima 
della  donna  madre  sembra  passar  tutta  lungo  quei 
raggi  nella  sua  creatura.  In  quel  momento  tutta 
lei  è  un  solo  sorriso,  tutta  lei  è  una  gioia  sola  e 
Testasi  è  grande,  è  completa;  estetica  e  affettiva  in 
una  volta  sola.  Essa  non  è  interrotta  che  dalle 
mani  smaniose,  che  vorrebbero,  palleggiandolo, 
convertirsi  in  una  sola  carezza;  non  è  interrótta 
ohe  dai  baci,  che  cadono  come  fitta  gragnuola  su 
quella  pelle  rosea  e  vellutata.  In  quelle  carezze 
delle  mani  vi  è  tanta  forza  che  sembrano  quasi 
percosse,  e  i  baci  sono  così  ardenti  da  scambiarsi 
per  morsi.  L'  ultima  nota  dell'  amore  si  incontra 
colla  prima  nota  della  ferocia,  e  l'angelo  che  adora 
invidia  i  denti  dell'antropofago  che  divora  le  carni 
dell'uomo.  Mai  come  in  queste  scene  il  mito  che 


ESTASI  DELLA  MAMMA  167 

rappresenta  ruomo  fatto  di  fango  e  soffiato  da  un 
Dio,  ci  si  presenta  in  tutta  la  verità  della  sua 
espressione. 

La  madre  che  cade  in  estasi  davanti  al  suo 
bambino  nudo  e  sorridente,  non  lo  bacia,  ma  lo 
divora  di  baci  ;  non  lo  accarezza  soltanto ,  ma  lo 
morde;  e  in  quell'apocalisse  di  ammirazione  e  di 
animalità,  di  viscere  e  di  pensiero,  assistiamo  ad 
uno  dei  tanti  uragani  del  cuore,  nei  quali  cielo  e 
terra  si  toccano  e  si  confondono,  quasi  ritornas- 
sero a  quel  caos,  da  cui  dicesi  che  li  separasse 
un  giorno  una  voce  venuta  dall'alto. 

Dopo  la  convulsione  la  pausa  della  voluttà  che 
riposa.  Quando  il  bambino  dorme  tranquillo  e  si- 
curo all'ombra  dello  sguardo  materno,  l'estasi  della 
donna  madre  continua  calma  e  tranquilla.  Gli  oc- 
chi non  lasciano  per  un  solo  momento  quella  con- 
templazione e  perfino  il  respiro  di  lei  si  accelera 
involontariamente  per  accompagnare  collo  stesso 
ritmo  il  respiro  celere  e  breve  della  creatura  di 
lei.  E  quando  egli  sospira,  dal  petto  della  madre 
esce  inconscio  un  altro  sospiro,  e  quando  le  labbra 
si  muovono  a  un  inconscio  sorriso,  anche  le  labbra 
della  mamma  sorridono  dello  stesso  sorriso.  H 
volto  della  donna  felice  è  così  vicino  alla  testo- 
lina di  quel  piccolo  uomo  felice,  che  i  due  fiati  si 
confondono  in  un  solo  tepore.  Non  son  forse  essi 


168  CAPITOLO  VI 


due  membra  d*un  corpo  solo,  non  son  forse  U in- 
treccio dei  due  momenti  piìi  belli  della  vita,  il 
presente  e  l'avvenire? 


*  * 


Queste  sono  le  estasi  più  comuni  dell'  affetto 
materno  e  possono  provarle  la  donna  australiana 
come  1'  europea,  V  indiana  e  la  negra.  Ma  di  ben 
altri  e  più  alti  rapimenti  è  capace  il  cuore  ma- 
temo,  quel  cuore  che  sembra  sfidare  tutte  le  leggi 
della  fisica  e  della  matematica;  dacché  anche  di- 
viso fra  molti  figliuoli,  sembra  moltiplicarsi. 

La  madre  di  due ,  di  tre ,  di  diepi  figliuoli  di- 
spensa a  tutti  egualmente  il  calore  del  suo  cuore; 
così  come  il  sole,  che  ogni  giorno  illumina  le  crea- 
ture di  tutta  la  terra.  La  madre  circondata  da 
tutta  una  famiglia,  che  dal  bambino  appeso  al 
seno  sale  fino  al  giovinetto  e  alla  fanciulla,  è  uno 
dei  quadri  più  belli  deirumanità.  ;  e  pittori  e  poeti 
ce  lo  hanno  dipinto,  senza  mai  raggiungere  la  gran- 
dezza delhi  natura. 

L'occhio  materno  passa  calmo  e  sereno  dal  barn- 
bino  neonato  al  bambino  che  ruzzola  sul  tappeto; 
segue  i  giuochi  della  fanciulletta  ;   si   riposa   sul 


CSTASI  BELL'AMOB  MATERNO  169 

capo  ricciuto  del  fanciullo;  contempla  la  giovinetta 
che  già  meditabonda  mette  fra  punto  e  punto  della 
cucitura  un  pensiero  o  un  sospiro.  Tutte  quelle 
creature  sono  carne  della  sua  carne,  son  sangue 
del  sangue  di  lei.  Posano  tutte  sotto  le  grandi  ali 
dell'amore  materno,  son  tutte  strette  nell'ambiente 
caldo  di  un  nido,  che  ella  ha  intrecciato;  che  ella 
sola  custodisce  e  difende. 

Lo  sguardo  di  quella  donna,  dopo  aver  salito  per 
quella  soala  umana  dal  bambino  al  giovinetto  e 
dopo  esser  più  volte  disceso  dal  giovinetto  al  bam- 
bino, si  fissa  a  mezz'aria;  e  le  speranze  e  i  timori 
che  posano  l'ala  su  quelle  teste  adorate,  vibrano 
nella  coscienza  di  lei  con  una  indistinta  emozione 
di  tenerezza,  di  trepidazione,  di  gioia.  E  chi  mai 
farìV  l'analisi  quantitativa  dei  sentimenti  che  oscil- 
lano insieme,  che  si  intrecciano,  che  si  confondono 
in  quei  momenti  nel  cuore  di  quella  madre  beata? 

Ora  l'estasi  è  estetica,  ora  è  quasi  unicamente 
affettiva:  ora  è  ammirazione  e  adorazione,  ora  è 
sete  di  sagrìfizio,  devozione  intera  di  tutto  sé  stesso. 

Oh  come  brillano  al  sole  con  tinte  d'oro  quelle 
treccie  nascenti  della  piccola  Laura!  —  Così  le 
aveva  mia  madre! 

E  quel  nasino  di  Piero  come  è  impertinente  e 
grazioso  !  I  suoi  capelli  ricciutelli  e  fini  hanno  lo 
stesso  colore  di  quelli  di  Laura. 


170  CAPITOLO  VI 


Quanta  bellezza  di  bontìi  in  quel  volto  di  Adele  ! 
Come  sarà  felice  chi  l'avrà  compagna  della  vita. 

E  quanto  bella  e  divina  è  tutta  la  persona  della 
piccola  Bice  !  Chi  mai  ha  avuto  una  figliuola  più 
beUa? 

E  poi  ammirazioni,  speranze,  trepidazioni  si  con- 
fondono in  un  sentimento  solo,  indistinto  e  inde- 
finibile, che  è  la  somma  di  tutti  i  palpiti,  di  tutte 
le  tenerezze,  di  tutti  gli  ardori  dell'affetto  ma- 
terno. È  Pestasi  materna  che  sorge  in  tutta  la 
maestà  della  contemplazione  di  un'  intera  famiglia. 


* 
*  * 


Se  il  nostro  dizionario  fosse  meno  povero,  meno 
bugiardo,  meno  cretino,  dovrebbe  usare  una  parola 
speciale  per  significare  l'orgoglio  materno,  uno  dei 
sentimenti  più  alti,  più  nobili,  più  fecondi  di  bene 
nelle  battaglie  della  vita.  Invece  abbiamo  una 
stessa  parola  per  esprimere  due  sentimenti  così 
diversi,  così  lontani  tra  di  loro  sulla  scala  della 
moralità  e  nell'evoluzione  degli  affetti. 

L'orgoglio  materno  è  pieno  di  pudori  e  di  santiC 
astruserie,   quanto   l'orgoglio  per  noi  è  gonfio  di 


iJ  OBGOQLTO  MATERNO  171 


goffaggini  e  irto  di  vanità  e  di  sfacciataggini.  La 
madre  giunge  ad  essere  superba  della  propria 
creatura  attraverso  una  iniziazione  di  paure,  di 
reticenze,  di  sospetti.  E  poi,  quando  crede  dav- 
vero, créde  in  coscienza  di  essersi  acquistata  con 
un  lungo  esame  il  diritto  dell'orgoglio,  lo  nasconde 
come  un  tesoro  rubato,  che  la  mano  della  giustizia 
può  da  un  momento  all'altro  sorprendere  e  confi- 
scare. 

Lo  nasconde,  ma  non  lo  occulta;  perchè  tanta 
gioia  non  trova  un  vaso  grande  abbastanza  per 
contenerlo  e  perchè  la  luce  si  chiude  molto  diffi- 
cilmente. 

Nessun  orgoglio  più  pudico  ed  anche  più  silen- 
zioso del  materno.  Lo  si  vede  brillare  sulla  su- 
perficie della  cute  come  lontana  vetta  di  monte, 
che  si  illumina  coi  raggi  di  un  sole  che  non  si 
vede,  perchè  si  è  aperta  la  strada  in  uno  spacco 
di  nuvole.  Gli  occhi  si  aprono  grandi  grandi,  il 
sorrìso  irradia  dalle  labbra  e  si  diffonde  per  ogni 
parte,  e  poi,  e  poi  un  bacio  solo,  un  bacio  prolun- 
gato, caldo,  ineffabile  per  dire  tutto  ciò  che  la 
parola  non  può  e  non  sa  esprimere. 

Quanta  gioia  e  quanta  estasi  !  La  bellezza  mo- 
rale o  la  gloria,  la  nobiltà  dell'anima  o  lo  splen- 
dore dell'ingegno  riflessi  dallo  specchio  di  una 
madre,  che  guarda,  ed   ammira,   che   riguarda  e 


172  CAPITOLO  VI 


dice:  quella  bellezza,  quella  gloria,  quell'ingegno 
sono  bellezza,  gloria  e  ingegno  del  frutto  delle 
mie  viscere!  Quella  donna  che  tutti  amano  e  be- 
nedicono, che  passeggia  nella  vita  fra  l'ammira- 
zione e  l'invidia  di  tutti,  è  la  mia  figliuola.  Quel- 
l'uomo che  le  turbe  acclamano  e  dinanzi  a  cui 
anche  i  grandi  si  inchinano,  è  il  figliuol  mio.  Kon 
lo  sapete?  —  Quel  giovinetto  che  si  è  gettato 
nel  fiume  per  salvare  una  vittima  è  mio  figlio.  — 
Quella  giovinetta  che  chiamano  un  angelo  è  mia 
figlia  I... 


Aspettando  che  i  futuri  dizionari  abbiano  una 
parola  nuova  per  esprimere  l'orgoglio  materno, 
diciamo  che  in  questo  sentimento  noi  troviamo 
ammirazione,  tenerezza  e  sopratutto  amore;  mol- 
tissimo amore. 

Intanto  poco  ci  importa  che  non  esista  la  pa- 
rola, dacché  esiste  la  cosa.  Molte  e  molte  madri 
provano  questa  suprema  gioia  di  essere  orgogliose 
dei  propri  figli;  esse  raccolgono  il  più  alto  premio 
del  loro  sagrificio,  della  loro  devozione,  vedendo 
che  la  generazione  che  ad  esse  deve  la  vita  prò- 


HABTIBI  DELL*  APPETTO  MATERNO  173 

mette  di  seguire  le  tradizioni  del  bene.  Premio 
delle  madri  e  loro  blasone  di  nobiltà^  che  le  con- 
sacra maestre  dei  cuori,  così  come  sono  natrici 
della  vita  ;  missione  santa  che  continua  sul  banco 
della  scuola  il  filo  non  interrotto  delle  tenerezze 
della  culla. 


4c 
*  * 


Ogni  estasi  affettiva  è  capace  di  una  forma  al- 
tissima e  speciale,  il  rapimento  che  dà  il  sagri- 
fizio.  Si  chiamarono  e  si  chiamano  martiri  della 
religione,  della  patria,  della  scienza,  della  carità 
tutti  coloro,  che  dopo  aver  portato  all'  altare  di 
nii  sentimento  i  fiori  e  i  frutti,  vi  portano  tutto 
sé  stesso  ;  facendo  olocausto  delle  ricchezze,  della 
vanità,  dell'  orgoglio  e  perfino  della  vita.  La  bel- 
lissima e  intraducibile  parola  francese  di  dévou- 
meni  trova  nel  nostro  dizionario  un  vocabolo 
troppo  pallido  e  troppo  freddo  in  devozione;  e 
questa  devozione  conduce  per  gradi  di  una  lunga 
scala  al  sagrifizio  completo  di  tutto  so  stesso,  che 
è  il  martirio. 

La  storia  raccoglie  con  gelosa  premura  i  nomi 
dei  martiri  della  patria,   della  religione  e  della 


174  CAPITOLO  VI 


scienza;  ma  i  più  modesti  sentieri  della  vita,  le 
case  più  anguste  nascondono  a  cento  a  cento  i 
martiri  dell'affetto  materno  ;  martiri  ohe  la  storia 
non  registra,  ma  che  danno  nobiltà  all'umana  far 
miglia,  che  seminano  la  virtù,  la  moralità,  la  poesia 
nel  terreno  in  cui  nascono  e  crescono  gli  uomini. 


*  * 


La  mateniità  è  tutta  e  sempre  un  martirio  e 
che  segna  col  sangue  la  via  per  cui  la  donna 
cammina  nelle  vie  della  vita.  Sangue  al  primo 
bacio,  sangue  al  primo  e  all'  ultimo  figlio,  e  poi 
sempre  quell'altro  sangue  più  dolce  che  è  il  latte 
del  seno.  La  madre  scrive  col  proprio  sangue  la 
storia  del  più  umano  e  del  più  generoso  degli 
affretti. 

Questo  è  di  tutte  le  madri,  ma  molte  danno 
tutto  il  loro  sangue  alle  proprie  creature,  toglien- 
dosi il  pane  di  bocca,  vivendo  nella  povertà  per 
dar  agiatezza  e  scuola  ai  figliuoli.  E  danno  il 
sangue  e  il  pane  e  il  lavoro,  danno  il  sudore  della 
giornata  e  il  sonno  delle  notti,  perchè  altri  ri- 
posi e  goda,  in  tutto  simili  all'anitra  norvegiana, 
che  sotto  un  cielo  di  ghiaccio  si  strappa  dal  petto 


MATERNITÀ  È  MARTIRIO  175 

le  mollissime  piume  per  farne  un  nido  oaldo  ai 
suoi  piccini.  Così  le  madri  dell'uomo  intrecciano 
8i)esso  coi  loro  dolori  un  nido  caldo  alle  loro 
creature,  e  dopo  aver  dato  tutto  il  loro  sangue, 
tutta  la  loro  vita,  sembrano  deplorare  che  altro 
sangue  non  abbiano  ancora,  e  una  seconda  vita 
per  dare  ancora,  per  dare  sempre,  per  sentire 
passare  da  sé  negli  altri  tutta  un'  onda  calda  e 
feconda  ;  per  non  vivere  che  della  vita  altrui,  per 
non  serbare  a  sé  ohe  la  gioia  degli  altri. 


L'amore  paterno  per  cento  e  una  ragioni  è  assai 
più  fiacco  dell'amore  materno  e  anche  quando 
raggiunge  un  grado  di  alta  idealitìi  e  anche 
quando  è  capace  di  forti  energie,  è  sempre  un'af- 
fetto di  secondo  o  terzo  ordine. 

Perchè  l'aflTetto  di  padre  possa  salire  in  alto  e 
ardere  di  calda  fiamma,  conviene  quasi  sempre 
ohe  sia  rafforzato  dalla  simpatia  sessuale.  Anche 
la  madre  ama,  in  generale,  più  fortemente  il  figlio 
che  la  figlia;  ma  il  padre  essendo  maschio,  è  più 
tirannico  nei  suoi  affetti  e  generalmente  meno 
giusto,  per  cui  più  spesso  è  trascinato  a  preferire 


176  CAPITOLO  VI 


la  figlia.  Questa  è  la  regola;  vediamo  però  ecce- 
zioni bellissime,  nelle  quali  la  giustizia  più  giusta 
governa  gli  affetti  della  famiglia  e  la  mamma 
adora  la  figlia  e  il  babbo  adora  il  figlio. 

Tutto  questo  non  avvilisce  l'uomo  né  lo  abbassa 
ad  una  moralità  poco  giusta.  Chi  guardi  soltanto 
per  un  minuto  alle  diverse  parti  che  hanno  nella 
riproduzione  il  padre  e  la  madre,  chi  solo  ricordi 
la  prepotenza  invincibile  delle  simpatie  sessuali, 
intende  e  perdona  la  disuguaglianza  istintiva  nella 
distribuzione  dell'amore  nel  seno  dell'umana  fa- 
miglia. 

L'amore  del  padre  per  la  propria  figliuola  può 
essere  così  ardente  da  portarci  fino  all'  estasi. 
Vedere  i  propri  lineamenti,  i  propri  gesti,  il  pro- 
prio carattere  riprodotto  nello  specchio  di  una 
gentile  creatura,  che  è  donna,  che  forse  è  anche 
bella  e  buona;  veder  tradotta  la  propria  natura 
in  una  figlia  di  Eva,  veder  le  proprie  asprezze 
arrotondate  dalle  grazie  della  femmina;  la  vio- 
lenza virile  divenuta  entusiasmo,  l'ostinazione  di- 
venuta fermezza,  la  forza  trasformata  in  grazia;  è 
tale  una  compiacenza  intima,  profonda,  che  basta 
a  intenerirci,  a  commuoverci,  a  portarci  nelle  più 
alte  regioni  dell'idealità. 

E  quella  traduzione  di  un  babbo  in  una  figliuola 
apre  ampie  le  porte  a  un  paradiso  di  delizie  af- 


IL  PADBE  E  LA  PIGLIA  177 


fettlve.  La  nostra  bimba  ci  ama  oome  noi  amiamo 
lei,  e  benché  donna  può  sedere  sulle  nostre  gi- 
nocchia, gettarci  le  braccia  al  collo  e  baciarci 
lungamente  sidle  labbra  senza  peccato.  Essa  vede 
sé  stessa  tradotta  in  uno  specchio  che  la  rappre- 
senta forte  e  severa;  ma  quella  forza  e  quella  se^ 
verità  si  piegano  a  un  sorriso  di  lei  e  quell'uomo 
in  cui  si  appoggia  confidente  e  sicura,  quell'uomo 
dinanzi  a  cui  forse  tanti  si  inchinano  e  a  cui 
tanti  ubbidiscono,  ubbidisce  a  lei;  a  lei  piccina  e 
debole.  Quell'uomo  che  sgrida,  che  condanna,  che 
esercita  chi  sa  quante  funzioni  di  autorità  nelle 
gerarchie  della  vita,  non  ha  per  lei  che  dei  sor* 
risi:  egli  fortissimo  non  è  debole  che  per  lei. 

E  noi  vediamo  tutta  quella  gioia,  tutta  quella 
riconoscenza,  tutta  quella  devozione  riflesse  nella 
nostra  immagine  femminile,  e  siamo  rapiti  in  un'e- 
stasi delle  più  dolci  e  delle  più  belle. 

Benedetti  i  padri  che  hanno  una  figliuola  e 
hanno  la  cara  speranza  che  essa  chiuderà  loro  gli 
occhi  nell'ora  suprema  del  grande  viaggio! 


Estasi  umane,  12 


178  CAPITOLO  VI 


Estasi  oomplesse  di  amore  paterno  e  di  senti- 
mento del  dovere  possono  aversi,  quando  la  nostra 
figliuola,  ohe  legge  nei  nostri  ocohi  i  nostri  dolori 
o  le  nostre  collere,  riesce,  indovinando,  presen- 
tendo ,  senza  far  motto ,  spesso  con  un  sol  bacio 
o  una  sola  carezza,  a  far  sparire  il  dolore,  a  do- 
mare d'un  subito  il  nostro  sdegno. 

Più  d'una  volta  una  figliuola  che  adora  il  babbo, 
diviene  consigliera,  educatrice  di  lui  e  col  tesoro 
degli  affetti  generosi  e  cogli  accorgimenti  sublimi 
del  cuore  che  ama,  impedisce  una  catastrofe ,  al- 
lontana il  pericolo,  previene  forse  la  colpa;  diviene 
la  provvidenza  di  tutta  una  famiglia.  Quante  di 
queste  azioni  eroiche  rimangono  celate  fra  le  pa- 
reti domestiche,  quanti  di  questi  tesori  di  affetto 
passano  dall'uno  all'altro  cuore,  senza  che  mano 
alcuna  di  cassiere  li  registri  o  inno  di  poeta  li 
esalti  I 

Un  sorriso  dato,  un  sorriso  ricevuto;  una  stretta 
di  mano  che  fa  passare  da  un  cuore  all'altro  tutta 
un'onda  di  soavissima  voluttà;  e  tutto  è  finito. 
Una  figlia  e  un  padre  scrivono  in  pochi  istanti  tutto 
un  poema,   che  nessun  poeta  potrà  mai  scrivere. 


>• 


IL  FADBE  E  LA  FIGLIA  179 

Kon  è  vero  però  che  tutto  finisca,  perchè  fino 
a  che  quei  due  cuori  batteranno,  il  ricordo  d'aver 
dato  tanto  e  tanto  ricevuto,  li  terrà  stretti  in- 
sieme, facendoli  palpitare  collo  stesso  ritmo.  Un 
impercettibile  sorriso,  una  parola  bastano  a  ride- 
stare la  soavissima  memoria,  che  lega  quelle  due 
creature  con  una  nuova  e  più  salda  parentela. 

Il  padre  aveva  dato  la  vita  alla  figliuola,  l'aveva 
tirata  sa  bambinetta,  fanciulla,  donna,  fra  i  baci 
e  le  carezze;  ma  la  figliuola  in  un  momento  solo 
aveva  restituito  al  padre  con  un  accorgimento  su- 
blime tutto  l'amore  ricevuto  da  lui;  in  cambio 
della  vita  aveva  dato  la  felicità,  fors' anche  l'onore. 
Scambio  sublime  di  doni  che  si  traduce  in  lacrime 
più  dolci  del  sorriso ,  in  sorrisi  più  teneri  delle 
lagrime. 


Capitolo  VII. 

liB  ESTASI  DELL'AMOR  FIGLIALE. 

La  noatra  mamma.  —  Tre  statue  e  tre  donne.  —  L'ammi- 
Tazione.  —  Nostro  padre.  —  La  figlia  e  i  8U((i  sagrìfizii  su- 
blimi.  —  L'uomo  vecchio.  —  Culto  per  la  i^chiaia. 


Capitolo  VII. 


IiB  ESTASI  DELL'AMOR  FIGLIALE. 


La  nostra  mamma.  —  Tre  statue  e  tre  domie.  —  L'ammi- 
razione. —  Nostro  padre.  —  La  figlia  e  i  suoi  sagrifizii  su- 
blimi. —  L'uomo  vecchio.  —  Culto  per  la  vecchiaia. 


Negli  animali  il  figlio  ama  la  madre  e  il  padre 
finché  ne  riceve  alimento  e  protezione;  poi,  com- 
piuta la  missione  nutritiva,  ogni  legame  si  spezza 
e  la  famiglia  è  disciolta.  Nell'uomo  la  riconoscenza, 
la  forza  delle  consuetudini ,  V  analogia  dei  gusti, 
l'ambiente  comune  creano  una  nuova  energia,  l'a- 
mor figliale. 

Anche  nell'uomo,  però  senza  calunniarci,  dob- 
biamo confessare  che  questo  sentimento  è  di  lusso, 
mentre  l'afietto  materno  è  di  necessità  ;  e  un  abisso 
separa  queste  due  energie,  che  zampillano  da  due 
sorgenti  ben  diverse.  Anche  il  figlio  più  tenero  e 
più  affettuoso  non  ricambia  ai  genitori  suoi,  e  so- 
prattutto alla  madre,  l'uno  per  cento  di  quanto  ha 
ricevuto.  Le  leggi  inesorabili  della  natura,  i  pro- 
verbii  di  tutte  le  nazioni,  la  storia  di  tutti  i  tempi, 
l'osservazione  quotidiana  proclamano  questa  dura 
verità.  La  corrente  fatale  spinge    la  vita    sempre 


184  CAPITOLO  VII 


felPavanti,  e  i  poveri  molinelli  dell'acqua  che  rigira 
Bopra  sé  stessa  e  le  fiacche  controcorrenti  della 
Sponda  passano  inavvertiti  di  mezzo  al  fatale  an- 
dane del  fiume  che  scende;  che  scende  eternamente 
al  mare.  L'amore  materno  è  l'onda  del  fiume,  che 
(cammina  irresistibile  non  arrestata  da  sabbie,  da 
pietre,  da  foreste,  da  rupi.  L'amor  figliale  è  l'on- 
detta  piccina,  che  si  volge  all'indietro  un  istante 
per  baciar  l'onda  che  l'ha  generata. 

Se  agli  affetti  di  lusso  manca  lo  scheletro  ro- 
busto dei  sentimenti  necessarii,  essi  ci  presen- 
tano però  tutte  le  delicate  e  squisite  leggiadrie 
degli  ornati,  tutte  le  care  bellezze  della  cesella^ 
tura  e  delie  mezze  tinte.  Negli  uomini  poi  di  alta 
levatura  afftettiva,  essi  possono  presentare  ardori 
infiniti,  energie  sublimi.  Parecchi  figli  possono  a 
testa  alta  sperare  di  aver  amato  e  di  amare  il 
babbo  e  la  mamma,  quanto  umanamente  si  possa; 
e  tanto  è  vero  che  anche  l'amor  figliale  è  capace 
di  estasi  altissime.  Alte,  ma  rare;  perchè  l'amor 
di  madre  è  il  presente  che  genera  il  futuro,  l'a^ 
mbr  di  figlio  è  il  presente  che  guarda  indietro  il 
passato.  Il  figlio  prediletto  deUa  natura,  ohe  ai 
nostri  occhi  forse  miopi  appare  tanto  ingiusta,  è 
l'avvenire,  il  figlio  reietto  è  il  passato.  Il  presente 
è  il  figlio  di  strapazzo  ohe  fa  il  servizio  della  vita 
quotidiana. 


AMÒB  FI0LIAÌJS  186 


*  * 


La  manmia  è  l'anica  donna  per  cui  non  si  può 
essere  infedeli,  è  l'anica  religione  che  non  ha 
eretici  o  miscredenti ,  è  V  unica  creatara  che  si 
ama  sempre  per  tutta  la  vita  dello  stesso  amore. 
La  madre  non  può  aver  rivali,  non  si  può  discu- 
tere, non  si  può  abbassare  collo  sprezzo,  non  si 
può  vituperare  colla  calunnia.  Essa  è  intangibile, 
indivisibile;  una  e  sola  come  il  Dio  dei  monoteisti. 
Essa  è  come  il  mare;  si  sa  che  l'amor  suo  ha  dei 
confini,  ma  nessuno  li  può  abbracciare  collo  sguardo, 
uè  tanto  meno  percorrerli  :  si  sa  che  ha  un  fondo, 
ma  dove  arrivi ,  si  ignora  ancora.  Ha  procelle  e 
scogli,  collere  e  correnti;  ma  passata  la  procella, 
superato  lo  scoglio,  ci  sorride  sempre,  ci  richiama 
sempre  fra  le  sue  braccia  col  fascino  di  tutto  ciò 
ohe  è  grande,  che  è  etemo;  che  nessuno  ha  mai 
potuto  né  disseccare,  né  insudiciare. 

Se  il  mito  religioso  ha  fatto  del  Cristo  un  Dio 
Bceso  in  terra,  e  perchè  la  madre  non  sarà  la 
Provvidenza  venuta  tra  noi  in  forma  di  donna? 

Noi  siamo  un  membro  vivo  di  lei,  e  quando  essa 
è  morta,  un  membro  superstite  del   cadavere  di 


186  CAPITOLO  VH 


lei.  Per  nove  mesi  abbiam  vissuto  nel  più  profondo 
delle  sue  viscere,  ci  siamo  nutriti  dello  stesso  san- 
gue, abbiamo  con  lei  trepidato ,  con  lei  attraver- 
sato i  pericoli  del  giorno  e  dormito  insieme  le  ore 
della  notte.  La  mamma  è  la  creatura  che  ci  ha 
baciati  per  la  prima,  quando  abbiamo  per  la  prima 
volta  aperti  gli  occhi  alla  luce  :  le  nostre  labbra 
hanno  restituito  a  lei  il  primo  bacio.  Le  prime 
mani  che  ci  hanno  accarezzato  sono  le  sue;  il 
primo  alimento  che  ci  ha  fatto  vivere  la  seconda 
vita,  fu  distillato  dalle  vene  di  lei,  ci  fu  dato  in 
quella  coppa  divina,  che  è  il  àSeno  della  donna. 

Le  prime  nostre  lagrime  sono  state  disseccate 
e  bevute  dalla  bocca  di  lei,  e  il  primo  nostro  sor- 
riso ha  risposto  a  un  suo  sorriso.  I  primi  passi 
passeggiati  sulla  terra  fiiron  mossi  da  noi  sotto 
l'egida  delle  sue  braccia  e  la  x)rima  caduta  fu  nel 
grembo  di  lei.  La  prima  parola  parlata  fu  detta 
per  lei  e  le  nostre  labbra  anche  non  insegnate 
pronunziarono  il  nome  di  lei.  Il  primo  pensiero 
pensato  dal  nostro  cervello  nascente  fu  a  lei  ri- 
volto e  fu  un  grazie.  Tutte  le  verginità  della  vita, 
del  sentimento  e  del  pensiero  furono  colte  dalle 
sue  labbra ,  che  ci  divoravano  coi  baci ,  che  ci 
iuebbriavano  del  suo  fiato  caldo  e  profumato.  Tutti 
i  i>rincii)ii  delle  cose  sono  per  noi  incominciati  per 
lei  e  con  lei,  e  la  prima  memoria  si  rannoda  a  lei, 


LA  BfAMMA  187 


alla  culla  vegliata  da  lei  o  alle  prime  passeggiate 
fatte  con  lei.  Il  nostro  Io  nacque  colla  mamma,  la 
prima  gioia  della  vita  fu  goduta  con  lei,  la  prima 
lagrima  pianta  con  lei.  Prima  di  vedere  coi  nostri 
occhi,  prima  di  udire  colle  nostre  orecchie,  prima 
di  toccare  colle  nostre  mani,  noi  abbiamo  veduto 
cogli  occhi  della  mamma,  udito  colle  orecchie  di 
lei,  toccato  colle  mani  di  lei  ;  con  quelle  mani  così 
dólci,  così  soavi,  così  carezzevoli.  Gli  uragani  della 
pioggia  e  le  onde  del  mare  laveranno  cento  e  mille 
volte  la  nostra  pelle,  ma  Timpronta  delle  carezze 
materne  non  si  cancellerà  mai ,  né  le  labbra  di 
cento  donne  innamorate  toglieranno  alle  nostre 
quei  baci  senza  gelosia  che  essa  ci  ha  dato  per 
la  prima  e  per  tanti  anni  ci  ha  ridati,  senza  che 
si  intiepidissero  mai,  senza  che  mai  si  stancassero. 
Essa  fu  la  prima ,  essa  rimarrà  sempre  la  nostra 
ultima  amante. 

Un  amore  cancella  un  altro  amore,  e  ahimè,  di 
molti  amori  lontani  noi  non  troviamo  pii\  neppur 
le  ceneri  nel  fondo  del  nostro  cuore.  Dei  baci  della 
mamma ,  delle  carezze  della  mamma ,  nessuno  si 
perde  o  si  cancella.  Si  sovrappongono  e  restano, 
formando  intorno  a  noi  quasi  un  usbergo  che  ci 
difende  dal  male.  Essi  ci  fanno  mia  corazza  impe- 
netrabile alle  punture  dei  cattivi ,  ai  veleni  dei 
vili;  ci  riscaldano  quando  abbiam  freddo,  ci  rin- 


188  CAPITOLO  vn 


frescano  quando  abbiam  sete.  E  quando  la  mamma 
non  può  più  baciarci  perchè  essa  è  sotterra,  noi 
visitando  la  tomba  di  lei  vediamo  la  sua  immagine, 
ohe  ci  aleggia  d'intorno  e  vuol  baciarci  ancora  e 
nei  sogni  sogniamo  quei  baci  cosi  teneri,  così  pro- 
fondi, così  appassionati;  che  nessun  figlio  e  nes- 
suna donna  potrà  ridarci  mai,  mai  più  su  questa 
terra.  Beati  quelli  che  possono  sperare  di  riaverli 
nel  cielo.  A  noi  basta  ricordarli,  rivederli,  rias- 
saporarli per  tutti  quegli  anni  che  saranno  vedovi 
delle  carezze  di  lei. 


Fra  i  molti  figli  gloriosi  che  hanno  a  nascere 
nei  campi  dell'avvenire,  io  vedo  chiare  e  fulgenti 
come  se  le  avessi  dinanzi  agli  occhi,  nella  casa  dei 
nostri  lontani  nipoti  tre  statue  divine  scolpite  da 
un  Fidia  non  nato  ancora.  Esse  rappresentano  i 
tre  grandi  Dei  penati  di  ogni  famiglia  umana: 
l'amore,  l'amor  materno  e  l'amor  figliale. 

Tre  statue  e  tre  donne,  perchè  la  donna  nei 
campi  d^amore  è  sempre  la  prima;  e  nessun  pessi- 
mista ,  nessun  bestemmiatore  del  vero  potrà  mai 
strapparle  dal  capo  la  corona  di  questo  primato. 


TBE  0BANDI  AMORI  1B9 


Tre  statue  e  tre  donne,  tre  statue  e  tre  grandi 
amori ,  dei  quali  nessuno  primo ,  nessuno  ultimo, 
tutti  irradiati  di  una  divina  bellezza,  ma  di  una 
bellezza  molto  diversa.  IN'ell' amore  d'uomo  e  di 
donna  il  fuoco  ;  nell'  amore  materno  la  luce  del 
sole;  nell'amore  di  figlio  quell'altra  luce  che  dicesi 
santità. 

Nel  primo  di  questi  amori  il  desiderio  ardente 
di  due  vite  palpitanti*  che  voglion  divenire  una 
vita  sola;  l'accorrere  tumultuoso,  irresistibile  di 
due  acque  che  corrono  a  riposare  nel  letto  d' un 

fiume  solo. 

Nell'amore  materno  la  tenerezza  inesausta,  l'in- 
saziabile bisogno  di  dare,  la  provvidenza;  il  sole, 
il  calore,  la  luce,  il  sangue,  il  latte,  il  miele  d'ogni 
alveare ,  il  nettare  d' ogni  flore ,  il  tepore  d' ogni 
nido;  divenuti  una  cosa  sola,  la  donna  madre, 

Nell'amore  di  Aglio  la  venerazione,  l'adorazione, 
l'amore  della  madre  ripercosso  dallo  specchio  di 
un'infinita  riconoscenza. 

Nell'amore  le  labbra,  i  cuori,  i  desiderii  fusi  in- 
sieme in  un  solo  crogiuolo:  nell'amore  materno  le 
mani  sempre  aperte  per  dare,  le  labbra  sempre 
aperte  per  benedire  :  nell'amore  di  figlio  le  ginoc- 
chia piegate  riverenti  dinanzi  a  quei  due  santi  che 
si  chiamano  la  mamma  e  il  babbo. 
Tre  statue  e  tre  donne;  tre  donne  e  tre  divinità 


190  CAPITOLO  VII 


di  una  religione  delP avvenire,  meno  mistica  e  più 
umana;  di  un  culto  che  si  inchinerà  ai  grandi 
ideali  del  sentimento  e  del  pensiero. 


* 
♦  * 


Vi  è  forse  su  questa  terra  un  uomo  solo  che 
abbia  amato  abbastanza  sua  madre? 

Io  credo  che  non  vi  sia  e  appunto  per  questo 
infinito  e  insaziabile  desiderio  di  toccare  una 
cima  che  nessun  piede  umano  ha  mai  calcato,  può 
nascere  Testasi  dell'ammirazione  e  dell'affetto. 

Quanto  è  bella,  quanto  è  cara,  quanto  è  buona 
per  noi  la  nostra  mamma!  Trascinati  per  le  vie 
di  traverso  della  vita,  inebbriati  di  tanti  liquori, 
chiamati  qua  e  là  da  tante  voci  affascinanti;  ir- 
requieti, tumultuosi,  impazienti  abbiamo  anche 
noi  danzato  davanti  agli  idoli,  anche  noi  abbiamo 
lasciato  penetrare  i  più  celati  ripostigli  del  cuore 
dall'onda  turbolenta  e  poco  chiara  delle  passioni  ; 
fors'anche  del  vizio.  Non  fosse  che  per  prurito  di 
curiosità  o  per  fascino  d'ambizione  abbiamo  una 
macchia  in  ogni  lembo  di  pelle,  una  cicatrice  in 
ogni  membro,  in  ogni  nervo.  Ma  vi  ha  un  san- 
tuario dai  sette  suggelli,  dove  né  fango,  né  acqua 


ESTASI  DELL'AMOR  FIGLIALE  191 


torbida,  né  miasmi  di  palude  hanno  mai  penetrato. 
Abbiamo  riso  di  tatto  e  di  tutti,  abbiamo  gual- 
cito colle  nostre  mani  irrequiete  i  petali  dei  gigli 
e  le  vesti  candidissime  delle  vestali;  abbiamo  can- 
zonato gli  Bei  e  fors'  anche  sottoposto  all'analisi 
qualitativa  e  quantitativa  tutti  i  sentimenti;  ab- 
biamo pesato  l'entusiasmo  e  sfregato  sulla  pietra 
di  paragone  del  dubbio  i  più  nobili  metalli  e  la 
polvere  d'oro  delle  farfalle;  abbiamo  fatto  il  pro- 
cesso verbale  dell'idealità  portata  dinanzi  ai  tri- 
bunali della  scienza....;  ma  vi  ha  qualcuno  che  non 
abbiamo  toccato,  che  non  abbiamo  profanato  mai, 
di  cui  non  abbiamo  riso  mai.... 

Questo  qualcuno  è  la  nostra  mamma,  questo 
qualcuno  è  una  creatura,  che  credenti  abbiamo 
collocata  in  cielo  fra  gli  angeli  e  i  cherubini;  che 
miscredenti  abbiamo  portato  in  un  paradiso  più 
alto,  dove  ogni  uomo  si  fabbrica  il  proprio  cielo, 
dove  né  fiato  d'uomo,  nò  fiato  di  palude  giungono 
mai.  E  l'abbiamo  collocata  sopra  un  trono  di  dia- 
manti fra  i  fulgori  di  una  luce  che  non  tramonta  mai, 
dove  non  arrivano  il  dubbio,  la  discussione  e  tutte 
le  amarezze  dell'anima.  —  É  la  mamma  e  basta;  è 
indiscutibile  come  Dio  ;  come  lui  intangibile,  infi- 
nita, eterna. 


192  CAPITOLO  VII 


Quando  l'affetto  figliale  si  associa  a  una  grande 
ammirazione  per  le  virtù,  per  le  bellezze  fisiche 
o  morali  della  donna  ohe  ci  ha  messo  al  mondo, 
l'estasi  può  essere  frequente  e  inebbriarci  delle 
più  squisite  delizie  del  cuore.  Se  aggiungete  poi 
la  sventura,  che  può  averci  isolati  dal  mondo,  che 
può  aver  concentrato  ogni  pensiero,  ogni  affetto 
nell'unico  amore  per  nostra  madre,  allora  potete 
trovarvi  dinanzi  agli  occhi  la  maggior  altezza  a 
cui  possa  giungere  un  sentimento,  per  quanto  sia 
di  lusso  e  di  second'  ordine. 

Alcuni  figli  amarono  e  amano  tanto  la  mamma, 
da  fondere  in  lei  sola  ogni  altro  amore,  da  sop- 
portare una  vita  maledetta  solo  per  amore  di  lei. 
E  più  d'una  volta,  morta  lei,  rotto  ogni  molla  al 
pensiero,  perduta  ogni  pazienza  di  vivere;  il  figlio 
raggiunge  presto  sotterra  la  creatura  con  cui  si 
era  saldato  a  fuoco. 


BSTASI  DELL' AHOB  FIGLIALE  193 


Improba  e  mutile  fatica  sarebbe  ripetere  per 
ogni  sentimento  tutte  le  forme1|di  estasi,  delle 
quali  è  capace.  Non  pretendo  ad  altro  che  ad  as- 
segnare il  posto  ad  ogni  rapimento  e  tracciarne 
i  caratteri  più  salienti,  per  modo  che  possa  di- 
stinguersi dagli  altri  consimili.  Anche  il  natura- 
lista, descrivendo  una  pianta  o  un  animale,  non  ci 
dà  tutti  quanti  i  caratteri  suoi,  ma  ne  segna  solo 
i  più  importanti,  quelli  che  servono  a  fargli  dare 
U  suo  legìttimo  battesimo. 

Tutte  le  estasi  si  rassomigliano,  perchè  son  tutti 
fenomeni  fratelli,  perchè  hanno  tutti  in  comune 
alcuni  caratteri  di  prim' ordine.  Poi  ogni  senti- 
mento, ogni  pensiero,  dà  la  propria  impronta  al- 
l' estasi. 

Tutti  i  fiumi  scendono  al  mare,''ma  chi  ci  va 
direttamente  e  chi  più  modesto  si  fa  portare  sulle 
spalle  d'un  fratello  più  robusto  ;  chi  corre  serpen- 
tino e  chi  diritto,  chi  va  lento  e  chi  fulmineo,  chi 
ha  le  acque  salse  e  chi  le  ha  dolcissime ,  chi  tor- 
bide e  chi  trasparenti.  E  così  è  dell'estasi:  ogni 
afifetto  può  dare  rapimenti  di  desiderio,  di  ammi- 
EgtoH  umane»  13 


194  CAPITOLO  VII 


razione,  di  sagrifizio;  ma  in  ogni  sentimento,  de- 
siderio, ammirazione,  sagrifizio  si  intrecciano  di- 
versamente, diversamente  si  atteggiano  e  si  colo- 
riscono secondo  la  loro  diversa  natura  e  il  diverso 
temperamento  dell'individuo. 


Koi  possiamo  amare  nostro  padre,  quanto  amia- 
mo la  mamma,  ma  anche  ammessi  i  due  senti- 
menti eguali  per  la  forza,  son  diversi  per  la  na- 
tura diversa.  Anche  i  sentimenti  hanno  un  sesso 
e  non  solo  i  corpi.  JJ  amore  per  il  padre  è  meno 
tenero  e  può  essere  più  riverente;  come  in  molti 
altri  casi,  quando  il  sesso  impone  la  sua  tirannia, 
abbiamo  più  pensiero  e  meno  viscere.  ^È  anche 
per  questo  che  l'affetto  figliale  per  il  padre  ci 
presenta  pii\  raramente  lo  stato  di  rapimento. 

La  figlia  più  spesso  del  figlio  può  adorare  il 
padre  e  giungere  a  sagrificargli  perfino  l'amore 
e  quindi  anche  la  maternità.  La  storia  conserva 
nei  suoi  scrigni  d'oro  martini  ineffabili  di  figlie, 
che  colla  devozione  di  tutta  la  vita,  coi  sagrìfici 
più  generosi  e  più  celati  si  guadagnarono  il  di- 
ritto di  salire  all'estasi  dell'amor  figliale.  E  ognuno 


ESTASI  DELL'AMOR  FlftLIALE  195 


di  noi  può  qualche  volta  aver  deliziato  i  propri 
occhi  colla  contemplazione  di  quel  quadro  sublime, 
dove  la  debolezza  divien  forte  per  soccorrere,  dove 
la  creatura  difende  il  padre  e  la  giovinezza  soc- 
corre alla  vecchiaia  e  la  grazia  inghirlanda  di 
edere  sempre  verdi  e  di  fiori  sempre  olezzanti  una 
vecchia  colonna  di  granito  o  di  marmo,  spezzata 
dal  fulmine  o  corrosa  dai  morsi  del  tempo.  Il  pa- 
dre può  essere  per  la  figliuola  il  primo  Dio  sulla 
terra  e  l'affetto  per  lui  può  salire  a  tanta  santità 
e  irradiar  tanta  luce  da  trasformarsi  in  una  vera 
e  propria  religione. 

Gli  ospedali,  le  carceri,  tutti  gli  umani  tuguri 
dove  si  piange  e  dove  si  ha  fame,  occultano  agli 
occhi  dei  profani  e  dei  felici  scene  di  stupenda 
grandezza;  dove  l'abbrutimento,  la  deformità  fisica 
o  morale,  dove  piaghe  e  miserie  non  allontanano 
il  cuore  delle  figlie,  ma  le  attraggono  irresistibil- 
mente col  fascino  della  devozione  e  del  sagrifizio; 
e  dove  ogni  lagrima  trova  una  mano  soave  che 
l'asciughi,  dove  una  giovinezza  piena  di  vita  si 
inchina  reverente  al  letto  del  dolore,  dove  si  riesce 
a  soffocare  il  grido  della  gioia,  perchè  non  sembri 
insulto  alla  disperazione;  dove  la  donna  si  strappa 
dal  seno  tutti  i  fiori  dell'  amore ,  e  del  desiderio, 
perchè  potrebbe  il  loro  profumo  offendere  nervi 
malati  o  stracchi  del  tanto  patire.  La  donna  è 


196  CAPITOLO  vn 


sempre  e  dovunque  l'angelo  custode  che  accorre 
al  letto  dei  malati,  che  sostiene  il  passo  dei  va- 
cillantiy  che  mette  in  faga  tutti  gli  spettri  del 
male. 


*  * 


L'afletto  figliale,  sia  poi  rivolto  alla  madre  o  al 
padre,  si  affina,  si  fa  più  intenso  e  piglia  nuove 
forme  peregrine,  quando  la  grave  età  rende  agli 
occhi  nostri  più  venerandi  i  nostri  genitori. 

Il  vecchio,  anche  quando  non  è  del  nostro  sangue, 
ispira  in  noi  un  sentimento  di  riverenza,  di  ri- 
spetto, fors'anche  di  compassione.  Gli  estremi  della 
vita,  sieno  poi  il  principio  o  la  fine,  fermano  ir- 
resistibilmente il  nostro  occhio,  affascinano  i  cuori, 
commuovono  l'anima.  Il  bambino  ci  ispira  tene- 
rezza, il  vecchio  riverenza;  il  bambino  ci  fa  sor- 
ridere, il  vecchio  ci  piega  il  capo.  Dinanzi  a  certi 
vecchi  la  mano  corre  involontaria  al  saluto,  come 
dinanzi  ai  bambini  la  mano  corre  alla  carezza. 

Il  vecchio  è  un  monumento  umano  ed  è  un 
uomo  ancor  vivo  e  la  canizie  rispettabile  mette 
un'aureola  sul  capo  come  le  nevi  eterne  la  metton 
sui  monti.  La  testa  del  vecchio  è  come  la  cima 


ESTASI  DELL' AHOB  FiaLIALE  197 

dell'Alpe;  alta  e  serena^  8i  contempla  con  ammi- 
razione, e  ai  desidera  di  salir  lassù,  dove  il  tempo  ! 
e  lo  spazio  hanno  saputo  trionfare. 

Quanta  pazienza  e  quanti  dolori,  quante  batta- 
glie e  quanti  disinganni  per  conquistare  quell'al- 
tezza !  La  neve  e  la  canizie  son  due  cose  che  si 
rassomigliano;  candide  entrambi,  entrambi  collo- 
cate sulla  soglia  dell'eternità.  Il  tempo,  che  è  il 
sogno  e  il  tormento,  il  padre  e  il  carnefice  d'ogni 
creatura  viva,  sembra  trionfare  su  quelle  vette  di 
nomo  e  di  monte. 

Sull'una  e  sull'altra  il  calore  si  posa  appena, 
ma  trionfa  la  luce,  quella  che  attraversa  e  illu- 
mina tutte  le  cose  create.  Pochi  fiori  fioriscono  a 
quell'altezza,  ma  hanno  i  più  vivi  colori  e  così 
come  dall'alto  del  monte  si  anmiirano  i  più  vasti 
orizzonti,  si  godono  gli  spettacoli  più  sublimi  del- 
l'alba e  del  tramonto,  così  sulle  cime  nevose  della 
vecchiaia  si  contemplano  le  cose  umane  coli'  alta 
serenità  della  lunga  esperienza,  della  pazienza, 
del  perdono.  Lassù  non  giunge  alcun  miasma, 
nessun  ruggito  di  belve;  lassù  non  s'intreccia  al- 
cmi  nido  :  lassù  tutto  tace  e  si  riposa  nel  silenzio 
di  chi  ha  già  molto  parlato. 

Dopo  quelle  cime  lo  spazio  infinito,  senza  forma  e 
senza  colore,  che  inghiotte  e  divora  le  creature,  las- 
sù la  materia  che  divien  aria  e  luce;  spazio  e  etere. 


198  CAPITOLO  VII 


Dei  mille  combattenti  nelle  battaglie  della  vita, 
quanti  son  saliti  lassù?  Uno  in  mille,  ano  in  dieci- 
mila. Tatti  gli  altri  son  morti  nel  piano,  nel  colle; 
Inngo  i  sentieri  e  i  dirapi  del  monte  e  della  vita. 
I  pazienti  e  i  forti  soltanto  hanno  conquistata  la 
neve  del  ghiacciaio,  la  neve  della  canizie.  La  vec- 
chiaia è  una  vittoria  dei  fortunati  e  dei  forti  e 
noi  ci  inchiniamo  riverenti  alla  forza,  invidiosi 
alla  fortuna.  E  noi  nelle  nostre  battaglie  vince- 
remo o  semineremo  le  nostre  membra  immature 
per  l'erta  del  monte? 

Nel  bambino  tutto  il  fascino  dell'  ignoto ,  nel 
vecchio  tutte  le  grandezze  del  passato;  nel  bam- 
bino tutte  le  seduzioni  dell'  avvenire,  nel  vecchio 
tutte  le  soavità  dei  ricordi.  Quanta  storia  si  con- 
densa nel  capo  di  un  vecchio,  fosse  pure  il  più 
oscuro  mortale!  É  una  storia  che  si  legge  senza 
bisogno  di  sfogliar  cento  pagine,  che  si  legge  d'uno 
sguardo  nelle  rughe  profonde,  nelle  cento  cicatrici 
di  cento  battaglie  ;  nella  commovente  debolezza  di 
chi  ha  consumato  vivendo  tutte  le  forze. 

Spesso  debolezza  di  corpo  e  maestà  dell'anima; 
mani  tremolanti  ma  sguardo  di  aquila;  infermità 
di  membra  e  onnipotenza  di  pensiero.  Qual  su- 
blime contrasto  I  —  Colle  nostre  mani  sorreggiamo 
quel  vecchio  e  col  nostro  labbro  lo  consultiamo 
sui  più  difficili  problemi  della  vita.  Malato  Ghetti 


ESTASI  dell'amor  PIGLIALE  199 


cura  e  oracolo  che  si  consalta;  infermo  che  si  so- 
stiene e  luce  che  ci  illumina;  letto  di  dolore  e 
altare  dì  sapienza.  Ci  sentiamo  piccini  e  grandi, 
deboli  e  forti  dinanzi  a  quel  monumento,  che  ci 
risveglia  tanti  pensieri,  che  si  abbraccia  con  tanta 
venerazione. 

Quell'abisso  che  è  al  di  là  della  vita,  a  cui  ci 
siamo  affacciati  paurosi  le  tante  volte,  è  ai  piedi 
di  quel  vecchio.  Egli  forse  lo  vede;  vede  quelle 
tenebre  entro  cui  sprofonderà  forse  domani,  egli 
forse  conosce  già  quell'altro  mondo  invisibile,  che 
temiamo  o  neghiamo,  ma  a  cui  sempre  pensiamo. 
Noi  ne  siamo  ancora  lontani ,  ma  egli  lassù  dal- 
l'alto lo  scorge,  e  perchè  non  lo  svela  anche  a  noif 

E  quante  domande  si  affollano  alle  nostre  labbra 
dinanzi  al  vecchio!  Avremo  noi  il  tempo  di  diri- 
gerle tutte,  di  avere  a  tutte  una  risposta?  E  chi 
lo  sa?  Forse  domani  egli  ci  avrà  dato  l'ultimo  sa- 
luto. L'impazienza  di  sapere  ci  vorrebbe  far  im- 
portuni, ma  la  riverenza  ci  fa  muti;  e  i  giorni 
passano  intanto ,  inesorabili,  fatali,  e  ogni  giorno 
il  nostro  vecchio  adorato  si  avvicina  all'abisso  che 
lo  ha  ad  ingoiare  per  sempre. 

Quanta  trepidazione,  quanto  rispetto  circondano 
quella  vetta  umana!  Non  è  invano  che  in  tutti  i 
tempi  e  presso  tutti  i  popoli  civili  fu  lanciato  l'a- 
uatema  contro  coloro  che  insultano   1'  uomo   veo- 


200  CAPITOLO  VII 


chio  ;  non  è  invano  che  il  rispetto  per  la  vecchiaia 
fa  virtù  di  tutti  i  popoli  forti  ;  non  è  per  nulla 
che  molte  genti  s'inchinarono  ai  vecchi  come  ai 
rappresentanti  della  scienza  e  dell'esperienza;  non 
è  per  nulla  che  1'  apparire  subitaneo  di  un  capo 
venerando  in  mezzo  alla  turba  scompigliata  e  con- 
vulsa di  una  folla  ebbra  di  sangue  o  di  collera, 
bastò  a  sedare  ogni  procella.  Non  è  invano  che  il 
mito  cristiano  rappresenta  il  Creatore  in  forma 
d'un  vecchio! 


Immaginatevi  ora  quali  sentimenti  debba  ispi- 
rare a  noi  un  vecchio,  quando  questo  vecchio  è 
nostro  padre,  quando  è  nostra  madre;  quando  in- 
sieme alla  riverenza  noi  sentiamo  la  tenerezza, 
quando  noi  vorremmo  dare  a  lui  o  a  lei  molti  dei 
nostri  giorni  per  prolungare  quelle  preziose  esi- 
stenze; quando  ad  ogni  alba  che  sorge  noi  ci  do- 
mandiamo se  quel  giorno  non  sarà  l'ultimo  per  il 
nostro  vecchio  adorato;  quando  ad  ogni  ora  del 
giorno  noi  facciamo  un  profondo  esame  di  co- 
scienza e  interroghiamo  il  passato  e  il  presente, 
per  sapere  se,  chiusa  quella  tomba  sul  capo  di  lui 


ESTASI  DELL'AMOR  FIGLIALE  201 


o  di  lei,  noi  non  avremo  il  più  picoolo  rimorso,  il 
pentimento  di  non  averli  amati  abbastanza! 

Di  certo  ohe  in  qnelle  sublimi  trepidazioni  d'a- 
more, di  venerazione,  di  sacri  timori,  noi  possiamo 
più  d'una  volta  cadere  in  estasi,  come  i  devoti 
cadono  nel  santo  silenzio  della  chiesa. 


Capitolo  Vili. 


liE  ESTASI  DELL'AMORE  PLATONICO. 


li^esistenza  e  la  negazione  di  qnesto  amore.  —  Le  trenta  defi- 
nizioni dell^amore  platonico  e  la  definizione  dell'autore.  —  Ana- 
lisi psicologica  di  questa  forma  dell'amore.  —  I  grandi  amori. 
—  Gli  uragani  dell'amore.  —  Pudore  ascetico.  —  Le  visioni 
dell'amore  platonico.  —  Forme  comuni  ad  altre  estasi. 


In  tatte  le  lìngue  dei  popoli  civili  voi  trovate 
scritto  che  vi  è  un  amore  platonico,  e  se  si  è  sen- 
tito da  tutti  il  bisogno  del  vocabolo,  vorrebbe  dire 
che  la  cosa  esiste,  o  nella  natura  o  nel  pensiero 
degli  uomini.  Noi  non  ci  fermiamo  abbastanza  so- 
pra i  rapporti  delle  parole  colle  cose,  e  ammettiamo 
si>esso  e  volentieri  che  tra  i  molti  suoi  capricci 
l'uomo  abbia  anche  codesto,  di  fabbricare  parole 
per  cose  che  non  esistono.  Eppure  ciò  non  è  vero 
o  almeno  non  è  vero  che  in  parte.  Se  fabbrichiamo 
una  parola  per  un  essere  immaginario,  è  però  vero 
che  questo  essere  fu  immaginato  da  noi  e  quindi 
esìste  o  è  esistito  nel  nostro  cervello. 

Il  guaio  vero  che  si  trova  nello  studio  delle  pa- 
role come  vestito  delle  cose  è  questo,  che  non  tutti 
gli  uomini  applicano  lo  stesso  vocabolo  alla  cosa 
stessa,  soprattutto  quando  si  tratta  dì  fenomeni 


206  CAPITOLO  vni 


psicologici.  Di  qui  confasione,  anarchia;  torrenti 
d'inchiostro  e  spreco  infinito  di  fiato  per  spiegarci, 
per  intenderci  e  pur  troppo ,  ahimè ,  per  creare 
nuove  contese  e  nuove  logomachie. 

Sappiamo  tutti  che  cosa  sia  un  coltello,  una 
mano ,  un  occhio  e  a  queste  cose  tutti  applicano 
la  stessa  parola.  Andiamo  pure  quasi  sempre  d'ac- 
cordo nel  battezzare  il  piacere,  il  dolore,  l'odio,  la 
collera  e  molti  altri  fatti  del  mondo  psichico,  che 
hanno  per  tutte  le  coscienze  lo  stesso  significato  e 
che  trovano  nel  dizionario  la  loro  rispettiva  veste. 

Ma  ben  altro  avviene,  quando  si  tratta  di  feno- 
meni fugaci  e  confasi  o  di  momenti  impercettibili 
di  un'emozione  o  di  un  intreccio  di  molteplici  ele- 
menti. Allora  la  parola  non  è  che  un'approssima- 
zione grossolana  o  uno  sbaglio  completo,  e  noi 
significhiamo  con  uno  stesso  vocabolo  le  cose  più 
diverse,  facendo  come  colui  che  volesse  per  forza 
far  entrare  il  proprio  corpo  in  un  vestito  che  non 
fu  fatto  per  lui. 

Questo  accade,  per  esempio,  per  l' aiwìre  piato- 
meo.  Tutti  adoperano  questa  parola  per  ischerzo 
o  sul  serio,  per  ludibrio  o  per  difesa,  per  ipocrisia 
o  per  convinzione,  ma  le  idee  che  si  rivestono  con 
questa  stessa  parola  son  così  diverse ,  come  il  sì 
e  il  no,  come  il  vizio  e  la  virtù,  come  l'ipocrisia 
e  l'idealità. 


L*AMOB  PLATONICO  207 


Proviamoci  a  interrogare,  facciamo  un'inchiesta, 
muoviamo  un  processo  alla  parola,  chiamando  al 
tribunale  come  giurati  gli  uomini  del  volgo  e  i 
filosofi;  gli  uomini  di  buon  senso  e  le  donne  one- 
ste; chiamiamo  pure  anche  gli  scettici  e  i  credenti; 
i  materialisti  e  gli  idealisti. 

Che  cosa  è  l'amore  platonico? 

L'amore  platonico  è  un  paradosso,  è  un'utopia; 
non  è  mai  esistita  e  non  esisterà  mai. 

L'amore  platonico  è  una  ipocrisia  che  copre  ben 
altra  merce. 

L'amore  platonico  è  un  lasciapassare  per  salvare 
il  contrabbando. 

L'amore  platonico  è  una  falsa  chiave  o  un  gri- 
maldello per  poter  penetrare  in  casa  d'  altri  sen- 
z'esser veduti. 

L' amore  platonico  è  un  travestimento  dell'  im- 
potenza. 

L' amore  platonico  è  una  maschera  ad  uso  dei 
ladri  e  dei  malfattori*    . 

L'  amore  platonico  è  la  quadratura  del  circolo. 

L'amore  platonico  è  la  centesima  versione  della 


206  CAPITOLO  vni 


favola  della  volpe,  che  trovava  acerba  l' ava  che 
non  poteva  arrivare. 

L' amore  platonico  è  l' amicizia  fra  un  nomo  e 
nna  donna. 

L'amore  platonico  è  amore  vero  e  proprio,  ma 
senza  la  colpa. 

L' amore  platonico  è  V  amore  con  tutte  le  reti- 
cenze imposte  dalla  religione,  dalla  morale  o  dalla 
necessità. 

L'amore  platonico  è  il  voglio  e  non  posso. 

L'amore  platonico  è  l'amore  senza  il  desiderio. 

L'amore  platonico  è  una  fraternità  delle  anime, 
senza  il  possesso  dei  corpi. 

L'amore  platonico  è  l' ammirazione  senza  il  de- 
siderio. 

L'amore  platonico  è  tutto  l'amore,  meno  il  pos- 
sesso. 

L'amore  platonico  è  tutto  l'amore  spogliato  del- 
l'animalità. 

L'amore  platonico  è  una  doppia  menzogna  a  cui 
non  crede  nessuno  dei  due  mentitori. 

L'amore  platonico  è  il  primo  stadio  dei  grandi 
amori  e  l'ultima  fase  dei  piccoli  amori. 

L'amore  platonico  è  un  patto  giurato  da  due 
che  spergiureranno  domani. 

L'amore  platonico  ò  un  giuramento  di  marinaro 
fatto  durante  la  procella. 


■»'^  .. 


L'AMOB  PLATONICO  209 


L'amore  platonico  è  una  concessione  fatta  oggi 
da  ano  dei  due  contendenti  colla  speranza  o  la 
sicnrezza  di  aver  Taltra  parte  domani  o  posdomani. 

L'amore  platonico  può  essere  una  finta  battaglia 
fra  due  che  non  sanno  battersi  o  hanno  paura 
del  sangue. 

L'amore  platonico  è  un  vescovato  in  partibus 
infidelium  concesso  a  chi  non  si  può  dare  una 
curia. 

L'amore  platonico  è  la  metafisica  dell'amore. 

L'amore  platonico  è  la  più  sciocca  parodia  della 
più  bella,  della  più  grande,  della  più  ardente  delie 
umane  passioni. 

L'amore  platonico  è  un  leone  di  gesso,  è  una 
tigre  di  carta  pesta,  spauracchi  da  bambini  o  nin- 
noli di  fanciulli. 

L'amore  platonico  è  la  più  alta  espressione  del- 
l'amore ideale. 

L'amore  platonico  è  il  trionfo  dell'uomo  sulla 
bestia,  è  l'amore  reso  eterno  dall'idealità  delle 
aspirazioni. 

L'amore  platonico  è  la  speranza;  l'amore  vero 
è  la  fede. 


Estasi  umane,  14 


210  CAPITOLO  Vili 


♦ 


Sono  trenta  definizioni  molto  diverse  tra  di  loro, 
alcune  anzi  opposte  alle  altre,  ma  rappresentano 
a  un  dipresso  tutte  le  possibili.  Lasciando  da 
parte  quelle  che,  definendo  la  cosa,  la  negano, 
mettendo  in  disparte  le  altre  che  sono  ironie  o 
malignità,  possiam  dire,  che  tutte  hanno  una 
parte  di  vero,  per  cui  forse,  mettendole  insieme 
in  un  buon  mortaio  di  agata,  che  la  nobiltà  della 
materia  esige  tanta  nobiltà  di  strumento,  e  porfi- 
rizzando il  tutto  con  pazienza  di  chimico  e  sen- 
sualità di  farmacista,  potremmo  forse  sperare  di 
avere  la  quintessenza  della  definizione,  la  vera  e 
unica  e  infallibile  definizione  dell'amor  platonico. 

Io  mi  son  provato  in  buona  fede  a  questa  ope- 
razione chimico-farmaceutica  e  confesso  dì  averne 
ottenuto  un  polifarmaco  arabico-bizantino  che  mi 
richiamava  alla  mente  i  preparati  più  bizzarri 
del  medio  evo.  Ho  buttato  via  dunque  il  mio  pa- 
sticcio, e  facendo  appello  al  senso  comune,  che 
anche  nei  più  astrusi  problemi  della  psicologia 
spesso  li  risolve  meglio  d'ogni  altro  senso,  ebbi 
questa  risposta: 


L*AMOE  PLATONICO  211 

Vamore  platonico  è  il  aentimmto  che  unisce  un 
uomo  e  una  donna,  che  pur  desiderandosi,  rinunziano 
volontariamente  all'intreccio  del  corpi,  maritando  le 
anime. 

Fin  dove  arrivi  quest'amore,  fino  a  quando  possa 
vivere,  io  non  so.  Ho  scritto  un  libro  (Le  Tre 
Oraaie)  per  dimostrare  la  possibilità  di  quest'amore, 
ma  una  gentile  e  dotta  scrittrice  inglese  scrisse 
argutamente  neWAcademy  che  io  avevo  tagliato 
il  nodo  gordiano,  ma  non  l'aveva  sciolto.  Consultai 
molti  inglesi,  intenditori  profondi  delle  ipocrisie 
dell'amore,  chiedendo  loro  che  cosa  fosse  la  flir- 
taUon,  quali  i  confini  entro  i  quali  si  muovesse 
questa  intraducibilissima  fra  le  intraducibili  pa- 
role e  ne  ebbi  così  svariate  risposte,  le  une  me- 
tafisiche, le  altre  ciniche,  da  scoraggiarmi  e  da 
fJEurmi  desistere  da  ogni  ulteriore  ricerca  in  pro- 
posito. 

Dunque  ? 

Dunque  io ,  aspettando  da  altri  più  profondi 
conoscitori  del  cuore  umano,  definizione  più  pre- 
cìsa, più  scientifica,  conservo  la  mia,  bastandomi 
per  ora  di  affermarvi  che  io  credo  fermamente 
nell'esistenza  dell'amore  platonico,  che  credo  nella 
sua  rarità,  nella  sua  altissima  idealità,  e  che  lo  ri- 
conosco per  uno  dei  fiori  più  belli  e  più  fragranti 
che  fioriscono  nel  cuore   umano.  É  capace  di  ra- 


212  CAPITOLO  Vili 


pimenti  ineffabili,  di  estasi  degne  di  vivere  all'al- 
tezza dell'estasi  religiosa  e  dell'affetto  materno. 


Non  ammetto  amore  platonico  fra  dae  vecchi, 
fra  due  brutti,  fra  due  creature  che  non  possono 
desiderarsi.  Si  dice  da  tutti,  ma  falsamente,  che 
le  anime  non  invecchiano,  ma  invece  le  anime  in- 
vecchiano come  i  corpi,  e  le  anime  che  si  uniscono 
nel  santo  vincolo  dell'amore  platonico,  hanno  ad 
essere  giovani  e  bèlle. 

Questo  sentimento  sublime  non  è  possibile  che 
a  rare  creature  elette,  che  sanno  compiere  il  mi- 
racolo di  spogliare  le  anime  da  ogni  veste  cor- 
porea, che  sanno  spogliare  la  passione  da  ogni 
desiderio  della  carne,  e  contemplandosi  si  ammi- 
rano e  si  amano. 

Anche  le  anime  come  i  corpi  hanno  un  sesso, 
e  nell'amor  platonico  stanno  faccia  a  faccia  e 
guardandosi  eternamente  si  rimandano  senza  toc- 
carsi, torrenti  di  luce  e  di  calore.  Due  astri  che 
girano  nella  stessa  orbita,  che  non  si  toccanmai; 
che  sorgono  insieme  con  una  stessa  alba,  che  collo 
stesso  tramonto  svaniscono  e  sfumano  nella  grande 
voragine  dell'infinito. 


•  4     ■  !■    -.     il      -      . 


l'amor  platonico  213 


Sempre  in  moto,  ma  sempre  distanti  Vnn  dal* 
l'altro,  attratti  allo  stesso  centro  e  respinti  dagli 
stessi  poli;  in  relazione  tra  di  loro  soltanto  per 
fasci  di  luce  e  oitde  di  calore. 

L'anima  dell'aomo  è  fatta  di  forza  e  di  azione, 
l'anima  della  donna  è  fatta  di  grazia  e  di  bontà; 
e  queste  dne  natnre  umane  che  sommate  insieme 
formano  l'uomo  completo  si  attraggono  eterna- 
mente, ma  non  si  fondono  insieme,  arrestate  dal 
dovere,  che  permette  loro  di  amarsi,  ma  proibisce 
loro  di  toccarsi  e  di  fondersi.  La  massima  delle 
attrazioni  diventita  immobilità,  la  massima  delle 
forze  divenuta  ammirazione,  contemplazione,  estasi 
divina. 

Nessun  attrito,  nessuna  resistenza,  nessuna  tras- 
formazione di  energia;  nessuna  cenere  perchè  non 
vi  è  fiamma;  ma  luce;  nessuna  stanchezza,  perchè 
non  vi  è  lavoro;  nessuna  morte  perchè  la  vita  è 
arrestata  dal  miracolo  sublime  che  faceva  arre- 
stare il  sole  nel  cielo  nei  tempi  della  Bibbia. 
Nessun  bisogno  di  mutamento,  perchè  solo  la 
stanchezza  o  la  noia  (che  non  è  altro  che  una 
forma  di  stanchezza)  può  dar  desiderio  d' inco- 
stanza. 


214  CAPITOLO  Vili 


*  * 


L'amore  platonico  deve  essere  puro  da  ogni  vo- 
luttà terrena;  è  questa  la  sua  grandezza,  è  questa 
l'acqua  lustrale  che  lo  battezza  e  lo  santifica. 

Quelle  due  immense  forze  che  si  attraggono 
senza  toccarsi  e  senza  confondersi,  rimangono  im- 
mobili e  fìsse;  ma  se  una  delle  due  vacilla,  dimi- 
nuisce d'un  battito  solo  la  propria  energia,  la  più 
debole  è  subito  attratta  dall'altra  e  l'urto  è  irre- 
sistibile. Schizza  una  scintilla  o  divampa  una 
fiamma  ;  ma  l' amore  platonico  è  distrutto.  Più 
volte  i  due  astri  vengono  così  vicini  l'uno  all'altro 
che  ne  oorrusoan  lampi.  Son  due  .  creature  che 
nello  spazio  si  son  toccate  appena  con  un  fremito 
di  ali  spasimanti,  ma  l'ala  deve  fuggire  con  santo 
e  rapido  pudore  dal  contatto  dell'ala.  Guai  a  chi 
crede  o  sogna  che  due  grandi  amori  possano  vi- 
vere della  vita  celeste  delle  cose  eterne,  dopo  una 
carézza  o  dopo  un  bacio. 

Molti,  anzi  i  più  degli  amori  platonici,  muoiono 
in  questa  maniera,  perchè  le  due  anime  innamo- 
rate sognano  questo  sogno,  che  si  possa  fermarsi 
a  metà  strada  sulla  china   di   certi  pendii;   ohe 


li' AMOS  PLATONICO  215 

credono  o  sperano   che  Torlo   di   certi   precipizi 
possa  essere  pietoso. 

Non  un  bacio,  non  una  carezza,  non  fosse  che 
qaella  delle  ali.  Anche  le  ali  sono  materia  e  ma- 
teria viva  e  calda.  Quando  due  labbra  si  son  toc- 
cate, ahimè,  l'amor  platonico  è  ferito  e  per  lo  più 
a  morte.  Le  anime  sole  possono  amarsi  platonica- 
mente e  la  materia  è  sempre  dotata  di  gravità; 
fosse  pnre  piuma  d'ala,  vello  di  cotone  o  massa 
di  piombo.  Il  precipitare  di  essa  sarà  lento  o  ve- 
loce secondo  la  diversa  densità  della  materia:  i 
venti  pietosi  delle  reticenze,  delle  difese,  delle 
foghe  faranno  volare  per  l'aria  Iqngamente  il  filo 
di  seta  e  il  fiocco  di  cotone,  ma  fatalmente,  ma 
inesorabilmente  avranno  a  cadere.  O  tutto  o  nulla 
è  in  amore  un  assioma  di  quasi  matematica  pre- 
cisione, e  le  donne,  sempre  più  sapienti  di  noi  in 
questa  materia,  lo  sanno  e  lo  ripetono  sempre  al- 
l'orecchio degli  impazienti.  Esse  sono  le  vestali  del- 
l'amore platonico,  le  custodi  del  pudore,  e  quando 
esse  vengon  meno  per  le  prime  ai  giuramenti  del- 
l'amore platonico,  non  v'  ha  quasi  uomo  su  questa 
terra,  che  le  aiuti  a  salire.  La  caduta  è  fatale,  è 
irresistibile  ! 


216  CAPITOLO  vni 


Al  contrario  di  quanto  si  crede  volgarmente, 
non  sono  i  piccoli  aniQri,  ma  i  f^frandi  che  soli 
sono  capaci  di  salire  alle  altezze  delPestasi  pla- 
tonica, di  subire  quella  sublime  transustanziazione, 
che  arresta  il  desiderio  alla  soglia  del  tempio,  che 
trasforma  la  più  ardente  delle  passioni  in  una  luce 
di  luna,  che  illumina,  ma  non  riscalda. 

I  piccoli  amori  son  pruriti  animaleschi,  che  si 
soddisfano  grattandoci  o  applicandovi  dei  panno- 
lini bagnati  nelP  acqua  fredda.  Essi  non  possono 
salire  le  alte  cime,  perchè  son  deboli,  molto  meno 
poi  possono  attraversare  lo  spazio,  perchè  sono 
senz'ali.  Molte  false  virtù  non  sono  che  piccoli 
amori  domati  coi  fomenti  freddi  e  quando  li  vedo 
innalzati  ai  supremi  onori  del  sagrificio  e  del- 
l'eroismo mi  vien  voglia  di  ridere. 

I  grandi  amori  invece  non  si  domano  che  colla 
morte  o  con  un  miracolo.  Questo  miracolo  è  Vamoi  e 
platonico. 

II  credente,  pieno  di  fede,  di  speranza  e  soprat- 
tutto d'amore  è  venuto  al  tempio,  per  pregare  ed 
amare.  È  venuto   da   lontano:   almeno  per  venti, 


I  GRANDI  AHOBI  217 


forse  per  trent'anni  ha  viaggiato  e  sudato  per 
monti  e  per  valli,  attratto  alla  Mecca  dall'amore. 
Nel  lungo  pellegrinaggio  ha  sudato  e  ha  pianto, 
ha  patito  la  fame  e  la  sete,  ma  è  giunto  vivo  alle 
porte  del  tempio.  I  minareti  dorati  scintillano 
al  sole  e  dalle  porte  aperte  escono  profumi  di 
mirra  e  di  rose. 

I  grandi  amori  sono  religione  o  idolatria,  e  il 
pellegrino  s' inginocchia  e  prega  prima  di  essere 
ammesso  all'adorazione  del  Dio.  Ed  egli  lo  vede, 
ed  egli  lo  sente  vicino.  Nella  luce  rosea  del  tempio 
egli  ha  veduto  il  gran  Dio,  che  dispensa  la  vita  e 
la  morte  :  ai  suoi  occhi  lampeggianti  d'impazienza 
e  di, ardore  hanno  risposto  altri  due  occhi,  lam- 
peggianti e  ardenti  come  i  suoi.  Egli  ama  e  sarà 
amato;  ancora  una  preghiera  e  san\  consacrato 
li\  in  fondo  al  santuario  del  Sancta  sanctorum,  dove 
il  fumo  degli  incensi  gli  nasconde  la  voluttuosa 
visione,  dove  un  coro  di  angeli  gli  cela  i  sospiri, 
di  chi  come  lui  aspetta  e  desidera.  Un  istante 
ancora,  ancora  una  preghiera,  e  tu  avrai  il  premio 
del  lungo  pellegrinaggio,  dei  lunghi  dolori  patiti. 
Sei  nato  e  hai  vissuto  venti,  trent'  anni  per  co- 
gliere quel  fiore,  che  anch'esso  non  sbocciò  che 
dopo  altri  venti  o  trent'  anni  vissuti  da  un'  altra 
creatura  che  nacque  e  visse  per  te.  Oh  perchè 
quelli  istanti  non  diventan   secoli   e   quei  secoli 


218  CAPITOLO  Vili 


non  ardono  in  un  istante  sulUara  del  desiderio  e 
dell'  amore  ? 

Una  voce  vi  ha  chiamato,  vi  chiama.  Voi  siete 
esauditi;  voi  siete  ammessi  nel  tempio.  La  crea- 
tura sognata  per  tanti  anni,  intraveduta  fra  le 
nuvole  della  fantasia  e  le  iridi  del  desiderio ,  è 
là,  vivente,  calda,  giovane,  davanti  a  voi  e  vi 
sorride.  Anch'  essa  aveva  sognato,  desiderato, 
aspettato:  se  1'  asceta  ha  bisogno  di  un  Dio,  an- 
che Dio  ha  bisogno  dell'adoratore,  e  voi  siete  la 
creatura  sognata  e  aspettata  da  lei.  Ogni  vostro 
sguardo  diventa  una  carezza,  ogni  vostra  carezza 
un  desiderio  di  carezze  nuove,  e  i  baci  aleggiano 
per  l'aria  facendo  intorno  a  voi  un  nembo  di  pe- 
tali  di  rose.  I  desiderii  son  divenuti  benedizioni: 
due  primavere,  due  vite,  due  amori  aspettano  di 
fondersi  fra  un  istante  in  un  solo  paradiso  di 
fiori,  di  profumi  e  di  voluttà.  Venga  pure  la  morte; 
avrete  vissuto  abbastanza,  il  mare  vi  sommerga 
pure,  il  fuoco  vi  incenerisca,  la  terra  vi  ingoi; 
al  di  là  dell'infinito  non  v'  ha  altro  pensabile  ;  al 
di  là  del  tutto,  che  cosa  desiderare  ancora?  Amate 
e  morite! 

Ma  ecco  che  fra  voi  e  lei  un  angelo  o  un  de- 
monio, il  fato  o  il  dovere  ha  messo  una  spada  di 
fuoco.  Voi  vi  amate  e  vi  amerete  fino  all'  ultimo 
respiro,  ma  voi  non  vi  toccherete.  Non  una  ca- 


I  GBANDI  AMOBI  219 


rezza,  non  un  bacio;  neppure  i   flati  confonde- 
ranno i  tepori  delle  anime. 

Io  afiretto  colla  penna  impaziente  ciò  che  in 
natura  avviene  lentamente,  più  spesso  per  una 
serie  non  interrotta  di  uragani.  Senza  lotta,  senza 
agonia,  senza  l'orto  di  Getsemani  non  avviene 
quella  trasformazione  che  muta  due  desiderii  in 
una  rassegnazione,  due  passioni  in  un'estasi,  due 
soli  nell'astro  della  notte. 


*   « 


Nulla  si  perde  di  quanto  vive  o  si  muove,  non 
la  materia,  non  la  forza  che  non  è  altro  che  l'at- 
teggiamento della  materia,  e  anche  ì  cataclismi 
della  terra  e  del  cielo,  anche  i  cicloni  che  scon- 
volgon  la  terra  e  rovesciano  le  città  sono  trasfor- 
mazioni di  forze,  sono  equazioni  matematiche  nelle 
quali  il  prima  e  il  poi  si  dimostrano  come  quan- 
tità eguali. 

Così  avviene  anche  negli  uragani  del  cuore.  Due 
amori  dovevano  confondersi  insieme  per  riaccen- 
dere la  fiaccola  della  vita,  due  baci  dovevano  sa- 
lire al  cielo  confusi  in  una  sola  benedizione  della 
vita  trionfatrìce.  E   invece,   passata  la  procella, 


220  CAPITOLO  vin 


rasserenato  il  cielo,  noi  vediamo  il  pellegrino  ve- 
nuto da  lontano  al  t-empio  d'amore  ancora  sulla 
soglia,  ancora  prosternato  e  in  atto  di  rassegnata 
e  serena  adorazione.  E^  nel  tempio,  là  in  fondo, 
fra  le  nuvole  degli  incensi  e  il  coro  degli  angeli, 
immoto  il  Dio,  che  guarda  il  pellegrino  con  tene- 
rezza serena;  e  là  rimarranno  entrambi  Dio  e  crea- 
tura, idolo   e  sacerdote  fino   all'  ultimo  respiro. 
L'amore  che  feconda  è  divenuto  l'amore  che  am- 
mira; l'amore   che   ama  è   divenuto  l'amore  che 
adora;  il  sole  che  tutto   colorisce  e  riscalda  si  è 
trasformato  nella  luna,  che  fa  fantasticare  e  so- 
spirare. 

Se  avete  letto  la  mia  Filologia  del  dolore,  do- 
vete ricordare  le  pagine,  nelle  quali  ho  tentato 
di  studiare  la  psicologia  della  malinconia.  Fra 
questo  caro  fiore  del  giardino  del  cuore  e  l'amore 
platonico  vi  sono  grandissimi  rapporti  di  somi«> 
glianza. 

L'amore  platonico  è  una  grande  e  soave  ma- 
linconia e  chi  l'ha  potuto  e  saputo  godere,  non 
rimpiange  la  gioia,  perchè  quel  sentimento  ha 
bellezze  più  alte,  ha  misteri  più  delicati,  segreti 
più  riposti  e  sublimi.  Dei  vulcani,  dei  terremoti, 
degli  uragani  che  sono  vita  quotidiana  dell'amore 
nulla  è  rimasto  :  delle  battaglie  combattute  nes- 
sun  cadavere,  nessun  membro  divelto;  il  terreno 


l'amob  platonico  221 

lacerato  dalle  bombe,  solcato  dalle  artiglierie,  ma- 
dido di  sangue  umano,  è  ritornato  all'aratro;  e  le 
spighe  fioriscono,  dove  corsero  i  gemiti  dei  mori- 
bondi e  gli  urli  dei  feroci.  Una  croce  di  legno 
piantata  sull'orlo  del  campo  vi  ricorda  però  la 
storia  del  dolore  e  spande  all'intorno  un'aria  ma- 
linconica. 


Non  invano  io  ho  invocato  il  tempio  ad  espri- 
mere e  contenere  i  misteri  dell'amore  platonico, 
perchè  questo  ha  forme  mistiche  e  le  sue  estasi 
presentano  molti  caratteri  del  rapimento  religioso. 

Soffocato  e  spento  il  desiderio,  inutile  la  lotta, 
che  cosa  rimane  fuorché  l'adorazione?  E  questa 
adorazione  che  prima  è  consagrata  all'  idolo,  si 
affina  sempre  più,  man  mano  andiamo  perdendo 
la  memoria  delle  battaglie  combattute  e  la  figura 
che  adoriamo  perde  ogni  giorno  più  la  propria 
personalit\  per  prendere  forma  di  mito  o  di  sim- 
bolo. La  donna  che  adoriamo  d'amore  platonico 
non  è  più  per  noi  Laura  o  Beatrice,  ma  è  la  donna, 
la  donna  unica  e  sola  che  per  noi  personifica 
tutte  le  bellezze,  tutte  le  grazie,  tutti  gli  incanti 
di  Venere  e  di  Eva. 


222  CAPITOLO  VIU 


La  donna  amata  ha  occhi  che  ci  incantano, 
membra  che  le  mani  accarezzano,  chiome  entro 
le  quali  si  smarriscono  i  desiderii  come  in  un  la- 
birinto incantato.  La  donna  amata  d' amore  pia* 
tonico  non  ha  occhi,  non  membra,  non  chiome,  e 
perchè  le  avrebbe  se  noi  non  possiamo  baciarli  e 
possederli  ?  Dio  ha  forse  occhi,  membra  e  chiome  f 
Noi  amiamo  platonicamente,  ma  amando  adoriamo; 
e  l'adorazione  è  l'estetica  divenuta  affetto  o  l'af- 
fetto divenuto  estetica,  o  direi  meglio  è  un  sen- 
timento che  aleggia  eternamente  fra  l'ammira- 
zione di  una  bellezza  assoluta  e  un  amore  infinito 
per  questa  bellezza,  a  cui  non  osiamo  dar  forma, 
perchè  anche  questa  ci  sembra  una  profanazione. 

L' amore  abbraccia  sempre  qualche  cosa,  colle 
mani  o  colle  braccia,  colle  labbra  o  col  cuore; 
l'amore  platonico  non  abbraccia,  perchè  l'infinito 
non  si  stringe;  l'amore  platonico,  contempla,  am- 
mira, adora. 

Siamo  in  piena  estasi  e  in  estasi  permanente: 
nessun  carattere  del  rapimento  gli  manca,  non  la 
fissazione,  non  lo  sprofondarsi  di  tutte  le  sensa- 
zioni in  una  sensazione  sola,  non  la  immobilità  per 
tensione  di  tutti  i  muscoli  antagonisti,  non  la  ca- 
talessi, non  la  insensibilità  per  eccesso  di  sensa- 
zione. E  le  estasi  son  due:  due  come  le  creature 
che  mutuamente  si  contemplano  e  si  adorano;  due 


ESTASI  DELL' AMOB  PLATONICO  223 

come  le  forze,  che  campate  nello  spazio  e  sempre 
lontane  si  invocano  e  si  attraggono  e  eternamente 
rimangono  fìsse,  senza  avvicinarsi  di  nna  lìnea  né 
toccarsi  mai.  In  cielo  fra  gli  astri  avvengono  que- 
sti fenomeni  che  gli  astronomi  studiano;  nel  cuore 
umano  avvengono  gli  stessi  fenomeni  con  leggi 
eguali ,  con  eguale  miracolo  di  potenza  e  di  bel- 
lezza. 


*  * 


Se  l'amore  platonico  per  la  sua  alta  idealità  si 
avvicina  ai  rapimenti  mistici  dell'asceta,  ha  per 
altri  suoi  caratteri  le  profonde  sensualità  del- 
l'avarizia. 

L'avaro  e  l'amor  platonico  hanno  questo  di  co- 
mune: possedere  un  tesoro  che  contemplano,  che 
adorano,  ma  che  non  spendono. 

Quella  donna  che  voi  adorate,  è  d'  altri  o  di 
nessuno  in  apparenza,  ma  nessuno  l'ama  come  voi, 
per  nessuno  è  bella  quanto  lo  è  per  vói.  I  vostri 
sguardi,  le  vostre  aspirazioni,  i  vostri  pensieri 
sempre  rivolti  a  lei  la  circondano  d' un'  aureola, 
che  la  isola  dal  mondo.  Essa  è  chiusa  in  uno 
scrigno  invisibile,  ma  non   meno   inviolabile;   in 


224  CAPITOLO  Vili 


uno  scrigno  d'oro  e  di  gemme  di  cui  voi  solo  avete 
la  chiave.  E  anch'essa,  voi  lo  sapete,  non  ama  che 
voi.  È  il  possesso  potenziale,  è  la  proprietà  ideale. 
Gosì  appunto  è  dell'avaro:  egli  contempla  quei 
fasci  di  biglietti  miracolosi  che  possono  a  un  cenno 
trasformarsi  in  gioie,  in  lusso,  in  ogni  ben  di  Dio. 
E  per  volontà  nostra  quella  donna  è  intangibile, 
quel  denaro  '  non  si  muove,  ma  quella  donna  è 
nostra,  quel  tesoro  è  nostro. 


* 


L'amore  platonico,  ricco  com'  è  di  rapimenti, 
ci  presenta  allucinazioni  di  trascendente  bellezza. 
Nessuno  più  abile  sarto  per  vestire  i  corpi  nudi, 
nessuno  più  ardito  per  spogliare  i  corpi  vestiti. 

Nelle  visioni  dell'  asceta  Dio  appare  (come  ve- 
dremo più  innanzi)  in  aspetti  svariati,  ma  sempre 
bellissimo;  e  l'adorazione  che  crea  l'immagine  si 
raddoppia  neir estasi  d'ammirazione  di  quelle  bel- 
lezze. E  così  è  noli'  amore  platonico,  in  cui  tutte 
le  forze  del  pensiero,  tutte  le  energie  del  senti- 
mento, concentrandosi  in  un  punto  solo,  danno 
tali  ali  alla  fantasia  e  tale  energia  al  suo  pen- 
nello da  trasformare  l'uomo  in  un  poeta  e  in  un 


^'»..-»> 


PUDORE  ASCETICO  225 

pittore  in  una  volta  sola.  Poeta  che  abbellisce  e 
idealizza  tutto  ciò  che  tocca;  pittore  che  della 
sua  tavolozza  fa  una  verga  magica  che  tntto  ri- 
veste di  un'iride  afiascinante. 

La  donna  adorata  e  non  posseduta  è  sempre 
Venere  per  noi;  Venere  Afrodite  quando  la  fan- 
tasia la  spoglia,  Venere  Urania  quando  la  fan- 
tasia la  ravvolge  nei  densi  veli  della  nostra  ge- 
losia e  del  nostro  rispetto.  Nuda  o  vestita  è  sem- 
pre una  Dea  per  noi,  e  noi  ne  siamo  i  sacerdoti. 
Anche  le  sante  vedono  Dio  nudo  nelle  loro  vi- 
sioni, né  quella  nudità  è  meno  casta  o  meno  pudica. 
L'amore  platonico  è  tutto  un  pudore,  perchè  il 
pudore  è  la  riverenza  dell'amore,  è  la  santifica- 
zione del  desiderio. 


4c 


Oh  quante  volte  nei  sileuzii  della  notte  le  te- 
nebre si  illuminano  per  noi  alla  luce  mistica  della 
fantasia  e  dall'onda  azzurra  d'un  mare  tranquillo 
sorge  per  incanto  al  fremito  impercettibile  d'una 
brezza  che  vien  dal  profondo  una  visione  di  donna. 
E  noi  assistiamo  al  mistico  nascere  della  Dea 
d'amore,  assistiamo  al  nascer  della  vita. 

Estasi  umane,  15 


226  CAPITOLO  vili 


E  sorge  dall'  onda  Spumeggiante  pregna  degli 
inebbrianti  e  salsi  aromi  del  mare  la  visione  della 
creatura  amata,  della  sola  donna  che  per  noi  è 
donna,  e  che  nuda  e  casta  come  una  statua  di 
Fidia,  lucente  dell'  onda  che  cade  in  mille  perle 
su  quella  perla  sola  che  è  il  corpo  di  lei,  s'innalza 
fremente  e  flessuosa,  come  una  palma  umana; 
e  sorge  e  s'innalza  sulle  sue  colonne  di  marmo 
pario,  inghirlandata  dalle  chiome  fluenti,  che 
fanno  piovere  una  pioggia  di  perle  sui  morbidis- 
simi flanchi. 

•  E  intomo  a  lei  bolle  e  freme  l'onda,  quasi  ebbra 
dei  contatti  voluttuosi  della  Dea,  e  guizzano  nereidi 
e  naiadi  a  farle  corona  di  bellezze  minori,  mentre 
angioletti  rosei  svolazzano  all'intorno  di  lei,  im- 
pazienti di  accarezzarla  colle  ali  convulse.  E  nes- 
suna lascivia  scuote  le  nostre  membra  e  nessun 
desiderio  osa  turbare  Testasi  di  quella  contem- 
plazione. Voi  siete  sempre  in  ginocchio,  col  corpo 
o  col  pensiero,  davanti  alla  divina  immagine  che 
adorate. 


ESTASI  DELL'  AMOE  PLATONICO  227; 


E  altre  volte  Venere  non  esce  dal  mare,  umida 
e  calda  delle  sue  feconde  aspergini,  ma  in  un  bo- 
sco di  allori  sotto  il  cielo  ellenico,  scende  dal  tem- 
pio e  passeggia  sorvolando  sull'erba,  quasi  statua 
che  ubbidisce  all'evocazione  del  suo  creatore  e  ri- 
toma alla  vita.  E  gli  inni  dei  poeti  e  le  corde  d'oro 
delle  arpe  eolie  cantano  e  suonano  le  loro  armonie, 
facendo  coro  di  ammirazione  e  osanna  di  adora- 
zione alla  Dea  della  bellezza,  alla  madre  di  tutti 
ì  viventi.  E  noi  prostesi  al  suolo  baciamo  l'orma 
profumata,  che  il  piede  divino  lascia  sui  muschi 
vellutati  e  fra  l'erbe  odorose. 


*  * 


Ma  terra  e  mare  non  bastano  più  a  fare  cor- 
nice alla  nostra  visione  trascendente  e  noi  vedia- 
mo la  nostra  Dea  farsi  creatura  alata  e  spiccare 
il  volo  nelle  alte  regioni  del  cielo.  Non  più  carni 
rosee  o  colonne  di  marmo  parlo,  ma  la  carne  dive- 


228  CAPITOLO  vni 


nuto  opale  e  le  membra  trasformate  in  ali.  E  vìa 
per  Paria  e  gli  spazi  infiniti  del  vuoto,  un  aleggiar 
robusto  e  un  ondeggiar  di  chiome,  or  dorate  dai 
raggi  del  sole,  or  argentine  al  chiaror  della  luna, 
or  buie  come  le  tenebre  degli  abissi.  E  un  fiam- 
meggiar degli  astri,  che  anch'essi  nell'eterna  pace 
dei  secoli,  fremono  alla  vista  di  quella  divina  bel- 
lezza e  scintillano  più  caldi  e  più  splendidi,  salu- 
tando colle  ebbrezze  della  luce  una  creatura  deUa 
terra. 

E  noi  dietro  a  quella  visione,  convertiti  da  crea- 
ture mortali  in  un  sospiro  di  desiderio  che  vola 
e  insegue  la  donna  alata.  La  via  lattea  ci  è  guida 
al  nostro  volo  audace  e  tra  la  polvere  degli  astri 
che  non  abbiam  tempo  di  ammirare  e  fra  gli 
abissi  dell'infinito  e  le  meteore  deUo  spazio  cogli 
occhi  fissi  a  quella  creatura  che  è  cosa  nostra  e 
di  cui  sentiamo  nel  vuoto  infinito  il  batter  del- 
l'ali, Siam  rapiti  in  estasi  e  speriamo  di  confon- 
derci e  sparire  in  quella  donna,  che  non  è  più 
donna,  ma  angelo;  che  non  è  più  angelo,  ma  Dio; 
un  Dio  creato  dalla  nostra  fantasia  e  dal  nostro 
amore.  Sparire  per  sempre  e  con  lei,  come  dicesi 
che  le  comete  attratte  dal  sole  si  consumino  in 
un  bacio  ardente  come  loro,  ciclopico  come  lo 
spazio. 

Sparire  e  confondersi,  non  ritrovar  più  il  nostro 


_^^ — -—  -       -«— • 


ESTASI  DELL'  AMOR  PLATONICO  229 

Io,  non  distinguere  più  qua!  differenza  passi  tra 
noi  e  lei,  fra  l'amare  e  Tessere,  fra  l'uno  e  il  due; 
non  ricordarsi  della  terra,  del  nascere  e  del  mo- 
rire, della  gioia  e  del  dolore;  non  pensare  altro 
pensiero  che  il  pensiero  di  lei,  perdere  tutta  la 
coscienza  e  tutta  la  memoria,  per  sommergerle 
nel  grande  oceano  di  una  sensazione  sola,  l'estasi; 
spogliarsi  di  tutte  le  passioni,  dimenticarle  tutte, 
per  non  ardere  che  d'una  sola  passione,  l'amore. 
L'uomo  e  la  donna  disgiunti  sulla  terra,  ricon- 
giunti nel  cielo  e  per  sempre  con  un  bacio  che 
non  ha  domani,  con  un  amplesso  che  trasforma 
le  anime  nella  carezza  di  quattro  ali. 


* 


Le  estasi  dell'amore  platonico  non  sono  tutte 
di  adorazione,  ma  possono  presentarci  le  forme 
della  devozione,  del  sagrifizio  spinto  fino  al  mar- 
tirio. Allora  noi  abbiamo  i  rapimenti  già  descritti 
nell'amore  materno,  nell'amor  figliale  e  negli  altri 
affetti  minori. 

Inutile  ripetizione  sarebbe  quella  di  ritrarre  i 
lineamenti  di  questi  quadri  sublimi,  che  tanto  si 
rassomigliano. 


230  CAPITOLO  vili 


L'ionico  carattere  che  distingue  tutte  queste 
forme  svariate  è  quello  di  essere  accompagnato 
dall'ardore  deUa  più  calda  delle  passioni,  di  esser 
tutto  imbevuto  di  quell'amore  che  fu  chiamato 
con  questo  nome  senza  aggiunta  di  alcun  agget- 
tivo, quasi  prototipo  di  tutti  gli  altri  amori. 

L'amore  platonico  può  essere  potente  e  fecondo 
di  estasi,  anche  quando  non  è  diviso  da  un'altra 
creatura.  Anche  quando  vibra  in  un  solo  cuore, 
anche  quando  contraddice  (rarissima  eccezione) 
il  verso  famoso  del  poeta: 

Amor  ch'a  nullo  amato  amar  perdona, 

può  durare  tutta  la  vita,  può  essere  il  palpito  di 
ogni  ora,  il  sogno  d'ogni  notte,  la  religione  mi- 
stica di  un  solo  cuore.  In  questi  casi  soltanto  vi 
ha  di  diverso  e  di  caratteristico  una  soave  ma- 
linconia, forse  confortata  da  una  speranza  lontana 
che  il  nostro  amore,  pur  rimanendo  sempre  pia* 
tonico,  8iia  diviso  da  un'  altr'  anima. 


Capitolo  IX. 


LE  ESTASI  RELIGIOSE. 


Odore  dì  santità.  —  Analogie  profonde  tra  Testasi  religiosa 
e  Tamore.  —  L'adorazione.  —  'Dante  e  santa  Teresa.  —  La 
prosternazione,  i  sagrifizii,  i  martini  volontarii.  —  Le  visioni 
ascetiche,  le  semplici  e  le  composte,  le  liete  e  le  tristi.  —  In- 
fluenza psichica  della  luce.  —  Fenomeni  secondarii  della  vi- 
sione ascetica.  —  La  preghiera.  —  Definita  dai  teologi  e  stu- 
diata dal  psicologo.  —  La  preghiera  secondo  santa  Teresa. 
—  Perchè  si  prega  e  delizie  della  preghiera.  —  L'amhiente 
esterno  nell'estasi  religiosa.  —  La  chiesa,  i  profumi,  le  cam- 
pane e  Porgano.  —  Estasi  religiosa  della  Contessa  ***. 


Per  quanto  un  uomo  di  scienza  abbia  messo 
lungo  amore  e  grande  studio  per  spogliarsi  d'ogni 
passione  nelle  sue  ricerche,  per  quanto  egli  abbia 
sempre  scolpito  davanti  ai  propri  occhi  il  sine  ira 
et  studio  di  Tacito,  ben  di  raro  egli  riesce  ad  essere 
giu8U>  nei  suoi  giudizii;  ben  di  raro  può  essere  ben 
sicuro  di  aver  dato  a  Cesare  quel  ch'è  di  Cesare, 
a  Dio  quel  ch'è  di  Dio.  Cesare  è  troppo  splendente 
per  non  afifascinare  e  Dio  è  troppo  grande  per  non 
innamorarci.  Lo  vediamo  ogni  giorno  nei  giudizii 
che  riguardano  la  politica  e  la  religione  :  invece 
dell'analisi  calma  e  serena  abbiamo  l'adulazione  o 
l'invettiva;  invece  dell'anatomia  abbiamo  la  ca- 
bala; invece  della  sentenza  spassionata  abbiamo 
il  Campidoglio  o  la  Rupe  Tarpea.  Dall'un  capo  non 
voci,  ma  grida  di  Anathema  sii;  e  dall'altro  invece 
di  risposte,  ghignate  di  sprezzo  e  bestemmie. 


234  CAPITOLO  IX 


La  politica  ci  dà  il  pane  quotidiano  e  la  reli- 
gione ci  promette  il  pane  d'oro  del  futuro:  come 
parlarne  senza  passione,  come  studiare  i  fenomeni 
politici  e  religiosi  quasi  si  trattasse  di  un  pro- 
blema di  matematica  o  di  fisica?  Non  fu  ancora 
trovato  un  uomo,  che  potesse  pensare  senza  cuore 
e  giudicare  senza  nervi.  Ecco  perchè  nelF  esame 
dei  fenomeni  religiosi  abbiamo  credenti  che  ado- 
rano e  non  ragionano,  e  ragionatori  che  dimenti- 
cano essere  la  ragione  uno  strumento  dell'uomo  e 
non  tutto  l'uomo.  Se  in  politica  un  grande  scrit- 
tore disse  che  ognuno  di  noi  è  un  giacobino  per 
un  altro,  in  religione  può  dirsi  con  eguale  verità 
che  ognuno  di  noi  è  ateo  o  bigotto  per  un  altro. 
Non  dimenticherò  mai  V  aria  di  dispetto  con  cui 
un  ottimo  amico  mio  abbandonava  la  sala  delle 
mie  conferenze ,  quando ,  discorrendo  dell'  estasi 
religiosa,  io  mi  sforzava  di  studiarla  senza  fana- 
tismo e  senza  dileggio.  In  quel  momento  per  lui 
io  era  un  bigotto,  mentre  per  qualche  sacerdote 
che  mi  stava  ascoltando,  io  era  forse  un  eretico! 
Fatale  intolleranza  dell'  uno  e  degli  altri!  —  Fu 
detto  da  secoli:  in  medio  stai  urtus.  Meglio  sarebbe 
dire  che  chi  sta  in  mezzo  è  percosso  dagli  uni  e 
dagli  altri.  In  politica  è  un  dogma  che  chi  sta  nel 
centro  è  un  ignorante  o  un  vile,  e  nel  campo  della 
fede  chi  osa  studiare  il  fenomeno  religioso,  come 


IL  SENTIMENTO  BBLIGIOSO  235 

tatti  gli  altri  fenomeni  umani,  è  un  miscredente  e 
un  opportunista  nello  stesso  tempo. 
'  Io  però,  per  questa  volta  almeno  spero  di  poter 
schivare  le  percosse,  perchè  non  pretendo  risolvere 
alcnn  problema  religioso,  ma  soltanto  studiare 
Testasi  religiosa.  Ed  io  la  studierò,  non  per  deri- 
"derla,  non  per  portarla  a  cielo,  ma  soltanto  colla 
modesta  pretensione  di  collocarla  nel  suo  posto 
naturale  fra  gli  altri  rapimenti,  dei  quali  l'uomo 
è  capace.  Finché  io,  visitando  tutti  i  villaggi,  tutte 
le  città,  tutte  le  metropoli  del  mondo,  vedrò  la 
casa  più  alta,  più  ricca,  più  gloriosa  essere  rizzata 
dagli  uomini  per  collocarvi  gli  spiriti,  io  dirò  che 
l'antropologo  deve  studiare  gli  spiriti  collo  stesso 
amore  con  cui  egli  studia  i  corpi.  Se  gli  abitanti 
delle  chiese  non  esistono  son  però  fabbricati  dal- 
l'uomo a  sua  immagine  e  somiglianza,  e  dimenti- 
carli o  sprezzarli,  vuol  dire  dimenticare  o  sprez- 
zare più  che  mezza  la  natura  umana. 


* 


Non  è  qui  il  luogo  di  analizzare  e  definire  il 
sentimento  religioso,  uno  dei  più  alti,  ma  dei  più 
complessi  e  indefiniti,  che  agitano  il  cervello  umano. 


236  CASTOLO  IX 


Noi  sappiamo  però  tutti  che  cosa  sia.  Si  dirige 
ad  esseri  invisibili  per  gli  occhi,  ma  che  si  vedono 
cogli  occhi  della  fede  e  si  possono  amare^  adorare 
quanto  e  più  delle  creature  in  carne  ed  ossa,  che 
si  chiamano  nostra  madre,  nostra  figlia,  la  nostra 
donna. 

Questo  carattere  délF  invisibile  domina  tutte 
quante  le  forme  del  sentimento  religioso,  il  quale 
si  eleva  tanto  più  quanto  più  l' uomo  si  isola  da 
tutto  il  mondo  visibile,  che  lo  circonda.  Scopo 
primo,  aspirazione  prima  d'ogni  anima  religiosa  è 
di  concentrare  tutti  i  desiderii,  tutti  gli  affetti  in 
Dio.  Di  qui  l'isolamento,  di  qui  la  necessità  della 
vita  monastica. 

Gli  asceti  parlano  a  Dio  in  diverse  maniere,  odo- 
randOy  prosternandosi ^  assorti  in  visione  e  pregando, 
e  in  tutte  queste  diverse  vie  possono  cadere  in 
estasi. 

Più  l'asceta  si  isola  e  più  si  innalza  nel  mondo 
fantastico  e  più  tende  ad  innalzarsi.  Ognuno  di 
essi  ripete  col  Salmista: 

"  Chi  mi  darà  le  penne  come  aJìa  colomba  ond'  io 
possa  volare  e  riposare  fy, 


L'ESTASI  RELIGIOSA  237 


* 


L'estasi  religiosa  non  è  facile,  né  possibile  a 
tutti.  Conviene  innanzi  tutto  avere  una  fede  si- 
cura, incrollabile  nell'esistenza  delle  creature  che 
adoriamo,  poi  si  deve  essere  in  uno  stato  di  grande 
esaltamento,  di  somma  eccitabilità,  in  condizione 
di  nervosismo  o,  come  si  suol  dire  in  linguaggio 
volgare,  di  isterismo.  E  siccome  la  vita  ascetica 
esige  digiuno,  veglia,  grande  mortificazione  d'ogni 
desiderio,  d'ogni  bisogno  fisico  ;  così  la  debolezza 
aumenta  l' iperestesia  e  l'eccitabilità  ;  e  allucina- 
zione, sonnambulismo,  catalessi  si  alternano  e  si 
succedono,  presentandoci  quadri  sublimi  o  grot- 
teschi, spesso  grotteschi  e  sublimi  in  una  volta 
sola. 

n  volgo  chiama  questi  fatti  col  nome  di  mira- 
coli: la  scienza  li  spiega  colla  fisiologia  del  sistema 
nervoso.  Le  recenti  scoperte  sull'ipnotismo  hanno 
aperto  su  questo  terreno  orizzonti  nuovi  e  smisu- 
rati. Perfino  l'odore  di  santità  non  è  più  una  fa- 
vola o  una  frode. 

^  La  nostra  pelle  emana,  nei  parossismi  di  paura, 
di  amore,   di  collera,  odori  particolari.    Così   vi 


238  CA.PITOLO  IX 


sono  donne  che  emanano  odore  di  violetta  o  di 
ambra  e  nel  parossismo  erotico  odore  di  ozono. 
Orbene,  nella  crisi  ascetica ,  nelF  estasi  religiosa 
alcuni  santi  emanano  profami  intensi  e  aggrado* 
voli.  Lo  vedremo  in  Maria  degli  Angeli. 


Isolamento,  assorbimento  di  tutti  i  pensieri,  di 
tutti  i  sentimenti  in  un  solo  amore  concentrato 
verso  un  essere  invisibile  e  a  cui  si  attribuiscono 
tutte  le  perfezioni ,  tutte  le  grandezze ,  tutte  le 
forze  della  natura  e  deir  anima  umana.  Ecco  il 
terreno  da  cui  si  innalza  l'estasi  religiosa. 

Nulla  rassomiglia  più  all'  amore  nei  suoi  gradi 
più  alti  quanto  l'estasi  religiosa. 

Eccone  l'espressione: 

Maria  degli  Angeli  è  sempre  tormentata  dal- 
l'idea di  non  poter  amare  abbastanza  il  suo  Dio. 
Vengo  dalV amare,  vado  aW amore,  penso  aW amore  e 
tutto  fa  per  Vamore Oh  Dio,  amarvi  tanto  e  tro- 
varmi in  potere  di  o/fendervi! 

Due  anni  prima  della  sua  morte,  il  primo  dì 
della  Kovena  di  Santa  Teresa,  essendosi  accostata 
alla  S.  Comunione,  le  apparve  il  suo  diletto  Gesù 


MARIA  DEGLI  ANGELI  239 

tutto  risplendente  di  gloria,  con  volto  dolce  ed 
amorevole,  il  quale  bì  le  disse:  Diletta  mia,  mi 
ami  tuf  a  eni  ella  tutta  inebbriata  d' amore  non 
potè  rispondere  altro,  se  nonché:  Ab,  Signore,  se^ 
vi  amo!  Ed  egli  allora:  Godi,  o  figlia,  di  mia  pre- 
senza, perchè  la  godrai  per  tutta  l'eternità. 

Fin  nelle  ultime  ore  della  vita  essa  non  parla 
ohe  d'amore. 

Caro  Gesù,  se  volete  darmi  più  da  patire,  date- 
mene ancor  più,  solo  vi  chieggo  che  mi  lasciate 
la  testa  libera,  acciocché  io  possa  amarvi  fino  al 
fine.  Del  resto  fate  di  me  quanto  vi  piace. 

Dio  è  sempre  chiamato  dalle  estatiche  sposo 

celeste. 

Anna  Caterina  Emmerich  scrive: 

Io  mi  era  data  interamente  al  mio  sposo  celeste, 
ed  egli  dispose  di  me  come  volle. 


Veduta  la  topografia  dell'  estasi  religiosa ,  fac- 
ciamo l'analisi  dei  suoi  diversi  momenti,  o  almeno 
dei  suoi  elementi  caratteristici,  studiando  a  parte 
a  parte  Vadoraaione,  la  prosternaaiime,  la  visione  e 
la  preghiera,  —  La  sintesi  ci  si  presenterà  spon- 


240  CAPITOLO  IX 


tanea,  uatarale  in  santa  Teresa  e   in  altre  sue 
consorelle. 


L'Adorazione.  —  L'adorazione  è  un  amore  in- 
tenso, ardentissimo  che  va  a  braccetto  di  un'  alta 
ammirazione  :  spesso  1'  accompagna  non  chiamata 
anche  la  paura  o  almeno  quo^lcosa  che  molto  le 
rassomiglia.  Nel  mondo  terreno  adorare  è  il  super- 
lativo (V amare;  nel  mondo  religioso  adorare  è  la 
forma  solita,  ordinaria  dell'amore,  che  si  prova  per 
Dio  e  le  altre  creature  soprannaturali  create  dalla 
nostra  fantasia. 

Non  ammettere  nell'adorazione  l'amore  vuol  dire 
fraintendere  del  tutto  l'adorazione  ascetica.  In  ogni 
preghiera,  dal  padre-nostro  che  balbetta  il  bambino 
senza  intenderlo  fino  all'inno  sacro  del  più  grande 
dei  poeti  religiosi,  l'amore  informa  e  dirige  tutte 
le  altre  emozioni. 

Dante,  che  ad  onta  di  esser  teologo  sapientis- 
simo, era  profondo  conoscitore  del  cuore  umano, 
perchè  sommo  poeta,  nel  Canto  ottavo  del  suo  Far 
radiso  "  ascende  nella  SMlu  di  Veliere  che  abbellu  il 


L'  ADORAZIONE  241 


terzo  délo  e  vede  la  glorm  di  coloro  che  già  furono 
proclivi  alle  amorose  passioni.  „ 


Io  non  m'accorsi  del  salir  in  ella: 
]Ma  d'esservi  entro  mi  fece  assai  fede 
La  Donna  mia,  ch'io  vidi  far  più  bella. 

£  come  in  fiamma  favilla  si  vede 
E  come  voce  in  voce  si  discerne, 
Quando  una  è  ferma,  e  l'altra  va  e  riede, 

Vid'io  in  essa  luce  altre  lucerne 
Muoversi  in  giro,  più  e  men  correnti 
Al  modo,  credo,  di  lor  vista  eterna. 


Dante,  che  aveva  divinamente  cantato  gli  amori 
di  Paolo  e  Francesca,  non  solo  non  esclude  dal 
suo  Paradiso  "  coloro,  che  già  furono  proclivi  alle 
amorose  passioni  „  ma  canta  l' amore  divino  con 
forme  sublimi,  che  tentano  V  impossibile  impresa 
di  portare  in  un  mondo  immaginario  le  passioni 
più  alte  del  cuore  umano. 

Ben  aveva  egli  ragione  e  diritto  di  chiudere  il 
suo  Paradiso  e  V  immortale  suo  poema  con  quel 
verso,  mille  volte  citato  dagli  amanti  per  giusti- 
ficare sé  stessi  e  dai  giudici  per  difendere  i  pec- 
cati d'amore: 

L'Amor  che  muove  il  Sole  e  l'altre  stelle. 
Estasi  umane.  1^5 


242  CAPITOLO  IX 


L'  adorazione  di  Dio  è  nna  delle  tante  quadm- 
ture  del  circolo,  che  tormentano  e  tormenteranno 
eternamente  il  pensiero  umano. 


Qual'è  'I  geometra,  che  tutto  s'affigc. 
Per  misurar  lo  cerchio  o  non  ritmo  va, 
Pensando,  quel  principio  onrrefi:li  indiìje. 


Si  tratta  per  noi,  uomini  di  razza  alta  e  mono- 
teisti, di  amare  una  creatura  che  non  si  vede,  che 
non  si  tocca,  che  non  ha  membra,  che  non  ha 
corpo ,  che  è  il  ^padre  e  il  creatore  di  tutte  le 
creature;  si  tratta  di  amarla  al  disopra  di  noi 
stessi  e  di  tutte  le  persone  a  noi  più  care. 

n  volgo  adora  Dio  sotto  forma  di  Cristo  o  più 
raramente  sotto  forma  del  Padre  eterno  o  dello 
Spirito  Santo,  ma  l'occhio  allora  si  riposa  sempre 
sopra  un  martire  di  sovrumana  bellezza,  o  sopra 
un  vecchio  venerando  o  sopra  una  colomba  che 
aleggia  fra  un'aureola  di  luce.  Dove  rocchio  vede, 
l'amore  può  riposare  e  può  accarezzare,  può  strin- 
gere e  può  baciare.  Il  credente  infatti  bacia  le 
sante  immagini  e  io  ho  veduto  i  cattolici  baciare 
il  piede  di  bronzo  di  San  Pietro  in  Eoma  collo 
stesso  fervore  con  cui  gli  Indù  baciano  un  fiore 
di  loto  scolpito  nella  pietra  in  un  tempio  di  Be- 


1/ ADORAZIONE  243 


narcs  (1).  E  il  piede  di  bronzo  e  il  fiore  di  loto 
sono  egualmente  consunti  dai  baci  devoti,  ma  pur 
sempre  innamorati  di  milioni  di  credenti ,  oggi 
ridotti  in  polvere. 

I  veri  santi,  poeti  della  religione,  e  i  veri  poeti, 
i  santi  dell'estetica,  hanno  però  tentato  di  adorare 
an  Dio  senza  forma,  e  sulle  ali  della  fantasia  lo 
immaginarono  tutto  luce  e  tutto  splendore.  Citerò 
I)er  tutti  santa  Teresa  e  Dante. 

Più  innanzi  leggerete  la  visiono  di  Dio  avuta 
dalla  santa  estatica  di  Avila  e  nell'ultimo  canto 
del  Paradiso  avete  la  visione  di  Dio  fatta  dal 
grande  ghibellino.  Ebbene,  una  donna  che  sale  per 
forza  di  fede  e  di  esaltazione  alle  piti  alte  vette 
dell'ideale  pensabile,  giunge  alla  stessa  altezza  del 
poeta  innalzato  dalle  ali  del  genio  potente;  ma  si 
può  dire  con  facile  franchezza  che  entrambi  erano 
impotenti  a  tanto  volo. 


Ma  non  eran  da  ciò  le  proprie  penne, 
Se  non  che  la  mia  mente  fu  percossa 
Da  un  fulgore,  in  che  sua  voglia  venne. 

Airalta  fantasia  qui  mancò  possa. 


(1)  Mantegazza.  India 


244  CAPITOLO  IX 


A  santa  Teresa  Dio  appare  oome  un  diamante 
insignificabilmente  translaoido  e  ancor  più  grande 
dell'universo  tutto,  ovvero  come  uno  specchio  (l)-... 

E  al  nostro  Dante  appare  così: 


Cosi  la  mente  mia  tutta  sospesa 
Mirava  fìssa,  immobile  ed  attenta 
E  sempre  di  mirar  faceasi  accesa, 

A  quella  luce  cotal  si  diventa 
Che  volgersi  da  lei,  per  altro  asi)etto, 
É  impossi  bil  che  mai  si  consenta. 

Nella  profonda  e  chiara  sussistenza 
Dell'alto  lume  parvermi  tre  giri 
Di  tre  colori  e  d^una  contenenza: 

E  l'un  dell'altro,  come  In  da  Iri 
Parea  riflesso  e  '1  terzo  parea  fuoco, 
Che  quinci  e  quindi  egualmente  si  spiri. 


Santa  Teresa  e  Dante  vengon  meno  egualmente 
all'  ardua  impresa ,  e  il  genio  dell'  uno  e  l' estasi 
dell'  altra  mostrano  nella  stessa  maniera  la  loro 
impotenza. 

Oh  quanto  è  corto  '1  dire  e  come  fioco 
Al  mio  concetto!  e  questo  a  quel  ch'io  vidi, 
È  tanto  che  non  basta  a  dicer  poco. 


\ì)  Vedi  cai)itolo  seguente. 


■ 

f 


l'adorazione  245 


L'adorazione  per  Dio  e  le  cose  celesti  è  nna 
forza  infinita  che  non  si  esaurisce  mai,  perchè  non 
si  tradace  in  lavoro  utile.  É  una  forma  ancor  più 
alta  dell'  amor  platonico ,  perchè  oltre  ad  essere 
senza  sensualità  alcuna,  non  è  diretta  mai  a  crea- 
ture umane  o  antropomorfe.  É  un'  aspirazione 
etema,  perchè  rivolta  a  un  essere  eterno;  infinita 
perchè  poggia  nel  vuoto  della  forma  e  del  tempo 
e  non  ha  per  orizzonte  che  una  speranza  di  fon- 
dersi coli'  ente  amato  al  di  là  della  tomba.  Oggi 
l'impossibile,  domani,  posdomani,  sempre  l'impos- 
sibile; ma  oltre  la  vita  terrena  tutto  il  i)osses8(> 
di  Dio,  la  beatificazione  della  creatura,  il  paradiso. 

Per  quanto  però  il  credente  che  adora  poggi  la 
sua  acrobatica  sopra  un  punto  di  trascendente 
tenuiti^,  pure  egli  non  cessa  per  questo  di  essere 
uomo  e  ama  coi  sensi,  colle  viscere,  col  cuore;  non 
potendo  adoperare  un  altro  corpo ,  altri  organi , 
altri  affetti  per  adorare  l'invisibile.  Di  qui  la  mi- 
mica dell'amore  divino  che  è  la  stessa  di  chi  adora 
ammirando  le  creature  della  terra,  di  qui  lo  stesso 
linguaggio  infuocato,  poetico,  sublime.  Due  lunghi 
capitoli  ho  dedicato  più  innanzi  allo  studio  di 
santa  Teresa  e  di  altre  celebri  estatiche,  e  voi 
potrete  persuadervi  che  nessuna  cosa  più  rasso- 
miglia all'amore  quanto  l'estasi  religiosa.  Soppri- 
mete la  parola  di  Cristo,  della  Beata  Vergine,  del 


246  CAPITOLO  IX 


Sacro  Cuore,  ecc.  e  mettete  nel  loro  posto  Al- 
fredo o  Arturo,  Pietro  o  Paolo,  e  voi  avrete  sotto 
i  vostri  occhi  pagine  ardentissime  di  corrispon- 
denze amorose. 

Uno  studio  comparativo  e  diligente  delle  estasi 
di  santa  Teresa  e  delle  pagine  più  trascendenti  del 
FaradUo  dantesco  darebbe  preziosa  materia  per  la 
psicologia  comparata  dei  due  sessi.  Noi  vedremmo 
lo  stesso  sentimento  portato  allo  stesso  grado  nel- 
l'uomo e  nella  donna  presentare  forme  e  atteg- 
giamenti diversi  per  la  varia  natura  psichica  del- 
l'uomo e  della  donna. 

Nelle  adorazioni  della  donna  vi  è  più  affetto, 
in  quelle  dell'  uomo  più  ammirazione.  La  donna 
adora  Dio  con  un'  alta  sensualità,  con  tenerezza, 
con  passione;  1'  uomo  lo  adora  con  venerazione, 
con  stupore,  con  più  intelletto  che  amore.  L'ado- 
razione per  il  Sacro  Cuore  di  Gesù,  come  vedre- 
mo più  innanzi,  non  poteva  essere  immaginata 
che  da  una  donna,  e  se  santa  Teresa  avesse  scrit- 
to il  Fti/radiso  della  Divina  Commedia  ci  avrebbe 
dato  un  poema  più  intelligibile,  più  caldo,  ma 
meno  teologico.  La  donna  nell'  adorazione  di  Dio 
mette  tutta  la  sua  potenza  smisurata  di  amante, 
tutti  gli  eroismi  della  maternità  e  del  sagriflcio. 
Ed  è  anche  per  questo,  che  adorando,  cade  più 
spesso  di  noi  in  estasi.  Uomini  e  donne  poi  non 


L' ADORAZIONE  247 


possono  adorare  fino  al  rapimento,  che  ad  an 
patto  solo,  quello  di  essere  assolutamente  casti. 
È  allora  che  sant'  Antonio  vede  le  donne  ohe  di- 
ventano angeli,  è  allora  che  una  santa  grida: 
Basta,  basta,  non  pik  /...  La  più  trascendente  delie 
forze  umane,  l'amore,  si  trasforma  in  una  adora- 
zione dell'invisibile  e  alimenta  il  sacro  fuoco  con 
un  combustibile  che  non  cessa  che  colla  vita. 

Portare  gli  uomini  in  cielo  per  adorarli  in  pa- 
radiso o  far  scender  gli  Dei  in  terra  per  avvici- 
narli al  nostro  cuore  è  la  stessa  cosa;  e  noi  ci 
prosterniamo  dinanzi  alla  donna  amata  così  come 
il  credente  che  adora,  si  inginocchia  davanti  ai- 
altare.  Si  può  immaginare  altro,  ma  non  si  può 
far  che  questo:  inginocchiarsi  e  adorare.  Una 
stessa  mimica,  una  stessa  espressione,  perchè  il 
sentimento  è  lo  stesso  :  amore,  sempre  amore, 
nuiraltro  che  amore. 

L'amor  che  muove  il  Sole  e  l'altre  stelle. 


Nell'adorazione  Testaci  ascetica  incomincia,  come 
in  tutti  gli  altri  rapimenti,  quando  l'ammirazione 
dei  particolari  si  dilegua  poco  a  poco  per  cadere 


248  CAPITOLO  IX 


nell'ipnotismo  di  una  sola  sensazione.  Prima  si 
ammira  e  si  esalta  l'onnipotenza,  l'onniscienza,  la 
misericordia,  la  divina  bontà  e  clemenza,  la  trar 
scendente  bellezzsi.  dell' Essere  supremo;  poi  di- 
staccati poco  a  poco  dalle  singole  contemplazioni^ 
siamo  rapiti  nell'  estasi  di  un'  ammirazione  sola. 
Noi  nella  polvere,  col  capo  piegato  sul  corpo,  col 
corpo  piegato  in  due  quasi  ad  occupare  il  minor 
spazio  possibile;  gli  occhi  soli  in  alto  per  non 
perder  di  vista  la  divina  visione.  Lui  in  alto,  dove 
le  nostre  mani  non  giungeranno  mai,  lui  ravvolta 
in  un  manto  di  luce,  dove  soli  e  stelle  sono  tra- 
punti come  gemme  in  un  velo  di  sposa  regale. 
Lui  che  tutto  assorbe  l'universo  pensabile,  lui  che 
ci  fonde  in  sé,  come  atomi  di  polvere  rapiti  in 
un  turbine  di  meteora,  come  gì  anello  di  sale  che 
si  discioglie  nell'oceano.  ISoi  piccolissimi,  ma  quasi 
superbi  e  contenti  di  quella  infinita  piccolezza  che 
ci  permette  di  essere  assorti  dal  Tutto,  dal  Crea- 
tore di  ogni  cosa,  che  possiamo  amare  d' amore 
infinito,  perchè  egli  ama  egualmente  tutte  le 
creature. 

Che  povera  e  miseranda  cosa  sembrano  a  noi 
gli  amori  terreni  in  quell'estasi  divina  I  Qual  Ve- 
nere Urania  può  rivaleggiare  colla  Divinità;  qual 
corpo  di  uomo  o  di  donna  può  rivaleggiare  cogli 
amori  di  Dio?   Nella   nostra   sublime   adorazione 


•    . 


ESTASI  ASCETICA  249 


nei  non  amiamo  pii^  una  creatura,  che  per  quanto 
è  bella,  è  caduca  come  noi,  come  noi  ha  membra 
e  malattie,  come  noi  vive  e  muore.  Noi  non  amiamo 
più  una  creatura  bella,  ma  la  bellezza  stessa  ;  noi 
non  amiamo  più  l'uomo  forte  o  la  donna  gentile, 
ma  adoriamo  la  forza  delle  forze,  la  grazia,  la 
sapienza,  la  bontA  in  tutta  la  sua  perfezione. 

I  grandi  pittori  del  medio  evo,  e  fra  i  moderni 
Ary  Scbaffer,  hanno  saputo  tracciare  sulle  loro 
tele  immortali  l'immagine  sublime  dell'adorazione 
dei  santi  per  Dio  e  le  altre  creature  celesti,  e 
forse  più  d'ogni  altro  Fra  Beato  Angelico,  dando 
ai  suoi  angeli  molte  ali  e  il  meno  possibile  di 
corpo  ha  raffigurato  fedelmente  Testasi  d'adora- 
zione eh'  egli  stesso  aveva  tante  volte  provato.  I 
suoi  angeli  furono  pensati  e  veduti  nell'estasi 
ascetica  e  il  frate  dovette  più  volte  lasciare  il 
pennello  e  gettarsi  prostrato  sull'  inginocchiatoio 
per  adorare  Dio  e  rivedere  i  suoi  angeli  ! 


La  Pkosteenazione.  —  L'adorare  implica  quasi 
necessariamente  la  prosternazione,  che  altri  chia- 
mano anche  dedizione,  umiliazione  della  creatura 
al  Creatore. 


250  CAPITOLO  IX 


Questo  prosternarsi  non  ò  soltanto  una  espres- 
sione di  umilti\  cristiaui^k,  ma  è  forma  naturale 
d'ogni  grande  amore.  E  quest'  espressione  non  fu 
abbastanza  studiata  dai  psicologi,  i  quali  per  que- 
sta via  avrebbero  potuto  addentrarsi  molto  pro- 
fondamente nello  studio  dell'  amore  e  dell'  estasi 
ascetica. 

Molti  critici  troppo  severi  (e  per  {Missione  in- 
giusti) della  religione  cristiana,  la  dissero  pregna 
di  bassezze  e  di  viltà,  appunto  perchè  nell^umiltà, 
nella  prosternazione,  neiringinocchiarsi  continuo 
non  vedevano  altro  che  una  rinunzia  all'  umana 
dignità,  un  annullamento  di  sé  stesso  dinanzi  a 
ignote  e  misteriose  potenze  soprannaturali.  E$si, 
studiando  meglio  (sine  ira  et  studio^  avrebbero  ve- 
duto che  la  prosternazione  prima  di  tutto  non  è 
umiliazione,  e  che  si  prosternano  gli  amanti  ai 
piedi  della  donna  amata  senza  credere  liiai  di  av- 
vilirsi o  di  prostituirsi;  e  men  spesso,  ma  anche 
le  donne  innamorate  si  inginocchiano  ai  piedi 
dell'uomo  amato,  non  per  implorare,  ma  per  ado- 
rare, per  ringraziare,  per  soddisfare  un  bisogno 
irresistibile  del  loro  cuore.  E  tutto  questo  si  fa 
spontaneamente ,  per  impeto  di  natura;  non  per 
ubbidire  ad  alcuna  legge  scritta,  civile  o  religiosa 
€he  sia. 

Se  noi  sentiamo  il  bi8iig»o  prepotente  di  met- 


f 


LA  PROSTERNAZIONE  251 

terci  ai  piedi  di  una  creatura  amata,  e  prima  e 
dopo  d'averla  fatta  nostra,  con  mille  ragioni  il 
eredente,  anche  non  insegnato,  si  prostra  dinanzi 
all'altare  o  all'idolo  o  all'immagine  di  Dio,  veduta 
80I0  cogli  occhi  del  pensiero  e  senza  alcuna  bas- 
sezza o  viltà,  si  umilia,  trovando  che  Dio  gli  ap- 
pare tanto  più  grande,  quanto  più  egli  si  fa  pic- 
cino. 

Un  grande  amore,  umano  o  divino,  è  sempre 
l'attrazione  di  due  cose  distinte  che  anelano,  che 
ardono  di  divenire  una  cosa  sola;  un  grande 
amore  è  sempre  la  fusione  di  due  forze  diverse  che 
irresistibilmente  si  fondono  in  una  forza  sola.  Ora 
ogni  amante  sogna  anche  nei  più  casti  desiderii 
di  fonder  due  anime  in  un'  anima  sola,  due  pen- 
sieri in  un  solo  pensiero,  due  coscienze  in  una 
coscienza  sola.  E  così  il  credente  si  impicciolisce 
materialmente,  piegando  le  membra  le  une  sulle 
altre,  e  si  impicciolisce  idealmente  col  farsi  pic- 
cino, onde  essere  assorbito  tutto  da  Dio  e  con- 
fondersi in  esso,  diventando  una  sola  sostanza  con 
lui.  Che  ogni  punto  della  Divinità  ci  tocchi,  che 
ogni  punto  di  noi  sia  immerso,  sprofondato,  as- 
sorbito in  Dio,  è  questa  la  ragione  vera  e  quasi 
anche  l'unica  ragione  del  prostrarsi  dinanzi  al- 
l'altare. 

Possedere   ed   essere  posseduti,  formola  prima 


252  CAPITOLO  IX 


ed  ultima,  scheletro  psicologico  d'ogni  amore.  B 
perchè  amiamo  noi  con  tanta  passione  i  piedi  pic- 
coli, le  mani  piccole,  breve  l'equatore  che  passa 
intorno  al  corpo  delle  nostre  donne  ?  Perchè  è  là 
che  noi  prendiamo  possesso  dell'oggetto  amato,  e 
più  si  fonde  e  scompare  nella  nostra  mano  la 
mano  di  lei,  il  piede  di  lei,  e  più  pieno  e  più  com- 
pleto è  il  monile  che  cinge  il  nostro  braccio  in- 
torno alla  vita  di  lei,  l'assorbimento  è  più  com- 
pleto. 

Finché  noi  stiamo  in  piedi,  finché  teniamo  la 
testa  alta,  finché  ingrandiamo  coi  muscoli  e  col 
pensiero  la  superficie  del  nostro  Io,  noi  non  pos- 
siamo essere  né  posseduti  né  assorbiti  ;  non  pos- 
siamo né  possedere  né  assorbire.  L'energia,  l'orgo- 
glio son  forze,  non  sono  dedizione  né  assorbimento. 
L' orgoglio  è  il  più  grande  isolatore  di  questo 
mondo,  e  per  amar  molto,  per  amar  bene  conviene 
che  r  orgoglio  sia  tutto  quanto  sagrìficato  all'  a- 
more.  Finché  l'io  parla  forte,  non  può  divenir  Tu, 
e  perché  l'io  e  il  Tu  si  fondano,  si  confondano  e 
si  abbraccino  per  divenir  Noi,  conviene  che  l'io 
d'ambo  le  parti  si  impicciolisca,  sfumi  e  si  disciolga 
nell'estasi  d'una  sola  sensazione,  d'un  solo  affetto, 
d'un  solo  pensiero.  Finché  l'orgoglio  tiranneggia, 
nessun  grande  amore  è  possibile,  nessuna  estasi 
ascetica  è  possibile. 


LA  PROSTERNAZIONE  253 

Ecco  perchè  il  Cristo  diceva:  non  entreranno 
nel  regno  dei  cieli  che  i  piccini,  ecco  perchè  egli 
faceva  dell'amiltà  cristiana  uno  dei  primi  precetti 
della  sua  religione. 

La  più  grande  delle  vittorie  d'amore,  il  più 
grande  dei  trionfi  ascetici  è  la  vittoria  dell'amore 
sull'orgoglio,  la  più  tenace,  la  più  longeva,  la  più 
tirannica  delle  umane  passioni.  Così  come  nei 
primi  tempi  del  cristianesimo  fa  veduta  una  cor- 
tigiana o  una  regina  affascinata  dalle  parole  di 
fuoco  d'un  apostolo  del  Cristo  deporre  sull'altare 
del  nuovo  Dio  i  monili,  le  gemme,  le  seriche  vesti 
e  poi  infine  gettarvi  anche  gli  idoli  degli  antichi 
Dei,  ultimo  e  più  difficile  omaggio  al  vincitore; 
cosi  nella  prosternazione  il  credente,  dopo  avere 
aagrificato  le  pompe  della  terra,  i  desiderii  della 
carne,  le  tenerezze  del  cuore,  si  strappa  dalle  vi- 
scere l'ultimo  (perchè  primo)  degli  Dei  penati, 
che  è  l'orgoglio,  e  da  quel  momento  si  raggiunge 
la  più  alta  vetta  dell'adorazione.  L' orgoglio  è 
morto:  Satana  boccheggia  e  muore  sotto  i  piedi 
dell'Arcangelo. 

Il  sagrifizio  non  è  facile  e  si  compie  non  senza 
dolore,  ma  il  credente  che  l'ha  compiuto,  intera- 
mente, senza  reticenze  e  senza  sottintesi,  è  come 
colui  che  dopo  aver  attraversato  le  torture  d'una 
crudele  operazione,  si  sente  sollevato  e  felice.  Vi 


254  CAPITOLO  IK 


è  una  strana,  una  nuova,  un'affaacinatrioe  voluttà, 
nel  sentirsi  uno  zero  (lavanti  al  milione,  di  sen- 
tirsi un  atomo  in  mezzo  al  Cosmo,  eli  sparire  nel- 
rinfinito,  pur  serbando  la  coscienza  di  esser  ancora 
vivo  e  di  essere  un  nulla  per  volontà  propria,  per 
libera  elezione. 

Questo  fenomeno,  di  cui  mi  studio  di  mostrarvi 
rintima  essenza,  non  è  naturalmente  così  semplice^ 
com'io  per  meglio  studiarlo,  l'ho  ridotto.  All'umi- 
liazione cristiana  si  associano  altri  elementi  di 
ordine  etico  e  mistico.  Il  cristiano  che  si  prosterna 
si  duole  di  aver  peccato,  di  avere  offeso  il  Dio  che 
adora,  e  l'annientamento  volontario  si  fa  sempre 
più  intenso,  rafforzandosi  col  rimorso,  col  desiderio 
di  migliorare ,  coli'  aspirazione  del  meglio  e  del- 
l'ottimo. 

Tutto  questo  però  non  è  né  facile,  né  comune, 
e  non  ci  si  arriva  che  attraverso  una  lunga  edu- 
cazione ascetica.  Si  vantino  pure  molti  uomini  di 
non  aver  mai  piegato  il  ginocchio  davanti  ad  una 
donna:  io  li  compiango,  perchè  dell'amore  essi  non 
hanno  conosciuto  che  la  buccia.  Deridano  gli  scet.- 
tici  superficiali  le  genuflessioni  dei  veri  credenti. 
Essi  ridono  e. rideranno  in  eterno  di  ciò  ch'essi 
non  hanno  facoltà  di  comprendere.  Io  intendo  be- 
nissimo chi  non  crede  e  non  ha  bisogno  di  credere 
nel  mondo  degli  spiriti.  Non  credo,  né  crederò  mai 


LA  PROSTERNAZIONE  255 

nella  fede  di  chi  prega  senza  inginocchiarsi,  di  chi 
non  ha  nella  chiesa  o  accanto  al  proprio  letto  nn 
inginocchiatoio  per  adorare  e  per  prosternarsi. 

Nella  pratica  della  vita  ascetica  l' estasi  delibi 
prosternazione  difficilmente  si  distingue  da  quella 
dell'adorazione:  più  spesso  i  due  elementi  si  in- 
trecciano e  si  confondono,  formando  una  cosa  sola. 
È  il  diverso  carattere  psichico  delFindividuo,  che 
fa  prevalere  or  V  uuo  ed  ora  V  altro  dei  due  ele- 
menti. La  donna  piò.  spesso  si  prosterna,  l'uomo 
più  spesso  adora.  I  deboli,  gli  infelici,  i  vecchi,  i 
tanti  feriti  e  mutilati  delle  battaglie  della  vita  più. 
spesso  si  umiliano;  mentre  i  fortunati,  i  felici,  i 
giovani  invece  adorano  più  spesso  di  quel  che  si 
prosternino.  La  religione  gaia,  serena,  olimpica  dei 
Greci  doveva  avere  più  adoratori  che  gente  pro- 
strata, mentre  i  popoli  vecchi  che  ancora  credono, 
ai  inginocchiano  più  volontieri  e  nella  prosterna- 
zione possono  aver  occasione  di  rapimento. 


* 

Ite     >^ 


Colla  parola  unica  di  prosternazione  io  ho  inteso 
significare  l'elemento  principale  che  informa  questo 
fenomeno  della  vita  ascetica;  ma  il  credente  esal- 


256  CAPITOLO  IX 


tato  non  si  accontenta  mai  del  piegar  le  ginocchia, 
ma  tormenta  la  fantasia  per  tormentare  il  proprio 
corpo,  per  umiliare  sé  stesso  in  tutte  le  possibili 
maniere.  Dall' esaltamento  si  passa  per  gradi  alle 
più  folli  espressioni  della  patologia  psichica. 

Tutti  conoscono  le  torture  alle  quali  si  son  sot- 
toposti i  martiri  di  ogni  religione:  i  dervish  del- 
l'India, i  santoni  dell'islamismo,  i  santi  del  cristia- 
nesimo. Ne  vedremo  più  innanzi  parecchi  esempi, 
ma  il  farne  un  catalogo  completo  sarebbe  lo  stesso 
che  dar  fondo  alle  mille  combinazioni  del  caleido- 
scopio della  più  sbrigliata  e  pazza  fantasia. 

Vestire  il  saio  più  ruvido  e  flagellarsi  le  mem- 
bra a  sangue,  piantarsi  dei  chiodi  nelle  piante 
dei  piedi  e  coprirsi  di  cenere,  mangiare  quando 
si  ha  sete  e  bever  quando  si  ha  fame,  sopportare 
fame  e  sete  fino  a  svenirne,  e  portare  calzari  che 
fanno  piaghe  e  lavare  le  piaghe  dei  più  sudici 
malati  e  farsi  calpestare  dai  piedi  di  tutto  un 
convento  e  rimanere  immobili  sopra  una  colonna 
per  anni  e  infine  sognare  le  più  pazze  torture  per 
offrirle  a  Dio ,  è  un  nulla  per  gli  asceti  d'  ogni 
religione. 

Tutti  questi  tormenti  non  sarebbero  possibili 
senza  quella  fede  che  fa  muovere  le  montagne, 
senza  quello  stato  di  ipnotismo,  che  è  la  condizione 
essenziale  d'ogni  estasi  religiosa,  senza  quell'ane- 


I  MABTIRn  VOLONTARH  257 

m 

Btesia  incompleta  o  completa  che  l' accompagna 
così  spesso.  Non  soltanto  questi  martiri  che  £Eu:eb- 
bero  ridere,  se  non  ispirassero  una  grande  com- 
passione, possono  non  sofiHre  dei  loro  dolori,  ma 
goderne:  e  i  pittori,  dipingendo  il  sorriso  dei  santi 
sul  cavalletto  della  tortura  o  sotto  la  mannaia  del 
carnefice,  sul  rogo  o  fra  le  spine,  non  hanno  in- 
Ycntato,  ma  dipinto  fatti  veri  e  che  possono  rin- 
novarsi anche  oggi,  là  dove  fede  e  fanatismo  si 
danno  la  mano. 


4      !• 


La  visione  ascetica.  —  Adoratori  e  proster- 
nati, 

^  Colle  ginocchia  della  mente  inchini  „ 

noi  non  possiamo  mantenerci  in  quello  stato  di 
ipnotismo  estatico,  senz'esser  presi  da  allucinazioni 
o  da  visioni.  Visioni,  se.  assistiamo  ad  esse,  sapen- 
dole immagini  della  mente;  allucinazioni,  se  le 
prendiamo  per  vere  e  non  correggiamo  coUa  ra- 
gione Terrore  dell'ipnotismo. 
Nell'estasi  ascetica,  a  forza  di  isolarci  dal  pas- 
Estcun  uman^,  17 


258  CAPITOLO  IX 


sato  e  dal  presente  che  oi  circonda,  a  forza  di 
pensare  un  solo  pensiero,  di  ardere  d'nn  solo 
affetto,  noi  siamo  in  pieno  ipnotismo,  e  chinse  le 
porte  del  mondo  terreno,  noi  vediamo  apriroLsi 
davanti  le  porte  del  cielo.  Un  intero  velame  non 
basterebbe  a  descrivere  tutte  le  visioni  dei  santi 
e  di  tatti  i  fervidi  credenti,  che  anche  senz'esser 
santificati,  dedicano  il  meglio  del  loro  tempo  e 
delle  loro  forze  a  viaggiare  al  di  là  del  mondo 
reale.  Meglio  che  dare  una  lunga  e  sterile  enumera- 
zione di  fantasimi  ascetici  sarà  il  classificarli  in 
grandi  gruppi,  lasciando  che  il  lettore  ne  trovi 
pochi  esempii  pratici  nei  capitoli  seguenti. 


*  4> 


Quanto  alla  natura  le  visioni  ascetiche  sono 
semplici  e  composU, 

Le  prime  non  sono  che  immagini  tolte  dal  mondo 
delle  reminiscenze,  dai  quadri,  dalle  statue,  dalle 
descrizioni  lette  nei  libri  sacri.  La  fantasia  è  poco 
alata  nei  più  dei  credenti  ed  essi  non  possono 
rivedere  in  visione  che  ciò  che  hanno  veduto  cogli 
occhi  del  corpo.  Non  v'ha  nulla  di  diverso  in  queste 
visioni  di  quanto  ci  appare  ogni  giorno ,   quando 


v^^^ 


LA  VISIONE  ASCETICA  369 


volontariamente  o  involontariamente  ci  appaiono 
i  fantasmi  del  passato  o  di  cose  lontane.  Siccome 
però  anche  nelle  piccole  estasi  religiose  vi  è  sem- 
pre nno  stato  di  esaltamento ,  le  immagini  delle 
visioni  tendono  a  colorirsi  dei  colori  più  vaghi,  a 
incoronarsi  di  aureole ,  di  razzi ,  di  iridi  lampeg- 
gianti. 

Le  visioni  composte  sono  quelle,  nelle  quali  la 
fantasia  entra  in  gran  parte  a  combinare  le  im- 
magini e  vi  aggiunge  di  proprio  la  cornice  del 
quadro  e  anche  figure  npn  mai  vedute.  Si  vede 
Dio  o  la  Beata  Vergine  o  uno  dei  mille  santi  del- 
l'Olimpo cristiano;  ma  si  vedono  intorno  alle  figure 
principali  angeli ,  arcangeli ,  cherubini ,  tutte  le 
creature  alate  del  paradiso.  E  tutte  queste  crea- 
ture immaginarie  entrano  in  azione  come  se  fos- 
sero vive  e  rappresentano  scene  delle  tradizioni 
religiose  o  create  di  sana  pianta  dalla  fantasia 
del  credente  estatico. 

Un  carattere  singolare  e  tutto  speciale  delle 
visioni  ascetiche  è  quello  di  presentare  un  fiume, 
un  oceano,  di  luce.  Son  raggi ,  son  aureole ,  son 
fiamme,  è  fuoco,  ma  è  sempre  luce;  luce  copiosa, 
sfavillante,  inebbriante.  A  santa  Teresa  Dio  ap- 
pare come  un  diamante  più  grande  dell'universo, 
e  Dante  vede  nella  Divinità,  luce,  fuoco,  iridi,  di- 
versamente  combinati   tra  di  loro.   Anche  Anna 


260  CAPITOLO  IX 


Caterina  Emmerioh  in  una  delle  sue  sante  visioni 
vede  Adamo  ed  Eva,  tutti  splendenU,  vestiti  di  raggi 
come  d'un  velo. 


* 


La  fisiologia  moderna  ci  ha  insegnato  ohe  i 
girini  della  rana  sottratti  alla  luce  non  possono 
più  subire  la  metamorfosi  che  li  cambia  in  animali 
perfetti,  cioè  in  rane;  ci  ha  mostrato  ancora  come 
la  luce  sia  un  eccitante  della  combustione  orga- 
nica, un  acceleratore  di  molte  fra  le  funzioni  vi- 
tali, ma  fin  qui  non  si  è  ancora  studiata  l'azione 
ohe  la  luce  esercita  sul  pensiero  e  sul  sentimento. 
Eppure  quest'azione  è  immensa  e  tale  da  lasciare 
traccio  profonde  nelle  arti  e  nella  letteratura  di 
tutto  un  popolo.  Lo  stesso  uomo  pensa  cose  diverse 
nelle  tenebre,  ad  una  luce  crepuscolare,  e  sotto  i 
torrenti  abbaglianti  della  luce  estiva.  Molti  suicidi 
sarebbero  ancora  vivi,  se  un  dato  giorno  fosse 
stato  sereno  e  non  uggioso  e  oscuro  per  ana  densa 
nebbia.  Io  stesso,  che  sto  scrivendo  sulle  visioni 
ascetiche,  sarei  quest'oggi  più  caldo  scrittore,  se 
il  mio  mare  e  il  mio  cielo  che  vedo  dalle  tre  fi- 
nestre del  mio  studio  non  fossero  bigi  come  il 
piombo. 


T»--* 


LUGB  E  PBNSIEBO  261 

La  laoe  è  una  seconda  atmosfera  più  sottile, 
più  larga,  più  alta  ohe  abbraccia  quell'altra  che 
è  fatta  di  aria;  e  mentre  questa  non  lambe  che 
la  nostra  pelle  e  penetra  nei  nostri  polmoni  e  per 
questi. in  ogni  tessuto  bagnato  dal  nostro  sangue; 
la  luce  sembra  penetrarci  nel  cervello,  nel  midollo 
spinale,  nei  nervi,  in  modo  da  imbevere  tutto 
quanto  l'organismo  interiore  che  diciamo  anima. 
In  mezzo  alla  luce  diveniamo  trasparenti  e  lucenti, 
nelle  tenebre  siamo  opachi;  trasparenti  o  opachi 
non  per  i  nostri  occhi,  ma  per  quell'altra  vista 
con  cui  l'Io  vede  sé  stesso.  Senza  luce  tace  ogni 
forma  della  vita,  ma  tace  anche  il  pensiero,  dorme 
anche  il  sentimento.  Anche  i  ciechi  la  sentono  e 
l'assorbono,  e  se  non  fossero  figli  di  uomini  che 
si  bearono  dei  raggi  del  sole  per  secoli  e  secoli, 
non  sarebbero  vivi. 

Quand'io  scrivo,  o  penso  o  amo,  senza  guardare 
il  cielo,  so  benissimo  quando  il  sole  mi  bacia  di- 
rettamente o  quando  una  nuvola  me  lo  occulta, 
e  quando  il  vento  col  giuocare  delle  nubi  mi  dona 
e  mi  toglie  la  luce  con  intermittenza,  io  sento  il 
palpito  della  vita  che  si  accelera  e  si  rallenta; 
mi  sento  morire  e  rinascere,  sonnecchiare  e  rivi- 
vere. E  questo  sentono  tutti,  con  diversa  misura, 
quanti  uomini  hanno  nervi. 
Questi  gli  effetti  più  elementari,  più  semplici 


262  CAPITOLO  JX 


della  Inoe;  ma  qui  non  finisce  la  sna  inflaenza. 
Così  come  abbiamo  sostanze  che  imniagcuszinano 
(come  dice  la  scienza  con  barbara  parola)  la  luce, 
così  il  nostro  sistema  l' assorbe  e  la  ritiene,  spri- 
gionandola sotto  certi  stimoli  esterni  e  intemi.  E 
di  quella  luce  noi  ci  serviamo  a  dipingere  le  im- 
magini più  gaie  e  più  belle  della  nostra  fantasia 
e  tanto  più  di  luce  rendiamo  quanto  più  ne  ab- 
biamo assorbita.  Provatevi  a  numerare  quante 
volte  Dante  cita  la  luce  e  le  sue  forme  neir  l^i- 
femo  e  nel  Paradiso  e  vedrete  e  toccherete  con 
mano  la  differenza  dei  due  mondi,  nei  quali  il  di- 
vino poeta  voleva  condannare  i  colpevoli,  beatifi- 
care i  virtuosi.  Noi  ci  figuriamo  luminoso  tutto 
ciò  che  è  bello  e  sovrumano;  oscuro  tutto  ciò  che 
è  brutto  e  vile.  Dio  è  in  cielo  e  il  demonio  è  sot- 
toterra; è  il  re  delle  tenebre.  Serenissimo,  illu- 
strissimo, fratello  del  sole,  sono  i  più  alti  super- 
lativi del  dizionario  laudativo,  mentre  anima  nera 
è  l'ultima  espressione  del  nostro  disprezzo.  Figli 
del  sole,  come  tutte  le  altre  creature  del  nostro 
pianeta,  rendiamo  al  padre  nostro  il  tributo  di 
una  etema  riconoscenza,  da  lui  battezzando  la 
gloria,  la  donna  amata,  tutto  ciò  che  è  grande  o 
ci  è  caro. 

Ecco  perchè  le  visioni  ascetiche  sono  tutte  lu- 
minose, splendidissime,  e  non  diventano  oscure  e 


LA  VISIONE  ASCETICA  263 

tenebrose,  ohe  qnando  la  fantasia  stanoa  e  esau- 
rita passa  dal  mondo  della  luce  agli  abissi  del- 
l'oscurità. L' abbiamo  già  veduto  nelle  prime  pa-> 
gine  del  libro,  lo  vedremo  più  innanzi  nella  storia 
dei  santi.  Bicorsi  psichici  di  mirabile  armonia  e 
che  ci  fanno  sperare  di  veder  chiaro  e  di  veder 
giusto  in  quelle  profondità  misteriose  che  si  chia- 
mano l'umana  coscienza. 


* 
*  * 


n  sonnambulismo,  il  delirio,  le  convulsioni,  le 
emorragie  capiUari  della  pelle  (stigmate),  la  cata- 
lessi ed  altri  fenomeni,  che  appartengono  alla 
patologia,  possono  complicare  Testasi  religiosa, 
ma  non  sono  necessarie  condizioni  del  rapimento. 
Kel  principio  del  libro  ne  abbiamo  parlato  e  non 
occorre  ripeterci 

Il  lettore  troverà  più  innanzi,  nella  storia  di 
alcuni  santi;  esempi  di  questi  profondi  turbamenti 
della .  vita,  che  circondarono  la  storia  di  quelle 
creature  di  tutto  il  fascino  della  meravigliosità  e 
del  miracolo. 

L'estasi  è  sempre  uno  stato  eccezionale,  che 
non  può  durare,  a  lungo  né  ripetersi  spesso  senza 


264  CAPITOLO  IX 


trascinar  seco  in  simpatia  di  turbamento  molti 
organi  e  con  essi  molte  funzioni  della  vita  psichica 
e  vegetativa.  L' estatico  non  è  pazzo,  ma  è  sulla 
frontiera  mal  definita,  dove  le  cose  alte  e  bassis- 
sime si  toccano,  dove  la  fantasia  può  toccare  la- 
follia  ragionante,  dove  il  genio  e  la  follia  si  toc- 
cano davvero,  non  come  vorrebbe  trovar  sempre 
e  dapertutto  il  mio  amico  Lombroso. 


La  Preghiera.  —  £)  assai  difficile  fare  un'ana- 
lisi scientifica  del  processo  psicologico  della  pre- 
ghiera, fenomeno  molto  complesso  del  pensiero  e 
del  sentimento,  nel  quale  possono  entrare  tutti 
gli  elementi  dell'estasi  religiosa,  che  abbiamo  esa- 
minati ad  uno  ad  uno  nelle  prime  pagine  di  questo 
capitolo. 

La  prima  preghiera  fu  fatta  da  un  uomo  che 
soffriva  e  domandava,  e  fu  diretta  al  sole,  alla  luna 
o  agli  idoli,  nei  quali  egli  personificava  le  forze 
della  natura.  Chiedere  vuol  dire  umiliarsi,  vuol 
dire  mostrare  amore  per  chi  si  implora,  vuol  dire 
oflftire  sé  stesso  o  le  proprie  cose  per  ottenere  la 
grazia  desiderata.  Più  tardi  collo  svolgersi  del 
processo  religioso  non  si  rivolse  più  la  preghiera 


LA  PREG^HrEBA  265 


agli  astri  o  agli  idoli,  ma  a  Dei  invisibili  più  o 
meno  antropomorfi,  ora  raffigurati  dal  pennello  o 
dalla  stecca,  ora  ridotti  amorfi  dall'adorazione 
iconoclasta.  Innalzati  gli  Dei  coli'  innalzarsi  del 
pensiero  in  regioni  più  ideali,  allargato  il  tempio 
per  farvi  capire  sentimenti  più  alti,  la  preghiera 
rimase  sempre  la  stessa  ìiella  sua  essenza  e  tutte 
le  infinite  forme  che  ci  presenta  nelle  diverse  re- 
ligioni e  nei  tempi  diversi  si  rannodano  poi  sempre 
alFetimologia  antica,  che  ci  insegna  che  pregare 
vuol  dire  domandare. 

Domandare  vuol  dire  quindi  aver  bisogno,  vuol 
dire  sperare,  implorare  dai  forti,  dal  fortissimo 
dei  forti ,  ciò  che  noi  non  possiamo  conseguire  ; 
vuol  anche  dire  ringraziare  quando  si  ha  ricevuto, 
amare  chi  ci  ha  datò,  sprofondarsi  in  una  in- 
tensa adorazione,  fatta  di  speranza,  di  ricono- 
scenza .e  di  ammirazione. 

È  difficile  il  ridurre  a  cifre  brutali  tutte  le 
somme  di  felicità  e  di  conforti  che  Tuomo  in 
tutti i  tempi  ha  conseguito  colla  preghiera;  e  molti 
suicidii  furono  evitati,  e  molti  delitti  rimasero  in 
potenza  e  morirono  appena  pensati,  e  molte  be- 
nedizioni della  vita  furono  dispensate  all'  umana 
famiglia  da  chi  aveva  fede  per  pregare.  Aveva 
ben  ragione  santa  Teresa  di  dire  nel  suo  impeto 
ascetico  : 


266  CAPITOLO  IX 


"  Promettetemi  di  fare  ogm  dì  un  quarto  d'ora  di 
orazione  ed  io  vi  prometto  il  ci-elo.  ^ 

La  santa  spagnuola  intendeva  parlare  del  cielo 
al  di  là  della  tomba,  ma  oon  eguale  verità  avrebbe 
potato  parlare  del  cielo  in  terra  o  della  felicità. 

É  naturale  che  io  non  parlo  qui  della  preghiera 
divenuta  rito  meccanico,  '  brontolìo  di  parole  che 
non  si  intendono,  perchè  dette  in  latino  o  peggio 
ancora  in  linguaggio  metafisico.  Quando  l'orazione 
è  ridotta  a  queste  forme  mummificate,  vai  meglio 
come  i  Tibetani  far  girare  la  macchinetta  da  pre- 
gare e  incaricare  il  mulinello  di  orare  per  noi.  Io 
qui  non  parlo  che  della  preghiera  vera,  calda, 
ascetica,  che  prima  di  prostrare  il  corpo,  prostra 
il  pensiero;  che  prima  di  farci  piegare  le  ginoc- 
chia, ci  piega  TafiPetto  e  ogni  nostra  energia  psi- 
chica dinanzi  a  Dio  o  ad  uno  dei  suoi  intercessori. 


*  * 


Per  i  teologi  la  preghiera  è  una  elevazione  a 
Dio  deUe  tre  facoltà  naturali  dell'anima,  memoria, 
intelletto  e  volontà,  e  con  applicazione  a  proprio 
ed  altrui  vantaggio  della  mente,  del  cuore  e  del- 
l'albione dell'uomo. 


LA  PEBGHIERA  267 


n  Padre  Camillo  Mella  nelle  sue  Illuairaziani 
alla  Istoria  della  propria  vita  di  santa  Teresa  ci 
presenta  in  nn  compendioso  e  lucido  specchio  il 
metodo  di  pregare  insegnato  da  sant'Ignazio.  Ecco 
lo  scheletro  teologico  di^uno  dei  più  alti  fenomeni 
psichici. 

PRBLUDn. 

I.  Orazione  preparatoria.  —  Atto  di  raccogli- 
mento, di  viva  fede,  d'adorazione,  d'umiltà  e  simili. 

II.  Composizione  di  luogo.  —  L' anima  per  ar- 
restarsi e  star  raccolta  e  apprendere  più  viva- 
mente ciò  che  mediterà,  si  compone,  brevemente 
e  senza  sforzo,  come  un  quadro  di  una  scena  che 
noi  vogliamo,  del  mistero  o  soggetto  che  deve 
occuparla. 

ni.  Domanda.  —  Di  lumi  e  grazie  speciali  a 
ben  fare  la  meditazione  propostasi,  ad  applicar- 
sene gli  insegnamenti,  a  trarne  lumi,  rivelazioni, 
forza,  coraggio. 

Meditazione. 

I.  La  memoria  pone  innanzi  all'anima  i  fatti 
o  le  verità,  soggetto  dell'orazione. 

II.  ^intelletto  subentra  a  meditarvi  sopra,  di- 


268  CAPITOLO  IX 


scorrendola  cosa  in  sé  e  nelle  sae  circostanze:  chi, 
che,  dove,  per  quai  mezzi,  perchè,  come,  quando, 
e  ne  fa  in  sé  pratiche  applicazioni,  le  discute,  ne 
forma  i  mezzi,  il  modo,  il  tempo,  ecc; 

III.  La  volontà  si  muove  a  convenienti  affetti 
ed  alle  fatte  risoluzioni,  poche,  pratiche  e  bene 
determinate  in  ogni  parte. 

Conclusione. 

I.  Affetti  comunicati  alla  materia  meditata. 

U.  Propositi  offerti  a  Dio,  domanda  della  grazia 
necessaria. 

III.  Colloquio  col  Padre,  col  Figlio,  collo  Spi- 
rito Santo,  con  Maria,  gli  Angeli  o  i  Santi,  se- 
condo l'opportunità  del  soggetto. 


Meglio  che  in  questo  scheletro  scolastico  e  dog' 
matico,  io  amo  ricercare  Vanima  della  preghiera 
nelle  pagine  ispirate  di  santa  Teresa.  Non  farò 
che  spigolare  qua  e  là,  non  potendo  travasare  in 
questo  libro  tutte  le  lunghe  e  calde  dissertazioni 
suUa  preghiera  fatte  dalla  grande  asceta  spa- 
gnaola. 


r 


LA  PREGHIERA  269 


* 

*   4 


^  L'anima  si  oocaperà  dolcemente  a  considerare 
^  ch'Egli  (il  Bedentore)  la  sta  mirando  :  esso  gli 
"  tenga  compagnia,  gli  offrirà  le  sue  domande,  si 
"  amilierà,  consolerassi  con  esso  lui,  ricordevole 
^  sempre  d'essere  indegna  di  godere  così  la  sua 
^  divina  presenza.  Quando  possa  far  questo,  an- 
"  corchè  al  principio  dell'  orazione,  grande  ne  n- 
"  trarrà  profitto.  Tal  metodo  d'orazione  è  fonte 
^  di  sommi  beni,  o  certo  almeno  tal  fu  nell'anima 
^  mia 

"  Questa  orazione  di  quiete  e  racco- 

^  glimento  fa  gustare  all'anima  un  senso  profondo 
"  di  soddisfacimento  e  di  pace;  essa  versa  ad  un'ora 
^  nella  sua  potenza  una  calma  pura,  un  pieno 
^  contento,  un  soavissimo  diletto.  L'  anima,  come 
^  quella  che  nulla  conosce  al  di  là  di  un  tal  godi- 
^  meato,  crede  non  le  restar  omai  più  che  desi- 
"  derare  e  direbbe  volentieri  con  san  Pietro  :  Oh  ! 
^  qui  stabiliscasi  la  mia  dimora  !  Non  attentasi 
^  ad  operare,  non  a  dare  un  moto,  non  forse  ab- 


270  CAPITOLO  IX 


^  bìale  a  sfhggir  di  mano  ana  tanta  felicità;  a 
"  volte,  non  vorrebbe  pur  rifiatare.  Non  sa  la  po- 
"  verina,  che,  siccome  nulla  potè  per  procurarsi 
"  un  tal  bene,  così  molto  meno  lo  potrà  ritenere 
"  più  di  quello  che  sarà  in  piacere  di  Dio. 

^  Già  ho  detto  come  in  questa  orazione  di  r^c- 
"  coglimento  e  quiete  non  perdano  Fattività  pro- 
^  pria  le  potenze  dell'anima.  Vero  è  ohe  sta  que- 
^  sta  tanto  deliziosamente  riposandosi  in  Dio,  che, 
^  mentre  dura  sì  dolce  e  tranquilla  unione,  benché 
^l'intelletto  e  la  memoria  si  scompiglino,  stando 
"  però  la  volontà  sempre  unita  a  Dio,  non  viensi 
"  a  perdere  la  quiete  e  il  riposo  :  anzi  tanto  oon- 
"  serva  impero  quest'ultima  potenza  sull'altre  due, 
^'  che  le  riesce  di  racchetarle  a  poco  a  poco  e  rac- 
^  coglierle.  Senz'essere  interamente  inabissata  in 
^  Dio,  ne  è  in  sì  mirabile  modo  compresa,  senza 
"•  saper  come,  che  tutti  gli  sforzi  dell'intelletto  e 
^  della  memoria  non  varrebbero  a>  rapirle  la  gioia 
"  e  le  delizie  che  prova;  che  anzi,  senza  il  meno- 
'^  mo  sforzo,  adoprasi  efficacemente  a  far  sì  che 
^'  la  scintilletta  d'amor  di  Dio  che  le  arde  in  seno 
""  non  abbiasi  a  spegnere. 

"  Quest'  orazione  di  quiete  adunque  è  una  pie" 
^  cola  favilla  che  il  Signore  getta  nell'anima;  la 
'^  comincia  così  ad  accendere  del  vero  suo  amore. 


^.VT  ■-•-«- 


LA  PBEGHIEBA  271 


^  e  vuole  colle  delìzie  onde  la  inonda,  oh'  essa 
^  acquisti  nn  intimo  conoscimento  di  tal  divino 
^  amore.  Questa  pura  calma,  questo  raccoglimento, 
^  questa  favilla  producono  grandi  effetti  quando 
'^  è  lo  spirito  di  Dio  che  opera  sull'anima,  e  quando 
^  la  soavità  che  la  penetra  non  viene  dal  demonio, 
"  né  da  privata  nostra  industria.  Del  resto,  per 
^  poca  esperienza  che  s'abbia,  è  impossibile  di  non 
^  andar  presto  convinto ,  che  un  tal  tesoro  è  un 
**  puro  dono  di  Dio  e  da  noi  non  s' acquista.  Se 
^  non  che  la  natura  nostra  è  tanto  vogliosa  di  cose 
"  gradevoli,  cl^e  procuriam  per  ogni  via  di  procu- 
"  rarci  tali  delizie,  sebben  poi  in  poco  d'ore  riman 
^  l' anima  svogliata  e  fredda.  Ha  beli'  affaticarsi 
**  questa  a  far  levar  queste  fiamme,  di  cui  sentir 
^  vorrebbe  il  dolce  calore:   par  che  non  faccia 

•  •«•..4  l  *♦••«»  , 

"  che  gettarvi  su  acqua  per  ispegnerlo. 

'^  Le  quali  sante  gioie  dell'orazione  si 

"  potrebbero  per  ventura  non  disaccordemente  as- 
^  somigliare,  secondo  una  immagine,  che  or  mi  si 
"  presenta,  alle  gioie  beate  del  cielo.  È  faor  d'ogni 
^  dubbio  incomparabilmente  più  gran  divario  tra 
"  i  diversi  gradi  della  beatitudine  celeste,  che  non 
^  tra  la  misura  molteplice  di  felicità  che  goder  può 
"  un'  anima  in  questo  terreno  esilio.  Pur  ecco  il 
"  riscontro.   Comparte  Iddio   agli  eletti  nel  cielo 


272  CAPITOLO  IX 


^  ana  gloria  proporzionata  ai  meriti  di  ciascun  di 
^  loro,  ma  com'essi  veggono  il  pochissimo  che  fa- 
^  ticarono  a  gnadagnarlasi,  tutti  son  contenti  del 
"•  posto  assegnato.  Or  medesimamente  avviene  ad 
^  un'  anima  pellegrina  quaggiù ,  non  sì  tosto  co- 
^  mincia  Iddio  a  farle  gustare  tali  delizie  delPora- 
^  zione ,  essa  si  pensa  più  non  le  resta  che  poco 
^  a  desiderare  e  si  tiene  per  ben  pagata  di  tutti 
"  i  suoi  servizii  e  gran  ragione  ha  certo  di  così 
"  giudicare.  Codeste  lagrime,  frutto  in  certo  qual 
^  modo  dei  nostri  sforzi ,  comechè  non  disgiunti 
"  mai  dal  divin  soccorso,  sono  d'inestimabil  valore 
^  e  i  travagli  tutti  del  mondo  sarébber  piccol  prezzo 
"  a  pur  una  di  esse. 


.  .  .  .  ^  Colui  che  vuol  darsi  all'orazione  ha  da 
"  far  conto  di  principiare  a  fare  un  giardino  in 
^  un  suolo  ingrato  e  irto  di  spine ,  acciocché  poi 
"  vi  s'abbia  a  deliziare  il  Signore.  È  il  divin  mae- 
^^  stro  egli  stesso  che  di  sua  mano  sradica  dap- 
"  prima  le  erbe  cattive  e  ne  pianta  di  buone  in 
"  loro  vece.  Or  noi  supponiamo  questo  già  fatto, 
^  quando  un'anima  si  determina  a  darsi  a  far  ora- 
"  zione  e  già  vi  si  esercita.  Sta  allora  a  noi,  quali 
^  buoni  giardinieri,  il  far  sì  coll'aiuto  di  Dio  che 
^  crescano  queste  piante:  noi  abbiamo  a  inaffiarle 


LA  FBEQBIERA. 


*  colla  maggior  cara,  aeciooofaè  non  si  seochino  e 
"■  perdano,  ma  vengano  a  gettar  fiori,  il  cai  profumo 
"  attirerà  il  dolce  Signor  nostro.  Visiterà  egli 
"  spesso  quest'anima,  ano  orticello  diletto,  e  si  de- 
"  liaierà  in  mezzo  delle  Tìrttl  sue  cbe  ne  sodo  i 
"  mistici  fini. 

"  Per  quelli  ohe  inoominoiano,  è  l'oraaione,  ben 
"  possiamo  dirlo,  un  cavar  acqua  fatioosamente  dal 
"  pozzo:  assai  ben  costa,  infetti,  raccogliere  ì  aensi 
"  avvezzi  a  spargersi  al  di  fuori,  mossi  al  desiderio 
"  naturale  di  vedere  e  di  udire,  e  di  astenersene 
^  di  fatto  alle  ore  d'orazione.  Bisogna  oltracciò  che 
^  se  De  stiano  aolìtarii  e  appartati  riandando  la 
'^  loro  vita  passata.  Tutti,  per  verità,  i  primi  non 
"  meno  ohe  gli  ultimi ,  mediteranno  spesso  con 
"  frutto  davanti  a  Dio  gli  anni  della  lor  vita,  ma 
"  insistendovi  più  o  meno ,  come  poi  dirò.  Gran 
"  pena  olbraeciò  dei  principianti  è  non  poter  finire 
"  d'intendere  se  hanno  un  vero  pentimento  dei 
"  loro  peccati,  ma  ben  l'hanno  senza  manco  veruno, 
"  e  pnre  ne  è  la  sincera  loro  risotazioue  di  servire 
**  a  Dio,  La  vita  di  Gesù  Cristo  dev'essere  il  sog- 
"  getto  abituale  della  loro  meditazione  e  un  tale 
^  esercizio ,  faot  d'  ogni  dubbio ,  esige  fatica  non 
"  pìccola  di  mente. 


t  ■  s^ 


274       ,  CAPITOLO  IX 


*  * 


Qaesto  lingaaggio  mistico,  oscaro,  è  il  più  adatto 
ad,  e^prim^re.  i  ^i^teri  .dell'orazione,  chB  sona  an- 
ch'essi oscuri,  benché  sfavillanti  di  emozioni,  ben- 
ché caldi  di  asceti(?i  ardori.  Anche  neìVImitaaiane 
di  Cristo  del  Kempis  voi  trovate  un  linguaggio 
poco  diverso,  tutto  misticismo  e  fervore. 

Moltissimi,  che  hanno  sfrondato  la  religione  di 
molti  fronzoli,  che  hanno  ridotto  il  culto  alla  pia 
semplice  espressione,  vanno  nel  tempio  cristiano, 
senza  badare  se  sia  dedicato  piuttosto  a  Sant'An- 
tonio che  a  San  Pietro,  piuttosto  alla  Madonna 
addolorata  che  alla  Immacolata  Concezione.  Ci 
vanno,  perchè  quella  è  la  Casa  di  Dio,  e  ci  vanno 
a  pregare. 

Soffrono  del  proprio  dolore  o  del  dolore  dei 
proprii  cari  e  vanno  a  pregare.  Chiedete  loro,  che 
cosa  sia  per  essi  la  preghiera  e  forse  non  vi  sa- 
pranno rispondere.  Nel  silenzio  misterioso  di  una 
chiesa  si  prostrano,  concentrano  i  loro  pensieri,  i 
loro  affetti,  e  li  portano  in  alto.  In  alto,  in  alto;  al 
disopra  dalle  vòlte  e  delle  agugUe  del  tempio,  al 
di  là  dell'aria  solcata  dalle  ali  degli  uccelli,  al  di 


Idi.  PBB&HIERA  275 


là  dalle  navole  solcate  dai  falmini,  al  disopra  del 
sole  e  degli  astri:  in  alto,  in  alto  dove  la  scienza 
ci  dice  che  vi  è  ancora  la  materia,  ma  dove  anche 
la  scienza  si  arresta,  perchè  V  infinito  non  è  pen- 
sabile e  là  la  fantasia  sola  ci  trasporta  e  solo  la 
fede  ci  sostiene. 

E  pregano  !  —  La  speranza  li  ha  innalzati  snlle 
sue  ali  più  potenti  di  quelle  dell'  aquila ,  più  in- 
stancabili di  quelle  delle  rondini,  che  attraversano 
1  mari.  E  sperano  che  al  disopra  delle  ingiustizie 
umane  vi  sia  una  giustizia  divina;  che  al  disopra 
delle  malattie  che  tormentano  e  deformano  il  po- 
vero corpo  mortale,  vi  sia  una  vita  senza  malattie 
e  senza  angoscia  di  morte.  E  sperano  che  al  di- 
sopra dei  singhiozzi  e  delle  lagrime  aleggi  in  un 
mondo  migliore  un  eterno  sorriso  di  serenità  e  di 
beatitudine,  dove  i  nostri  cari  morti  vivono  ancora. 
E  sognano  in  quel  sorriso  le  carezze  della  mamma 
sepolta  nel  cimitero  e  sognano  il  cipiglio  severo 
e  amoroso  del  babbo,  che  dorme  nel  cimitero  ac- 
canto alla  mamma  e  le  strette  di  mano  degli  amici 
perduti.  E  sognano  una  tenerezza  di  amori  sem- 
pitemi non  avviliti  da  baci  troppo  terrestri,  e  so- 
gnano una  gloria  senza  invidie  e  senza  calunnie, 
la  carità  senza  l'ingratitudine  e  il  saluto  senza  la 
Obblivione  e  la  sete  senza  la  sazietà  e  il  lavoro 
senza  la  stanchezza.   Sognano  la  vita  senza  la 


276  CAPITOLO  ne 


morte,  la  gioia  senza  il  dolore,  l'azzurro  senza  le 
nuvole,  il  mare  senza  la  tempesta,  la  terra  senza 
il  terremoto. 

E  alla  speranza  tien  dietro  la  fede,  che  non  è 
altro  che  una  speranza  più  robusta,  che  non  è  altro 
che  la  speranza  (sempre  giovinetta)  divenuta  donna. 
E  credono  in  Dio.  Credere  vuol  dire  amare  e  nel- 
l' estasi  della  preghiera  quei  fortunati  amano  ed 
adorano  una  creatura  pensata  e  non  veduta  mai, 
dispensatrice  d'ogni  bene  e  incapace  d'ogni  male. 
Speranza  prima  e  fede  poi;  amore  sempre;  amore 
che  non  si  annoia,  perchè  non  abbraccia  e  non 
bacia;  amore  eterno,  perchè  si  indirizza  all'infinito 
e  all'eterno. 

Questa  è  l' estasi  della  preghiera ,'  che  noi ,  su- 
perbi ricercatori  del  vero ,  non  abbiam  provato 
fuorché  nella  fanciullezza,  ma  che  serbano  intatta 
fino  alla  morte  tutti  quei  fortunati  che  rimangon 
sempre  fanciulli. 


* 
*  * 


Anche  quando  la  natura  di  chi  prega  non  è 
molto  alta  né  molto  sensitiva,  per  cui  non  si  può 
giungere  alla  regione  iperborea  dell'estasi,  il  ere* 


■>  ■ 


LA  PBBGHIBRA  277 


dente  rimane  però  a  mezz'aria  (direi  quasi),  in  qael 
crepuscolo  indistinto  che  abbiamo  riscontrato  in 
tutte  le  piccole  estasi. 

n  pensiero  alato  dell'asceta,  esercitato  da  lunghi 
voli,  sale  diritto  come  falco  saettante  e  raggiunge 
ben  presto  il  paradiso  del  rapimento.  Ohi  ha  ali 
meno  robuste  e  meno  esercitate  saltella  di  ramo 
in  ramo ,  salendo  fin  dove  la  sua  sensibilità  e  la 
sua  esaltazione  glie  lo  permettono.  É  in  tutte  le 
oose  di  questo  mondo  lo  stesso  processo. 

Tutti  gli  uomini  e  tutte  le  donne  che  hanno 
raggiunto  i  trentanni  hanno  amato;  ma  in  quel* 
l'Olimpo  si  son  fermati  tutti  a  altezze  diverse.  I 
più  son  rimasti  *fermi  ai  primi  colli,  mettendosi  a 
giacere  sul  primo  prato  fiorito  eh'  essi  hanno  in- 
contrato. Hanno  colto  insieme  ad  un'altra  creatura 
il  primo  fiore,  l'hanno  odorato  e  forse  baciato  in- 
sieme e  poi  si  son  fermati. 

Per  salire  convien  sempre  faticare  e  sudai^e,  né 
a  tutti  piace  il  travaglio  e  molte  pelli  umane  sono 
perfino  incapaci  di  sudare.  Altri  però  più  robusti 
o  più  curiosi  son  giunti  nella  foresta  di  castagni, 
dove  hanno  trovato  ombre  più  larghe,  fiori  più 
belli,  ruscelletti  garruli  e  freschi,  e  là  hanno  amato 
il  loro  amore. 

Ma  altri  son  saliti  più  su  nella  regione  dei  faggi. 
Alberi  più  pittoreschi,  torrenti  più  poetici,  orchi- 


278  GAPlTOIiO  IX 


dee  gentili  e  .profumate,  un'aria  più  serena  hanno 
accolto  quei  più  robusti  amatori. 

E  intanto  la  schiera  si  è  assottigliata  e  pochi 
son  giunti  alla  zona  degli  abeti.  Profumi  nuovi  di 
resine  intiepidite  dal  sole ,  muschi  volanti  per 
l'aria  e  pendenti  dai  rami  rugginosi,  e  tappeti  vel- 
lutati di  muschi ,  e  acque  lattiginose  che  tengon 
sospesa  nelle  loro  onde  la  polvere  dei  graniti,  e 
i  cupi  muggiti  delle  valanghe  non  molto  lontane, 
accolsero  quei  fortunati  amatori,  che  amarono  più 
in  alto  e  bearono  i  loro  occhi  di  orizzonti  più  vasti 

9 

e  videro  sotto  i  loro  piedi  quel  profanum  tmlgug, 
che  Orazio  detestò  e  detestano  tutte  le  anime 
elette. 

Ma  altri  pochi,  gli  audaci,  son  saliti  fin  dove  il 
loro  piede  ha  trovato  materia  su  cui  posare,  fosse 
pur  cristallo  di  ghiacciaio,  polvere  di  neve  o  tri* 
tume  di  roccia.  E  là  dove  la  terra  impallidisce  e 
imbianca,  quasi  svenisse  sotto  il  bacio  troppo  po- 
tente che  le  dà  il  cielo,  quasi  venisse  meno  al  ti- 
tanico amplesso  di  tutti  gli  elementi  dello  spazio  ; 
fra  le  meteore  e  il  miraggio  della  luce,  quei  beati 
mortali  hanno  amato.  Non  più  fiori  variopinti,  né 
prati  moUi,  né  ruscelletti  chiacchierini:  non  più 
canto  di  uccelli  né  ombre  di  foreste  amiche,  ma 
fulmini  e  gelo,  le  due  antitesi  della  vita  che  arde 
e  si  consuma.  E  là  hanno  amato ,   col  piede  sul- 


LA  PBEaHIERii  279 


l'orlo  degli  abissi  e  col  capo  fra  le  nuvole,  circon- 
dati come  da  un'aureola  di  idealità,  dimenticando 
per  un  istante  di  avere  un  corpo  che  x>esa,  bacian- 
dosi pensiero  e  pensiero,  affetto  ed  affetto,  anima 
contro  anima,  cuore  contro  cuore.  —  Questi  soli, 
gli  alpinisti  deli'  ideale ,  hanno  diritto  alla  santa 
ebbrezza  delle  estasi  amorose,  benché  anche  giù 
all'ombra  dei  faggi  e  dei  castagni  e  nel  prato  molle 
della  valle  l'uomo  ami  la  donna. 

E  così  è  nelF  Olimpo  della  preghiera  e  in  ogni 
altro  Olimpo,  ohe 4' uomo  possa  salire;  che  ogni 
energia  umana,  ogni  umano  desiderio  ha  il  piano, 
il  colle,  e  il  monte,  e  al  disopra  del  monte  le  nu«- 
vole  e  al  disopra  di  queste  il  cielo* 

Lunghe  ore  ho  passato  nelle  chiese  di  Cristo  ^ 
nelle  moschee  di  Maometto,  nei  tempU  di  Brama, 
e  in  quelli  di  Bndda,  e  osservando  i  fedeli  che  vi 
stavano  in  piedi  o  seduti,  prostrati  al  suolo  o  in 
ginocchio,  ho  potuto  sempre  distinguere  gli  stadii 
diversi  ai  quali  salivano  quei  credenti  nella  loro 
preghiera. 

.  Prima  lo  stupore  dell'ignorante  che  ammira  ciò 
che  non  intende  o  la  pecora  umana,  che  va  dove 
le  altre  vanno:  poi  la  curiosità  pruriginosa,  una 
specie  di  solletico  del  pensiero  di  provare  cose 
nuove  e  diverse  dal  travaglio  quotidiano  della  vita» 
Più  in  su  un'adorazione  vera  di  qualcosa  che  è  al 


^ 


380  CAPITOLO  IX 


di  là  dell'aomo;  e  il  bisogno  di  implorare  e  la  ne- 
cessità di  sperare;  ma  tatto  confuso  e  incerto;  un 
disaccordo  perpetuo  fra  il  sentimento  che  vorrebbe 
salire  e  la  parola  lenta  e  pigra  che  non  lo  accom- 
pagna. Poi  infine  i  veri  e  alti  adoratori  del  so- 
prannaturale, si  chiami  poi  Jeova,  Cristo,  Mao- 
metto, Brama  o  Budda,  che  nelle  chiese,  nelle  mo- 
schee o  nel  scivaia  si  sprofondano  negli  abissi  del- 
l'infinito  o  si  innalzano  agli  altri  abissi  del  trcui 
lan  montes,  godendo  tutte  le  delizie  dell'estasi  re- 
ligiosa. 

Nelle  nostre  chiese  cattoliche  oggi,  ad  una  messa 
cantata,  troverete  forse  una  dozzina  di  uomini,  più 
spesso  di  donne,  che  arrivano  nella  loro  preghiera 
alla  regione  del  castagno  o  del  faggio,  nessun 
grande  alpinista  che  salga  le  cime.  I  pochi  ancora 
superstiti  del  gran  naufragio  di  una  fede  morta 
per  non  aver  voluto  ubbidire  alle  leggi  inesorabili 
dell'evoluzione,  pregano  soli  nel  tempio,  quando  il 
tempio  è  deserto;  più  spesso  fra  le  pareti  del  chio- 
stro o  della  casa  solitaria.  I  grandi  fervori  ascetici 
come  i  grandi  amori  vogliono  solitudine  e  silenzio. 


L£  ESTASI  BBLimOSE  281 


Un  grande  conforto  che  la  preghiera  non  rifiata 
ad  alcun  uomo,  qualunque  sia  la  sua  sensibilità, 
il  suo  fervore,  la  sua  altezza  psichica,  è  lo  sfogo 
di  un  grande  dolore.  Nessuna  lacrima  si  discioglie 
in  noi,  di  gioia  o  di  'dolore,  senza  una  pioggia  di 
lagrime  o  di  sangue.  E  la  preghiera  ò  una  crisi 
ohe  giudica  molti  mali,  come  direbbe  un  patologo 
della  vecchia  scuola. 

Poter  piangere  nei  grandi  dolori  vuol  dire  non 
morirne  più:  poter  pregare  nelle  grandi  dispera- 
zioni vuol  dire  guarirne.  Ma  anche  i  più  saldi  cre- 
denti non  possono  sempre  pregare.  L'uomo  è  nato 
alla  gioia  e  si  ribella  contro  i  grandi  dolori,  specie 
quando  crede  di  non  meritarli.  Non  v'ha  Vangelo 
che  soffochi  di  primo  schianto  un  risentimento  di 
giusto  sdegno  verso  la  natura  o  Dio  o  il  demonio. 
La  bestemmia  lanciata  contro  il  cielo  non  è  di 
Prometeo  soltanto,  ma  di  tutti  i  figli  di  lui,  cioò 
di  tutta  l'umana  famiglia.  Quante  volte  una  madre, 
tutta  bontà  e  tutta  religione,  e  che  aveva  perduto 
il  figlio  forse  unico,  uscita  da  un  male  inesorabile 
o  da  uno  dei  mille  accidenti  della  vita,   corse  al 


292  CAPITOLO  m 


tempio,  si  inginocohiò  sul  marmo  gelido  e  appoggiò 
il  capo  sopra  un  altro  marmo  gelido  come  il  primo 
e  sperò  di  poter  pregare.  Invano  ;  la  ribellione  del 
cuore  maledetto,  dell'utero  straziato  le  saliva  alla 
strozza  e  la  preghiera  le  moriva  sul  labbro.  Quando 
ogni  speranza  è  consunta,  la  fede  vacilla,  e  in  luogo 
dell'amore  l'anima  distilla  goccie  infocate  di  fiele. 

Ma  poco  a  poco  la  fede  trionfa,  e  la  donna,  sor- 
ridendo fra  le  lagrime,  ritorna  dalla  casa  di  Dio 
a  quella  dell'  uomo ,  dicendo  a  sé  stessa  con  un 
profondo  sospiro  di  pace:  Dio  sm  benedetto:  ho 
potuto  pregare! 

n  dolore  che  prega  non  è  più  disperazione,  non 
è  più  morte,  ma  è  la  speranza  e  la  rassegnazione; 
due  angioli  che  custodiscono  la  vita  o  la  rendono 
a  chi  l'ha  perduta.  Il  dolore  che  prega  è  il  ribelle 
ohe  tende  le  mani  alla  catena  e  forse  benedice  i 
ceppi,  è  la  vendetta  che  si  discioglie  nel  rimpianto. 
É  la  forza  che  si  dichiara  vinta  e  accetta  l'ubbi- 
dienza od  anche  la  schiavitù.  Sia  comunque,  è  un* 
malato  che  guarisce.  Bimane  una  cicatrice  o  una 
storpiatura,  una  paralisi  o  un  acciacco;  ma  la  vita 
è  salva. 

Nella  rassegnazione  cristiana,  quando  non  è  tra^ 
vestimento  dell'egoismo,  abbiamo  dinanzi  agli  oc-» 
chi  tutte  le  grandezze  e  tutte  le  debolezze  umaae. 
Accanto  alla  fede  la  sux)erstizione,  accanto  all'è- 


LB  ESTASI  BSLiaiOSE  2d3 


roismo  di  sopportare  la  vita,  aocettandola  come 
un  dono  di  Dio ,  abbiamo  la  viltà ,  la  x>aara  del 
dolore;  accanto  alla  rassegnazione  che  non  dimen- 
tica, troviamo  il  quietismo,  che  seppellisce  al  più 
presto  il.cadavere,  per  non  sentirne  il  puzzo.  L'oro 
e  il  similoro,  l'argento  e  il  ofHstofley  che  si  seguono 
sempre  e  si  accompagnano  negli  usi  della  vita 
come  nelle  lotte  del  sentimento. 

Quando  la  rassegnazione  non  è  egoismo,  ma 
trionfo  della  fede,  noi  vediamo  una  delle  più  belle 
scene  del  mondo  morale;  ed  io  confesso  di  tro- 
varla, almeno  nel  campo  estetico,  più  bella  del 
pessimismo,  che  si  rassegna  prima  d'aver  sofferto, 
perchè  la  vita  è  un  male,  o  deUo  stoicismo,  che  dopo 
un  lungo  e  freddo  ragionamento,  accetta  il  male, 
perchè  inevitabile.  Il  credente,  che  si  rassegna 
dopo  aver  pregato ,  può  aver  trovato  la  ragione 
del  conforto  al  disopra  delle  nuvole  e  al  di  là 
degli  astri;  ma  vorremo  noi  tagliare  le  ali  all'  a- 
quila,  perchè  là  dove  si  innalza,  può  esser  fulmi- 
nata; vorremo  o  sapremo  mettere  una  cinta  da- 
ziaria anche  al  di  là  delle  nuvole  e  degli  astri? 
£  chi  oserebbe  farlo,  e  osandolo  lo  potrebbe^  Ba- 
gioniamo  pure,  non  rifiutiamo  alcun  diritto,  alcuna 
audacia  alla  scienza  che  studia;  ma  non  tarpiamo 
le  ali  a  chi  sa  volare,  e  se  vogliamo  studiare  Ta- 
natomia  dei  muscoli   dell'  ala  e  delle  penne  che 


264  CAPITOLO  ne 



■  '  '  — " — ~~ — " — ■ — ~  « 

i 

volano  y  portiamo  le  punte  crudeli  dei  nostri  ool- 
telli  soltanto  sulle  ali  e  le  penne  dei  morti. 


Vi  sono  estasi  religiose,  e  non  son  poohe,  nelle 
quali  r  adùì*azi<me,  la  proètrazUme,  V  astraaione,  la 
preghiera  non  forman  da  sole  la  ragione  o  la  forma 
del  rapimento ,  ma  a  produrlo  concorrono  altri 
elementi  secondarli.  Son  secondarli,  ma  più  visi- 
bili, più  superficiali,  e  tutti  li  vedono  e  credono 
di  intenderli,  per  cui  il  volgo  attribuisce  ad  essi 
la  parte  principale  nel  fenomeno  dell'  estasi.  D 
colore  e  la  figura  di  un  oggetto  son  sempre  ciò 
che  ci  salta  agli  occhi,  mentre  la  sostanza  e  la 
struttura  non  appaiono  che  agli  occhi  esercitati 
e  armati  degli  occhiali  della  scienza. 

Questo  prender  la  vernice  per  la  sostanza,  la 
figura  per  la  struttura,  ha  accompagnato  quasi 
tutti  gli  studii  sulla  essenza  delle  religioni,  non 
ultimo  errore  quello  del  sommo  Lucrezio,  che  disse 
gli  Dei  creati  soltanto  dalla  paura  degli  uomini. 

Gli  elementi  secondarli  di  molte  estasi  religiose 
provengono  da  talune  sensazioni  della  vista  e  del- 
l'udito, più  di  raro  anche  deirolfatto  che  portano 


LE  CHIESE  285 


la  sensibilità  generale  in  uno  stato  di  agitazione, 
eli  trepidazione;  talvolta  anche  di  vero  terrore.    ' 

Non  avete  voi  provato  l'impressione  diversa  che 
fanno  sall'anima  vostra  le  varie  architetture  delle 
chiese,  il  colore  delle  loro  pareti,  i  parati,  i  qua- 
dri, le  statue  ohe  le  adornano?  E  le  religioni,  e 
le  civiltà  e  la  diversa  energia  estetica  dei  popoli 
foggiano  anche  le  chiese  a  loro  immagine  e  somi- 
glianza ,  portando  all'  estasi  per  la  via  più  breve 
le  diverse  nature  psichiche. 

La  Grecia  antica ,  che  non  sapeva  pensare  né 
&r  cosa  che  non  fosse  bella,  sommamente  bella, 
la  Grecia  che  legiferava,  dipingeva,  scolpiva,  edi- 
ficava leggi,  quadri,  statue  e  case  che  erano  al- 
trettanti inni  alla  Dea  della  bellezza,  non  poteva 
innalzare  ai  suoi  Dei  che  templi  che  erano  in  una 
volta  sola  chiese  di  Dei  e  chiese  della  bellezza. 

L'Oriente  indiano,  nelle  sue  estasi  ascetiche,  ha 
sempre  qualcosa  di  ebbro,  di  narcotico  e  di  cru< 
dele,  e  foggiando  le  chiese  ad  immagine  sua,  ha 
messo  il  grottesco  accanto  al  grandioso;  ciò  che 
schiaccia  accanto  a  ciò  che  fa  paura,  Dei  che  si 
divorano  l' un  l' altro ,  mostri  dalle  sette  teste  e 
dalle  cento  braccia:  sogni  di  filosofi  e  di  asceti 
interpretati  dalla  cabala  di  un  popolo  bambino. 

n  cristianesimo  interpretato  dai  Pontefici  di 
Boma  trapianta  in  Europa  le  pompe  orientali,  la- 


286  CAPITOLO  IX 


soia  ^li  idoli  e  le  mitre,  e  toglie  le  vittime  sangui- 
nolenti,  adattando  una  veste  troppo  rude  aUe  mem- 
bra ingentilite  di  popoli  pia  civili.  E  il  cattolioiamo 
si  adatta  mirabilmente  alla  fantasia  semiorientale, 
molto  sensuale,  ma  pure  non  spoglia  ancora  del- 
l'antico battesimo  greco.  Chiese  in  forma  di  croce 
e  che  perfin  dalle  loro  fondamenta,  prima  di  escire 
dalla  terra,  incarnano  nella  loro  architettura  un 
mistero  crudele;  e  poi  mura  alte  e  colonne  e  altari 
che  si  succedono  e  si  nascondono  gli  uni  dietro 
gli  altri,  gli  uni  accanto  agli  altri  ;  e  idoli  diversi, 
maschili  e  femminili,  che  si  attaglino  al  sesso,  al- 
l'età,  ai' gusti  svariati  delle  diverse  fantasie;  e 
cupole  che  sembrano  imitare  o  sfidare  il  cielo,  e 
sugli  altari  di  marmo  incastonate  pietre  preziose 
e  fulgenti,  e  sulle  pietre  le  gemme  e  l'  oro  e  gli 
argenti  scintillanti  sotto  la  luce  di  vetrate  poli- 
crome e  riflettenti  le  cento  fiammelle  dei  torchi 
di  cera.  E  nei  tabernacoli  chiuso  un  Dio  in  forma 
di  pane,  e  intomo  al  santuario  di  Dio  angioli  di 
bronzo  dorato  o  di  marmo,  dalle  ali  distese,  e  santi 
indemoniati  di  ascetismo,  ohe  spandon  per  l' aria 
le  loro  barbe  centenarie,  e  luci  varie  che  si  con- 
trastano il  terreno  e  giuocano  colle  volute  delle 
colonne,  e  i  fianchi  rotondetti  dei  cherubini  e  dei 
serafini,  e  martiri  che  cadono  sotto  il  coltello  del 
carnefice  e  santi  impiccati  pei  piedi  e  morti  ohe 


LE  CHIESE  287 


risorgono.  E  lassù  sospeso  fra  cielo  e  terra  nn 
nomo  solo,  che  vestito  del  colore  del  fango  coi 
piedi  nudi  e  la  corda  alla  vita  predica  la  povertà, 
ohinso  in  una  cassetta  di  legno  in  mezzo  a  un 
tempio  ohe  costa  milioni,  e  là  snl  fondo  un  altro 
nomo  vestito  come  una  donna  di  merletti  e  di 
trine,  ehe  tra  il  fumo  dei  turiboli  e  le  salmodie 
dei  compagni  e  le  cento  fiammelle  di  candele  al- 
tissime portate  da  candelabri  ancora  più  alti  e  il 
Buono  dell'organo  e  i  concenti  delle  campane 
compie  il  mistero  della  trasformazione  del  vino 
in  sangue  e  del  pane  in  carne  di  Dio. 

Se  tutto  questo  pandemonio  di  sensazioni ,  se 
tutta  questa  apocalisse  di  luci,  di  forme  e  di  suoni 
non  basta  a  preparare  l'estasi  religiosa  e  a  man- 
tenerla, convien  dire  che  la  fede  è  morta  e  che 
invano  venti  secoli  hanno  lavorato  per  mettere  il 
Be  degli  spiriti  al  disopra  dei  Be  degli  uomini. 


*  « 


Le  chiese  della  Biforma  sono  la  nuova  veste  di 
nn  oorpo  nuovo.  L'Oriente  è  quasi  del  tutto  sfu- 
mato o  almeno  è  di  molto  impallidito.  Non  più 
tele  dipinte  dal  Bafaello  o  dal  Correggio   nelle 


288  CAPITOLO  IX 


chiese;  non  più  statue,  meglio  greche  che  cri- 
stiane; non  più  pompe  di  argento  e  di  gemme.  £ 
la  critica  che  prende  il  posto  della  fantasia;  è  il 
nord  che  nelle  sue  case  calde  in  messzo  ai  campi 
di  ghiaccio  concentra  nel  mondo  interiore  le  mille 
energie  sparse  da  noi  pei  campi  e  pei  prati.  B  la 
Chiesa  protestante  ci  invita  nelle  sue  fredde  pa- 
reti, nel  silenzio  solenne  delle  grandi  navate,  dove 
il  pensiero  si  innalza  al  disopra  dei  sensi  all'ado- 
razione di  un  Dio  amorfo  nello  spazio  e  nel  tempo. 
Qui  il  cuore  non  batte  più  di  commozione  alla 
sensualità  degli  incensi,  al  martellare  gaio  dei 
bronzi;  ma  tace  tutto  raccolto  nella  meditazione 
e  nell'astrazione.  L'uomo  del  Nord  prega  in  San 
Paolo,  nella  cattedrale  di  Colonia  e  potrebbe  pre- 
gare in  Santa  Maria  del  Fiore,  chiesa  falsamente 
cattolica.  L'uomo  greco-latino  prega  in  San  Pietro 
e  alla  Certosa. 

E  da  queste  chiese  nostre  contemporanee,  fa- 
cendo un  volo  di  trenta  o  quaranta  secoli,  possiamo 
figurarci  l'uomo  quaternario,  che  feroce  per  neces- 
sità e  crudele  per  abitudine,  doveva  commuoversi 
di  estasi  religiosa  dinanzi  ad  un  sacerdote,  che 
sopra  una  rupe  fatta  altare  apriva  le  viscere  d'una 
vittima  umana  e  alzava  al  cielo  colle  mani  insan- 
guinate il  cuore  palpitante,  ofifrendolo  a  un  Dio, 
ohe  doveva  essere  per  quei  nostri  antichi  padri  il 


LE  ESTASI  BEUaiOSE  289 

rappresentante  legittimo  della  forza  universale, 
che  non  àa  far  nascere  che  acoidendo,  e  che  solo 
nella  tomba  trova  il  posto  per  rizzare  la  cnlla. 


Questo  ho  volato  dire  non  a  tracciare  e  neppure 
ad  abozzare  tutte  le  forme  dei  templi  e  dei  culti, 
ma  soltanto  a  far  divinare  i  contorni  di  quell'am- 
biente, che  muta  in  ogni  tempo  e  in  ogni  razza  e 
che  è  necessario  a  favorire  o  a  produrre  l' estasi 
religiosa. 


+ 


Non  tutti  gli  odori,  non  tutti  i  suoni,  non  tutte 
le  figure  e  le  forme  favoriscono  egualmente  l'esal- 
tazione ascetica. 

£)  un  fatto  singolare  come  in  tutte  le  chiese  del 
buddismo,  del  bramanismo  e  del  cristianesimo  non 
si  profaminojgli  Dei  e  i  credentiJcoUe  essenze  dei 
fiori,  ma  bensì  colle  resine  bruciate.  Può  darsi 
benissimo  che  ciò  si  possa  spiegare  colla  necessità 
Estasi  umane.  19 


290  CAPITOLO  IX 


di  nnire  il  profumo  al  fuoco  e  al  fumo  o  al  bi- 
sogno antico  di  nascondere  colle  resine  il  pozzo 
delle  carni  delle  vittime  bruciate;  ma  potrebbe 
anche  darsi  che  gli  odori  dello  storace ,  del  san- 
dalo, dell'incenso  avessero  un'influenza  diversa  sui 
centri  nervosi  di  quella  che  l' abbiano  le  essenze 
dei  fiori.  Intanto  sta  il  fatto  che  Oriente  e  Occi- 
dente profumano  i  templi  colle  resine  bruciate, 
riserbando  l'essenza  di  rose  o  di  altri  fiori  al  ze* 
ruma,  all'harem  o  alle  vesti  delle  nostre  donne. 

Oggi  fra  noi,  dopo  tanti  secoli,  è  difficile  far  le 
parti  della  natura  e  quelle  della  tradizione  e  del- 
l'atavismo in  questi  fenomeni.  Se  l' acqua  di  Co- 
lonia e  il  wood  violet  ci  ridestano  immagini  pro- 
fane, e  se  l' incenso  ci  richiama  alla  chiesa ,  può 
darsi  che  sia  per  pura  e  semplice  tirannia  di  antica 
associazione  di  idee;  e  siccome  l'incenso  ci  venne 
dall'Oriente  insieme  alle  mitre  e  alle  campane,  può 
darsi  che  la  teoria  fisiologica  che  troverebbe  il 
perchè  delle  cose  in  diversi  centri  cerebrali  eccitati 
da  diversi  profumi  rimanga  per  ora  campata  in 
aria,  aspettando  una  scienza  più  progredita. 


ir—^ 


STSUMBNTI  DELL'ESTASI  291 


La  campana  e  1'  organo  sono  i  veri  stranienti 
masioali  dell'estasi  religiosa.  Pagine  eloquenti  fu- 
rono  scritte  in  tutti  i  tempi  da  poeti  e  da  roman- 
zieri per  descrivere  le  varie  e  forti  emozioni  ri- 
svegliate nell'anima  umana  dallo  squillo  dei  bronzi 
e  dalle  armonie  dell'organo. 

Tutti  ricordano  le  pagine  ispirate  del  Chateau- 
briand, ed  io  per  conto  mio  ho  veduto  più  volte 
piangere  di  conmiozione  al  lontano  squillo  delle 
campane  il  mio  buon  nonno  Paolo,  che  era  since- 
ramente religioso  e  dotato  di  squisita  sensibilità 
estetica. 

La  campana  è  la  voce  della  Chiesa,  che  parla 
di  lontano;  che  invia  il  suo  saluto  alla  capanna  e 
al  palazzo:  l'organo  invece  è  l'armonia  che  parla 
da  vicino,  che  commuove,  che  rapisce  il  credente 
già  commosso  dai  riti  religiosi  che  si  compiono 
intomo  a  lui. 

Dal  giorno  in  cui  le  esigenze  della  vita  civile 
hanno  imposto  alle  campane  di  tacere  e  il  sacer- 
dote permise  che  sull'organo  si  suonassero  le  arie 
dell'  Bmam  e  della  Luoia^  le  estasi  ascetiche  fug- 


292  CAPITOLO  IX 


girono  inorridite  dall'ombra  dei  templi,  n  mikado 
era  venato  a  patti  col  taikun  e  la  religione  era 
ferita  a  morte.  !Naove  estasi  religiose  avranno  i 
nostri  nepoti,  ma  sarà  in  altri  templi,  con  altre 
campane  ed  altri  organi! 


Profami,  saoni  e  colori  si  uniscono  insieme  e  si 
fondono  a  formare  lo  spettacolo  di  ana  festa  re- 
ligiosa: sia  poi  messa  pontificale,  processione  o 
ginbileo.  Anche  qui  convien  esser  già  vecchi  per 
ricordare  il  fasto,  le  ebbrezze  religiose  di  altri 
tempi.  Io  ho  vedato  ancor  fanciallo  nella  proces- 
sione del  Corpus  Dammi  tatta  la  città  di  Milano 
prostrarsi  davanti  al  solenne  corteggio  di  migliaia 
di  sacerdoti,  di  confraternite,  di  canonici,  di  mon* 
signori,  di  vescovi,  di  arcivescovi,  di  croci,  di  sten- 
dardi, di  baldacchini;  ho  vedato  il  iaihìin  servire 
il  mikado^  le  trappe  genuflesse  e  le  spade  abbas- 
sate davanti  alla  croce;  e  in  mezzo  a  nuvole  d'in- 
censo un  porporato  venerando  portare  in  alto,  tutto 
vestito  d'oro,  un  disco  bianco  di  sottilissimo  pane, 
che  era  il  corpo  di  un  Dio;  e  ho  veduto  piangere 
le  donne  e  gli  uomini,  i  vecchi  e  i  bambini;  e  ho 


LE  ESTASI  BELiaiOSE  293 

letto  snUa  faccia  di  molti  spettatori  e  di  molti 
sacerdoti  nna  vera  estasi  religiosa,  ohe  vibrava 
con  note  diverse,  ma  tutte  di  sincera  convinzióne 
e  dì  santo  fervore. 

Oggi  gli  uomini  del  passato  rimpiangono,  e  gli 
uomini  del  presente  deridono;  ma  gli  uomini  del- 
l'avvenire né  rimpiangono,  né  deridono;  ma  stu- 
diando il  passato  vedono  nell'evoluzione  del  pre- 
sente i  germi  di  una  religione  avvenire  e  vedono 
disegnarsi  nell'orizzonte  lontano  altre  feste,  civili 
nell'origine,  ma  ideali  nel  concetto  e  che  saranno 
altrettante  forme  di  una  nuova  religione;  che  del 
solo  pane  e  del  solo  vino  l'uomo  non  saprà  mai 
accontentarsi,  e  il  telescopio  per  quanto  acuto 
sarà  sempre  insufficiente  per  gli  occhi  della  fan- 
tasia. 


Le  grandi  estasi  religiose,  oggi  rarissime,  non 
possono  quasi  mai  cadere  sotto  gli  occhi  del  psi- 
cologo osservatore:  tanto  più  mi  è  prezioso  il  ri- 
cordo di  una  scena  stupenda,  a  cui  ho  assistito 
come  medico  or  son  già  alcuni  anni.  Mai  come  in 
quell'occasione  io  avrei  voluto  esser  pittore,  e  mi 


294  CAPITOLO  IX 


basterebbe  eisserlo  anohè  oggi,  perchè  quel  qaadro 
msolito,  originale,  di  trascendente  bellezza,  mi  è 
qui  ancora  fisso  e  incancellabile  dinanzi  agli  occhi 
del  pensiero. 


La  Contessa***  era  giovane  ed  era  bella.  Bella 
di  una  bellezza  bionda  e  ogni  pittore  e  ogni  scul- 
tore l'avrebbe  voluta  a  modello  per  fame  un'  on- 
dina, E  Ondifia  avrebbe  dovuto  esserne  il  nome  ^ 
perchè  tutta  lei  ondeggiava.  I  capelli  folti,  quando 
li  scioglieva  dopo  il  bagno  a  farli  accarezzare 
dalla  brezza  marina,  scendevano  fino  al  ginocchio 
e  la  coprivano  davanti  e  didietro  e  ondeggiavano 
con  tutte  le  tinte  divine  del  biondo:  biondo  di 
spiga  e  biondo  d'oro,  biondo  di  sole  e  biondo  di 
bronzo,  biondo  delle  belve  e  biondo  del  cielo,  e  sa 
quelle  onde  larghe,  ondine  infinite  di  increspature 
minori.  E  fra  quell'ondeggiamento  di  chiome  tutto 
il  corpo  elastico  come  il  giunco ,  flessuoso  come 
una  pantera,  ondeggiava  anch'esso  e  le  mani  della 
fantasia  accarezzavano  tutte  quelle  onde.  Alta  e 
gentile,  ricca  ma  non  scialacquatrice  di  forme,  col 
naso  di  fattura  greca,  colla  bocca  ad  arco  sempre 


LE  ESTASI  RELIGIOSE  295 


teso,  colla  carnagione  di  un  rosa  etereo  rapito  più 
ai  crepuscoli  del  mattino  che  ai  petali  delle  rose 
portava  in  cielo  Fammiratore  colla  testa  rafaelle- 
sca,  incatenava  alla  terra  colla  grazia  degli  altari 
e  le  colonne  del  tempio.  Venere  Urania  che  ab- 
bracciava Venere  Afrodite.  Quand'  ella  passava 
fra  le  turbe,  ogni  colloquio  taceva,  ogni  altro 
pensiero  sfrimava,  ogni  altra  passione  svaniva,  e 
Tammirazione  e  il  desiderio  e  l'invidia  le  faoevan 
all'intorno  un'aureola  calda  dì  luce  e  inebbriante 
di  profumi.  Ogni  bambino  avrebbe  voluto  essere 
accarezzato  da  quelle  mani,  ogni  uomo  l'avrebbe 
voluta  per  donna,  e  ogni  donna,  per  quanto  gio- 
vane e  bella,  avrebbe  voluto  esser  lei. 

Una  sventura  orribile,  inaspettata,  tragica,  mi- 
steriosa piombò  come  fulmine  accanto  a  quella 
donna  ed  essa  rimase  fulminata.  Non  più  una  pa- 
rola, non  più  un  sorriso,  non  più  un  lamento.  Sa- 
rebbe stata  morta,  se  il  cuore  non  avesse  conti- 
nuato a  battere  :  cuore  di  creatura  viva  in  una 
statua  di  marmo.  Coricata  nel  letto  bianco  come 
lei  non  sentiva  il  pianto  dei  bambini  di  lei,  che 
piangevano,  non  udiva  le  domande  che  amici  e 
medici  le  dirigevano:  era  fuori  del  mondo. 

Seduta  sul  letto,  colle  chiome  disciolte  sul  seno 
e  sulle  spalle,  aveva  le  labbra  socchiuse  e  gli 
occhi  rivolti  al  cielo,  che  si  specchiava  in  essi  con 


296  CAPITOLO  IX 


intima  fratellanza  di  colore  e  di  fulgori.  Aveva 
le  mani  giunte  e  le  teneva  in  alto,  in  una  posizione 
che  avrebbe  in  pochi  minuti  stancato  un  atleta. 
Ma  essa  non  si  stancava  mai,  perchè  pregava  ed 
era  in  estasi.  —  Le  volli  abbassare  le  mani,  ma 
esse  ritornarono  alla  preghiera;  e  purché  io  le 
tenessi  in  alto,  le  poteva  fermare  a  qualunque 
altezza,  e  là  restavano  fisse  per  minuti ,  per  ore. 
Essa  era  in  completa  catalessi.  Le  moveva  il  collo, 
il  tronco,  il  capo,  e  collo  e  tronco  e  capo  rimane- 
vano dove  io  li  aveva  collocati;  cento  atteggia- 
menti diversi,  ma  tutti  esprimenti  )a  preghiera , 
l'adorazione,  l'estasi.  Tutta  la  vita  era  concentrata 
negli  occhi,  così  dilatati  da  cambiarne  l'azzurro 
cupo  in  nero.  E  la  pupilla  si  muoveva  non  per 
influsso  di  luce,  ma  per  lampi  venuti  dall'interiore 
dell'anima  assorta  tutta  in  una  preghiera  ardente, 
instancabile.  Quando  la  pupilla  si  allargava,  l'iride 
scompariva  quasi  del  tutto,  e  l'azzurro  della  vita 
cedeva  il  terreno  alle  tenebre  cupe  e  profonde; 
quasi  l'occhio  esprimesse  un  supremo  terrore,  una 
angoscia  senza  confini.  Poi  poco  a  poco  l'azzurro 
ritornava  in  quel  cielo  umano  e  lo  sguardo  dive- 
niva tenero,  affettuoso,  come  di  chi  implora  e  im- 
plorando spera. 


LE  ESTASI  RELIGIOSE  297 


*  * 


Quell'  estasi  darò  molte  e  molte  ore;  né  mai 
seppi'  quali  divine  visioni  passassero  in  quelle  ore 
davanti  a  quella  creatura  divina.  S' io  non  fossi 
riuscito  a  addormentarla  artificialmente  con  forti 
dosi  di  morfina,  se  non  l'avessi  fatta  trasportare 
cento  e  cento  miglia  lontano  dal  luogo  della  sven- 
tura con  un  treno  espresso,  essa  sarebbe  impazzita 
o  sarebbe  morta.  A  certe  altezze  cadono  le  va- 
langhe e  si  aprono  precipizii  omicidi. 


SANTA    TERESA. 

Essa  è  Is  più  alta  figura  storica  nel  mondo  delle  estas 
gioae.  —  Primi  crepnacoli  del  suo  ascetismo.  —  Suoi  se 
e  sua  alta  moratitÀ.  —  Awtlisi  delle  delizie  dell'orazione 
da  lei.  —  Ineffabili  rapimenti  dell'  estasi  aacetica.  — 
ed  unione.  —  Spirito  profondamente  analitico  della 
spagnnola.  —  Intimo  rapporto  fra  l'estasi  ascetica  e  l'a 

—  Visioni  liete  e  visioni  terribili.  —  Note  pift  alte  dell'i 

—  Visione  di  Dio.  —  Le  alte  vette  dell'alpinismo  n 


Papa  Gregorio  XV  ha  iaiialzata  agli  onori 
Cielo  tma  donna  nata  ad  Avila  il  28  di  marzt 
1516  da  Alfonso  Sanchez  de  Gepeda  e  Beai 
Davila  deÀhnmada,  illnstri  ameudae  per  noi 
di  prosapia.  Questa  donna  venerata  oon  ard 
fervore  di  culto  da  tnttì  i  cattolici  è  santa 
resa.  Qael  papa,~8antiflcandola,  scriveva: 

"  Gran  prodigio ,  oper6  Iddio  ai  dì  nostri 
"  muto  di  una  donna.  Sascitb  egli  nella  Cti 
"  saa,  qnasi  Debora  novella,  la  vergine  Teresi 
"  quale,  dopo  aver  trion£ato  della  sua  carne 
"  perpetua  verginità ,  del  mondo  con  ammira 
"  umiltà  e  degli  ingegui  tutti  del  demonio 
*•  molte  ed  eccelse  virtù,  a  più  alte  cose  aspira 
**  e  la  virtù  del  sesso  colla  grandezza  Mei  oi 
"  superate ,  oinse  di  fortezza  i  suoi  lombi ,  a 
"  busti  il  suo  braccio,  e  ordinò  eserciti  di  gagU 


302  CAPÌTOLO  X 


^^  che  a  difensione  della  casa  di  Dio  di  Sabaot  e 
^  della  legge  e  dei  comandamenti  di  Lui  colle  spi- 
^  rituali  armi  combattessero.  E  costei  perchè  va- 
^' lesse  a  compire  sì  grande  impresa  empiè  il  Si- 
^  gnore  meravigliosamente  dello  spirito  di  sapienza 
^  e  d' intelletto ,  e  col  tesoro  della  grazia  di  tal 
^  guisa  chiarificolla,  che  lo  splendore  di  lei,  sio- 
^  come  stella  nel  firmamento,  rifcilge  nella  casa  di 
"•  Dio  per  interminabili  eternitadi.  „ 

Questo  ha  scritto  un  papa  in  una  Bulla  canom- 
zaUonis;  ma  anche  senza  la  parola  solenne  di  un 
pontefice,  tutte  le  anime  ascetiche  avrebbero  san- 
tificato nel  santuario  del  loro  cuore  la  vergine 
spagnuola,  proponendola  a  sé  stesse  come  esempio, 
come  modello,  come  idolo  di  adorazione.  Nel  ca- 
pitolo seguente  troverete  parecchie  altre  sante 
minori,  che  cogli  sforzi  di  tutta  la  loro  vita  vol- 
lero imitare  santa  Teresa. 


Nessun  uomo,  per  grande  e  originale  egli  sia, 
fa  specie  da  sé  stesso,  ma  appartiene  a  una  isk- 
miglia  sparsa  in  tempi  diversi  e  per  diverse  terre, 
di   cui  personifica    e  incarna  le   varie  virtù   e 


SANTA  XBBESA  303 


le  diverse  forme  delPingegno  e  del  carattere.  Vi 
sono  famiglie  psicologiche,  come  vi  sono  famiglie 
di  nobili  e  di  sovrani  e  ognuna  ha  il  proprio  Ce- 
sare o  il  proprio  Napoleone  o  il  proprio  Garibaldi, 
che  ne  riassume  in  misura  altissima  le  doti  carat- 
teristiche, divenendo  il  prototipo  di  tutta  la  specie. 
Santa  Teresa  è  una  di  queste  grandi  figure  sto- 
riche e  personifica  in  sé  la  famiglia  delle  sante 
estatiche.  Finché  l'ascetismo  del  cuore  umano  non 
avrà  preso  diversa  via  e  diverso  atteggiamento, 
essa  sarà  la  Dea,  la  Madonna,  la  Santa  a  cui  si 
volgeranno  le  aspirazioni  insaziabili  degli  uomini 
di  fede,  mentre  nel  campo  opposto  gli  scettici  la 
metteranno  in  canzonatura,  disegnandone  il  profilo 
colla  matita  del  caricaturista.  Santa  per  gli  uni, 
pazza  isterica  per  gli  altri:  due  forme  diverse  di 
esagerazione  e  quindi  di  errore;  due  diverse  ca- 
ricature, che  possono  passar  per  ritratti  dal  vero, 
mentre  sono  immagini  deformi,  mostruose,  create 
per  ludibrio  dalla  nostra  malignità  o  per  soddi- 
sfazione dei  nostri  entusiasmi.  Ecco  perchè  nella 
immensa  biblioteca  delle  biografie  noi  abbiamo 
così  pochi  ritratti  e  così  numerose  caricature;  ecco 
perchè  il  psicologo  positivo,  prudente,  coscienzioso 
è  costretto  ad  ogni  passo  a  difendersi  dal  prurito 
dell'ironia,  che  fa  così  giocondo  solletico  ai  nostri 
nervi   e  dalle  voluttà  ancor  più  af&scinanti  del- 


304  CAPITOLO  X 


l'entusiasmo,  ohe  tatto  rìsoalda,  tatto  abbellisce 
coll'iride  dei  saoi  colori  smaglianti. 


Santa  Teresa  fd  estatica,  provò  tatto  le  terri- 
bili delizie  dell'amore  divino,  ma  descrisse  anche 
sé  stessa  in  una  celebre  autobiografia,  che  fd  tra- 
dotta in  molte  lingue  (1). 

Essa  associava  ad  una  squisita  sensibilità  fem- 
minile una  grande  potenza  d'osservazione  e  la  de- 
finizione che  essa  ci  ha  lasciato  dell'estasi  religiosa 
basterebbe  a  mostrare  il  valore  di  lei,  come  pei»- 
satrice  profonda: 

^  Vestasi  è  un  sonno  spirituale  détta  potenza  del- 
^  Vamma,  „ 

Traducete  in  lingua  contemporanea  questa  de- 
finizione, vecchia  di  più  che  tre  secoli;  voltate  le 
parole  della  metafisica  nella  fisica;  e  voi  avrete  il 
concetto  più  giusto ,  «più  preciso ,  più  fedele  de^ 


(1)  Fra  le  altre  tradazioni  vedi:  Istoria  deUa  propria 
fnta  di  santa  Teresa  per  la  pi-ima  volta  fatta  interamente 
italiana  mercè  il  riscontro  dell'autografo  ed  illustrata  dal 
Padre  CamiUo  Meda  D.  C.  D.  G.  Modena  1871. 


SANTA  TERESA  305 


l'estasi  religiosa  e  delle  altre  forme  estatiche,  che 
più  le  rassomigliano* 

Se  volete  accompagnarmi,  noi  faremo  una  rapida 
corsa  negli  anni  vissuti  dall'  estatica  spagnnola  e 
avremo  dinanzi  ai  nostri'  occhi  tutto  il  quadro  o 
almeno  il  disegno  della  natura  psichica  di  lei. 


Le  nature  potentemente  originali  si  afifermano 
fin  dalla  prima  infanzia. 

"  Eravamo  tre  sorelle  e  nove  fratelli,  e  tutti,  la 
^  Dio  grazia,  s'assomigliarono  in  virtù  ai  genitori, 
^  io  sola  eccettuata ,  e  con  tutto  ciò  ero  la  più 
^  amata  e  ben  voluta  da  mio  padre;  e  forse,  prima 
"  ch'io  cominciassi  ad  offender  Dio,  una  tale  sua 
^  predilezione,  non  era  senza  fondamento.  Ond'  è 
^  che  mi  scoppia  di  rammarico  il  cuore  quante 
"  volte  ricordo  le  buone  inclinazioni  che  Iddio 
"  benedetto  aveva  poste  in  me ,  e  quanto  mala- 
"  mente  me  ne  seppi  approfittare.  Nel  che  era  io 
"  tanto  maggiormente  colpevole,  in  quanto  che  ad 
"  esser  tutta  di  Dio  non  trovavo  verun  ostacolo 
"  nel  consorzio  dei  miei  fratelli. 

"  Portavo  io  ad  essi  tutti  tenerissima  affezione. 

Estasi  umane,  20 


306  CAPITOLO  X 


"  ed  essi  di  egualmente  viva  mi  ricamììiavano,  uno 
"  tuttavia  ve  n'era,  pure  della  mia  età,  ch'io  amava 
"  più  degli  altri.  Solevamo  riunirci  questi  ed  io 
"  per  leggere  insieme  le  vite  dei  santi.  Al  veder 
"  in  esse  i  diversi  supplizi  che  i  martiri  avevano 
"  sofferto  pel  Signore,  parevami  che  a  buon  mer- 
^  cato  assai  comprassero  essi  la  sorte  d' andar  a 
"  goder  Dio,  e  con  tutta  V  ardenza  dei  miei  desi- 
"  derii  aspiravo  io  pure  a  morte  sì  bella.  Ma  non 
"  era  già  l'amore,  che  parevami  portare  a  Dio,  che 
^  mi  ponesse  in  cuore  tal  brama ,  si  il  desiderio 
^  grande  d'andar  tosto  a  fruire  di  quella  ineffabile 
"  felicità ,  di  cui  leggevo  nei  libri  sì  gran  cose. 
"  Stringemmo  con  lui  a  consiglio  per  vedere  se 
"  via  ci  fosse  da  venire  a  capo  di  soddisfare  tal 
"  brama.  D  partito  che  più  ci  arridesse  era  quello 
"  di  andarcene  liinosinando  per  Dio  in  terra  di 
"  Mori ,  sperando  di  venir  da  loro  decapitati.  E 
^'  ben  mi  par  che  il  Signore  in  quella  tenerezza 
^  d'età  ci  desse  animo  bastante  a  eseguire  un  tal 
^  divisamente ,  se  ci  fosse  porto  alcun  modo  di 
^  partire;  ma  noi  avevamo  un  padre  ed  una  madre 
"  e  questo  ci  parve  il  più  serio  inciampo. 

"  Ma  cosa  non  v'  era  che  così  alta  ci  facesse 
"  impressione ,  quanto  il  leggere  nei  nostri  libri 
"  come  i  castighi  non  meno  che  le  ricompense  do- 
"  vesserò  durare  eternamente.   E  però  awenivaci 


SANTA  TERESA  3Q7 


^  spesso  dì  stare  lunga  pezza  di  ciò  ragionando  e 
"  gustavamo  di  ripeter  molte  volte  :  Per  sempre , 
"'Sempre,  sempre!  E,  col i replicare  molto  spesso 
"tali  parole y  piacque  a  Dio  che  in  quella  prima 
"  età  restasseci  espresso  altamente  il  desiderio  di 
"  mai  non  torcere  il  pie  dal  retto  sentiero. 

"  Se  non  che,  vedendo  come  nulla  ne  era  dell'an- 
"  dare  in  luogo,  dove  dato  ci  fosse  cogliere  la  palma 
"  di  martiri ,  ci  risolvemmo  di  menar  la  vita  di 
"anacoreta.  E  però  ci  demmo  a  costruire  nel 
"  giardino  di  casa  come  meglio  venivaci  fatto , 
"cellette  da  romiti,  ponendo  le  une  suUe  altre 
"  delle  piccole  pietre,  che  indi  a  poco  cadevano, 
"  e  così  ogni  tentativo  d' appagare  i  nostri  voti 
"restava  deluso.  Onde  ci  sentivamo  dolcemente 
"  intenerire,  in  considerare  come  Dio  s'affrettasse 
"  a  darmi  di  buon'  ora  quello  che  per  mia  colpa 
"  perdei.  „ 


Chi  da  fanciullo  sogna  il  martirio  e  la  vita  di 
anacoreta  finisce  ben  presto  coli'  entrare  in  con- 
vento, unico  asilo  dell'ascetismo  e  dell'estasi. 

Santa  Teresa,  dopo  aver  ragionato  lungamente 


308  CAPITOLO  X 


col  fratello  prediletto  della  vanità  del  mondo ,  si 
accorda  con  lui  per  abbandonare  la  casa  paterna 
e  per  rifugiarsi  in  un  monastero,  dove  si  trova 
già  un'amica  d'infanzia. 

"  Vero  è  non  per  altro/riguardo  alla  fatta  scelta, 
^'  che  per  quanto  una  tal  dolce  amicizia  dei  primi 
^  anni  potesse  rendermi  caro  quel  monastero ,  in 
^  tali  disposizioni  d'animo  già  mi  trovava,  che  sa- 
^  rei  entrata  in  qualunque  altro,  se  avessi  creduto 
"  di  potervi  servir  meglio  il  Signore,  o  veramente 
^  se  mio  padre  avesse  mostrato  desiderarlo ,  che 
"  ben  più  seriamente  guidavami  il  pensiero  del  mio 
"  bene  e  d' agi  di  vita  e  di  private  soddisfazioni 
"  non  facevo  alcun  caso. 

"  Sì,  dico  il  vero,  ed  ho  presente  la  cosa  come 
^  foss'ora,  all'atto  di  abbandonare  la  casa  patema, 
^  tale  provai  un  trangosciamento ,  che  non  credo 
"•  sia  per  riservarmene  un  maggiore  l'ora  suprema 
"  di  morte.  Sembrommi  in  quell'istante  che  tutte 
"  mi  si  scerpassero  l' ossa.  Com'  era  pur  sempre 
"  fievole  in  me  l'amor  celeste,  il  terreno  pel  padre 
"  e  i  parenti  rivaleva  più  che  mai  gagliardo:  fu 
"  momento  di  terribile  lotta  e  combattei  meco 
"  stessa  con  supremo  sforzo.  Ah!  se  il  Signore 
"  non  mi  avesse  stesa  in  quel  decisivo  momento 
^  la  sua  soccorrevol  mano ,  era  finita,  e  tutt«  le 
^  mie  considerazioni  sarebbero  tornate  impotenti. 


SANTA  TEBESA  309 


^  e  mi  sarei  data  vinta.  Ma  la  sua  bontà  degnò 
"  ravvalorarmi  contro  me  stessa  e  potei  dare  ardi- 
^  tamente  effetto  al  mio  disegno.  ^ 

Oli  sorapoli,  ohe  sono  una  delle  espressioni  pib 
sablimi  e  più  naturali  dell'idealità  religiosa,  inco- 
minciano ben  presto  in  santa  Teresa,  per  non  la- 
sciarla più: 

^ Ohi  che  più  far  potea  Y  amor  vostro 

"  per  me?  E  qui  già  veramente  non  so  come  pro- 
^  seguire  la  mia  narrazione  al  riaffaociarmisi  al 
^  pensiero  le  solenni  rimembranze  dei  miei  voti , 
^l'alto  coraggio  e  le  gioie  sì  pure  di  giorno  sì 
^  bello  e  le  spirituali  sponsalizie  con  la  Maestà 
^  vostra  celebrate  !  No ,  parlar  non  posso  senza 
^  lacrime ,  e  lacrime  di  sangue  ben  converrebbe 
"•  che  fossero,  e  che  il  cuore  in  petto  scoppiassemi, 
"  né  troppo  sarebbe ,  o  celeste  mio  Sposo ,  alle 
"•  offese  che  tante  v'ha  fatte  dopo  il  dì  testimonio 
^  della  mia  promessa.  Farmi  ora  che  ben  m' ap- 
"ponevo  a  non  volere  stringere  nodi  sì  santi, 
"  dacché  profanar  dovevo  sì  indegnamente  l' au- 
"  gusto  titolo  di  sposa  vostra.  E  voi ,  Ben  mio , 
"  duraste  ben  quasi  venti  anni  a  sofferire  un'infe- 
"  dele ,  e  comportarvi  d'esser  l'offeso ,  per  istrin- 
"  germi  poi  al  seno  meno  indegna  di  voi.  Oh  non 
"  parrebbe  egli,  gran  Dio,  che  appiè  dei  sacri  altari 
^  non  giurassi  che  dij  tradire  quanto  vi  faceva 


310  CAPITOLO  X 


^^  promessa?  Tal  non  era  certo  allora  T intenzione 
^^mia,  ma  al  vedere  quale  si  fossero  dappoi  le 
"  mie  opere,  più  già  non  so  che  ne  dire.  Valgano 
"  almeno  le  mie  infedeltà,  o  celeste  mio  Sposo,  a 
"  dar  sempre  meglio  a  divedere  e  chi  vi  siate  voi 
^  e  chi  mi  sia  io •    ,, 


* 


Uno  dei  più  gravi  problemi  che  la  scienza  è 
destinata  a  risolvere  è  quello  di  stabilire  che  cosa 
si  possa  e  si  debba  sostituire  alla  religione,  come 
base  della  morale.  A  dimostrare  almeno  quanto 
sia  difficile  il  problema,  valga  questa  pagina  delle 
Confessioni  di  santa  Teresa: 

" Sentii  io  allora  i  felici  e  validi  effetti 

^  di  quella  grazia  d'  orazione  che  il  Signore  mi 
^^  aveva  concesso.  Sua  mercè,  comprendevo  io  in  che 
^  consistesse  il  suo  amore.  Esso  in  questo  breve 
"  spazio  di  tempo  fé  germogliare  in  me  le  seguenti 
^  virtù  che  se  non  furono  forti  abbastanza  da  te- 
^^  nermi  salda  nel  sentiero  della  perfezione ,  mi 
"  servirono  almeno  di  schermo  e  d'aiuto.  Non  di- 
"  cevo  male  d'alcuno,  fosse  pur  leggerissima  cosa: 
"  avevo  anzi  in  costume  di  prender  le  difese  di 
"  quelli  contro  cui  per  sorta  si  mormorasse.  Mi 
^  era  sempre  presente  la  massima  che  non  dovessi 


SANTA  TERESA  311 


^  trovar  piacere  ad  ascoltare  o  ridire  cosa  alcuna 
"  che  non  avrei  volato  si  dicesse  di  me.  Mi  diedi 
^  a  seguire  tal  regola  di  condotta  con  sommo 
^  studio  per  le  occasioni  che  vi  avevo,  sebben  poi 
^  la  cosa  non  mi  riuscisse  sì  perfettamente,  che  a 
"  volte  in  subiti  e  difficili  casi  non  fallissi  in  qual- 
^  che  parte;  ma  per  ordinario  io  era  fedele  alle 
^  mie  risoluzioni.  ^ 

E  gli  scrupoli  si  alternano  colle  timide  e  mo* 
deste  compiacenze: 

^  Ciò  che  maggiormente  a  parer  mio  mi  nocque 
^  si  fu  il  non  trovarmi  in  un  monastero  intera- 
^  mente  separata  dal  mondo  mediante  la  clausura. 
"  Le  altre  religiose  di  provata  virtù  ben  potevano 
^  innocentemente  avvalersi  della  libertà  che  gode^ 
"  vano.  I  loro  voti  non  le  obbligavano  a  più,  non 
^  permettendosi  clausura  in  quel  monastero.  Ma 
"  per  conto  mio  che  ami  la  debolezza  medesima  (!I)  simil 
^  libertà  avrebbemi  certamente  traboccata  nell'in- 
"'  ferno,  se  con  tanti  aiuti  e  grazie  particolarissime 
^  da  tali  rischi  tratta  non  mi  avesse  il  Signore. ,, 

L'orazione  è  analizzata  da  santa  Teresa  in  tutte 
le  sue  misteriose  delizie: 

^ Tutti,  è  vero,  ci  troviam  costantemente 

^  sotto  gli  occhi  di  Dio;  ma  l'anima  nell'orazione 
^  vi  si  trova  a  m|o  credere  in  una  maniera  tutta 


312  CAPITOLO  X 


^  speciale.  Essa  s'avvede  ohe  Dio  la  sta  mirando, 
^  ovechè  gli  altri  possono  dimenticare  anche  per 
"  più  giorni  che  quell'occhio  insonne  non  lo  perde 
^  di  vista  per  un  istante.  Vero  è  che  debba  con- 
^  fessare  come  nel  corso  di  questi  anni  io  noveri 
^  alcuni  mesi,  e  credo  talvolta  qualche  anno  intero 
^'  di  una  fedeltà  generosa.  In  tali  intervalli ,  dan- 
^  domi  con  ardore  all'  orazione ,  fuggivo  a  tutto 
^  potere  la  menoma  colpa  e  prendeva  molte  e  serie 
^  cautele  per  non  offendere  il  Signore.  L'  esatta 
^  verità  che  presieder  deve  al  mio  racconto  mi 
^  obbliga  a  farne  ricordo.  Ma  non  mi  resta  che 
"  debol  rimembranza  di  questi  giorni  felici  :  debbon 
^'  pur  esser  stati  pochi,  come  molti  i  cattivi.  Quasi 
^  niun  d'essi  tuttavia  ne  trascorse  in  cui  non  con- 
"  sacrassi  un  tempo  considerevole  aU'  orazione  , 
^  salvochè  quando  ero  assai  aggravata  dal  male , 
^  o  molto  occupata.  Quando  stavo  più  inferma,  più 
^  intima  era  la  mia  unione  con  lui.  Procuravo  che 
"  le  persone  le  quali  trattavano  e  conversavano 
"  meco  anch'esse  godessero  d'un  tanto  bene,  loro 
"  lo  pregava  dal  cielo  e  spesso  parlava  loro  di  Dio. 
"  E  così ,  non  contando  l' anno  che  ho  detto ,  di 
^  vent'otto  già  scorsi  da  che  cominciai  a  far  ora- 
"•  zione.  ne  passai  più  di  diciotto  in  tal  modo  com- 
^^  battendo  e  lottando,  divisa  fra  il  cielo  e  la  terra.  „ 


SANTA  TERESA  313 


L'esaltazione  ascetica  della  nostra  santa  va  cre- 
scendo: 

^  Oh  bontà  infinita  del  mio  DioI  panni  che  in 
"  sì  diverse  condizioni  appunto  io  veggo  voi ,  io 
^  veggo  me.  O  delizia  degli  angeli ,  tutta  vorrei 
"  struggermi  a  tal  vista  in  amarvi  !  Sì,  Signor  mio 
"  dolce,  voi  soflfrite,  se  v'ha  chi  non  soffre  che  voi 
^  stiate  con  ]uil  E  oh!  qual  tenero  amico  non  vi 
"  addimostrate  voi  mai  per  un  tal  ingrato!  Quali 
^  testimonianze  d' amore  non  gli  prodigate  !  Con 
^  quanta  bontà  il  soffrite  e  l'aspettate  !  Con  qual 
^  condiscendenza ,  tanto  eh'  egli  non  s' è  venuto 
^  confermando  alla^condizione  vostra,  voi  frattanto 
"  ne  sopportate  la  sua  !  Voi,  li  tenete  conto,  o  Si- 
^  gnor  mio ,  dei  brevi  momenti  che  consacra  al 
"  vostro  amore  e  un  istante  di  vero  pentimento 
^  vi  fa  dimenticare  quanto  mai  v'ha  fatto  offesa.  „ 

"  Entro  un  giorno  in  un  oratorio,  ivi  trovavasi, 
"  per  venir  esposta  in  una  prossima  solennità,  una 
"  statua  di  Nostro  Signore ,  coperto  tutto  di  pia- 
^  ghe.  La  devota  effigie  colpisce  istantaneamente 
"  i  miei  occhi  :  le  ferite  del  Salvatore  sembravano 
^  sì  vere,  mostrava  quella  statua  in  sì  viva  e  com- 
"  movente  maniera  ciò  eh'  egli  sofferse  per  noi , 
^  che  al  vederla  condotta  a  tale ,  ne  rimasi  pro- 
^  fondamente  scossa.  Al  mirare  quelle  piaghe  ri- 


314  CAPITOLO  X 


"  cevute  per  me ,  al  rammentare  le  sconoscenze 
••'  con  cui  ripagato  aveva  un  tanto  amore,  fui  com- 
^  mossa  da  dolore  sì  alto ,  che  parevami  mi  si 
^'  fendesse  il  cuore.  Cado  in  sull'  atto  ginocchioni 
^  a'  piedi  del  Salvatore,  e,  spargendo  un  torrente 
^  di  lacrime,  lo  supplico  di  fortificarmi  una  volta 
^  così  ohe  mai  più  non  abbia  ad  offenderlo.    .    ^ 

In  questo  stato  di  eccitamento  continuo,  di  con- 
centrazione d' ogni  pensiero  in  un  solo  pensiero , 
d' ogni  affetto  in  un  solo  affetto ,  1'  estasi  non  è 
lontana.  Teresa  descrive  stupendamente  con  poche 
parole  questo  inabissarsi  dell'uomo  in  Dio. 

^ Mentr'io  nell'orazione  trattenevami  ai 

"  piedi  del  divin  Maestro ,  interiormente  rappre- 
^  sentandomelo  nel  santuario  dell'anima,  e  talvolta 
"  ancora  nell'  atto  di  leggere,  accade vami  d' esser 
''  compresa  all'improvviso  da  un  sentimento  della 
^  presenza  di  Dio  tanto  vivo ,  da  non  potere  in 
^'  conto  veruno  concepir  dubbio  ch'Egli  non  istease 
^^  entro  di  me  e  tutta  non  fossi  in  lui  inaòissata. 

'^  Non  era  già  quel  che  provavo  ima  qualche 
''  specie  di  visione ,  sì  veramente  ciò  che  credo 
^^  chiamino  teologia  mistica.  É  l'anima,  per  effetto 
^  suo ,  siffattamente  sospesa ,  che  par  come  tutta 
^'  fuor  di  sé.  Ama  la  volontà ,  la  memoria  parmi 
"  ^ia  quasi  perduta,  e  l'intelletto  non  opera,  selh 


SANTA  TERESA  315 


^  bene  non  si  perda:  non  opera,  dico,  ma  rimane 
^  come  sopraffatto  dall'alta  cosa  che  intende,  per- 
"  che  vnole  Iddio  che  conosca  come  di  quanto  la 
^  Maestà  sua  in  quell'  atto  gli  rappresenta ,  nulla 
^  esso  comprenda.  ^ 


Nulla  rassomiglia  più  agli  ardori  ascetici  quanto 
l'amore,  e  basterebbero  a  provarlo  questi  passi 
di  santa  Teresa,  tolti  alla  Storia  della  propria 
vita: 

^ Al  tempo  felice  in  cui,  come  mi  giova 

^  sperare  dalla  bontà  di  Dio ,  io  presi  a.  servirlo 
^  e  cominciai  a  menar  la  vita  novella  che  mi  resta 
^  a  descrivere,  tomavami  di  gran  diletto  rappre- 
^  sentarmi  l'anima  mia  sotto  immagine  d'un  giar- 
^  dino  e  sognai  coU'occhio  il  divino  mio  Sposo,  che 
^  quasi  per  esso  se  ne  andasse  a  diporto.  E  Tan- 
^  dava  supplicando  d'aumentare  il  profumo  di  quei 
"  poveri  fioretti,  di  quelle  virtù  in  germi,  cioè,  che 
^  pareva  istessero  per  isbocciare:  non  mirar  la  mia 
'^  preghiera  che  la  sua  gloria,  degnasse  coltivarli 
"  unicamente  per  sé  e  non  per  me ,  e  coglierne. 
^  quelli  che  più  gli  fossero  a  grado,  ben  ero  sicurtii 


316  CAPITOLO  X 


^  che  più  leggiadri  rìsponterebbero  e  più  olezzanti. 
^  E  nou  senza  perchè  mi  valgo  di  qaesta  imma- 
^  gine  di  corre  i  fiori,  perchè  vengon  poi  dì  in  cui 
^  nell'anima  già  più  non  sembra  restar  traccia 
^  di  questo  giardino.  Tutto  pare  vi  sia  stato  ina- 
"•  ridito  e  che  non  s'abbia  a  trovar  acqua  per  ri- 
^  dargli  freschezza,  e  par  quasi  mai  non  sia  stato 
^  nell'anima  fior  di  virtù.  E  grande  allora  è  il  tra- 
^  vaglio  che  passa  il  povero  giardiniere ,  perchè 
^  vuole  il  Signore  gli  paia  che  quanto  ha  fatto  in 
^  adacquar  il  giardino  e  tenerlo  in  essere ,  tutto 
^  sia  fatica  perduta.  É  il  vero  tempo  allora  di 
^  sarchiar  coraggiosamente  e  di  svellere  fin  dalle 
"  radici  l'erbe  cattive,  che  per  ventura  restassero, 
"  per  piccole  che  siano.  È  l'umiltà  che  fa  questo 
"  lavoro ,  scoprendoci  l' inutilità  di  tutti  i  nostri 
"  sforzi,  se  ci  toglie  Dio  l'acqua  della  grazia,  e 
^  facendoci  calpestare  il  nostro  niente  e  meno  che 
^  niente.  Si  fa  così  l'anima  profondamente  umile 
"  e  r  orticel  benedetto  vede  crescer  di  nuovo  i 
"  suoi  fiori. 

"  No,  dolce  Signor  mio,  no,  sommo  mio  Bene, 
"  non  posso,  senza  sentirmi  scorrere  le  lagrime  in 
^  viso  e  innondar  l' animo  di  contento ,  significar 
^  l'eccesso  della  mia  felicità.  „ 


SANTA  TERESA  317 


Ecco  una  pagina  che  paò  servire  alla  psicologia 
delFamore  quanto  alla  storia  delle  estasi  religiose: 

^ Tornando  adunque  a  tal  maniera  d'in- 

"  tendere,  quello  che  a  me  ne  pare  si  è,  volere  il 
^  Signore  che  tale  anima  s'abbia  una  qualche  con- 
^  tezza  di  quel  che  si  passa  in  cielo.  Egli  la  inizia 
^  così  a  quel  parlare  senza  parole  che  è  il  lin- 
^  guaggio  della  patria  celeste.  La  qual  favella  non 
"  seppi  io  mai  usare  i  beati,  finché  il  Signore  volle 
^  che  ne  fossi  spettatrice,  mostrandomi  quei  felici 
"  spiriti  in  un  ratto.  Or,  in  somigliante  maniera, 
^  fin  da  questa  terra  d'esilio,  Dio  e  l'anima  s'in- 
"  tendono,  pur  per  voler  Egli  esserne  inteso,  senza 
^  che  loro  accada  artifizio  almeno  di  segni  ad 
^  esprimerci  la  vicendevole  dilezione.  Quaggiù  tra 
"  noi  mortali,  due  persone  di  desto  ingegno  e  che 
^  s'amino  assai,  e  s'intendon  tra  loro  anche  senza 
^  cenni ,  pur  solamente  mirandosi.  Or  cosa  somi- 
"  gliante  appunto  deve  accadere  in  tal  misterioso 
^  commercio  tra  Dio  e  l' anima,  che,  senza  poter 
"noi  sapere  come,  a  faccia  a  faccia  s'affisano  questi 
^  dme  amanU,  Così  udii  in  avvenire,  e  se  mal  non 
^  mi  appongo ,  così  nella  Cantica  lo  sposo  dice 
"  alla  sposa.  „ 


318  CAPITOLO  X 


Ed  ecco  un'altra  pagina  sublime,  dove  il  cuore 
della  donna  illuminato  dal  raggio  del  genio  de- 
scrive gli  ineffabili  rapimenti  dell'estasi  ascetica: 

^  É  codesto  stato  un  sonno   delle  po- 

^  tenze ,  in  cui ,  senza  essere  al  tutto  perdute  in 
^  Dio ,  non  intendono  ciò  non  pertanto  di  qual 
^  guisa  esse  operino,  n  gusto,  la  soavità  ed  il  di- 
^  letto  è  senza  comparazione  maggiore  che  nel 
^  grado  d'orazione  antecedente.  Innondata  l'anima 
^  dell'acqua  della  grazia  che  Dio  la  fa  scorrere  a 
^  piene  sponde,  più  non  può,  più  non  sa  né  andare 
"  avanti ,  né  tornare  indietro ,  non  arde  che  del 
"  desiderio  di  godere  d'un  tal  soperchio  di  gloria. 
^  É  come  uno  il  quale  si  stia  colla  candela  in 
"  mano,  in  punto  già  d'incontrare  una  morte  lun- 
^  gamente  bramata.  Sta  godendo  l'anima  in  quel- 
^  V  agonia  col  maggior  diletto  che  dir  si  possa  : 
"  altro  proprio  non  panni  lo  stato  mio  che  un 
"  morire  interamente  quasi  alle  cose  tutte  del 
"  mondo ,  e  uno  star  deliziandosi  in  Dio.  Non  so 
^  trovare  più  acconcia  immagine  per  significare 
"  ed  esprimere  quel  eh'  essa  prova.  In  tal  condi- 
^' zione  non  sa  che  si  fare,  essa  ignora  se  parla, 
^  se  tace,  se  ride,  se  piange  :  è  come  un  glorioso 


SANTA  TERESA  319 


^  delirio,  una  celeste  follia,  in  cui  imparasi  la  vera 
^  saviezza:  insomma  è  per  lei  maniera  di  godere 
"  deliziosissima.  „ 

« 

Santa  Teresa,  altrove,  giunge  a  chiamar  questo 
suo  stato,  santa  follia  ceU8Uale,e  forse  mai  parole 
più  alate  furono  adoperate  ad  esprimere  con  scien- 
tifica esattezza  la  realtà  dei  fatti. 

"  Oh  I  siate  voi  in  eterno  benedetto.  Signore  mio 
"  dolce,  e  tutte  cantino  sempremai  vostre  lodi  le 
^  creature!  Piacciavi ,  o  mio  re ,  esaudir  la  pre- 
"  ghiera  che  in  questo  momento  vi  volgo.  Dac- 
"  che,  per  grazia  e  misericordia  vostra,  nel  vergar 
^  che  fo  queste  parole  son  posseduta  per  sempre 
"  da  questa  santa  follia  celestiale 

B  altrove: 

" Propongomi  di  esporre  altresì  la  grazia 

"  onde  questa  divina  unione  è  sorgente  e  gli  eflfetti 
"  che  produce  nell'anima,  e  dire  che  può  questa 
"  fare  da  sé  e  se  è  capace  di  elevarsi  a  così  alto 
"  scopo.  Tra  i  beati  ardori  dell'  amor  celeste  ha 
^^  luogo  in  tal  orazione  quel  movimento  interiore, 
^  che  si  chiama  elevazione  o  volo  di  spirito.  .È  per 
^  mio  avviso  cosa  differente  1'  unione  dalla  eleva- 
"  zione.  Parrà  per  ventura  a  chi  non  n'abbia  espe- 
'^  rienza,  che  non  vi  sia  divario  di  sorta.  Ma  quanto 
'^  a  me ,  ammettendo  pure  che  queste  due  grazie 
^  sieno  in  fondo  una  sola  e  medesima  cosa ,  dico 


320  CAPITOLO  X 


^  che  Dio  opera  soli'  una  e  sali'  altra  in  diversa 
^  maniera ,  e  che  col  volo  dello  spirito  comunica 
^  aU'anima  an  distacco  ben  più  grande  dalle  crea- 
"  ture.  A  tal  potenza  d'affetto  ebbi  a  riconoscere 
^  chiaramente  come  l' elevazione  dello  spirito  sia 
^  una  grazia  speciale,  benché,  come  dico,  in  ap- 
^  parenza  non  sembra  differir  dall'  unione.  Anche 
^  un  fuoco  piccolo  è  tanto  fuoco  quanto  un  grande, 
"^  pure  è  palese  la  differenza  che  corre  tra  l' una 
"  e  l'altra.  In  piccol  fuoco  prima  che  piccol  ferro 
^  s'arroventi,  passa  gran  tempo,  ma,  se  il  fuoco  è 
^'  grande ,  in  molto  breve  spazio  di  tempo  perde 
"  tutto  il  suo  essere ,  secondo  che  pare.  Simil 
^  differenza  mi  sembra  passare  tra  queste  due 
^  grazie  del  Signore.  Son  certa  che  chi  giunse  ad 
^  aver  rapimento  intenderà  di  leggeri  le  cose  che 
^  dico ,  ma  ogni  altro  le  crederà  vaneggiamenti ,   né 

^  forse  a  torto 

" Vero  è  che  mal  si  può  giudicare  quanto 

"  vi  si  stia ,  perchè  si  è  allora  fuori  di  sentirnewto , 
"  ma  dico  che  tutte  le  volte  che  questa  sospen- 
^  sione  generale  dei  sensi  ha  luogo ,  assai  poco 
^  sempre  si  sta ,  senza  che  torni  in  sé  qualcuna 
^  delle  potenze.  La  volontà  è  quella  ohe  sta  più 
^  salda  alla  lotta,  ma  l'altre  due  tornano  ben  tosto 
^  ad  importunare  :  quando  la  volontà  è  quieta,  le 
^  torna  a  sospendere,  e  stando  così  un  altro  poco 


SANTA  TERESA  321 


"  tranquille,  riprendono  la  naturale  loro  vita.  Or, 
^  con  tali  alternative  si  possono  passare  alcune 
'^  ore  d'orazione  ed  in  effetto  si  pasèano,  perocché, 
^  incominciato  che  abbiano  una  volta  ad  inebbriarai 
"  di  quel  vino  celeste ,  quelle  due  potenze  fan  vo- 
"  lentieri  sagrifizio  di  loro  attività  naturale ,  per 
^  assaporare  tanto  maggior  diletto,  pel  quale  fine 
"  si  uniscono  colla  volontà  e  godono  così  tutte 
"  tre  di  concerto.  Ma  questo  stato  di  estasi  completa, 
^  senza  che  l'immaginativa,  parimente  secondo  me 
"  rapita,  volgasi  a  qualche  estraneo  oggetto,  è,  lo 
''  ripeto,  di  breve  durata.  Aggiungo  che  la  potenza 
^  non  tornando  in  sé  che  imperfettamente,  possa 
^  rimanersi  in  una  specie  di  delirio  alcune  ore,  du- 
^  rante  le  quali  a  quando  a  quando  le  rapisce  di 
'*  nuovo  il  Signore  e  in  sé  lor  dà  posa.  „ 

Giunta  Teresa  sugli  estremi  confini  del  sensibile 
e  dell'intelligibile,  la  santa  spagnuola  sembra  tro- 
vare insufficienti  le  parole  del  suo  dizionario  quo- 
tidiano, e  mentre  svolazza  nelle  nebbie  della  più 
alta  metafisica,  fa  parlare  Dio,  perché  la  parola 
di  Tina  povera  creatura  mortale  le  sembra  insuffi- 
ciente ad  esprimere  ciò  ch'ella  prova: 

"  Passiam  ora  ai  sentimenti  interiori  dell'anima 
"  in  tal  condizione.  Dicalo  chi  lo  sa,  come  non  si 
"  può  capire,  e  tanto  meno  esprimere.  Uscita,  sta- 

Estasi  umane.  21 


322  CAPITOLO  X 


^  mani ,  in  tal  orazione  j  e ,  preparandomi ,  dopo 
^  essermi  comunicata ,  a  scrivere  sa  questo  sog- 
^  getto ,  andavo  meco  stessa  esaminando  ohe 
^  faccia  Fanima  in  tal  tempo.  Dissemi  il  Signore 
"  queste  parole:  ^  Struggevi  tutta,  o  figlia,  per  inor 
^  bissarsi  più  profondamente  in  me:  già  non  è  essa 
^  che  mve,  ma  io  :  come  non  può  comprendere  quello 
"  che  intende ,  è  il  suo  un  non  intendere ,  pur  int^H" 
"  dendo,  „ 

^  Bimane  l'anima,  dopo  tal  orazione  ed  unione, 
^  ricolmata  di  tenerezza  grandissima,  cotalcbè  vor- 
^  rebbe  struggersi,  non  di  pena,  ma  sì  della  dol* 
^  cozza  stessa  di  quelle  lagrime  che  va  spargendo. 
"  Trovasene  essa  molle,  senza  averle  sentite  scor- 
"•  rere  e  senza  sapere  né  quando  né  come  abbiale 
"  sparse.  Ma  grande  le  dà  diletto  il  vedere  come 
"  tal  acqua  celeste,  pur  rattemprando  T  arder  del 
^^  fuoco  che  la  divora ,  riesce  ad  aumentarlo  in 
"  iscambio  d'estinguerlo.  Parr«\  codesto  un  parlare 
^  arabesco,  ma  pure  la  cosa  passa  così. 

"  In  tal  grado  d'orazione  avvennemi  a  volte  di 
"  trovarmi  siflfattamente  fuor  di  me,  che  non  sa- 
"  peva  se  la  gioia  onde  erami  sentita  innondare 
"  era  una  realtà  od  un  sogno.  Tutta  trovavami 
"  sparsa  di  lacrime:  scorrevano  esse  senza  pena, 
"  ma  con  tal  impeto  e  prestezza  che  quella  cele- 


SANTA  TEBESA  323 


"  ste  nuvola  pareva  lasciarle  scorrere  a  torrenti 
"  dal  seno.  A  tanto,  avvedevami  come  stato  non 
"  era  sogno  altrimenti.  Avveniva  questo  nei  prin- 

« 

"  cipii  e  poco  soleva  durare. 

"  Per  effetto  d'un  tal  favore,  resta  l'anima  tanto 
"  piena  di  coraggio  che  se  in  quel  punto  venisse  fatto 
"  a  brcmi  il  suo  carpo  per  la  causa  di  Dio ,  grande 
"  le  parrebbe  ventura.  Ed  ecco  germogliare  allora 
"  come  a  gara  le  promesse  e  le  risoluzioni  eroiche, 
"  la  vivacità  dei  desiderii ,  l' orrore  del  mondò  e 
"  la  chiara  vista  della  sua  vacuità.  Fa  qui  l'anima 
"  assai  più  profitto  che  nelle  orazioni  precedenti 
"  e  viene  elevata  a  più  alto  stato.  Ne  riman  pure 
^  più  profondamente  umile  :  perocché  vede  chiaro 
"  come  in  quella  sì  eccessiva  e  stupenda  grazia 
"  non  intervenne  consenso  suo,  né  ebbe  essa  parte 
^  alcuna  a  procurarlasi  o  ritenerla  .••••• 


La  pagina  che  segue  sembra  scritta  da  un  fisio- 
logo più  che  da  una  santa.  E  pensare  che  da 
scrittorelli  leggeri  e  beffardi,  è  detta  una  povera 
isterica  e  nulla  più! 

"  Vorrei,  la  mercè  del  divin  soccorso,  saper  di- 


324  CAPITOLO  X 


"  ohiarare  la  differenza  che  corre  tra  l'unione  ed 
"'  il  ratto.  Si  danno  al  ratto  varii  nomi,  che  tutti 
^  in  fondo  esprimono  la  stessa  cosa:  vien  detta 
"  elevazione  o  volo  di  spirito ,  eccesso  di  mente  od 
"  esiasi. 

"  Il  ratto  supera  di  gran  lunga  l'unione:  oltre- 
"^  che  produce  effetto  assai  maggiore;  ha  molte 
"  altre  operazioni  che  gli  son  proprie.  L' unione 
^  nel  suo  principio,  mezzo  e  fine,  opera  pressoché 
^  sempre  della  medesima  maniera,  e  solo  nell'  in- 
"  temo.  Il  ratto  ha  diverse  forme  e  diversi  gradi, 
"  e  come  dono  di  ordine  più  elevato ,  opera  non 
"  solo  nell'interno,  ma  nell'esterno  ancora.  Degni 
"  il  Signore  esporre  un  tal  soggetto ,  come  già  i 
"  precedenti  :  che  certo,  se  non  m'avesse  insegnato 
"  Egli  stesso  di  qual  maniera  ne  poteva  dare 
^^  qualche  intelligenza ,  mai  non  sariami  venuto 
"fatto 

"  Non  altrimenti  che  le  nuvole  attirano  i  vapori 
"  della  terra,  attira  Egli  a  so  l' anima  nostra,  la 
"  rapisce  tutt'intiera  fuor  di  sé  stessa,  e  in  sulla 
"  nube  della  sua  gloria  seco  la  conduce  al  cielo , 
''  e  incomincia  a  disvelarle  le  meraviglie  del  regno 
"  che  le  tiene  apparecchiato.  Non  so  se  la  simi- 
"  litudine  quadri,  ma  così  per  l'appunto,  ha  luogo 
"  la  cosa. 

^  In  questi  rapimenti  pare  che  1'  anima  abban- 


SANTA  TERESA  325 


"  doni  il  corpo;  e  però  il  calor  naturale  molto 
^  sensibilmente  si  va  indebolendo  e  le  membra 
^  rafi&eddansi  a  poco  a  poco ,  benché  provisi  ad 
"  un'ora  grandissima  soavità  e  diletto.  Nella  ora- 
"  zione  di  unione ,  trovandoci  noi  tuttavia  come 
"  nel  paese  nostro ,  possiamo  quasi  sempre  resi- 
^  stere  all'attraimento  divino ,  comechè  con  pena 
"  e  violento  sforzo;  ma  non  così  nel  ratto:  ogni 
"  resistenza  v'è  per  lo  più  impossibile.  Prima  che 
"  non  vi  pensi  o  s'aiuti,  viene  un  impeto  sì  subi- 
"  taneo  e  gagliardo,  che  vedete,  che  sentite  quella 
"  nube  del  cielo  o  quell'aquila  divina  rapirvi  e  via 
"  trasportarvi  a  volo.  E  dire  che  vi  sentirete  e  vi 
"  vedrete  portare  e  non  saprete  dove ,  perocché , 

0 

^  quantunque  sia  con  diletto ,  la  fiacchezza  del* 
"  l'inferma  natura  fa  temere  nei  principii  e  bisogna 
^  aver  anima  risoluta  e  coraggiosa,  assai  più  che 
^  a  quanto  finora  s' è  detto ,  per  ammirar  così 
"  tutto ,  avvenga  che  può ,  e  abbandonarsi  nelle 
"  mani  di  Dio ,  ed  andare  dove  sarà  piacer  suo , 
"  ohe ,  per  quanto  provisi  pena ,  ivi  si  è  traspor- 
"  tato.  E  sì  viva  è  questa  pena ,  ohe  moltissime 
"  volte  vorrei  resistere,  e  tutta  v'  impiego  la  mia 
"  forza ,  segnatamente  ove  la  cosa  avvengami  in 
"  pubblico,  ed  anche  talora  quando  in  privato,  per 
"  timore  allora  di  venire  ingannata.  Alcune  volte 
"  potevo  opporre  qualche  resistenza,  ma  tutta  ri- 


326  CAPITOLO  X 


"  maneva  rotta  dalla  persona,  e  al  par  di  chi  lotta 
^  con  gagliardo  gigante,  restavano  affiranta  e  spos- 
^  sata.  Altre  volte  erano  vani  tutti  i  miei  conati^ 
^  la  mia  anima  era  rapita  e  il  mio  oapo  per  or- 
^  dinario  segaiva  tal  moto ,  senza  ohe  il  potessi 
^  ritenere,  e  talora  perfino  tutto  il  mio  corpo  ve- 
^'  niva  sollevato ,  tanto  da  essere  innalzato  da 
"  terra  (1).  Ma  questo  mi  occorse  solo  raramente. 
"  Awennemi  una  volta  mentre  ritrovavami  in  coro 
^  insieme  colle  altre  religiose  e  stava  inginocchioni 
^  per  comunicarmi.  Estrema  fu  la  mia  pena,  ben 
^  presentendo  come  fatto  tanto  straordinario  non 
"  poteva  a  meno  di  destare  grande  ammirazione, 
^  e  però ,  come  mi  è  ciò  succeduto  ultimamente 
^  dacché  son  Priora ,  comandai  alle  monache  di 
^  non  ne  parlare  altrimenti.  Ma  altre  volte,  quando 
^  incominciavo  ad  accorgermi  che  stava  il  Signore 
**  per  operare  lo  stesso  prodigio,  mi  stendevo  a 
^  terra  e  le  compagne  mi  si  accostavano  per  rat- 
^  tenermi ,  ma  nulla  ostante  la  divina  operazione 
^  appariva:  ed  una  volta  tra  Taltre  ciò  mi  avvenne 
^^  il  dì  della  festa  del  santo  nostro  Patrono  (2)  nel 

(1)  Santa  Teresa  parla  in  piena  buona  fede:  neirestaai  le 
allucinazioni  si  succedono  le  une  alle  altre  e  noi  crediamo 
sempre  di  esser  sollevati  da  terra,  di  perdere  il  nostro  corpo, 
di  non  essere  che  pensiero  e  sentimento. 

(2)  Il  patriarca  san  Giuseppe ,  dal  cui  nome  s' intitola  il 


SANTA  TEBESA  327 


^  tempo  del  panegirico ,  a  cui  assistevano  varie 
^  dame  di  qualità.  Onde  dopo  un  tal  fatto  sup- 
^  plicai  istantemente  il  Signore  di  più  non  mi 
"  voler  far  grazie  che  dessero  esteriore  mostra  di 
^  sé  :  essere  io  ormai  sopraffatta  dai  tanti  riguardi 
^  a  cui  esse  mi  condannavano;  e  ad  onta  di  tutti 
^  i  miei  sforzi ,  riguardar  io  come  impossibile  di 
^  poterli  tener  nascosti.  E  pare  che  all'  infinita 
"'  sua  bontà  sia  piaciuto  di  esaudirmi,  poiché,  da 
"  quel  tratto  in  poi ,  nulla  più  mi  occorse  di  si- 
*'  mile;  ben  è  vero  però  che  sol  da  poco  V  ho  io 
^  così  pregato. 

"  Quando  volevo  resistere ,  sentivo  come  sotto 
^  ai  piedi  come  maravigliose  forze,  che  mi  levas- 
^  sero  in  alto  :  non  saprei  a  che  assomigliarle. 
"  L' impeto  appariva  assai  maggiore  che  in  altri 
"  consimili  fervori  di  spirito:  era  terribil  lotta  onde 
^  tutta  restavo  indolita  e  pesta.  Ma  poco  in  fondo 
^approdava  ogni  mia  industria:  quando  Iddio 
"  vuole,  non  c'è  potere  contro  il  suo  potere    .    . 

E  altrove  con  diverse  parole  la  santa  spagnuola 
descrive  le  condizioni .  in  cui  si  trovava  durante 
l'estasi. 


celebre  Monastero  delle  Carmelitane  di  Avìla,  nel  gitale  visse 
longhi  anni  la  nostra  santa  e  dove  scrisse  le  proprie  memorie. 


328  CAPITOLO  X 


^  .  .  .  ,  Nel  qaal  stato,  sembra  ranima  non  più 
^  essere  in  sé,  ma  come  augello  snll'alto  d'nn  tetto 
^  abitar  solitario  la  parte  più  elevata  di  sé  stesso, 
^  da  tale  altezza  dominando  le  creature  tutte 
'' quante;  anzi  mi  sembra  che  al  disopra  ancora 
^  delle  più  elevate  sue  parti  faccia  essa  la  sna 
"  dimora  (1).  ^ 


L'analisi  è  una  delle  virtù  psichiche  più  rare  a 
trovarsi  nella  donna.  Eppure  santa  Teresa  non  si 
stanca  mai  di  approfondare  V  acuto  suo  sguardo 
nei  misteri  dell'estasi,  volendone  avidamente  sco- 
prire  l'intima  natura  e  le  riposte  ragioni.  Uditela, 
quando  discorre  dei  rapimenti  che  duravano  tal' 
volta  varie  ore  : 

'^.Ma  qui  forse  mi  domanderete,  o  Padre,  come 
"  dunque  il  ratto  protraggasi  talvolta  a  varie  ore. 
"  Eisponderò  secondo  quello  che  spesso  ho  pro- 


(l)  Queste  parole  sono  forse  l'inconscio  ricordo  delle  bel- 
lissime del  Salmista:  ''  Passai  senza  sonno  le  notti,  e  fui  si- 
mile all'accello,  che  solo  si  sta  sopra  i  tetti.  «,  (Ps.  CI,  8). 


SANTA  TERESA  329 


^  vato.  U  ratto,  come  già  dissi  dell'anione,  non  è 
^  continuo:  l'anima  ne  gode  solo  interrottamente. 
^  Or,  assai  volte  essa  inabissasi,  o,  per  dir  meglio, 
^  Iddio  in  sé  l' inabissa ,  e  dappoiché  balla  così 
*^  tenuta  in  sé  tutt'intiera  alcun  poco,  la  volontà 
"  sola  resta  a  lui  unita  in  rapimento.  fTelle  due 
^  altre  potenze  avviene  allora  un  tal  moto  conti- 
^  nuo,  simile  a  quello  che  fa  l' indice  di  un  qua- 
^  drante  solare ,  lo  qual  mai  non  si  ferma.  Ma 
^  quando  il  sole  di  giustizia  vuole ,  ben  sa  farla 
^'  fermare;  e  codesto  rapimento  di  tutte  insieme 
^  le  potenze,  quello  è,  come  dicevo,  che  poco  dura. 
^  Ma,  stantechè  grande  fu  l'impeto  e  l'elevazione 
^  di  spirito,  benché  la  memoria  e  l'intelletto  tor- 
^  nino  ad  agitarsi,  la  volontà  resta  profondamente 
^  immersa  in  Dio.  Invano ,  coli'  agitazione  della 
^  loro  attività  naturale,  cercano  elleno  di  turbarne 
^  la  pace:  essa  le  domina  come  regina,  ed  opera 
"  sopra  il  corpo  nella  conformità  che  s' é  detto. 
^  Per  non  essere  poi  frastornata  dai  sensi ,  tra  i 
^  nemici  suoi  i  da  meno,  li  sospende  a  suo  grado, 
'*  tale  essendo  la  volontà  del  Signore.  Gli  occhi , 
"  U  più  del  tempo,  restano  chiusi,  benché  la  per- 
^  sona  non  volesse  chiuderli;  e,  se  talvolta  si  ria- 
^  prono,  non  possono  disoemere  o  distinguer  molto, 
^  come  già  dissi.  In  questo  stato  ha  perduto  il 
^  corpo  quasi  ogni  facoltà  d'operare,  onde  ne  se- 


330  CAPITOLO  X 


^  gae  che,  quando  poi  la  memoria  e  l'intelletto  si 
^uniscono  di  bel  nuovo  alla  volontà,  queste  due 

^  potenze  incontrano  minore  difficoltà 

^  .    .    •    •    ,    •    Forse  non  so  io  stessa  quel  ohe 

"  mi  dico • 

^  Indarno  dopo  il  ratto  mi  provo  a  muover  le 
^  membra:  il  corpo  rimane  a  lungo  privo  di  forze: 
^  tutte  seco  portossele  l'anima.  Sovente,  inferma 
^  che  era  e  da  gran  dolori  travagliata  prima  del* 
^  r  estasi ,  ne  esco  piena  di  sanità  e  dispostezza 
^  ad  operare:  merceochè  è  cosa  di  maraviglia  la 
^  virtù  che  vi  si  comunica,  ed  alcune  volte,  siccome 
^  ho  detto ,  vuole  il  Signore ,  che  ne  partecipi  il 
^  corpo  medesimo,  dacché  già  obbedisce  a  quanto 
^  vuol  l' anima.  Al  ritornar  che  fa  questa  in  sé 
^  stessa,  se  il  ratto  è  stato  grande,  restano  le  sue 
^  potenze  ancora  per  uno  o  due  giorni,  ed  anche 
^^  tre ,  tanto  assorte ,  o  come  astratte ,  che  non 
"  sembrano  stare  in  sé.  „ 


Come  avviene  nelle  basse  sfere  dei  piaceri  sen- 
suali, che  chi  ha  fatto  dei  delirii  della  voluttà  o 
dell'  ebbrezza  un  pane  quotidiano ,   non  può  più 


SANTA  TERESA  331 


godere  le  gioie  serene  e  sane  della  vita:  così  chi 
ha  avuto  la  fortana  di  inebbriarsi  dei  rapimenti 
dell'estasi,  ritoma  mal  volentieri  nei  pedestri  sen- 
tieri della  vita  ordinaria.  Ce  lo  dice  anche  la  no- 
stra santa: 
.  ^ .  .  •  .  .  Allora  è  che  si  fa  sentire  il  tormento 
"  di  dover  rientrare  in  questa  triste  vita:  già  più 
^non  è  r  animo  novellino  augello:  già  messo  ha 
^  Tali,  già  le  è  caduta  la  prima  calugine.  Il  mo- 
"•  mento  è  giunto  per  lei  di  levar  alta  la  bandiera 
"  di  Cristo.  „ 

Da  questa  ripugnanza  aUe  sensazioni  ordinarie 
nasce  uno  sforzo  continuo  di  rialzarsi  là  dove  si 
gode  il  panorama  di  orizzonti  infiniti.  £)  il  mon- 
tanaro, che  nelle  basse  pianure,  sogna  i  ghiacciai 
adamantini  e  V  opale  azzurra  del  suo  cielo  scon- 
finato. 

^  Io,  quant'a  me,  son  convinta  che  un'anima  la 
"  quale  arrivi  a  questo  stato,  più  non  sia  essa  che 
^  parli,  né  faccia  cosa  alcuna  da  sé,  ma  che  que- 
^  sto  sovrano  Monarca  prendasi  una  cura  partico- 
^^lare  di  quanto  dev'essa  fare.  Oh!  che  si  scorge 
^  allora  con  quanta  ragione  tutte  le  anime  do- 
"  vrebbero  come  Davide  chiedere  ali  di  colomba! 
"  Come  s' intende  allor  bene  quel  sospiro  del  re 
"  Profeta  I  Vedesi  con  sovrana  evidenza,  che  mercè 
"  V  estasi,  r  apima  si  alza  e  vola  verso  Dio ,  per 


332  CAPITOLO  X 


"  elevarsi  sovra  tutto  il  creato,  e  sovra  sé  mede- 
"  sima ,  ma  è  volo  soave ,  volo  dilettevole ,  volo 
^  senza  frastuono. 

"  Qual  può  paragonarsi  impero  a  quello  d'un'a- 
^  nima ,  ohe ,  da  questa  sublime  altezza  a  cui  le- 
^  voUa  Iddio ,  vede  al  disotto  di  sé  le  cose  tutte 
^mondane,  senza  che  alcuna  di  esse  l'incateni! 
^  Come  è  confusa  degli  antichi  lacci!  Come  stu- 
^  pisce  del  passato  accecamento!  Quanto  porta 
^  compassione  a  coloro  che  vede  nelle  stesse  te- 
^  nebre,  particolarmente  se  son  persone  d'orazione 
^  e  da  Dio  favorite  di  speciali  doni! 

^  Oh  !  che  provar  deve  un'  anima ,  allorquando 
^  da  questa  celeste  regione  vedesi  costretta  di  far 
^  ritomo  fra  il  consorzio  degli  uomini  e  assistere 
^  spettatrice  e  parte  a  questa  povera  commedia 
^  della  umana  vita  !  Qual  le  torna  supplioio  avere 
"  a  profondere  il  tempo  in  riparar  le  forze  del 
"  corpo  col  cibo  e  col  sonno!  Tutto  le  è  peso,  non 
^  sa  come  fuggire:  vedesi  incatenato  e  prigionie- 
^  rol  Oh  come  sente  allora  davver  davvero  la  schia- 
"  vitù  che  soffriam  nei  corpi  e  la  miseria  della 
^  vita!  Conosce  quanto  avesse  ragione  san  Paolo 
^  di  supplicare  a  Dio  che  ne  lo  liberasse.  Gol 
^  santo  Apostolo  leva  alte  grida  a  Dio ,  chieden- 
^  dogli  libertà  •••.....•...•, 


SANTA  TERESA  333 


"  Come  mai  avviene  che ,  a  misura  che  i  rapi- 
^  menti  si  moltiplicano,  e  s'abitaa  l'anima  a  rioe< 
"  ver  grazia,  gli  effetti  che  ne  prova  sono  poi  su- 
^  blimi?  Perchè,  finalmente,  a  misura  ohe  più  su- 
^  blimi  sono  questi  effetti,  il  distacco  dell'  anima 
^  si  fa  più  perfetto?  Or  non  può  dunque  il  Signore 
^  pur  con  una  sola  di  queste  visite,  lasciarla  tosto 
^  così  santa,  come  allorquando  la  fa  poi  giungere 
"  grado  grado  alla  perfezione  delle  virtù?  Questo 
"è  che  vorrei  sapere  e  che  non  so. 

^  Un  giorno,  dopo  essere  stata  a  lungo  in  ora- 
^  zione ,  e  aver  supplicato  ardentemente  Iddio 
^  benedetto  d'aiutarmi  a  piacergli  in  tutto ,  inco- 
^  minciai  l'inno,  e,  mentre  lo  stavo  dicendo,  mi 
^^  venne  un  rapimento  che  quasi  mi  cavò  di  me; 
"  fu  improvviso,  ma  pur  così  manifesto,  che  non 
^  ne  potei  dubitare.  Fu  questa  la  prima  volta  che 
^^  mi  concedesse  Dio  la  grazia  di  un  estasi.  Intesi 
"  queste  parole:  Oià  pih  non  voglio  che  tu  conversi 
^  con  uomini,  ma  solo  con  angeli.  Sacro  orrore  com- 
^  presemi  a  tanto ,  sia  perchè  il  movimento  esta- 
"  tico  s'era  fatto  sentire  con  gran  forza,  sia  per- 
"  che  tali  parole  mi  vennero  dette  nel  più  intimo 
"  dello  spirito.  Ma,  come  questo  timore,  cagionato 
^  cred'  io  dalla  novità  del  caso ,  [si  fu  dileguato , 
^  mi  sentii  innondata  di  consolazione. 


334  CAPITOLO  X 


Le  alte  allacinazioni  dell'estasi  son  descritte 
mirabilmente  dalla  nostra  santa: 

"  Or  dunque,  tali  locuzioni  interiori  di  Dio  al- 
^  l'anima  sono  certe  parole  chiare  a  stupire  e  di- 
"  stinte ,  ma  non  si  odono  con  corporali  orecchi , 
^  l' anima  non  pertanto  assai  più  chiaramente  le 
"  sente,  che  se  le  udisse  ;  e  per  resistere  che  fa- 
^  cesse  affine  di  non  le  percepire,  vano  riuscirebbe 
^  ogni  suo  conato.  Bene ,  tra  noi  uomini ,  allor- 
^  quando  non  vogliamo  udire,  possiamo  turarci  le 
"  orecchie ,  o  attendere  ad  altre  cose  per  modo 
"  che,  pur  vedendo,  non  intendiamo  ;  ma,  rispetto 
^  al  favellare  ohe  il  Signore  fa  all'  anima ,  corre 
^  tutt'  altramente  il  fatto.  La  possente  parola  di 
^  Dio  doma  ogni  resistenza ,  e  regalmente  s' apre 
^  la  via  all'  intelletto ,  e  ne  incatena  di  tal  guisa 
"  l'attenzione  a  quello  che  Dio  vuole  manifestarci 
"•  che  ad  impedirnelo  volere  o  disvoler  nostro  non 
"  giova. 

"  E  qui  è  da  avvertire ,  che  se  ha  l' anima  vi- 
^  sioni,  od  ascolta  locuzioni  divine  nell'atto  di  star 
^  rapita,  ciò  non  è  mai,  secondo  che  mi  sembra , 
^  quando  il  rapimento  trovasi  giunto  al  colmo , 
"  perocché  in  tal  tempo ,  come  già  dichiarai  nel 
^  parlare,  credo,  della  seconda  acqua,  tutta  la  po- 
'^  tenza  dell'  anima  essendo  perduta  in  Dio ,  essa^ 


SANTA  TERESA  336 


"  per  quanto  mi  è  avviso,  non  può  né  vedere,  nò 
"intendere,  né  udire.  Se  ne  rende  il  Signore  as- 
"  soluto  padrone  ;  e  in  tale  intervallo  ohe  è  assai 
"  breve ,  non  mi  pare  le  lasci  libertà  per  opera- 
"  zioni  divine.  Ma ,  trascorso  questo  breve  spa- 
"  zio,  pur  rimanendo  Panima  in  rapimento,  segue 
'^quello  che  dirò:  attesoché  restano  le  potenze  di 
"  maniera,  ohe,  restano  non  interamente  perdute 
"  in  Dio ,  pure  non  operano  quasi  nulla ,  stanno 
"  esse  quasi  assorte  nel  divin  loro  oggetto  e  inca- 
^  paci  di  ragionare.  Or  io  dico  ohe,  solo  in  questo 
"  secondo  periodo  dell'estasi,  può  l'anima  venir  fa- 
"  verità  di  divine  locuzioni  e  di  visioni  celesti. 

"  Stando  io  un  giorno  in  orazione,  degnò  Egli 
"  di  mostrarmi  le  sole  sue  mani ,  la  lor  bellezza 
^  era  così  eccessiva ,  che  non  ho  termini  per  di- 
"  pingerla.  Gran  timore  mi  cagionò  questo  fatto  ; 
"  come  mi  suol  sempre  avvenire  ogni  qualvolta 
^'  Dio  comincia  a  farmi  qualche  grazia  sopranna- 
"  turale.  Indi  a  pochi  dì ,  vidi  pure  il  divino  suo 
"  volto,  e  del  tutto  mi  sembra  che  rimasi  assorta. 
"  Dapprincipio  non  valevo  a  intendere  perchè  il 
"  Signore  mi  si  mostrasse  così  poco  a  poco ,  dac- 
"  che  mi  avea  poi  a  far  la  grazia  di  tutta  disve- 
^  larmi  la  sua  adorabile  persona.  Intesi  poi  dopo 
^  la  cosa  :  il  Signore  mi  andava  così   preparando 


336  CAPITOLO  X 


^  grado  grado,  secondo  che  esigeva  la  mia  naturai 
^  debolezza.  Creatura  sì  abbietta  e  miserabile  qual 
^  io  mi  sono ,  potuto  non  avrei  sopportare  tanta 
^  gloria  riunita.  Or ,  come  Quei  che  il  sapeva ,  il 
^  pietoso  Signore  man  mano  mi  vi  veniva  dispo- 
"  nendo.  Siane  eternamente  benedetto! 

"  Vi  parrà  per  ventura,  o  Padre,  che  gran  co- 
^  raggio  non  accadesse  per  contemplare  mani  e 
^  volto  di  tal  bellezza.  Or  bene  sappiate  che  tanto 
"  son  belli  i  corpi  glorificati,  tanta  è  la  gloria  e  la 
^  luce  onde  son  circonfusi ,  che ,  al  mirar  cose  sì 
^  soprannaturali  e  belle,  uom  mortale  resta  come 
"  fuor  di  sé.,  e  pieno  di  spavento  :  opperò  quella 
^  vista  di  tal  sacro  orrore  mi  sorprendeva ,  che 
^  tutta  ne  rimaneva  rimescolata  e  profondamente 
^  commossa.  Vero  è  che  tosto  la  certezza  che  mi 
^  subentrava  nelP  animo  rispetto  alla  verità  della 
^  visione ,  e  i  felici  effetti  che  questa  in  me  prò- 
"  duceva ,  facevano  succedere  al  timore  il  senti- 
^  mento  della  maggior  sicurezza. 

^  Un  dì  della  festa  di  San  Paolo,  assistendo  io 
^  al  divin  sagrifizio,  mi  riuscì  a  veder  tutta  quanta 
^'  la  sacratissima  umanità  di  Cristo ,  nelle  forme 
"  che  si  suol  dipingere  risorgente ,  con  tale  una 
^  bellezza  e  maestà  da  non  si  poter  significare .... 

^  Dirò  solamente,  che,  quando  pur  non  ci  fosse 
"  in  cielo  per  dilettar   la  vista   che  la  gran  bel- 


SANTA  TERESA  337 


^'  lezza  de'  corpi  gloriosi  e  quella  sopra  tutto  del- 
^  l'umanità  santa  di  Gesù.  Cristo  Signor  nostro,  il 
^  piacere  sarebbe  indicibile.  Che  se  già  in  questo 
"  esigilo,  ove  pure  ci  si  mostra  in  modo  compor- 
"  tabile  alla  naturai  nostra  miseria,  questo  adora- 
"  bile  Salvatore  ne  fa  entrar  con  tal  vista  in  co- 
"  siffatto  trasporto ,  or  che  fia  dunque  nel  cielo , 
^  quando  l' anima  nostra  lo  contemplerà  in  tutte 
^^  le  sue  glorie  e  in  tutta  la  sua  formosità  divina? 

^  Senonchè  U  Signore  raddoppiando  per  me  di 
^  bontà  degnò  sì  spesso  apparirmi  in  tale  stato  di 
^  gloria  e  mi  fé'  veder  sì  chiara  la  verità  d'un  tal 
^  favore ,  che  in  breve  andar  mi  vidi  liberata  da 
^^  ogni  sospetto  d'Ulusione.  Eiconobbi  in  allora  la 
^  mia  semplicità  ;  imperocché  quando  anche  mi 
'^  fossi  provata  per  anni  ed  anni  a  immaginare 
"  beltà  così  maravigliosa,  mai  non  v'  avrei  potuto 
^^  riuscire ,  tanto  la  sola  sua  bianchezza  e  il  solo 
^  splendore  eccedono  tutto  che  si  può  inmiaginare 
^  quaggiù.  £  uno  splendore  che  non  abbaglia,  una 
^  bianchezza  ineffabilmente  pura  e  soave  ;  è  uno 
'*  splendore  infuso  che  dà  un  invincibile  piacere 
^  alla  vista  e  non  la  stanca  ;  una  chiarità  gratis- 
^  sima  che  rende  l'anima  capace  di  vedere  quella 
^  beltà  divina,  è  una  luce  infinitamente  diversa  da 
^  quest'altra  di  quaggiù ,  e ,  in  paragone  de'  suoi 
Estasi  umane,  22 


338  CAPITOLO  X 


^*  raggi  che  innondano  gli  occhi  rapiti  dell'anima^ 
^  quei  del  sole  perdono  talmente  aUa  prova ,  che 
^'  già  non  si  vorria  più  aprir  gli  occhi  a  mirarli. 

^  Per  ispazio  di  due  anni  e  mezzo,  degnò  il  di- 
"  vin  Salvatore  favorirmi  pressoché  continuamente 
^  di  questa  visione  :  ora  poi,  da  più  di  tre  anni,  è 
^^  essa  meno  ordinaria,  ma  me  ne  concede  un'altra 

"  più  elevata Mentre  mi  parlava,  oon- 

^  templavo  io  quella  sovrana  bellezza  e  le  parole 
"  che  profiFeriva  quella  bellissima  e  divina  bocca 
^*  respiravano  una  dolcezza  infinita.  In  quei  forta- 
"  nati  momenti  avrei  avuto  il  più  ardente  deside- 
^  rio  d'osservare  il  colore  e  la  grandezza  de'  suoi 
"  occhi,  per  poi  poterne  parlare ,  ma  non  mai  ho 
''  meritato  un  tale  favore  ;  tutti  i  miei  sforzi  non 
"  servirono  ad  altro  che  a  far  interamente  dispa- 
"•  rire  la  visione.  Che  se  d'ordinario  mi  parla  con 
^'  un'  ineffabil  dolcezza,  talora  tuttavia  il  fa  anche 
^'  con  rigore.  E  benché  alcuna  volta  m'avvegga  che 
''*  mi  rimira  con  tenerezza ,  ha  nondimeno  tanta 
^'  forza  quel  guardo,  che  l'anima  mia  noi  può  so- 
^'  stenere,  essa  entra  in  altissimo  rapimento,  che, 
^'  per  meglio  unirla  all'  adorabile  oggetto  del  suo 
^'  amore,  le  toglie  la  vista  della  sua  divina  bellezza. 


SANTA  TERESA  330 


* 

*  * 


In  nessun  luogo  della  sua  Vita  più  che  in  que- 
sto santa  Teresa  esprime  meglio  gli  stretti  rap- 
porti fra  Testasi  religiosa  e  l'amore  : 

" Indi   a  pQCO  tempo  cominciò  Sua 

^^  divina  Maestà,  conforme  aveami  promesso,  a  mo- 
*'  strar  più  chiaramente  com'  Egli  fosse  che  in  me 
"  operava.  Sentii  accendermisi  l'anima  d'un  arden- 
•^  tissimo  amor  di  Dio  ;  quest'amore  era  evidente- 
^  mente  soprannaturale ,  giacché  non  sapeva  chi 
^  così  in  me  l'accendesse,  e  in  nulla  v'avevo  io  con- 
^  tribuito.  Mi  sentivo  morir  di  desiderio  di  veder 
"  Dio  e  non  sapevo  come  né  dove  aver  questa  vi- 
^'  sta ,  se  non  se  colla  morte.  I  trasporti  che  mi 
^'  venivano  da  un  tale  amore,  sebbene  non  fossero 
^'  né  della  veemenza ,  né  del  valore  di  quelli  giàr 
"  altrove  da  me  riferiti,  erano  nondimeno  siflFat- 
^  tamente  impetuosi,  da  non  saper  io  più  che  mi 
^'  fare  :  cosa  già  non  eravi  che  mi  soddisfacesse  ; 
^'  capir  non  potevo  in  me  stessa  e  parevami  vera- 
"  cemente  che  l'anima  mi  venisse  a  viva  forza  di- 
"  volta.  O  sovrano  artifizio  del  Signore  !  qual  gen- 
"  tile  e  delicata  industria  usavate  con  la  misera- 


340  CAPITOLO  X 


"  bile  vostra  sohiava  !  Voi  vi  tenevate  a  me  na- 
"  scosto  ed  in  un  mi  davate  tenerissima  dimostra- 
^  zione  di  amore  per  mezzo  d'una  marte  cosi  deliziosa 
*^  che  V  anima  mia  mai  non  avrebbe  voluto  usdre  da 
^  quella  sovrana  afonia. 

"  A  poter  comprendere  qual  sia  l' impetuosità 
"  di  questi  trasporti ,  è  mestieri  averne  fatto 
•^  prova.  Nulla  hanno  essi  di  comune  con  que'  mo- 
^  vimenti  di  devozione  sensibile ,  assai  ordinarli , 
"  che  affollano  il  petto ,  tendono  a  prorompere 
"  fuori,  e  sembrano  soffocare  lo  spirito.  È  questa 
"  una  specie  d'orazione  d'assai  inferiore  e  conviene 
"  reprimere  con  discreta  dolcezza  la  violenza  de' 
^  suoi  impeti  e  far  poco  a  poco  ritornar  l' anima 
^  in  calma ,  non  altrimenti  racchetasi  certo  pian- 
"  gere  arrangolato  che  piglia  talora  ai  bambini  j 
^  con  nulla  più  che  dar  loro  a  bere.  La  ragione 
"  deve  qui  stringer  la  briglia ,  affine  d' infrenare 
^  tali  impeti,  p^  timore  che  non  forse  vi  si  abbia 
"  a  frammescolare  qualche  imperfezione  e  sieno  in  gran 
"  parie  opera  de'  sensi  e  della  natura.  E  così  conviene 
^  racchetar  l'anima,  come  il  bambino,  con  una  ca- 
^  rezza  d'amore  e  muoverla  ad  amar  Dio  con  soa- 
^  vita  di  modi,  e  non  con  incomposta  bruschezza. 
^  Quest'anima  deve  dar  opera  a  ritrarre  dentro  sé 
^'  il  suo  amore ,  senza  lasciarlo  espandersi  al  di 
"  fuori,  siccome  vaso  che  bolle  soverchio,  il  quale 


SANTA  TERESA  341 


"  da  Ogni  parte  riversa,  se  indiscreta  mano  troppo 
"  getta  legna  nel  faoco.  Infine ,  se  ne  ha  da  mo- 
"  derar  gì'  incentivi ,  allontanar  cioè  dalla  mente 
"  i  pensieri  che  feoer  levare  quella  subita  fiamma 
^  e  procurar  di  ammorzarla  con  lacrime  soavi  e 
^  non  ismunte  penosamente,  come  son  quelle  che 
**  nascono  da  sentimenti  sì  vivi ,  e  che  recar  ci 
^  sogliono  danno  non  lieve.  Assai  di  tali  lagrime 
^  diedi  io  da  principio  e  lasciavanmi  sì  spossata  la 
^  testa  e  lo  spirito  «i  svigorito,  che  a  volte,  per  un 
^  giorno  e  più ,  non  sentivami  in  istato  di  rifar 
^  orazione.  Sì  che  gran  discrezione  bisogna  nei 
**  principii ,  acciò  proceda  il  tutto  con  soavità  ;  e 
"  s' adusi  lo  spirito  ad  operare  interiormente ,  e 
^  ad  evitar  con  gran  cura  quanto  non  è  che  este- 
**  riore ^, 


♦  * 


Ed  ecco  che  un'  altra  volta  gli  ardori  dell'  ero- 
tismo ascetico  si  alternano  colle  visioni: 

^ Trovandomi  io  in  istato  siffatto,  volle 

**  il  Signore  che  avessi  alcune  volte  la  seguente 
^visione.  Vedevo  presso  di  me  dal  lato  sinistro 
^  un  angelo   in   forme   corporee.  £ì  sommamente 


1 


342  CAPITOLO  X 


''  raro  eh'  io  così  li  vegga.  Awegnacchè  spesso 
'^  abbia  la  ventura  di  goder  della  presenza  dì  an- 
^  geli,  non  si  ha  contezza  che  per  visione  intellet- 
"  tuale  ....  In  qnesta ,  volle  il  Signore  che  P  an- 
^  gelo  si  mostrasse  sotto  forma  sensibile  agli  oc- 
'^  chi  dell'anima  mia.  Non  era  grande,  ma  piccolo^ 
"  e  molto  bello  :  all'ardore  del  volto  riconoscevasi 
^  per  uno  di  quegli  spiriti  più  sublimi  che  non 
'^  sono  come  sembra  che  fiamma  e  amore.  Doveva 
^^  esser  uno  di  quelli  che  chiamansi  cherubini,  i>er- 
''  che  non  mi  dicono  il  loro  nome.  Ma  ben  veggo 
^  che  in  cielo  v'è  tanta  differenza  da  certi  a  certi 
^  angeli,  e  dall' un  d'essi  all'altro,  che  noi  saprei 
"  dire.  Vedovagli  in  mano  un  lungo  dardo  d' oro, 
"  e  nella  punta  del  ferro  parevami  che  vi  fosse 
^  un  carboncello  fiammante.  E  quello  parevami  a 
"  volte  a  volte  immergermi  attraverso  il  cuore,  e 
"  profondarlomi  fin  nelle  viscere,  e  queste  trarmi 
^  con  esso  il  dardo  nel  cavarlo,  e  lasciarmi  tutta 
^'  divampante  d'amor  grande  di  Dio. 

"  Il  dolore  di  queste  ferite  era  sì  vivo,  che  mi 
'*  facea  dare  di  quei  deboli  sospiri  che  dicevo  te- 
'^  stè,  ma  l'ineffkbil  martirio  facevami  gustare  ad 
''  un'ora  soavità  sì  eccessiva,  che  1'  anima  mia  né 
''  potea  desiderar  che  finisse ,  né  trovar  felicità 
^  fuori  di  Dio.  Non  è  dolore  fisico,  ma  tutto  spi- 
"  rituale,  sebbene  sia  vero  che  non  lasci  il  corpo 


SANTA  TERESA  343 


^  di  parteciparvi  ed  anche  in  alto  grado.  Intrav- 
^^  viene  allora  fra  l'anima  e  Dio  effandimento  sì  de- 
^'  Uziale  d'amore,  che  adombrarlo  mi  torna  impos- 
"  sibile.  Io  supplico  questo  Dio  di  bontà  a  farla 
^  gustare  a  chiunque  rifiuterebbe  di  dar  fede  alle 
*'  mie  parole.  I  giorni  in  cui  mi  trovavo  in  tale 
^^  stato ,  andavo  come  rapita  fuori  di  me  stessa , 
"  nulla  avrei  voluto  vedere,  né  dir  parola,  ma  star- 
^  ììiene  deliziosamente  assorta  nella  mia  pena,  contento 
"  per  me  maggiore  di  quanU  possono  essere  al  mondo 
^  esser  contenti.  „ 


*  III 


L'  estasi  ha  ancora  rapporti  più  intimi  coli'  eb- 
brezza narcotica,  coli'  ebbrezza  erotica,  di  quello 
<;he  possa  supporsi  ad  un  esame  superficiale  e  af- 
frettato. Nella  voluttà  allo  spasimo  del  piacere 
tien  dietro  spesso  la  tristezza  pili  cupa,  e  alle  al- 
lucinazioni liete  e  fulgenti  dell'  oppio  seguono  le 
immagini  oscure,  i  fantasmi  delle  tenebre.  Così 
nelle  visioni  ascetiche  dopo  gli  angeli  appaiono  i 
demonii. 


u 


Mi  stavo  un  dì  in  un  oratorio,  quando 


344  CAPITOLO  X 


^  egli  (il  demonio)  mi  apparve  alla  mia  sinistra 
^  sotto  abbominevole  figura.  Ne  osservai  in  parti- 
^  colare  la  booca,  dacohè  mi  parlò  :  era  spavento- 
^  sissima.  Da  tatto  il  suo  corpo  nsciva  gran  fiamma, 
^  tatta  chiara  e  senz'  ombre.  Mi  disse  spavento- 
^  samente ,  che  m'era  liberata  sì  dalle  sue  mani  y 
^  ma  che  ben  saprebbe  farmivi  ricascare.  Grande 
^  fa  il  mio  sgomento  :  mi  feci,  alla  meglio  che  potei^ 
^  il  segno  della  croce  e  disparve,  ma  ritornò  tosto^ 
^  e,  messo  in  faga  da  an  naovo  segno  di  croce, 
^  non  tardò  a  riapparire.  Io  non  sapevo  che  mi 
"  fare  :  ricordatami  d'aver  vicino  dell'acqua  bene- 
''  detta,  ne  gettai  verso  quella  parte  dov'era  e  più 
"  non  tornò.  „ 

«...  •  ..••••.....•.• 
^  Un'  altra  volta  mi  stette  tormentando  cinque 
"'  ore  con  dolori  sì  terribili  e  tal  inquietudine  di 
"  spirito  e  di  corpo,  che  già  mi  pareva  non  po- 
^  ter  più  reggere.  Alcune  suore,  che  si  trovavano 
^  presenti  ne  rimasero  tutte  sgomente,  e  non  sa- 
"  pevano  al  par  di  me  che  si  fare  e  come  trovar 
"  aiuto 


v 


'^ Stando  una  volta  in  orazione,  mi  vidi 

^  in  un  gran  campo  sola;  intorno  a  me  stava  molta 
^  gente  di  diversa  specie  che  da  ogni  parte  mi 


SANTA  TERESA  345 


^  attorniava,  e  tatti  pareanmi  aver  armi  in  mano 
^^  per  offendermi,  chi  lanoie,  ohi  spade,  chi  daghe 
^  e  chi  stocchi  assai  lunghi;  insomma,  io  non  pò- 
^  tevo  faggire  da  nessuna  parte ,  senza  incontrar' 
^  certa  morte,  e  non  vedevo  persona  viva  che  po- 
"  tesse  difendermi.  In  così  orribile  frangente  alzai 
"  gli  occhi  al  cielo ,  e  vidi  Gesù  Cristo ,  non  in 
"  cielo,  ma  ben  alto  in  aria  sopra  di  me,  che  sten- 
^^  dovami  la  divina  sua  mano,  e  mi  copriva  della 
"  sua  protezione.  All'istante  medesimo  ogni  timore 
^  mi  si  dissipò,  e  quella  moltitudine,  ad  onta  del 
"  suo  furore ,  più  non  aveva  potere  di  farmi  al- 
"  cun  male.  „ 

In  Santa  Teresa  però  le  immagini  triste  e  spa- 
ventose occorrono  ben  di  raro  :  mentre  le  alate  e 
le  liete  si  ripetono  spesso.  Ella  però  non  può  abi- 
tuarvisi,  e  a  volta  a  volta  ne  rimane  come  con- 
fusa, non  credendosi  degna  di  salir  così  in  alto 
nel  cielo  daUe  contemplazioni  estatiche.  Vi  sono 
alcune  sue  descrizioni,  che  richiamano  involonta- 
riamente alla  mente  le  descrizioni  del  Paradiso 
dantesco. 

^ Stavami  una  sera  ritirata  in   un  ora- 

^  torio,  ma  tanto  mi  sentivo  indisposta  di  corpo, 

"  che  non  credevo  di  poter  far  orazione  :  presi  al- 

^  lora  in  mano  un  rosario  per  orar  vocalmente  e 

Estasi  umane.  23 


346  CAPITOLO  X 


^  senza  fare  grande  sforzo  di  mente.  Ma  ohi  quanto 
^  approdano  poco  tutte  le  piccole  industrie  nostre, 
^'  quando  Dio  vuole  operare  su  noi!  Ero  stata  così 
^'  appena  alcuni  istanti  che  mi  venne  un  rapimento 
"  di  spirito  cosi  impetuoso  che  vidi  non  potervi 
"  resistere.  Parvemi  di  essere  in  ispirito  traspor- 
"  tata  in  cielo ,  e  le  prime  persone  che  vi  scorsi 
^  furono  mio  padre  e  mia  madre;  e,  in  ispazio  di 
"  tempo  brevissimo ,  quanto  cioè  fosse  d' un  Ave 
"  Maria,  contemplai  inenarrabili  maraviglie.  La  vi- 
'^  sione  per  ventura  fu  di  più  lunga  durata ,  ma 
"  in  simili  contingenze  il  tempo  sembra  brevissimo. 
"  Tratta  fuor  di  me  da  un  favore  cosi  eccessivo, 
^  rimasi  assorta  in  estasi  profonda.  Tornata  che 
^  fui  in  me  stessa ,  temetti  non  fosse  qualche  il- 
"  lusione,  sebbene  non  trovassi  motivo  a  simil  ti- 
"  more.  Non  sapevo  che  mi  fare ,  perchè  avevo 
^^  gran  vergogna  di  parlarne  al  confessore ,  non 
^  già,  mi  sembra ,  per  umiltà ,  ma  sì  per  paura 
"•  ch'egli  si  burlasse  di  me  e  mi  domandasse  se 
^'  ero  un  san  Paolo  o  un  san  Gerolamo  per  aver 
^^  conoscenza  delle  cose  del  cielo.  11  pensare  che 
^  tali  visioni  erano  state  concesse  a  quei  gran 
^^  santi,  e  il  sentimento  della  mia  indegnità,  aumen- 
^'  tava  ancora  i  miei  timori,  e  altro  non  facevo  che 
"  versar  lagrime „ 


SAWTA  TEBESA  347 


*  * 


Chiuderò  questo  studio  psicologico  di  santa  Te- 
resa fatto  sulla  falsa  riga  delle  sue  Confessioni 
con  pochi  altri  passi,  i  quali  segnano  le  note  più 
alte  delle  estasi  religiose  della  nostra  santa. 

^  Codesto  stato ,  che  tien  così  1'  anima  elevata 
"  al  disopra  di  tutto  il  creato,  è  specie  di  sovra- 
^  nità  sì  alta  che  non  so  se  comprender  si  possa, 
^  se  non  da  chi  la  possiede.  É  il  vero  e  puro  spo- 
"  gliamento:  Dio  solo  opera  in  noi,  sen^a  coopC'* 
^  razione  alcuna  da  parte  nostra 

^  E  codeste  superne  illustrazioni  hanno  sbandito 
"  dal  mio  cuore  un'  assai  vivo  timore  che  sempre 
"  avevo  avuto  della  morte.  Morire  sembrami  ora 
^  la  cosa  del  mondo  piti  facile  ad  anima  fedele 
^  al  suo  Dio,  da  che  in  un  momento  essa  si  vede 
^^  libera  dalla  sua  prigione  e  introdotta  nell'eterno 
"  riposo.  Perocché,  a  parer  mio ,  grande  corre  so^ 
"  miglicmza  ira  Vestasi  e  la  morte,  E  di  vero  lo  spi- 
"  rito  rapito  in  Dio  discopre  le  ineffabili  maravi- 


348  CAPITOLO  X 


^'  glie  oh'Ei  gli  disvela:  e  l'anima  dall'istante  me- 
^  desimo  che  dal  corpo  è  separata,  vien  messa  in 
"  possesso  de'  beni  tutti  del  cielo 

"  Mentre  stavo  occupata  in  tali  pensieri,  tutto 
^^  a  un  tratto,  senza  intenderne  io  la  ragione,  fui 
^  sovrappresa  da  un  gran  rapimento.  L'anima  mia, 
^^  non  essendo  capace  di  sopportare  in  un  corpo 
^  mortale  il  soperchio  d'un  tanto  favore,  parca  ne 
^  volesse  uscir  fuori,  l'impeto  del  movimento  esta- 
"  tico  era  eccessivo,  e  operava  ^su  di  me  in  modo 
^  tutto  nuovo  :  la  mia  anima  era  siffattamente  ra- 
^^  pita,  che  non  sapevo  né  che  s'avesse,  né  che  si 
^'  volesse.  Sentendo  tutte  le  forae  naturali  abban- 
'^^  donarmi  e  non  potendo  sostenermi,  quantunque 
^  fossi  seduta  mi  appoggiai  contro  il  muro.  A 
^  tale ,  mi  veggo  sopra  il  capo  una  colomba  ben 
^  differente  da  quelle  di  quaggiù ,  giacché  non 
'^  aveva  già  piume,  ma  le  sue  ali  sembravano  for- 
^^  mate  di  scaglie  di  madreperla  che  mandavano 
"  vivo  splendore ,  ed  era  più  grande  d'  una  co- 
"  lomba  ordinaria.  Parevami  di  udir  lo  strepito 
"  che  faceva  coll'ali,  mi  aleggiò  sul  capo  quanto 
^^  forse  un'  Ave  Maria.  La  mia  anima  perdendosi 
^  allora  nel  rapimento ,   perdette   anche   di  vista 

^^  quella  divina  colomba La  gloria, 

"  il  gaudio  di  tal  rapimento   fu   cosa  veramente 


SANTA  TERESA  349 


^  straordinaria.  Io  restai  il  più  tempo  di  quella 
^  festa  come  fuor  di  me ,  e  alienata  dai  sensi 
^  esteriori.  Non  sapevo  che  mi  facessi,  non  potevo 
^  capire  come  non  soccombessi  sotto  il  peso  d'un 
^^  così  maraviglioso  favore:  non  udivo  più,  non 
"  vedevo  più,  se  posso  così  esprimermi,  tanto  ero 
^  assorta  dall'eccesso  dell'interior  godimento  .  :  . 

" La  Santissima  Vergine  mi  apparve  un 

^  giorno  in  atto  di  porre  un  manto  di  abbagliante 
"'  bianchezza  sulle  spalle  di  quel  religioso  del  me- 
"  deslmo  Ordine,  di  cui  parlai.    . 

"  Vengonmi  di  tempo  in  tempo  everte  ansie  sì 
^'  grandi  della  sacra  comunione,  che  non  so  come 
^  poterlo  significare  a  parole.  Trovandomi  una 
^  volta  a  star  fuori  di  monastero,  capitò  una  mat- 
"  tina  a  piover  sì  dirottamente  che  pareva  impos- 
^  sibilo  di  poter  uscire  di  casa.  E  io  di  tal  desiderio 
"  languivo  di  ricevere  il  mio  Dio,  che  se  mi  fossi 
^  visto  appuntar  lancie  al  petto ,  sarei  passata 
^  oltre,  or  si  pensi  se  mi  tratteneva  un  po'  d'acqua. 
^  Me  n'andai  dunque  in  chiesa.  Non  appena  vi  fui 
"  giunta ,  mi  venne  un  gran  ratto.  Il  cielo,  che 
"  altra  volta  non  avevo  visto  che  come  per  una 
'^  apertura,  mi  si  schiuse  dinanzi  tutto  quanto,  e 
"  allora,  o  Padre,  mi  si  mostrò  il  trono  di  cui  v'ho 
^^  parlato,  e  sopra  di  quello  un  altro,  senza  nulla 


350  CAPITOLO  X 


^  io  vedere  e  per  una  notizia  che  non  valgo  a 
^  significare,  compresi  risiedere  la  Divinità.  Quel 
^  trono  era  sostenuto  da  alcuni  misteriosi  animali, 
"'  e  io  immaginai  che  potessero  essere  gli  Evan- 
^  gelisti.  Ma  come  fatto  fosse  qnel  trono,  e  ohi  vi 
"  sedesse,  io  non  vidi.  Scorsi  solamente  una  mol- 
^  titadine  grandissima  di  angeli ,  che  mi  parvero 
^  incomparabilmente  più  belli  che  altri  visti  già 
^  da  me  in  cielo.  Ho  pensato  che  erano  serafini 
^  e  cherabini ,  perchè  la  lor  gloria ,  come  dissi 
^'  testé,  avanza  d' assai  quella  degli  altri,  e  pare- 
"  van  arder  tutti  di  vivo  fuoco.  Il  gaudio  onde  fui 
^  allora  innondatala  non  »i  pud  esprimere:  è  cosa  inef- 
^  f abile  al  tutto,  e  senza  averlo  provato,  è  impossibile 
**  il  formarsene  coìioetto.  Intesi  trovarsi  ivi  riunito 
^  quanto  si  può  desiderare  e  pur  nullameno  non 
^  vidi  nulla.  Mi  fu  detto ,  e  da  chi  io  lo  ignoro, 
"  che  quello  che  quivi  potevo  io  fare ,  era  inten- 
^  dere  che  nulla  potevo  intendere,  e  consideravo 
^  che  le  cose  tutte  sono  un  puro  niente ,  in  con- 
"'  fronte  di  quel  bene  ineffabile. 


SANTA  TERESA  351 


«  * 


^  Accade  nei  grandi  rapimenti ,  ohe  all'  uscire 
"•  da  quella  unione  con  Dio,  che  poco  dura  e  nella 
^  quale  tutte  le  potenze  sono  sospese  ed  assorte, 
'^  resta  l'anima  in  tal  raccoglimento ,  anche  negli 
^  stessi  suoi  atti  esteriori,  ch'essa  vuol  tornar  più 
^  alla  sua  ordinaria  occupazione:  la  memoria  e 
^  l'intelletto  sono  ancora  siffattamente  colpiti,  che 
^  sembrano  trovarsi  in  preda  ad  una  specie  di  delirio, 
^  Ciò  ben  potrebbe  provenire  dalla  fralezza  me- 
^  desima  della  nostra  natura  :  non  potendo  sop- 
^  portar  essa  un  operar  sì  gagliardo  dello  spirito, 
^  V  immaginazione  per   consenso   ne  resta   affie- 

"  volita 

»     •     •     •     •••••■•■•••«■., 

^  Stando  io  una  volta  in  orazione,  mi  si  rappre- 
"  sento  come  le  cose  tutte  si  veggono  in  Dio  ed  egli 
^  tutt«  quante  in  sé  le  contiene.  Brevissima  fu  tal 
^  vista,  è  senza  apparenza  alcuna  di  cosa  sensi- 
^  bile,  ma  pure  d' una  sovrana  chiarezza.  Tentar 
"  di  descriverla  tornerebbemi  al  tutto  impossibile, 
^  m' è  tuttavia   rimasta  profondamente  impressa. 


352  CAPITOLO  X 


^  ed  è  una  delle  grazie  più  insigni  onde  m'abbia 
^  favorita  il  Signore 

"'  Io  dico  dunque  che  la  Divinità  è  quasi  dia- 
"'  mante  insignificabilmente  traslucido  e  assai  più 
"  grande  dell'  universo  tutto;  ovvero  come  uno 
^  specchio ,  a  mo'  di  quello  sotto  cui  immagina 
^  l'anima  sua  venirne  mostrata  nella  visione  pre- 
^^  cedente,  salvo  che  è  d'una  maniera  incompara- 
^  bilmente  più  sublime  e  io  ben  sento  di  non 
"'  aver  termini  per  comechessia  adombrar  la  cosa. 
^  Checché  noi  facciamo  vedere  in  quel  diamante, 
^  essendo  esso  tale  che  in  sé  racchiude  tutte  le 
^  cose,  nessuna  potendovene  essere  che  esca  fuori 
^  di  quella  grandezza.  Mi  fu  d'  altissima  maravi- 
^  glia  il  veder  in  ispazio  di  tempo  sì  breve  co- 
'^  tanta  sterminata  moltitudine  di  cose  rappresen- 
^  tate  insieme  in  quel  limpidissimo  diamante....  „ 


Tutte  le  altezze  si  rassomigliano.  Neil'  acroba- 
tica del  pensiero  e  del  sentimento  l'uomo  si  alza 
colle  ali  della  fantasia  o  del  desiderio  a  cime,  che 
gli  occhi  non  vedono ,  che  le  mani  non  toccano. 


SANTA  TERESA  ^3 


e  la  ornile  serva  di  Dio,  la  modesta  santa  di 
Avila ,  portata  neUe  sue  estasi  a  veder  Dio ,  dà 
la  mano  al  filosofo  spiritualista ,  che  sui  gradini 
infiniti  d'una  scala  che  non  ha  fine,  tenta  di  de- 
finir l'indefinibile  e  si  inebbria  e  si  estasia  deUe 
sue  definizioni  dogmatiche,  dove  l'indetermina- 
tezza delle  parole  svela  l'inconcepibilità  delle  cose. 


FINE  DEL  PEIMO  VOLUME. 


f 


INDICE  DEL  PRIMO  VOLUME 


V'^^J'N*■•.*^^" 


Dedica Pag, 


CAPITOLO  PEIMO. 

Questo  libro  è  una  battaglia.  —  L^estasi  nel  linguaggio 
volgare,  nel  dizionario  e  nella  scienza.  —  Definizione 
dell^autore  e  difesa  di  questa  definizione.  —  Rapporti 
e  confini  tra  V  estasi ,  T  ipnotismo ,  il  piacere  e  V  eb- 
brezza. —  Topografia  schematica  dell'estasi.  —  Evo- 
luzione del  processo  estatico.  —  Eziologia  dell'estasi. 
—  n  sistema  nervoso  e  l'ambiente.  —  Cause  orga- 
niche permanenti  e  transitorie.  —  D  circolo  etemo  che 
racchiude  l'uomo „ 


CAPITOLO  n. 

Fatale  condanna  del  figlio  di  Prometeo.  —  Classificazione 
delle  estasi.  —  Le  jpiccóle  e  le  grandi  estasi.  —  Schizzo 
sommario  delle  piccole  estasi.  —  Piccole  estasi  perma- 
nenti e  transitorie.  —  Le  grandi  estasi.  —  Trasforma- 
zione dell'  estasi  in  lavoro  utile.  —  Classificazione  di 
tutte  le  estasi  dalla  loro  origine    , »    ^^ 


356  INDICE 


CAPITOLO  m. 
L'  ESTASI  NEGALI  ANIMALI. 

Le  forme  crepuscolari  dell'estasi  negli  animali.  —  Pic- 
cole estasi  muscolari,  musicali  e  estetiche.  —  Le  orgie 
muscolari"  dei  bambini  e  delle  bestie.  —  Estasi  musi- 
cale. —  Estasi  estetica.  —  La  passera  solitaria  a  San 
Terenzo.  —  Gli  usignuoli  ad  Acqui.  —  Il  mio  papa- 
gallo  rosso  delle  Molucche.  —  Le  paradisee  e  i  loro 
rapimenti  estetici.  —  Forme  crepuscolari  delle  piccole 
estasi  nei  nostri  bambini  e  nei  selvaggi.  —  Un^  an- 
tologia dei  popoli  anal&beti Fag,    49 

CAPITOLO  IV. 
LE  ESTASI  AFFETTIVE. 

Diverse  forme  delle  piccole  estasi  affettive.  —  Estasi 
della  carità.  —  Per  via  della  religione,  del  dolore  e  del 
pentimento.  —  La  redenzione.  —  Estasi  miste  di  ca- 
ritÀ  e  di  estetica  del  bene.  —  Contemplazione  del 
bene.  —  La  bellezza  della  bontà «    89 


CAPITOLO  V. 


ESTASI  DELL'AMICIZIA  E  DELL'AMOR  FBATEBNO. 


Eapimenti  dell'amor  fraterno «  127 


INDICE  357 


CAPITOLO  VL 
LE  ESTASI  DELL'AMOR  MATERNO. 

I  rapimenti  della  contemplazione.  —  L'uomo  bambino  di- 
nanzi agli  occhi  di  tutti  e  agli  occhi  della  madre.  — 
L'orgoglio  materno.  —  H  sagrifizio.  —  I  rapimenti  del- 
l'amore paterno.  —  U  padre  e  la  figliuola  •    •   Pag,  153 


CAPITOLO  vn. 
LE  ESTASI  dell'amor  FILIALE. 

La  nostra  mamma.  —  Tre  statue  e  tre  donne.  —  L'am- 
mirazione. —  Nostro  padre.  —  La  figlia  e  i  suoi  sa- 
grifizii  sublimi.  —  L' uomo  vecchio.  —  Culto  per  la 
vecchiaia „  181 


CAPITOLO  vm. 

LE  ESTASI  DELL'  AMOR  PLATONICO. 

L'esistenza  e  la  negazione  di  questo  amore.  —  Le  trenta 
definizioni  dell'amore  platonico  e  la  definizione  dell'au- 
tore. —  Analisi  psicologica  di  questa  forma  dell'amore. 
—  I  grandi  amori.  —  Gli  uragani  dell'amore.  —  Pu- 
dore ascetico.  —  Le  visioni  dell'  amore  platonico.  — 
Forme  comuni  ad  altre  estasi n  ^^^ 


358  INDICE 


CAPITOLO  IX. 

LE  S8TA8I  BELiaiOSE. 

Odore  di  santità.  —  Analogie  profonde  tra  Testasi  re- 
ligiosa e  Tamore.  —  L^adorazione.  —  Dante  e  santa 
Teresa.  —  La  prosternazione,  i  sagrifizii,  i  martini  vo- 
lontarii.  —  Le  visioni  ascetiche,  le  semplici  e  le  com- 
poste, le  liete  e  le  tristi.  —  Influenza  psichica  delia 
luce.  —  Fenomeni  secondarìi  della  visione  ascetica.  — 
La  preghiera.  —  Definita  dai  teologi  e  studiata  dal  psi- 
cologo. —  La  preghiera  secondo  santa  Teresa.  —  Per- 
chè si  prega  e  delizie  della  preghiera.  —  L^ambiente 
estemo  nell'estasi  religiosa.  —  La  chiesa,  i  profumi, 
le  campane  e  Tergano.  —  Estasi  religiosa  della  Con- 
tessa *** .    Pag.  231 

CAPITOLO  X. 
SANTA    TERESA. 

Essa  è  la  più  alta  figura  storica  nel  mondo  delle  estasi 
religiose.  —  Primi  crepuscoli  del  suo  ascetismo.  —  Suoi 
scrupoli  e  sua  alta  moralità.  —  Analisi  delle  delizie 
dell'orazione  fatta  da  lei.  —  Ineffabili  rapimenti  dell'e- 
stasi ascetica.  —  Ratto  ed  unione.  —  Spirito  profonda- 
mente analitico  della  santa  spagnuola.  —  Intimo  rap- 
porto fra  T  estasi  ascetica  e  T  amore.  —  Visioni  liete 
e  visioni  terribili.  —  Note  più  alte  dell'estasi.  —  Vi- 
sione di  Dio.  —  Le  alte  vette  dell'alpinismo  morale  .    „  299 


LE  ESTASI  UMANE. 


IL 


PAOLO   MANTEGAZZA 


LE  ESTASI  UMANE 


Quia  dabit  mihi  pennas  sicnt  co- 
Inmbte  et  volabo  et  reqaiescam? 

Salmo  LV,  6. 


Volume  Secondo 

MD    ULTIMO 


MILANO 

PAOLO  MANTEGAZZA,  EDITORE 

1887. 


Proprietà  Letteraria 


Riservati  i  diritti  di  traduzione 


Milano.  —  Tip.  Trevcs. 


Capitolo  XI. 


Estasi  religiose  in  alcune  sante  e  in  alcuni  santi.  —  Maria 
degli  Angeli.  —  Anna  Caterina  Emmerich.  —  La  beata.  Mar- 
gherita Maria  Alacoque.  —  Battista  Varani ,  principessa  di 
Camerino.  —  Frate  Jacopo  dalla  Massa.  —  Frate  Giovanni 

della  Vemia.  —  Frate  Leone. 


EhIosì  untane,  —  li. 


Maria  degli  Angeli,  carmelitana  scalza,  nata  a 
Torino  il  7  di  gennaio  del  1661 ,  morta  il  16  di 
dicembre  1717,  è  uno  dei  più  mirabili  esempii  di 
ana  vita  tutta  spesa  nelle  estasi  del  sentimento 
religioso  (1).  Senza  ornare  la  narrazione  coi  colori 
dell'arte,  lasciamo  a  lei  la  parola,  e  dove  essa  non 
basti  diamola  al  biografo  di  lei,  che  come  scrit* 
toro  ascetico  non  è  dei  più  esaltati. 

infino  dalla  più  tenera  età  ella  mostrò 

di  essere  sì  fatti  mente  prevenuta  dalla  divina 
grazia  che  ben  si  poteva  già  arguire  come  Iddio 
l'avesse  destinata  a  qualche  cosa  di  straordinario, 
nella  via  della  santità.  Infatti ,  prima  ancora  dei 
sette  anni  ella  era  già  sì  inclinata  alla  pietà,  che 


(1)  Alessandro  Teppa,  barnabita.  Vita  della  venerabile  Maria 
degli  Angeli,  Carmelitana  Scalza.  Torino  1865. 


CAPITOLO  XI 


come  ella  stessa  oi  racconta  nella  sua  vita  che 
scrìsse  per  ordine  del  suo  confessore,  tatto  il  suo 
diletto  era  in  fare  altarini,  recitare  orazioni,  sentir 
parlare  di  Dio,  e  mentre  le  sae  sorelle  si  stavano 
ricreando,  intrattenersi  con  un  suo  fratellino  e 
ragionare  delle  cose  del  cielo. 

Ma  quanto  ella  fosse  già  fin  d'allora  penetrata 
dalle  verità  di  nostra  santa  religione ,  e  come  il 
suo  tenero  cuore  fosse  acoeso  di  santi  desiderii, 
veggasi  dal  seguente  grazioso  fatto,  che  ella  stessa 
con  tutta  ingenuità  ci  descrive,  Ed  è,  che  udendo 
ella  di  sovente  raccontare  la  vita  dei  santi  da 
una  buona  serva  di  casa ,  s' accese  in  lei  tanto 
desiderio  di  imitarne  qualcuno,  che  un  bel  dì 
accordatasi  col  detto  suo  fratellino,  deliberarono 
di  fuggire  occultamente  di  casa  per  andar  al  de- 
serto, e  quivi  fare  penitenza.  Per  la  qual  cosa 
trovaron  modo  di  avere  una  tacchetta  di  pane  e 
un  fiasco  di  vino,  tanto  che,  secondo  illoro*  pa- 
rere fanciullesco,  bastasse  loro  fino  al  deserto,  che 
colà  giunti  poi  Iddio  gli  avrebbe  provveduti* 
Quindi  posero  ben  mente  dove  alla  sera  si  ripo- 
neva la  chiave  di  casa  per  potersi  poi  aprire  la 
porta  da  sé  stessi.  E  così  determinato  di  fuggire 
celatamente  alla  mattina  per  tempissimo,  lieti  e 
contenti  essi  andarono  a  dormire.  Ma  che?  Alla 
mattina  invece  di  trovarsi  in  viaggio  per  lo  de- 


MARIA  DEGLI  ANGELI 


serto,  i  due  innocenti  fanciulli  faron  trovati  sa- 
poritamente dormir  ciascuno  nel  proprio  letto, 
quando  la  serva  di  casa  andò  secondo  l'usato  a 
svegliarli.  Di  che  oltremodo  addolorati  per  ve- 
dersi delusi  nelle  loro  belle  speranze,  diedero 
amendne  in  un  dirotto  pianto.  Del  quale  volendo 
pur  la  fantesca  saper  la  cagione,  massime  dopo^ 
che  ebbe  veduto  accanto  a  loro  la  tasehetta  del 
pane  e  il  fiasco  del  vino:  ma  non  vi  fu  verso  che, 
ella  né  verun  altro  potesse  trar  loro  upa.  parola 
di  bocca,  finché  Marianna  pel  timore  del  castigo 
che  fu  loro  minacciato,  a  grande  stento  sen  venne 
a  palesar  ogni  cosa  con  diletto  e  ammirazione  di 
tutti. 


Ut 


La  piccola  Maria  fin  da  bambina  aveva  messo 
tanto  alto  il  suo  ideale  di  moralità,  che  fino  il 
più  lontano  pericolo  di  perdere  la  sua  innocenza 
le  faceva  terrore.  E  di  fatto ,  ella  stessa  ripen- 
sando alla  vita,  che  pur  chiama  pessima,  da  lei 
menata  fino  agli  undici  anni  e  mezzo ,  dice  che 
oltre  quel  pericolo  non  conosce  altro  peccato,  se 
non  qualche  piccola  bugia,  qualche  disubbidienza 


6  CAPITOLO  il 


ai  suoi  genitori,  aloani  risentimenti  e  brighe  coi 
saoi  fratelli  e  sorelle  e  qualche  giudizio  temerario 
in  materia  leggera.  Anzi  rammenta  come  con  tutto 
questo  ella  cercava  pure  qualche  poco  di  tempo 
per  intrattenersi  con  Dio,  e  che  quando  in  alcune 
cose  avesse  conosciuto  esservi  l'offesa  di  Dio, 
avrebbe  piuttosto  abbracciata  mille  volte  la  morte, 
che  offenderlo. 

Tutto  questo  però  non  fu  ancora  bastante  a 
staccarla  del  tutto  dalla  vanità  del  mondo,  tanta 
era  Tinclinazione  che  vi  aveva,  né  a  toglierla  da 
quella  penosa  alternativa,  per  cui,  posta  neU'  oc- 
casione, si  lasciava  prendere  alle  lusinghe  del 
mondo  e  poscia  tornata  in  sé ,  piangeva  davanti 
al  suo  Crocifisso. 


Già  fin  d'allora  cadeva  in  allucinazione. 

....  Quand'ecco  un  giorno,  mettendosi  ella  da- 
vanti allo  specchio  per  adomarsi,  invece  della  sua 
propria  immagine  vide  in  quella  la  figura  di  Gesù 
coronato  di  spine  e  tutto  grondante  di  sangue. 
A  tal  vista  impaurì  e  restò  tutta  tremante  e  con 


MABIA  BEG^LI  ANGELI 


abbondanti  lagrime  si  diede  finalmente  per  vinta, 
rinunziando  del  tatto ,  per  quanto  le  fosse  possi- 
bile, alla  vanità  del  mondo. 

Ogni  amore  veramente  grande  sogna  il  sacrifizio, 
come  la  forma  più  alta  di  espressione  dell'affetto, 
come  l'altare  più  puro  e  più  splendido  a  cui  por- 
gere i  proprii  incensi. 

E  come  l'amore  richiede  somiglianze,  così  quanto 
più  in  lei  cresceva  l'amore  verso  Gesù,  tanto  più 
cresceva  altresì  il  desiderio  di  patire  e  mortifi- 
carsi per  lui.  Onde  si  studiava  di  negare  in  tutto 
la  sua  propria  volontà  e  cercava  di  mortificarsi 
per  quanto  poteva  la  propria  carne  con  vigilie, 
digiuni  ed  altre  corporali  austerità. 

L'idea  del  sacrifizio  come  omaggio  necessario 
del  grande  amore  di  Dio  la  conduce  a  farsi  monaca. 

Si  diede  quindi  più  che  mai  all'  orazione  men- 
tale, ed  il  Signore  non  si  lasciava  da  lei  vincere 
in  cortesia,  facendole  molte  grazie  e  favori  sin- 
golari che  la  fortificavano  e  le  davano  animo  a 
spregiare  sé  stessa  e  U  mondo;  dimodoché  quello 
che  in  prima  ella  amava  e  stimava,  allora  l'atterriva 
e  odiava  più  che  la  morte.  Per  la  qual  cosa  coU'ap- 
provazione  del  suo  confessore  ella  risolvette  di  farsi 
religiosa  e  ne  domandò  licenza  alla  madre.  Ma 


8  CAPITOLO  XI 


qaella  gliela  negò ,  dicendo  eh'  ella  era  ancora 
troppo  tenera  d'età,  e  eh'  essa  non  voleva  essere 
da  lei  abbandonata  sì  presto.  Marianna  per  allora 
si  rassegnò  e  cercava  di  consolarsi  ritirandosi  il 
più  spesso  ohe  poteva  in  luoghi  appartati  a  con- 
versare col  suo  Signore.  "  Sono  qui,  gli  dicea  con 
tutta  confidenza,  sono  qui,  amor  mio,  sposo  mio 
diletto,  io  voglio  starmi  con  voi.  „  E  così  dicendo 
si  inteneriva  tutta  e  si  scioglieva  in  lagrime  d'a- 
more, tanta  era  la  consolazione  che  il  Signore  le 
faceva  gustare. 

La  madre  insiste  nel  suo  rifiuto,  e  tra  le  altre 
cose  viene  a  dirle  come   già  vi  era  persona  de- 
gnissima per  ogni  riguardo  che  aspirava  alle  sue 
nozze,  e  come  ogni  ragione  volesse  che  ella,vi^ 
corrispondesse. 

A  queste  parole  Marianna,  secondochè  ella  stessa 
riferisce,  non  si  potè  contenere  dal  rispondere  "  che 
un  tal  parlare  non  era  di  madre  che  l'amasse,  che 
essa  voleva  corrispondere  al  Creatore,  non  alle 
creature;  che  già  era  consacrata  per  isposa  a 
Cristo;  e  però  la  pregava  a  non  parlarle  più  delle 
cose  di  questo  mondo,  ma  solo  di  quelle  del  cielo; 
si  compiacesse  pertanto  di  consolarla  col  permet- 
terle di  farsi  religiosa.  La  madre  allora  piangendo 
1'  abbracciò  e  le  disse  :  ''  Iddio  ri  faocm  una  gran 
sanf^.  „ 


MABIA  DEGLI  ANGELI 


Né  crediate  che  per  quella  piccola  santa  il  sa- 
crifizio di  lasciare  la  madre  fosse  leggero  e  fa- 
cile. Dice  infatti  ella  stessa,  che  nel  doversi  dir 
partire  dalla  madre,  la  sua  natara  si  risentì  cosi 
fortemente  che  quasi  venne  meno  per  dolore.  N"è 
questo  dolore  le  passò  leggermente,  come  talvoljba 
accade,  anzi  continuò  ad  affliggerla  per  tutto  il 
tempo  del  noviziato,  tanto  più  che  la  madre,  an- 
dando spesso  a  visitarla,  non  poteva  ritenersi  dal 
rimproverarle  con  parole  di  affettuoso  dolore  la 
sua  durezza  e  crudeltà  nelPaverla  voluta  così  ab- 
bandonare per  chiudersi  fra  quelle  mura. 

Così  Maria  degli  Angeli  continuò  sino  alla  fine 
il  suo  noviziato.  Del  quale  come  fu  presso  al  ter- 
mine, Iddio  le  fece  di  nuovo  gustare  la  sua  dolce 
presenza,  ed  ella  si  godeva  una  pace  ed  untv  tran- 
quillità sì  grande  che  le  parevano  un  nulla  tutti 
gli  affanni  che  aveva  fino  allora  sofferti.  Quand'ecco 
levarsi  contro  di  lei  improvvisamente  una  furiosa 
tempesta  che  le  mise  il  cuore  in  grande  coster- 
nazione. La  madre  in  vedersi  vicina  a  perdere 
ogni  speranza  di  più  riavere  in  c^iSa  la  figlia, 
benché  fosse  donna  di  pietà  e  timorata  di  Dio, 
mise  in  opera  ogni  mezzo  per  farla  uscire  dal 
chiostro.  EJ  tant'oltre  si  lasciò  trasportare  dal  suo 
amor  materno  ;  che  non  voleva  star  più  agli  ac* 


10  CAPITOLO  XI 


cordi  fatti  da  prima  col  monastero,  né  si  ritenne 
dal  prorompere  alla  presenza  della  maestra  di 
sua  figlia  in  parole  ingiuriose  alle  suore,  tanto 
che  quella  era  già  sul  punto  di  andare  dalla  priora 
perchè  rimandasse  a  casa  la  novizia. 

Ogni  difficoltà  però  fu  appianata  e  Maria 

potè  con  grande  allegrezza  del  suo  cuore  consa- 
crarsi a  Dio  colla  professione  solenne  il  giorno 
di  Santo  Stefano  dell'anno  1677. 


L'umiltà  cristiana,  1'  abnegazione  di  sé,  la  sete 
di  sagrifizio  si  trovano  personificate  nella  buona 
Maria. 

Siccome  poi  ella  non  vedeva  in  sé  altro  che 
miserie  e  difetti,  e  si  stimava  rea  di  molte  colpe, 
meritevole  solo  dell'inferno,  così  non  è  da  far 
meraviglia  se  per  tale  voleva  pur  essere  stimata 
dagli  altri  e  cercava  in  tutti  i  modi  di  umiliarsi 
e  di  avvilirsi.  Quindi  era  quel  parlare  che  faceva 
di  sé  con  termini  solo  d'avvilimento  e  di  disprezzo, 
chiamandosi  quasi  per  soprannome  l'ignorante,  la 
superba,  l'indegna,  la  bestiuola,  la  povera  pecca* 
trice  ;  lo  scandalo  del  monastero.  Quindi  parimente 


MABXA  rmOthl  AN0ELI  11 

l'occultare  a  tutto  potere- i  suoi  pregi  e  i  doni 
singolari  che  riceveva  da  Dio  e  l'usare  con  tutti 
un  tratto  semplice  e  volgare,  accomunandosi  ad 
ogni  maniera  di  persone,  e  diportandosi  in  tutta 
come  fosse  una  religiosa  da  nulla.  Quindi  amava 
il  cercare  studiosamente  come  dovuti  alla  sua 
indegnità  gli  uffizi  più  bassi  del  monastero,  e  il 
servire  alle  stesse  converse  in  ciò  che  vi  era  di 
più  incomodo  e  fastidioso,  senza  rifuggire  da 
qualsivoglia  schifezza.  Quindi  finalmente  il  desi- 
derio grande  che  ella  aveva  di  tutti  quegli  atti 
di  pubblica  mortificazione ,  per  cui  poteva  mo* 
strarsi  di  fuori  quale  si  teneva  dentro  del  suo 
cuore.  Ond'  è  che  si  vedeva  talvolta  entrare  in 
refettorio  a  capo  scoperto,  con  uno  straccio  in* 
dosso  e  con  una  fune  al  collo  e  quivi  gettarsi  a 
terra  protesa,  accusandosi  con  grande  umiltà  di 
qualche  suo  mancamento.  Altre  volte  si  vedeva 
quivi  stesso  comparire  con  una  croce  in  collo,  ed 
una  corona  di  spine  in  capo ,  chiedendo  alla  su- 
periora di  essere  severamente  ammonita,  come  si 
meritava,  de'  suoi  difetti.  Tal  altra  poi  se  ne  an- 
dava attorno  alla  mensa,  chiedendo  per  elemosina 
alle  suore  un  tozzo  di  pane,  il  quale  poi  si  man- 
giava seduta  in  terra  come  una  povera  mendica. 
Ma  quello  che  più  gradiva,  come  più  conveniente 
al  suo  merito,   era.  lo  stendersi  supina  in  terra* 


12  CAPITOLO  XI 


alla  porta  della  officina,  obbligando  le  suore  che 
ne  uscivano,  a  calpestarla.  Tale  e  tanto  era  il 
concetto  che  ella  aveva  della  sua  indegnità. 

L'instituto  delle  Carmelitane  riformato  da  santa 
Teresa  è  già  per  sé  stesso  di  tal  rigore,  che  qnar 
lunque  anima  desiderosa  di  mortificarsi  per  amor 
di  Cristo  ha  senz'  altro  di  che  soddisfare  larga- 
mente al  suo  fervore;  ma  quell'  austerità  di  vita 
che  ben  poche  anime  elette  hanno  forza  di  ab- 
bracciare, era  poco  o  nulla  al  gran  desiderio  che 
aveva  Maria  degli  Angeli  di  patire  per  Cristo. 

E  qui  il  biografo  descrive  i  crudeli  digiuni,  le 
discipline  quotidiane  ^  quasi  sempre  a  sangue  tanto 
ohe  ne  inzuppava  il  pavimento  „ ,  e  gli  ispidi  cilici 
^  che  sempre  portava  a  carne  „  e  le  pungenti  cate- 
nelle con  che  si  cingeva  i  lombi  e  le  braccia  e  le 
gambe,  e  talvolta  perfino  il  collo,  lieta  di  vedersi 
così  carica  di  catene  e  di  tormenti  come  vera  sposa 
del  Crocifisso. 

E  con  tutto  ciò  il  suo  desiderio  di  patire  non 
era  mai  sazio,  anzi  cercava  sempre  nuovi  modi  e 
nuovi  strumenti  per  tormentarsi,  come  fu  questo,- 
orribile  pur  a  pensarsi,  di  stare  alcun  tempo  so- 
spesa per  una  fune  ad  un  travicèllo  della  sua 
stanza 


HARU  DEGLI  ANGELI  13 

Tutti  questi  tormenti,  tutte  queste  lotte,  tutta 
questa  acrobatica  del  sentimento  portano  Maria 
in  queUo  stato  di  iperestesia  deUa  coscienza,  che 
è  feconda  di  allucinazioni  e  di  estasi. 

f  .  .  ,  .  Era  il  dì  14  di  dicembre  dell'anno  1690, 
cioè  il  giorno  anniversario  della  morte  di  san  Oio- 
vanni  della  Croce,  padre  dei  Carmelitani  ScaM, 
quando  a  Maria  degli  Angeli  apparve  Gesù,  coro- 
nato di  spine,  colla  croce  in  coUo,  e  accompagnato 
dal  detto  Santo.  Con  uno  sguardo  tutto  dolce  ed 
amoroso  le  dice  che  compiuto  è  per  lei  il  tempo  delle 
battaglie  e  delle  pene,  e  venuto  il  tempo  che  ella 
debba  ricevere  da  lui  la  meritata  ricompensa.  Ella 
sarà  quindi  innanzi  la  sua  sposa  diletta,  a  lui 
congiunta  per  la  più  intima  unione  d'amore:  gli 
chiegga  in  premio  qual  grazia  più  le  aggrada,  che 
egli  è  presto  ad  esaudirla.  A  tal  vista,  a  tali  pa- 
role Maria  degli  Angeli  tutta  inebbriata  d'amore 
risponde  :  "  Non  altro  vi  chieggo ,  o  Signore ,  se 
non  quello  che  già  vi  chiese  il  mio  santo  Padre, 
cioè  di  patire  ed  essere  dispregiata  per  voi.  „  Gesù 
allora  stese  le  braccia,  e  dolcemente  l' abbracciò, 
lasciandola  piena  di  gaudio  e  insieme  con  arden- 
tissima  brama  di  sempre  più  patire  per  lui. 

Dopo  le  allucinazioni,  le  estasi. 

Ma  se  in  lei  cresceva  sempre  più  la  brama  del 


14  CAPITOLO  XI 


patire  per  conformarsi  al  suo  Sposo  crocifisso, 
d'altra  parte  eziandio  vennero  sempre  più  ad  ac- 
crescersi e  moltiplicarsi  i  favori  straordinarii  che 
Gesù  faceva  alla  sua  sposa  diletta.  D'allora  in  poi 
cominciarono  a  rendersi  in  lei  freqnentissiai^  quelle 
estasi  stupende,  per  cui  l'anima  sua  alienata  dai 
sensi  e  sollevata  al  disopra  d' ogni  cosa  terrena, 
si  portava  tutta  in  Dio,  unendosi  a  lui  e  trasfor* 
mandosi  tutta  in  lui  per  amore.  Bello  era  allora 
il  vederla  immobile,  insensibile,  colle  braccia  in* 
crociate  sul  petto ,  talvolta  in  atto  di  stringersi 
al  seno  il  Crocifisso,  starsene  colla  faccia  rivolta 
al  cielo,  ovvero  fisa  in  qualche  divota  immagine; 
cogli  occhi  sfavillanti,  col  volto  acceso,  col  sorriso 
sulle  labbra  e  con  un'  aria  così  dolce,  così  ange« 
lica,  che  in  vederla  talvolta,  come  accadde,  le 
Begine  e  le  Principesse  trasportate  da  riverente 
afifetto  non  potevano  contenersi  dall'  abbracciarla 
e  baciarle  divotamente  le  mani.  Che  cosa  vedesse, 
che  cosa  sentisse  allora  l' anima  di  Maria  degli 

Angeli,  essa  sola  poteva  saperlo 

•    •     ••     •     •••••*••••••    .^ 

Insomma  divennero  così  frequenti  le  estasi  in 
Maria  degli  Angeli,  che  quasi  più  non  passava 
giorno,  che  essa,  o  in  un  luogo  o  in  un  altro,  non 
vi  si  trovasse;  tanto  che  per  la  frequenza  omai 
ne  era  cessata  nelle  altre  monache  la  maraviglia. 


MABIA  DEGLI  ANGELI  15 


Se  non  che  a  tutti  si  rendeva  ognor  più  palese, 
che  la  conversazione  di  Maria  degli  Angeli  era 
del  continuo  in  cielo  e  che  il  suo  cuore,  come  ella 
stessa  ebbe  a  dire,  non  era  più  seco,  ma  la  sua 
vita  era  tutta  in  Gesù  Cristo. 

Estasi  e  allucinazioni  si  associano  spesso,  con- 
fondendosi in  un  solo  stato  di  rapimento  dei  sensi. 

E  prima  di  tutto  non  ha  dubbio  che  Maria  de- 
gli Angeli  in  quelle  sue  dolci  e  stupende  estasi 
era  bene  spesso  da  Dio  sollevata  alla  cognizione 
intima  delle  cose  soprannaturali  e  che  le  furono 
talvolta  rivelati  i  misteri  più  profondi  della  no- 
stra santa  religione,  come  per  esempio  quello  della 
santissima  Trinità ,  con  tanta  chiarezza  che  ella 
ne  rimaneva  attonita. 

Era  naturale  che  per  parentela  psicologica  Maria 
degli  Angeli  sentisse  una  più  viva  simpatia  per 
santa  Teresa.  E  infatti  questa  le  appare: 

la  Santa  ben  presto  la  consolò  con  un 

favore  del  tutto  singolare.  Gonciossiachè  la  mat- 
tina seguente ,  mentre  ella  se  ne  stava  all'  ora- 
zione tutta  umiliata  e  confusa  chiedendo  a  Dio 
perdono  delle  sue  colpe,  ecco  che  ad  un  tratto 
sentì  la  voce  della  Santa  che  le  disse:  "  Figlia, 


16  CAPITOLO  XI 


V 


non  ti  dar  pena,  che  io  ti  sarò  buona  madre ,,;  e 
poi  porgendole  benignamente  la  mano,  le  die  li- 
cenza di  goderne  quanto  le  piacesse.  E  soggiugne 
la  serva  di  Dio ,  ciò  narrando ,  che  quella  mano 
era  tanto  risplendente  che  ella  stentava  a  rimi- 
rarla; e  con*  un  odor  così*  soave  die -non  sapeva 
a  qual  odore  paragonarlo.  Di  che  rimase  tutta 
confortata  con  molta  pace  e  quiete,  e  con  un  gran 
distaccamento  da  tutto  quello  che 'non  ò  Dio. 

Di  molto  più  maravigliosa  e  più  gioconda  fu  la 
visione  che  Maria  degli  Angeli  ebbe  una  volta 
nella  festa  dell'Assunzione  di  Maria.  Io  la  riferirò 
colle  sue  stesse  parole:  ^^Accostandomi,  dice,  il 
giorno  dell'Assunta  alla  santa  comunione,  mi  sentii 
in  un  subito  riempir  1'  anima  di  tanta  soavità  e 
dolcezza  che  mi  pareva  di  essere  in  corpo  ed 
anima*  in  paradiso.*  In  questo  punto  'mi*  apparve 
la  santissima  Vergine  tanto  bella  e  tanto  risplen- 
dente, che  non  poteva  fissare  gli  occhi  a  rimi- 
rarla, sì  ne  abbagliava  il  suo  splendore.  Teneva 
in  mano  una  bianca  veste,  ma  di  un  bianco  molto 
differente  da  quello  della  terra.  Era  tutta  tempe- 
stata di  gioie;  non  erano  però  simili  a  quelle  ohe 
io  avevo  altre  volte  vedute,  ma  le  sopravanzavano 
di  gran  lunga.  Mi  disse  che  la  teneva  pronta  per 
rivestirmi^  quando  fossi  stata  del  tutto  bene  spo- 


MABIA  DEGLI  ANGELI  17 

gliata  di  me  stessa,  e  che  mi  oonveniva  anoor 
£aticar  molto  per  saperar  le  battaglie  del  mio 
nemioo;  che  ricorressi  spesso  a  lei,  ohe  mi  avrebbe 
assistita  e  che  le  dicessi  spesso  qaeste  parole: 
Ad  pedes  tuos,  piisHma  Domina  mea,  vivere  vólo  et 
mari  cupio,  ^  Mi  lasciò  molto  consolata  con  molta 
pace  e  qai^te,  e.  con  gr^n  de^id.erip  ^(òVL^  virt^,  e, 
particolarmente  dell'umiltà  e  dell'ubbidienza.  „ 

Di  tutte  le  visioni  però  che  Maria  degli  Angeli 
ebbe  per  lo  spazio  di  molti  anni,  niuna  forse  fu  più 
notabile  e  di  più  durevole  effetto  di  quella  che 
essa  vide  il  giorno  della  festa  del  santissimo  Sa- 
cramento nell'anno  1687.  E  fu  che  dopo  la  santa 
comunione  le  si  rappresentò  dentro  dell'  anima 
l' Umanità  di  nostro  Signore  Gesù  Oristo  nella 
guisa  che  si  dipinge  il  Salvatore,  così  bello,  glo- 
rioso e  di  tanta  maestà,  che  ella  si  sentiva  rapire 
fuori  di  sé  stessa.  Ma  volendo  essa  per  umiltà 
resistere  a  questo  intemo  movimento,  si  fece  forza 
e  uscì  dal  coro;  e  così  perde  la  visione  di  quella 
divina  presenza.  KelP  atto  però  che  fece  quello 
sforzo,  fu  presa  da  sì  forte  palpitazione  al  cuore 
e  svenimento  di  sensi  che  se  Iddio  non  l'avesse  so- 
stenuta ,  secondo  che  le  parve ,  ella  ne  sarebbe 
morta 

Estasi  umane.  —  U.  2 


18  CAPITOLO  XI 


L'ascetismo  estatico  è  una  forma  patologica  del 
sentimento  e  del  pensiero,  e  il  povero  organismo 
che  ne  è  sbattuto  di  continuo,  non  può  resistervi 
a  lungo.  Leggete  la  descrizione  di  questo  stato 
che  sembra  fatta  dal  Gharcot  e  non  da  un  padre 
barnabita. 
è*    •••#••••••••••••• 

ognuno  può  immaginarsi  quanto  Maria 

degU  Angeli  dovesse  ogni  dì  più  crescere  e  info-* 
carsi  nel  divino  amore.  E  veramente  questo  era 
in  lei  tale  e  tanto ,  che  non  potendo  più  aver  li- 
bero sfogo,  le  metteva,  come  si  è  detto,  il  cuore 
in  continua  palpitazione  e  si  fortemente  glieP  in- 
cendeva, che  il  calor  naturale  raccogliendosi  quivi 
dalle  estreme  parti  del  corpo,  queste  rimanevano 
fredde,  e  il  petto  per  contrario,  anche  nel  più  ri- 
gido verno  gocciava  di  sudore.  "So  solo  questo: 
ma,  diffondendosi  quel  calore  su  per  la  gola  e  per 
la  bocca,  le  rendeva  di  continuo  le  fauci  asciutte 
e  riarse  e  la  lingua  piagata,  e  con  lento  fuoco  le 
consumava  ancor  le  gengive;  ond'ella  avea  conti- 
nuo bisogno  di  refrigerarsi  con  acqua  fredda, 
senza  però  mai  poter  estinguere  quell'interno  ca- 
lore, che  le  abbruciava  le  viscere.  I  quali  effetti 
che  non  provenissero  da  cagione  naturale,  ma  sì 
unicamente  dalle  flamme  dell'amor  di  Dio,  dovet- 
tero infine  riconoscerlo  i  medici  stessi  dopo  i  molti 


MARIA  DEGLI  ANGELI  19 

esperimenti  che  fecero  sopra  di  essa.  L' amor  di 
Dio  era  talmente  insignorito  della  sua  potenza, 
che  la  sua  mente ,  per  così  dire ,  altro  non  pen- 
sava, il  suo  cuore  altro  non  amava  che  Dio:  i 
suoi  affetti,  i  suoi  discorsi,  le  sue  opere  erano  solo 
per  Iddio,  e  la  sua  vita  non  era  altro  ohe  una 
vita  d' amore ,  vita  nascosta  con  Cristo  in  Dio. 
^  Vivo  ego ,  jam  nmi  ego  „,  andava  essa  dicendo 
coli' Apostolo,  "  vivit  vero  in  me  Christm.  „  E  così 
ancora  soleva  dire:  Vengo  dall'amore,  vado  aWa- 
more,  penso  alVamore  e  tutto  fo  per  l'amore.  Tutto 
il  suo  desiderio  era  di  amare  quanto  più  si  possa 
a  suo  Dio;  l'unico  suo  timore,  quello  di  poterlo 
ancora  offendere.  Onde  esclamava  talvolta  con 
gran  dolore:  Oh  Dio ,  amarvi  tanto,  e  trovarmi  in 
potere  di  offendervi! 

Nervosismo,  esaltazione  somma  di  un  affetto  in- 
finito e  indeterminato,  trasformazione  di  tutte  le 
forze  psichiche  in  una  sola  :  ecco  la  formola  arida 
ma  scientifica  delle  estasi  ascetiche  di  Maria  degli 
Angeli. 

La  sua  delizia  poi  sovratutto  era  starsene  da- 
vanti a  Gesù  sacramentato,  conversando  con  lui 
come  un'  amante  sposa  col  suo  diletto  sposo.  Al 
qual  fine  negli  ultimi  anni  di  sua  vita  ottenne 
dalla  superiora  di  poter  ritirarsi  a  suo  piacimento, 


\ 


20  CAPITOLO  XI 


qaando  era  libera  da  altra  occupazione ,  in  un 
piccolo  coretto  che  riguardava  il  santo  taberna- 
colo, e  quivi  come  in  un  paradiso  di  delizie  se 
ne  stava  col  suo  dolce  Gesù,  quasi  sempre  in 
estasi ,  inflno  a  che  non  era  dall'  ubbidienza  ri- 
chiamata. 

Si  è  riso  da  molti  del  così  detto  odore  di  san- 
tità, ma  oggi  un  più  serio  esame  dei  fatti  tende 
a  mostrarci  che  così  come  in  speciali  condizioni 
di  eccitamento  nervoso  la  traspirazione  cutanea 
può  assumere  odor  insolito,  or  piacente  ed  ora 
spiacente,  è  molto  probabile  che  le  singolarissime 
condizioni  del  sistema  nervoso  che  accompagnano 
l'estasi  ascetica  possano  dare  al  sudore  un  profumo 
speciale  ed  aggradevole. 

non  voglio  por  termine  alla  narrazione 

dei  doni  straordinari  onde  Maria  degli  Angeli  fu 
da  Dio  privilegiata,  senza  fare  speciale  menzione 
di  quell'odore  soavissimo  e  soprannaturale  che 
negli  ultimi  venti  anni  di  sua  vita  ella  traman- 
dava  dal  suo  corpo,  e  lo  comunicava  a  tutto  ciò 
che  eUa  toccava,  ed  ai  luoghi  dove  si  tratteneva, 
odore  che  si  sentiva  da  tutti  che  trattavano  con 
lei,  or  più  or  meno  secondo  i  tempi  e  che  indarno 
ella  per  umiltà  cercò  talvolta  di  occultare  por- 


MARIA  DEGLI  ANGELI  21 

tando  addosso  cose  fetenti.  Di  qaesto  prodigioso 
odore  parlano  concordemente ,  si  può  dire,  tatti 
quelli  ohe  la  trattarono  negli  nltimi  anni  di  sua 
vita.  -Ma  valga  per  tutti  la  testimonianaa  che  ne 
rendette  monsignor  Costanzo,  arcivescovo  di  Sas- 
sari, il  quale  ne  parla  nei  seguenti  termini: 

"  Cominciò ,  dice  egli ,  questo  odore  venti  anni 
e  più  avanti  la  morte  della  Serva  di  Dio,  in  oc- 
casione che  nel  monastero  si  facevano  comuni 
preghiere  al  Signore  Iddio,  acciocché  concedesse 
a  questi  Stati  un  Sovrano  successore.  Cessato  tal 
odore  per  tutto  il  monastero,  non  cessò  però  in- 
dosso alla  Serva  di  Dio,  la  quale  indi  in  poi  per 
lo  spazio  di  due  o  tre  anni  di  quando  in  quando 
spirava  tal  odore,  specialmente  nelle  feste  più 
solenni  dell'anno,  o  quando  si  comunicava,  o 
quando  faceva  maggiori  penitenze ,  o  in  qualche 
distinta  novena. 

"  Terminati  i  detti  tre  anni  si  fece  tal  fragranza 
più  comune  e  finalmente  continua,  tanto  che  non 
solamente  il  suo  corpo  spirava  tal  odore ,  ma  lo 
comunicava  a'  suoi  abiti ,  e  alla  cella  e  a  quelle 
cose  che  toccava. 

"'  Quest'  odore  era  stimato  da  tutti  quelli  che 
lo  sentivano,  né  naturale,  né  artificiale,  sicché 
comunemente  veniva  chiamato  odore  di  santità. ,, 


22  CAPITOLO  XI 


Due  anni  prima  che  Maria  degli  Angeli  morisse, 
la  sua  estasi  toccò  il  grado  massimo  del  paros- 
sismo. 

Due  anni  prima  della  sua  morte,  il  primo  dì 
della  novena  di  santa  Teresa  essendosi  Maria  de* 
gli  Angeli  accostata  alla  santa  comunione,  le  ap- 
parve il  suo  diletto  Gesù  tutto  risplendente  di 
gloria,  con  volto  dolce  ed  amorevole,  il  quale  sì 
le  disse:  ^Diletta  mia,  mi  ami  tuf  y,  a  cui  ella 
tutta  inebbriata  d'amore  non  potè  rispondere  al* 
tro,  se  non  che:  "  Ah  Signore ,  se  vi  am>o!  „  Ed 
egli  allora:  "  Godi,  soggiunse,  o  figlia,  di  mia  prc* 
senza,  perchè  la  godrai  per  tutta  Vetemità,  „  A  tal 
vista,  a  tali  parole,  qual  fosse  il  gaudio,  l'amore, 
la  dolcezza  di  paradiso  onde  fu  inondato  il  cuore 
di  Maria  degli  Angeli,  lo  pensi  chi  legge.  Certo 
che  se  ella  non  venne  meno  per  la  piena  del  gau- 
dio e  per  l'ardenza  dell'amore,  non  fu  sua  forza 
naturale,  ma  grazia  speciale  di  Dio  che  la  so- 
stenne. 

Ma  quello  che  non  le  accadde  questa  volta, 
cioè  di  finir  la  vita  languendo  d'amore,  le  sarebbe 
forse  accaduto  indi  a  non  molto  un'  altra  volta , 
se  l'ubbidienza  non  vi  metteva  pronto  rimedio. 
Imperocché  crescendo  ognor  più  in  lei  il  desiderio 
di  congiungersi  a  Cristo,  un  dì  fu  tratta  sì  poten- 


MARIA  DE0LI  AN0ELI  23 

temente  a  lanciarsi  sai  seno  amoroso  di  Dio,  che 
non  reggendo  le  debite  forze  della  natura  alla 
veemenza  dell'amore  ella  ne  cadde  in  mortale  de** 
liqaio. 

Anche  nella  dolorosa  malattia  che  condusse 
alla  tomba  la  povera  Maria,  essa  godeva  dei  suoi 
dolori  e  si  esaltava  delle  sue  torture. 

Durante  questa  dolorosa  infermità  bello  era  il 
vederla  col  volto  lieto  e  sereno,  come  se  giacesse 
sopra  un  letto  di  rose,  mai  non  muoveva  un  la* 
mento ,  mai  non  domandava  nulla  in  sollievo  dei 
suoi  mali,  anzi  lodava  e  benediva  Iddio  perchè  la 
faceva  degna  di  patire  qualche  cosa  per  lui.  Ben 
è  vero  che  ella  aveva  un  gran  conforto  ai  suoi 
maU  neUe  frequenti  estasi  con  che  il  Signore  la 
traeva  a  sé  e  la  ricolmava  di  sempre  nuovi  favori. 

Intanto  la  febbre  non  rimetteva  punto  del  suo 
ardore,  e  Maria  degli  Angeli  ne  pativa  assai:  ma 
non  che  se  ne  dolesse  punto ,  anzi  desiderava  di 
j)i^  patere. per  amore  del  9U0  Dio..  QndjB  1^  ipati- 
tina  del  giorno  13  essendole  stata  portata  la  santa 
comunione,  nell'amoroso  colloquio  che  dopo  di 
quella  essa  fece  col  suo  Oesù  sacramentato  fu 
udita,  tra  le  altre  cose,  prorompere  in  queste  pa- 


54  CAPITOLO  XI 


role:  **  Caro  Gesù,  se  volete  darmi  piU  da  patire , 
datemene  ancora  più:  solo  vi  chieggo  che  mi  lasciate 
la  testa  Ubera,  awioochèio  possa  amarvi  fino  alfine. 
Del  resto  fate  di  me  quanto  vi  piace.  „ 

Spirata  ohe  fa,  la  sua  faccia  rimase  così  bella 
e  graziosa,  che  a  riguardarla  si  sarebbe  detto  lei 
non  esser  morta,  ma  riposarsi  in  placidissimo 
sonno.        •         .  . 


* 


Anna  Caterina  Emmerich  nasceva  1'  8  di  set- 
tembre del  1774  in  una  povera  capanna  di  Flam- 
ske  presso  Hoesfeld  (1). 

Fin  dalla  prima  infanzia  fii  di  natura  dolce  e 
^tenerissima.  Fon  fu  mai  udita  gridare;  non  fu  mai 
irrequieta,  ma  piuttosto  tacita,  sempre  dolce  e 
graziosa,  come  la  beata  Maria  Bagnesi  di  Firenze 
o  come  la  beata  Colomba  da  Bietì. 

Uno  dei  risultamenti  di  cotesta  purità  si  fu  ohe 

(1)  Vita  della  Serva  di  Dio,  Anna  Caterina  Emmerich, 
scritta  dal  P.  C.  £.  SchmOger  e  tradotta  dall'  originale  te- 
desco dal  marchese  Cesare  Boccella.  Volumi  tre.  Torino  1869. 


ANNA  EMMEBICH  2S 

Anna  Caterina  conservasse  sino  alla  morte  la  sem- 
plicità la  meno  sospettosa,  quella  di  un  umile  in- 
nocente bambino,  che  nulla  sa  di  sé  stesso  e  del 
mondo,  perchè  vive  in  Dio  soltanto Il  Si- 
gnore la  trattò  sempre  come  una  bambina  ed  ebbe 
cura,  nella  sua  meravigliosa  sapienza,  che  essa, 
nella  pienezza  della  luce  da  lui  versata  sul  di  lei 
spirito,  conservasse  la  semplicità;  nell'eroico  co- 
raggio che  sempre  aveva  sete  di  nuovi  patimenti, 
•la  timidità  conservasse:  e  nella  tremenda  gravità 
della  di  lei  missione,  sempre  mantenesse  quel  li- 
bero abbandono  di  un  fanciullo,  che  può  rapida- 
mente passare  con  occhi  ancora  bagnati  dalle  la- 
grime del  dolore  alla  serena  allegria  di  una  età, 
che  non  conosce  cure,  perchè  non  ha  peccati  . . . 

In  questa  natura  semplicissima  però  ben  presto 
si  manifestò  il  bisogno  dell'  adorazione  di  un  es- 
sere influito,  e  lo  soddisfa  colle  preghiere  lunghe 
e  ardenti. 

Sino  dal  quarto  anno  dell'  età  sua  incominciò 
essa  a  raccorciare  quel  tempo  di  notturno  riposo, 
tanto  necessario  ai  fanciulli,  per  consacrarlo  alla 
pietà.  Sì  tosto  i  genitori  erano  iti  a  dormire  che 
ella  lasciava  il  letticciuolo  e  pregava  insieme  al- 
l'Angelo suo  custode  per  due  o  tre  ore,  e  talvolta 


26  CAPITOLO  XI 


sino  all'alba.  Ella  amava  di  fare  questo  santo 
esercizio  a  cielo  scoperto,  e  qaindi,  allorché  la 
stagione  lo  permetteva,  usciva  cheta  cheta  dal 
casolare  paterno  e  si  arrampicava  verso  un  campo 
situato  alquanto  più  alto,  poiché  essendo  colassù 
si  credeva  più  vicina  a  Dio  jdi  quello  che  non 
pensasse  esserlo  nel  basso,  e  rivolta  col  guardo 
verso  la  chiesa  di  Hoesfeld,  pregava  a  braccia 
aperte. 

Gran  parte  della  di  lei  preghiera  era  da  Anna 
Caterina  consacrata  alle  povere  anime  del  purga- 
torio, le  quali  ansiose  di  soccorso,  bene  spesso  a 
lei  si  avvicinavano. 

Era  tempo  d' inverno.  EUa  di  notte  s' inginoc- 
chiava sulla  neve  e  pregava  per  loro,  sinché  quasji 
divenisse  pel  freddo  come  di  sasso,  a  braccia 
aperte.  Prendeva  anco  talvolta  un  tronco  di  legno 
tagliato  ad  angoli  acuti,  per  inginocchiarvisi  sopra, 
o  si  poneva  genuflessa  fra  le  ortiche  e  con  quelle 
si  .di^ciplii^ava,.  onde  con  simili  pene  render  più 
operativa  la  sua  orazione.  In  tutto  ciò  le  era  bene 
spesso  di  sollievo  il  ricevere  ringraziamento  da 
quelle  povere  anime  così  liberate. 

Intorno  a  ciò  così  riferiva  essa  medesima  negli 
anni  susseguenti: 

'^  Mentre  io  era  Jancora  bambina  fui  trasportata 


ANNA  EHHEBICH  27 

da  persone  a  me  sconosciate  in  un  luogo,  che  mi 
parve  essere  il  purgatorio.  Vidi  costì  molte  anime 
in  grandi  pene,  che  mi  supplicavano  di  orare  per 
loro.  Mi  pareva  come  se  fossi  trasportata  in  un 
profondo  abisso.  Vidi  anche  un  largo  spazio ,  la 
cui  vista  produceva  un'  orrenda  impressione ,  ma 
ad  un  tempo  anche  commovente,  poiché  costì  se- 
devano persone  silenziose  e  dolenti  che  pure  ave- 
vano alcun  indizio  nel  volto  di  una  gioia  raccolta 
nel  cuore  e  che  stavano  come  se  pensassero  alla 
misericordia  di  Dio.  „ 

Bisparmìo  al  lettore  le  infinite  visioni  di  Anna 
Caterina  in  questo  periodo  della  sua  vita;  ma  non 
posso  tacere  una  santa,  un'ingenua  confessione 
sua,  che  è  tutta  quanta  una  pagina  di  psicologia 
ascetica: 

"  Spesso,  mentre  ero  bambina,  ho  con  la  mag- 
gior confidenza  disputato  con  Dio,  perchè  mai 
egli  avesse  fatto  così,  e  non  diversamente,  questo 
0  quell'altro.  Non  poteva  concepire  come  mai  Id- 
dio avesse  lasciato  nascere  il  peccato,  poiché  egU 
ha  tutto  in  sua  mano.  Sopratutto  l'eternità  delle 
pene  infernali  mi  pareva  dura  al  di  là  d'ogni  con- 
cepimento. Allora  mi  sopravvennero  visioni,  che 
talmente  mi  ammonirono  e  m'istruirono,  che  ben- 
tosto fui  convinta  quanto  infinitamente  sia  giusto 


28  CAPITOLO  XI 


ed  amoroso  Dio,  e  quanto,  se  io  avessi  pur  po- 
tuto fare  qualsiasi  cosa  a  mio  modo,  avrei  fatto 
ogni  cosa  inefifabilmente  male.  ^ 

Anna  Caterina  era  nevrosica  fin  dalla  prima 
fanciullezza,  e  ce  lo  dice  il  biografo  di  lei  senza 
essere  medico  né  fisiologo. 

Il  colore  del  di  lei  volto  soleva  cambiare  rapi- 
damente dal  più  fiorente  rossore  fino  alla  più  lan- 
guida pallidezza;  e  quei  suoi  occhi  radianti  di 
luce  potevano  spegnersi  con  tanta  rapidità,  !che 
Anna  Caterina  era  spesso  da  riconoscersi  appena. 
Una  serietà  profonda  scacciava  da  lei  V  allegra 
libertà  dei  suoi  modi,  ed  una  tristezza  inesplica- 
bile a  quanti  la  circondavano  posavasi  sulla  di 
lei  fronte  in  modo  tale  che  i  genitori  nella  loro 
cura  spesso  si  addimandavano  :  Che  sarà  mai  ac- 
caduto a  questa  ragazza? 

Leggete  questi  frammenti  preziosi,  nei  quali  sì 
legge  come  in  un  libro  aperto  la  natura  tutta 
nervi  e  entusiasmo  di  Anna  Caterina,  dall'amore 
alla  camomilla  fino  al  culto  per  le  campane: 

"  Non  mi  sono  mai  potuta  meravigliare  del  che 
Giovanni  nel  deserto  abbia  potuto  apprendere 
cotanto  di  relativo  ai  fiori  ed  agli  animali;  giac- 


ANNA  EMMEBICH  29 

che,  sin  da  che  io  era  bambina^  ogni  foglia,  ogni 
fiorellino  mi  fa  sempre  siccome  nn  libro ,  in  cai 
leggere  poteva.  Osservando  ogni  colore,  ogni 
aspetto ,  ogni  forma ,  sentiva  in  me  chiara  V  idea 
della  loro  significazione  e  bellezza:  se  per  altro 
lo  volessi  raccontare,  verrei  derisa.  Ogniquavolta 
usciva  all'aperto  io  mi  sapeva  sollazzare  con  tatto. 
Iddio  mi  aveva  infaso  il  sentimento  intimo  di  tatto 
e  tatto  osservavo  penetrando  nella  intima  natura 
dei  fiori  e  degli  animaletti 

^  Più  d'ogni  altra  cosa  io  amava  i  fiori  di  camo- 
milla. Non  so  quanto  vi  sia  per  me  di  dolce  e  di 
meraviglioso  nel  loro  nome.  Già  di  buon'  ora  co- 
minciai a  raccoglierli  e  li  tenevo  pei  poveri  am- 
malati   

Fin  da  bambina  sentendo  il  suono 

delle  campane  consacrate,  vedeva  in  visione  questi 
suoni  radiare  siccome  raggi  di  benedizione ,  che 
fugavano  ogni  danno  minacciato  da  nemiche  po- 
tenze sin  là  dove  giungevano.  „ 

Fin  qui  il  poeta,  una  linea  più  in  là  la  santa.... 

^  Bitengo  per  certo  che  le  campane  consacrate 
spaventano  Satana.  Quando  io  nella  mia  gioventù 
in  tempo  di  notte  pregava  nei  campi,  spesso  sen- 
tiva e  vedeva  maligni  spiriti  intorno  a  me;  ma 
tostochè  le  campane  di  Hoesfeld  suonavano  a 


30  CAPITOLO  XI 


mattutino,  io  sentiva  che  quegli  spiriti  fuggivano.... 

Io  sento  il  suono   delle  campane 

consacrate  e  più  essenzialmente  lo  sento  gioioso, 
fortificante  e  dolce  di  qualsiasi  altro  suono,  che 
al  contrario  mi  giunge  cupo  e  rauco;  anche  lo 
stesso  organo  risuona  alle  mie  orecchie  come 
spossato  affatto  e  di  natura  molto  inferiore  al 
suono  delle  campane.  „ 

S'elle  estasi  ascetiche  le  allucinazioni  non  man- 
cano mai:  Anna  Oaterina  vedeva  spesso  e  sotto 
diverse  forme  il  demonio  e  l'angelo  custode: 

^  L'Angelo  mi  chiama  e  mi  trasporta  qua  e  là. 
Bene  spesso  mi  trovo  con  lui  in  viaggio.  Mi  porta 
presso  persone  che  conosco  o  che  ho  vedute  una 
volta;  ma  anche  presso  talune  che  mi  sono  affatto 
sconosciute.  Mi  porta  anche  al  disopra  del  mare, 
ma  ciò  avviene  in  modo  rapido  come  il  pensiero, 
ed  io  veggo  allora  lontano  lontano  I  Fu  egli  che 
mi  trasportò  presso  la  Begina  di  Francia  nella  sua 
prigione  (Maria  Antonietta).  Quando  viene  a  me 
per  accompagnarmi  in  qualche  viaggio,  il  più 
delle  volte  veggo  dapprima  un  certo  splendore, 
quindi  mi  si  presenta  ad  un  tratto  la  di  lui  forma 
luminosa  e  raggiante  fuor  dalle  tenebre,  come 
talora  accade  quando  una  lanterna  cieca  viene 
aperta  ad  un  tratto  in  seno  alla  notte.  Quando 


ANNA  EMMEBICH  31 

viaggiamo ,  fa  notte  al  disopra  di  noi ,  sopra  la 
terra  per  altro  si  estende  un  certo  barlume.  Noi 
partiamo  di  qui  a  traverso  conosciute  vicine  con- 
trade, dirigendoci  a  paesi  sempre  più  distanti;  ed 
io  provo  la  sensazione  di  non  comune  lontananza. 
Talora  il  nostro  viaggio  va  per  istrado  diritte; 
talora  va  di  traverso  al  disopra  di  campi,  di 
monti,  di  fiumi  e  di  mari.  Io  deggio  misurare  coi 
piedi  tutta  la  via,  e  spesso  con  istento  salire  per 
monti  scoscesi.  Quindi  le  mie  ginocchia  ne  rie- 
scono dolorosamente  stanche  ed  1  miei  piedi  ne 
divengon  bruciati,  giacché  vado  sempre  scalza. 
La  mia  guida,  sollevata  in  aria,  talvolta  mi  pre^ 
cede,  talvolta  mi  sta  d'  accanto.  Mai  mi  accorgo 
eh'  ella  muova  i  piedi.  Ella  è  molto  silenziosa,  fa 
pochi  movimenti  oltre  quello  di  accompagnare 
col  cenno  della  mano,  o  inclinando  il  capo,  la  sua 
corta  risposta.  £2  affatto  trasparente  e  luminoso , 
spesso  di  un  aspetto  del  tutto  serio,  spesso  di 
una  serietà  mista  all'amore.  I  di  lei  capelli  sono 
lisci,  ondeggianti  e  luminosi.  Non  porta  cosa  al- 
cuna Bxù  capo,  ed  è  rivestita  di  una  veste  talare 
a  guisa  di  sacerdote,  lunga,,  e  splendente  di  luce 
dorata.  Io  parlo  con  lei  francamente;  soltanto  non 
posso  guardarla  appieno   nel  volto,   talmente  mi 

sento  inclinata  dinanzi  a  lei 

Noi  passiamo  frequentemente  sopra  città. 


32  CAPITOLO  XI 


Quando  nell'oscurità  dell'inverno  io  lasciava  tardi 
nella  sera  la  chiesa  dei  gesuiti  in  Hoesfeld  ed  in 
mezzo  alla  pioggia  ed  un  turbine  di  neve  me  ne 
andava  a  traverso  1  campi  a  casa  nostra  in  Flam- 
ske,  e  quando  mi  sentiva  nascere  nell'anima  l'in- 
quietudine; tosto  pregava  Iddio,  e  vedeva  brillare 
a  me  dinanzi  siccome  una  fiamma,  un'apparizione, 
la  quale  aveva  la  forma  della  mia  guida,  vestita 
della  sua  veste  talare.  Tosta  la  umida  via  si  dis- 
seccava sotto  i  miei  piedi ,  tutto  era  luce  a  me 
d'intorno,  né  pioveva,  né  nevicava  sopra  di  me, 
ed  io  poteva  pienamente  asciutta  giungere  a  casa. 

^  Quando  io  mi  trovo,  confessò  essa  una  volta, 
trasportata  in  visione,  rapita  in  un'  estasi ,  o  im- 
mersa in  un'  opera  spirituale  a  me  imposta ,  mi 
succede  spesso  di  essere  istantaneamente  ed  ir- 
resistibilmente richiamata  da  una  lontana  vene- 
rabile e  santa  potenza  in  questo  oscuro  mondo.  „ 

Il  culto  del  dolore  e  la  sete  del  sagrifizio  non 
mancano  anche  in  Anna  Caterina: 

Neil'  ultimo  anno  del  di  lei  soggiorno  in  casa 
del  cantore  Sontgen  accadde  che  un  giorno  sul 
mezzodì  si  trovasse  immersa  nell'  orazione  nella 
chiesa  dei .  gesuiti .  in  Hoesfeld ,  e  precisamente 
sul  palco  dell'  organo ,   dinanzi  ad  un  crocifisso. 


ANNA  EMU^BICH  33 


La  Chiara  Sontgen  si  trovava  con  lei  in  chiesa. 
Anna  Caterina  vide  uscire  dal  tabernacolo  il  suo 
Sposo  celeste  sotto  la  sembianza  di  un  giovinetto 
raggiante  di  luce.  La  sua  sinistra  mano  teneva 
un  serto  di  fiori,  nella  destra  portava  una  corona 
di  spine.  Ambedae  le  offrì  alla  di  lei  scelta.  Anna 
Caterina  afferrò  la  corona  di  spine,  che  egli  allora 
le  pose  sul  capo,  ed  ella  medesima  ve  la  impresse 
fortemente  con  ambe  le  mani.  Soffrì  indicibili  pene, 
che  mai  più  da  quel  momento  la  lasciarono.    .    . 

Entrata  come  novizia  in  un  convento,  le  iti  as- 
segnata la  peggiore  cella  del  monastero,  con  una 
seggiola  senza  appoggio ,  ed  una  seconda  senza 
fondo.  Il  tavolino  che  mancava  eira  compensato 
dalFappoggio  intemo  della  finestra.  "  Ma  cotesta* 
mia  povera  cella,  confessò  bene  spesso  in  seguito, 
era  per  me  tanto  bella  e  ripiena,  che  mi  sembrava 
tutto  il  cielo  esser  là  dentro.  „ 
• •••.•••.••••• 

"  Io  mi  era  data  interamente  al  mio  Sposo  ce- 
leste, ed  egli  dispose  di  me  come  volle,  n  poter 
soffrir  tranquillamente  m' è  sempre  sembrato  lo 
stato  più  degno  'd'invidia  su  questa  terra,  ma  non 
vi  sono  mai  pervenuta.  „ 

Intanto  il  nervosismo  cresce,   e  le  estasi  e  le 
allacinazioni  si  complicano  colla  catalessi. 
•     •     .     .     *     •••••.••■...•. 

Estasi  umane.  —  U.  3 


34  CAPITOLO  XT 


"  Quand'io  divenni  incapace  di  nascondere  i  miei 
patimenti  e  cadevo  come  in  isvenimento  dinanzi 
alle  altre,  mi  trovai  una  volta  in  coro,  e  senza 
partecipare  al  canto  comune,  divenni  affatto  irri- 
gidita e  come  pietrificata,  dimodoché  caddi  al 
suolo,  allorché  le  monache  mi  scossero,  mi  traspor- 
tarono via  di  là,  ed  intanto  io  vidi  una  monaca 
aggirarsi  sul  tetto  della  chiesa  sino  al  comignolo, 
cioè  fino  dove  non  era  possibile  ad  alcuno  di  ar- 
rivare; e  dopo  mi  fu  manifestata  quella  monaca 
essere  Maddalena  dei  Pazzi,  che  in  vita  aveva  ri- 
cevuto le  Stimmate  del  Signore.  Un'  altra  volta 
la  vidi  correre  su  pel  cornicione  del  coro  ;  un'altra 
montar  sull'altare,  e  afferrar  le  mani  del  sacerdote. 

^  Ma  ora  qua ,  ora  là ,  bene  spesso  ero  rapita 
fuor  di  me  stessa;  giaceva  irrigidita  e  prostesa 
sul  volto,  o  stava  genuflessa  a  braccia  aperte,  ed 
in  tale  posizione  mi  trovava  poi  il  prete  del  mo- 
nastero. Trovava  anche  sempre  la  più  ardente 
brama  di  vedere  santa  Teresa,  perchè  aveva  inteso 
a  dire  aver  ella  sempre  provate  tante  angustie  a 
causa  dei  suoi  confessori ^ 

Anche  l'Overberg  parla  delle  estasi  frequentis- 
sime di  Caterina: 

^'  Anche  Caterina  ha  spesso  avuto  in  convento 
svenimenti  (ossia  estasi),  specialmente  quattro  anni 


ANNA  EMMEBICH  36 


innanzi  la  soppressione.  Ooteste  estasi  le  soprav- 
venivano ovunque,  sia  nel  lavoro,  sia  in  convento, 
0  nel  giardino,  od  in  chiesa,  od  in  cella.  Allora 
ella  cadeva  per  terra,  e  vi  restava  giacente.  Per 
lo  più  le  sopravvenivano  quando  era  affatto  sola; 
talora  ne  ha  avuto  alcuni  piccoli  attacchi  anche 
a  tavola,  ma  ella  supplicava  Iddio  di  non  lasciar- 
gliele in  quel  tempo  sopravvenire.  Spesso  ella  opi- 
nava di  essere  rimasta  un  solo  momento  in  quello 
svenimento;  quando  per  altro  guardava  l'orologio 
riconosceva  allora  di  essere  stata  lungamente  fuori 

di  sé.  „ 

Sulla  mia  domanda  del  modo  con  cui  ella  di- 
stinguesse gli  svenimenti  per  debolezza  dagli  altri 
(cioè  le  estasi)  ella  rispose  :  "  Negli  svenimenti  per 
debolezza  io  mi  sento  male  affatto,  e  soffro  tal- 
volta sì  fortemente  nel  corpo,  che  mi  sembra  d'es- 
sere sul  punto  di  morire.  Negli  altri  svenimenti 
(estasi)  non  sento  affatto  il  mio  corpo  e  sono  al- 
lora talvolta  molto  allegra,  talvolta  anche  melan- 
conica. Mi  rallegro  allora  della  grande  misericordia 
di  Dio  verso  i  peccatori ,  che  egli  tanto  ricerca 
per  ritrarli  addietro  dal  male,  e  che  per  ciò  amo- 
rosamente a  sé  riceve.  Melanconica  divengo  poi, 
pensando  ai  peccati  da  cui  Dio  viene  così  orri- 
bilmente offfeso.  Mi  sembrava  spesso  nelle  medi- 
tazioni come  se  vedessi   il   cielo  e  Dio  nel   cielo. 


36  CAPITOLO  XI 


Quando  mi  trovava  in  amarezza,  sembravami  so- 
vente come  se  camminassi  per  una  via  angustis- 
sima e  larga  appena  della  larghezza  di  un  dito. 
Dai  due  lati  io  vedeva  neri  abissi  ed  immensa- 
mente profondi.  Sopra  di  me  tutto  era  bello  e 
verde,  ed  un  giovinetto  luminoso  mi  porgeva  la 
mano  e  mi  guidava  per  quella  stretta  via.  Spesso 
ancora,  mentre  trovavami  in  turbamento  ed  ari- 
dità, il  Signore  mi  diceva:  La  mia  grazia  ti  basti. 
E  ciò  mi  veniva  detto  air  orecchio  in  modo  dol- 
cissimo. ,, 

Tre  giorni  prima  del  nuovo  anno  1813,  dopo  il 
meriggio ,  Anna  Caterina  fu  trovata  a  braccia 
aperte  orante,  in  istato  di  estasi,  dalla  figlia  della 
vedova  Roters,  la  quale  osservò  tosto  che  dalle 
palme  delle  mani  deirestatica  stillava  sangue;  ma 
nondimeno  credette  che  la  cagione  di  ciò  fosse 
una  lesione  accidentale.  Quando  Anna  Caterina, 
destatasi  dall'estasi,  fu  da  lei  avvertita  di  quello 
stillicidio,  l'estatica  la  pregò  di  non  parlarne  più 
oltre.  Il  31  dicembre  per  altro  il  padre  Limberg 
le  recò  la  santa  Comunione,  ed  allora  vide  per 
la  prima  volta  le  Stimate  sul  dorso  delle  di  lei 
mani.  Esse  sanguinavano. 

Io  annunziai  ciò  (così  raccontò  egli)  all'  abate 
Lambert,  che  abitava  nella  stessa  casa.  Egli  re- 


ANNA  EMMEBICH  37 

cossi  tosto  con  me  nella  stanzaccia  di  Anna  Ca- 
terina, ed  osservando  quello  stillicidio  sanguigno, 
le  disse:  Sorella,  non  ti  devi  già  immaginare  di 
essere  una  Caterina  da  Siena.  Siccome  per  altro 
le  Stimate  non  cessarono  dal  sanguinare  fino  a 
sera,  ella  mi  disse  il  giorno  seguente:  Padre,  ciò 
non  deve  sapersi  da  veruno  I  Deve  restare  fra  noi, 
altrimenti  avremo  da  sopportare  molte  inquietu- 
dini e  grande  frastuono  I 

Nel  calendario  ecclesiastico  del  Padre  Limberg 
troviamo  questi  appunti: 

"  Nel  giorno  delU  Epifania  vidi  per  la  prima 
volta  le  Stimate  nella  superficie  interna  delle  mani. 

^  L'il  gennaio  ella  stette  dopo  le  sei  assisa  so- 
pra una  sedia  d'  appoggio  e  per  un'  ora  e  mezza 
rimase  immersa  nell'estasi. 

^  15  gennaio  :  oggi  ha  ricevuto  la  santissima 
Comunione.  Dalle  sette  fino  alle  nove  è  rimasta 
rigida  ed  immobile  in  estasi. 

^  28  gennaio  ;  dal  quindici  in  poi  è  rimasta  ogni 
giorno  per  più  lungo  o  per  più  corto  tempo  in 
estasi.  Oggi  ho  visto  le  Stimate  anche  nei  piedi. 

^  Le  di  lei  mani  ed  i  piedi  hanno  stillato  san- 
gue in  ogni  venerdì.  La  doppia  croce  sul  petto 
nel  mercoledì.  Da  che  ho  osservate  le  Stimate, 
ella  non  ha  più  mangiato  cosa  alcuna. 

^  Questo  di  lei  stato  è  rimasto  sconosciuto  sino 


38  CAPITOLO  il 


al  28  febbraio  1813;  in  quel  giorao  poi  la  Sontgen 
se  ne  è  accorta  e  ne  ha  parlato  meco  (1).  „ 


Le  estasi  ascetiche  sono  fenomeni  molto  affini 
al  sonnambulismo.  Il  Padre  Limberg,  quando  per 
la  prima  volta  sorprese  Anna  Caterina  nello  stato 
di  estasi,  e  al  di  lei  risvegliarsi  da  quello  la  sot- 
topose ad  un  interrogatorio,  ella  ne  venne  in  tal 
vergogna,  che  arrossendo  ognor  di  più  lo  pregò 
istantemente  di  non  palesare  quel  suo  statò  ad 
alcuno.  Erale  succeduto  appunto  come  alla  beata 
Maria  Bagnesi  (2)  con  la  quale  ella  principalmente 
aveva  una  mirabile  somiglianza;  giacché  anche 
costei  fu  una  volta  trovata  rapita  fuor  de'  sensi 
e  sollevata  in  aria,   e  quando  rientrò  in   sé,  fu 

(1)  Oggi  la  fisiologia  patologica  spiega  l'associarsi  di  grandi 
perturbamenti  dei  centri  nervosi  con  macchie ,  con  eruzioni 
diverse  della  pelle  ed  anche  con  emorragie  capillari.  La  vita 
dai  vasi  è  strettamente  collegata  col  sistema  nervoso,  che 
la  governa  nella  più  parte  dei  suoi  fenomeni. 

(2)  La  vita  della  beata  Maria  Bagnesi,  nata  in  Firenze 
nel  1514  fu  descritta  dal  di  lei  confessore  Agostino  Campi, 
e  trovasi  negli  Ada  'Sanctorum ,  tom.  6,  mese  di  maggio. 
Nota  del  biografo  di  Anna  Caterina. 


ANNA  EKMEBICH  39 


pregia  per  quel  caso  da  tale  terrore,  che  nascon- 
dendosi il  volto,  e  simile  ad  una  bambina  sorpresa 
in  qualche  mancanza,  non  osò  più  volgere  lo 
sguardo  ai  testimoni  di  quel  suo  caso. 

Altre  volte  le  visioni  che  accompagnano  l'estasi 
ascetica  sono  molto  simili  per  il  loro  splendore  e 
la  loro  varietà  a  quelle  che  si  hanno  per  influenza 
dei  narcotici  (1). 

Ecco  alcuni  frammenti  di  una  visione  di  Anna 
Caterina,  così  come  ella  stessa  ce  li  ha  conservati  : 

^  Allora  la  mia  Guida  mi  condusse  in  giù 

al  di  là  del  monte  e  ci  avanzammo  sopra  un  bel 
prato  pieno  di  fiori  bianchi,  gialli  e  rossi.  Vi  cre- 
scevano sì  folti,  che  io  aveva  sempre  timore  di 
calpestarli  e  spesso  non  mi  sapeva  dove  posare  i 
piedi.  Vi  erano  inoltre  Ala  di  meli  fiorenti  ed  ogni 
altra  sorta  di  alberi.  Al  termine  di  cotesto  prato 
vedemmo  una  strada  profonda  ed  oscura,  circon- 
data da  siepi  alte  e  selvaggie;  la  via  era  ingom- 
bra di  sassi  e  di  fango.  La  traversai  per  altro 
felicemente  per  mano  alla  mia  Guida,  giacché  non 
toccava  punto  quel  sudicio  fango ,  ma  piuttosto 
sembravami  sorvolarvi  per  sopra.  Quando  avemmo 
superato  quel  cammino,   venimmo   di   nuovo  ai 


(1)  Manteoazza,  Quadri  della  natura  umana,  Milano  1871. 
Voi.  2,  pag,  349. 


40  CAPITOLO  XI 


piedi  di  un  grazioso  monte,  ma  piuttosto  alto,  che 
era  ricoperto  soltanto  di  belle  e  laminose  pie- 
triizze.  Quando  vi  fummo  in  cima  guardai  in  giù 
sul  prato  e  su  quella  via  pericolosa,  e  la  Guida 
mi  disse  che  l'ultima  piacevole  strada  da  noi  per- 
corsa con  quei  suoi  fiori  ed  alberi  fruttiferi,  si- 
gnificava la  consolazione  spirituale,  il  ristoro  ed 
i  molteplici  effetti  della  grazia,  che  nascono  negli 
animi  degli  uomini  dalle  tentazioni  e  dai  pericoli 
superati.  Quel  mio  timore  poi  di  calpestare  i  fiori 
significava  gli  scrupoli „ 

"  Vidi  la  Gerusalemme  celeste  in  forma  di  una 
luminosa,  aurea  e  trasparente  città,  elevata  nel- 
l'azzurra vòlta  dell'aere  senza  fondamento  terreno. 
Eranvi  mura  e  porte,  ma  io  vidi  a  traverso  quei 
muri  e  quelle  porte  ed  anche  a  traverso  tutto 
quanto  oravi  dietro  riposto.  Cotesto  modo  di  ve- 
dere si  rassomiglia  piuttosto  ad  una  cognizione 
intima  e  simultanea  di  un  tutto,  che  alla  vista 
di  molte  e  diverse  cose  susseguentemente  l'una 
dopo  l'altra,  e  con  quelle  disposizioni  ch'io  debbo 
qui  impiegare  descrivendole.  Erano  là  dentro  molte 
strade  e  palagi  e  larghi  spazii^  e  tutti  erano  po- 
polati di  umane  sembianze,  differenti  per  altro 
di  specie,  di  dignità  e  di  grado.  Distinsi  inoltre 
intere  classi  e  corporazioni  insieme  riunite.  Quanto 


ANNA  EMHEBICH  41 


più  a  fondo  io  guardavo  nello  interno  della  città, 
tanto  più  il  tatto  mi  sembrava  magnifico  e  ma- 
raviglioso.  Le  sembianze  che  vidi  eran  tutte  lu- 
minose senza  alcun  colore,  ma  pure  si  distingue- 
vano tra  loro  per  la  forma  dei  vestimenti  e  di 
ogni  sorta  d'insegne  che  portavano:  come  nastri, 
corone,  serti  di  fiori,  verghe  pastorali,  verghe  ter- 
minanti in  una  croce,  strumenti  di  martirio  e 
cose  simili.  In  mezzo  all'intera  visione  scorgevasi 
in  alto  la  forma  di  un  albero ,  sovra  i  cui  rami 
diversi,  quasi  come  sopra  seggi  distinti,  appariva 
ogni  sorta  di  magnifiche  figure.  Quell'  albero  si 
dilatava  nella  guisa  in  cui  le  inteme  vene  di  una 
foglia  si  dilatano  l' una  dall'  altra,  ma  poi  di  bel 
nuovo  si  riuniscono  arrotondandosi  nell'alto.  Quelle 
figure  che  più  alte  sedevano,  apparivano  sempre 
più  magnifiche  ed  immerse  in  più  profonda  adora- 
zione. Sembravano  lassù  seduti  venerandi  e  santi 
vecchi,  e  sulla  estrema  punta  vidi  come  un  globo 
sormontato  da  una  croce,  che  rappresentava  l'in- 
tero mondo:  e  vidi  pure  come  se  lassù  stesse  an- 
che la  madre  di  Dio,  ma  in  più  magnifico  splen- 
dore che  mai.  Tutto  questo  insieme  per  altro  è 
assolutamente  inefi^abile 


n 


42  CAPITOLO  XI 


Io  non  faccio  lo  stadio  dei  santi,  né  intendo 
discutere  fin  dove  il  fanatismo  religioso  giunga 
ad  esagerare,  né  la  critica  scientifica  a  demolire. 
Tengo  solo  a  constatare  che  il  sentimento  reli- 
gioso porta  il  cervello  umano  a  estasi  frequenti, 
che  si  complicano  di  visioni,  che  sono  vere  e 
proprie  allucinazioni. 

Tutto  un  capitolo  della  Biografia  del  Padre 
Schmoger  è  <  edicato  a  narrare  i  Viaggi  in  visione 
di  Anna  Caterina  verso  una  città  ebrea  nelVAbissiniu 
e  verso  il  così  detto  Monte  dei  Profeti  nel  Tibet;  e 
chi  non  fosse  ancor  stanco  né  sazio  di  visioni  può 
reggerle  nell'opera  già  citata. 

Non  devo  però  tacere  come  poche  sante  ci  mo- 
strino un  esempio  più  eloquente  di  uno  stato  ne- 
vrosico  permanente,  nel  quale  lo  stato  per  molti 
eccezionale  di  eccitamento  invade  poco  a  poco  la 
vita  fisiologica  del  sistema  nervoso,  e  la  coscienza 
patologica  diviene  la  condizione  abituale.  É  allora 
un  confondersi  strano  di  vero  e  di  falso,  nel  quale 
la  ragione  non  riesce  più  ad  afferrare  il  filo  con- 
duttore e  il  criterio  della  realtà  fa  completo  nau- 


ANNA  ÉMMX!BICH  43 


fragio.   Ce  lo  dice   Anna   Caterina   con   un   lin- 
guaggio preciso,  direi  quasi  scientifico  : 

"  Ho  veduto  infinite  cose  che  non  si  possono 
e^sprimere  affatto  con  parole.  E  chi  può  mai  dir 
colla  lingua  ciò  che  vede  altrimenti  che  cogli 
occhi? 

^  Io  non  vedo  ciò  cogli  occhi,  ma  piuttosto  mi 
sembra  come  lo  vedessi  col  cuore ,  così  qui  in 
mezzo  al  petto.  Ciò  mi  cagiona  anche  in  questo 
punto  una  eflftisione  di  sudore.  Vedo  nello  stesso 
tempo  cogli  occhi  gli  oggetti  e  le  persone  che  mi 
stanno  d'attorno,  ma  non  me  ne  curo  punto;  non 
so  né  chi,  né  chi  siano,  anche  in  questo  momento, 
mentre  parlo,  sono  veggente    ........ 

^  Da  alcuni  giorni  in  poi  sto  continuamente  in 
mezzo  fra  una  visione  sensibile  e  sopranaturale. 
Debbo  farmi  molta  violenza,  poiché  in  mezzo  al 
conversare  con  altri,  vedo  ad  un  tempo  dinanzi 
a  me  tutt'altre  cose  e  tutt'altre  immagini,  e  sento 
la  mia  propria  parola  e  quella  degli  altri  come  se 
provenisse  rozza  e  rauca  attraverso  un  vuoto  re- 
cipiente. Mi  sembra  inoltre  di  essere  come  iueb- 
briata  ed  al  punto  di  cadere.  La  mia  parola  di 
risposta  a  coloro  che  parlano  esce  tranquilla  dalle 
mie  labbra  e  spesso  ben  più  vivace  del  solito, 
senza  per  altro  ch'io  mi  sappia  dopo  quel  che  ho 
detto  prima;  e  ciò  nondimeno  parlo  ordinatamente 


r 


44  CAPITOLO  XI 


e  con  pieno  senso.  Ho  gran  pena  a  mantenermi 
in  questo  doppio  stato.  Cogli  occhi  vedo  quanto 
ho  d'intorno  incerto  e  velato,  siccome  vede  alcuno 
che  sta  per  addormentarsi ,  cui  già  principia  a 
sorgere  un  sogno.  La  seconda  facoltà  di  visione 
mi  vuole  con  prepotenza  rapire  ed  è  molto  più 
luminosa  e  chiara  della  naturale ,   ma  non  opera 

già  per  mezzo  degli  occhi 

" Mi  sto  per  V  intero  giorno  così  tra  il 

volar  via  ed  il  vedere,  in  modo  tale  che  conti- 
nuamente vedo  talora  il  Pellegrino,  talora  noi  vedo. 
Non  sente  egli  adunque  cantare?  Mi  sembra  come 
se  mi  trovassi  sopra  un  bel  prato  e  come  se  al 
disopra  di  me  degli  alberi  si  intrecciassero  e  for- 
massero arco.  Sento  cantare  con  sì  meravigliosa 
dolcezza  come  se  ciò  fosse  per  opera  di  soavi  voci 
di  bambini.  Mi  sembra  come  il  prossimo  e  reale 
contorno  presso  di  me  fosse  un  sogno;  in  cotesto 
contorno  tutto  apparisce  sì  torbido,  impenetrabile 
e  sconnesso  che  somiglia  a  un  brutto  sogno ,  at- 
traverso il  quale  io  veggo  un  mondo  luminoso, 
successivamente  comprensibile,  e  sino  nella  più 
intima  origine  e  concatenazione  di  tutte  le  sue 
manifestazioni  intelligibili,  nel  di  cui  seno  quanto 
havvi  di  buono  e  di  santo  più  profondamente  di- 
letta, perchè  si  riconosce  la  sua  derivazione  da 
Dio  ed  il  suo  ritorno  a  Dio,  mentre  invece  quanto 


ANNA  EHKEBICH  45 


hawi  di  cattivo  e  di  empio  più  profondamente 
tnrba ,  perchè  se  ne  riconosce  la  strada  deri- 
vante dal  diavolo  ed  al  diavolo  riaddnoente,  e  di- 
retta contro  Iddio  e  contro  le  creature.  La  vita 
in  cotesto  mondo,  ove  non  esiste  alcun  impedimento, 
alcun  tempo,  alcuno  spazio,  ni  un  corpo,  o,  niun 
segreto,  ove  tutto  parla  e  tutto  risplende,  viene 
sì  perfetta  e  libera,  che  la  cieca,  storpia,  balbu- 
ziente vita  reale  ed  attuale  sembra  in  confronto 
un  vuoto  sogno.  Durante  questa  veglia  veggo 
sempre  risplendere  le  reliquie  che  troyansi  presso 
di  me,  e  talvolta  veggo  siccome  squadre  di  pic- 
cole e  lontane  figure  umane  starsi  nel  seno  di 
nuvolette  verso  di  me  rivolte  e  al  disopra  delle 
reliquie,  ed  allorché  mi  raccolgo  in  me  stessa 
quelle  immagini  si  approssimano  di  bel  nuovo  a 
quelle  piccole  arche  ed  altri  reliquiarii,  ove  ri- 
posano quelle  ossa  luminose.  „ 

^  Ho  avuto  una  volta  una  bellissima  illustrazione 
sul  che  la  vista  degli  occhi  non  è  vera  vista,  ma 
che  hawi  un'altra  vista  interna.  Questa  è  molto 
chiara  e  luminosa,  quand'io  debba  rimaner  priva 
della  Comunione  quotidiana,  e  perciò  non  posso 
più  pregar  con  ardore  e  decado  nel  raccoglimento 
della  pietà,  allora  come  nuvola  spessa  si  stende 
sulla  mia  chiara  intima   vista.   Allora  dimentico 


46  CAPITOLO  XI 


cose  importanti,  e  cenni  o  ammonimenti,  e  veggo 
e  provo  l'oppressione  annichilante  dell' esterno  e 
falso  modo  di  essere  delle  cose.  Ho  una  fame  del 
santissimo  Sacramento  ohe  mi  rode  e  dilania,  e 
spesso,  quando  guardo  verso  la  chiesa,  mi  sem- 
bra come  se  il  cuore  mi  volesse  partire  dal  petto 
e  volare  al  mio  Salvatore 


V 


Non  so  se  gli  astronomi  ammetteranno  per  buona 
questa  descrizione  della  luna  fatta  da  Anna  Ca- 
terina. Essa  r  ha  visitata  più  volte  nelle  sue  vi- 
sioni: 

^  ....  La  luna  è  piuttosto  fredda  e  sassosa, 
piena  di  alti  monti  e  di  profonde  grotte  e  bur- 
roni. Ha  un  influsso  attraente  e  deprimente  sulla 
terra.  Vi  sono  in  essa  delle  acque  che  molto  si 
innalzano  e  più  si  abbassano;  talora  attraggono 
gran  quantità  di  vapori  dalla  terra,  ed  allora  ap- 
parisce come  se  grosse  nuvole  si  ascondessero  e 
fossero  assorbite  nella  cavità  di  quei  monti,  di 
piì  sembra  come  se  il  tutto  si  disoiogliesse  rica- 
dendo in  giù ,  ed  allora  la  luna  opprime  con  tal 
peso  la  terra,  che  gli  uomini  ne  divengono  me- 
lanconici. Veggo  colassù  molte  forme  simili  a 
quelle  delle  creature  umane,  che  rifuggono  dalla 
luce  e  si  ascondono  nell'ombra,  si  ascondono  quasi 
come  se  si  vergognassero,  hanno  V  aria  anche  di 


At^NA  EKIVIEBIOH  47' 

avere  una  cattiva  coscienza.  Ciò  yegg:)  special- 
mente nel  centro  della  luna.  Nei  suoi  più  estremi 
limiti  veggo  però  luoghi  campestri,  cespugli  e  bo- 
schetti in  cui  abitano  animali.  Non  veggo  nella 
luna  alcun  servizio  divino.  Il  suolo  di  quell'astro 
è  giallo,  ma  per  la  più  parte  roccioso  e  gli  alberi 
ed  i  vegetabili  sono  tenui  e  meschini,  come  felci, 
funghi  o  sterili  bulbi.  La  luna  ha  una  meravigliosa 
correlazione  colla  terra  o  la  sua  intera  natura. 
Che  le  creature  umane  sì  cupidamente  la  guar- 
dino ,  ciò  avviene  perchè  si  guarda  sempre  cupi- 
damente verso  di  ciò,  cui  si  appartiene.  La  luna 
attrae  moltissimo  da  noi  e  poi  su  noi  lo  respinge 
e  ce  ne  opprime.  Spesso  veggo  dalla  luna  discen- 
dere grosse  nubi  come  di  veleno;  si  posano  abi- 
tualmente sul  mare.  Veggo  però  tosto  buoni  spi- 
riti ed  angeli  che  le  disperdono  e  le  rendono 
innocue.  Sulla  terra  poi  vedo  certe  più  basse 
contrade  maledette  a  causa  di  peccati  e  delitti , 
ove  e  veleno  e  nebbia  e  oscurità  discendono  e  si 
posano   „     .    •    ,    


48  CAPITOLO  XI 


*. 


Fin  qui  siamo  nel  campo  dei  fatti  che  la  pato- 
logia conosce  e  spiega,  ma  siccome  tocchiamo  le 
frontiere  più  lontane  del  nervosismo  e  dell'ecci- 
tamento, è  naturale  che  la  credulità  e  il  pregiu- 
dizio aggiungano  ai  fatti  le  proprie  visioni.  Di 
qui  la  fede  nei  miracoli. 

Il  Padre  Schmoger  non  esita  un  momento  a 
credere  che  Anna  Caterina  insieme  al  lume  di 
profezia  avesse  pure  ricevuta  l'attitudine  e  la  po- 
tenza di  riconoscere  e  distinguere  tutto  quanto  è 
sacro  col  mezzo  dei  sensi  esterni  corporei.  Oosì 
ella  udiva  il  suono  delle  campane  consacrate  come 
essenzialmente  diverso  da  qualsiasi  altro  suono 
consimile,  per  quanto  armonioso  si  fosse.  Gol  gusto 
ella  riconosceva  l' acqua  consacrata  o  benedetta, 
e  la  distingueva  così  sicuramente  e  sensibilmente 
da  quella  che  non  lo  era^  come  qualsiasi  altro  in- 
dividuo distingue  il  vino  dall'acqua.  Le  ossa  e 
reliquie  dei  santi  le  riconosceva  così  distintamente 
coll'olfatto,  come  coU'ocohio,  ovvero  col  senso  del 
tatto.  Essa  sentiva  la  benedizione  sacerdotale 
anche  quando   le   era   inviata   dalle  più  remote 


ANNA  EMMBBICH  49 


distanze,  con  altrettanta  vivacità  come  quando  le 
veniva  compartita  nell'immediata  vicinanza  e  sc- 
hiva involontariamente  nell'estasi  l'accenno  e  la 
direzione  delle  dita  sacerdotali  consacrate,  come 
nello  stato  natnrale  di  veglia,  essendo  questa  una 
sacra  potenza  da  cui  in  lei  derivano  forza  e  be- 
nedizione. 

Fra  le  tante  visioni  di  Anna  Caterina  raccolte 
dal  di  lei  biografo,  una  delle  più  curióse  è  quella 
déiVìmgnuolo  moribondo, 

"  Io  mi  stava  (dice  la  santa)  insieme  colla  mia 
Ouida  celeste  dinanzi  ad  una  tavola  risplendente. 
Dietro  quella  tavola  vedevasi  un  ammasso  dei  più 
magnifici  fiori.  SuUa  tavola  posava  una  fila  di 
piccole  monete,  di  grossi  (voleva  forse  dire  grò- 
sohm),  in  mezzo  a  codesta  fila  oravi  un  vuoto,  ed 
in  quello  non  eravi  alcuna  moneta;  io  vi  stava 
dinanzi.  Quei  fiori  erano  miei,  quella  tavola  era 
mia,  quel  tesoro,  quei  grossi  erano  miei,  ma  dove 
mi  trovava  mancavano.  Io  non  potea  pervenire  né 
alla  tavola,  né  a  quel  tesoro,  né  a  quei  fiori.  Mi 
si  fece  innanzi  la  mia  Guida  portante  in  mano  un 
usignuolo  moribondo  e  disse:  Tu  non  avrai  più 
né  questi  fiori,  né  queste  immagini,  né  questo 
tesoro,  perché  non  ti  laseian  più  il  mezzo  di  ma- 
nifestagli, ed  appunto  perciò  ti  sono  stati  dati,  ed 

Estasi  unione.  —  li.  4 


50  CAPITOLO  XI 


in  prova  di  ciò  rendi  a  quest'ucoello  la  vita  dalla 
tua  bocca.  Egli  mi  tenne  allora  qnell'  augellino 
dinanzi. alle  labbra,  ed  io  gli  inspirai  il  soffio  vi- 
tale dalla  mia  bocca  nel  piccolo  rostro;  allora 
ridivenne  vivace  e  sano,  e  cantò,  e  la  mia  Guida 
se  n'andò  portandolo  via  seco.  Dinanzi  a  me  poi 
sparì  il  tatto;  tutto  per  me  divenne  morto  e  si- 
lenzioso; non  ho  più  nulla  veduto  ^ 

Mentre  Anna  Caterina  fa  da  infermiera  al  po- 
vero Padre  Lambert,  che  se  ne  sta  morendo,  è 
consolata  da  quadri  e  visioni  della  sua  infanzia. 
Esse  son  tutte  fragranti  di  femminile  tenerezza: 

"  Alcuni ,  ora  beati ,  compagni  di  giuochi  della 
mia  gioventù  mi  vennero  a  ricercare.  Andammo 
insieme  sugli  antichi  luoghi  dei  nostri  sollazzi,  e 
di  là  al  presepio.  L'  asinelio  stavasi  dinanzi  alla 
grotta.  Presi  una  pedana,  vi  montai  sopra  e  mi 
assisi  sul  giumento,  e  dissi  ai  ragazzi  :  Così  vi  ha 
seduto  sopra  la  Madre  di  Dio.  L'asinelio  si  lasciò 
accarezzare  con  la  mano  e  prendere  pel  collo.  Poi 
ce  n'andammo  entro  al  presepio  ed  orammo.  Quei 
fanciulli  mi  porsero  poi  una  quantità  di  pomi,  di 
fiori,  ed  un  cespo  di  rose  guarnito  di  spine.  Io 
per  altro  li  respinsi  sempre.  Mi  dimandarono  per- 
chè non  li  chiamassi   e   non   li  invocassi  mai  nei 


ANNA  EMMBRICH  61 


miei  bisogni,  giacché  anch'essi  erano  ben  disposti 
ad  aiiitarmi  molto;  gli  uomini  invocano  sì  rare 
volte  i  fanciulli,  eppure  essi  possono  presso  Iddio 
molto,  specialmente  quelli  che  sono  morti  subito 
dopo  il  battesimo.  Uno  di  cotesti  bambini  era 
pure  in  quel  gruppo;  mi  disse  ch'io  avea  per  lui 
implorato  quella  morte  avventurosa,  ma  ove  i  ge- 
nitori lo  sapessero  me  ne  vorrebbero  al  certo 
male.  Mi  rammentai  che  ei  mi  era  stato  portato 
subito  dopo  il  battesimo;  lo  tenni  sollevato  in 
alto  e  pregai  Iddio  con  tutto  il  cuore  affinchè 
degnasse  di  prenderlo  a  sé  piuttòsto  in  quello 
stato  d'innocenza,  primachè  fosse  esposto  ad  andar 
perduto.  Adesso  mi  ringraziava  di  avergli  implo- 
rato l'ingresso  in  cielo  e  disse  di  aver  implorato 
e  pregato  per  me.  Quei  fanciulli  mi  hanno  detto 
che  bisogna  specialmente  pregare  onde  i  bambini 
non  muoiano  senza  battesimo;  quando  ciò  viene 
implorato.  Iddio  accorda  volentieri  aiuto.  Vedo 
spesso  quadri  di  un  soccorso  implorato  ed  otte- 
nuto in  questa  guisa.  ^ 


62  CAPITOLO  XI 


* 
*  * 


Una  vita  vissuta  sempre  fuor  della  vita  comune, 
doveva  chiudersi  naturalmente  con  una  strana 
apocalisse  di  visioni ,  di  santa  umiltà  e  di  fede 
inconcussa.  É  una  pagina  di  psicologia,  che  può 
far  sorridere  gli  sciocchi,  ma  che  non  si  può  leg- 
gere senza  commozione  da  chi  studia  con  amore 
quell'abisso  di  misteri  che  è  il  cuore  umano 


4>  * 


7  febbraio,  —  Invoca  continuamente  il  Signore 
in  suo  soccorso.  Parla  nei  suoi  patimenti  con  voce 
più  chiara  e  sensibile  di  quel  che  non  V  abbia 
fatto  fin  qui.  Dice  spesso:  Ah,  Signore  Gesù,  ti 
ringrazio  mille  volte  per  tutto  il  corso  della  mia 
vita.  Signore,  non  già  come  io  voglio,  no,  ma 
come  tu  vuoi!  —  Una  volta  pronunziò  queste 
commoventi  parole  :  Ah ,  ecco  là  quelle  belle  ce- 
stino di  fiorii  conservale!  ed  anche  quel  giovine 
arboscello   d' alloro   conservalo!   L' ho  per  lungo 


J 


ANNA  EMMEBIOH  53 


tempo  castodito,  ma  non  posso  farlo  più!  Vero- 
similmente sotto  quei  simboli  aveva  inteso  parlare 
della  nipote  e  del  nipote  secolare. 

Agli  8  a  sera  il  Vicario  Hilgemberg  pregava 
presso  di  lei.  Essa  volle  riconoscente  baciargli  la 
mano ,  ma  ei  la  ritrasse  umilmente  indietro.  Lo 
pregò  di  assistere  alla  sua  morte,  tacque  alcun 
poco  e  poi  disse:  Gesù,  mio,  io  vivo  in  te,  io 
muoio  in  tei  Disse  pure:  Sia  ringraziato  Iddio I 
non  sento  più,  non  veggo  più.  Mentre  ella  appa- 
riva affatto  fuor  dei  sensi  per  le  gravi  pene,  il 
Pellegrino  s'inginocchiò  presso  il  di  lei  letto  ed 
incominciò  ad  orare.  Quindi  le  pose  in  mano  un 
piccolo  reliquiario,  che  una  volta  ella  aveva  por- 
tato, e  che  da  quattro  anni  in  poi  avea  donato  al 
medesimo.  Bitenne  stretta  in  mano  quella  capsula 
per  un  paio  di  minuti;  il  Pellegrino  la  riprese  di 
nuovo,  ma  nel  seguente  giorno  ne  trovò  spezzato 
il  contorno  d' argento.  Era  il  giorno  della  di  lei 
morte. 

9  febbraio.  —  Il  confessore  narra  così:  "  Oggi 
prima  che  spuntasse  il  giorno  le  ho  amministrato 
un'altra  volta  il  SS.  Sacramento,  che  ha  ricevuto 
colla  sua  abituale  devozione.  Nella  precedente 
notte  mi  aveva  già  detto  di  sapere  il  significato 
della  sua  malattia  e  che  me  l'avrebbe  manifestato 
se  non  fosse  tanto  spossata.  Verso  le  due  pome- 


54  CAPITOLO  XI 


ridiane  apparvero  i  sintomi  della  morte  omai  pros- 
sima. Siccome  gemeva  per  la  doglia  cagionatale 
dalle  piaghe  del  dorso,  volevansi  disporre  altri- 
menti i  cuscini,  ma  essa  lo  declinò  con  queste 
parole:  Ormai  bentosto  tutto  sarà  finito,  intanto 
mi  sto  distesa  sulla  croce.  Ciò  mi  commosse  alta* 
mente.  Le  impartii  la  generale  assoluzione  e  re- 
citai le  preghiere  degli  agonizzanti.  Quando  furono 
finite ,  essa  afferrò  la  mia  mano ,  la  strinse ,  mi 
ringraziò  e  prese  commiato.  Quando  alcun  tempo 
dopo  entrò  sua  sorella  ad  implorar  perdono,  l'in- 
ferma si  rivolse  verso  di  lei,  la  guardò  fissamente 
e  mi  domandò,  che  dice?  —  Implora  perdono,  le 
dissi;  al  che  ella  con  molta  serietà  soggiunse:  Non 
havvi  in  terra  creatura  alcuna  cui  non  abbia  per- 
donato. —  Bramava  ardentemente  la  morte  e 
spesso  sospirava  dicendo:  Vieni  adunque,  o  Signor 
mio  Gesù!  —  Io  la  consolava  dicendo  che  doveva 
starsene  tranquilla  e  patire  col  suo  Salvatore,  che 
sulla  croce  perdonò  anche  al  ladrone.  Allora  pro- 
nunziò queste  memorabili  parole:  Sì,  ma  tutti  in 
quell'epoca,  ed  anche  queir  assassino  sulla  croce, 
non  avevan  da  render  conto  di  tanto  quanto  l'ab- 
biamo noi,  giacché  non  avevan  ricevute  tante 
grazie  come  le  abbiamo  ricevute  noi.  Io  sono  peg- 
iore  assai  di  quel  ladro  sulla  croco,  e  più  tardi 
aggiunse  :  Credo ,   che  non  posso  morire ,   perchè 


ANNA  EMMEEICH  55 


molte  buone  persone,  per  vero  errore,  pensano 
bene  di  me.  Dica,  la  prego,  a  tutti,  che  sono  una 
miserabile  peccatrice.  —  Mentre  voleva  di  nuovo 
consolarla,  mi  replicò  con  forza  e  come  prote- 
stando :  Ah  potessi  almeno  esclamare  ad  alta  voce 
ed  in  modo  che  tutti  mi  sentissero,  che  non  sono 
altro  se  non  una  miserabile  peccatrice  molto  peg- 
giore dell'assassino  sulla  crocei  Quindi  divenne 
più  tranquilla.  Frattanto  era  sopraggianto  il  Vi- 
cario Hilgemberg  ed  anch'  egli  pregava  presso 
il  di  lei  letto.  Quel  buon  vecchio  rimase  genu* 
flesso  presso  il  letto  per  un'ora  intiera.  Il  Pelle- 
grino si  approssima  verso  le  cinque  e  mezzo  alla 
di  lei  abitazione.  Il  confessore  aveva  appunto  in 
quel  momento  accostate  le  imposte  e  disse  :  ^  Sia- 
mo alla  fine.  ^  Il  Pellegrino  trovò  in  camera  la 
nipote  della  moribonda,  il  Vicario  Hilgemberg,  la 
sorella  del  confessore  e  la  signora  moglie  di  Ole- 
mente  Limberg,  sua  precedente  padrona  di  casa. 
Stavano  genuflessi  e  pregavanOi  La  porta  della 
piccola  stanza  attigua ,  ove  giaceva  1'  ammalata  ^ 
era  aperta  per  agevolare  il  modo  di  respirare. 
Ardeva  la  candela  dell'agonia.  L'inferma  pareva 
a  mezzo  seduta  nella  cesta  che  le  serviva  di  letto. 
Aveva  breve  il  respiro.  Il  di  lei  volto  esprimeva 
la  più  alta  serietìì.  Teneva  gli  occhi  in  su  rivolti 
verso  il  crocifìsso.  Dopo  un  certo  intervallo  tras.se 


66  CAPITOLO  XI 


disotto  la  coperta  la  mano  dritta  e  la  posò  per 
disopra.  Il  confessore  la  consolava  e  spesso  le 
dava  la  croce  a  baciare^  Ella  umilmente  cercava 
sempre  colle  labbra  i  piedi  del  crocifisso,  senza 
mai  toccare  il  capo  o  il  petto,  ed  al  fine  ritenne 
quei  sacri  piedi  fra  le  sue  labbra.  Parve  quindi 
che  volesse  ancora  partecipare  alcunché  al  con- 
fessore. Sino  al  fine  gli  rispondeva  istantanea- 
mente e  colla  maggior  ubbidienza,  ogniqualvolta 
la  interrogava.  Egli  allontanò  tutti  dalla  stanza. 
Il  Pellegrino  la  vide  vivente  per  V  ultima  volta. 
Quando  venne  nell'  anticamera  a  raggiungere  gli 
altri  che  sedendo  o  genuflessi  pregavano,  scocca- 
vano appunto  le  otto.  Il  confessore  raccontò  che 
essa  aveva  parlato  un'altra  volta  d'un' inezia  già 
detta  in  confessione  e  poi  aveva  soggiunto:  "  Ora 
mi  sento  sì  tranquilla,  ed  ho  tale  fiducia,  come  se 
non  avessi  mai  peccato  una  sola  volta.  Baciò  un'al- 
tra volta  la  croce.  D  confessore  recitò  le  preghiere 
degli  agonizzanti;  essa  disse  più  volte  sospirando: 
Oh  Signore,  aiutatemi!  Aiuto,  o  Signor  mio  G^sù! 
Il  confessore  le  mise  nella  mano  dritta  la  candela 
dell'agonia  e  suonò  con  un  campanello  di  Loreto^ 
secondò  l'uso  praticato  nel  convento  di  Agneten- 
berg  in  occasione  della  morte  di  una  monaca  e 
disse  :  "  Muore*  „  Erano  le  otto  e  mezzo*  Il  Pel- 
legrino si  approssimò  al  letto  e  la  vide  inclinata 


màbia  alàcoqxte  57 

senza  vita  sul  lato  sinistro,  col  capo  chino  sul 
petto,  e  la  mano  dritta  posata  sopra  le  coperte, 
quella  maravigliosa  mano  cai  il  Distributore  delle 
grazie  celesti  avea  conferito  V  inaudito  dono  di 
riconoscere  quanto  havvi  di  santo  e  di  consacrato 
dalla  Chiesa  per  mezzo  del  semplice  contatto, 
grazia  tale  che  mai  forse  ci  è  stata  concessa  la 
simile  su  questa  terrai  ^ 


4i 


La  beata  Margherita  Maria  Alacoque,  religiosa 
della  Visitazione  di  M.  SS.,  è  un  tipo  speciale  di 
santa  estatica.  In  lei  predomina  la  passione  e  que- 
sta piglia  forma  di  delirio  ardente,  forsennato.  La 
sete  del  sagriftzio,  il  culto  del  dolore  giungono  in 
lei  al  massimo  grado  e  una  linea  più  in  là  noi  in- 
tendiamo che  si  sarebbe  nel  campo  della  psichia- 
tria. Dopo  averne  studiata  la  vita  (1)  si  capisce 
come  nella  sua  adorazione  essa  dovesse  giungere 
al  culto  del  cuore  di  Gesù.  Essa  aveva  bisogno  di 

(1)  Vita  della  beata  Margherita  Maria  Alacoqae,  religiosa 
della  Visitazione  di  Maria  Santissima,  pubblicata  dall^  Abate 
J.  Boalangè.  Versione  dal  francese  del  sacerdote  Severino 
I^erreri.  Torino  1876. 


58  CAPITOLO  XI 


vedersi  davanti  il  viscere  degli  aflfetti,  di  sentirne 
il  sangue  caldo,  di  bearsi  in  una  contemplazione 
reale  del  massimo  centro  della  vita. 

Anche  TAlacoque,  nata  a  Lantbecoart  in  Fran- 
cia nel  1647 ,  mostra  fin  dalla  prima  infanzia  di 
essere  chiamata  a  vivere  nel  mondo  ascetico. 

"  O  mio  unico  amore ,  diceva ,  cominciando  le 
sue  Memorie,  che  l' ubbidienza  obbligolla  di  fare, 
quanto  vi  sono  debitrice  di  avermi  prevenuta  fin 
dalla  mia  più  tenera  giovinezza  colle  vostre  be- 
nedizioni, facendovi  padrone  e  possessore  del  mio 
cuore,  tuttoché  ben  conosceste  la  resistenza  che 
questo  cuore  ingrato  vi  avrebbe  fatto  I  Appena  io 
mi  potei  conoscere ,  voi  faceste  vedere  alP  anima 
mia  la  bruttezza  del  peccato.  Questa  vista  me  ne 
ispirò  tanto  orrore,  che  la  più  piccola  macchia 
mi  era  un  tormento  insopportabile,  sicché  per 
reprimere  in  me  bambina  la  mia  vivacità,  non  si 
aveva  che  a  dirmi  ch'erano  oflfese  di  Dio,  e  questo 
bastava  ad  arrestarmi. ,, 

Messa  in  una  casa  religiosa,  sente  un  gran  de- 
siderio di  fare  tutto  ciò  che  vede  fare  dalle  mo- 
nache, le  tiene  tutte  siccome  sante,  pensa  che  se 
fosse  monaca  diverrebbe  santa  commesse  e  ne  con- 
cepisce COSI  vivo  desiderio  chejpiù  non  respira  so 
non  per  questo 


r 


MABIA  ALACOQUE  59 

La  smania  di  tormentarsi  e  di  sofflrire  per  Ti- 
deale  che  adora  non  tarda  a  manifestarsi  anche 
in  Margherita. 

^  In  mezzo  a  tali  agitazioni  (scrupoli  eccessivi) 
ella  credette  poter  alleviare  la  sua  pena  e  con- 
tentare ad  un  tempo  Dio  e  il  mondo,  opprimendo 
il  suo  corpo  con  eccessive  mortificazioni,  mentre 
al  di  fuori  si  dava  ai  diletti  che  a  lei  venivano 
presentati.  Si  cinse  dunque  le  reni  con  una  corda 
piena  di  nodi,  e  la  strinse  sì  forte  che  non  poteva 
mangiare  né  respirar  senza  dolore.  Si  strinse  le 
braccia  con  catenelle  di  ferro,  e  le  catene  e  le 
corde  tagliando  poco  per  volti  le  carni,  vi  entra- 
vano così  profonde,  che  non  potè  levarle  senza 
crudeli  dolori.  Dormiva  poi  sopra  gli  assi  e  guer- 
niva  il  suo  letto  con  bastoni  pieni  di  nodi  e  di 
punte.  „ 

Kicevuto  il  sacramento  della  Confermazione,  non 
fa  che  accrescere  in  lei  il  fervore  di  consacrarsi  i 

tutta  quanta  a  Dio. 

Ella  consideravasi  già  come  una  vittima 

destinata  al  sagrifizio,  ed  in  tale  spirito  raddoppiò 
la  sua  austerità,  le  sue  orazioni,  e  sentì  crescer 
in  lei  il  suo  amore  verso  Dio,  e  le  sue  brame  di 
piacergli  e  di  soffrire  per  lui.   Questa  brama  era 


60  CAPITOLO  XI 


008Ì  ardente  in  lei ,  ohe  tutta  la  sua  aasberità  e 
quel  ohe  soffriva  di  eontraddizioni  in  oasa  di  sua 
madre  non  potevan  saziare  il  suo  amore  dei  pa- 
timenti. Alle  volte,  gettandosi  a  pie  del  suo  cro- 
cifisso, dioea  con  trasporto:  Mio  caro  Salvatore, 
come  sarei  felice  se  imprimeste  in  me  l'immagine 
dei  vostri  dolori  e  della  vostra  passione! 

Margherita  entra  nel  monastero  della  Visita- 
zione di  Paray  il  25  maggio  1671 ,  all'  età  di  23 
anni  e  là  ascende  rapidamente  lungo  la  parabola 
che  porta  il  sentimento  religioso  al  fervore,  al 
fanatismo,  all'estasi. 
».     •*     •     ..•*.••*•••••• 

Per  provare  la  sincerità  della  di  lei  vocazione, 
vien  sottoposta  alle  più  dure  prove,  ma  più  essa 
soffre  e  più  si  esalta  nella  voluttà  del  sagrifizio. 
È  sotto  questa  influenza,  che  ella  scrive  questi 
versi,  nei  quali  vedete  tutto  un  quadro  di  alta 
psicologia  ascetica: 


Plus  Fon  coutredit  mon  amour, 
Plus  cet  unique  bien  m^enflamme. 
Qae  Ton  m'afHige  nuit  et  jour, 
On  ne  peut  l'óter  à  moa  àme. 
Qui,  plus  je  souffre  de  douleur, 
Plus  mon  Dieu  s'unit  à  mon  coeur. 


MABIA  ALACOQXTE  61 


Nei  giorni  di  festa  se  ne  stava  in  casa  quasi  la 
intera  giornata  senza  stancarsi,  sempre  in  ginoc- 
chio, colle  mani  giunte,  col  corpo  immobile  e  senza 
^Pl^oggìo.  In  quella  santa  occupazione,  un'occhiata, 
una  momentanea  distrazione,  una  positura  un  po' 
più  comoda  o  men  disagiata  erano  per  lei  colpe 
enormi  di  cui  si  accusava  con  vivo  sentimento  di 
umiltà  e  di  confusione,  e  le  quali  credeva  dover 
espiare  con  penitenze  che  domandava  alla  supe- 
riora. 

Quando  si 'chiudono  tutte  le  porte  alle  voluttà 
dei  sensi,  la  sensibilità  tormentata  da  un  singolare 
eccitamento  trova  risorse  di  altissima  gioia,  dove 
la  più  parte  degli  uomini  non  saprebbe  neppure 
immaginarle: 

" In  conseguenza  delle  delizie  che  por- 
tava dinanzi  al  santissimo  Sacramento,  suor  Mar- 
gherita diceva  che  si  sentiva  sempre  divorata  da 
due  sorta  di  favori,  che  le  parevano  insaziabili: 
r  uno  di  soffrire ,  1'  altro  di  fare  la  comunione,  o 
per  servirci  d'uno  dei  suoi  termini  famigliari,  "  di 
ricevere  il  Dio  del  suo  cuore  ed  il  cuore  del  suo  I>io,  „ 
Ho  così  gran  desiderio  della  comunione,  diceva, 
che  quando  avessi  da  camminare  a  pie  nudi  per 
una  via  di  fiamme,  mi  pare  che  tale  pena  non  mi 
costerebbe  nulla ,  a  paragone  di  quel  che  mi  co- 


62  CAPITOLO  XX 


sterebbe  la  privazione  di  tanto  bene.  Nulla  può 
darmi  una  gioia  così  sensibile  come  quel  pane 
d'amore;  dopo  d'averlo  ricevuto,  resto  assai  an- 
nientata dinanzi  al  mio  Dio,  ma  con  una  gioia  sì 
bella,  che  qualche  volta  per  lo  spazio  di  un  quarto 
d'ora  tutto  il  mio  interno  è  in  un  profondo  silenzio 
per  ascoltare  la  voce  di  colui  che  fa  tutto  il  con- 
tento dell'anima  mia. ,, 

Abbiamo  veduto  che  fin  da  fanciulla  avea  pra- 
ticato i  più  austeri  rigori  di  penitenza.  Fatta  re- 
ligiosa non  scemò  nulla  del  suo  ardore  per  le 
mortificazioni  volontarie ,  ma  come  non  le  si  da- 
vano tutte  le  licenze  che  domandava,  e  la  discre- 
zione della  superiora  reprimeva  il  suo  ardore  pei 
patimenti,  adoperava  mille  altri  mezzi  per  sog- 
giogare i  sensi,  mettere  a  disagio  il  corpo  e  con- 
traddir la  natura.  Talvolta  si  rifiutava  il  sonno , 
o  se  lo  rendeva  difficile:  così  immaginò,  in  tempo 
di  esercizi  spirituali ,  di  coprir  lo  stramazzo  di 
cocci  di  terra;  altre  volte  cercava  per  suo  cibo 
quello  che  vi  era  di  peggio,  e  allora  procaccia- 
vasi  frutta  guasta,  porzioni  fredde  o  mal  condite, 
pane  raccolto  da  terra  e  coperto  di  polvere.  Spesso 
la  videro  mescolare  acqua  fresca  alle  sue  vivande, 
per  renderle  insipide.  Altre  volte  nei  calori  del- 
l'estate, costretta  a  spegnere  la  sete  che  la  divo- 


MARTA  ALACOQUE  63 


rava,  prendea  acqua  calda  in  bocca  per  combat- 
tere il  piacere  che  avrebbe  provato  spegnendo  con 
acqua  fresca  quella  sete  che  non  potea  piti  sop- 
portare. 

Un  coraggio  così  eroico  nella  pratica  della  mor- 
tificazione dei  sensi  aveva  la  sua  sorgente  nel  de- 
siderio insaziabile  di  soffrire  con  Gesù  Cristo. 
Suor  Margherita  non  parlava  con  trasporto  che 
di  Gesù  crocifisso  :  ella  gustava  infinitamente 
quelle  parole  di  santa  Teresa  :  o  patire  o  morire , 
ed  incessantemente  le  ripeteva.  Spesso  fu  udita 
dire  che  di  buon  cuore  sarebbe  vissuta  fino  al  dì 
del  giudizio  nei  più  grandi  patimenti  per  amore 
di  Dio ,  ma  che  vivere  senza  patire  le  pareva  il 
più  insopportabile  dei  patimenti.  "  No,  diceva  ella 
un  giorno ,  non  so  come  una  sposa  di  Gesù  cro- 
cifisso possa  non  amare  la  croce  e  fuggire  da  lei, 
non  è  questo  un  fuggire  ad  un  tempo  colui  che 
la  portò  per  nostro  amore,  e  che  ne  fece  l'oggetto 
di  soavi  desideri?  „ 

Essa  cade  malata  e  orribili  sofferenze  fisiche  si 
aggiungono  a  quelle  da  lei  volontariamente  cer- 
cate. 

In  mezzo  a  tante  croci ,  afflizioni  ed  austerità, 


64  CAPITOLO  XI 


suor  Margherita  gastava  degl'intervalli  di  cobso- 
lazioni  e  delizie  che  non  8i  possono  esprimere  né 
dipingere.  Iddio  spandeva  in  lei  qìiella  sovraòban" 
danza  di  gatidio  di  cai  parla  san  Paolo,  colla  quale 
viene  ricompensata  anche  in  questa  vita  l'eroica 
mortificazione  di  quelli  che  a  lei  si  danno  senza 
riserve.  Ma  ciò  che  mette  il  colmo  alla  generosità 
di  questi  fedeli  amanti  della  croce  si  è  che  non 
si  attaccano  per  nulla  a  quanto  vi  era  di  più  de- 
lizioso in  quelle  dolcezze  sensibili,  talvolta  ancora 
si  affliggeva  di  provarne  troppo,  e  domandava  a 
Dio  che  ne  la  privasse.  ^  O  mio  amore ,  diceva 
allora,  io  vi  sacrifico  tutti  questi  piaceri;  serba- 
teli per  quelle  anime  sante  che  vi  glorificano 
meglio  di  me.  Non  voglio  che  voi  solo  e  voi  sulla 
croce,  dove  vi  voglio  amare  per  amore  di  voi 
medesimo.  „ 

Quando  si  è  sbattuti  da  questa  acrobatica  del 
sentimento,  non  si  è  lontani  dalle  estasi  e  dalle 
visioni  ;  e  V  Alacoque  vi  giunge  e  fonda  il  culto 
al  sacro  cuore  di  Gesù. 

^  Una  volta,  essendo  dinanzi  al  santissimo  Sacra- 
mento, e  trovandomi  aver  un  po'  più  di  tempo  che 
all'ordinario  (che  le  occupazioni  che  mi  si  davano 
non  me  ne  lasciavano  guari)  mi  sentii  tutta  in- 


IL  SACBO  CUORE  BI  GESÙ  65 

ir  -         I.  ...  lui 

vestita  della  presenza  di  Dio,  ma  così  forte,  che 
mi  dimenticava  di  me  stessa  e  del  luogo  in  cai 
era,  e  mi  abbandonava  a  quel  divino  spirito,  la- 
sciando andare  il  mio  cuore  alla  forza  del  suo 
amore.  U  mio  sovrano  padrone  mi  fé'  riposare 
assai  lungo  tempo  sul  divino  suo  petto,  ove  mi 
scoperse  le  meraviglie  del  suo  amore  ed  i  segreti 
inesplicabili  del  sacro  suo  cuore,  che  fino  allora 
mi  avea  tenuti  nascosti.  Mi  aperse  per  la  prima 
volta  quel  divin  cuore  in  modo  così  reale  e  sen- 
sibile ,  che  non  mi  lasciò  luogo  a  dubitare  della 
verità  di  tal  grazia,  malgrado  il  timore  che  ho 
sempre  di  ingannarmi  in  tutto  quello  che  dico  in 
questa  materia.  Ecco  come  mi  pare  che  sia  an- 
data la  cosa.  Gesù  mi  disse:  il  mio  divin  cuore 
è  così  pieno  d'  amore  per  gli  uomini  e  per  te  in 
particolare ,  che  non  potendo  contenere  in  so 
stesso  le  fiamme  dell'ardente  sua  carità,  bisogna 
che  le  spanda  per  mezzo  tuo,  e  si  manifesti  ad  essi 
per  arricchirli  dei  tesori  che  vi  si  racchiudono.  Io 
ti  discopro  il  pregio  di  questi  tesori,  essi  conten- 
gono le  grazie  di  santificazione  e  di  salute  neceS'- 
saria  per  trarli  dall'abisso  di  perdizione.  Io  ti  ho 
scelto ,  malgrado  la  tua  indegnità  e  la  tua  igno- 
ranza, pel  compimento  di  questo  grande  disegno, 
affinchè  meglio  si  veda  che  tutto  è  fatto  da  me.  „ 

Èstasi  umafìe.  —  11.  6 


66  CAPITOLO  Xl 


Il  delirio  ascetico  con  questo  culto  del  cuore 
di  Gesù  giunge  iu  Margherita  air  ultimo  parossi- 
smo,, ed  essa  un  giorno  con  un  coltello  si  scrive 
sul  petto  il  nome  di  Gesù  in  caratteri  grandi  e 
profondamente  stampati. 
"Il  mio  Salvatore  mi  disse  che  avrebbe  avuto 
l  cura  di  ricompensare  tutto   il  bene  che  a  me   si 

f:  farebbe  siccome  fatto  a  sé  stesso,  poiché  io  non 

I  ci  avea  più  nulla  a  pretendere;  che  per  ricono- 

scenza a  colèi  che  avea  fatto  quel  testamento  in 
suo  favore  (la  superiora   di  Margherita)  le  volea 
^  dare  la  medesima  ricompensa  ohe  alla  beata  Chiara 

di  Montefalco  e  perciò  aggiungerebbe  alle  azioni 
di  lei  i  meriti  infiniti  delle  sue  e  che  per  amore 
del  suo  sacro  cuore,  le  farebbe  meritare  la  stessa 

corona.    *.•«.• ^ 

Era  in  questi  sentimenti  e  fra  le  delizie  della 
croce  che  esclamava  :  "  Che  cosa  darò  al  Signore 
per  tutti  i  beni  che  mi  ha  fatto  ?  O  mio  Dio!  come 
sono  grandi  le  vostre  bontà  verso  di  me,  di  voler 
farmi  mangiare  alla  mensa  dei  santi  e  nutrirmi 
degli  stessi  cibi  con  cui  li  sosteneste.  Voi  mi  for- 
nite in  abbondanza  delle  deliziose  vivande  dei 
[  vostri  favoriti,  mentr'io  non  sono  che  un'indegna 

e  miserabile  peccatrice.  „ 

"  È  proprio  vero  che  senza  la  croce  ed  il  santis- 
simo Sacramento  non  potrei  vivere  né  sopportare 


I' 


MARIA  ALACOQTTE  67 

la  lunghezza  del  mio  esiglio  in  questa  valle  di  la- 
grime. Non  ho  mai  desiderato  la  diminuzione  dei 
miei  patimenti,  più  il  mio  corpo  ne  era  oppresso, 
più  il  mio  spirito  sentiva  gioia  ed  avea  libertà 
di  unirsi  eoi  mio  Gesù  paziente.  Nulla  desideravo 
più  ardentemente  che  rendermi  una  perfetta  co- 
pia dì  questo  Salvatore  crocifisso,  la  mia  gioia 
aumentava  quando  la  sua  bontà  adoperava  molti 
operai  per  lavorare  secondo  il  suo  piacimento 
alla  perfezione  di  quest'opera.  Quel  sovrano  del- 
l' anima  mia  non  si  allontanava  dall'  indegna  sua 
vittima,  di  cui  conoscea  la  debolezza  e  l'impo- 
tenza a  far  qualunque  bene.  Talvolta  mi  diceva: 
Io  ti  faccio  ben  onore,  mia  cara  figlia,  servendomi 
di  così  nobili  strumenti  per  crocifiggerti*  Il  mio 
eterno  Padre  mi  die  nelle  mani  dei  carnefici  per 
crocifiggermi  ed  io  a  tuo  riguardo  mi  servo  per 
tal  fine  delle  persone  a  me  consacrate.  Voglio 
che  tu  mi  ofifra  per  la  loro  salvezza  tutto  ciò  che 
ti  faranno  sofifrire.  Il  che  io  facevo  di  tutto  odore, 
offrendomi  a  portar  tutta  la  pena  dell'  offesa  di 
Dio  che  potea  trovarsi  in  quello  che  si  faoea 
contro  di  me,  sebbene  in  verità  mi  pare  che 
non  si  potesse  commetter  alcuna  ingiustizia  col 
farmi  soffrire,  perchè  non  lo  si  potea  mai  fare 
quanto  lo  merito.  Parlo  della  felicità  di  soffrire 
con   tanta   soddisfazione ,   che  parmi  ne  scriverei 


68  CAPITOLO  XI 


degli  intieti  volumi  senza  poter  contentare  il  mio  de- 


siderio,  „ 


Queste  parole  ardenti  di  ascetismo  spiegano 
chiaramente  la  forza  arcana,  che  spinse  Margherita 
a  incidersi  col  ferro  nelle   proime   carni  il  nome 

di  Gesù,  ma  ciò  non  le  basta  ancora 

.  .  .  .  avendo  osservato  che  la  ferita  amorosa 
che  s'era  fatta  si  chiudea  con  troppa  facilità, 
giudicò  a  proposito  di  renderla  più  durevole  e 
più  dolorosa.  Prese  dunque  una  candela  accesa 
e  colla  fiamma  v'  incise  V  impressione  del  santo 
nome  di  Gesù  sul  suo  petto.  Questa  operazione, 
che  si  potrebbe  chiamare  imprudente,  fu  così 
grave ,  che  suor  Margherita  ne  portò  per  quasi 
un  anno  intero  la  ferita  e  il  dolore ,  sicché  la 
prima  piaga,  che  datava  dal  mese  di  dicembre 
del  1678,  era  ancora  intera  e  sanguinante  nel- 
l'autunno dell'anno  dopo. 

Ecco  un'altra  estasi  ascetica: 

"  Un  giorno,  all'ora  del  lavoro  mi  ritirai  in  un 
cortiletto  vicino  al  santissimo  Sacramento,  dove 
facendo  in  ginocchio  il  mio  lavoro,  mi  sentii  sulle 
prime  tutta  raccolta  internamente  ed  esternamente. 
Allora  mi  fu  rappresentato  nello  stesso  tempo  il 
cuore  amabile  del  mio  adorabile  Gesù  più  spleu- 


MABIA  ALACOQUE  69 


(lente  che  il  sole,  in  mezzo  a  fiamme  che  erano 
quelle  del  suo  amore,  e  circondato  di  serafini  che 
con  mirabile  concerto  cantavano  queste  parole: 
"  L'amore  trimifa,  Vantare  gioisce,  V amore  in  I>io  si 
raìUgra.  „  Quegli  spiriti  beati  mi  invitavano  a 
unirmi  con  ossi  in  quel  cantico  di  lode  al  cuore 
di  Gesù  Cristo,  ed  io  non  ardiva  di  farlo,  ma  essi 
me  ne  rimproverarono  e  mi  dissero  che  cran  ve- 
nuti per  associarsi  a  me  ondo  rendere  a  quel  sa- 
cro Cuore  un  omaggio  continuo  d'  amore,  d'  ado- 
razione e  di  lode;  che  perciò  terrebbero  il  mio 
posto  dinanzi  al  santissimo  Sacramento ,  affinchè 
lo  potessi  amare  continuamente  per  mezzo  loro, 
ch'essi  parteciperebbero  all'amore  soflfìrente  nella 
mia  persona,  com'io  parteciperei  nella  loro  al- 
l'amore gaudente;  e  nello  stesso  tempo  mi  par- 
vero scrivere  in  lettere  d'oro  questa  associazione 
nel  sacro  Cuore  coi  caratteri  indelebili  dell'amore. 
Questo  durò  circa  due  o  tre  ore.  Ne  risentii  l'ef- 
fetto por  tutta  la  mia  vita,  così  pel  soccorso  che 
ricevetti  da  tale  associazione,  come  por  la  soavità 
che  aveva  prodotta  e  che  produce  ancora  in  me. 
Ne  restai  tutta  inabissata  di  confusione,  ma  pre- 
gando quei  santi  spiriti  li  chiamavo  col  nome  di 
soci.  Questa  grazia  mi  diede  tanto  desiderio  della 
purit}\  d'intenzione,  ed  una  così  alta  idea  di  quella 
che  bisogna  avere  per  conversare  con   Dio ,   che 


70  CAPITOLO  XI 


tutte  le  cose  mi  parevano  impure  in  paragone  del 
fervore  dei  serafini.  „ 

Le  estasi  si  alternano  colle  penitenze  feroci. 

"  .  .  .  .  Oltre  a  queste  pene  e  lotte  inteme,  suor 
Margherita  doveva  ancor  praticare  un  altro  genere 
di  penitenza:  nostro  Signore  le  ordinò  di  digiu- 
nare in  pane  ed  acqua  per  cinquanta  giorni,  onde 
onorare  il  digiuno  di  lui  medesimo  nel  deserto. 
Il  Figliuolo  di  Dio  in  questo  comando  parca  piut- 
tosto voler  provar  la  sua  obbedienza  che  la  sua 
mortificazione.  Con  tuttociò  ella  non  promise  di 
osservare  questo  digiuno  che  dipendentemente  dal- 
l'ubbidienza dovuta  alla  superiora,  e  questa  rifiutò 
di  permetterlo.  Gesù  Cristo  fece  osservare  alla  sua 
serva  che  la  sua  ubbidienza  le  era  così  gradita 
come  il  sagrifizio  stesso;  ed  in  cambio  del  digiuno 
che  non  le  era  permesso,  fece  sentire  che  gradi- 
rebbe ch'ella  passasse  i  cinquanta  giorni  d'  asti- 
nenza privandosi  di  bere  in  tutto  quel  tempo,  af- 
finchè con  tale  penitenza  onorasse,  per  quanto  era 
in  lei,  la  sete  ardente  ch'esso  avea  soflFerto  sopra 
la  croce,  e  quella  sete  mistica,  di  cui,  secondo 
sant'Agostino,  bruciava  il  suo  cuore  per  la  sal- 
vezza dei  suoi  carnefici  e  ch'egli  cercava  sino  siila 
fine  per  la  salvezza  dei  peccatori. 

"'  Questa  nuova  astinenza   parve   alla   serva  di 


MARIA  ALACOQUB  7X 


Dio  piÒL  dura  a  farsi  ohe  non  la  prima,  ed  era 
infatti,  tanto  più  ohe  le  sue  infermità  le  oagio* 
navanó,  come  abbiam  visto,  una  sete  così  ardente 
e  oontinna,  che  nulla  valeva  ad  accontentare.  ^ 

Ed  ecco  un'altra  visione: 

'^ Una  volta   oh'  io   sentiva  nell'  anima 

un'  agonia  dolorosissima,  nostro  Signore,  onoran* 
domi  della  sua  visita,  mi  disse:  Entra,  mia  figlia, 
in  questo  giardino  delizioso  per  ravvivare  l'anima 
tua  languente.  Vidi  che  quel  giardino  era  il  suo 
sacro  Cuore;  egli  era  tutto  pieno  di  fiori,  la  cui 
varietà  era  tanto  amabile  quanto  ammirabile  la 
loro  bellezza.  Dopo  d'averli  tutti  considerati  senza 
osar  di  toccarli,  egli  mi  disse  :  tu  ne  puoi  cogliere 
a  tuo  piacimento.  Io,  gettandomi  ai  suoi  piedi, 
gli  dissi:  O  mio  divino  amore,  non  voglio  altro 
fiore  che  voi ,  il  quale  siete  per  me  un  fascio  di 
mirra  che  voglio  portare  continuamente  fra  le 
braccia  dei  miei  affetti.  Hai  scelto  bene,  mi  disse 
il  mio  divino  amore;  non  v'  ha  che  questa  mirra 
da  te  trascelta  che  possa  conservare  il  suo  odore 
e  la  sua  bellezza.  Questa  vita  è  il  suo  tempo  e 
la  sua  stagione;  nell'eternità  non  ve  ne  sarà  più, 
poiché  ella  si  cangia  di  nome.  ^ 

Margherita   morì   in   età   di  43  anni  il 

17  ottobre  1690 ,  ma  noi  non  l' abbandoneremo, 
senza  ricordare  che  quattro  anni  prima  di  morire, 


72  CAPITOLO  XI 


non  sapendo  pifl  cke  escogitare  per  avvicinarsi 
più  a  Dio,  facendo  totale  rinunzia  della  propria 
volontà,  immaginava  un  naovo  voto  da  aggiun- 
gersi a  quelli  già  fatti  della  sua  professione  re- 
ligiosa. Troppo  lungo  sarebbe  ripetere  tutto  quel 
voto,  che  è  un  rosario  di  sagrifizii  e  di  opere 
buone,  ma  basti  leggerne  il  titolo,  per  aver  dinanzi 
agli  occhi  la  più  fedele  immagine  della  rinunzia 
dell'individuo  al  mito  divino,  che  tutto  assorbe  e 
comprende  :  "  Voto  fatto  alla  vigilia  d^  Ognissanti 
del  1686^  per  legarmi,  consa^rrarmi  ed  immolarmi  più 
strettamefite,  assolutamente  e  perfettamente  al  sacro 
Cìwre  di  Nostro  Signor  Gesù  Cristo.  „ 


Le  beate  e  le  sante,  le  donne  predestinate  alle 
estasi  ascetiche  non  son  tutte  nate  in  modestie 
condizioni  :  ne  troviamo  parecchie  sui  gradini  del 
trono.  Ricorderemo  tra  le  altre  la  Battista  Va- 
rani, Principessa  di  Camerino,  fondatrice  del  Mo- 
nastero di  Santa  Chiara,  che  nasceva  a  Camerino 
il  9  aprile  del  1458  e  vi  moriva  il  31  maggio  1527  (l). 

(l)  Vita  scritta  dal  Padre  Vincenzo  da  Porto  San  Giorgio, 
M.  ().  missionario  apostolico,  ac^gfinnte  le  operette  spirituali 
della  medesima.  Bologna  1874. 


LA  PRINCIPESSA  DI  CAMERINO  73 


Nella  fancìnllezza  della  Varani  troviamo  un  fatto 
singolarissimo ,  fors'  anche  unico  nella  storia  del 
cuore  umano. 

^  Appena  entrata  nel  dodicesimo  anno  di  sua 
età,  guidata  da  acceso  fervore,  ma  mossa  ancor  più 
da  impulso  divino fece  ella  voto  di  spar- 
gere in  ogni  venerdì  una  lacrima  in  memoria  del- 
l'acerba passione  di  Cristo;  voto  che  malgrado  le 
grandi  difficoltà  che  dipoi  le  si  presentarono,  non 
mancò  di  osservare  con  tutta  esattezza.  „ 

Anche  qui  al  solito  abbiamo  una  passione  ar- 
dente e  che  tanto  più  si  consuma,  quanto  più  si 
dirige  ad  esseri  ideali.  Ecco  un  grido  ascetico 
della  giovane  santa: 

"  O  Dio  mio,  o  Dio  mio  !  Ohe  volevate  fare  di 
quest'anima  falsa  e  peccatrice?  Che  bisogno  ave- 
vate di  me,  dolce  Gesù  mio,  che  con  tanta  istanza 
mi  cercjivate,  e  volevate  farmi  vostra?,, 


♦  ♦ 


Onde  non  sembri  che  il  fisiologo  pieghi  i  fatti 
a  comodo  suo,  lasciamo  parlare  il  biografo  della 
nostra  santa,  che  è  frate  e  missionario  apostolico  : 

" Così  il  benedetto  Signore  ricambiava 


74  CAPITOLO  XI 


la  sua  diletta,  ammettendola  a  parte  de'  suoi  di- 
vini segreti,  facendole  sperimentare  delizie  da  non 
potersi  esprimere.  Di  frequente  comnnicavasi  con 
tutta  affabilità  all'anima  di  lei,  e  le  si  dava  a  ve- 
dere talvolta  in  sembianza  di  benignissimo  padre, 
talvolta  con  tanta  famigliarità  e  domestichezza, 
che  pareva  un  carissimo  fratello  ed  amico;  mail 
più  delle  volte  a  guisa  di  dolcissimo  sposo,  invi- 
tandola a'  suoi  teneri  amplessi.  "  Quando  poi,  ella 
dice,  Iddio  in  quest-a  forma  »i  tinlsce  all'anima,  non 
vi  può  esser  diletto  più  soave  di  questo,  né  in  questa 
vita  mortale  può  essa  speriment'arne  un  maggiore.  „ 

E  piÙL  innanzi  ella  dice: 

**  Non  potevo  pienamente  comprendere  in  quant-a 
pace  e  tranquillità,  in  qìianta  dolcezza  e  amore,  in 
quanta  confidenza  e  famigliarità  vivessi  in  quel  santo 
giubileo  spirituale,  trovandosi  spesso  spesso  nei  divini 
colloquii,  nelle  dold  braccia  dello  Sposo  celeste,  nel- 
l'amore  e  famigliarità  del  benigno  eteìno  Padre,  nella 
grazia  e  consolazione  dello  Spirito  Santo.  „ 

E  le  delizie  estatiche  d'un  amore,  ohe  per  esser 
rivolto  a  Dio,  non  cessa  di  esser  amore,  si  alter- 
nano convulsivamente  colla  smania  di  soffrire  per 
il  Dio  che  si  adora.  Ce  lo  dice  il  Padre  Vincenzo 
biografo  della  Varani: 

"  Forse  come  la  morte ,  l' amore  sembra  non 
sappia  trovar  pace  se  non  nel   molto  patire  per 


LA  PRINCIPESSA  DI  CAMERINO  75 

V  Oggetto  amato.  L'apostolo  san  Paolo,  acceso  di 
sì  bel  fuoco,  sfidava  le  creature  tutte,  le  tribola- 
zioni, i  travagli,  le  pene  a  separarlo  dalla  caritt\ 
di  Cristo,  confessando  di  ritrovare  in  quello  ab- 
bondante consolazione.  San  Giovanni  della  Croco, 
arso  dello  stesso  amore,  altro  guiderdone  non 
chiedeva  delle  sostenute  fatiche  e  di  sparsi  su- 
dori per  la  gloria  di  Dio ,  che  patimenti ,  igno- 
minie, dispregia  Santa  Teresa  ardendo  di  questa 
fiamma  divina,  desiderava  o  di  patire  o  di  mo- 
rire. Santa  Maria  Maddalena  de'  Pazzi  pel  motivo 
stesso  anelava  non  gìh  di  morire,  ma  bensì  di 
patir  sempre  pel  suo  Gesù.  Così  la  Battista,  com- 
presa dall'incendio  beato  del  divino  amore,  pre- 
gava, sospirava  e  suppliche  continue  porgeva  al- 
l'amato suo  Sposo  crocifisso,  perchè  la  conducesse 
nei  pascoli  a  lei  graditi  delle  sue  pene  .  .  .  , 
"  .  .  .  .  Solo  dunque  il  fior  Nazareno  miserevol- 
mente appassito  proverà  l'ingiuria  degli  aquiloni, 
né  io  per  compassione  scolorirò ,  languirò ,  verrò 
menot  Dunque  io  stelo  ruvido  e  sterile,  pieno  di 
spine  ho  da  durare  avvolta  tra  le  morbidezze 
senza  sentir  alcuna  puntura?  Quando  mi  con- 
durrai a  quei  pascoli  grassi,  a  quegli  orti  ameni 
del  patire,  ove  s'impinguano  le  tue  elette  e  dilette 
pecorelle?  O  Signor  mio!  molto  indugi  a  darmi 
quello   che   mi   hai   promesso?   deh!    abbrevia  il 


76  CAPITOLO  XI 


tompo,  non  sii  benigno  con  me ,  ma  fortemente 
aggrava  su  di  me  la  tua  mano.  Signor  mio,  non 
posso  aver  pazienza,  per  li  molti  peccati  miei  non 
ti  accostare,  non  ti  pentire  di  darmi  ciò  che  mi 
hai  promesso,  non  mi  privar,  Signor  mio,  di  tanto 

bene.  „ 

La  Varani  era  donna  di  tempra  forte  e  fra  le 
sante  non  è  di  certo  né  la  più  isterica,  né  la  piil 
malata;  ma  in  tanta  contrazione  di  spirito  e  tanta 
acrobatica  di  sentimento,  non  poteva  di  certo 
vivere  senza  visioni. 


Nel  secondo  venerdì   succeduto   al  suo 

ingresso  nel  nuovo  Monastero ,  volle  il  Signore 
degnarla  di  una  visione  alquanto  affannosa.  Stava 
ella  assieme  con  suor  Gostanza,  intese  amendue 
al  lavoro ,  cantando  nel  tempo  stesso  una  divota 
canzoncina  sopra  l'appassionato  Gesù,  in  cui  de- 
scrivevasi  non  i)iù  come  una  volta  leggiadro,  ma 
tutto  ricoperto  di  piaghe,  di  lividure,  di  sangue 
e  di  pallor  mortale  cosperso.  Col  canto  si  internò 
sì  vivamente  in  tale  considerazione,  che  compreso 
il  suo  cuore,  gij\  dispostissimo,  da  forti  e  gagliardi 
affetti ,   cadilo   angosciata   nelle   braccia   di  una 


LA  PRINCIPESSA  DI  CAMERINO  77 

suora  a  lei  vicina,  e  come  priva  dei  sensi  venne 
rapita  alla  contemplazione   del  doloroso  mistero. 

Udiamone  da  lei  stessa  il  racconto:  "  Si  pensi  che 
svenimento  altro  non  fosse  che  un  male  corporale 
cui  ne  andava  soggetta;  ma  questa  volta  fu  spi- 
rituale ,  perchè  V  anima  mia  allora  fu  rapita  in 
quel  mistero ,  quando  V  afflitta  madre  teneva  il 
morto  figlio  nelle  braccia  materne.  Sentiva  ed  era 
presente  alle  rauche  voci  e  lagrimevoli  di  essa 
santissima  madre  addolorata.  Sentiva  Tinnamorata 
discex>ola  Maddalena  con  altissimi  gemiti  ripetere  : 
Maestro  mio!  Sentiva  il  diletto  discepolo  Giovanni 
piangere  amaramente  e  dire  con  voce  interrotta: 
Padre  mio,  fratello  e  maestro  miol  B  così  lamen- 
tarsi ancora  fra  le  altre  dilette  Marie.  Eimasi  in 
tale  stato  da  poco  prima  di  Compieta  sino  ad 
un'ora  e  più  di  notte,  ed  avrei  proseguito  a  starvi 
tutta  la  notte,  se  non  mi  avessi  fatto  una  gran 
forza  e  violenza  affine  di  ritornare  a  me  stessa 
per  non  dare  tante  pene  alle  suore Ri- 
tornata poi  in  me  stessa,  mi  trovai  tanto  stanca 
ed  afflitta,  che  per  quindici  giorni  il  mio  corpo 
parve  uscito  dalla  sepoltura,  tanto  era  nella  faccia 
cambiata  e  trasfigurata „ 

E  un'altra  volta: 

Una  notte,   dopo  il  Mattutino,  si  pose 

la  Beata  in  orazione,  e  quantunque  oggetto  di  sua 


78  CAPITOLO  XI 


continua  meditazione  fosse  Gesù  appassionato,  non 
pertanto  in  quella  circostanza  si  sentì  inclinata 
a  meditare  V  amore  grande  che  Dio  portava  alla 
creatura  umana.  Lasciando  quindi  libera  la  mente 
di  spaziarsi  ove  Dio  la  guidava,  in  un  istante  con 
un  modo  indicibile  si  sentì  trasportata  a  contem- 
plare cosa  così  alta,  sublime  e  divina,  che  en- 
trando, come  ella  dice,  in  un  mare  tanto  alto  o 
profondo,  non  potè  da  quello  sortire,  benché  avesse 
voluto  ciò  eflPettuare.  E  questo  fu  un  lume  sì  vivo, 
sì  intenso,  sì  penetrante,  che  spiegar  non  si  può 
con  parole,  ma  solo  considerare  assistito  dalla 
grazia  del  Signore.  Elevata  così  sopra  sé  stessa, 
fissandosi  nei  profondi  martirii  della  divina  carità, 
con  la  mente  rischiarata  da  questo  lusso  supremo, 
vide  e  comprese  l'amore  infinito,  sommo,  inespli- 
cabile che  il  clementissimo  nostro  Dio  ha  portato 
e  porta  alle  creature 

Allucinazioni,  visioni,  estasi  si  complicano  anche 
nella  vita  della  nostra  santa  di  Camerino.  Uditela; 

Una  volta,  sentendo  tanto  fuoco  spiri- 
tuale, che  noi  poteva  sopportare,  mi  rivolsi  come 
un'insensata  a  lamentarmi  dei  serafini,  e  quasi 
pentita  di  averli  pregati  che  a  me  volassero,  loro 
dissi  :  O  spiriti  dolcissimi,  io  ho  tanto  tempo  pre- 
gato, che  un  dì  voi  volaste  a  me,  credendo  che 
chi  li  avesse,  possedesse  il  paradiso,  per  esser  da 


LA  PRINCIPESSA  DI  CAMBEINO  79 

voi  tanto  vicino  a  Dio  ;  come  dunque  avviene  che 
dopo  la  vostra  venuta ,  io  presi  le  pene  dell'  in- 
Tinferno?  Non  comprendo  come  sia  un  bene  que- 
sto che  voi  possedete.  Allora  essi  dolcemente  e 
famigliarmente  meco  parlando,  come  a  loro  cara 
amica,  risposero:  Donde  a  te  si  cagiona  la  pena, 
a  noi  si  cagiona  il  diletto:  tu  hai  il  fuoco  del- 
l'ardente desiderio,  ma  ti  manca,  finché  unita  al 
corpo,  la  presenza  e  l'originale  di  quello  che  ami, 
il  quale  è  a  noi  presente,  e  perciò  senti  gran  pena, 
secondo  il  desiderio  grande  che  hai,  ma  noi  ab- 
biamo r  ardente  desiderio  sempre  unito  alla  pre- 
senza di  quello  che  desideriamo:  quindi  è  grande 
il  nostro  diletto  secondo  la  grandezza  dell'incom- 
prensibile desiderio 

Eccovi  un'ultima  pagina  che  può  chiu- 
dere questo  cenno  biografico,  segnando  la  nota 
più  alta  del  parossismo  ascetico: 

"  Per  dire  tutto  in  breve',  amava  Battista  con 
intensissimo  affetto  il  suo  divino  Signore,  e  pareva 
che  mai  soddisfatta  si  trovasse  del  suo  amore,  e 
però  aspirava  sempre  più  a  fiamme  più  vive  per 
corrispondere  alla  somma  benignità  dell'amato  suo 
bene,  il  quale  talvolta,  per  ricompensarla  de'  suoi 
desiderii  ed  affetti ,  la  rapiva  con  tale  intensità 
di  ardore,  con  tanta  soavità  e  dolcezza,  che  tutta 
investendola  la  faceva  languire,  e  quasi  non  pò- 


80  CAPITOLO  XI 


tendo  sopportare  Piminenso  piacere,  la  faceva  sma- 
niosa ripetere  :  Non  più,  mio  I>io,  non  più  :  basta, 
o  Signore,  hast-a  così.  Tale  era  l'amore  che  Battista 
nutriva  pel  divino  suo  Sposo  e  può  dirsi  fino  dalla 
giovanile  sua  età:  amore,  il  quale  sempre  più 
crescendo,  facile  è  argomentare  a  quale  intensità 
dovette  giungere  nella  fine  dei  suoi  giorni,  in  cui 
dimentica  totalmente  di  sé  stessa,  ad  altro  non 
aspirava  che  alla  perfetta  unione  con  lui.  „ 


*  * 


La  donna  è  più  religiosa  e  più  disposta  alle 
esaltazioni  della  sensibilità;  ed  è  quindi  naturale 
che  anche  nel  mondo  ascetico  essa  ci  offra  più 
frequenti  esempi  di  estasi.  L'estasi  però  non  manca 
anche  nella  vita  dei  santi.  E  basterebbero  a  pro- 
varlo questi  pochi  esempii  tolti  dal  famoso  libro 
dei  Fioretti  di  san  Francesco. 

^^  Frate  Jacopo  dalla  Massa,  al  quale  Iddio 
aperse  l'uscio  de'  suoi  segreti  e  diedegli  perfetta 
scienza  e  intelligenza  della  divina  Scrittura,  e 
delle  cose  future  fu  di  tanta  santitade,  che  frate 
Egidio  da  Scisi  e  frate  Marco  da  Montino  e  frate 


ALTBÉ  KSTASt  BELI6I0BE  81 

r~i  ■  Il  ■^^^^»  ■ 

Ginepro  e  frate  Leoci<lo,  dissero  di  lui;   che  non 
conosoiano  nessuno  nel  mondo  maggiore  appo  Dio, 

che  questo  frate  Jacopo „ 

Questo  frate  Jacopo  nel  principio  del  ministero 
di  frate  Giovanni  da  Parma,  orando  una  volta  fa 
ratto  in  Dio  e  istette  tre  dì  in  questo  essere  ratto 
in  estasi,  sospeso  da  ogni  sentimento  corporale  e 
stette  sì  insensibile,  che  i  frati  dubitavano  che 
non  fosse  morto,  e  in  questo  ratto  gli  fu  rivelato 
da  Dio  ciò  che  doveva  essere  e  addivenire  intomo 
alla  nostra  religione. 

Egli  vide  in  visione  uno  arbore  bello  e  grande 
molto,  la  cui  radice  era  d'oro,  li  frutti  suoi  erano 
uomini  e  tutti  erano  frati  Minori;  li  rami  suoi 
principali  erano  distinti,  secondo  il  numero  delle 
Provincie  dell'Ordine,  e  ciascuno  ramo  aveva  tanti 
frati,  quanti  n'erano  nella  provincia  importata  in 
quello  ramo,  e  allora  egli  seppe  il  numero  di  tutti 
li  frati  dell'Ordine  e  di  ciascuna  provincia,  e  an- 
che li  nomi  loro  e  la  etade  e  le  condizioni  e  gli 
uffici  grandi  e  le  dignitadi  e  le  grazie  di  tutti  e 
le  colpe.  E  vide  frate  Giovanni  da  Parma  nel  più 
alto  luogo  del  ramo  di  mezzo  di  questo  arbore,  e 
nella  vetta  dei  rami,  ch'erano  d'intorno  a  questo 
ramo  di  mezzo,  istavano  li  ministri  di  tutte  le 
Provincie.  E  dopo  questo ,  vide  Cristo  sedere  in 
Estasi  umane.  —  II.  6 


*.•     •  .-•^.yVg^ 


82  CAPITOLO  XI 


sa  im  tronco  grandissimo  e  candido  in  sul  quale 
Cristo  chiamava  san  Francesco,  e  davanti  un  ca- 
lice pieno  di  spirito  di  vita,  e  mandavalo  dicendo  : 
Va,  e  visita  li  frati  tuoi,  e  dà  loro  bere  di  questo 
calice  dello  spirito  di  vita;  imperocchà  lo  spirito 
di  Satana  si  leverà  contro  a  loro,  e  percoteragli 
e  molti  di  loro  caderanno  e  non  si  rileveranno. 

Viene  una  tempesta 

" e  tanto  bastò  quella  tempesta  contro 

allo  arbore,  che  elli  cadde  e  il  vento  ne  lo  portò. 
E  poi  di  questo  arbore,  che  era  d'oro,  uscì  un'al- 
tro arbore  che  era  tutto  d'oro,  lo  quale  produsse 
foglie  e  fiori  e  frutti  orati.  Dal  quale  arbore,  e 
dalla  sua  dilatazione,  profonditate ,  bellezza  e 
odore  e  virtude,  è  meglio  a  tacere,  che  di  ciò 
dire  al  presente 

frate  Giovanni  della  Vernia,  imperocché 

perfettamente  avea  annegato  ogni  diletto  e  con- 
solazione mondana  e  temporale ,  e  in  Dio  avea 
posto  tutto  il  suo  diletto  e  tutta  la  sua  isperan- 
za,  la  divina  bontà  gli  donava  maravigliose  con- 
solazioni e  rivelazioni,  ispezialmente  nelle  solenni- 
tadi  di  Cristo,  onde  appressandosi  una  volta  la 
solennità  della  Natività  di  Cristo,  nella  quale  egli 
aspettava  di  certo  consolazione  da  Dio  della  dolce 


I 


ALTEE  ESTASI  RELIGIOSE  83 


amanitade  di  Gesù,  lo  Spirito  Sauto  gli  mise  nello 
animo  suo  sì  grande  ed  eccessivo  amore  e  fervore 
della  carità  di  Cristo,  per  la  qaale  egli  s'era  umi- 
liato a  prendere  la  nostra  umanitade,  che  vera- 
mente gli  pareva  che  l'anima  gli  fosse  tratta  dal 
corpo,  e  che  ella  ardesse  come  una  fornace.  Lo 
quale  ardore  non  potendo  sofiferire,  s'  angosciava 
e  strappavasi  tutto  quanto  e  gridava  ad  alta  voce, 
imperocché  per  lo  compito  dello  Spirito  Santo  e 
per  lo  troppo  fervore  dello  amore  non  si  potea 
contenere  dal  gridare.  E  in  quella  ora  che  quello 
ismisurato  fervore  gli  venia  ,  con  esso  sì  forte  e 
certa  la  speranza  della  sua  salute,  che  punto  del 
mondo  non  credea,  che  se  allora  fosse  morto,  do- 
vesse passare  per  le  pene  del  Purgatorio:  e  que- 
sto amore  gli  durò  bene  da  sei  mesi,  benché  quello 
eccessivo  fervore  non  avesse  così  di  continuo,  ma 
gli  venia  a  certe  ore  del  dì.  E  in  questo  tempo 
poi  ricevette  maravigliose  visitazioni  e  consola- 
zioni da  Dio  e  più  volte  fu  ratto  siccome  vide 
quel  frate,  il  quale  da  prima  iscrisse  queste  cose: 
tra  le  quali  una  notte  fu  sì  elevato  e  ratto  in  Dio, 
che  vide  in  lui  creatore  tutte  le  cose  create,  e 
celestiali  e  terrene,  e  tutte  le  loro  perfezioni  e 
gradi  e  visioni  distinte.  E  allora  conobbe  chiara- 
mente, come  ogni  cosa  creata  si  presentava  al  suo 
creatore ,  e  come  I<ldio  è  sopra ,  è  dentro  j  è  di 


r'*WJ*F-^-|^ 


•■ 


84  CAPITOLO  XI 


fuori,  è  d'allato  a  tutte  le  cose  create.  Appresso 
conobbe  un  Iddio  in  tre  Persone ,  e  tre  Persone 
in  un  Iddio;  e  la  infinita  carità,  la  quale  fece  il 
Figliuolo  di  Dio  incarnare,  per  obbedienza  al  Pa- 
dre. E  finalmente  conobbe  in  quelle  visioni,  sic- 
come nessuna  altra  via  era,  per  la  quale  T  anima 
possa  andare  a  Dio  ed  avere  vita  eterna,  se  non 
per  Cristo  benedetto,  il  quale  è  via,  verità  e  vita 
dell'anima.  „ 

Eccovi  un'ultima  visione  ascetica  che  ebbe  frate 
Leone  : 

"  Vide  frate  Leone  una  volta  in  visione  in  sogno 
apparecchiare  il  divino  giudizio.  Vide  gli  Angioli 
con  trombe  e  diversi  strumenti  suonare  e  convo- 
care mirabile  gente  in  uno  prato.  E  da  l'una  parte 
del  prato  fu  posta  una  scala  tutta  vermiglia,  che 
Aggitign^va  dalla  terra  infino  al  cielo;  e  dall'altra 
parte  del  prato  fu  posta  un'altra  scala  tutta  bianca 
che  dal  cielo  iscendea  insino  alla  terra.  Nella  som- 
mità della  scala  apparve  Cristo,  come  Signore  of- 
feso e  molto  irato.  E  san  Francesco  era  alquanti 
gradi  più  giù  presso  a  Cristo,  e  discese  più  infra 
la  scala;  e  con  grande  voce  e  fervore  dicea  e 
chiamava:  Venite,  frati  miei,  venite  confidente- 
mente, non  temete,  venite,  appressatevi  al  Signore, 
perocché  vi  chiama.   Alla  voce  di  san  Francesoo 


ALTBE  ESTASI  BELiaiOSE  85 

e  alla  saa  compunzione  andavano  i  frati,  e  sali- 
vano su  per  la  soala  vermiglia  con  grande  confi- 
denza.  Essendo  montati  tutti,  alcuno  cadeva  dal 
terzo  grado,  alcuno  dal  quarto  grado,  altri  dal 
quinto  e  dal  sesto  e  tutti  conseguente  caggevano  : 
che  nuUa  ne  rimase  in  su  la  scala.  San  Francesco 
a  tanta  rovina  de'  suoi  frati  mosso  a  compassione, 
come  pietoso  padre ,  pregava  il  giudice  pe»  li  fi- 
gliuoli, che  gli  ricevesse  a  misericordia.  E  Cristo 
dimostrava  le  piaghe  tutte  sanguinose,  e  a  san 
Francesco  diceva:  Questo  mi  hanno  fatto  i  frati 
tuoi.  E  poco  stante  in  questa  sua  rogazione  di- 
scendeva alcuno  grado,  e  chiamava  i  frati  caduti 
dalla  scala  vermiglia,  e  diceva:  Venite,  stcàte  savi, 
figliuoli  e  frati  miei;  confidatevi  e  non  vi  dispe- 
rate, correte  alla  scala  bianca  e  montate  su,  pe- 
rocché per  essa  voi  sarete  ricevuti  nel  reame  del 
Cielo,  correte,  frati,  per  Tammaestramento  paterno 
alla  scala  bianca.  E  sulla  sommità  della  scala  ap- 
parve la  gloriosa  Vergine  Maria  Madre  di  Gesù 
Cristo,  tutta  pietosa  e  clemente;  e  ricevea  questi 
frati,  e  senza  alcuna  fatica  entrarono  nel  reame 
eterno.  A  laude  di  Cristo.  Amen  (1).  „ 


(1)  Fioretti  di  san  Francesco.  Testo  di  lingua.  Terza  edi- 
zione parmense  con  un  discorso  proemiale  del  eh.  marchese 
Puoti.  Parma  1847, 


*•-' 


Capitolo  XII. 

ESTASI  DELL'AMORE  DI  PATRIA. 

Le  estasi  dell'  amore  di  patria.  —  La  maschera  di  Mazzini. 

—  Patria  e  religione,  eroi  della  patria  e  santi.  —  Meglio  il 
cìutumnmne  che  l'ignoranza  dell'amor  di  patria.  —  Diverse 
forme  dell'estasi  dell'  amor  di  patria.  —  Il  ritomo  in  Italia 
dell'  autore  reduce  dall'  India.  —  Estasi  solitarie  dei  grandi 
amatori  della  patria.  —  fili  eroi  della  storia  e  gli  eroi  anonimi. 

—  Estasi  epidemiche.  —  Incendii  delle  foresto  e  incendii  del 
cuore  nazionale  d'un  popolo.  —  Raffronti  e  consideriizioni. 


rm^ 


i 


Nel  mio  Museo  Wantropologm  di  Firenze,  in  uno 
degli  armadii  consacrati  alle  grandi  individualità 
della  specie  umana,  vi  ha  la  testa  di  un  uomo,  che 
ferma  l'attenzione  del  più  frettoloso  e  superficiale 
osservatore.  Quando  devo  far  da  cicerone  di  mala 
voglia  a  qualche  importuno,  lo  aspetto  a  quell'ar- 
madio, per  consolarmi  della  lunga  noia  di  ripe- 
tere davanti  alle  stesse  vetrine  le  stesse  parole. 
E  là»  il  visitatore  si  ferma  e  dice:  quélì<i  test^  è 
forse  quella  di  un  santo? 

Siete  un  buon  osservatore,  quella  testa  è  di  un 
santo  e  fu  formata  sul  cadavere. 

E  che  santo  è  quello? 

Si  chiama  Giuseppe  Mazzini. 

Si  potrebbe  scrivere  un  volume  su  queirincon- 
scia  rivelazione  dei  più  volgari  osservatori ,  che 
dinanzi  alla  maschera  di  Mazzini,  domandano  se 
quello  sia  un  santo. 


90  CAPITOLO  xn 


La  fisonoinia  ascetica  è  una  delle  più  caratte- 
ristiche, ma  anche  una  delle  più  indefinibili.  E 
il  Mazzini  Taveva,  e  morto  pareva  addirittura  un 
santo  già  glorificato  nel  paradiso  cristiano. 

In  quella  domanda,  che  prorompe  spontanea  dal 
labbro  dei  visitatori  del  mio  Museo,  vi  è  tutta  la 
biografia  di  un  uomo,  che  amò  la  patria  con  fer- 
vore mistico  e  fece  della  sua  politica  una  reli- 
gione. Egli  stesso  del  resto  si  era  assegnato  il 
suo  posto  nella  storia  del  pensiero  italiano,  scri- 
vendo sulla  sua  bandiera ,  Dio  e  popolo,  due  pa- 
role una  più  mistica  dell'altra  e  che  messe  vicine 
non  sono  che  un  grido  del  cuore  lanciato  nell'in- 
finito poetico  deiridealità  politica. 


♦  * 


L'amor  di  patria  è  uno  degli  affetti  più  alti,  m» 
più  indistinti  e  la  cui  analisi  psicologica  esige- 
rebbe un  volume.  È  sentimento  di  lusso ,  perchè 
molti  uomini  d'  alta  e  di  bassa  gerarchia  non  lo 
sentono  e  perchè  si  dirige,  più  che  ad  un  lembo 
di  terra ,  ad  un  mito  composto  di  materia  e  di 
idealità  e  che  muta  forma  e  muta  confini  a  se- 
conda dei  tempi  e  di  cento  altre  influenze  esteriori. 

I  sentimenti  di  lusso,  non  hanno  che  raramente 


l'amob  di  patria  91 

la  intensa  energia  degli  affetti  necessarii,  ma  per 
la  loro  indeterminatezza  e  la  sconfinata  possibi- 
lità dei  loro  movimenti  possono  x>iù  facilmente 
portarci  all'estasi. 

Per  r  uomo  selvaggio ,  sia  poi  tale  perchè  non 
veste  il  proprio  corpo,  o  perchè  non  veste  il  pro- 
prio pensiero;  la  patria  è  poco  più  che  il  nido 
per  V  uccello  o  la  tana  per  le  fiere.  È  la  ca«a  in 
cui  è  nato,  è  l'albero  sotto  cui  ha  dormito,  è  il 
fiume  in  cui  si  è  tuffato,  il  bosco  dove  ha  cac- 
ciato, è  la  terra  dove  tutti  gli  uomini  rassomi- 
gliano a  lui ,  parlano  come  lui ,  come  lui  odiano 
l'altra  gente  che  sta  al  di  là  dal  monte  o  dal  mare. 

La  patria,  circondata  o  no  dal  mare,  è  sempre 
un'isola;  e  chi  si  isola  divien  parente  di  tutti  co- 
loro che  stanno  nella  stessa  carcere.  La  patria 
non  è  che  una  famiglia  piìi  grande  di  quella  che 
si  chiude  sotto  il  tetto  domestico,  non  è  che  una 
casa  più  vasta  di  quella  che  alberga  una  stessa 
famiglia. 

Non  amare  la  patria  è  una  viltà  del  cuore,  è 
un  cretinismo  del  sentimento,  quando  non  sia  la 
previsione  di  tempi  lontani  e  migliori,  nei  quali 
la  patria  dell'  uomo  sarà  tutto  il  nostro  pianeta, 
e  stranieri  soltanto  si  chiameranno  gli  abitanti 
degli  altri  mondi  coi  quali  di  certo  un  giorno 
parleremo,  e  forse  per  farci  la  guerra. 


92  CAPITOLO  XII 


L'  amor  di  patria  è  figliale  e  mistico  in  ima 
volta  sola;  è  tenero  e  ascetico.  Figliale  perchè  la 
patria  è  la  madre  universale  di  tutti  quelli  che 
parlano  la  stossa  lingua,  pensano  lo  stesso  Dio  e 
spargono  insieme  lo  stesso  sangue.  Mistico ,  perchè 
la  patria  non  si  può  baciare,  né  abbracciare,  e  i 
suoi  confini  son  segnati  sopra  una  carta,  che  non 
è  negli  atlanti  geografici,  ma  nel  cuore  umano. 

La  patria  è  uno  dei  circoli  del  paradiso  dan- 
tesco, dove  da  un  piccolo  cerchio  irradiano  zone 
più  larghe,  come  cerchio  d'acqua  smossa  dal  ca- 
dere di  una  pietra.  Dal  villaggio  adorato  dove  ci 
hanno  battezzato  e  dove  speriamo  di  esser  sepolti, 
alla  provincia,  al  regno,  all'impero,  alle  colonie 
nostre  lontane,  la  patria  si  allarga,  si  allarga  sem- 
pre, portando  seco  le  tenere  oscillazioni  del  no- 
stro cuore,  dei  nostri  affetti,  della  gloria  nazionale. 

Quel  palmo  di  stoffa  che  si  chiama  la  nostra 
bandiera ,  che  un  colpo  di  sole ,  uno  scroscio  di 
pioggia  può  impallidire,  quella  stoffa  che  costa 
poche  lire  e  che  una  vampa  di  fiamma  può  ri- 
durre  in  un  pizzico  di  cenere,  è  il  simbolo  di  tutt; 


L'AMOE  DI  PATRIA  93 

quelli  affetti  che  si  condensano  sotto  uno  stesso 
nome,  e  là  dove  si  pianta  quella  bandiera  ivi  è 
la  patria,  ivi  i  ricordi  comuni  e  le  comuni  sventure 
e  le  glorie  comuni  chiamati  a  raccolta  da  un  voce 
sola,  che  le  incarna  e  le  personifica. 


*  * 


Chi  analizza  un  sentimento  colla  segreta  spe- 
ranza o  colla  malignità  palese  di  distruggerlo, 
compie  opera  vana.  Se  lo  fa  per  sé  non  distrugge 
che  ciò  che  non  è  mai  esistito;  se  lo  fa  per  altri, 
predica  nel  deserto;  dacché  nessun  ragionamento 
ha  mai  fatto  diminuire  d'  un  palpito  un  grande 
amore. 

La  donna  che  tu  ami  è  una  Hle  creattira,  fu  amat-a 
da  cento  uomini  prima  che  tu  la  amassi., ». 

E  che  importai  lo  l'amo. 

Il  Dio  che  tu  adori  non  è  mai  esistito.  Idolo  mO' 
struoso  in  cui  V  antropofaffia  deW  uomo  quaternario 
si  trova  insieme  alla  industria  delle  simonie,  allepaz» 
zie  teologiche.... 

Empio,  tu  non  sai  quello  che  dici.  Il  mio  Dio  esiste 
ed  io  Vadoro. 

Lo  stesso  sarebbe  tentar  di  strappar  con  vani 


94  CAPITOLO  xn 


ragionamenti  a  un  uomo  l'amor  di  patria,  quando 
egli  lo  sente  palpitare  nel  più  caldo  e  nel  più 
profondo  delle  viscere ,  quando  egli  ne  ha  fatto 
una  religione,  a  cui  è  pronto  a  dare  tutto  quanto 
ha,  tutto  il  sangue  delle  sue  vene.  L'amor  di  figlio, 
l'amor  di  madre,  l'amore  per  la  donna  amata  furono 
in  ogni  tempo  gloriosi  olocausti  di  anime  elette 
fatti  sull'altare  della  patria.  E  poi  andate  a  dire 
a  quei  martiri  che  la  x)a'tria  è  il  mondo  eh'  essa 
non  ha  altri  confini  che  lo  spazio  interplanetarel 


*  * 


Finché  le  nazioni  esistono ,  fìni3hè  le  lingue 
umane  si  contano  a  migliaia,  finché  metà  del  ge- 
nere umano  non  può  intender  l'altra  metà,  finché 
fra  uomo  e  uomo  vi  sono  maggiori  differenze 
psichiche  che  fra  un  cane  e  un  lupo;  l'amor  di 
patria  non  si  discute,  ma  si  sente,  e  un  popolo  è 
tanto  più  grande,  quanto  è  più  vivo  e  caldo  e 
universale  in  lui  questo  sentimento.  Benedetto 
cento  volte  il  più  folle  chaumnmne ,  maledetto  il 
cinismo  di  chi  domanda  ridendo:  E  che  cosa  è  la 
patriuf 

La  patria  é  la  terra ,  iu  cui  in  ogni  solco  vi  è 


l'amor  di  patria  95 

una  gocciola  di  sangue  o  di  sudore  dei  padri  no- 
stri e  in  ogni  pugno  d'arena  vi  è  della  cenere  dei 
nostri  avi;  la  patria  è  la  terra  in  cui  dorme  la 
nostra  madre  e  dormiranno  i  nostri  figliuoli;  è  la 
storia  di  tutto  il  passato,  la  storia  di  tanti  secoli 
di  glorie  e  di  sventure  vissuti  da  coloro  che  ci 
hanno  data  la  vita;  la  patria  è  la  madre  di  tutti 
quelli  che  parlano  e  sentono  come  noi  ;  è  quella 
terra,  il  cui  nome  solp  udito  pronunziare  in  terra 
lontana  ci  fa  battere  il  cuore,  ci  fa  baciare  un 
giornale.  È  quella  parola,  che  solleva  onde  di  po- 
poli a  un  grido  di  guerra,  che  fa  escire  da  ogni 
capanna  un  uomo  armato  e  ad  ogni  finestra  fa 
affacciare  una  testa  di  donna  piangente.  La  pa- 
tria è  una  parola  magica  che  può  convertire  ogni 
uomo  in  un  soldato  e  ogni  donna  in  una  martire, 
che  fa  piangere  i  fanciulli  disperati  di  non  esser 
ancor  uomini  e  fa  piangere  i  vecchi  perchè  non 
possono  più  imbrandire  un  fucile.  La  patria  è 
quella  santa  parola,  che  distacca  l'operaio  dall'of- 
ficina, il  contadino  dal  campo,  l'uomo  di  lettere 
dal  libro,  il  banchiere  dallo  scrigno;  che  strappa 
dalle  braccia  della  fanciulla  il  giovane  innamo*. 
rato;  e  tutti  riunisce  in  un'unica  schiera  e  sotto 
uno  stesso  vessillo,  in  cui  tutti  guardano  fissi  con 
occhio  d'eroe  e  amoro  di  martire. 
Qnal'altro  altare  lia  tanti  adoratori?  Qual'altra 


06  CAPITOLO  xn 


religione  ha  tante  idolatrie?  QuaPè  Tara  su  cui 
sì  portino  altrettante  vittime ,  che  corrono  chia- 
mate o  non  chiamate,  ma  sorridenti  e  calde  d'en- 
tusiasmo? QuaU altra  parola  ha  tanta  onnipotenza, 
quaPaltra  estasi  può  superare  codesta  di  sentirsi 
in  ungerà  sola  divenuti  trenta  milioni  di  fratelli, 
che  amano  lo  stesso  amore,  che  sentono  lo  stesso 
odio,  che  sognano  lo  stesso  sogno  di  vendetta  o 
di  sdegno? 


*  * 


Le  estasi  più  comuni  dell'amor  di  patria  sono 
quelle  ohe  si  provano  nel  rivedere  la  terra  nativa 
dopo  mesi  e  anni  di  lontananza  e  le  altre  ohe  si 
godono  nelle  grandi  feste,  che  salutano  un  grande 
trionfo  nazionale:  solitarie  le  prime,  associate  le 
seconde;  grandi  entrambe  e  capaci  di  voluttà 
senza  nome. 

La  nostalgia  è  nei  trattati  di  patologia  una  ma- 
lattia che  si  classifica  fra  le  alienazioni  mentali. 
Beati  coloro  che  possono  esser  pazzi  in  questo  modo; 
infelici  coloro  che  per  grettezza  di  cuore  o  per 
esser  nati  venti  o  trenta  secoli  prima  del  loro 
tempo  non  sono  capaci  dei  rapimenti  del  rivedere 


l'amoe  di  patria  97 

la  patria  dopo  lunghe  assenze.  Io  ohe  ho  vissuto 
molti  anni  nell'altro  emisfero  e  che  ho  attraver- 
sato l'Oceano  per  otto  volte  ho  provato  quest'  e- 
stasi  in  tutti  i  suoi  gradi  e  in  tutte  le  sue  forme. 


4> 
*   * 


Mai  l'ho  goduta  così  intensa  e  così  profonda 
come  dopo  il  mio  ultimo  viaggio  nell'  India. 

L'amor  della  patria,  al  rovescio  degli  altri  amori, 
cresce  cogli  anni,  e  quando  io  dopo  alcuni  mesi 
di  assenza  al  mio  ritorno  dall'  India  seppi  che  al- 
l'indomani avrei  riveduto  l'Italia,  sentii  che  il  cuore 
batteva  forte  forte,  come  dinanzi  al  sorriso  della 
donna  amata. 

Io  non  vedeva  ancora  la  mia  terra^  ma  la  sen- 
tivo. Sentivo  che  essa  mi  aspettava  come  ci 
aspetta  la  nostra  donna  in  un  ritrovo  d'amore 
lungamente  desiderato.  La  mia  patria,  l'Italia 
mia  non  poteva  esser  lontana.  L'onda  più  azzurra, 
il  cielo  più  sereno  me  lo  dicevano  ad  alta  voce  ;  me 
lo  diceva  il  profumo  dei  fiori  d'arancio  che  mi  invia- 
vano gli  orti  benedetti  della  Calabria  e  della  Si- 
cilia. Ed  io  guardava  fisso  davanti  a  me  nell'  o- 
rizzonte  lontano,  che  la  mia  nave  andava  conqui- 
Estasi  umane.  —  II.  7 


^S  CAPITOLO  XII 


Stando  ad  ogni  moto  dell'  elice.  La  nebbia  sfumava, 
ropale  diventava  oltremare,  e  fra  le  nebbie  lon- 
tane vedeva  un  mondo ,  nuovo  e  antico  per  me , 
la  patria  dei  miei  avi.  La  nebbia  diveniva  terra 
e  cielo;  terra  e  cielo  T Italia.  —  Fra  poche  ore  avrei 
baciato  quella  terra  e  sul  mio  capo  si  sarebbe 
disteso  l'azzurro  che  mi  aveva  veduto  nascere. 
Non  sarei  più  morto  in  terra  straniera  e  i  miei 
cari  avrebbero  potuto  piangere  inginocchiati  so- 
pra la  mia  terra,  sopra  la  terra  che  aveva  gene- 
rato me  e  i  miei  cari. 

E  la  terra  nebbiosa  e  oscura  si  disegnava  in 
coste  e  in  golfi,  in  monti  e  in  piani;  e  in  quei 
monti  e  fra  quei  seni  apparivano  poco  a  poco 
casuccie  bianche  incorniciate  di  pampini  verdi  e 
riposavano  fra  boschi  di  agrumi  neri  come  il 
bronzo.  In  quelle  case  dormivano  uomini  che  par- 
lavano la  mia  lingua  e  quella  terra  mi  mandava 
come  un  saluto  del  cuore  i  profumi  del  mio  orto, 
i  profumi  della  mia  giovinezza  e  della  mia  poesia. 
Là  io  era  amato,  là  il  mio  nome  non  era  parola 
ignota:  qualcuno  mi  aspettava.  Vi  erano  braccia 
aperte  impazienti  di  stringermi  al  cuore,  vi  erano 
labbra  di  donna  e  di  fanciulla  pronte,  impazienti  di 
baciar  le  mie  labbra.  Profumi  di  fiori  e  baci  che 
mi  chiamavano  ad  alta,  voce,  con  sospiri  d' amore. 
Come  aveva  potuto  io  per  cosi  lunghi  mesi  star 


l'amor  di  patria  99 

lontano  da  quegli  alberi  benedetti,  da  quelle  brac- 
cia innamorate  j  da  quella  terra  che  era  la  mia , 
la  terra  della  mia  culla  e  della  mia  fossa?  Non 
avevo  io  commesso  una  colpa ,  che  avrei  redenta 
fra  poche  ore  ?  Come  avevo  io  potuto  sopportare 
tanto  dolore? 

E  la  nave  camminava;  e  la  nave  correva  e  a 
destra  il  continente  d'Italia,  a  sinistra  la  pid 
grande  delle  isole  d' Italia  si  avvicinavano  a  me, 
lontane  e  vicine,  come  due  braccia  aperte  all'am- 
plesso! —  Io  mi  sentivo  abbracciato  da  quelle 
braccia  gigantesche ,  mi  sentivo  inebbriato  da 
quei  profumi;  udiva  il  mormorio  delle  voci  del- 
l'uomo, che  daUa  riva  giungevano  fino  a  me;  voci 
d' uomo  e  voci  d' Italiani.  Perfino  le  vele  delle 
piccole  barche  che  sfilavano  lungo  la  costa  mi  pa- 
revano più  bianche,  più  gaie ,  più  snelle  d'  ogni 
altra  vela  di  mare.  Non  eran  forse  vele  italiane  ? 

E  1'  Etna  gigante  fumava  dall'  alto  e  il  calca- 
gno d' Italia  poggiava  sull'  onda  azzurra  quasi 
volesse  spiccare  il  salto  alla  conquista  del  mondo. 

Avrei  voluto  gettarmi  in  quell'onda  per  sen- 
tirmi bagnato  dal  mare  d' Italia,  avrei  voluto  lan- 
ciarmi per  giungere  più  presto  a  toccare  quella 
terra  santa,  quella  terra  divina,  madre  di  tre  civiltà 
e  non  ancora  stanca  ;  quella  terra  d' eroi  e  di 
martiri ,   in   cui  tante   genti   avevano  bevuto  le 


100  CAPITOLO  XII 


prime  fónti  del  pensiero ,  avevano  imparato  i 
primi  canti  della  poesia.  Quanto  orgoglio,  quanto 
amore  e  quanta  impazienza  di  ridare  a  quella  terra 
il  bacio  di  madre  che  mi  gettava  lontano;  dai  suoi 
orti  fioriti,  dalle  sue  città  illuminate  dalla  gloria, 
dalle  vette  dei  suoi  monti  pittoreschi,  dai  campi 
così  fecondi  di  vita. 

Se  quella  non  era  un'  estasi  e  che  cosa  è  dunque 
l'estasi  ì  Se  quello  non  era  un  rapimento  dei  sensi, 
del  cuore,  dell' amore ,  del  passato  che  si  strin- 
geva col  presente;  se  quella  non  era  una  santa 
ebbrezza;  e  che  cos'è  dunque  il  rapimento;  che 
cos'  è  1'  ebbrezza  ?  —  I  miei  occhi  eran  gonfi  di 
lagrime,  ma  sorridevano  ;  il  mio  labbro  era  muto, 
ma  sorrideva  tremando,  come  davanti  a  un  bacio 
ohe  dovesse  uccidermi  come  uomo  per  trasfor- 
marmi in  un  Dio. 


*  li 


Estasi  solitarie  d'  amor  di  patria  devono  pro- 
vare quei  pochi,  eletti  ohe  nascono  per  dar  libertà 
0  grandezza  alla  patria  e  sognano  prima  e  medi- 
tano poi  l'opera  grande  che  si  prefiggono  a  scopo 
della  loro  vita. 


L^AMOB  DI  PATRIA  101 

Gran  parte, di  questi  amori  solitarii  e  profondi 
si  consuma  nell'opera  del  pensiero,  nelle  lunghe 
lotte  di  preparazione;  ma  tra  le  ansie  di  chi 
aspetta  e  sperando  teme  ad  ogni  istante  di  per- 
dere il  frutto  di  tanti  sagriftci ,  di  tanti  sudori , 
e  forse  di  tanti  martini  ;  vi  devono  essere  istanti 
in  cui  alla  mente  riscaldata  da  tanto  entusiasmo 
appare  l' alba  della  vittoria  in  un  orizzonte  lon- 
tano e  la  speranza  del  premio  fa  batter  forte  il 
cuore.  Quante  visioni  sublimi  devono  esser  ap- 
parse al  Mazzini,  al  Cavour,  al  Garibaldi,  quando 
neir  esilio  o  nel  gabinetto  di  ministro  o  sul  campo 
di  battaglia  sognavano  di  far  libera,  grande  ed 
una  la  nostra  patria  e  sentivano  di  poter  essere 
artefici  primi  in  quest'  opera  grande  ;  sogno  di 
tanti  secoli,  miraggio  di  tante  generazioni. 

Le  imprese  degli  eroi  rimangono  scritte  in  ta- 
vole di  bronzo  o  in  monumenti  di  marmo,  scritte 
col  ferro  e  col  fuoco,  colle  torture  dell'ergastolo 
o  le  lunghe  angoscio  notturne  del  pensiero  che 
non  dorme;  ma  ciò  che  non  rimane  scritto  è  l'è-  ^ 
stasi  che  prepara  queUe  imprese  e  che  le  prevedo 
in  anticipazione. 

Ogni  frutto  si  feconda  nelF  amplesso  dei  petali 
profumati  e  fulgenti  di  bellezza  e  ogni  figlio  di 
creatura  viva  nasce  dall'  anelito  di  un  grande 
amore.  Così  le  opere  magnanime  che  salvano  un 


102  CAPITOLO  XII 


popolo  o  ohe  lo  glorificano,  che  rompono  le  catene 
dell'  oppressione  o  allargano  le  frontiere  della  pa- 
tria non  sono  mai  uragani  di  violenze  o  subitanee 
divinazioni  del  genio;  ma  si  preparano  lenta- 
mente e  lentamente  maturano  nei  santuari  del 
cuore  e  del  pensiero,  là  dove  i  germi  celati  pre- 
parano r  albero  futuro  che  darà  ombra  a  un'  in- 
tiera nazione.  La  poesia  sprezzata  solo  dal  volgo 
dei  faccendieri,  perchè  non  sono  capaci  d'inten- 
derla, è  la  madre  d'ogni  opera  grande  e  non  c'è 
grande  soldato  o  grande  uomo  di  Stato  che 
non  fosse  anche  e  soprattutto  poeta.  Poeta  nel  so- 
gnare imprese  che  ai  più  apparivano  come  pazze 
utopie  ;  poeta  nel  fantasticare  e  nell'  osare  ;  poeta 
nel  deliziarsi  nelle  sante  visioni  dell'avvenire;  poeta 
nelle  estasi  amorose  che  mostrano  al  credente  il 
premio  lontano  di  grandi  vittorie.  Non  invano  i  Greci 
hanno  detto  che  il  poeta  è  un  creatore. 


* 
*  * 


Né  le  sante  estasi  dell'  amor  di  patria  sono  con- 
cèsse soltanto  agli  eroi,  ai  semidei  della  storia. 
Tutti  coloro  che  hanno  fortemente  amato  la  pa- 
tria, tutti  quelli  che  hanno  dato  ad  essa  il  pen- 


L'AMGE  DI  PAXaiA  103 


siero  o  il  sangue,  che  hanno  cospirato  prima  e 
studiato  poi  per  darle  grandezza  e  potenza,  ponno 
nella  loro  vita  aver  provato  rapimenti  deliziosi. 
Ognuno  più  che  sé  stesso  non  può  dare  all'  altare 
d' un  grande  affetto  e  nelle  rivoluzioni  e  nelle 
guerre,  come  nelle  grandi  lotte  politiche  gli  amanti 
della  patria  possono  contarsi  a  legioni  e  la  storia 
li  dimentica,  appunto  perchè  son  troppi.  La  storia 
ha  fretta  e  personifica  in  un  tipo  i  martiri  minori. 
Pellico  è  il  martire  delle  cospirazioni,  Mazzini  è 
r  apostolo  della  religione  della  patria ,  Garibaldi 
V  eroe,  la  Cairoli  è  la  martire  delle  madri,  Cavour 
è  il  pensiero  in  azione,  e  così  via.  Per  ogni  forma 
del  sagrifizio,  per  ogni  opera  della  mente,  per 
ogni  travaglio  dei  cuori,  la  storia  segna  un  indi- 
viduo che  divien  statua,  idolo  e  tipo,  e  dimentica 
le  molte  figure  anonime,  che  si  raggruppano  in- 
torno a  quei  tipi  e  fanno  loro  lieta  ghirlanda. 

Né  questi  negletti  della  storia  lamentano  l'in- 
giustizia :  al  monumento,  alle  corone,  aU'  arco  di 
trionfo  essi  non  hanno  pensato  mai.  Essi  hanno 
amato  la  patria  e  per  essa  hanno  pianto  o  sono 
morti  :  la  loro  missione  è  compiuta  e  sono  felici 
come  lo  furono  Pellico,  Garibaldi  e  Cavour.  An- 
ch'essi  hanno  provato  le  sante  estasi  della  spe- 
ranza e  della  vittoria,  e  la  patria  li  ha  benedetti  e 
glorificati  nel  silenzio   delle  loro  case ,  nel  nido 


104  CAPITOLO  Xll 


delle  loro  famiglie  e  dei  loro  amori.  La  patria  è 
grande  perchè  ebbe  di  tali  figli  e  attraverso  le 
vene  e  i  nervi  ohe  congiungono  le  generazioni 
scorre  1'  onda  dell'  entusiasmo  e  palpita  la  voluttà 
del  sacrifizio.  Che  cosa  sarebbe  il  Cristo  senza 
gli  Apostoli;  che  cosa  avrebbe  fatto  Garibaldi 
senza  la  coorte  dei  Mille,  e  Cavour  senza  i  pre- 
cursori del  21? 

No  (lo  voglio  ripetere  per  la  centesima  volta), 
la  natura  non  è  così  ingiusta  come  appare  alle 
esigenze  dei  più.  Le  gioie  maggiori  della  vita  non 
si  misurano  col  metro  del  genio  o  sulla  bilancia 
della  ricchezza.  Tutti,  innanzi  morire,  possono  es- 
sere baciati  dalle  labbra  innamorate  d'una  donna; 
tutti  possono  render  quel  bacio  alle  labbra  d'una 
figlia.  Nessuno  è  così  povero  da  non  poter  fare 
sagrifizio  di  sé  alla  patria,  nessuno  così  infelice 
da  non  provare  le  estasi  dell' aflTetto  e  della  poe- 
sia. Pel  sole  che  dall'  alto  illumina  tutte  le  crea- 
ture della  terra,  nessuno  è  grande,  nessuno  picco- 
lissimo; e  i  suoi  raggi  entrano  beatificando  e 
consolando  nelle  fibre  d' ogni  cuore ,  neUa  porta 
d'  ogni  tugurio. 


l'ahob  di  patria  105 


* 
*  * 


I  pioooli  nameri  diventano  grossi  se  sommati 
insieme.  Così  i  piccoli  affetti  ponno  divenire  ura- 
gani se  i  cuori  battono  insieme.  Che  cosa  è  una 
gocciola  ?  Eppure  V  oceano  è  fatto  di  gocciole. 
Nessun  affetto  forse  quanto  Tamor  di  patria  può 
per  la  sua  natura  moltiplicarsi  con  grossi  numeri 
e  allora  Y  entusiasmo  degli  individui  diviene  onda 
che  allaga  le  contrade  e  rapisce  nella  sua  cor- 
rente case  e  villaggi,  città  e  popoli  intieri.  È  que- 
sto un  punto  ancora  oscuro  della  psicologia  umana 
e  che  pure  dovrebbe  formare  una  delle  basi  te- 
tragone di  ciò  che  suol  chiamarsi  la  filosofia  della 
storia. 

Come  si  sommano  due  affetti  analoghi  o  eguali  f 
Di  certo  non  colla  regola  aritmetica  che  1  -f  1=2. 
E  come  si  moltiplica  un  entusiasmo,  quando  si 
ripete  cento ,  mille ,  centomila  volte  nello  stesso 
tempo  in  cento,  in  mille,  in  centomila  cuori?  An- 
che qui  la  regola  matematica  non  serve  a  spie- 
gare 1'  allargarsi  e  il  diffondersi  del  fenomeno  ri- 
percosso in  tante  coscienze  umane.  Visone  epidemie 
per  il  sentimento  come  pei  morbi  popolari,   e  il 


106  CAPITOLO  .XII 


diffondersi  degli  entusiasmi  presenta  gli  stessi 
misteri,  gli  stessi  salti  bizzarri,  gli  stessi  prodigi 
come  r  allargarsi  delle  grandi  epidemie, 

L' incendio  dei  cuori  per  influsso  d'  una  gloria 
nazionale  è  uno  degli  spettacoli  più  grandiosi  e 
commoventi  del  mondo  umano,  ed  io  compiango 
tutti  coloro,  che  nel  corso  della  loro  vita  non 
hanno  [potuto  assistere  ad  una  di  queste  grandi 
feste,  nelle  quali  tutto  un  popolo  canta  Tinno 
della  gioia  e  lo  accompagnano  gli  squilli  elettriz- 
zanti della  vittoria  e  la  fanfara  del  tumulto  po- 
polare e  l'ebbrezza  di  tanti  cuori,  che  sentono  nel 
tempo  stesso  la  stessa  gioia,  che  ardono  della 
stessa  febbre,  dello  stesso  delirio. 

Non  invano  io  ho  rassomigliato  ad  un  incendio 
questi  rapimenti  nazionali  :  nessuna  immagine  po- 
trebbe rappresentare  più  fedelmente  lo  svolgersi 
di  questo  fenomeno  umano.  Ma  non  ha  ad  essere 
incendio  di  pagliaio,  che  le  società  dì  assicura- 
zioni registrano  con  dolore,  o  fiamme  di  cucina,  che 
i  pompieri  benemeriti  spengono  in  un'ora  colle 
loro  pompe.  Ci  vuole  uno  di  quelli  incendi  delle 
vergini  foreste  e  della  pampa  dell'America  meri- 
dionale, che  ho  le  tante  volte  veduto  e  ammirato 
nei  miei  viaggi. 


li'AMOB  DI  PATRIA  107 


La  fiamma  è  venata  dall'  alto  o  dal  basso ,  da 
un  falmine  o  dal  focolaio  d' un  viaggiatore  :  non 
importa.  È  fiamma  che  non  rigaarda  le  società 
d' assicurazione,  né  chiama  a  sé  i  pompieri,  fi  fuoco 
che  s'allarga  a  destra  e  a  sinistra,  che  sale  in  alto 
lungo  le  scale  delle  liane  sugli  alberi  alti  come 
torri  e  che  rade  le  erbe  del  basso  come  rasoio 
ardente.  Erbe  e  cespugli,  alberi  e  arbusti,  piante 
di  mille  anni  e  fiorellini  sbocciati  ieri,  tutto  è  ìa- 
vaso  dalla  stessa  fiamma,  che  tutto  divora  e  con- 
suma. Nessuno  resiste  a  quel  fuoco,  non  il  cacto 
gonfio  di  succhi,  non  le  foglie  verdi,  non  i  tron- 
chi secolari;  nessuna  pianta,  nessuna  erba,  nessun 
insetto  che  viva  su  quelle  erbe,  nessun  rettile  che 
strisci ,  nessun  piccolo  rosicante  o  armadillo  che 
s'  accovacci  nelle  tane,  nessuna  belva  del  bosco , 
nessun  mammifero  della  pianura.  Dinanzi  a  quel 
fuoco  tatti  sono  eguali  e  tutte  le  creature  hanno 
ad  ardere  fiammeggiando,  scoppiettando  e  deto- 
nando. Vola  la  fiamma  in  colonne ,  striscia  come 
onda,  divampa  come  nembo,  e  non  appena  il  fumo 
porta  nel  fresco  del  verde  il  segno  precursore 


108  CAPITOLO  XII 


della  distrazione,  il  fumo  divien  calore  e  il  calore 
divien  incendio. 

E  l'incendio  cammina;  prima  incerto,  poi  sicuro; 
prima  trotta,  poi  galoppa,  vola;  esaltandosi  nel 
delirio  d'  un'  opera  gigante  di  distrazione  e  di  li- 
vellazione. I  piccoli  innalzano  il  loro  fuoco  nelle 
regioni  degli  alti  ;  e  gli  alti  precipitano  turbinando 
e  rovesciando  i  tizzoni  incandescenti  nel  piano 
delle  creature  minori.  E  volano  le  scintille  e  ser- 
peggiano le  fiamme,  né  alcuno  al  mondo  saprebbe 
dire  chi  dia  maggior  alimento  a  quelle  vampe, 
maggior  calore  in  quella  voragine,  in  quella  fu- 
cina gigantesca.  Screpolano,  scoppiano,  gemono  i 
rami  succolenti  e  rovinano  i  colossi  della  foresta, 
portando  lontano  lontano  V  inno  di  una  grande 
rivoluzione,  finché  fra  cielo  e  terra  non  si  distin- 
guono più  nò  erbe  né  arbusti,  nò  alberi,  né  animali; 
ma  una  cosa  sola  si  vede,  una  cosa  sola  si  sente,  il 
fuoco  trionfatore  d'una  fiamma  invadente  e  tiranna. 
É  la  festa  del  fuoco,  è  V  orgia  della  distruzione  ; 
è  la  morte  di  un  mondo  vecchio  che  prepara  il 
terreno  a  un  mondo  nuovo. 


l'amoe  di  patria  109 


*  * 


Così  sono  le  feste  nazionali,  non  imposte  da 
decreti  di  principi  o  da  grida  di  ministri,  ma  sorte 
spontanee  per  l'irrompere  di  un  sentimento  caldo, 
che  infiamma  tutti  i  cuori,  che  riscalda  tutte  le 
coscienze.  E  le  anime  fredde  sono  ravvolte  dal- 
l' incendio  comune,  e  gli  egoisti,  volenti  o  nolenti, 
si  riscaldano  allo  stesso  fuoco  e  i  timidi  non  tro- 
van  scampo  alla  fuga.  Ogni  creatura  che  abbia 
in  petto  un  cuore  di  uomo  deve  ardere  e  consu- 
marsi nella  stessa  fiamma.  Padri  e  figli  e  ignoti 
si  abbracciano  insieme  e  in  una  volta  sola,  e  il 
riso  e  il  pianto  che  si  confondono  in  un  turbine 
solo  fanno  ridda  e  alzano  al  cielo  un  grido  solo  : 
che  è  r  entusiasmo  ;  s' inebbriano  dello  stesso  li- 
core che  è  r  affetto  di  patria.  Anche  il  marmo  si 
riscalda,  se  ravvolto  dalle  fiamme,  e  anche  il  ghiac- 
cio si  discioglie  e  si  consuma  fra  le  vampe  d'un 
incendio.  Saltano  le  più  robuste  serrature  chiuse 
dalla  mano  gelosa  dell'  avarizia ,  si  spezzano  le 
catene  più  robuste  saldate  dall'  egoismo  e  dalla 
paura.  Ogni  ^cuore  umano  ha  ad  ardere  dello 
stesso  fuoco;  e  il  ferro  robusto  e  il  piombo  vile 


110  CAPITOLO  XII 


8'  hanno  a  fondere  per  una  volta  almeno  in  uno 
stesso  orogiuolo,  formando  una  lega  che  sfidi  le 
leggi  della  chimica  e  le  analisi  della  scienza.  É 
nn  popolo  ebbro  di  gioia,  che  non  conta  più 
nelle  sue  schiere  né  poveri  né  ricchi,  né  gio- 
vani nò  vecchi;  ma  canta  con  una  voce  sola,  somma 
di  tutti  i  vagiti,  di  tutte  le  poesie,  di  tutti  gli 
urli  umani  ;  canta  l' inno  della  redenzione  o  della 
vittoria. 


*  * 


Chi  ha  avuto  la  fortuna  di  essere  già  uomo 
nel  48  e  nel  59  rammenta  questi  incendi  dei  cuori 
italiani  e  per  le  membra  forse  già  intirizzite  dal 
freddo  della  vecchiaia  risente  ancora  il  caldo  di 
quel  fuoco.  E  rammenta  ancora  alcuni  momenti 
di  estasi  sante,  di  ineffabili  rapimenti,  nei  quali 
ogni  altro  sentimento  taceva  o  si  eclissava  davanti 
al  divampare  subitaneo  e  irresistibile  di  un  unico 
sentimento,  V  amor  di  patria. 


l'amoe  di  patria  111 


* 


Così  come  dalP  incendio  delle  foreste  vergini 
nello  strato  di  cenere  che  rimane  si  prepara  una 
terra  feconda  per  nuove  creature  a  venire;  così 
nelle  grandi  estasi  e  nelle  sante  ebbrezze  di  un 
popolo  trionfante,  si  prepara  un  nuovo  terreno  in 
cui  sarà  scritta  una  nuova  storia.  É  per  questa 
via  che  le  guerre  diventano  rigeneratrici  di  un 
popolo  stanco;  e  quando  per  due  o  tre  generazioni 
non  divampa  uno  di  questi  incendi  rigeneratori, 
i  funghi,  le  muffe  e  i  bacterii  invadono  ogni  tronco 
d'  albero  e  ogni  seme  di  pianta,  e  dalla  lenta  pu- 
trefazione dei  cadaveri,  s' innalza  un  miasma  omi- 
cida, che  soffoca  i  bambini  nella  culla,  sommerge 
i  giovani  nella  palude  dell'ozio  e  della  noia,  e  ne- 
cide  i  non  nati  nel  ventre  delle  madri. 


Capitolo  XIII. 


Piccole  estasi  affettive  e  miste.  —  L'amore  per  gli  animali. 
—  Cani,  cavalli  e  bovi.  —  Le  estasi  della  ricchezza.  —  I  due 
lati  della  medaglia.  —  L'avaro.  —  Le  estasi  patologiche.  — 
Se  ne  fa  cenno,  ma  non  si  studiano.  —  Aspirazione  modesta 

di  questo  mio  libro. 


Estasi  umane.  —  II.  8 


Benché  abbia  dedicato  tanta  parte  di  questo 
libro  allo  studio  delle  estasi  affettive,  non  pre- 
tendo di  averle  tutte  esaminate.  Vi  ho  parlato 
deUe'più  comuni,  o  per  esser  più  esatto,  delle 
meno  rare;  di  quelle  che  in  tutti  i  tempi  hanno 
chiamato  sopra  di  sé  V  attenzione  del  psicologo 
osservatore;  ma  i  sentimenti  umani  sono  così  mu- 
tevoli nella  loro  forma,  così  elastici  nella  loro 
espansione  da  poterci  presentare,  per  eccezione  di 
circostanze  o  per  eccezione  di  individui,  rapimenti 
inaspettati  e  strani. 


*  * 


L'amore  per  gli  animali  può  in  dati  casi  cre- 
scere di  tanto  e  acquistare  tale  energia  da  portarci 
sulle  frontiere  dell'estasi.  Ho  già  studiato  nei  molti 


116  CAPITOLO  xin 


miei  lavori  di  psioologia  quei  casi  in  cui  V  uomo 
ama  le  bestie  più  che  gli  uomini  e  per  esse  fa 
sacrifizi  e  ad  esse  dedica  un  culto  pieno  di  poesia 
e  di  tenerezza. 

Come  uomo  e  come  nemico  personale  del  cane^ 
arrossisco  nel  dire  che  questo  quadrupede,  che  ha 
per  antenato  il  lupo  e  che  ci  uccide  coll'idrofobia, 
può  essere  più  che  amato,  adorato  e  che  la  con- 
templazione del  cane  prediletto  può  portare  aire- 
stasi.  Dall'australiano  che  uccideva  il  proprio  bam- 
bino perchè  la  moglie  potesse  dare  il  seno  ad  un 
suo  cagnolino,  si  sale  o  si  scende  (come  volete)  ad 
una  signora  di  mia  conoscenza,  che  aveva  intorno 
a  sé  un  serraglio  di  cani,  d'ogni  grandezza  e  d'o- 
gni colore,  che  amava  e  accarezzava  come  figliuoli. 
Con  essi  nel  salotto,  con  essi  a  pranzo,  con  essi 
a  letto;  di  giorno  e  di  notte  e  sempre  in  mezzo 
ai  cani,  ohe  spandevano  all'  intorno  un  tanfo  di 
belve  domestiche  da  asfissiare  un  rospo.  Viveva 
delle  carezze  dei  cani,  dei  loro  baci;  li  assisteva 
come  infermiera  se  ammalati,  li  vestiva,  li  lavava, 
li  coricava,  e  quando  li  contemplava  tutti  riuniti 
intorno  a  un  desco  o  tutti  coricati  nei  loro  letti, 
essa  godeva  tanto ,  e  tanto  si  esaltava  da  farmi 
credere  che  si  trovasse  in  uno  stato  di  rapimento. 

L'arabo  e  il  gaucho  coi  cavalli,  il  cafro  e  molti 
altri  africani  coi  loro  bovi,  il  lappone   colle   sue 


L'AMORE  PER  GLI  ANIMALI  117 

renne,  possono  presentare  quadri  consimili  e  per 
fortnna  meno  ribattanti  di  quello  della  si^ora 
oinamanUica. 

Io  ho  potuto  vedere  più  d'una  volta  il  gaucho 
argentino  fermo  dinanzi  al  suo  parejero  ornato  del 
più  splendido  cha/peado  d' argento,  cadere  in  un 
vero  e  proprio  rapimento.  Bapimento  estetico  e 
affettivo  in  una  volta  sola,  mentre  presentava  tutti 
i  caratteri  dell'estasi. 

Ho  veduto  il  gaucho  appoggiare  il  suo  capo  con- 
tro la  testa  del  cavallo,  e  accarezzarlo  colla  guan- 
cia e  mormorare  parole  tenerissime  d'amore  e  poi 
passare  alle  carezze  lunghe,  affettuose  sul  collo  e 
sulla  criniera;  e  ho  veduto  le  ceflFatine  amorose,  che 
non  si  danno  che  ai  bambini  e  alla  donna  amata. 

Intendo  quest'  estasi,  e  credo  che,  così  com'  io 
l'ho  veduta  nel  gaucho  argentino,  altri  avranno 
potuto  studiarla  nell'Ungheria,  nel  chirghiso  della 
steppa,  nell'arabo  del  deserto....  L'uomo  dinanzi 
al  suo  cavallo  è  uno  dei  quadri  più  belli  della 
vita  animale.  Son  due  creature  fra  le  meglio  riu- 
scite del  nostro  pianeta  e  che  si  completano  a 
vicenda.  L'agilità,  la  forza,  la  velocità  messe  al 
servizio  dell'intelligenza  più  alta;  il  più  bello  dei 
quadrupedi  che  presta  i  suoi  muscoli  al  bipede 
più  audace  e  più  intelligente.  La  voce  che  fa  ar- 
monia col  nitrito;  la  parola  del  pensiero  che  suona 


118  CAPITOLO  XIII 


insieme  alio  sbuffo  ardente ,  che  sembra  aspirare 
per  .le  ampie  narici  lo  spazio  e  la  Ince.  L'uomo  a 
piedi  è  una  intelligenza  che  cerca,  l' uomo  a  ca- 
vallo è  una  intelligenza  che  conquista;  1'  uomo  a 
piedi  è  un  filosofo  ohe  osserva  e  che  pensa,  l'uomo 
a  cavallo  è  un  pensiero  che  divora  lo  spazio  e  do- 
mina il  mondo. 

Le  poche  e  rare  estasi  che  porge  all'uomo  l'af- 
fetto alle  bestie,  quando  non  sono  aberrazioni  pa- 
tologiche, sono  spesso  più  estetiche  che  affettive 
e  l'una  e  l'altra  cosa  insieme,  mentre  altre  volte 
si  complicano  con  altri  sentimenti. 

Quando  il  cafro  contempla  dall'alto  d'un  mon- 
ticello  il  suo  Kraal  formicolante  di  corna  cesel- 
late delle  sue  numerose  mandre  muggenti,  può 
cadere  in  rapimento  :  così  VestanderOy  che  dall'alto 
del  suo  cavallo  vede  passare  dinanzi  ^  lui  l'onda 
fuggente  di  migliaia  di  bovi  e  di  cavalli.  Ma  quali 
sentimenti  vibrano  in  quel  momento  nel  cuore  e 
nel  pensiero  di  quei  due  uomini?  Qual'è  l'affetto 
che  li  porta  all'  estasi?  L' affetto  per  quegli  ani- 
mali? O  la  gioia  di  possedere  tanta  ricchezza?  O 
lo  spettacolo  di  tante  vite  addensate  in  così  pic- 
colo spazio?  O  l'ammirazione  per  tanta  bellezza 
di  forme  ?  Forse  tutto  questo  in  una  volta  sola  o 
il  passaggio  rapido  e  successivo  dall'una  all'altra 
gioia,  dall'una  all'altra  ammirazione. 


L'ESTASI  DELLE  BIGCHEZZE  119 


*  * 


lì  sentimento  ohe  ci  porta  ad  amare  le  proprie 
oose  e  specialmente  quella  cosa  delle  cose,  ohe 
rappresenta  il  valore  di  tntte,  cioè  il  denaro,  la 
ricchezza,  è  dei  più  intensi  e  dei  più  tenaci  e  può 
non  di  raro  rapirci  in  estasi. 

L'estasi  delle  ricchezze  può  anzi  servire  come 
passaggio  naturale  per  condurre  all'esame  dei  ra- 
pimenti patologici,  che  invece  di  innalzare  l'uomo 
alle  più  nobili  idealità,  lo  degradano  e  lo  avvili- 
scono. 

lifessuno  è  testimonio  dell'  estasi  solitaria,  con- 
centrata, direi  tutta  concentrica,  che  provano  il 
banchiere,  il  milionario,  l'avaro,  quando  sommano 
le  pingui  e  lunghe  cifre  del  loro  bilancio  attivo  o 
fanno  scorrere  voluttuosamente  fra  le  dita  quei 
fogli  dell'eloquentissimo  fra  tutti  i  libri  che  chia- 
mansi  bigUetti  di  banca,  carte-valori,  cartèlle  o  simili. 

Per  1'  avaro  lo  scintillio  delle  monete  d' oro  è 
più  splendido  di  quello  che  irradia  dalle  pupille 
di  Venere,  e  il  palpare  i  biglietti  di  banca  più 
voluttuoso  del  palpeggiare  le  carni  più  rosee  e 
più  vellutate  della  giovinezza.  Né  quella  voluttà 


120  CAPITOLO  XIII 


è  tutta  brutale.  Un  tavolo  che  si  piega  sotto  il  peso 
di  sacchi  d'oro  o  ohe  è  tutto  ingombro  di  carta- 
moneta, è  uno  spettacolo  che  può  avere  un  fa- 
scino pieno  di  poesia  e  di  misteri.  Noi  abbiamo 
sotto  i  nostri  occhi  la  forza  in  tutta  la  ca,lma  della 
potenza,  e  nel  più  angusto  spazio  possibile  vediam 
concentrata  la  più  grossa  somma  delle  umane  pos- 
sibilità. Quella  materia  bruta  e  muta  può  conver- 
tirsi a  un  nostro  cenno  in  pranzi  luculliani  o  in 
giardini  fioriti;  in  case,  in  biblioteche,  in  castelli. 
Quella  materia  non  sbuffa  né  corre  né  si  agita; 
ma  può  portarci  a  volo  intorno  al  nostro  pianeta; 
essa  è  lente  che  ingrandisce  ogni  piccola  cosa  e 
può  impicciolire  le  maggiori  grandezze;  è  ala  per 
volare,  cavallo  per  galoppare,  locomotiva  per  con- 
quistare lo  spazio.  Tutti  i  desideri  possono  essere 
soddisfatti  con  quella  materia  muta  e  bruta,  e  voi 
potete  con  essa  comperare  tanti  sorrisi  da  averne 
nausea,  tante  carezze  e  tanti  baci  da  poterne 
morire;  potete  comprare  le  coscienze,  la  giustizia, 
gli  omaggi  dei  vili  e  tutte  le  più  rare  leccornie 
della  vanità.  Quanti  amori  per  ogni  biglietto  da 
mille,  quanti  saluti  per  un  biglietto  da  cento, 
quante  piccole  viltà  per  ogni  biglietto  da  cinque. 
Perfino  l'ultimo  bricciolo  di  quel  tesoro,  il  cente- 
simo, può  darvi  il  sorriso  di  un  bambino! 
Come  non   rimanere   estatico   davanti   a   tutta 


l'estasi  delle  ricchezze  121 

qaella  potenza  di  bene  e  di  male;  come  non  com- 
muoversi davanti  a  tanta  forza  addensata  forse 
in  un  metro  quadro  di  superfìcie!  Il  poeta  e  il  fi- 
losofo, è  vero,  dopo  pochi  istanti  di  commozione 
e  forse  di  tenerezza,  passeranno  con  fulminea  ra- 
pidità a  riguardare  il  rovescio  della  medaglia  e 
vedranno  tutte  le  viltà  dell'  oro  e  tutte  le  impo- 
tenze della  ricchezza. 

Quelle  monete  son  sporche  di  tutti  i  sudori 
umani  e  quei  biglietti  portano  sulla  loro  superficie 
tutte  le  macchie  dell'umana  coscienza:  grassume 
di  pelle  venduta  e  saliva  di  adulazioni  bassissime; 
tradimenti  del  cuore  e  menzogne  del  labbro;  tutte 
le  malvagità,  tutte  le  viltà,  tutte  le  transazioni 
di  coscienza  hanno  lasciato  su  quei  dischetti  di 
metallo  e  su  quei  fogli  la  loro  allumacatura.  Non 
sentite  il  tanfo  osceno  che  emaùa  da  un  cassetto 
pieno  di  biglietti  di  banca? 

E  in  mezzo  a  tanto  sudiciume,  quanta  impo- 
tenza! Con  tutto  quell'oro,  con  tutti  quei  fogli 
non  potete  comperare  le  cose  pi£i  belle  della 
natura  e  le  più  dolci  del  cuore!  Non  un  rag- 
gio di  sole  in  dì  di  pioggia,  non  una  carezza 
d'amico,  se  avete  disonorato  il  vostro  nome;  non 
la  salute,  non  l'amore,  non  il  genio,  non  la  stima 
dei  buoni.  Se  non  avete  fame,  se  non  avete  sete, 
il  cuoco  di  Rotschild  non  può  darvi  né   la   fame 


122  CAPITOLO  XIII 


né  la  sete;  quelle  eteme  salse  ohe  da  Adamo  in 
poi  possono  soltanto  darci  il  gusto  del  mangiare 
e  del  bere.  Tutti  i  milioni  del  mondo  messi  in- 
sieme non  possono  farvi  comperare  né  a  salute, 
né  la  bellezza,  né  la  giovinezza,  né  il  genio!  Quanta 
impotenza  in  tanto  sudiciume! 


* 
*  * 


Tutti  questi  pensieri  opposti  e  contrari  però  si 
agitano  in  voi  davanti  all'  oro  e  ai  biglietti  di 
banca,  e  il  tumulto  può  farvi  violenza  e  tenervi 
assorto  in  un  rapimento  prolungato  e  forte.  Io 
mi  ricordo  d'averlo  provato  un  giorno  nella  sala 
del  tesoro  della  Banca  di  Londra,  quando  cento 
cassieri  pagavano  e  incassavano,  e  dai  loro  spor- 
tellini entravano  e  uscivano  onde  d' oro  e  d'  ar- 
gento. Io  m'era  ritirato  in  un  angolo,  e  quel  tin- 
tinnio continuo  di  monete  e  quel  movimento  di 
ricchezze,  quell'agitarsi  di  milioni  intomo  a  me 
mi  teneva  assorto  in  un  rapimento  indistinto,  e 
di  cui  non  sapeva  definirmi  il  perché  e  il  come. 


L'ESTASI  DELL'AVABO  123 


*  * 


Dalle  poetiche  meditazioni  sulla  forza  delle  forze 
fatte  da  un  psioologo  o  da  un  artista,  si  passa  per 
gradi  alla  vera  estasi  dell'  avaro,  che  può  tener 
luogo  d'ogni  altra  idealiti\,  ohe  può  bastare  alla 
gioia  della  vita.  La  passione  diventa  vizio,  il  vi- 
zio mania  tirannica,  che  domina  tutto  il  campo 
del  sentimento,  tutti  i  territorii  del  pensiero. 

Non  vivere  che  per  accumulare  monete  sopra 
monete,  biglietti  sopra  biglietti,  incassare  il  più 
possibile  e  spendere  il  meno  possibile.  Far  vita 
da  povero  e  addensar  milioni;  poter  far  tutto, 
aver  tutto,  goder  tutto,  e  non  fare  né  goder  nulla. 
Sentir  in  sé  tutte  le  più  temerarie  possibilità,  po- 
ter dar  sfogo  a  tutti  i  desideri  e  non  soddisfarne 
alcuno.  Possedere  la  forza  e  non  spenderla  e  man- 
tenerla sempre  allo  stato  potenziale;  ecco  il  gran 
segreto  delle  voluttà  e  delle  estasi  dell'uomo  avaro. 


124  CAPITOLO  XIII 


Anche  l'odio,  anche  la  crudeltà,  tutti  i  vizii 
umani  possono  avere  stati  estatici,  cioè  aliena- 
zioni momentanee  della  coscienza,  che  tutta  si 
assorbe  in  una  sola  sensazione,  in  un  solo  senti- 
mento. 

Accenno  questi  rapimenti  per  completare  il  qua- 
dro scientifico,  ma  non  li  descrivo.  Nella  mia  Fi- 
siologia dell'  odio,  che  spero  di  poter  presto  pub- 
blicare, vedremo  anche  questi  infermi.  In  questo 
libro  voglio  soprattutto  rimanere  nelle  sfere  altis- 
sime del  bello  e  del  buono,  lasciando  nell'ombra 
il  brutto  e  il  cattivo.  Fra  tanti  volumi  in  cui  si 
studia  il  fango,  non  è  male  che  uno  ci  porti  in 
alto,  dove  Paria  è  sempre  pura,  e  il  sole  brilla 
in  tutta  la  sua  potenza  e  in  tutto  il  suo  splendore. 

Per  tanti  secoli  Torgoglio  e  la  religione,  cospi- 
rando insieme,  avevan  fatto  dell'uomo  un  dio,  e 
mettendo  il  mondo  in  ginocchio  dinanzi  a  questo 
uomo-dio,  avevano  pervertito  ogni  senso  di  misura, 
ogni  bilancia  dì  giustizia.  La  reazione  venne  e 
formidiibile,  ma  forse  ha  già  sorpassato  la  meta. 
L'uomo  è  oggi  una  bestia  vile,  un  mostro  osceno: 


FISIOLOGIA  DELL'ODIO  125 

scienza^  letteratura,  poesia  ed  arte  fanno  deirnomo 
ima  caricatara  e  nella  caricatura  cercano  il  tipo 
della  specie.  Né  angelo,  né  bestia;  ma  uomo.  Se 
questo  mio  libro  è  umano,  se  tutto  ciò  che  vi  si 
descrive  e  studia  avviene  veramente  nel  cuore  e 
nel  pensiero  degli  uomini,  possiamo  onorarci  di 
esser  tali  e  preparare  o  desiderare  almeno  ai  no- 
stri figliuoli  una  morale,  che  non  si  appoggi  né 
sopra  una  falsa  origine  celeste  dell'uomo,  né  sulla 
lotta  brutale  e  fatale  di  interessi  e  di  forze,  di 
unghie  e  di  denti. 


Capitolo  XIV. 


LE   ESTASI    ESTETICHE. 


Le  teoriche  dell'  estetica  e  un  libro  futuro.  —  Diversi  rapi- 
menti estetici.  —  Diversi  gusti  estetici  e  condizioni  necessarie 
all'estasi.  —  L'entusiasmo.  —  Quale  sia  l'uomo  ch'io  più  com- 
pianga fra  tutti.  —  Estasi  per  le  scene  della  natura  e  per  le 
opere  d'arte.  —  Quale  la  più  grande. 


Corre  fra  i  Ohinesi  del  mezzodì  questo  prover- 
bio :  nessun  uomo  può  avere  in  una  volta  sola  una 
grande  fortuna,  un  figlio  maschio  e  una  bella  barba; 
volendosi  dire  con  ciò  che  queste  tre  cose  sono 
la  maggior  benedizione  della  vita. 

Io,  che  non  sono  chinese,  mi  accontenterei  di 
molto  meno  e  se  volessi  farmi  una  vita  a  modo 
mio,  e  in  essa  identificare  la  perfezione  di  una 
felicità  senza  ombra;  vorrei  vivere  sempre  in  un 
ambiente  di  coso  belle,  sorridendo  il  mio  primo 
sorriso  dinanzi  ad  una  grande  scena  della  natura 
o  ad  una  grande  opera  d'arte  e  chiudendo  il  mio 
ultimo  sguardo  dinanzi  a  una  divina  figura  di 
donna. 

Per  me  il  bello  è  la  nota  più  alta  a  cui  possa 

giungere  Fuomo,  ma  in  queste  pagine  io.  non   ve 

ne  darò  la  storia.  Al  bello  ho  pensato  e  penso  e 

penserò  in  ogni  giorno   della  mia   vita   e   potrei 

Estasi  umane.  —  II.  9 


130  CAPITOLO  XIV 


quasi  dire  in  ogni  ora  dei  miei  giorni.  Da  questi 
pensieri  innamorati  escirà  un  libro,  il  mio  Epicuro, 
in  cui  innanzi  morire  innalzerò  anch'io  il  mio  inno 
di  uomo  e  di  osservatore  a  questo  Dio  delPuma- 
nità.  Qui  non  devo  parlare  che  delle  estasi  che 
d  procurano  le  cose  belle  e  ne  tratterò  breve- 
mente, perchè,  se  piti  mi  dilungassi,  spoglierei  il 
mio  Epicuro  delle  sue  frondi  e  vi  darei  un  Trai- 
tufo  di  estetica. 


Fu  già  detto  molte  volte  in  diversi  campi  del 
pensiero  e  dell'azione,  ohe  spesso  si  cerca  lontano 
ciò  che  abbiamo  vicino  a  noi,  fors'auohe  alla  por- 
tata delle  nostre  mani  o  dei  nostri  occhi.  Si  po- 
trebbe soggiungere  con  molta  verità,  che  per  molti 
secoli  si  è  cercato  in  cielo  il  perchè  delle  cose 
di  questa  terra,  mentre  si  dovrebbe  cercare  in 
terra  i  perchè  del  cielo.  Mai  questa  affermazione 
è  tanto  vera,  quanto  per  la  definizione  del  bello. 
I  filosofi  son  saliti  sopra  le  nuvole  per  ricercare 
le  fonti  e  le  ragioni  dell'estetica,  e  tanto  più  hanno 
sbagliato  quanto  più  hanno  scalato  Y  Olimpo.  Se 
invece  modestamente  si  fossero  guardati  intorno 
e  avessero  contemplato  i  fatti  più  semplici,  le  più 


LE  ESTASI  ESTETICHE  131 

oomuni  afTermazioni  estetiche,  forse  non  avremmo 
ancora  in  questo  campo  tanta  nebbia  e  tanta  me- 
tafisica; due  parole  che  sono  sinonimi  di  una 
stessa  cosa. 

Io  mi  ^ardo  intorno  e  guardo  lontano,  guardo 
indietro  nelle  tenebre  più  fitte  del  passato  e  mi 
guardo  davanti,  cercando  di  leggere  nei  chiarori 
del  crepuscolo  a  venire,  e  mi  domando  :  fra  tanta 
contraddizione  nel  definire  il  bello  e  neir  asse- 
gnargli il  suo  posto  nel  cervello  e  nella  storia 
dell'uomo,  nel  dettare  le  leggi  che  lo  governano, 
non  vi  è  forse  qualcosa,  magari  una  sola,  in  cui 
siamo  tutti  d'accordo?  Non  vi  è  un  carattere  co- 
stante che  non  muti  per  mutar  dì  capricci ,  di 
gusti  o  di  scuole? 

Sì:  questa  costante  esiste  ed  è  *il  piacere  che 
procura  il  bello.  Vi  possono  essere  molti  piaceri 
senza  che  li  accompagni  l' elemento  estetico ,  ma 
non  vi  può  essere  cosa  bella  per  noi  senza  che 
essa  ci  procuri  piacere. 

Ma  nella  grande  confusione  che  circonda  le  teo- 
rie estetiche,  vi  sono  altri  elementi  costanti.  Il 
bello  è  un  fatto  subiettivo,  ed  è  una  sensazione. 
Una  cosa  sarà  bella  per  tutti,  ma  se  a  noi  non 
piace,  per  noi  non  è  bella.  E  d'altra  parte  il  bello 
non  è  mai  tutta  la  sensazione ,  ma  un  elemento 
di  essa. 


132  CAPITOLO  XIV 


Il  piacere  è  lo  scheletro,  è  il  fondamento  d'ogni 
fatto  estetico,  e  il  cercatore  o  lo  scopritore  di  ana 
nuova  forma  di  bello  non  paò  riuscire  a  farla 
adottare  dall'  universale  che  quando  è  giunto  a 
far  sì  che  produca  piacere  in  chi  la  contempla. 
Nei  casi  incerti,  come  accade  per  un  cibo  o  per 
una  bevanda  che  noi  facciamo  girare  la  lingua 
esploratrice  in  alto,  in  basso,  a  diritta  e  a  sini- 
stra, studiando  la  nostra  sensazione;  così  guar- 
diamo e  riguardiamo  un  quadro,  una  statua ,  un'o- 
pera qualunque  della  natura  o  dell'  arte  e  poi , 
crollando  il  capo  diciamo  :  non  finisce  di  piacermi, 
ed  è  lo  stesso  che  il  dire:  non  finisce  di  sembrarmi 
bello. 


Il  piacere  è  un  massimo  motore  di  fatti  anima- 
leschi e  umani;  e  così  come  è  una  delle  più  fe- 
conde sorgenti  di  piacere,  è  uno  dei  massimi  mo- 
diflcatori  del  mondo  dei  viventi.  È  questa  la  prova 
più  eloquente  (e  basterebbe  da  sola)  che  la  teoria 
darviniana  è  una  delle  interpretazioni  più  fedeli 
dei  fenomeni  della  natura  e  ohe  ogni  essere  vivo 
tende  a  perfezionarsi  e  a  migliorarsi,  seguendo  la 


IL  BELLO  133 


legge  che  il  volgare  tende  al  buono,  il  buono   al 
migliore,  il  migliore  alPottimo. 

Nel  mio  Bpicuro  tenterò  di  dimostrarvi  come  il 
bello  non  sia  che  il  vero  +  ^^  ^^  è  questa  x  cho 
noi  cerchiamo,  che  noi  amiamo,  che  noi  vogliamo, 
e  che  è  la  incognita,  dietro  cui  corrono  tutti  gli 
artisti  per  averla,  tutti  i  filosofi  per  spiegarla. 


♦  * 


Il  bello  è  il  più  grande  creatore  del  progresso  : 
si  può  anzi  dire  che  la  sua  prima  forza,  la  sua 
prima  virtù  è  quella  di  creare. 

Se  il  bello  dell'uomo  innamora  la  donna  e  se 
il  beUo  della  donna  innamora  l'uomo,  è  per  rav- 
vicinarli, per  fonderli  insieme,  onde  dal  loro  san- 
gue nasca  una  nuova  creatura. 

E  il  bello  della  natura,  commovendoci  profon- 
damente, ci  porta  a  riprodurre  quella  bellezza,  a 
creare  cioè  un'  opera  d'  arte,  che  non  è  vitale  se 
non  è  figlia  del  bello.  E  le  opere  d'arte  generano 
alla  lor  volta  nuovi  figliuoli,  cioè  altre  bellezze. 

Anche  nel  campo  della  morale  la  bellezza  del- 
l'eroismo e  d'altre  grandi  azioni  ci  innamora  e  ci 
spinge  a  generare  altre  bellezze  morali. 


134  CAPITOLO  XIV 


E  oosì  nel  campo  del  pensiero  :  davanti  al  prato 
fiorito,  alla  foresta  dalle  mille  braccia,  il  selvaggio 
risponde  a  quelle  bellezze  con  un  canto  sempli- 
cissimo o  con  uno  sgorbio  di  disegno:  il  poeta  e 
il  pittore  rispondono  con  un  inno  o  un  quadro 
sublime;  ma  sempre  e  poi  sempre  il  bello  feconda 
o  crea  bellezze  nuove,  aprendo  nuove  sorgenti  di 
piacere.  Direi,  che  così  come  in  amore  né  l'uomo 
solo,  né  la  donna  sola,  può  generare  un'altra  crea- 
tura; così  il  bello  non  è  fecondo  se  non  quando 
è  matrimonio  legittimo  di  questi  due  elementi , 
la  natura  bella  e  un  cervello  umano  capace  di 
comprenderla  e  di  amarla.  Più  ardente ,  più  in- 
tenso è  questo  amore  e  più  feconda  è  1'  unione 
dei  due  elementi  creatori  dell'estetica  e  più  bella 
riesce  la  nuova  creatura. 

Il  bello  segue  come  angelo  tutelare  del  pro- 
gresso i  passi  dell'  uomo  dalla  prima  freccia  a 
selce  al  fucile  Bemington;  dalla  capanna  di  fronde 
al  Partenone;  dalla  renna  incisa  colla  pietra  alla 
coppa  del  Cellini.  Appena  compare  il  primo  uomo 
sulla  superfìcie  della  terra,  noi  lo  vediamo  non 
solo  scegliere  la  femmina  più  bella ,  cogliere  i 
fiori  più  belli;  ma  lo  vediamo  ornare  sé  stesso  e 
i  suoi  istrumenti.  Egli  anzi  si  adorna  prima  di 
vestirsi ,  si  dipinge  prima  di  coprire  la  propria 
pelle  colle  vestimenta.  Il   lisciare   le   selci   è    un 


L' ESTETICA  135 


fatto  estetico  e  si  può  dire  senza  esagerare  ohe 
l'epoca  paleolitica  e  la  neolitica  (se  pure  esi- 
stono) sono  distinte  tra  di  loro  da  un  fatto  che 
appartiene  al  mondo  del  bello. 

Una  pentola  ornata  cuoce  egualmente  bene  la 
carne  quanto  una  pentola  rozza  :  un'  ascia  paleo- 
litica uccide  egualmente  bene  quanto  un'  ascia 
neolitica;  ma  l'una  è  brutta  e  l'altra  è  bella.  Ohe 
cosa  credesse,  che  cosa  pensasse  1'  uomo  quater- 
nario noi  non  sappiamo,  ma  della  sua  arte  ci  ha 
lasciato  le  tracce,  conservandoci  l' immagine  del 
mammut,  di  un  animale  che  oggi  è  spento. 

Prima  che  l'uomo  abbia  una  casa  e  un  vestito, 
egli  sente  il  bisogno  di  abbellire  sé  stesso  e  ciò 
che  lo  circonda,  di  riprodurre  al  difuori  di  sé  le 
mille  immagini,  che  il  mondo  esterno  va  adden- 
sando nel  suo  cervello. 


*  * 


Dalle  prime  linee  tracciate  sulle  pentole  neo- 
litiche ai  quadri  del  Rafaello  e  del  Tiziano,  V  e- 
stetica  accompagna  ogni  fatto  umano.  Letteratura, 
industria,  arte,  morale:  tutto  riceve  un  riflesso 
potente  dalle  energie  estetiche  di  una  razza,  di 
un  popolo,  di  un  tempo.  E  dinanzi  alle  opere  della 


136  CAPITOLO  XIV 


natura  e  a  quelle  dell'  arte ,  e  dinanzi  alle  crea- 
zioni della  musica,  estetica  delP  orecchio,  V  uomo 
si  arresta,  ammirando  e  godendo;  e  il  piacere  può 
crescere  a  tanto  da  portarlo  al  rapimento,  all'  e- 
stasi. 

Meno  rarissime  eccezioni,  abbiamo  già  veduto 
limitarsi  i  rapimenti  venuti  per  via  dei  sensi 
agli  estetici  e  ai  musicali,  che  io  metto  in  un-  u- 
nica  famiglia.  Per  cui,  quanto  all'origine,  io  distin- 
guerei tutte  quante  le  estasi  estetiche  in: 

1.^  Estasi  perule  bellezze  della  natura. 

2.°  Estasi  per  le  bellezze  dell'arte. 

3.*^  Estasi  per  le  bellezze  musicali. 


Ben  di  raro  l'ammirazione  delle  cose  belle  può 
portarci  alle  grandi  estasi,  ma  assai  spesso  può 
farci  godere  l' ebbrezza  dei  piccoli  rapimenti. 

Conviene  nascere  artista  e  per  di  più  trovarsi 
in  uno  stato  di  entusiasmo  per  essere  rapiti  in 
estasi  dalla  contemplazione  di  una  scena  della 
natura  o  di  un'  opera  d'  arte.  Data  l' anima  di 
artista  e  il  momento  psicologico  dell'entusiasmo, 
ognuno  di  noi  è  rapito   in   estasi   solo  da  quelle 


INCHIESTA  ESTETICA  137 


cose  che  più  confanno  alla  nostra  natura.  Ogni 
uomo  sulla  terra  ha  il  proprio  Dio  nel  cielo  del- 
Testetioa,  per  cui  gli  dei  estetici  son  più  nume- 
rosi di  quelli  deirOlimpo  braminico. 

Io  lo  volli  provare  un  giorno  sperimentalmente 
e  ad  otto  dei  miei  scolari  di  Firenze  domandai 
quali  fossero  per  essi  le  due  cose  più  belle  della 
natura  e  dell'arte.  Eccovi  le  otto  risposte  avute 
da  otto  giovani,  che  oggi  occupano  tutti  o  quasi 
tutti  un  posto  distinto  nelle  lettere  e  nell'inse- 
gnamento. 

Milani  di  Verona.  —  Cielo  stellato.  —  Campa- 
nile di  Giotto. 

Menghini  di  Urbino.  —  Tramonto  di  sole  in  mare. 

—  Campanile  di  Giotto. 

Corsi  di  Prato.  —  Tramonto  di  sole.  -  Musica 
del  Bellin  . 

Orarsi  di  Siniga^lia.  —  Cielo  stellato.  —  Boma. 

Straccali  di  Lucca.  —  Mare.  —  Musica  del  Do- 
nizetti. 

Lastrucci  di  Prato.  —  Un  panorama  dei  monti. 

—  Il  Davide  del  Michelangelo. 

Lo»ì.  —  Un  giorno  di  primavera.  —  Una  bella 
lirica. 

Poli.  —  Secondo  le  circostanze  nelle  quali  io 
mi  trovassi,  direi  or  più  bella  una  cosa,  ed  or 
un'  altra. 


138  CAPITOLO  XIV 


*  * 


Se  questa  inchiesta  estetica  si  facesse  sa  larga 
scala  in  molte  scade,  in  gruppi  diversi  di  uomini 
e  di  donne  di  diversa  coltura,  si  potrebbero  tro- 
var leggi  importantissime  di  psicologia.  A  noi 
bastino  i  pochi  giudizi  per  dimostrare  la  diversità 
dei  gusti  estetici  anche  in  persone  della  stessa 
età,  dello  stesso  paese  e  di  un  analogo  grado  di 
coltura. 

Il  gusto  per  diverse  forme  del  bello  fa  variare 
l'oggetto  della  nostra  ammirazione,  ma  non  influi- 
sce punto  sulla  frequenza  e  sul  grado  dell'estasi. 
Perchè  questa  avvenga  dobbiamo  essere  artisti  e 
trovarci  in  uno  stato  d'entusiasmo. 


Che  cosa  sia  un  artista,  tutti  sappiamo  e  indo« 
viniamo,  anche  quando  non  sapremmo  tutti  darne 
una  definizione  scolastica;  ma  che  cosa  è  l'entu- 
siasmo ì 


L' ENTUSIASMO  139 


L'  entusiasmo  è  una  vivacità  singolare  di  rea- 
zione alle  impressioni  esterne,  estetiche  o  affettive 
o  intellettuali;  per  cui  noi  rispondiamo  ad  esse 
con  impeto  straordinario.  Tutte  le  sorgenti  della 
gioia,  tutti  i  fonti  del  vero,  del  bello,  e  del  buono, 
tutte  le  glorie  e  tutti  gli  affetti  umani,  possono 
sollevare  in  noi  queir  impeto  subitaneo ,  che  ci 
porta  ad  ammirare,  ad  amare ,  ad  accenderci  di 
una  vampa  che  ci  riscalda,  che  ci  trasporta  in 
alto;  che  ci  inebbria  senza  vino  e  senza  oppio. 

Quando  siete  nella  sala  di  una  conferenza  o  di 
un  teatro  o  nella  piazza  dove  il  popolo  è  in  festa, 
guardatevi  intomo,  e  voi  vedrete  quali  uomini 
sieno  entusiasti,  quali  indifferenti. 

Io  rammento  come  quadri  sublimi  del  mondo 
morale  i  santi  entusiasmi  di  mia  madre  per  le 
glorie  della  patria  e  per  tutte  le  a-sioni  nobili  e 
generose. 

Bammento  i  santi  entusiasmi  per  la  scienza  del 
mio  maestro  Panizza  il  grande  anatomico  ,  e  di 
Claudio  Bernard  il  grande  fisiologo.  Rammento 
r  entusiasmo  del  Brioschi  quando  mi  parlava  di 
matematica,  del  Matteucci ,  quando  mi  esponeva 
i  suoi  piani  di  riforma  universitaria ,  di  Aurelio 
Saffi,  quando  mi  parlava  delle  sue  visioni  asce- 
tiche di  un  mondo  migliore. 

Qui  dove  sto   scrivendo,  nella  mia   cara  Sere- 


140  CAPITOLO  XIV 


nella ,  ho  per  vicino  nn  poeta  latino ,  degno  di 
esser  nato  ai  tempi  di  Orazio,  e  di  esser  nato  ro- 
mano, il  capitano  Petriccioli,  che  quando  declama 
Virgilio  o  il  proprio  stupendo  Inno  alla  pace  degno 
in  tutto  deUa  classica  e  aurea  latinità,  cade  ad- 
dirittura in  estasi.  Estasi  musicale,  estetica,  intel- 
lettuale, in  una  volta  sola.  Soldato  voloroso  in 
guerra,  ora  Cincinnato  nel  campi,  adora  la  poesia 
latina  come  un  amante,  come  una  madre,  e  quando 
recita  i  versi  più  sublimi  del  mantovano,  eh'  egli 
ha  tutti  a  memoria,  alza  il  capo,  e  pare  che  la 
fronte  olimpica  gli  si  apra  più  larga  e  più  serena  : 
gli  occhi  scintillano  e  poi  si  smarriscono  in  un 
rapimento  a  mezz'aria.  Il  sangue  gli  corre  caldo 
e  prorompente  nelle  turgide  vene,  il  petto  si  al- 
larga, quasi  volesse  respirare  tutte  le  ondulazioni 
armoniche  che  il  suo  labbro  Jancia  nello  spazio. 
É  un  uomo  felice,  è  un  uomo  in  estasi.... 


*  * 


Beati  tutti  coloro  che  sono  capaci  di  questi  rapi- 
menti, perchè  non  soltanto  intrecciano  nella  stoffa 
della  vita  fili  d'oro,  ma  perchè  l'entusiasmo  delle 
cose  belle  è  difesa  contro  ogni   bassezza,  contro 


L'UOMO  IN  ESTASI  141 

Ogni  scoraggiamento.  Chi  ha  provato  una  volta 
sola  le  sante  ebbrezze  dell'entusiasmo,  mal  si  ap- 
paga di  quel  pane  quotidiano  del  mangiare ,  del 
bere,  del  dormire  e  del  mordicchiare  il  prossimo, 
che  forma  l'alimento  di  quattro  quinti  dell'umana 
famiglia.  Chi  ha  bevuto  il  nettare,  trova  insipido 
il  vino  e  ohi  assapora  l'ambrosia  degli  Dei,  non 
può  accontentarsi  di  tutte  le  bevande  inebbrianti 
con  cui  r  uomo  quaggiù  si  ubbriaca  o  dimentica. 
Ve  quaggiù  qualcuno  ch'io  compiango  più  del- 
l' affamato ,  più  del  miserabile  e  più  del  malato 
ed  è  1'  uomo  incapace  d'  entusiasmi.  £2  questa  la 
miseria  delle  miserie,  la  sventura  delle  sventure, 
e  chi  non  prova  l'ebbrezza  dell'entusiasmo  esiste 
ma  non  vive;  può  essere  un  animale  ma  non  è 
un  uomo.  E  quando  in  tutto  un  popolo  gli  entu- 
siasmi tacciono,  conviene  tastar  subito  il  polso  a 
queir  umana  famiglia,  perchè  essa  è  morta  o  sta 
per  morire.  Lo  scetticismo  può  essere  brivido  che 
prepara  una  febbre  di  reazione,  e  uomini  e  popoli 
possono  e  devono  in  certi  momenti  esser  scettici; 
ma  guai  se  al  freddo  del  brivido  non  tengan  dietro 
il  caldo  e  il  sudore  della  reazione.  Uomini  e  po- 
poli morranno  nello  stato  algido  di  una  febbre 
senza  reazione  o   saranno  uccisi  dalla  gangrena. 


142  CAPITOLO  XIV 


*  * 


Le  estasi  musicali,  per  quanto  possono  raggrui>- 
parsi  alla  grande  famiglia  dei  rapimenti  estetici, 
pure  per  la  loro  natura  stanno  a  sé  e  vanno  stu- 
diate a  parte.  Quanto  alle  altre ,  hanno  caratteri 

Qomuni,  sia  che  sieno  suscitate  dalle  scene  della 
natura  o  dalle  opere  d'arte. 

In  ogni  cosa  bella,  sia  che  abbia  a  cornice  il 
cielo  o  il  mare  o  le  quattro  pareti  d' un  telaio , 
sia  che  poggi  nelle  viscere  della  terra  o  sullo 
zoccolo  d'un  piedestallo,  vi  sono  elementi  comuni 
che  soddisfano  i  nostri  bisogni  estetici.  In  essa 
voi  potete  trovare  le  delizie  del  colore,  della  fi- 
gura, della  forma,  della  simmetria;  voi  potete  ineb- 
briarvi  delle  ebbrezze  dell'  infinitamente  piccolo, 
dell' infinitamente  grande,  dell'intreccio  e  della 
moltiplicità  degli  elementi,  che  impongono  in  una 
volta  sola  l'ammirazione  e  l'amore. 

Pittura,  scultura,  architettura,  poesiat,  possono 
tutte  aprirci  il  paradiso  del  bello  socchiuso  e 
adombrato  o  farci  entrare  nel  tempio  del  bello 
sfolgorante  e  perfetto,  e  così  l'uomo,  le  piante,  i 
monti,  il  piano,  il  mare,  il  cielo  possono  a  volta  a 


ESTASI  ESTETICHE  143 

volta  deliziarci  delle  minate  e  fiiie  bellezze  del 
cesello  o  inebbriarci  di  colori  e  di  visioni  gigan- 
tesche e  tuffarci  nell'oceano  delle  bellezze  che  non 
hanno  confini,  perchè  sono  infinite  e  trascendono 
la  povera  portata  dei  nostri  sensi!  E  così  in  un 
libro  voi  potete  godervi  in  una  volta  sola  la  mi- 
rabile armonia  delle  proporzioni,  la  leggiadria 
dello  stile,  il  nerbo  del  pensiero. 

Il  bello  è  bello  e  divino,  appunto  perchè,  spro- 
fondando le  radici  nei  più  profondi  tessuti  del- 
l' anima ,  innalza  e  distende  i  suoi  rami  e  le  sue 
frondi  fin  dove  ala  di  pensiero  può  giungere;  e  nes- 
suno ha  mai  x)otuto  sapere  l'ultima  frontiera  a  cui 
possa  giunger  una  cosa  bella ,  né  1'  altezza  che 
possa  toccare  V  estetica.  Il  bello  è  il  superlativo 
di  tutti  i  superlativi  della  sensazione,  dell'affetto 
e  del  pensiero. 


*  * 


Sterile  e  vana  fatica  il  misurare  quale  sia  più 
alta  delle  due  estasi,  quella  a  cui  ci  solleva  la 
contemplazione  delle  meraviglie  della  natura  o 
l' altra  a  cui  ci  innalza  l' ammirazione  dei  mira- 
coli dell'arte.  Per  amore  del  vero  dobbiamo  però 


144  CAPITOLO  XIV 


confessare  che  la  seconda  estasi  è  inclusa  nella 
prima,  di  cui  essa  è  una  derivazione,  fors'  anche 
una  figlia. 

Noi  ammiriamo  il  cielo  e  il  mare,  il  sole  e  la 
terra  perchè  siamo  creature  di  questo  mondo  ;  noi 
ammiriamo  le  opere  d' arte,  perchè  sono  opere 
umane  e  noi  siamo  uomini.  Davanti  alla  natura 
sentiamo  la  fratellanza  cosmica,  davanti  all'arte 
sentiamo  la  più  calda,  benché  più  ristretta,  paren- 
tela umana.  Il  cielo  è  la  vòlta  della  casa  di  tutti 
i  viventi  ;  la  cupola  del  Brunellesco  è  la  vòlta  di 
una  casa  fatta  per  un  Dio  degli  uomini  e  innalzata 
da  un  altro  uomo  fatto  come  noi.  Là  noi  ci  sprofon- 
diamo nella  coscienza  dell'universo,  qui  ci  rispec- 
chiamo nella  coscienza  umana.  Là  l' orgoglio  è 
cosmico,  qui  la  superbia  è  umana;  quella  è  una 
bellezza  più  grande,  questa  è  una  bellezza  più 
vicina  a  noi. 

Su  queir  immensa  scena,  dove  gli  astri  cammi- 
nano senza  urtarsi,  e  le  stelle  brillano  da  milioni 
di  secoli,  l'umana  famiglia  non  lascia  traccie  della 
sua  ammirazione,  e  le  nostre  braccia,  benché  si  in- 
nalzino al  sole,  non  lo  raggiungeranno  mai.  Su 
quell'orologio,  dove  i  secondi  sono  migliaia  di  se- 
coli, il  palpito  di  una  generazione  non  è  segnato 
e  l'estasi  nostra  trascende  e  si  perde  nell'infinito. 

Sulle   altre   tele    dipinte   dai  nostri    pittori    e 


ESTASI  ESTETICHE  145 

dai  nostri  poeti  le  nostre  mani  possono  appoggiare 
le  loro  carezze;  alla  vòlta  azzurra  non  giunge 
bacio  umano,  mentre  le  nostre  labbra  posano  in- 
namorate sulle  pagine  dei  nostri  libri  e  sui  marmi 
delle  nostre  statue.  Qui  il  divino  diventa  umano 
e  l'affetto  che  prima  era  impotente,  può  nelle  opere 
d'arte  riscaldarsi  e  cercare,  se  nell'immagine  della 
natura  fatta  dall'uomo  il  ritratto  non  sia  defor- 
mato o  calunniato. 


Nessuna  di  queste  estasi  è  prima,  nessuna  è 
seconda.  Bagniamoci  ogni  giorno  nell'onda  carez- 
zevole e  fresca  del  lago  e  del  fiume,  ma  di  quando 
in  quando  rimontiamo  la  valle  profonda  e  ricer- 
chiamo il  ghiacciaio,  che  prepara  le  gocciole  del 
lago  e  del  fiume.  Le  bellezze  dell'  arte  sieno  il 
pane  quotidiano  delle  nostre  gioie  estetiche,  ma  ri- 
montiamo spesso  alle  sorgenti  prime  ;  al  monte  che 
domina  il  piano  e  alla  nuvola  che  alimenta  il 
ghiacciaio. 

Eiposiamo  fra  le  erbe  del  prato,  di  cui  sentiamo 
i  moUi  profumi,  ma  teniam  alto  lo  sguardo  a  quel- 
sole,  che  così  grande  e  così  lontano  colorisce  però 
Estasi  umane.  —  II.  10 


146  CAPITOLO  SXV 


Ogni  filo  d'erba,  ogni  corolla  di  fiori,  ogni  buccia 
di  frutto.  Senza  ingiuste  preferenze  abbracciamo 
in  un  gagliardo  amplesso  le  bellezze  dell'infinita- 
mente  grande,  senza  dimenticare  quelle  del  mi- 
crocosmo. Natura  e  arte:  la  prima  madre  della 
seconda ,  la  seconda  figlia  innamorata  di  tanta 
madre. 


Capitolo  XV. 


LE  ESTASI  DELLA  NATURA. 


Le   estasi  del  mare.   —   Terra  e  mare.   —   La   terra   sola. 
La  estasi  dell'uomo  dinanzi  al  cielo. 


Nel  mio  Epicuro  forse  potrò  con  voi  fermarmi 
lungamente  dinanzi  alle  grandi  scene  della  na- 
tura, percorrendo  a  volo  le  grandi  pianure,  ascen- 
dendo i  colli  e  i  monti,  sprofondandoci  nelle  valli 
o  sedendoci  sulle  spiaggie  dei  mari  e  sulle  sponde 
dei  fìumi.  Quel  libro  (se  al  pensiero  saprà  ri- 
spondere l'opera)  sarà  un  lungo  viaggio  nel  mondo 
delle  cose  belle.  Qui  io  debbo  accontentarmi  di 
tracciare  o  abbozzare  in  due  capitoli  i  rapimenti 
prodotti  in  noi  dalla  contemplazione  delle  grandi 
scene  della  natura  e  gli  altri  che  proviamo  di- 
nanzi ai  fiori. 


Il  mare  e  il  cielo  hanno  più  d'  ogni  altra  bel- 
lezza della  natura  inebbriati  gli  uomini  d' ogni 
tempo,  perchè  sono  infiniti,  benché  inegualmente. 


150  CAPITOLO  XV 


Essi  hanno  attratto  a  sé,  afifasoinato  gli  occhi  degli 
uomini  e  la  letteratara  d'ogni  tempo  ha  tesori  di 
inni  e  di  osanna  a  quei  due  campi  smisurati  di 
luce  azzurra,  ohe  si  distendono  ai  nostri  piedi  e 
sul  nostro  capo.  In  uno  dei  tanti  volumi  che  non 
sono  ancora  scritti,  noi  vorremmo  trovare  la  psico- 
logia comparata  di  tutti  i  popoli  della  terra  stu- 
diata nei  gridi  di  ammirazione,  che  ha  suscitato 
negli  uomini  d'ogni  colore  il  sentimento  della  na- 
tura. 

Mille  e  mille  poeti  hanno  cantato  il  mare  e  il 
cielo,  e  per  quanto  alato  fosse  il  loro  genio  e  po- 
tente la  loro  tavolozza,  hanno  tutti  modestamente 
confessato  la  loro  impotenza.  Molti  e  molti  altri, 
più  modesti  o  piti  deboli,  hanno  gettato  via  la 
penna  e  rotto  il  pennello,  confessando  la  loro 
impotenza.  Se  Fumana  famiglia  vivesse  un  milione 
di  secoli,  ogni  generazione  ricanterebbe  lo  stesso 
inno,  deplorerebbe  la  stessa  impotenza. 


E  come  non  sentirci  impotenti,  dinanzi  a  quella 
distesa  di  acque  azzurre,  noi  povere  formicole 
umane,  sedute  sopra  uno  scoglio  o  sull'arena  che  fa 
cornice  alla  madre  della  terra  I  E  come  non  sentire 


LE  ESTASI  DEL  MAEE  151 

la  debolezza  dei  nostri  sospiri  dinanzi  a  quella  voce 
d'un  gigante,  come  non  sentirci  caduchi  davanti 
a  quell'  etema  giovinezza,  a  quell'  infinita  instan* 
cabilità  di  movimenti;  come  non  sentire  povera 
e  vana  la  nostra  vita  di  un  giorno  dinanzi  a  quel 
liquido  abisso  da  cui  sono  uscite  tutte  le  creature 
della  terra?  Le  nostre  braccia  si  aprono,  si  di- 
stendono larghe  e  innamorate  davanti  al  mare, 
ma  nulla  possono  stringere;  i  nostri  occhi  si  spro- 
fondono laggiù  agli  estremi  confini  dell'orizzonte 
ove  il  cielo,  che  solo  ha  diritto  di  abbracciare  il 
mare,  suo  etemo  amante,  si  curva,  si  piega,  lo 
tocca  e  con  lui  si  confonde;  là  lontano  fra  le 
nebbie  dell'indistinto  e  dell'invisibile,  arrestando 
l'orgoglio  degli  sguardi  dell'uomo. 

Su  quel  lembo  salato  dove  finisce  la  terra  e 
l' onda  incomincia ,  bambini  e  vecchi ,  selvaggi  e 
uomini  di  scienza,  pensatori  e  oziosi  si  arrestano 
tutti  incatenati  da  un  fascino  misterioso  e  irre- 
sistibile. Dietro  a  noi  si  distende  la  terra  che  è 
nostra ,  che  pestiamo  coi  nostri  piedi ,  che  tor- 
mentiamo colle  nostre  mani;  quella  terra  con  cui 
impastiamo  le  pareti  delle  nostre  case,  o  rizziamo 
le  statue  ai  nostri  eroi.  Ma  sull'  ultima  frontiera 
del  campo  umano  segnato  dai  nostri  pilastrini  e 
dove  la  proprietà  segna  le  sue  carte  geografiche  e 
topografiche  si  distende  infinito  quell'altro  campo 


152  CAPITOLO  XV 


azzurro,  che  non  accetta  pilastrini ,  né  frontiere, 
né  paline  di  ingegnere.  Quell'oncia  liquida  e  sem- 
pre in  moto  ha  assegnato  a  sé  stessa  e  di  per 
sé  sola  i  propri  confini  e  son  quelli  di  tutto  il 
pianeta.  Quell'onda  non  accetta  solchi  dì  aratro, 
né  fondamenta  di  mura  e  in  un  impeto  di  collera 
sommerge  gli  audaci  che  osano  conquistarla.  Tol- 
lera il  cavaliere,  <|uando  sonnecchia  o  dorme  :  lo 
getta  d'arcione  in  un  minuto,  come  indomito  de- 
striero; la  sella  sia  pure  la  piroga  del  selvaggio 
o  la  caravella  di  Colombo,  il  Duilio  o  V Italia.  Il 
mare  é  il  padrone  unico  e  assoluto  dì  tutta  la 
terra  e  di  tutte  le  creature  che  la  popolano.  In- 
vano la  prima  le  invia  il  tributo  di  tutti  i  monti, 
di  tutti  i  colli,  dì  tutti  i  piani  ;  invano  le  creature 
lanciano  nel  suo  seno  le  spoglie  dei  loro  morti. 
Accetta  il  tributo ,  accoglie  V  olocausto ,  ma  sep- 
pellisce l' uno  e  V  altro  nel  fondo  dei  suoi  abissi 
e  più  non  se  ne  cura.  Come  il  fango  di  tutti  i 
fiumi,  come  gli  escrementi  dì  tutti  gli  uomini  non 
valgono  a  insudiciarlo ,  così  i  tributi  di  tutta  la 
terra  non  valgono  a  sedurlo  o  a  farlo  nostro.  Ci 
tollera,  ci  disprezza,  ci  lascia  solcare  l'epidermide 
della  sua  pelle;  ma  non  serba  orma  di  piede 
umano,  né  dì  palle  di  cannone,  né  di  elica  ferrea. 
L' uomo  non  ha  potuto  scrivere  una  sola  parola 
sopra  una  pagina  di  quel  libro. 


LE  ESTASI  DEL  MAEE  153 


*  ♦ 


Il  mare  ci  affascina  per  la  sua  smisarata  gran- 
dezza, ci  conqaista  per  quella  sua  mobilità  inces- 
sante, ohe  lo  fa  più  vivo  d'ogni  altra  cosa  viva. 
L'uomo  dorme,  dorme  Tanimale,  dormon  le  piante; 
pei  nostri  occhi  dorme  anche  il  sole;  ma  il  mare 
non  dorme  mai.  Nessun  uomo  l' ha  mai  veduto 
fermo  per  un  solo  atomo  di  tempo. 

Il  mare  è  il  movimento  stesso  in  tutte  le  sue 
forme,  è  il  moto  perpetuo,  è  il  Dio  dei  movi- 
menti. 

Quando  sembra  stanco  o  in  pace  colla  terra, 
l'accarezza  col  pelo  più  fino  delle  sue  onde  e  pal- 
pita incessante  con  quel  suo  polso  intermittente 
di  sei  in  sei  ore,  che  sembra  il  ritmo  della  circo- 
lazione del  nostro  pianeta.  Ma  anche  quelle  ca- 
rezze mute  durano  ben  poco,  e  più  spesso  divengono 
percossa,  urto,  rovina.  La  terra  che  osa  toccare 
il  mare  è  stracciata  a  lembi,  o  ridotta  in  polvere; 
è  dilaniata  o  spaccata,  sempre  tormentata  da  un 
amante,  che  non  posa  mai  coi  suoi  baci  e  i  suoi 
rabbuffi.  E  la  terra  si  lascia  baciare  o  lacerare 
secondo  i  capricci  del  suo  eterno  tiranno. 


154  CAPITOLO  XV 


Chi  potrà  ridire  tutte  le  voci  del  mare ,  ohe 
vanno  dal  sospiro  oarezzevole  dì  una  dichiara- 
zione d'  amore  al  singhiozzo  cupo  e  profondo  dì 
un  morente;  che  toccano  tutte  le  note,  che  riper- 
cuotono tutti  gli  urli  della  collera,  tutti  gli  schianti 
della  passione,  tutti  i  fremiti,  tutti  i  sussulti,  tutte 
le  lacerazioni  della  vita? 

Le  creature  della  terra  hanno  imparato  dal  mare 
tutte  le  tenerezze  della  loro  voce,  tutte  le  loro 
bestemmie,  tutti  i  loro  sorrisi  e  tutti  i  loro  pianti. 
Il  mare  è  il  maestro  universale  dei  viventi. 

Il  mare  sospira,  fischia,  geme,  urla,  singhiozza, 
sbraita,  canta;  ha  tutte  le  voci  di  tutti  gli  stru- 
menti umani,  di  tutte  le  laringi  degli  animali,  di 
tutti  i  venti ,  di  tutte  le  meteore.  Quando  parla, 
conosce  tutte  le  lingue  e  tutte  le  traduce  in  un 
apocalisse  misteriosa,  proteiforme  e  a  noi  inintel- 
ligibile. Parla  colla  terra,  e  parla  col  cielo,  parla 
nei  suoi  cupi  abissi  coi  suoi  abitanti  e  colle  navi 
che  osan  solcarlo;  sa  abbassare  la  voce  per  parlare 
a  un  insetto  e  sa  far  tacere  i  fulmini  e  le  meteore. 


LE  ESTASI  DEL  MARE  165 


Se  il  mare  ha  tutti  i  movimenti  infiniti  della 
materi  i  liquida,  se  ha  tutte  le  voci  della  vita,  as- 
sorbe tutti  i  colori  del  cielo  e  della  terra  e  li 
fonde  nell'azzurro  delle  sue  onde,  che  sdegna  sol- 
tanto le  tinte  sudicie  e  volgari. 

È  sempre  azzurro ,  quand'  è  di  buon  umore ,  e 
quando  sorride  al  cielo  ohe  lo  guarda,  ma  non 
sdegna  di  divenir  verde ,  di  farsi  rosso ,  violetto, 
iridiscente;  quando  è  di  malumore  o  annoiato  si 
fa  plumbeo,  anche  livido. 

Qual  corona  di  re,  qual  scrigno  di  principessa 
può  rivaleggiare  nei  suoi  fulgori  coi  diamanti,  i 
zaffiri  e  gli  smeraldi  del  mare!  Quale  amatista 
può  superare  il  violetto  di  certe  onde,  qual  ru- 
bino può  eguagliare  il  fondo  di  certi  mari  tropi- 
cali ?  —  Qual  lampeggiare  di  antica  corazza  d'ac- 
ciaio può  superare  il  mare  increspato  da  piccola 
brezza?  I  più  grandi  coloristi  della  tavolozza 
hanno  cento  volte  buttato  dalla  finestra  i  loro 
pennelli,  e  le  loro  tinte,  scoraggiati  della  loro 
impotenza;  e  i  pittori  veri  e  buoni  di  marine  si 
contano  sulle  dita.  Chi  mai  può  dipingere  il  pro- 
teo dei  colori,  il  proteo  dei  movimenti? 


156  CAPITOLO  XV 


Il  mare  ha  saputo  concentrare  in  sé  gli  splen- 
dori di  tutti  i  metalli,  le  adamantine  trasparenze 
di  tutte  le  gemme,  tutte  le  profondità  deirazzurro 
del  cielo ,  tutte  le  seduzioni  delle  mezze  tinte  e 
dei  colori  cangianti.  Il  mare  è  l'eterna  miniera  da 
cui  prendono  pietre ,  animali  e  piante  i  loro  co- 
lori, è  un  mostro  gigante  che  dipinge  sulla  sua 
pelle  mobilissima  con  tutti  i  colori  delFuniverso  le 
proprie  emozioni,  i  brividi  di  gioia  come  i  sussulti 
della  collera,  le  vampe  dell'amore  e  i  pallori  del- 
l'odio. 


Infinità  di  tinte,  instancabilità  di  movimenti,  in- 
finità d'orizzonti,  specchio  della  terra  e  del  cielo  ; 
il  mare  riunisce  in  un  sol  quadro  tante  ricchezze 
estetiche,  da  scuotere  l' idiota ,  da  istupidire  il 
poeta.  L'inno  d'  ammirazione  dinanzi  al  mare  in- 
comincia sempre  col  silenzio  o  con  un  grido  senza 
parola,  che  è  somma  di  troppe  sensazioni  per 
potersi  tradurre  a  cifre  o  a  vocaboli.  E  in  fondo 
a  queir  estasi  vi  è  sempre  la  melanconia ,  che  ci 
fanno  sentire  le  cose  per  noi  troppo  grandi  e 
troppo  belle. 


LE  ESTASI  DEL  MARE  157 

Che  cosa  può  dare  il  povero  e  caduco  figlio 
d'Adamo  al  mare  in  cambio  di  tante  bellezze,  che 
cosa  può  restituire  in  cambio  di  tanti  tesori?  Un 
sospiro  o  un  grido  di  ammirazione;  sospiro  ste- 
rile; grido  che  si  disperde  nel  vuoto  infinito  di 
quelVabisso  profondo,  che  tutto  inghiotte  e  nulla 
restituisce  di  quanto  ha  ingoiato  ! 


E  il  mistero  ravvolge  tutte  quelle  grandezze, 
tutte  quelle  bellezze,  rendendole  ancor  più  grandi, 
ancor  più  belle. 

LA.  in  fondo  nel  caos  di  quelle  nuvole,  nel  limbo 
di  quelle  nebbie ,  dove  comincia  il  cielo,  dove  fi- 
nisce Tonda? 

Quel  punto  scuro  laggiù  nelle  tenebre  è  una 
nave,  o  uno  scoglio;  e  quella  linea  vaga  e  ondu- 
lata è  terra  o  nuvola;  è  allucinazione  dei  nostri 
occhi  o  sogno  della  nostra  fantasia? 

E  giù  nel  profondo ,  fin  dove  V  acqua  si  di- 
stende ad  abbracciare  la  terra,  quali  strane  e  mo- 
struose creature  popolano  quell'abisso  ?  e  qual  ci- 
mitero di  morti  e  qual  sepoltura  di  uomini  e 
di  navi,  di  ci-ncore  arrugginite  e  di  tesori  sommersi 


158  CAPITOLO  XV 


si  cela  in  quelle  viscere  senza  pietà  e  senza  fondo? 
Quali  correnti  celate  rimescolano  quell'  infinito 
liquido,  quale  misteriosa  alchimia  di  composizioni 
e  di  scomposizioni  organiche  prepara  nuovi  con- 
tinenti, nuovi  mondi  per  creature  non  nate!  Quanta 
storia  del  mondo  e  quanti  annali  umani  si  celano 
in  quelli  oscuri  palinsesti?  Quante  balene  e  quanti 
infusorii,  quante  alghe  più  gentili  di  un  merletto 
di  Bruxelles,  e  quali  alghe  più  gigantesche  del 
campanile  di  Giotto,  offrono  ombra  e  alimento 
agli  abitatori  pelagici!  Quante  domande  rizzano 
il  capo  fuor  dall'  onda  misteriosa  e  poi  si  som- 
mergono, solleticando  la  nostra  irrequieta  curio- 
sità, senza  appagarla  mai  !  Quanta  vita  e  quanta 
morte  si  nascondono  in  quell'onda  sempre  liquida, 
sempre  in  moto,  sempre  azzurra  ! 


*  * 


Il  mare  è  il  mistero  dei  misteri;  organismo,  per- 
chè vive  e  respira  e  genera;  abisso  di  distruzione, 
perchè  tutto  divora  e  trasforma  e  discioglie;  mo- 
stro senza  forma  e  con  confini  smisurati,  cata- 
clisma e  fenomeno,  materia  e  spirito,  specchio  che 
riflette  ogni  cosa  e  forza  che  tutto  polverizza;  una 


LE  ESTASI  DEL  MABE  159 

immensità  tangibile  ma  non  conquistabile  ;  il  tutto 
nel  nulla  e  il  nulla  nel  tutto;  qualcosa  di  fatale, 
di  divino,  di  smisurato,  dinanzi  a  cui  cadono  in- 
franti i  nostri  più  superbi  desiderii,  le  nostre  più 
folli  ambizioni;  qualcosa  che  ci  assorbe,  che  ci 
confonde,  che  ci  annienta:  una  creatura  bella  che 
non  si  lascia  accarezzare ,  una  cosa  grande  che 
non  si  può  abbracciare;  che  ride  sola,  che  piange 
sola,  che  riposa  e  si  agita  senza  nostro  consenso  ; 
che  non  placano  le  nostre  preghiere,  che  non  se- 
ducono le  nostre  adulazioni,  che  non  conquistano 
i  nostri  più  ardenti  amori! 

Come  non  provare  il  fascino  del  rapimento, 
come  non  sprofondarci  nell'estasi  dell'infinito,  come 
non  sentire  tutta  la  nostra  piccolezza  davanti  a 
quell'azzurro  infinito;  e  come  non  stancarci  mai  in 
quell'  ammirazione  e  come  non  innamorarci  di 
quella  sfinge,  ohe  ci  attrae  colla  magia  della  gran- 
dezza e  del  mistero  I 


*  * 


Il  mare  è  padre  della  terra  ed  io  amo  vederlo, 
quando  è  vicino  alla  sua  figliuola. 
È  là  ch'egli  è  più  bello,  è  là  che  due  delle  più 


160  CAPITOLO  XV 


grandi  scene  della  natura  si  avvicinano,  si  toc- 
cano, formando  un  quadro  solo  di  trascendente 
grandezza. 

Il  mare  è  divino,  la  terra  è  infinitamente  bella, 
ma  devono  essere  unite  insieme  per  dare  le  scene 
più  incantevoli  della  natura.  E  se  il  sole  non  ir- 
radia entrambi  e  porta  sui  suoi  fasci  d'oro  le  ca- 
rezze del  mare  alla  terra ,  1'  estasi  si  raggiunge 
raramente.  Così  V  uomo  può  essere  Ercole  od  A- 
poUo,  la  donna  può  chiamarsi  Cleopatra  o  Frine, 
ma  se  non  si  danno  la  mano ,  non  si  ha  V  uomO' 
aìigelo  e  solo  quando  l'amore  li  riscalda  e  li  illu- 
mina abbiamo  Vuomo-dio, 


Anche  la  terra  sola,  senz'onda  di  mare,  senza 
specchio  di  lago  e  senza  corrente  di  fiumi  ci  pre- 
senta quadri  così  ricchi  di  colori  e  così  svariati 
da  innamorarci  e  da  portarci  all'estasi.  Assai  ra- 
ramente però,  dacché  mancano  ad  essi  gli  oriz- 
zonti infiniti. 

Darjeeling  nel  Sikkim,  il  panorama  del  Bighi, 
Kio  de  Janeiro  sono  le  tre  scene  più  grandiose 
della  natura  che  io  ho  veduto  nei  miei  lunghi 


TBERA  E  MARE  161 


viaggi;  ma  solo  aUa  prima  manca  del  tatto  la 
bellezza  dell'acqua,  che  raddoppia  o  meglio  cen- 
tuplica le  bellezze  della  terra.  É  però  anche  vero 
che  Darjeeling  è  creduto  da  parecchi  grandi  viag- 
giatori il  punto  più  bello  del  nostro  pianeta. 

Nel  mio  Dpicuro  tenterò  di  fare  uno  studio  com- 
parativo di  tutti  i  paesaggi  del  nostro  pianeta,  e 
forse  allora,  percorrendo  quella  lunga  galleria,  ve- 
dremo quali  rare  scene  del  mondo  terrestre  pos- 
sano portarci  all'estasi. 

In  generale  però,  e  bellezze  della  terra  sono 
troppo  vicine  a  noi ,  V  occhio  è  troppo  occupato 
ad  ammirarne  i  particolari  per  poter  rapirci  nel- 
l'estasi di  un'unica  sensazione  potente  e  al  tempo 
stesso  indefinita;  condizione  prima  fra  tutte  per 
poter  raggiungere  il  rapimento  estetico.  Un  cesello, 
anche  del  CeUini,  non  può  darci  l'estasi;  mentre 
ce  la  dà  facilmente  la  Trasfigurazione  del  Eafaello. 


* 
*  * 


Insieme  al  mare,  e  forse  prima  del  mare,  la  scena 
della  natura,  che  più  facilmente  ci  può  rapire  in 
estasi,  è  il  cielo;  e  più  spesso  assai  il  cielo  not- 
turno. 

Di  giorno  il  cielo  ci  abbaglia ,  e  1'  azzurro  ce- 
Estasi  umane,  —  II.  11 


162  CAPITOLO  XV 


leste,  per  quanto  bello,  per  quanto  nei  paesi  be- 
nedetti d' Italia  y  di  Grecia  e  del  tropico  abbia 
tali  fulgori  dorati  da  rammentarmi  sempre  il  la- 
pislazzuli tempestato  di  polvere  di  pirite ,  ci  in- 
namora, ma  non  ci  dà  l'estasi.  La  terra  e  le  sue 
creature  alla  luce  del  giorno  riflettono  con  troppe 
tinte  le  ricchezze  del  sole,  e  occupano  e  preoc- 
cupano troppo  le  nostre  energie  estetiche.  Il  giorno 
segna  le  ore  del  lavoro,  mentre  la  notte  apre  le 
porte  della  fantasia  e  dei  sogni. 


Il  sole  è  spento,  la  terra  ravvolta  nel  suo  man- 
tello notturno  cela  le  sue  membra  agli  occhi  di 
tutti,  le  creature  dormono  quasi  tutte  o  non  si 
parlano  che  air  orecchio.  Perfino  il  mare  si  rac- 
coglie e  nasconde  le  sue  tiate  smaglianti. 

É  allora  che  il  cielo  ci  parla  col  silenzio  dei 
suoi  spazii  infiniti,  coUo  scintillio  dei  suoi  milioni 
di  stelle  e  colla  luce  melanconica  e  fredda  della 
luna. 

Il  cielo  stellato  è  la  scena  più  muta  e  più  elo- 
quente della  natura  ;  muta  perchè  senza  suono  al- 
cuno ;  eloquente  perchè  ci  parla  con  miriadi  di 


ESTASI  DINANZI  AL  CIELO  163 


astri,  cogli  incanti  di  un  ignoto  ben  pia  oscuro 
e  profondo  degli  abissi  del  mare.  Per  chi  ab- 
braccia quella  vòlta  azzurra  il  mare  diventa  una 
gocciola  d'acqua ,  che  bagna  un  polviscolo  per- 
duto negli  spazi  infiniti  del  cielo  e  V  uomo  di* 
venta  nuU'altro  che  un  atomo  pensante  a  cui  con- 
vergono i  raggi  di  milioni  e  milioni  di  astri. 

Il  cielo  ha  parlato  a  tutti  gli  uomini  della  terra 
e  in  quella  vòlta  azzurra  si  incontrano  gli  occhi 
del  selvaggio  estatico  coi  telescopii  degli  astro- 
nomi indagatori.  £  là  che  la  fede  ha  piantato  il 
paradiso,  è  là  che  la  scienza  ha  misurato  i  con- 
fini del  mondo  visibile  e  dettato  le  leggi  di  gra- 
vitazione alle  stelle  e  ai  pianeti;  è  là  che  la  poe- 
sia ha  tentato  i  suoi  voli  più  audaci,  battendo  le 
ali  al  disopra  delle  meteore  della  terra.  È  nel  cielo 
che  si  sono  incontrate  le  cosmogonie  dell'astro- 
nomo, gli  olimpi  della  mitologia,  i  sistemi  della 
filosofia,  le  liriche  del  poeta.  É  là  in  quell'infinito, 
che  non  raggiungono  i  pili  acuti  telescopi!,  che  le 
estasi  del  sentimento  e  del  pensiero  aleggiano  su- 
blimi e  si  incontrano;  è  là  che  salgono  tutti  i  do- 
lori degli  infelici  e  i  sospiri  dei  troppo  felici,  la 
malinconia  di  chi  ha  nulla  e  la  malinconia  di  chi 
ha  troppo. 

Tutti  gli  uomini  in  quel  caos  senza  confini,  in 
quell'abisso  dell'alto  cercano  o  sperano  di  trovare 


164  CAPITOLO  XV 


qualche  cosa,  nn  sogno  o  un  premio,  una  fede  o 
una  speranza,  un  conforto  o  una  rassegnazione. 
Sopra  un  solo  di  quei  punti  lucenti  riposando  il 
nostro  occhio  estatico,  noi  siamo  certi  di  incon- 
trare gli  sguardi  di  altri  mille  e  mille  uomini,  che 
da  cento  punti  lontani  del  pianeta  guardano  lo 
stesso  astro  e  sperano  le  stesse  speranze  e  sospi- 
rano gli  stessi  sospiri. 

Dal  fanciullo,  che  vede  fra  quella  polvere  d'a- 
stri il  paradiso  popolato  d'  angioli  che  mangiano 
con  lui  il  pane  d'oro,  al  filosofo  che  esclama:  che 
cosa  sono  mai  i  dolori  miei  e  quelli  di  tutta  l'u- 
manità in  confronto  della  vita  cosmica  che  lassù 
alita  e  freme  in  milioni  e  milioni  di  mondi  ;  tutti 
trovano  lassù  guardando  una  gioia  ingenua  o  un 
conforto  alla  disperazione. 

Dinanzi  a  quelle  schiere  infinite  di  mondi,  dove 
i  nostri  numeri  appaiono  tanto  impotenti  a  misu- 
rare ,  non  v'  ha  orgoglio  che  rimanga  ritto ,  non 
v'ha  disuguaglianza  che  non  scompaia,  non  v'ha 
genio  che  non  si  umilii.  Dinanzi  all'  elefante  le 
formicole  son  tutte  egualmente  piccine;  davanti 
a  mondi  che  impiegano  milioni  di  secoli  per  na- 
scere e  per  morire ,  Matusalemme  e  1'  effimera  si 
danno  la  mano;  dinanzi  alla  misura  dei  soli  e 
delle  comete,  bacterii  e  vellingtonie  diventan  fra- 
telli e  d'una  stessa  statura. 


ESTASI  DINANZI  AL  CIELO  165 


Il  cielo  è  r  abisso  degli  abissi  ;  abisso  per  la 
contemplazione,  abisso  per  la  meditazione,  abisso 
per  i  misteri  infiniti  che  racchiude  nei  suoi  ster- 
minati orizzonti. 


L'uomo  si  è  sprofondato  colle  sue  miniere  molto 
addentro  nelle  viscere  della  terra,  ha  toccato  il 
fondo  dei  mari  più  profondi,  e  spera  in  un  giorno 
non  lontano  di  solcare  colle  ali  dei  suoi  aerostati 
la  buccia  d'aria  che  circonda  la  sua  terra.  Potrà 
for>'  anche  .un  giorno  mettersi  in  relazione  cogli 
abitanti  degli  altri  pianeti.  Ma  e  poi  quante  brac- 
cia avrà  allora  conquistato  di  quel  cielo,  che  mi- 
sura le  proprie  distanze  a  unità  di  milioni? 

Il  cielo  è  l'immagine  palpabile  dell'infinito  pen- 
sabile e  dell'impotenza  nostra  a  varcarne  i  confini. 
Al  di  là  dei  pianeti,  il  nostro  sole;  ma  al  di  là  di 
quel  sole  altri  e  innumerevoli  soli  più  lontani  e 
maggiori,  che  son  forse  pianeti  di  altri  centri  gran- 
dissimi; ma  poi  al  di  là  di  quei  soli,  di  quelle 
comete,  al  di  là  di  quei  trascendenti  deserti  senza 
calore  e  senza  luce,  ohe  cosa  è  ancora  di  visibile 
e  di  palpabile? 

Il  nulla ,   che   non  esiste ,  l' infinito  che  non  è 


166  CAPITOLO  XV 


pensabile.  —  L' orgoglio  umano ,  sorretto  dalla 
scienza  o  dalla  fontasia  è  giunto  fin  là ,  ha  pic- 
chiato la  fronte  superba  contro  le  colonne  d'Er- 
cole del  pensabile;  ma  poi,  e  poi?  £)  caduto  e  si 
è  dato  vinto.  Una  voce  più  potente  venuta  dal- 
Talto  gli  ha  gridato  :  nec  plus  ultra  ! 

Tutto  questo  pensa  o  presume  o  sospetta  chi 
guarda  in  cielo,  e  rocchio  stanco  ma  non  saziato, 
dopo  di  aver  corso  di  pianeta  in  pianeta,  di  stella 
in  stella,  dopo  essersi  smarrito  nel  labirinto  pol- 
veroso della  via  lattea,  chiude  le  palpebre  e  ci  fa 
cadere  in  estasi.  Estasi  che  è  estetica,  ma  anche 
intellettuale  e  forse  spesso  anche  del  sentimento. 
E  chi  mai  sa  e  può  far  1'  analisi  di  quel  nostro 
aleggiare  confuso  sugli  estremi  confini  del  mondo 
pensabile  ? 

Il  cielo  è  fra  tutte  le  scene  della  natura  quello 
che  più  spesso  ci  rapisce  in  estasi,  e  possiamo 
anche  aggiungere,  che  tutte  le  altre  estasi  si  diri- 
gono al  cielo,  quasi  l'ultima  frontiera  dove  giunge 
il  pellegrino  umano,  sia  che  cammini  col  bastone 
della  scienza,  sia  che  voli  colle  ali  della  fantasia 
o  della  fede,  o  si  trasporti  colla  locomotiva  del 
sentimento. 

Il  cielo,  l'ultima  Tuie  del  pensiero  e  dell'occhio, 
l'  ultima  Tuie  della  speranza  e  della  fede  ;  limite 
di  tutte  le  estasi,  frontiera  del  mondo  umano! 


Capitolo  XVI. 


Le  estasi  prodotte  dai  fiori.  -  Linneo  e  la  C^ilypso  borealts. 

—  Le  piccole  estasi  dei  botanici  e  deUe  nature  molto  sensi- 
biU  dinanzi  ai  fiori.  —  Una  corsa  estetica  nel  campo  dei  fion. 

—  Aleardi,  Boito  e  l'autore.  -  Culto  universale  pei  fion.  - 
Fascino  multiforme.  -  Forme ,  colori ,  combinazioni  infimte 
deUe  loro  bellezze.  -  Un  quadro  di  fiori  in  Norvegia.  -  sm 

Rio  Gualeguaychù.  —  Alla  Frontera  de  Salta. 


Il  fermarsi  sopra  tutte  le  minute  bellezze  della 
natura ,  che  possono  produrre  una  piccola  estasi, 
mi  obbligherebbe  ad  una  corsa  vertiginosa  in  tutti 
i  campi  del  cielo,  della  terra  e  del  mare,  o  a  scri- 
vere un'enciclopedia  di  volumi,  a  cui  non  baste- 
rebbe la  vita  dell'uomo  più  operoso  e  più  longevo. 

Quasi  a  saggio  di  ciò  che  si  potrebbe  fare,  mi 
accontento  modestamente  di  invitarvi  ad  una  con- 
templazione estetica  dei  fiori,  che  tra  le  creature 
vive  ci  offrono  materia  quotidiana  di  rapimenti  e 
di  ammirazione.  I  fiori  concentrano  in  sì  piccolo 
spazio  tante  energie  della  vita  e  tante  combina- 
zioni estetiche  da  fermare  lungamente  il  nostro 
occhio  e  da  riempirci  di  ineffabile  voluttà.  Bam- 
bini e  vecchi,  uomini  di  genio  ed  uomini  del  volgo  ; 
non  possono  vedere  un  bel  fiore  senza  sentirne 
una  piacevole  emozione,  che  in  taluni  casi  può 
giungere  fino  al  rapimento. 


170  CAPITOLO  XVI 


Linneo,  ohe  riuniva  sotto  la  buccia  di  un  sol 
uomo,  il  genio  d'un  sommo  osservatore  e  la  sen- 
sibilità di  un  grande  poeta,  quando  nel  suo  viaggio 
in  Lapponia,  ebbe  scoperto  per  la  prima  volta  la 
Calypso  borealis,  che  aveva  incontrato  in  fiore,  si 
inginocchiò  dinanzi  a  quella  bellissima  orchidea, 
che  sembra  concentrare  in  sé  tutte  le  energie  del 
mondo  vegetale  della  zona  polare;  e  rapito  in 
estasi,  ringraziò  Dio,  che  aveva  saputo  fare  una 
così  bella  creatura. 

Ho  veduto  parecchie  volte  fanciulle  e  donne 
estasiarsi  dinanzi  ad  un  gran  mazzo  o  ad  un  ca- 
nestro di  fiori,  e  brancicarli  e  aeeareaaarli  e  ba- 
ciarli, rapite  da  una  vera  estasi  di  ammirazione. 
Quando  alla  bellezza  dei  fiori  si  unisce  anche  il 
profumo,  la  donna  può  esser  presa  da  brividi  di 
voluttà  e  impallidire;  come  ho  veduto  accadere 
in  una  giovane  americana,  ad  ogni  volta  che  te- 
neva fra  le  mani  e  odorava  una  magnolia.  In  que- 
sti casi  però  l'estasi  è  spesso  complicata  dagli  ef- 
fetti del  profumo  e  il  fiore  è  la  causa  occasionale, 
che  chiama  a  raccolta  tutte  le  energie  dormienti 
di  un  cuore  innamorato  o  di  un  cuore  che  ha 
grande  bisogno  di  amare. 

Se  la  donna  si  trova  in  uno  stato  di  sommo 
nervosismo  o  se  è  addirittura  isterica,  può  anche 
piangere,  ammirando  i  fiori;  e  se  noi  potessimo 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIORI  171 


esser  testimoni  di  tatti  i  segreti  atti  di  idola- 
tria di  una  fanciulla  esaltata  dinanzi  ai  fiori,  ve- 
dremmo scene  incredibili  ;  in  cui  piacere  e  dolore, 
adorazione  e  tenerezza,  sensualità  e  poesia  si  al- 
ternano, si  intrecciano  e  si  confondono. 

Più  estetiche,  pia  intellettuali  sono  le  adora- 
zioni dei  botanici  pei  fiori.  In  questo  caso  e'  è 
meno  nervi  e  più  pensiero,  ma  la  voluttà  può  es- 
sere non  minore  e  Testasi  non  infrequente. 

Il  botanico  non  ama  i  fiori,  soltanto  perchè  son 
belli  o  rari,  ma  perchè  son  figliuoli  suoi,  lunga- 
mente cercati  e  lungamente  amati.  Ogni  pianta  ha 
per  lui  una  lunga  storia  di  desiderii,  di  speranze 
ed  anche  talvolta  di  disinganni;  storia  piena  di 
aneddoti  e  di  reminiscenze.  Chi  ha  veduto  una 
sol  volta  un  botanico  appassidnato  cavar  fuori 
dal  vascolo  il  bottino  d'un»  lunga  e  affaticata  escur- 
sione, ha  potuto  ammirare  il  quadro!  di  una 
completa  felicità.  Oh  ohe  bell'esemplare  di  Peonia 
coBALLriHA  I  Di  certo  è  il  più  bello  fra  quanti  fu- 
vano  raccolti  fin  qui  !  E  il  beato  mortale  ne  monda 
le  radici  della  terra,  ne  toglie  le  foglioline  rosic- 
chiate dagli  insetti  q  bruciate  dal  sole  e  le  di- 
stende fra  due  morbidi  cuscinetti  di  carta,  e  ne 
dispone  i  rami,  i  fiori,  le  foglie  nel  modo  piti  ar- 
tistico; e  prima  di  consacrarlo  alla  vita  più  o  meno 
immortale  di  un  erbario,  lo  contempla  ancora  e  lo 


172  CAPITOLO  XVI 


accarezza  e  lo  salata.  Oh  quanto  è  bello!  Peccato 
che  si  debba  far  disseccare  e  sol  per  questa  via 
crudele  si  possa  conservare. 

S'io  avessi  due  vite,  avrei  dedicato  la  prima  allo 
studio  dell'uomo,  l'altra  a  quella  dei  fiorì;  perchè 
nel  mondo  del  bello  dopo  la  donna  non  vi  ha  una 
cosa  più  bella  del  fiore. 


Un  giorno,  or  son  pochi  «inni,  Firenze  festeg- 
giava il  centenario  del  suo  divino  Michelangelo, 
e  nelle  sale  dell'  Accademia  si  vedevan  raccolte 
le  opere  di  quel  genio  titanico.  Aleardi  dinanzi 
ad  una  statua  disputava  col  più  acuto  dei  critici 
d'arte  che  abbia  il  nostro  paese,  e  si  incalorivano 
e  si  accendevano,  per  decidere,  se  certe  piega- 
ture di  articolazioni  e  certe  contrazioni  di  mu- 
scoli accennassero  alla  maniera  del  Donatello,  o 
a  quella  del  Bonarroti.  Io  in  disparte  ascoltava 
e  taceva,  quand'eoco  quei  due  maestri  d'estetica, 
ravvisandomi,  vengono  a  me  come  di  scatto  e  mi 
erigono  a  giudice  della  contesa.  Io,  non  so  se 
per  sfuggire  maliziosamente  al  difficile  giudizio 
o  per  ripetere  quel  grido,  che  mi  prorompe  dal- 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIOBI  173 


ranima  ogni  volta  ch'io  vedo  Tuomo  troppo  superbo 
delle  opere  sue,  esclamai:  Sapete,  miei  cari,  una 
rosa  è  più  bella  che  tutte  le  opere  di  Micìielangelo,.,, 
D  poeta  e  V  artista  fuggirono  da  me  inorriditi  e 
crollando  il  capo  in  aria  di  sovrano  compati- 
mento. Essi  in  quel  momento  mi  mettevano  in 
fascio  col  chimico  Davis,  che  dopo  aver  percorso 
di.  galoppo  tutte  le  sale  del  Louvre,  dove  stavano 
addensati  in  così  piccolo  spazio  tanti  miracoli 
d'arte,  si  fermava  dinanzi  a  una  statua,  dicendo  : 
Oh  che  stupendo  pezzo  di  carbonato  calcarei 

Eppure  dopo  parecchi  anni  io  so  io  ancora  dello 
stesso  avviso ,  e  non  solo  dinanzi  ai  marmi  ci- 
clopici del  Bonarroti,  ma  anche  davanti  alle  tele 
del  Rafiiello  e  di  Correggio,  anche  dinanzi  a 
Santa  Maria  del  Fiore ,  e  al  Palazzo  ducale  di 
Venezia,  ripeto  sempre,  che  tutte  quante  le  opere 
più  alte  e  più  sudate  dell'ingegno  umano- non 
sono  che  pallide  ombre  della  luce  vivissima  della 
natura;  non  sono  che  confusi  riflessi  di  quelle  in- 
finite, di  quelle  svariate  bellezze,  che  la  natura 
evoca  ogni  giorno  dalle  profonde  viscere  di  sé 
stessa. 

Il  più  grande  degli  artisti  non  è  che  un  fe- 
dele imitatore,  e  anche  là  dove  idealizza,  anche 
là  dove  dice  e  crede  di  creare,  non  fa  che  scegliere 
dal  bello  naturale  il  bellissimo,  aggiungendo   di 


174  CAPITOLO  XVI 


SUO  r  elezione  e  segnando  con  confusa  aspira- 
zione il  prolungarsi  e  V  elevarsi  del  vero  verso 
regio  lì  più  lontane  e  più  alte,  E  anche  quando 
l'arte,  o  per  troppa  stanchezza  o  per  nuovi  capricci, 
sbaglia  la  via,  e  cambia  la  grazia  in  lezio,  la  bel- 
lezza in  petulanza ,  il  grande  in  grottesco,  e  il  co- 
mico in  caricatura;  si  sente  gridar  da  tutti:  Tor- 
nate alV  antico ,  che  non  vuol  sicuramente  dire  , 
come  con  calda  parola  proclamava  il  mio  grande 
amico  Massarani,  tornate  indietro ,  ma  tornate  a 
tutto  quello  che  ricrea,  che  eleva,  che  raggenti- 
IL'^ce,  che  educa  l'anima  umana.  E  quel  grido  per 
me  significa  tornate  agli  antichi,  perchè  questi 
attinsero  alle  pure  e  vergini  sorgenti  della  natura 
le  loro  aspirazioni  e  non  confusero  mai  il  vero 
col  brutto.  Per  me,  tornate  alV antico,  significa 
questo  e  null'altro  che  questo:  tornate  alia  natura. 
Ed  io  ripeto  anche  oggi:  la  rosa  è  più  bella 
del  Davide  e  del  Mosè  di  Michelangelo.  Il  fiore 
è  una  delle  più  stupende,  delle  più  fine,  delle  più 
svariate  espressioni  delle  energie  della  natura,  il 
fiore  è  dopo  la  donna  la  più  bella  creatura  di  que- 
sto nostro  pianeta.  La  donna  prima  e  sovrana 
nel  mondo  delle  creature  a  sangue  rosso  e  a 
pelle  calda;  il  fiore  la  più  bella  e  la  più  gentile 
delle  creature  nel  mondo  dei  muti  organismi,  che 
bevono  pura   la   luce  del  sole   e  la   trasformano 


LA  DONNA  E  IL  FIORE  175 

^■^^^"^^'^'^^^^■^™'*^'^^'™^^'^^— ^*—     ■"■  ■  ■■■■■■■Il         I  ■  ■■  ■     ■     I        — ^a^.    I       !■  ■  ,■  ■  1,  ,      .    ■  !■  .    ■—    ,       ^  ■      I     ■ 

nelle  stoffe  policrome  dei  loro  vestiti;  donna  e 
fiore,  inoanto  sempiterno  della  nostra  vita  e  Dei 
sovrani  nell'  olimpo  dell'  estetica ,  degni  V  uno  e 
l'altra  di  abbracciarsi,  di  amarsi,  di  intrecciare  le 
loro  grazie,  le  loro  spire  voluttuose,  i  loro  pro- 
fumi ,  in  un'  unica  armonia  estetica ,  che  ci  com- 
muove, che  ci  inebbria,  che  ci  fa  benedire  la  vita. 

E  questa  non  è  poesia  ma  scienza,  o  se  vo- 
lete l'una  e  1'  altra  insieme.  In  apparenza  all'  oc- 
chio del  volgare  e  affi[*ettato  osservatore  nulla  di 
più  diverso  di  queste  due  creature;  in  realtà  nulla 
di  più  simile  a  chi  approfondi  lo  scalpello  nella 
natura  delle  cose.  Sto  per  dire ,  che  uno  studio 
comparato  attinto  alle  fonti  della  psicologia  po- 
sitiva troverebbe  in  questo  raffronto  le  leggi  più 
fondamentali  dell'estetica;  le  quali  possono  e  de- 
vono anzi  cominciare  daUa  famosa  definizione  di 
Platone,  ma  non  devono  in  essa  finire.  Il  bello  è  lo 
splendore  del  vero:  nulla  di  più  grande  e  di  più  bello 
fu  mai  detto  da  labbro  umano,  ma  le  gerarchie 
del  bello,  ma  le  figliazioni  infinite  del  grande  e 
del  grazioso,  del  gentile  e  del  sublime ,  del  pla- 
stico e  del  colorito,  del  semplice  e  del  composto 
aspettano  ancora  il  proprio  legislatore  ;  aspettano 
il  battesimo  da  una  psicologia  positiva,  che  è  an- 
cor nelle  fascio. 


1 


176  CAPITOLO  XVI 


Quando  il  sole  bacia  la  terra ,  quando  V  atmo- 
sfera accarezza  la  scorza  del  nostro  pianeta,  scatta 
la  scintilla  della  vita,  e  nell'umida  e  calda  pla- 
centa delle  viscere  della  natura  vegeta  il  primo 
fungillo,  la  prima  spora  d'alga,  il  primo  filamento 
di  miceto;  forme  crepuscolari  della  grande  genea- 
logia vegetale.  Dopo  le  pallide  efflorescenze  dei 
funghi  microscopici  e  le  rugginoso  macchie  dei 
licheni,  appare  la  prima  gioia  del  verde;  che  si 
estenderà  su  tutta  la  terra,  preparando  il  mor- 
bido tappeto  e  un'  ombra  amica  alla  prima  Eva 
dal  sangue  roseo  e  infuocato.  E  in  quel  verde, 
che  sembra  una  trasformazione  dell'  azzurro  del 
cielo,  volta  a  tutti  i  viventi;  o  dell'azzurro  del 
mare,  primo  loro  nido;  s'abbozzano  più  tardi  i  primi 
crepuscoli  di  fiori  poveri,  di  fiori  meschini  ;  finché 
su  su  per  gradi  infiniti  di  trasformazioni  e  di 
affinamenti,  quel  verde  si  muta  in  tutta  la  vario- 
pinta tavolozza  dell'  iride  solare ,  e  i  raggi  della 
luce  si  organizzano  in  tessuti  più  fini  della  seta, 
più  luccicanti  del  metallo,  più  sfarzosi  di  un'alba 
o  di  un  tramonto,  e  intorno  all'antera  che  bacia 


Ì*iAi 


ESTASI  PBODOTTB  DAI  FIORI  177 

il  sao  pistillo  6  lo  feconda,  s'intreccia  un  nido  di 
delizie  estetiche  che  è  il  fiore  ;  che  è  la  rosa,  che 
è  il  giglio,  che  è  la  fantastica   corolla  di  un  ci- 
pripedio  o   di  una  vanda.  E  là  in  quell'  angusto 
spazio  intomo  al  nido  d'amore  delle  piante,  si  ad- 
densano  tante  [energie  di  chimica  e  di  fisica  su- 
blime, tanta  magia  di  colori  e  di  forme,  da  sor- 
prenderci e  da  commoverci.  É  la  festa  della  crea- 
zione nel  mondo  vegetale,  è  Tespressione  più  alta 
della  più  alta  funzione  della  vita;  quella  di  ripro- 
durre  sa  stessa   e   di  ringiovanirsi   eternamente 
neir  eterna  successione  dei  cicli  dell'  esistenza.  E 
finita  la  festa,  compiuto  il  mistero  nel  casto  bacio 
degli  elementi  diversi,  spenta  la  luce  dei  colori, 
spenta  la  fiaccola  delle  grazie  invitate  al  convito; 
cadono  i  petali,  avvizziscono  le  corolle,  e  nel  grembo 
fecondo  maturano  i  fratti  di  quell'amore  pieno  di 
mistero  e  di  poesia.  Secoli  infiniti  di  evoluzione 
hanno   preparato   l' ebbrezza    di   quel    momento, 
hanno  rizzato  l'altare  a    quell'ora  di  gioia,  e  la 
natura  sempre  feconda  e  mai  stanca,  disperde  le 
grazie,  eancella  i  colori,  sicura   di   rinnovare   al 
dimani  con  inesausta  ricchezza  la  festa  dell'oggi. 
Il  fiore  è  l'altare  più  splendido,  su  cui  la  vita  ve- 
getale compie  il  sacrifizio   al   Dio  d'  amore ,  e  là 
accumula  i  tesori  di  secoli   in  un'  ora  d' incanto. 

Estasi  umane,  —  II.  12 


178  CAPITOLO  XVI 


I  fiori  piacquero  a  tutti  i  popoli  della  terra, 
piacquero  in  ogni  tempo  al  selvaggio  e  all'uomo 
civile ,  aU'  idiota  analfabeta  e  all'uomo  di  genio  ; 
ai  principi  e  ai  paria  del  pensiero.  Il  bambino, 
appena  può  folleggiare  nelle  erbe  d'un  prato,  cerca 
i  fiori  e  li  coglie  con  amore ,  senza  sapere  che 
cosa  sieno,  senza  che  soddisfino  alcun  bisogno 
della  vita  vegetativa,  li  cerca  per  l' inconscia  at- 
trattiva delle  cose  btdle,  appunto  come  la  farfalla, 
come  il  coleottero ,  che  sedotti  dalla  bellezza  del 
fiore  vi  accorrono  a  cercarvi  il  miele ,  facendosi 
così  involontari  messaggeri  d'amore. 

I  fiori  son  le  gemme  della  natura  e  se  ne  or- 
narono le  spose  e  i  convitati,  si  sparsero  intomo 
alla  culla  deU'  uomo  che  nasce  e  sid  letto  del- 
l' uomo  che  muore.  Dappertutto  dove  sorride 
una  gioia  o  piange  un  dolore,  dappertutto  dove 
l'uomo  si  raccoglie  coll'uomo  per  ricordare  il  pas- 
sato, per  far  festa  al  presente  o  per  sciogliere 
un  voto  all'  avvenire,  egli  coglie  i  fiori  del  prato 
e  della  foresta  e  ne  fa  tappeto,  corona  o  ghir- 
landa. In   ogni   paese   del  mondo  1   fiori  sono  i 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  PIOEI  179 

primi  convitati  al  desco  e  all'altare,  sulla  strada 
dell'  eroe  che  trionfa  o  salla  via  che  conduce  al 
cimitero.  L' uomo  non  trova  nulla  di  meglio  da 
intrecciare  sul  capo  delle  giovani  spose ,  come 
augurio  di  felicità  senza  fine;  nulla  di  meglio  da 
gettare  nella  fossa  aperta;  ultimo  saluto  ad  una 
vita  che  ci  ha  abbandonato.  I  capricci  della  mod^ 
e  le  varietà  del  fasto  qui  cedono  il  posto  a  que- 
ste creature  gentili,  che  non  hanno  rivali  e  che 
non  possono  essere  superati  né  dalle  gemme  del 
gioielliere  né  dai  tessuti  dell'India  o  della  Persia. 
Piti  in  là  del  fiore  vi  può  essere  maggior  ricchezza, 
non  bellezza  maggiore,  e  la  natura  che  è  più  de- 
mocratica d' ogni  democrazia  umana ,  concede  il 
lusso  dei  fiori  anche  al  povero,  che  li  può  intrec- 
ciare fra  le  chiome  della  sua  donna  o  sulla  croce 
dove  dormono  i  suoi  cari. 

Non  invano  in  tutte  le  lingue  flore  è  sinonimo 
di  cosa  bella,  e  il  flore  della  letteratura,  e  il  flore 
della  virtù ,  e  il  fior  fiore  dell'  intelligenza ,  e  il 
flore  della  bellezza  sono  ciò  che  1'  uomo  trova  di 
meglio  in  natura  o  nei  molteplici  sentieri  per 
dove  si  caccia  l' audacia  del  suo  pensiero  irre- 
quieto e  indagatore.  Così  come  gli  altari  degli 
Dei  ebbero  sempre  cogli  incensi,  gli  ori  e  le  gemme 
tributo  sempiterno  di  flori  ;  così  questi  accompa- 
gnarono l' uomo   anche  nelle  più   alte   sfere  del 


180  CAPITOLO  XVI 


linguaggio,  là  dove  egli  tenta  di  segnare  i  confini 
del  più  alto  sensibile  e  del  più  alto  intelligibile. 

Ed  anche  il  valore  materiale  ha  segnato  più 
volte  il  pregio  attaccato  ai  fiori  da  tanti  uomini 
in  epoche  diverse.  Tutti  si  ricordano  i  prezzi  fa- 
volosi, ai  quali  giunsero  in  Olanda  alcuni  tulipani, 
in  Inghilterra  alcune  rose;  dappertutto  dove  fossero 
signori  e  buon  gusto ,  molte  piante  rare  del  tro- 
pico. Eugenio  Sue  offriva  più  d^una  volta  alle  sue 
belle  mazzollni  di  rare  orchidee ,  che  costavano 
migliaia  di  lire,  e  un  ricco  signore  della  Boma- 
gna,  che  è  anche  un  grande  uomo  politico,  mi 
diceva  di  avere  avuto  nella  sua  giovinezza  tre 
passioni,  Eva ,  i  cavalli ,  e  i  fiori  ;  nessuna  esser- 
gli costato  più  di  quest'ultima;  non  essendovi  lì- 
miti al  desiderio  e  alla  follia.  Da  queste  fine  e 
aristocratiche  leccornie  estetiche  possiamo  balzare 
alle  feste  ispirate  dal  sentimento  religioso  e  anche 
là  troviamo  migliaia  e  migliaia  di  lire  spese  in 
un'ora  per  un'  infiorata;  dove  Dei  e  sacerdoti  cal- 
pestano e  straziano  un  immenso  tappeto  di  co- 
rolle policrome. 

Ma  perchè  dunque  tanto  consenso  di  popoli  e 
di  tempi,  perchè  questo  culto  così  caldo,  così  uni- 
versale prestato  da  uomini  di  gusti  e  di  pensieri 
e  di  sentimenti  e  di  costumi  tanto  diversi  per 
un'unica  creatura,  il  fiore?  Perchè  tante  simpatie, 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  PIOEI  181 


tante  carezze,  tanta  idolatria  per   cosa,   che   ap- 
pena nata  è  morta? 

Per  molti  perchè,  ch'io  vorrei  indicarvi  breve- 
mente, come  l'angusto  spazio  del  mio  libro  me  lo 
concede.  Una  biblioteca  intiera  non  basterebbe 
a  trattare  tutta  la  storia  estetica,  commerciale, 
industriale  e  morale  dei  fiori.  Essi  hanno  accom- 
pagnato l'uomo  dall'Eden  della  Bibbia,  come  l'om- 
bra accompagna  la  luce,  e  se  anche  gli  uomini 
hanno  a  finire,  sulla  tomba  penultima  dell'uomo 
l'ultimo  dei  figli  di  Adamo  intreccerà  una  ghir- 
landa. L'indiano  getta  dinanzi  alla  capanna  della 
sua  beUa  un  fascio  di  ibischi  fiammanti  e  di  fan- 
tastiche orchidee;  ma  anche  il  povero  lappone 
nelle  torbose  paludi  della  sua  terra  di  ghiaccio, 
coglie  il  miosotis  e  lo  offre  alla  sua  compagna , 
irta  di  pelli  vellose.  Anche  là  in  quell'  estrema 
terra  d'Europa,  che  sembra  sfidare  la  sfinge  del 
polo  artico;  questo  fiorellino,  piccolo  lembo  di 
cielo  tempestato  di  goccioline  d'oro,  sorride  al 
sole  che  non  tramonta  e  sembra  dire  all'  uomo , 
come  l'ultima  creatura  del  mondo  dei  fiori:  non  ti 
scordar  di  me! 


182  CAPITOLO  x\^ 


Innanzi  tutto  i  fiori  sono  creature  vive,  e  come 
ogni  cosa  viva  toccano  e  commuovono  il  cuore 
umano,  ohe  è  vivo  anch'esso.  Una  fratellanza  uni- 
versale, una  simpatia  cosmica  collega  tntti  i  vi- 
venti nel  caldo  ambiente  d'un  solo  amore.  È  grot- 
tesca caricatura  del  darvinismo  il  dirci  figli  della 
scimmia,  è  sublime  concetto  e  verità  sovrana  del- 
Tevoluzionismo  il  sentirci  tutti  fratelli  nella  grande 
famiglia  dei  vivi.  La  nostra  carne ,  il  nostro  san- 
gue son  caldi  della  stessa  luce  solare,  che  ali- 
menta animali  e  piante;  e  quelli  stessi  nervi  ascosi 
che  fanno  contrarre  gli  stami  di  una  Loasa  inna- 
morata o  arricciano  i  peli  di  una  Drosera  affamata, 
fanno  palpitare  il  nostro  cuore  di  gioia  e  di  do- 
lore. La  stessa  materia  circola  sempiterna  dalla 
vita  del  prato,  dalle  foglie  della  foresta  alle  schiere 
pelose,  inumate  e  squammose  dei  viventi  a  sangue 
caldo;  finché  l'uomo,  ultimo  nato  della  grande  fa- 
miglia planetaria,  in  sé  solo  compendia  tutte  le 
energie  di  movimento,  di  bellezza  e  di  pensiero, 
che  seri)eggiano,  scintillano  e  si  trasformano  sulla 
scorza  arruginita  del  nostro  piccolo  mondo  sublu- 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIOBI  183 

nare.  In  noi  è  gran  parte  della  stoffa  dei  fiorì,  e 
nel  profumo  e  nelle  variopinte  corolle  olezzano  e 
fiammeggiano  i  profumi  e  le  bellezze  dell' aomo, 
che  non  si  distruggono  ma  si  trasformano  sotto 
le  zolle  del  cimitero;  di  quel  cimitero  cristiano,  che 
i  crematori  moderni  non  riusciranno  mai  a  spoe- 
tizzare e  a  distruggere.  H  circolo  della  vita  non 
fu  inventato  dalla  chimica  moderna,  ma  soltanto 
riconosciuto  vero  nella  scienza,  come  da  secoli  in- 
numerevoli lo  era  già  nel  cuore  e  nel  pensiero  di 
tutti. 


*  * 


Nessun  minerale,  per  quanto  curioso,  nessuna 
gemma  per  quanto  splendida,  nessun  metallo  per 
quanto  lucciccante,  desta  le  simpatie  di  un  fiore 
o  di  Un  animale.  Il  minerale  non  vive:  animali  e 
piante  sentono,  si  muovono ,  palpitano  come  noi  ; 
come  noi  amano  e  come  noi  muoiono.  Noi  ci  sen- 
tiamo con  essi  fratelli,  membri  di  un'unica  fami- 
glia. Qual  cinabro  può  mai  eguagliare  il  fiore  di 
un  imantofillo,  quale  ferro  oligisto  può  esser  su- 
perato dalle  macchie  di  un  Ophrys ,  qual  zaffiro 
o  quale  opale  può  far  impallidire  la  sericea  co- 


184  CAPITOLO  XVI 


rolla  di  un  Oroeiis,  quale  diamante  può  vincere 
la  corolla  di   certe   orchidee?  Se   domani  nuove 

• 

miniere  di  diamanti  lo  rendessero  comune  come  il 
carbonato  di  calce  o  come  le  selci,  essi  perdereb- 
bero quasi  ogni  valore.  I  nostri  prati  possono  ge- 
nerare milioni  di  violette,  senza  che  una  sola  vio- 
letta perda  ivi  solo  dei  suoi  profumi  o  una  gra- 
zia del  suo  simpatico  colore.  La  natura,  ben  di- 
versa da  noi,  profonde  le  sue  ricchezze  senza  di- 
minuirne il  valore  e  eternamente  giovane  non  co- 
nosce la  noia  né  la  stanchezza.  —  Io  so  di  un 
mineralogista  fanatico,  che  si  inginocchiò  un  giorno 
dinanzi  a  quattro  esemplari  stupendi  di  rarissimi 
minerali  dell'Elba,  e  benché  frate,  li  battezzò  col 
nome  amoroso  di  quattro  evangeUsU;  ma  per  un 
frate  che  si  inginocchia  davanti  a  quattro  pietre, 
abbiamo  e  avremo  migliaia  di  fanciulle,  che  ba- 
ceranno i  fiori,  e  fiutando  una  rosa  o  un  gelso- 
mino si  sentiranno  imparadisare  Tanima  e  ineb- 
briare  i  sensi. 

I  fiori  ci  sono  cari,  anche  perchè  durano  poco, 
e  Fuomo  s'innamora  di  tutto  ciò  che  ha  vita  breve 
e  fugace.  L'eterno,  l'infinito  ;  i  monumenti  di  marmo 
e  di  granito,  che  durano  secoli,  ci  fanno  chinar  la 
fronte  e  pensare,  e  in  noi,  creature  di  un  giorno , 
ridestano  pensieri  tristi  e  sublimi  :  le  bellezze  che 
durano   un'  ora ,  un  giorno ,  ci  inteneriscono  e  ci 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  PIOBI  185 

commuovono  e  rammìrazione  diviene  più  intensa, 
più  calda  quanto  più  vediamo  vicina  Fora  del  loro 
tramonto. 

Quanto  è  veloce  il  ciclo  d' una  rosa!  Botton- 
cino chiuso  ieri,  appena  .un  lembo  roseo  stretto 
fra  i  gelosi  sepali  verdi,  così  stretti  che  la  goc- 
cia della  rugiada  non  poteva  baciarla,  né  ala 
d' insetto  penetrarvi.  Eppure  il  sole  di  questa 
mattina  Tha  già  socchiuso,  l'impeto  dell'amore  le 
ha  aperto  il  seno,  per  cui  escono  inebbrianti  i 
primi  profumi  e  le  prime  speranze  di  voluttà.  Un'ora 
dopo  il  sole  le  ha  dato  il  suo  bacio  d'innamorato, 
s'innalza  l'inno  del  colore  e  del  profumo  :  l'occhio 
dell'  uomo,  la  luce  del  cielo,  l' ala  dell'  insetto  si 
beano  per  un  momento  in  quella  festa  della  natura. 
Alla  sera  la  rosa  ha  già  amato,  e  i  petali  stanchi 
ricordano  nel  languore  della  morte  vicina  1'  ora 
che  fu.  In  ogni  petalo  di  corolla,  in  ogni  fiore  ci 
sembra  di  veder  scritti  a  caratteri  misteriosi  le 
parole  del  poeta  epicureo:  Carpe  diem. 


iCrran  parte  del  fascino  dei  fiori  vien  loro  anche 
dai  misteri  che  vi  si  compiono.  Tutti  gli  amori  si 
rassomigliano  e  tutte  le  tenerezze  si   senton  so- 


186  CAPITOLO  XVI 


relle.  E  santa  virtù  dei  fiori  quella  di  amare  pu- 
dicamente e  in  segreto,  e  ogni  fanciulla  innocente, 
che  s'inebbria  di  un  mazzo  di  fiori  fino  ad  averne 
palpitazioni  di  cuore  e  smarrimenti  confusi  e  t-e- 
nerezze  isteriche,  ignora  con  sublime  ignoranza 
quale  remoto  atavismo  la  ravvicinino  in  quell-  i- 
stante  di  voluttà  alle  prime  sorgenti  della  vita,  ai 
misteri  più  profondi  deUa  creazione. 

Ma  tutte  queste  ragioni,  che  ci  rendono  cari  i 
fiori,  potranno  sembrare  a  molti  metafisicherie  e 
indovinelli.  Anche  senza  di  esse,  mi  direte  voi,  il 
fiore  ci  è  caro,  perchè  è  bello.  Ed  è  bello  dav- 
vero. Piti  che  mezza  l'estetica  si  può  studiare  nel* 
Tanalisi  delle  sue  bellezze;  simmetria  e  disordine, 
ripetizione  infinita  e  varietà  di  forme,  il  semplice 
nel  composto,  il  piccolissimo  che  si  moltiplica  e 
il  grande  che  campeggia  solitario;  il  fascino  del 
colore  intenso  e  i  crepuscoli  del  colore  che  s' in- 
dovina, la  petulanza  del  colore  vivo,  sfacciato, 
unico  e  i  contrasti  di  tinte  opposte;  il  colore  che 
spicca  e  s'affaccia  e  grida  come  voce  di  fanciullo 
nel  desorto  e  sfumature  impercettibili  che  ti  por- 
tano in  pochi  centimetri  di  corolla  dal  cielo  del 
tropico  alle  nebbie  del  polo,  dair  incarnato  di  un 
labbro  di  donna  all'iride  del  suo  occhio.  Nel  fiore 
avete  tutte  le  linee  fondamentali,  le  note  prime 
del  bello  e  i  suoi  accordi  più  svariati  scritti   da 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIORI  187 

lina  musica ,  che  non  è  del  passato  né  dell'  avve- 
nire, ma  che  è  universale,  perchè  scritta  da  quel 
grandissimo  maestro  di  tutti,  che  è  la  natura. 

Nel  mondo  dei  fiori  vi  son  forme  per  tutti  i  gu- 
sti, vi  sono  architetture  più  ricche  della  bizantina,- 
più  semplici  della  greca,  più  maestose  di  quella 
del  Einascimento,  più  buffe  e  grottesche  della 
giapponese,  più  severe  della  fiorentina.  Il  fiore  è 
un  artista  che  ride  della  scuola,  che  ride  del  clas- 
sico e  del  romantico,  che  balza  d'una  in  altra 
forma,  che  si  traveste  più  del  Proteo  ^ella  favola, 
più  del  pulcinella  della  commedia,  e  rimane  sem- 
pre bello.  Bello  di  nano  e  bello  di  gigante,  bello 
di  bambino,  bello  di  fanciullo  e  di  matrona  ;  bello 
di  vecchio  e  bello  di  buffone. 

Fra  i  giganti  avete  Y  Amofyhophallns  titanum, 
'  che  ci  portò  da  Sumatra  quel  titano  dei  viaggia- 
tori e  dei  botanici,  che  è  il  nostro  Beccari.  Fiore 
così  grande,  che  vi  potreste  nascondere  un  fan- 
ciullo, così  strano  che  vi  pare  una  fantasia  di  un 
uomo  ebbro  dall'oppio.  E  avete  la  Victoria  regia, 
che  apre  i  suoi  molli  petali  bianco-rosei  sulle  pa- 
ludi del  tropico  americano,  e  che  colle  spe  ampie 
foglie  distese  sull'  acqua  sostiene  i  caimani ,  che 
sonnecchiano  al  sole,  come  io  ho  veduto  più  volte 
nel  Paraguay.  Avete  il  Cerens  Lemairii  e  tutti  i 
fiori  giganti  dei  Cactus,  le  corolle  accartocciate  e 


188  CAPITOLO  XVI 


sanguigne  del  PMlodeiidron  eruhescens  e  le  giallo- 
dorate  della  Mousteria  Adansonii  e  tutte  le  corolle 
delle  aroidee,  che  sembrano  aprire  al  cielo  le  loro 
grandi  tazze  per  bevervi  il  sole  a  iosa  in  un  con- 
vito di  giganti.  Avete  gli  alberi-fiori  delle  Agave, 
che  innalzano  una  foresta  di  fiori  minori,  che  un 
uomo  robusto  appena  potrebbe  reggere  sulle  spalle. 

Accanto  a  questi  colossi  della  flora  avete  le 
creature  lillipuziane,  delle  quali  è  così  ricco  il  giar- 
dino della  zona  temperata;  le  corolle  flne,  dentel- 
late delle  ericacee,  le  stellette  infinite  gialle  o 
bianche  o  rubiginose  dei  nostri  gallii,  la  polvere 
azzurra  del  Ceanothus  florihxindus,  i  frastagli  e  i 
merletti  delle  astranzie,  i  petalucci  sericei  della 
Pamassia  palustris.  Su  nelle  Alpi,  fra  morbidi  cu- 
scini vellutati  di  muschio,  vedete  sorgere  le  testo- 
line stellate  delle  Sassifraghe,  gli  alberetti  nani 
(ìeAV Azalea  procumbens;  tutto  il  mondo  gentile,  fino, 
simpatico  della  flora  alpina. 

E  dove  mi  lasciate  voi  le  modeste  gramigne  coi 
ciuffetti ,  colle  spighe ,  cogli  aghi ,  colle  polveri 
omeopatiche ,  coi  frantagli ,  coi  ritagli ,  colle  lan- 
cette, colle  glume,  colle  code,  colle  squammette 
dei  Lagurus,  delle  Digitarle,  dei  Panicum,  delle 
Setarie,  degli  Agrostis,  delle  Stipe,  dei  Phleum, 
degli  Alopecurus,  dei  Nardus,  delle  Meliche,  delle 
Poe,  dei  Dactylis,  delle  Molinie,  delle  Brize,  delle 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIOEI  189 

Avene,  dei  Triticum,  dei  Lolium,  e  di  tante  altre, 
che  ora  distese  nei  prati,  or  cornici  ai  campi,  or 
sospese  agli  scogli,  or  arrampicate  sui  mari,  senza 
ricchezza  di  colori  né  grandezza  di  forme,  ci  ral- 
legrano rocchio  innamorato? 

Nel  mondo  dei  nani  che  cosa  v'ha  di  più  bello  di 
nn  Anthyrinum  cymhalaria,  che,  sospeso  come  giar- 
dino pensile  sopra  un  muro  antico,  da  una  fessura 
così  sottile  che  appena  lascierebbe  entrarvi  un 
ago ,  lascia  piovere  le  sue  coronine  violacee,  che 
sembrano  labbruzzi  di  bambino  più  piccoli  di  .un 
grano  di  frumento? 

Nel  grande  e  nel  piccolo  poi,  quante  varietà  di 
forme!  I  botanici  vi  additan  le  corolle  labbiate, 
le  papilionacee,  le  crocifere,  le  tubulate,  le  ipocra- 
teriformi,  le  rotate,  le  pateriformi,  le  infundibuli- 
formi,  le  campanulate,  le  digitaliformi,  le  rosacee, 
le  tubulose,  le  urceolate,  le  gibbose,  le  speronate, 
le  stellate,  le  ligulate,  le  raggiate,  le  personate, 
le  cucuUiformi  ;  con  petali  bifidi,  trifidi,  quadrifidi, 
lobati,  bilobati,  trilobati,  dentellati,  erosi;  e  con 
sepali,  che  a  volta  a  volta  sembrano  più  belli  dei 
petali,  e  con  essi  associano  armoniosamente  con- 
trasti, colori  e  forme. 

Ma  cosa  sono  mai  queste  nostre  povere  parole 
l)er  esprimere  tutto  Tinfinito  arsenale  delle  forme 
dei  fiori?  I  pennacchi  a  spazzola  dei  MetrosyderoH 


190  CAPITOLO  XVI 


e  delle  Melaleuche  qual  diversa  bellezza  hanno  in 
confronto  dei  ciuffetti  pur  bellissimi  delle  Acacie  ; 
e  vedete  accanto  a  queste  le  '  strane   corolle   dei 
Delphinium  e  delle  Aquilegie,  i  ciclamini,  veri  baci 
alati;  le  spighe  carnose  delle  Tillandsie,  i  sifoni 
delle  Aristoloohie,  le  coppe  greche  dei  Convolvuli 
e  delle  Ipomee,  le  campanelle  di  vetro  delle  Cam- 
panule e  quelle  di  velluto  delle  Gloxinie,  le  ber- 
rettine  e   i  turbanti  delle  Calceolarie,  i  cartocci 
deUe  Aroidee,  i  padiglioncini  chinesi  delle  Fuc- 
sie, i  mazzi  fulgenti  dei  Kododendri  e  delle  Aza- 
lee, le  fantasticherie  delle  Proteacee,  le  Fritillarie 
tessellate,  le  stramberie  delle   Stapelie,  i   becchi 
d'uccello   delle   Heliconie   e   delle  Strelitzie,  gli 
astri  piccini  e  grandi  delle  Margheritine  e   delle 
Margherite,  nomi  carissimi  ad  ogni  cuore  italiano. 
E  dove  lascio  le  mille  e  una  notti  delle  Orchi- 
dee, ohe  sembrano  vincere  nelle  loro  svariate  forme 
le  fantasie  più  ardite  e  i  sogni  più  pittoreschi? 
Ohi  potrà  mai  descrivere  le  bellezze  dei  Cipripe- 
dii,  dai  lunghi  baffi,  dei  Dendrobium,  delle  Vande, 
delle   laitanhopee,  ^e\V  Anthìirium,   del  Saccolàbium 
denticulatiim,  del  Catasetum  naso^  ù.e\VEpipogon  Gme- 
Uni,  deWEpidendnim  stamfordianum,  un  vero  volo 
di  farfalle,  dei  Qrammatophyllum,  dell'  Odontoglos- 
sum  macuWum,  vero  pulcinella,  con  braccia,  con 
gambe,  con  colori  smaglianti;  e  di  tanti  altri,  che 


ESTASI  PBODOTtB  DAI  FIOBI  191 

ora  sembrano  ragni,  or  farfalle,  ora  mosche,  ora 
uccelli,  ora  draghi,  sospesi  ad  un  filo,  o  ammuc* 
chiati  a  grappolo,  o  striscianti  timidi  e  semiasoosi 
fra  i  densi  cespugli  di  foglie  succose  e  robuste?  Io 
le  ho  vedute  .questo  orchidee  e  nelle  vergini  fo- 
reste del  tropico  americano  e  del  tropico  indiano, 
e  raccolte  da  ogni  parte  del  mondo  nelle  famose 
serre  di  Amburgo,  e  son  rimasto  estatico^  com- 
mosso, dinanzi  alla  divina  e  inesauribile  tavo- 
lozza della  natura,  che  sa  pensare  e  fare  creature 
così  elegainti,  così  variopinte,  così  singolari  per 
tante  e  svariate  bellezze. 


* 
*  * 


Le  forme  dei  fiori  sono  ravvivate  dall'  abbon- 
danza e  dalla  diversità  dei  colori.  Anche  gli  uccelli 
rivaleggiano  spesso  nel  colore  colle  piante,  ma 
mancano  ad  essi  le  seduzioni  della  trasparenza. 
Le  paradisee  vanno  giustamente  superbe  dei  loro 
talchi  splendenti,  delle  loro  tinte  metalliche;  an- 
che i  colibrì  son  fiammette  di  splendori,  anche  le 
conchiglie  hanno  un  luccicar  di  gemme  e  una 
ricca  tavolozza;  ma  nò  paradisee,  né  colibrì,  né 
conchiglie  possono   aspirare   alle  vaporosità,  alle 


192  CAPITOLO  XVI 


trasparenze  dei  petali  dei  fiori.  Nessun  tessuto 
animale  ha  mai  raggiunto  la  stupenda  struttura 
d'un  fiore  d' orchidea,  dove  il  colore  è  fuso,  dif- 
fuso e  reticolato,  sicché  la  stessa  tinta  in  un  sol 
petalo  ti  si  presenta  sotto  diversi  aspetti  per  ri- 
flessione, per  trasmissione,  e  direi  quasi  polariz- 
zata; e  come  se  ciò  non  bastasse,  infinite  piccole 
perle  lucenti  son  tessute  in  queir  orditura  di  pa- 
radiso. 

La  ricchezza  del  colore  anche  di  per  sé  sola 
è  una  festa  per  gli  occhi.  Da  un  fìtto  cespuglio 
Vlmantophyllum  mmiatum  alza  il  suo  capo  d'aran- 
cio ,  e  VHexacmiiris  myaoreìisia  si  pavoneggia  del 
suo  giallo  ricchissimo.  La  Tntonùi  iivaria  erge  alte 
e  superbe  le  sue  spighe  fiammanti  d'oro  e  di  fuoco  ; 
la  Spathodea  campanulata  fa  la  civetta  col  rosso  e 
coU'aranoio;  mentre  le  Yucche  dallo  spinoso  cespu- 
glio innalzano  le  mille  campanelle  bianche  dei  loro 
ricchi  fiori.  Qual  gazzarra  di  colori  nei  rododen- 
dri, nelle  dalie,  nelle  peonie,  nelle  rose,  nelle  al- 
stroemerie,  nei  garofani! 

Pei  colori  io  adoro  le  bulbacee,  che  colla  loro 
succosa  pienezza,  colla  vegetazione  rapida  e  ro- 
busta, colla  struttura  sericea  delle  loro  corolle  mi 
danno  l' immagine  di  una  salute  vigorosa,  di  un 
temperamento  senza  difetti,  di  un  carattere  senza 
macchie.  Occupano  così  poco  posto,  e  concentrano 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIORI  193 

tante  bellezze  sopra  un'unico  stelo!  Basterebbero 
per  tutte  il  Cyrtanthus  sanguineu^  della  Cafreria, 
e  la  sfolgorante  Schizostylis  coccinea;  ma  anche  i 
giacinti,  i  narcisi,  i  crocus,  i  gladiolus,  quanta 
seta  e  quanto  oro,  quante  gemme  e  quanti  pro- 
fumi non  sanno  darci  anche  nell'umile  vaso  d'una 
povera  operaia! 

E  là  dove  il  colore  non  grida  ad  alta  voce  il 
suo  inno  di  giovinezza,  le  tinte  più  delicate  e  sfu- 
mate si  alternano  e  si  contrappongono,  fondendosi 
in  note  di  armonia  e  di  melodia.  Noi  ammiriamo 
la  rara  e  piccante  bellezza  di  una  pozzetta,  che 
ride  sulle  rosee  guancie  delle  nostre  donne;  ma 
quante  di  queste  pozzette  non  hanno  i  fiori!  Ora 
è  uno  sprazzo  di  pennello,  che  getta  una  polvere 
d'argento  sopra  una  corolla  di  velluto  ;  ora  è  una 
macchinzza  civettuola,  ora  una  virgola,  un  punto, 
messi  proprio  là  dove  il  nostro  occhio  è  invitato 
ad  ammirare  la  leggiadria  delle  forme  o  l'aprirsi 
d'  un  seno  misterioso,  o  d'  un  microscopico  nido 
d'amori.  Prendete  pure  le  corolle  più  piccine  del 
più  modesto  dei  nostri  fiori  paesani,  e  vi  trove- 
rete tesori  di  colorito,  che  i  nostri  più  grandi  co- 
loristi non  possono  che  invidiare.  Guardate,  di 
grazia,  il  fiorellino  di  una  Veranmi,  la  spiga  di 
un  Ajuga,  le  corolle  di  una  Centaurea  oyanus.  Né 
la  Persia  co'  suoi  tappeti,  né  Murano  co'  suoi  ve- 
Estasi  umane,  —  II.  13 


194  CAPITOLO  XVI 


tri,  né  Sèvres  colle  sae  porcellane  hanno  mai  sa- 
puto far  cosa  simile! 

Il  fiore  ha  tutte  le  consistenze,  da  quella  della 
pietra  a  quella  della  nebbia,  e  sembra  voler  imi- 
tare tutti  i  corpi  della  natura.  Vedete  il  corallo 
neìVJErythrina  cristagalU,  n<ò\VAmomum  DafdelU,  nel- 
VAnthurium,  nelìù,  Pitcaimia  muscosa;  avete  Favo- 
rio  nell'  Angrcemtm  eìmm&um  e  nelle  Magnolie ,  la 
seta  nei  Crocus  e  in  tante  altre  bulbifere,  il  vel- 
luto nelle  rose,  nelle  camelie,  nelle  viole  del  pen- 
siero, la  cera  nelUHo/a  cartwsa,  il  metallo  nelUO- 
phris,  il  talco  e  il  cartoncino  negli  Helichrysum  e 
negli  Amaranti,  il  vetro  nelle  campanule,  Poro  nei 
ranuncolL  Di  tutto  è  capace  quel  mago  alchimista 
del  fiore!  Era  sogno  della  chimica  medioevale  tra- 
mutare i  metalli  ignobili  in  oro  e  in  argento,  ma  il 
fiore  cambia  ogni  giorno,  senza  soffiar  di  mantici, 
né  arroventar  di  crogiuoli,  l'aria  e  la  luce  in  perle, 
in  zaffiri,  in  oro,  e  in  argento. 


Ma  per  me  i  fiori  hanno  un'altra  bellezza  supe- 
riore a  tutte  le  altre  bellezze,  ed  è  quella  di  as- 
sociare in  famiglia  i  loro  incanti,  le  loro  grazie, 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  PIOEI  195 


i  loro  colori,  per  offirirci  quadri  stupendi,  ohe  dal 
bozzetto  fiammingo  vanno  fino  al  genere  sublime 
del  grande  paesaggio  e  del  quadro  storico.  Noi 
seminiamo  i  nostri  campi  di  bionde  spighe,  e  pian- 
tiamo i  nostri  pometi  di  ridenti  foreste  di  pomi  e 
di  peschi;  ma  la  natura  non  si  accontenta  della 
ricca  monotonia  di  una  stessa  specie  addensata 
in  angusto  spazio;  e  getta  con  mano  capricciosa 
ma  intelligente  colori  e  forme  svariatissime  sul 
tappeto  de'  suoi  prati  e  sulle  vette  delle  sue  fo- 
reste. 

Ho  già  descritto  ne'  miei  libri  le  bellezze  di  un 
prato  alpino,  quelle  di  un  tappeto  fiorito  nel  grande 
altipiano  della  Norvegia,  ma  ho  scolpiti  nella  mia 
memoria  altri  quadri  incantevoli  del  mondo  vege- 
tale. Yi  segnerò  a  grandi  tratti  due  bozzetti  di 
genere  e  un  quadro  grandióso;  vorrei  quasi  dìvò 
epico,  se  mi  permettete  l'innocente  metafora. 


Nei  primi  giorni  di  luglio  la  natura  norvegiana 
cantava  alto  il  suo  inno  di  calda  e  breve  giovi- 
nezza sui  colli  che  fanno  corona  ié  Cristiania.  Un 
granito  spaccato  aveva  raccolto  in  una  fessura  un 


196  CAPITOLO  XVI 


pagno  sottile  di  terra,  e  là  Bui  oiglio  della  nnda 
roccia  tu  vedevi  an  cespuglio  di  fragole,  che  ti 
offrivano  in  una  volta  sola  i  bianchi  petali  dei  suoi 
fiori  e  i  rubini  profumati  dei  suoi  frutti.  Ai  piedi 
di  quella  rupe  un  boschetto  di  Lytkrum  gigante- 
schi innalzava  cento  spighe  più  rosee  della  più 
rosea  e  della  più  bella  delle  nostre  rose;  mentre 
l'acqua  stillante  dalla  rupe  alimentava  un  passo 
più  in  III  un  altro  boschetto  più  piccino  di  myoso- 
tia  fioriti.  Sulla  strada  che  mi  separava  da  quel 
quadro  incantevole  una  siepe  fitta  fitta  di  rose  sil- 
vestri dal  fiore  amaranto  gettava  fiamme  per  ogni 
parte,  e  il  solo  splendido  e  caldo  baciava  le  fra- 
gole, i  Lythrnm^  i  myosoiis  e  le  rose  con  un  solo 
amore,  senza  invidia  e  senza  gelosia.  Anche  la 
dura  e  gelida  terra  scandinava  festeggiava  in 
quell'ora  la  festa  della  sua  primavera. 


Bicordo,  come  se  l'avessi  dinanzi  agli  occhi,  an 
altro  quadro  di  fiori.  Io  era  nell'America  meridio- 
nale, in  Entrerips.  In  un  giorno  di  pioggia  e  di 
temporale  avevo  attraversato  il  Eio  Oualeguaychù, 
che  dilagava  d' ora  in  ora  i  campi  e  le  foreste. 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIORI  197 

Tronchi  sradicati  e  sterpi  antichi  nuotavano  nel- 
l'acqua turbolenta  e  gialla  ;  i  nostri  cavalli,  stanchi 
per  il  lungo  nuoto,  ansavano  sulla  riva,  coi  piedi 
nell'acqua.  Io,  seduto  sopra  il  mio  baule,  aspettavo 
di  poter  recarmi  al  vicino  villaggio.  Correvano  le 
nubi  affrettate  e  tristi  per  Taria,  accarezzando 
quasi  la  terra,  e  l'atmosfera  umida,  fredda,  uggiosa, 
mi  inzuppava  di  acquai  vestiti  è  di  tristezza  l'anima. 
Il  gaucho^  infastidito,  che  mi  serviva  di  guida,  mi 
dava  le  spalle  pieno  di  bile  e  di  noia,  e  tentava 
invano  di  accendere  in  tanta  innondazione  d'aria 
e  di  terra  una  sua  sigaretta.  Io  mi  sentiva  solo 
in  quella  desolazione  di  silenzii,  e  pensava  alla 
patria  lontana  e  ad  altre  tristissime  cose,  che  non 
occorre  ricordare  a  voi.  La  natura  mi  pareva  tutta 
quanta  in  collera  col  cielo,  colla  terra,  coli' uomo 
e  con  sé  stessa.  Ma  ecco  che  un  raggio  di  sole 
rompe  le  nubi,  e  da  un  lembo  azzurro  fa  piovere 
la  sua  letizia  sopra  di  me  e  sopra  un  cespuglio 
che  mi  stava  vicino  e  che  aveva  anch'esso  i  piedi 
nell'acqua  del  fiume.  Fermai  gli  occhi  su  quel  ce- 
spuglio e  sorrisi  anch'io  col  sole.  Era  un  alberetto 
di  Erythrina  CìistagalU,  pieno  di  grappoli  di  co- 
rallo. Intorno  ad  esso  amorosamente  una  passiflora 
aveva  intrecciato  le  sue  spire,  avvicinando  i  suoi 
fiori  variopinti  e  azzurrini  alle  rosse  corolle  del- 
Veritrifia,  U  sole  dorava  le  goccioline  della  piog- 


198  CAPITOLO  XVI 


già  fermata  su  quei  fiori  rossi  e  fra  le  langhe  ci- 
glia della  passiflora,  qaasi  vi  avesse  gettato  nn 
pugno  di  perle  e  di  diamanti.  Com'era  bello  quel 
quadro!  Io  non  mi  sentii  più  solo,  e  accarezzai 
quei  due  fiori  così  diversi  e  pure  entrambi  attraenti 
con,  un  intimo  amplesso,  senza  avere  il  coraggio  di 
coglierli.  —  Io  non  era  più  solo,  e  la  mestizia  se 
n'andava  coUe  nubi,  ohe  un  vento  impetuoso  scac- 
ciava nel  lontano  orizzonte  del  sud. 


Un'altra  volta  attraversava  sotto  il  sole  ardente 
dell'ottobre  le  magnifiche  campagne  della  Fron- 
tera  di  Salta,  neUa  Repubblica  Argentina.  Una 
vampa  calda  e  dorata  scendeva  dal  cielo,  innon- 
dando alberi,  erbe,  uomini  e  cavalli;  mentre  un 
profumo  indistinto  di  milioni  di  fiori  rendeva  l'aria 
inebbriante  di  acute  essenze.  Pareva  che  tutta  la 
terra  sudasse  neUa  piena  e  feconda  fatica  della 
voluttà  ohe  crea.  Tacevano  gli  uccelli,  tacevano 
le  belve,  e  il  solo  coyuyo  strillava  le  sue  note  squil- 
lanti e  potenti  di  cicala  tropicale.  —  Da  quel  suolo 
ardente  i  lapachos  fioriti  innalzavano  nella  foresta 
mazzi  giganteschi  tutti  del  color  della  rosa.  Eran 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIOEI  199 

mazzi   di  rose,   sotto   cai   una   intiera   carovana 
avrebbe  trovato  un'  ombra  rosea,  perchè   questi 
alberi  giganteschi  non  avevano  ancora  una  foglia. 
Nelle  oasi  spianate  del  bosco  altri  mazzi,   anche 
essi  di  rose  ;  ma  di  rose  più  cupe,  gettate  a  mille 
e  mille  sui  densi  cespugli  della  sacharosa,  albero  dai 
cento  rami  e  dalle  foglie  di  smeraldo.  Sulla  terra 
tappeti  di  portulache   fìorite,  scarlatte   e   gialle, 
e  fra  esse  qualche  alberetto  nano,  gracile  e  sot- 
tile di  un  Cap»icum,  dai  piccoli  fioretti  bianchi  e 
dalle  corte  bacche  di  corallo  rosso.  Fin  là   dove 
i  torrenti   avevano  gettato  le  loro  sabbie  sterili, 
da  tubercoli  a  fior  di  terra  grandi  come  la  testa 
di  un  uomo,  un^ipomea  innalzava  i  suoi  mazzetti 
di  corolle  violette,  quasi  rosse.  Sotto   quel  cielo 
d'oro  pareva  che  tutte  le  piante  fiammeggiassero' 
di  porpora  ;  rose  suiralto  degli  alberi  giganti,  rose 
sugli  alberetti  minori,  rose  sui  cespugli,  rose  sul 
tappeto   della  terra;   fiamme  dappertutto;   quasi 
ebbrezze  d'un  caldo  amore  o  orgia  di  calore  e  di 
colorì,  come  si  vede  in  tanti  quadri  del  rubicondo 
Bubens.  Forse  la  natura  arrossiva   quel   giorno, 
quell'ora,  in  quell'aria  calda  per  aver  troppo  amato; 
ma  il  suo  rossore  si  traduceva  nell'espressione  tra- 
scendente di  mille  bellezze  tutte  calde,  tutte  vo- 
luttuose, tutte  fiammeggianti. 
L' estetica  è   uu   campo   così   alto  nel   mondo 


202  CAPITOLO  XVI 


l'arte,  altri  di  pessimo  gusto  non  amano  che  i  fiori 
doppi.  Io,  come  antico  deputato  del  centro,  credo 
che  la  verità  anche  qui  si  trovi  nel  giusto  mezzo. 
Vi  sono  forme  che  la  doppiezza  ravviva  e  arric- 
chisce; ve  ne  sono  altre  che  la  ricchezza  di  petali 
deforma  e  abbruttisce.  Del  resto  anche  la  natura 
si  prende  talvolta  il  capriccio  di  raddoppiare  le 
corolle  dei  suoi  fiori ,  e  anch'  io  nel  modesto  mio 
erbario  di  dilettante  ho  fiori  doppTlil^anunculo 
e  di  Trollius  Eurofcetis,  e  chi  sa  quanti  ahji;^  ve  ne 
saranno  ch'io  non  conosco. 

Più  fortunata  è  l'arte  dell'orticoltore  nella  ric- 
chezza di  nuovi  colori,  che  ha  sparso  sulle  coroUe 
monocrome,  che  le  porgeva  la  natura.  Dall'unica 
dalia  rossiccia,  qual  tavolozza  ha  saputo  ritrarre 
il  giardiniere;  e  dalla  Viola  tricolor  quante  va- 
rietà  non  abbiamo  noi  ottenute,  dal  candido  al- 
l'oro, dal  violetto  quasi  nero  all'azzurro  e  al  ma- 
culate!  E  poi  e  poi  nei  nostri  orti  e  nelle  nostre 
serre  abbiamo  ravvicinate  tante  piante  diverse 
onde  rallegrare  il  nostro  occhio  colle  bellezze  delle 
cinque  parti  del  mondo.  Noi  riuniamo  così  in  un 
unico  mazzo  il  ciclamino  europeo  e  la  gardenia  del- 
l'Africa, la  fucsia  americana  e  la  camelia  chinese. 


ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIOBI 


203 


che  i  fiori 
ro,  credo 
tomeHO. 
e  arric- 
(li  petali 
la  natura 
)piare  le 
B8to  mio 
inuncalo 
rd  ve  ne 

iella  rie- 
lo  coroìJe 
lall'anica 
ritrarre 
inte  va- 
Klido  al- 
3  aJ  ma- 
i  nostre 
diverse 
se  delle 

iifl  ttD 

]ia  dd- 
lineile. 


nesto  culto  universale  dei  fiorii  che  si  af- 
ta civiltà,  è  forse  opera  vana  o  capriccio  sun- 
di  ricchi  annoiati?  No,  questo  culto  è  scuola 
dea,  è  arte  del  pensiero  umano,  è  una  nuova 
usa  aggiunta  ai  tanti  tesori  del  viver  civile, 
è  inutile  dell'umana  fatica,  nessuna  goccia 
Btro  sudore  è  perduta,  quando  fatica  e  su- 
ono spesi  nel  culto  del  bello,  dio  universale 
innalza,  che  ci  ringentilisce,  che  ci  dispensa 
'^  .6  così  care   gioie.  L' uomo  di  scienza  nello 
delle  forme  doppie   e   mostruose  che  ha 
V  arte   dell'  orticoltura,  ha  trovato  gli  ele- 
per  tracciar  leggi  importanti  di  morfologia; 
»me  lo  studio  degli  animali  domestici  ha  dato 
iteriale  prezioso  per  tracciare  la  storia  del- 
izionismo  nel  mo  :do  dei  viventi.  Il  culto  del 
in  tutte  le  sue  forme  è  scuola  al  pensiero, 
;ente  di  ricchezze  nuove,  è  preziosa  conquista 
civiltà. 

aoi  Italiani,  che  abbiamo  la  fortuna  di  esser 

in  uno  dei  più  bei  paesi  del  mondo,  e  figli  di 

0  tre  civiltà,  sentiamo  scorrer  nelle  nostre  vene 


204  CAPITOLO  XVI 


e  palpitare  nei  nostri  nervi  le  energie  estetiche 
degli  antichi  popoli  italici,  che  erano  artisti  anche 
prima  dei  Greci,  e  che  abbiamo  poi  affinato  il  ga- 
sto  colla  potente  civiltà  greca  e  colla  grande  ri- 
surrezione del  rinascimento  ;  noi  dobbiamo  serbare 
come  cosa  nostra  tre  volte  Pamore  del  bello,  che 
ci  fa  superiori  a  tutti  i  popoli  d'Europa.  Ad  ogni 
stirpe,  ad  ogni  razza,  ad  ogni  famiglia  umana  h 
natura  ha  dispensato  diversi  doni  e  attitudini  di- 
verse, e  noi  Italiani  ha  fatto  primi  sacerdoti  del 
bello.  Così  come  un  grande  maestro  di  armonia 
fa  parlare  il  suo  pensiero  coi  cento  strumenti  di 
un'orchestra,  sicché  un'  unica  armonia  è  tradotta 
nelle  tante  armonie  e  melodie  di  diverse  lingue; 
così  ogni  popolo  nel  grande  concerto  della  civiltà 
deve  portare  il  tributo  della  propria  natura.  A  noi 
è  toccata  la  energia  estetica,  e  dobbiamo  custo- 
dirla gelosamente,  affinarla  con  costante  amore,  con 
quell'amore  che  è  fatica  prima  e  prima  gioia  del 
nostro  pensiero. 


Capitolo  XVII. 


LE  ESTASI  DELLA  MUSICA, 


La  musica  è  forse  la  grandissima  fra  le  creazioni  umane  e 

perchè.  —  Estasi  musicale  semplice  o  acustica  e  sua  grande 

forza   espansiva.   —  Diverse  varietà  delP  estasi  musicale: 

Famorosa,  la  melanconica,  la  battagliera  e  la  fantastica. 


imL.^ 


Se  la  musica  non  è  la  maggiore  delle  creazioni 
amane,  essa  è  di  certo  una  delle  grandissime.  Le 
altre  arti,  anche  nei  loro  voli  più  alati,  portano 
dalla  terra  i  colori  e  i  fili  coi  quali  intrecciano 
le  loro  ghirlande,  e  quando  la  psicologia  sarà  una 
scienza  positiva  come  la  geometria,  noi  troveremo, 
come  anche  negli  inni  più  lirici  del  poeta  la  na- 
tura abbia  dato  tutto  il  materiale  della  creazione. 

Anche  nella  musica  di  certo  ogni  nota,  ogni  ac- 
cordo di  melodia  o  di  armonia,  deve  essere  un'eco 
dell'armonia  venuta  dal  mondo  che  ci  circonda;  ma 
l'eco  è  così  lontana,  ma  la  trasformazione  subiet- 
tiva è  così  potente,  che  la  materia  prima  rimane 
quasi  invisibile  agli  occhi  nostri,  e  non  ci  appare 
dinanzi  che  il  lavorìo  miracoloso  e  stupendo  di  un 
cervello  umano,  che  crea  dal  nulla  le  sinfonie  di 
Beethoven  e  le  opere  di  fiossini  e  di  Bellini.  — 


208  CAPITOLO  XVII 

Se  questa  non  è  creaaione,  dì  certo  l'aomo  deve 
rinanaiare  a  qnesta  parola  del  suo  dizionario. 

Se  Toleto  toccare  con  mano  la  diversa  forza  di 
creazione ,  che  esiste  ad  esempio  nella  pittura  e 
nella  musica,  guardate  la  Maiionna  della  SeggUtìa  e 
udite  Taria  della  Casta  Dira  ;  e  poi  pensate  quanta 
materia  abbia  dato  la  natura  al  Baffaello  ed  al  Bel- 
lini por  qnelle  due  creazioni.  Per  la  Madonna  essa 
ha  dato  tutte  le  donne  belle  d'Italia,  e  le  diffe- 
renze fra  la  donna  e  la  madonna,  fra  Tarte  e  la 
natura,  non  sono  poi  troppo  grandi.  Per  la  Canta 
Diva  che  cosa  ha  dato  invece  la  natura  al  Bel- 
lini? Forse  i  trilli  dell'uaigQUolo,  il  mormorio  delle 
fronde,  o  il  canto  del  grillo  notturno? 


Se  la  musica  è  forse  la  grandissima  fra  le  crea- 
zioni amane,  non  già,  in  ordine  dì  gerarchia  oti- 
iji — !-  .  ^j  altezza  di  lavorìo  cerebrale,  ma  bensì 
trascendente  trasformazione  delle  forze; 
presenta  un  altro  miracolo  sorprendente, 
nello  di  poterci  dare  voluttà  grandissime 
igere  dai  nostri  tessuti  che  un  minimo 
I  di  materia. 


LE  ESTASI  STUSICALI  209 

■^^■^^— ^■^■^P^'^w*^*^^^-^^    I         I     I.    w.  ■■-■■■   ■  ■  I   ■  Il     ■■   ■         p       P     ^         ■  »  ■       ^  .1.1  ^1    ■ 

Di  certo  quest'arte  divina  può  inebbriarci  di 
voluttà  così  peregrine  e  intense  da  eguagliare  gli 
spasimi  d'amore  e  le  più  alte  tenerezze  del  sen- 
timento; eppure  ogni  giorno  noi  possiamo  godere 
quelle  voluttà  ed  assaporarle  per  ore  ed  ore  e 
afi&narle  con  lungo  esercizio  d'amore,  senza  meri- 
tarci mai  la  taccia  di  viziosi,  senza  logorare  la  no« 
stra  salute,  o  render  paralitiche  le  nostre  membra. 

Di  certo  anche  per  le  delizie  della  musica  vi  è 
una  stanchezza;  anch'esse  non  ci  danno  piacere 
che  per  la  trasformazione  di  materia  che  avviene 
in  seno  ai  nervi  e  alle  cellule  cerebrali;  ma  que- 
sta trasformazione  non  logora  i  nervi  e  il  cervello 
come  tanti  altri  fenomeni  di  voluttà  sensuale,  o 
affettiva,  o  intellettuale. 

Perchè  questa  differenza  ?  Ai  posteri  •  1'  ardua 
sentenza. 


*  « 


La  musica  è  fra  tutte  le  sensazioni  quella  che 
più  d'ogni  altra  può  produrre  l'estasi,  e  ciò  per 
più  ragioni. 

1  piaceri  della  musica  sono  tra  i  più  intensi  e  i 
più  indeterminati,  e  per  la  propria  natura  hanno 
listasi  umane,  —  II.  14 


210  CAPITOLO  XVII 


forse  un  potere   d'espansione  snperiore  a  quelli 
d'ogni  altra  gioia  di  origine  paramento  sensuale. 

Vi  sono  molti  pei  quali  la  musica  non  è  altro 
che  un  rumore;  per  moltissimi  altri  essa  è  nna 
delle  gioie  più  indifferenti  della  vita.  A  questi  è 
inutile  parlare  di  estasi  musicali,  o  distinguere  le 
piccole  estasi  dalle  grandi.  Io  parlo  a  quei  pochi 
ohe  fanno  dell'  armonia  un  paradiso  in  terra,  e 
rinunzierebbero  alla  vita,  se  non  potessero  ogni 
giorno  deliziare  le  loro  orecchie  colla  musica. 

Quest'arte  divina  ha  tale  una  potenza  sull'uomo 
da  poterlo  in  date  circostanze  uccidere  o  salvare. 
Più  d'una  volta  un  malato,  o  un  convalescente,  o 
un  dissanguato  son  morti  per  la  scossa  improvvisa 
ricevuta  da  una  musica  troppo  forte,  e  molte  altre 
volte  un  grande  dolore,  che  non  lasciava  piangere 
e  che  minacciava  la  ragione  o  la  vita,  si  disciolse 
in  lagrime  per  opera  di  una  musica  soave  o  te- 
nera; e  così  l'uomo  fu  salvo. 

La  facile  diffusione  del  piacere  musicale  in  tutti 
i  campi  dell'organismo  umano  salta  all'occhio  del 
più  superficiale  osservatore.  L' impallidire  e  l' ar- 
rossire del  volto,  il  piangere,  il  sentirsi  accappo- 
nare la  pelle,  o  tremare  le  membra,  o  correr  per 
r  ossa  brividi  di  voluttà,  son  cose  comuni  fra  i 
grandi  amatori  dell'armonia,  e  un  intiero  volume 
non  basterebbe  ad  enumerare  tutte  le  forme  di 


LE  ESTASI  MUSICALI  211 

espressione  della  voluttà  musicale.  Anche  in  que- 
sti giorni  un  dilettante  appassionato  della  musica 
mi  diceva  che  più  volte,  quando  è  rapito  in  estasi 
armonica,  egli  sente  al  vertice  del  capo  come  un 
brivido  di  gelo,  che  gli  scende  per  tutto  il  corpo 
quasi  con  moto  spirale,  giungendo  fino  ai  piedi. 

E  tutto  questo  non  è  che  la  difitisione  più  este- 
riore, non  è  che  l'incresparsi  della  superficie  ;  ma 
ben  altre  e  più  profonde  sono  le  correnti  di  sim- 
patia, che  dairorecchio  si  difTondono  per  ogni  lato 
delPumana  natura. 

La  corrente  prima  e  più  irresistibile  è  quella 
che  si  dirige  ai  campi  del  sentimento.  É  vecchio 
assioma,  che  ho  dimostrato  più  e  più  volte  nei 
miei  molti  lavori  di  psicologia,  che  V  udito  è  il 
senso  del  cuore  per  eccellenza,  mentre  l'occhio  è 
lo  strumento  primo  del  pensiero.  L'estasi  visiva  è 
soprattutto  intellettuale,  l'estasi  armonica  è  soprat- 
tutto affettiva;  e  questa  sola  ragione  basterebbe  a 
spiegare  la  grande  frequenza  delle  estasi  musicali 
in  confronto  delle  estasi  visive. 


212  CAPITOLO  xvn 


Il  piacere  musicale,  anche  all'  infaori  della  sna 
diversa  natura,  sale  per  .una  scala  ascendente  se- 
condo i  gradi  della  sua  intensità. 

Prima  voi  non  avete  che  il  puro  e  semplice  pia- 
cere uditivo,  non  avete  che  1'  equazione  di  tante 
vibrazioni  al  minuto,  che  corrispondono  alla  strut- 
tura istologica  dei  nervetti  acustici   e   li   soddi- 

.        ...       • 

siano. 

Più  in  su  il  territorio  dell'orecchio  diviene  troppo 
angusto  per  contenere  tutta  quella  mirabile  tras- 
formazione di  movimenti,  che  dalle  corde  vocali 
d'un  uomo,  o  d'un  violino,  o  d'un  pianoforte,  vanno 
al  cervello  per  le  vie  del  nervo  acustico.  E  allora 
muscoli  della  faccia,  e  muscoli  delle  membra  e  del 
tronco  accompagnano  ritmicamente  le  armoniche 
oscillazioni  dell'aria.  Il  nostro  corpo  diviene  tutto 
un  fonografo,  in  cui  la  musica  scrive  le  sue  de- 
lizie. 

Ma  orecchie  e  muscoli  e  viscere  sono  ancora  un 
campo  troppo  ristretto  aUa  piena  delle  voluttà 
che  li  inonda,  e,  quasi  cerchio  d'acqua  mosso  da 
un  sassolino;  l'emozione  si  allarga,  s'aUarga  e  in- 


LE  ESTASI  MI7SICALI  213 

vade  i  campi  del  sentimento  e  del  pensiero,  prima 
e  più  fortemente  quelli  che  questi. 

E  dove  s'allarga  e  dove  si  distende  quella  vo- 
luttuosa vibrazione? 

Dappertutto  e  in  nessun  luogo. 

Direi  che  nella  maggior  parte  dei  casi  (quando 
cioè  una  data  parte  del  nostro  cervello  è  per  par- 
ticolare condizione  più  sensibile  all'eccitamento) 
l'emozione  musicale  tocca  ad  un  tempo  tutte  le 
frontiere  del  cuore,  facendo  vibrare  tutti  gli  af- 
fetti ad  una  soavissima  e  indefinibile  voluttà.  É 
un'eco,  che  si  ripercuote  misteriosamente  in  ogni 
seno  di  monte,  in  ogni  crepaccio  di  rupe,  sotto 
ogni  vòlta  di  foresta,  e  in  ogni  parete  di  casa. 

Domandate  ad  un  amante  che  abbraccia  la 
donna  amata,  dove  egli  sente  la  gioia,  e  s'egli 
non  vi  insulta,  vi  dirà:  io  non  lo  so!  —  E  così 
nell'estasi  musicale  il  rapimento  è  largo,  è  uni- 
versale, ci  accorda  tutte  le  tenerezze  della  com- 
mozione, solletica  i  nervi  dell'affetto,  cresce  ener- 
gia alle  forze  del  cuore,  e  fa  palpitare  e  fa  pian- 
gore;  esalta  e  riposa;  elettrizza  e  fa  spasimare; 
calma  il  desiderio  e  ne  suscita  di  nuovi;  ci  fa 
sentire  e  misurare  l'infinito  e  poi  ci  lancia  in  al- 
tri abissi  di  altri  infiniti  maggiori;  e  così  di  se- 
guito, accarezzandoci  fra  i  tormenti  voluttuosi 
d'un  paradiso  che  non  è  voluttà  d'amore,  ohe  non 


214  CAPITOLO  XVII 


è  delirio  di  creazione,  che  non  è  estasi  religiosa; 
ma  tatto  insieme  e  in  una  volta  sola^  un  po' di 
tutto  questo. 


* 


É  ben  raro  però  che  Testasi  musicale  rimanga 
a  lungo  in  questo  stadio  di  indeterminatezza, 
perchè  noi  siamo  quasi  sempre  o  innamorati  o  tri- 
sti o  riscaldati  dall'ambizione  o  solleticati  da  ano 
dei  tanti  stimoli  esteriori  o  interiori,  che  toccano 
or  r  una  or  l' altra  regione  del  nostro  mondo  ce- 
rebrale. 

In  tutti  questi  casi  il  rapimento  prende  colore 
e  ispirazione  dal  momento  psicologico  in  cui  ci 
troviamo ,  presentando  tante  forme  diverse  quanti 
sono  i  movimenti  psicologici  in  cui  ci  troviamo.  È 
osservazione  molto  vecchia  e  per  questo  molto  vera, 
che  la  musica  esagera  lo  stato  in  cui  ci  troviamo. 
Se  gaudenti  e  epicurei,  essa  ci  sprofoada  sempre  più 
nella  sensualità  e  nella  gaiezza;  se  malinconici,  essa 
afi&na  e  innalza  a  più  alte  regioni  la  nostra  melan- 
conia ;  se  ardenti  d' insolita  ambizione ,  ci  fa  più 
ambiziosi;  se  innamorati,  ci  innamora  ancor  più; 
se  ci  troviamo  nella  lotta,  ci  fa  ancora  più  ba^ 


1 


LE  ESTASI  MUSICALI  215 

taglieri.  Dieci,  cento  individui,  che  ascoltano  la 
steasa  armonia,  anche  ammettendo  per  un  mo- 
mento che  tutti  abbiano  la  stessa  capacità  di 
sentire  e  di  godere,  risentiranno  dieci,  cento  in- 
fluenze diverse  dalla  stessa  musica.  Mai  come  in 
questo  caso  la  subiettività  di  ogni  individuo  parla 
a  voce  alta  e  si  impone,  porgendoci  lo  strano  spet- 
tacolo di  effetti  molto  diversi  di  grado  e  di  na- 
tura derivanti  da  un'identica  causa. 


Ognuno  di  noi  ha  una  capacità  tutta  propria  di 
commozione  per  la  musica.  Chi  è  esaltato  da  un 
valzer  dello  Strauss  e  rimane  inerte  alle  divine 
sinfonie  del  Beethoven.  Chi  ama  smarrirsi  e  sudare 
fra  i  labirinti  della  musica  vagneriana  e  chi  invece 
non  può  esser  rapito  in  estasi,  che  dalla  musica 
classica  dei  più  classici  e  antichi  maestri  italiani. 

Io  ricorderò  sempre  il  terrore  che  mi  prese, 
udendo  per  la  prima  volta  il  Percival  di  Wagner 
eseguito  stupendamente  da  un'orchestra  germanica 
messa  insieme  dallo  stesso  maestro.  Prima  rimasi 
stupito,  sorjjreso,  perplesso  come  chi  si  trova  di- 
nanzi a  un  mondo  nuovo;  dove  cielo  e  terra  e  morti 


1316  CAPITOLO  XVII 


e  vivi  si  trovano  affatto  diversi  dalle  cose  vedute 
fino  allora.  Poi  lo  stupore  diventò  dolore,  strazio, 
tortura.  Mi  pareva  che  seghe  e  marteUi  e  mote 
e  tenaglie  infuocate  e  tutti  gli  strumenti  della  tor- 
tura giudiziaria  del  medio  evo  mi  penetrassero 
nelle  viscere  per  farmi  conoscere  tutto  un  nuovo 
mondo  di  dolori  fino  allora  a  me  sconosciuti.  3buf* 
favo,  sudavo  e,  vedendo  tanti  estatici  intomo  a  me, 
mi  ribellava  contro  di  me  ^  e  poi  (forse  con  minor 
giustizia)  contro  tutti  quei  pazzi  che  godevano  e 
si  deliziavano  di  quella  tortura.  La  somma  di  questi 
miei  dolori,  di  tutti  questi  miei  strazii  finì  in  una 
fcLga  ;  fuga  forse  vergognosa,  di  certo  precipitosa 
e  irresistibile.  Uscito  dal  teatro,  corsi  per  le  vie 
deserte  della  città,  percorrendo  in  breve  ora  non 
so  quanti  chilometri^  e  solo  la  fatica  dei  muscoli 
potè  guarire  la  fatica  delle  mie  povere  orecchie* 
Quanti  mi  avranno  compatito  e  deriso  I 


«    0 


Fra  le  divèrse  fornie  di  estasi  musicali  colorite 
da  uno  stato  speciale  dell'anima,  io  credo  di  po- 
ter distinguere  queste,  che  sono  molto  probabil- 
inente  le  più  comuni: 


LE  ESTASI  MUSICALI  217 


Ustasi  musicale  amorosa. 
Estasi  musicale  melanconica. 
Estasi  musicale  battagliera. 
Estasi  musicale  fantastica. 


Nell'estasi  musicale  amorosa  noi  sentiamo  il  bi- 
sogno  di  amare,  e,  se  già  amiamo,  di  amar  più 
caldamente  e  più  fortemente.  Sarà  la  mamma  o 
il  bambino,  sarà  la  donna  o  l'uomo  del  cuore; 
ma  noi  cerchiamo  col  pensiero  o  colla  mano  una 
altra  mano  che  possiamo  stringere,  un  labbro  che 
possiamo  baciare.  E  se  le  destre  son  lontane,  se 
non  si  trovano  mani  intomo  a  noi  a  cui  si  possa 
dare  il  saluto  d' amore,  son  gli  occhi  che  cercano 
impazienti  altri  occhi  da  accarezzare.  E  lungo 
quei  raggi  pare  che  il  suono  divenga  luce  o  piut- 
tosto che  l'armonia  sia  trasportata  sul  fascio  dei 
raggi  ohe  emanano  dalle  nostre  pupille. 

Di  molti  libri  fu  detto  dopo  Dante: 

G^eotto  fd  il  libro  e  chi  lo  scrisse» 

ma  più  galeotto  dei  libri  fu  le  tante  volte  là  nota 
musicale ,  e  intorno  ad  un  pianoforte  e  nell'  afa 


218  CAPITOLO  XVII 


oalda  e  inebbriante  dei  teatri  si  intrecciano  cento 
e  cento  ghirlande  d'amore.  I  maestri  di  musica 
sono  i  più  terribili  seduttori,  e  lo  sono  senza  sa- 
perlo, e  senza  volerlo. 

L'armonia  discioglie  tutte  le  tenerezze  e  le  rav- 
vicina e  le  riscalda  e  le  fonde,  sicché  più  d'  ana 
volta  due  estasi,  allargandosi  all'  infinito  si  incon- 
trano e  si  uniscono  in  un'  estasi  sola,  che  è  mu- 
sica ed  è  amore;  che  è  voluttà  ed  è  pensiero. 

La  musica  quasi  mai  abbassa  gli  amori,  ma  li  in- 
nalza. Yi  sono  molti  che  non  hanno  potuto  amare 
che  attraverso  la  musica  e  anche  i  più  freddi 
e  volgari  amatori  hanno  i  loro  quarti  d' ora  d' u- 
mor  vero  e  caldo  e  sublime;  quando  vedono  o 
dirò  meglio  ascoltano  la  voce  della  donna  amata 
attraverso  un'. onda  di  armonia.  In  ogni  caso  poi 
l'amore  per  influenza  della  musica  si  affina  e  si 
sublima,  per  cui  la  lussuria  diventa  poesia,  il  de- 
siderio si  trasforma  in  adorazione  ;  e  ognuno  dei 
due  si  trova  più  bello ,  quasi  vedesse  l' altro  at- 
traverso un  vetro  del  color  dell'  ambra.  Neil'  a- 
more  che  risente  1'  estasi  della  musica  direi  che 
le  mani  diventano  ali,  i  corpi  diventano  pensieri; 
e  ogni  colore  si  discioglie  nell'  azzurro ,  che  di- 
pinge quei  due  infiniti  dell'  alto  e  del  basso,  che 
sono  il  cielo  e  il  mare. 

Se  mi  si  ponesse  questo  problema: 


r 


^»i 


LE  ESTASI  MUSICALI  219 

Conie  si  può  dire  a  una  danna  che  noi  Vamianw, 
concentrando  il  massimo  pudore  colla  passione  più 
ardente;  come  si  può  sciogliere  questa  quadratura 
del  cìrcolo  di  esprimere  tutta  V  insaziabilità ,  e  tutta 
V  imìnensità  dei  nostri  desiderii  senza  offendere  n^- 
pur  di  lontana  la  piti  virginea»  pudicizia? 

Io  risponderei  subito: 

Colla  musica. 

In  ciò  ubbidienti  ad  una  legge  di  biologia  oo- 
amica.  É  colla  musica  che  il  grillo  e  l'usignuolo, 
la  cicala  e  l'aquila  fanno  la  loro  dichiarazione  di 
amore.  É  colla  musica  che  l'uomo  può  dire  colla 
voce  più  eloquente  fra  tutte:  io  ti  amo. 


Per  molti  uomini  disposti  alla  melanconia  1'  e 
stasi  musicale  è  sempre  melanconica.  Vi  sono  al- 
cuni stati  dell'animo,  in  cui  anche  un  valzer  dello 
Strauss  può  renderci  melanconici.  D'  altra  parte 
vi  è  della  musica,  che  per  la  sua  indole  inspira  a 
tutti  una  melanconia  soav^. 

Nella  mia  Fisiologia  del  dolore,  ho  lungamente 
parlato  della  melanconia,  né  mi  starò  a  ripetere. 
Mi  basti  il  dire,  che  l'estasi  musicale  melanconica 


220  GAPrroiiO  xvn 


è  una  tra  le  più  soavi,  tra  le  piil  alte,  e  che  può 
far  versare  torrenti  di  lagrime,  dolci  come  quelle 
della  voluttà. 

Si  possono  con  questi  rapimenti  guarire  alcuni 
tra  i  più  forti  dolori  morali,  si  può  perfino  resti- 
tuire la  ragione  a  chi  l' ha  perduta.  La  potenza 
curativa  della  musica  è  appena  studiata  e  aprirà 
orizzonti  infiniti  alle  ricerche  dell'avvenire. 


Vestasi  battagliera  è  di  piccola  durata,  ed  è  più 
rara  delle  due  precedenti.  Sotto  forma  di  piccolo 
rapimento  è  quella  che  spinge  gli  eserciti  paurosi 
contro  il  nemico,  o  contro  gli  spalti  d'una  citta- 
della. 

Le  trombe,  i  tamburi  e  le  bande  militari  sono 
uno  strumento  di  guerra  quanto  i  cannoni  e  le 
baionette,  e  molte  volte  la  musica  aiutò  o  diede 
la  vittoria.  Anche  tra  i  più  rozzi  selvaggi  le  donne 
coi  loro  gridi  e  le  loro  conchiglie  tubanti  eccitano 
i  mariti  alla  lotta,  e  v'hanno  momenti ,  nei  quali 
prima  di  tradurre  l'emozione  in  lavoro,  l'estasi  si 
verifica  sotto  forma  di  estoM  mìisicale  battagliera» 

Anche  fuori  dei  campi  di  battaglia,  anche  in- 


LE  ESTASI  MUSICALI .  221 


tomo  ad  un  pianoforte,  o  nella  sala  di  un  con- 
certo, nn  nomo  che  sta  per  lottare  contro  uno  dei 
tanti  nemici  della  vita,  che  si  prepara  a  una  hair 
taglia  politica  o  letteraria,  pnò  dalla  musica  rice< 
vere  coraggio  e  vigoria,  e  esaltandosi  può  giun- 
gere a  piccole  estasi  musicali  e  battagliere  ad  un 
tempo. 

Quando  poi  la  tradizione  storica  dà  un  valore 
politico  a  una  data  musica,  essa  può  pesare  con 
tanta  prepotenza  sopra  poche  note,  da  renderla 
irresistibile  strumento  di  guerra.  Anche  la  musica 
ha  un  colore  politico,  anch^essa  è  una  bandiera; 
solo  che  invece  di  entrarci  per  gii  occhi,  ci  parla 
più  direttamente  e  fortemente  al  cuore  per  la  via 
dell'orecchio. 

Quanti  inni  fnron  bagnati  col  sangue  I  Tutto  ciò 

•  •  •  #  • 

che  è  umano,  religione  e  patria,  famiglia  e  arte, 
prende  pur  troppo  bagni  di  sangue;  e  così  come 
non  v'ha  nel  nostro  corpo  organo  o  tessuto  che 
direttamente  o  indirettamente  non  riceva  alimento 
e  vita  dal  sangue;  così  anche  tutta  la  storia  del- 
l'umana famiglia  è  scritta  col  sangue;  succo  d'ogni 
organismo,  fermento  d'ogni  vita,  calore  d'ogni  pas- 
sione, nerbo  ad  ogni  pensiero. 


222  CAPITOLO  XVII 


L'ultima  forma  di  estasi  musicale  è  la  più  vaga, 
la  più  ìudetermiuata,  la  più  difficile  a  definirsi. 

Sotto  la  sua  influenza  noi  non  ci  sentiamo  né 
innamorati,  né  melanconici,  né  spinti  a  battaglie 
di  uomini  o  di  cose,  ma  Siam  portati  in  alto  nella 
regione  dei  sogni  e  vediamo  e  sogniamo  mondi 
nuovi  con  creature  nuove;  sempre  però  accompa- 
gnati dall'armonia  che  ci  trasporta  e  ci  fa  batter 
Tali  nelle  regioni  eteree  e  iridescenti  del  mondo 
fantastico. 

Queste  estasi  appartengono  alla  fantasia,  e  noi 
ne  parleremo  più  innanzi.  Qui  dovevano  figurare 
come  rapimenti  fantastici  misti  d'estasi  musicale. 


Capitolo  XVIII. 


LE  ESTASI  DEL  PENSIERO. 


La  ricerca  del  vero.  —  Evoluzione  di  questo  affetto  dalla 
curiosità  alla  religione  e  ali*  estasi.  —  I  rapimenti  del  labo- 
ratorio. —  L^estasi  matematica.  —  L^estasì  nella  biblioteca.  — 
Osanna  a  tutti  i  minatori  del  vero. 


Quanti  nomini  beati  nascondono  £ra  le  loro  pa*- 
reti  i  laboratorii  e  le  biblioteche,  le  ofiBcine  nelle 
quali  si  interroga  la  natura  e  quelle  altre  dove 
si  scruta  il  passato!  —  Uomini  beati,  che  forse 
hanno  a  mala  pena  assicurato  il  pane  quotidiano^ 
ohe  bevono  acqua  perchè  non  hanno  bisogno  d'ai* 
tra  ebbrezza  che  di  quella  dello  studio,  che  dor-^ 
mono  soli,  perchè  alla  scienza  hanno  perfino  sa^ 
grificato  'la  donna.  Quei  fortunati  non  invidiano 
alcuno  su  questa  terra,  e  hanno  compassione  dei 
moltissimi,  che  con  tanta  fatica  e  così  lontano  cer- 
cano ima  felicità,  che  essi  hanno  saputo  trovare 
fra  quattro  pareti  tappezzate  di  libri,  o  davanti 
a  un  ndcroscopio,  o  a  una  bilancia.  Come  sem^ 
brano  loro  vili  e  spregevoli  le  volgari  voluttà  che 
fiaccano  il  nerbo  del  pensiero  e  rendono  displi- 

* 

centi  le  ore  della  stanchezza;  come  sembrano  loro 
Estasi  umane.  ^  U.  15 


226  CAPITOLO  xvia 


vane  cose  le  ricchezze^  gli  onori;  tiltto  ciò  ohe  il 
volgo  apprezza  e  ricerca  con  avida  bramai  —  Ma 
perchè  maledire  la  vita,  imprecare  alla  Provvi- 
denza, quando  abbiamo  alla  portata  dei  nostri 
occhi  e  delle  nostre  mani  quel  grande  amore  che 
è  la  ricerca  del  vero? 

Sì,  è  vero;  queste  gioie  sono  alla  portata  degli 
occhi  e  delle  mani,  ma  soltanto  di  certi  occhi  e 
di  certe  mani.  Solo  i  pochi  eletti  che  del  lavoro 
fanno  una  passione,  e  che  hanno  la  santa  sete 
del  vero  possono  provare  certi  rapimenti  ;  ai  più, 
lavoro  suona  condanna,  e  l'idealità  della  vita  con- 
siste nel  ridurre  al  minimo  il  travaglio.  Parlate 
dell'amore  agli  impotenti  e  non  vi  capiranno;  can- 
tate le  estasi  intellettuali  agli  eunuchi  del  pensiero, 
ed  essi  rideranno  di  voi.  Qualunque  sia  l'amore, 
per  amare  conviene  esser  forti  ;  forti  di  giovinezza 
o  di  sentimento,  forti  nei  muscoli  o  nel  pensiero. 
L'amore  è  la  ricchezza,  e  i  deboli  son  sempre  poveri. 


tn  nessun'altra  passione  l'individuo  afferma  la 
sua  autonomia,  la  sua  indipendenza  dalle  altre 
creature,  quanto  nella  sete  del  vero.  È  codesto  un 


LE  ESTASI  DEL  P£NBI£BO  227 

egoismo  sablime  (se  mi  è  lecito  a  significare  un 
concetto  astraso  fare  questo  incesto  di  due  parole) 
in  cui  rio  afferma  tutta  la  sua  potenza,  tutte  le 
sue  attitudini,  tutte  le  possibilità  del  proprio  mi- 
crocosmo. £)  questa  la  passione  più  subiettiva  fra 
tutte. 

Per  amare  ogni  altra  cosa  animale  e  viva  con- 
viene essere  in  due  o  in  molti.  Oli  affetti  ardenti 
che  proviamo  per  la  donna,  per  il  figlio,  per  la 
madre,  per  la  patria,  son  sempre  altruismi,  nei 
quali  altre  creature  sono  necessarie  per  farci  felici; 
e  gran  parte  della  nostra  estasi  è  afftdata  a  condi- 
zioni, esteriori,  che  noi  non  possiamo  dominare  colla 
nostra  volontà,  dirigere  col  nostro  desiderio.  Quante 
trepidazioni,  quanti  pericoli  di  arsura  e  di  gran- 
dine, di  crittogame  e  di  meteore,  prima  di  portare 
al  covone  la  spiga,  che  noi  abbiamo  seminata  e 
bagnata  del  nostro  sudore  ! 

Nella  ricerca  del  vero  nessuna  donna,  nessun 
figlio,  nessuna  moltitudine  è  necessaria.  Il  nostro 
amore  è  un  astro  che  è  in  noi,  o  nel  cielo  creato 
da  noi;  il  consenso  altrui  non  è  necessario,  perchè 
qnéìTaUrui  è  la  x  fredda  come  lo  spazio,  infinita 
come  lui.  Non  abbiamo  bisogno  di  seduzioni,  di 
preghiere,  di  viltà.  Quel  cielo  che  vogliamo  con- 
quistare è  a  tutti  aperto  :  vi  sono  astri  per  tutti 
i  telescopii,  scoperte  per  tutti  gli  ingegni,  gloria 


228  CAPITOLO  xvm 


per  tatte  le  ambizioni.  Dipende  da  noi,  da  noi  sol- 
tanto il  drizzare  il  nostro  obbiettivo  sa  un  punto 
qualunque  dello  spazio;  da  noi  solo  dipende  lo 
scoprire  un  asteroide  o  un  sole,  una  cometa  o  una 
pleiade  di  mondi.  Mai  in  nessun'altro  caso  noi  sen- 
tiamo tutto  il  valore  di  ciò  che  siamo,  di  ciò  che 
possiamo  essere.  • 


L'ingegno  umano  che  si  afiferma  ha  dei  soliloqui 
sublimi,  che  forse  nessuno  ha  scritto  né  scriverà 
mai.  Son  brevi,  sono  intensi,  corruscano  di  tuoni  e 
di  fulmini.  Solo  i  grandi  ingegni  li  provano,  per- 
chè essi  soli  hanno  la  beata  fede  in  sé  stessi,  né 
esitano  per  sapere  in  qual  punto  dello  spazio  hanno 
a  drizzare  lo  sguardo,  per  ricercarvi  quel  vero  ohe 
sembra  aspettarli.  Chi  ignora  la  zona  del  cielo  che 
deve  esplorare  é  perché  non  è  atto  a  scoprire  al- 
cuna parte  di  vero.  L'America  attendeva  Colombo, 
la  mela  aspettava  Newton,  e  la  lampada  Galileo. 
Così  due  creature  che  si  hanno  a  stringere  nel- 
l'amplesso di  un  grande  amore,  nascono  lontani 
l'un  dall'altro;  ma  s'incontrano  e  si  assorbono. 

Se  il  genio  non  fosse  il  frutto  di  alberi  vissuti 


LA  BICEBCA  DEL  VBBO  229 

lungamente  in  un  ambiente  ohe  ne  preparava  i 
germi,  il  sacco,  i  prolami;  parrebbe  all'esame  su- 
perficiale di  chi  osserva  poco  e  male,  che  il  genio 
non  abbia  bisogno'  di  influenze  esteriori  ;  ohe  anzi 
afifermi  la  propria  potente  individualità  con  tanto 
pii\  d'energia  quanto  più  contrarli  abbia  i  venti, 
quanto  più  avverse  le  circostanze.  I  venti  ghiac- 
ciati dell'indifferenza  tentano  di  arrestarlo,  i  suc- 
chi amari  dello  scherno,  il  ridicolo  e  l'invidia,  il 
sofisma  e  la  calunnia  tentano  avvelenarlo,  mor- 
derlo, avvilirlo.  Tutto  invano  :  il  vero  è  là,  ed  egli 
là  andrà.  Quel  territorio  è  suo,  suo  per  diritto 
divino  ed  umano.  Arrestarsi  sarebbe  lo  stesso  di 
voler  impedire  la  caduta  dei  gravi,  o  far  risalire  i 
fiumi  alla  sorgente.  Nessun  orgoglio  più  legittimo, 
nessuna  fede  più  incrollabile,  nessuna  vittoria  più 
sicura.  Leggete  le  storie  di  tutti  i  grandi  uomini, 
di  tutti  i  martiri  del  vero,  da  Archimede  a  Go« 
lombo,  da  Oalileo  a  Lavoisier,  e  vi  troverete  que- 
sta leggo  ineluttabile  che  li  guida  al  vero,  dovesse 
pure  costar  loro  la  povertà  o  la  prigione,  lo  scherno 
o  la  ghigliottina. 

Tutti  i  grandi  amori  hanno  martiri  e  suicidi;  e 
così  li  ha  l'amor  del  vero,  uno  dei  più  grandi,  dei 
più  tenaci  che  faccia  battere  il  cuore  e  palpitare 
il  cervello.  Anche  la  vita  non  diventa  per  questi 
semidei  della  famiglia  umana  che  il  combustibile 


230  CAPITOLO  xvin 


ohe  devono  consumare  nella  corsa  lunga  o  breye 
che  li  aspetta  onde  giungere  alla  meta  desiata. 
Dite  ^  un  grande  lavoratore,  a  un  martire  della 
biblioteca  o  del  laboratorio ,  eh'  egli  accorcia  la 
vita,  ch'egli  si  uccide,  e  tutti  vi  rideranno  in  fac- 
cia. Tutti,  con  poche  varianti,  vi  daranno  la  stessa 
risposta  del  grande  Pernel: 


Tarn  longa  quiescendi  tempora  fata  dahunt. 

E  più  dolorosi  e  lunghi  saranno  i  sagrifisii,  più 
tremendi  gli  ostacoli,  e  più  gigante  crescerà  quel 
divino  amore  del  vero,  che  è  uno  dei  titoli  più 
alti  di  nobiltà  dell'umana  schiatta.  Le  lunghe  ri- 
cerche vogliono  che  la  donna  sia  dimenticata^  e 
Eva  tramonterà  per  sempre  dal  nostro  cielo;  le 
notti  hanno  ad  esser  vegliate  e  il  sonno  sarà  do- 
mato. Il  coro  dei  bambini  festanti,  le  strette  di 
mano  degli  amici  turbano  la  pace  e  il  silenzio 
necessario  alla  grande  conquista,  e  noi  staremo 
lontani  da  ogni  gaiezza  di  fanciulli,  da  ogni  con- 
versazione di  amici  giocondi.  Certe  scoperte  esigono 
che  ogni  ora  della  vita  sia  un  pericolo  o  un'an- 
goscia, e  noi  passeremo  tutte  le  ore  del  giorno 
nel  miasma  di  cadaveri  infetti,  nell'atmosfera  mor- 
tifera degli  ospedali;  noi  esploreremo  le  paludi 


r 


WS 


LE  ESTASI  DEL  PENSIBBO  231 

delP  Africa  o  (leirin<iia  per  cogliervi  un  nuovo  flore, 
o  dissotterrarvi  le  rovine  di  un  tempio  obliato. 

O  santo  :  vero,  o  Dio  degli  eletti,  tu  hai  voluto  la 
mia  giovineaissa  e  i  miei  amori,  tii  mi  hai  chiesto 
le  feste  dolisi  primàtstfa  e  le  sieste  deirestate,  tu 
mi  hai  voluto  stKapjìare  i  fiori  dal  capo,  e  io  ti 
ho  dato  gioventù,  amori,  profumi  e  ebbrezze  della 
vita;  tutto  io  ti  ho  dato.  E  che  altro  vuoi  avere? 
Domanda  e  avjrai!  —  lo  son  tuo  è  per  sempre, 


* 


Oli  amori  intensi  non  consentono  altri  amori,  e 
(quando  la  ricerca  del  vero  è  passione  ed  è  reli- 
gione; è  afifetto  ed  è  sete;  è  sentimento  ed  è  pen- 
siero; è  adoraiione  ed  è  culto;  ambizione,  gelosia, 
fame  di  voluttà  divcnitano  pruriti  che  toccano  ap- 
pena  l'epidermide.  Chi  ricerca  il  vero  soltanto  per 
fame  strumento  di  agiatezza  o  di  gloria  spera  in- 
vano le  sante  estasi  ed  i  rapimenti  ineffabili.  Le 
sue  gioie  saranno  misurate  dal  plauso  o  dalla  for- 
tuna, due  co.se  capricciose  e  mutabili  come  gli  \ 
uomini  che  le  danno. 

Preferisco  cento  volte   la   beata  ignoranza   del 
lavoro  alla  pnirigine  dei  falsi  lavoratori,  che  nella 


I 


332  CAPITOLO  xviri 


biblioteca  o  ael  laboratorio. sognano  o  sperano  le 
umane  vanità.  Fi^i  sacerdoti  di  una  religione  che 
pon  intendono  e^QOu  intenderanno  mai;  eretici  di 
una  fede  di  cui  non  sono  degni,  non  entreranno 
mai  nel  paradiso  dei  veri  santi  del  vero.  Spesso 
giungono  perfino  ad  esser  falsarli  del  vero,  quando 
giovi  ad  essi  il  far  circolare  una  £alsa  cambiale, 
che  inganna  il  volgo  e  spesso  anche  i  volgari  di- 
spensatori del  plauso  e  delle  onoranze.  Delinquenti 
del  vero,  falsarli  della  buona  fede,  spesso  si  uni- 
scono in  consorterie  accademiche,  vere  masnade 
di  briganti  intellettuali,  che  rizzano  falsi  tempii 
con  falsi  idoli,  e  là  si  incensano  a  vicenda,  lasciando 
fuori  della  chiesa  i  modesti  sacerdoti  della  reli- 
gione del  vero.  Tempi  nefasti,  nei  quali  questi 
briganti  possono  organizzarsi  ed  esser  forti;  tempi 
scellerati,  nei  quali  il  basso  livello  della  coltura 
e  della  fede  permettono  queste  vergogne  della 
storia. 


4e   Hi 


I  primi  germi  dell'  amor  della  scienza  esistono 
allo  stato  nascente  in  ogni  uomo;  dacché  la  cu- 
riosità, che  nel  mito  cristiano  segna  il  primo  pec- 


1 


LE  ESTASI  DEL  PENSIERO  233 


oato  commesso  nel  Paradiso  terrestre,  è  una  forma 
volgare,  umana  del  bisogno  di  sapere,  del  prurito 
irresistibile  di  cercar  cose  nuove  e  di  trovarle. 

Anche  V  animale  è  avido  di  cose  nuove ,  e  nel 
breve  giro  delle  sue  possibilità  fruga,  indaga, 
scruta,  allargando  ogni  giorno  i  confini  del  proprio 
orizzonte.  Da  queste  forme  crepuscolari  la  grande 
passione  sale,  sale  fino  alle  maggiori  altezze  del 
pensabile.  Nessun  uomo  è  capace  però  di  salire 
tutte  le  vette  del  pensiero  e  ognuno  nasce  con 
certi  istrumenti,  che  lo  rendono  capace  di  ascen* 
dere  per  certe  scale  e  impotente  a  salirne  altre. 
Ohi  sapesse  ascenderle  tutte  non  sarebbe  più  un 
uomo,  ma  un  Dio. 

Il  vero  non  è  soltanto  nel  mondo  della  natura, 
ma  in  quello  della  storia  e  delP  arte ,  e  si  ha  un 
vero  estetico ,  un  vero  morale ,  un  vero  che  è  la 
critica  della  verità.  Qualche  ingegno  eletto  nac- 
que a  grande  distanza  di  secoli  capace  di  salire 
due  o  tre  vette  della  grande  catena  del  conosci- 
bile e  il  vero  dell'arte  non  ha  sempre  impedito  di 
ricercare  con  passione  il  vero  delle  matematiche 
o  delle  scienze  fisiche  e  naturali. 

Si  ascendano  però  le  cime  dell'  Imalaia,  quelle 
delle  Alpi  o  delle  Cordigliere,  Testasi  è  eguale  e 
non  si  misura  dal  nome  della  cima  che  vogliamo 
salire,  ma  dall'ardore  della  passione  che  ci  tras- 


234  CAPITOLO  XVIU 


porta  lassù.  In  Asia,  in  Earopa,  in  America,  a 
tutte  le  più  grandi  altezze  1'  aria  è  sempre  para 
egualmente,  i  miraggi  sempre  stupendi. 

Chi  potrai  del  resto  comparare  i  rapimenti  del 
matematico  con  quelli  dello  storico,  del  natura- 
lista, del  psicologo?  Converrebbe  chiudere  nel 
proprio  cervello  tanti  genii  alati  quanti  ne  ha 
prodotti  Fumana  famiglia  nella  sua  storia,  ormai 
già  lunga  e  travagliata.  Per  poter  istituire  quel 
confronto  non  basta  più  la  trigonometria»  ma  si 
esige  una  psicologia  che  è  ancora  ai  primi  vagiti; 
occorrerebbero  forse  strumenti  ancor  non  inventati 
e  che  forse  segneranno  sulla  carta  le  vibrazioni 
più  eccelse  del  pensiero  e  le  più.  profonde  del 
Bentìmento;  così  come,  oggi  possiamo  trascrivere 
con  matematica  esattezza  i  moti  di  un  cuore  che 
pulsa,  di  un  polmone  che  respira,  di  un  muscolo 
che  si  contrae,  di  una  ghiandola  che  seceme. 
Aspettando  il  gen;iQ  poliaUil-o  e  gli  strumenti  non 
nati,  vediamo  di  segnare  a  grandi  tratti  le  forme 
più  salienti;  dell'  estasi,  che  accompagna  le  altis- 
sime gioie  della  ricerca  del  vero. 


ESTASI  DI  LABOBATOBIO  235 


*  * 


Nel  laboratorio,  dove  si  indagano  i  misteri  della 
vita,  e  nei  piooolissimi  movimenti  delle  piccolis- 
sime cose  si  cercano  quelle  leggi,  che  un  giorno 
si  troveranno  eguali  a  quelle  che  muovono  gli 
astri  nel  cielo,  ho  passato  ancor  io  gli  anni  più 
belli  della  mia  vita  e  le  ore  più  deliziose  dei 
miei  giorni.  Là  ho  trovato  anch'io  qualche  risposta 
a  domande  a  cui  non  avevano  ancora  risposto;  e  in 
quell'ambiente  silenzioso  e  sereno,  che  in  tutto 
ricorda  l'aria  di  un  tempio  in^cui  si  prega,  ho  ve- 
duto i  primi  rapimenti  verginei  di  giovani  disce- 
poli, che  sotto  i  miei  occhi  scoprivano  nuovi  veri. 
Discepoli  un  giorno,  oggi  maestri  miei;  giovanetti 
una  volta,  ora  gloria  d'Italia  e  il  più  caro  fra  gli 
onori  della  mia  canizie. 

Fra  gli  altri  non  dimenticherò  mai  la  vera  estasi 
a  cui  saliva  Giulio  Bizzozero,  quando  a  dne  metri 
forse  di  distanza  dal  tavolo  in  cui  io  stava  lavo- 
rando, egli  scopriva  nel  midollo  delle  ossa  un 
viscere  che  fabbrica  il  sangae.  Eravamo  soli  e  si 
taceva,  perchò  ognuno  esplorava  la  natura  del- 
l'infinitamente  piccolo.  L' occhio  di   entrambi  in- 


236  CAPITOLO  xvm 


tento  sali'  ooalare  di  quella  seconda  vista  ohe  è 
il  microscopio ,  affascinati  da  quello  stramento 
miracoloso,  che  d'ogni  cellnla  fia  an  astro,  e  d'ogni 
frammento  di  materia  viva  un  cielo.  Bizzozero  ad 
nn  tratto  si  alza,  come  di  scatto,  dal  sao  tavolo, 
e  mi  porta  nn  portaoggetti,  su  cui  stava  nn  prepa- 
rato microscopico.  Pochi  centimetri  di  una  lastra 
di  vetro  e  una  gocciola  d'acqua:  tutto  un  mondo. 
Egli  su  quel  vetro,  in  quella  gocciola  d'acqua  leggeva 
un  nuovo  vero  :  in  quel  portaoggetti  egli  scorgeva 
il  primo  raggio  che  gli  apriva  le  vie  della  gloria. 
Non  aveva  bisogno  del  mio  consiglio,  né  della 
mia  luce;  ma  alle  sue  covinzioni  voleva  aggiungere 
anche  la  mia.  Il  genio  è  sempre  modesto,  perchè 
la  modestia  è  il  pudore  della  forza.... 

Sì,  quei  globuli  son  globuli  rossi  e  son  vecchi 
e  son  chiusi  entro  un  protoplasma  che  da  ogni 
parte  li  cinge. 

Ebbene,  caro  professore,  questo   è   midollo  di 

osso  giovane  e ;•....•. 

.    .    .    •    e  voi  avete  fatto  una   scoperta  immor- 
tale. 

Bizzozero  taceva  e  ritornava  al  suo  tavolo  e  al 
suo  microscopio.  Guardava  e  riguardava  e  poi  a 
mezz'aria  aprofondava  quegli  occhi  di  aquila  nel- 
rorizzonte  lontano,  che  gli  si  apriva  dinanzi  cosi 
splendido,  così  infinito. 


ESTASI  DI  LABO^TOBIO  237 

Quante  estasi  di  laboratorio  si  celano  in  ogni 
officina  di  fisiologo,  d'istologo,  di  chimico  o  di  fi- 
sico o  d'altro  indagatore  dei  segreti  della  natura! 
Si  celano  agli  occhi  dei  profani,  ma  sonp  intime, 
profonde,  indescrivibili. 


Mai  o  quasi  mai  la  scoperta  si  trova  come  un 
diamante  perduto  per  via,  ma  si  presente,  si  in- 
dovina; ma  si  conquista  con  un  andare  e  un  ve- 
nire, con  un  avanzaci  e  un  ritornare  sui  propri 
passi;  si  abbraccia  dopo  un  lungo  Calvario  di 
dubbiezze,  di  tentennamenti,  di  prove  e  di  riprove  ; 
diciamolo  pure,  spesso  dopo  un  lungo  martirio  di 
angoscie  e  di  timori. 

Davanti  a  noi  le  tenebre  dell'ignoto,  e  queste 
tenebre  non  si  sono  lasciate  rischiarare  dal  più 
debole  barlume  di  luce ,  anche  dopo  il  lungo  at- 
trito di  lunghissime  meditazioni.  ]!fou  sappiamo 
se  la  strada  sia  a  destra  o  a  sinistra,  se  si  debba 
scendere  o  salire.  Ma  ecco  che  a  un  ti'atto  quelle 
tenebre  si  squarciano  e  un  lampo,  un  lampo  solo 
di  fugacissima  luce ,  ci  addita  la  via.  É  la  divi- 


238  CAPITOLO  XVIII 


nazione  del  genio,  è  lo  scatto  elettrico  della  langa 
tensione  del  dubbio. 

La  strada  è  là,  è  là  in  fondo  dinanzi  a  noi, 
ma  e  per  andarvi  come  si  fa?  —  La^lnoe  del 
lampo  è  svanita.  Alla  divinazione  deve  tener  dietro 
la  ricerca  ;  la  ricerca  lenta,  paziente,  instancabile, 
e  solo  quando  slam  giunti  al  fine  della  via,  e 
che  mettiamo  la  mano  tutta  intiera,  larga  e  avida 
di  possesso,  su  quel  gioiello  di  vero  che  avevamo 
intraveduto,  indovinato,  presentito;  è  allora  sol- 
tanto che  chiudendo  il  pugno  proviamo  l' estasi 
suprema  del  possesso  pieno,  della  conquista  legit- 
tima e  meritata  del  prezioso  tesorp. 

E  poi  il  volgo  osa  dire  che  a  fare  un  uomo  di 
scienza  basta  lo  sgobbare  paziente  del  bue  che  tira, 
dell'asino  che  gira  intorno  alla  pietra  del  mulino! 

Se  ogni  uomo  non  parlasse  che  di  ciò  ch'egli 
conosce,  quanto  fiato  risparmiato,  quante  bestem- 
mie di  meno,  quanta  giustizia  di  più! 


Nei  laboratorii  e  nei  musei  vi  sono  emozioni,  vi 
è  poesia,  vi  è  tutto  un  mondo  di  estasi  serene 
da  avanzare  le  voluttà  del  talamo,  e  i  rapimenti 


WBdÉìÉH^H 


L'ESTASI  MATEMATICA  239 


della  chiesa.  É  vero  pero  che  i  laboratorii,  in  cai 
santamente  si  cerca  il  vero,  sono  talami,  perchè 
fecondano  gli  ingegni  e  i  campi  della  scienza; 
sono  chiese,  perchè  vi  si  adora  an  Dio  che  non 
avrà  mai  miscredenti. 


Le  ricerche  dei  campi  matematici  mi  danno  1 
brividi  dell'ammirazione  al  solo  pensarle,  e  io  le 
venero  in  ginocchio,  come  gli  ebrei  adoravano  il 
Sancta  sanctortim  del  loro  tempio,  dove  non  po- 
tevano entrare  senza  cader  fulminati. 

Un  uomo  che  ricerca  il  come  e  il  perchè  di 
tutte  le  cose  e  che  sale  tanto  in  alto  da  ridurre 
tutte  le  cose  esistenti  e  le  pensabili ,  a  punti,  a 
linee  e  a  segni  ancor  più  incorporei  del  numero  ; 
e  giucca  e  scherza  con  quei  punti  e  quelle  linee 
e  quei  segni  come  con  giocatoli  da  bambino, 
mentre  essi  sono  l'anima  delle  cose.  Un  uomo  che 
senza  macchine  e  senza  strumenti,  con  una  ma- 
tita 0  un  frammento  di  gesso  schiera  davanti  a 
sé  i  rapporti  delle  cose  e  li  fa  parlare  colla  forza 
magica  del  proprio  ingegno;  e  vede  quei  segni, 
quelle  linee  muoversi  come  per  incanto  davanti 
a  lui  e  parlare ,  svelando   le   leggi  di  un   mondo 


240  CAPItOLO  XVltl 


invisibile  agli  occhi  dei  più  e  ohe  pur  governa 
quell'altro  mondo  ohe  tutti  vediamo  e  tooohiamOé 

Gli  astri,  per  lontani  e  grandi  che  siano,  sono 
sempre  materia  spregievole  agli  occhi  del  mate- 
matico, perchè  egli  può  applicare  la  veste  delle 
sue  formolo  all'universo  e  all'infinito.  E  dallo  zero 
all'infinito  quell'uomo  mago,  in  un  pezzo  di  carta 
forse  non  pia  grande  del  palmo  della  mano ,  di« 
rigo  e  governa  il  mondo  delle  quaMità^  rivincendo 
le  astrazioni  del  pensiero  a  segni  che  governano 
tutte  le  cose  create.  Quei  pochi  sgorbii ,  quelle 
povere  lettere  dell'  alfabeto  separate  da  un  +  o 
da  un  —  imporranno  domani  la  loro  indiscutibile 
tirannia  alla  ruota  di  Un  arrotino  o  al  va  e  vieni 
di  uno  stantuffo,  così  come  alla  rotazione  degli 
astri  e  alle  vibrazioni  dell'etere. 

Un  matematico  può  vantarsi  di  portar  nella  pro- 
pria tasca  la  legislazione  dell'universo.  Ogni  for- 
mula nuova,  Che  egli  scopre  sulla  punta  della  ma- 
tita, è  una  chiave  che  apre  un  nuovo  mondo;  e 
finché  il  chimico,  il  fisico  e  quell'altro  fisico  che 
è  il  biologo  non  ottengano  dal  matematico  licenza 
di  formulare  con  quei  +  e  quei  —  e  con  quelle 
lettere  dell'  alfabeto  un  fenomeno,  questo  pub  es- 
sere intra vveduto ,  ma  non  è  cosa  nostra;  non  è 
materiale  sicuro  con  cui  si  possa  rizzare  un  murò 
o  una  casa» 


=1 


L' ESCASI  MA1:£])1ÀTICA  241 

■ _ 

La  matematica  prevede  il  fenomeno  non  veduto, 
e  corregge  o  consacra  il  fenomeno  intraveduto  ;  è 
la  pietra  di  paragone  che  senza  errore  distingue 
Toro  dal  similoro  e  che  battezza  i  travagli  degli 
uomini,  che  distingue  i  figli  legittimi  dai  bastardi. 
Il  numero  è  faro  di  luce,  che  spia  l'orizzonte  e  ci 
rivela  mondi  nuovi,  ed  è  lente  ohe  distingue  il 
fantasma  dal  corpo,  il  pensabile  dal  pensato.  Tal- 
lucinazione  dalla  visione.  11  numero,  se  non  è  il 
più  bello,  è  il  più  grande  dei  tesori  umani,  è  la 
più  grande  delle  nostre  conquiste.  L' uomo  non 
afferma  mai  tutta  la  propria  grandezza,  tutta  la 
capacità  sua,  quanto  in  una  formula.  Forse  i  se* 
coli  futuri  troveranno  spregevoli  molte  opere  d'arte 
dinanzi  a  cui  oggi  ci  inchiniamo,  ma  il  polinomio 
di  Newton  governerà  uomini  e  cose,  finché  il  oer* 
vello  umano  avrà  la  struttura  anatomica  che  ha 

oggi- 
I  matematici  non  sono  spesso  eloquenti,  e  non 

hanno   neppure  bisogno   deU'  eloquenza.  -^  Qual 

periodo  di  Demostene  o  di  Cicerone  potrebbe  aver 

l'efficacia   di  una  formula,  qual  lingua  potrebbe 

esprimere  meglio  la  verità  delle  cosel  —  Auguro 

però  all'umana  famiglia  che  un  matematico  futuro 

abbia  a  nascere  così  espansivo  e  così  eloquènte 

da  narrarci  le  sante  estasi  della  lavagna;  dove  le 

x,ley  ei  coseni  devono  sembrar  più  belli  al  cèr* 

Estaai  umane.  —  U.  16 


242  CAPITOLO  XVIII 


vello  umano  della  Frine  e  di  Venere;  dove  l'uomo 
deve  sentirsi  eguale  al  Dio  deUa  Bibbia,  che  con 
un  motto  solo  separava  le  acque  dalla  terra ,  e 
convertiva  il  caos  in  un  mondo  di  ordine  e  di 
misura. 


Non  men  belle,  non  meno  grandi  devono  essere 
le  estasi  dello  storico,  del  psicologo,  del  crìtico, 
che  ricercano  il  vero  fra  le  rovine  del  passato,  nei 
labirinti  del  pensiero  e  delle  biblioteche. 

La  santa  incontentabilità  del  pensatore  ci  spinge 
a  ricercare  il  vero  fra  le  tenebre  di  tutte  queste 
fitte  ignoranze;  e  noi  ad  ogni  tratto  troviamo  tanti 
viluppi  di  errori,  tanti  roveti  di  falsi  battesimi, 
tanta  confusione  di  cose  e  di  parole  da  rìmanerue 
confusi  ed  avviliti.  Il  volgo  cammina  inconscio  o 
spensierato  sopra  ponti  in  rovina,  e  dorme  tran- 
quillo sotto  le  vòlte  di  edifizii,  che  devono  crollare 
da  un  momento  all'altro  ;  ma  noi  non  siamo  volgo 
e  non  sappiamo  accontentarci  di  quei  ponti  e  di 
quelli  edifizii.  Alle  impalcature  posticcie  o  tarlate 
noi  vogliamo  sostituire  ponti  di  granito  e  colonne 
di  marmo.  —  Questo  è  falso,  quest'altro  è  dubbio,  o 


LA  LAMPADA  DELLO  STUDIOSO  243 

incerto,  o  disoatibile.  —  Al  brutale  e  bestiale  di- 
lemma del  8Ì  e  del  no  noi  sostituiamo  cento  e 
mille  pietre  di  paragone,  ohe  danno  per  ogni  lega 
il  valore  reale  del  nobile  metallo;  in  luogo  dei 
dogmi  del  feticismo  mettiamo  tutte  le  infinite  gra- 
dazioni del  vero.  Per  il  volgo  ogni  cosa  mangia- 
bile è  dolce  o  amara,  ogni  cosa  toccabile  è  dura 
o  molle;  per  ogni  cosa  visibile  non  ha  che  luce 
o  tenebre,  bene  o  male,  gioia  o  dolore.  Noi  invece 
abbiamo  per  ogni  senso  cento  nervi,  e  per  ogni 
nervo  cento  e  mille  possibilità.  Quanti  raddoppia- 
menti dell'uomo,  quante  moltiplicazioni  miracolose 
di  rapporti  e  di  antitesi,  quanti  intrecci  ammirandi 
di  fila  infinite! 

E  spesso  noi,  dopo  le  lunghe  e  pazienti  e  in- 
stancabili e  sudate  ricerche,  vediamo  tutta  quanta 
la  orditura  delle  cose  messa  a  nudo  dalle  nostre 
dita  intelligenti  ed  operose;  e  quasi  fossimo  noi 
i  creatori  di  quell'ordine  vero,  di  quelle  verità 
ordinate,  sentiamo  Pestasi  del  vero  che  noi  ab- 
biamo messo  a  nudo  colPopera  nostra.  Scopritori 
come  Colombo,  legislatori  come  Solone,  rivelatori 
come  Galileo  o  come  Lavoisier,  contempliamo  cogli 
occhi  affascinati  quella  seconda  creazione,  che 
porta  alla  luce  del  sole  tesori  sepolti  e  obliati  da 
secoli. 

Nel  sacro  silenzio  delle  biblioteche  vi  son  certe 


244  OAPItOLO  XVIH 


mani  augeliohe,  ohe  tremano  e  sudano  sui  codici 
e  che  toooano  colla  riverenza  con  cui  il  sacerdote 
maneggia  l'ostia  consacrata.  Yi  sono  certe  palpita- 
zioni di  cuore  dell'erudito,  ch'egli  non  invidia  ad 
alcun  petto  innamorato  di  uomo  o  di  donna,  e 
che  non  potrebbero  rassomigliarsi  che  alle  trepide 
ansie  del  minatore,  che  col  martello  e  lo  scalpello 
segue  il  filone  di  una  miniera  sconosciuta.  Vi  son 
certe  estasi  dinanzi  alla  lampada  dello  studioso 
negli  arcani  travagU  delle  ore  notturne,  che  son 
ben  più  alte  di  tutte  le  voluttà  della  terra. 


Osanna  e  gloria  a  tutti  i  minatori  del  vero,  sia 
che  lo  ricerchino  col  tubo  d'un  microscopio,  o  sulla 
lavagna  del  matematico,  o  fra  i  volumi  delle  bi- 
blioteche; osanna  e  gloria  a  tutti  questi  estatici 
del  pensiero,  che  preparano  ai  figli  lontani  la  nuova 
religione  senza  simonie  e  senza  menzogne;  piena 
di  poesia,  perchè  figlia  della  creazUme;  piena  di 
idealità,  perchè  questa  non  è  né  sarà  mai  che  il 
superlativo  del  vero,  del  bello  e  del  buono. 


Capitolo  XIX. 


LE  ESTASI  DELLA  FANTASIA. 


Gli  abissi  del  profondo  e  delPalto.  —  Il  nanismo  e  il  giganti- 
smo nei  voli  fantasiosi.  —  Estasi  artificiali  e  spontanee  ;  sem- 
plici e  complesse  della  fantasia.  —  Possibilità  dell'avvenire. 


Gli  abissi  non  si  aprono  soltanto  nelle  fessure 
profonde  dei  ghiacciai  e  lungo  i  fianchi  dei  monti: 
ben  altri  abissi  troviamo  al  di  là  delle  nuvole^  al 
di  là  dell'aria  respirabile,  al  di  là  del  mondo  vi- 
sibile agli  occhi  nudi,  o  armati  di  telescopio.  Sono 
gli  abissi  del  pensabile,  dove  Fumana  fantasia  ama 
volare  estatica,  quasi  a  prendere  un  po'  di  fiato 
in  un  mondo  migliore. 

La  fantasia  è  la  più  alata  delle  creature  umane, 
e  batte  le  sue  grandi  ali  in  un  mondo  più  largo, 
più  alto,  più  profondo  di  quello  che  è  segnato 
dagli  obiettivi  dei  nostri  telescopii.  Pur  troppo 
però  quel  mondo  non  è  fatto  che  coi  fiori,  coi  co- 
lori, colle  gemme  del  mondo  visibile  e  palpabile. 
È  immagine  vecchia,  ma  nessun'altra  più  fedel- 
mente rappresenta  l'umana  fantasia:  essa  è  un 
caleidoscopio  che  converte  ad  ogni  movimento  in 


248  CAPITOLO  XTX 


fluire  fantastiche,  in  castelli  splendidissimi  pochi 
frammenti  di  vetri,  di  piarne,  di  pietruzze. 

TI  poeta  serba  all'immortaliti  alcnne  fra  le  piii 
belle  immagini  del  sno  caleidoscopio,  e  per  molti 
e  molti  secoli  noi  rivediamo  le  fantasie  pensate  dai 
cervelli  più  potenti,  dalle  fantasie  più  alate.  Una 
piccolissima  parte  soltanto  di  qaelle  imma^^ni  è 

■ 

fermata  dalla  fotografia  della  memoria,  e  anche 
il  poeta  più  fecondo  non  serba  a  sé  e  ai  posteri  | 

che  una  fra  molte  delle  fantasie  che  passano  e 
ripassano  davanti  agli  occhi  della  sua  mente.  E 
poi  vi  son  molti  e  molti  che  non  hanno  mai  scritto 
il  più  innocente  sonetto,  neppnre  un  madrigale  per 
nozze  ;  eppure,  almeno  in  qualche  giorno  della  lóro 
giovinezza,  ebbero  le  loro  visioni.  Molti  sono  come 
il  gatto,  che  non  è  grazioso  che  quando  è  bam- 
bino, sono  come  l'usignuolo  ohe  non  canta  che  nelle 
brevi  settimane  de'  suoi  amori.  Altri,  senz'  e«ser 
poeti,  possono  col  solo  chiuder  gli  occhi,  e  un 
piccolo  colpo  di  sprone  alla  loro  fantasia,  veder 
passare  davanti  agli  occhi  epopee  d'immagini,  di- 
tirambi comici  e  sublimi  di  figure,  di  forme,  dì 
colorì.  Goethe  ha  studiato  in  sé  questa  facoM; 
ma  molti  la  posseggono,  senz'avere  il  genio  del- 
l'autore del  Faust  e  di  Ifigenia. 

In  alcuni  le  fantasie  son  tutte  di  colori;  son 
danze  scapigliate  di  raggi,  di  aureole,  dì  iridi,  di 


LE  ESTASI  DELLA  FANTASIA  249 


fnoobì,  di  fiamme.  Se  il  mio  diletto  amico  Edmondo 
De  Amifìis  ha  visioni  oaleidosoopiohe,  deve  averle 
di  questa  natara,  tanto  egli  è  colorista,  e  come  Ini 
devono  averle  anche  i  grandi  pittori  della  scuola 
veneziana. 

E  ohi  adora  la  donna  sopra  ogni  altra  creatura 
deve  sognare  olimpi  infiniti  così  ricchi  di  linee 
curve  e  rosee  da  far  impallidire  i  zenanu  dei  sul- 
tani di  Bagdad,  di  Delhi  e  di  Lucknow. 

E  chi  vive  di  simmetrie,  e  di  esse  si  innamora 
come  dell'espressione  più  fedele  e  più  plastica  del 
vero,  deve  sognare  mondi  più  simmetrici  dei  tipi 
cristallini  del  mineralogista,  e  geometrie  più  per- 
fette dell'architettura  greca,  e  inebbriarsi  di  linee 
e  di  angoli,  che  non  sanno  deviar  l'un  dall'altro 
d'un  millesimo  di  grado. 

E  così  ciascuno  sogna  le  sue  fantasie,  secondo 
la  natura  del  proprio  cervello  e  l'eccitamento  par- 
ticolare in  cui  si  trova;  dacché  la  nostra  imma- 
ginazione può,  colla. stessa  facilità  di  un  cannoc- 
chiale che  alternativamente  si  prendesse  per  l'ocu- 
lare o  per  l'obiettivo,  ingrandire  all'infinito  le  cose 
o  impicciolirle  infinitamente.  Lo  stesso  mondo  re«ale 
diviene  una  fantasia  col  solo  fatto  di  essere  ingran- 
dito di  mille,  di  centomila,  di  un  milione  di  volte, 
o  di  essere  impicciolito  nella  stessa  misura.  Il  Par- 
tenone chiuso  nel  ditale  di  una  donna  è  un  mo« 


260  CAPITOLO  XIX 


8tro  del  mìcrooosmo  fantastico;  così  come  una 
violetta  granile  come  il  sole  è  un  mostro  del  ma^ 
crocosmo.  La  proporzione  delle  cose  è  tale  un  ele- 
mento di  esse,  da  bastare  a  deformarle,  a  trasfor- 
marle in  altrettante  creature  quanti  sono  i  diversi 
ingrandimenti  e  i  diversi  impicciolimenti.  E  que- 
sto è  uno  dei  più  facili  giuochi  della  fantasia,  una 
delle  prime  lettere  del  suo  alfabeto.  I  giganti  e  i 
nani,  i  Oolia  e  i  Lilliputti,  che  trovate  con  diversi 
nomi  in  tutte  le  mitologie  e  in  tutte  le  lettera- 
ture del  mondo,  sono  giuochi  di  questa  natura. 


*  4t 


L'impicciolire  le  cose  grandissime  le  avvicina  a 
noi,  rendendole  più  carine  e  risvegliando  in  noi 
il  desiderio  di  possederle. 

Una  noce  che  contenga  un  mondo  è  un  sogno 
sognato  fin  dai  fanciulli,  e  un  popolo  intiero  di 
uomini  divenuti  grandi  come  formiche  e  che  pos- 
Siam  chiudere  nel  cassetto  è  una  fantasia  pensata 
da  mille  uomini  in  tèmpi  diversi.  E  veder  chiusi 
in  un  bottoncino  di  rosa  di  maggio  tutta  una  le- 
gione di  fanciulle  rosee  come  i  suoi  petali  è  sogno 
di  giovinetti  casti  e  ebbri  d'amore. 


LE  ESTASI  DELLA  FANTASIA  251 

Quando  si  avrà  un'estetica  scientifica  si  leggerà 
un  capitolo  in  cui  si  discorrerà  :  D^l  nanismo  e  del 
(jfiganUsmo  delle  cose  nei  loro  rapporti  col  hello. 


* 
*  * 


Più  facile,  più  giocondo  alla  fantasia  è  però 
l'ingrandire  le  cose  piccole,  e  gli  Dei  d'ogni  Olimpo 
furono  sempre  giganti  creati  col  guardare  nel  mi- 
croscopio e  nel  telescopio  attraverso  l'oculare. 

A  questi  ingrandimenti  non  v'ha  limite  di  mi- 
sura. D  meno  fantasioso  di  noi  può  figurarsi,  in 
un  baleno,  ohe  gli  astri  del  cielo  non  sono  che 
globuli  di  sangue  che  si  muovono  nei  vasi  capil- 
lari di  un  organismo  fra  i  più  piccoli  di  uno  dei 
più  piccoli  mondi  dell'universo  ;  e  che  piante,  ani- 
mali e  nomini  non  sono  che  parassiti  infinitamente 
piccoli  di  quei  globetti.  E  i  milioni  di  secoli  d'in- 
candescenssa  degli  astri  non  sono  che  combustioni 
istantanee,  ossidazioni  di  materia  nella  vita  di 
miliardi  di  secoli  di  quell'organismo,  ohe  è  forse 
studiato  sotto  ad  un  microscopio  da  una  creatura 
un  milione  di  volte  maggiore  di  lui. 


252  CAPITOLO  XIX 


Dacché  Va  e  l'u  delle  cose  e  del  tempo  sfiiggODO 
al  pensiero  umano  (e  in  ciò  genìi  e  volgo  sono 
allo  stesso  livello  d'ignoranza),  noi  possiamo,  gìno- 
cando  il  giuoco  delle  scatoline  di  Benares,  supporre 
ohe  la  millesima  e  piti  piccola  scatolina  concen- 
trica contenga  un  altro  milione  di  scatole  mi- 
nori; così  come  possiamo  immaginare  che  la  sca- 
tola più  grande  che  tutte  le  contiene  sia  più  grande 
dell'universo  pensabile.  Nulla  è  nel  mondo,  e  per 
l'uomo,  grande  o  piccolo;  tutto  è  piccolo  o  grande, 
secondo  la  posizione  in  cui  collochiamo  le  cose  che 
vogliamo  misurare,  cioè  comparare. 


Che  se  al  nanismo  e  al  gigantismo  delle  cose 
voi  aggiungete  le  mille  altre  combinazioni  del  co- 
lore, della  figura,  della  forma,  e  gli  intrecci  sva- 
riatissimi  di  tutti  questi  elementi,  voi  capirete 
facilmente  di  quanto  materiale  disponga  la  nostra 
fantasia,  quando,  agitando  il  proprio  caleidosco- 
pio, contempla  le  creature  immaginarie  di  un 
mondo  immaginario. 


..^A 


LE  ESTASI  DELLA  FANTASIA  253 

Ogni  notizia  raccolta  negli  archivi  del  passato, 
ogni  foglia,  ogni  fiore  colto  nei  giardini  della  terra, 
ogni  fatto  nuovo  spigolato  dalla  scienza,  aggiunge 
al  caleidoscopio  un  nuovo  frammento  di  materia, 
con  nuove  tinte  di  colori,  e  le  combinazioni  pos- 
sibili della  fantasia  si  moltiplicano  all'infinito. 

Le  centomila  fiabe  scritte  in  tutte  le  letterature 
del  mondo  non  sono  che  una  piccolissima  parte 
di  ciò  che  fu  pensato  dagli  scrittori  fantasiosi,  e 
ogni  pianeta  del  nostro  sistema  solare  e  ogni 
astro  del  cielo  potrebbe  avere  una  storia  fanta- 
stica di  creature  nuove,  di  nuove  piante,  di  esseri 
nò  piante  né  animali,  e  queste  fiabe  planetarie 
potrebbero  divertirci  e  riposare  il  pensiero  assai 
più  che  Tanalisi  minuta  del  fango  in  cui  razzo- 
lano molti  uomini  della  terra. 


*  « 


L'uomo  nato  senz'ali  può  per  alcune  ore  darsi 
l'ebbrezza  del  volo,  confidandosi  aUa  navicella 
d*un  aerostato.  E  così  l'uomo  che  ha  fiacche  le 
ali  della  fantasia  può  renderle  robuste  ooU'oppiQ 
ooll'haschisch,  colla  coca,  con  tutti  i  narcotici  da 
me  studiati  nei  Quadri  détta  natura  umana,  e  go- 
dersi così  in  modo  artificiale  le  estasi  della  fan- 


254  CAPITOLO  XIX 


tasia.  Queste  visioni  provocate  sono  anzi  più  ric- 
che di  forme  e  di  colori  di  quelle  ohe  occorrono 
pontauee  e  costituiscono  la  massima  gioia^  la  de- 
lizia prima  di  forse  mezza  l'umana  famiglia,  di 
quella  che  abita  V  emisfero  orientale  del  nostro 
pianeta. 

I  popoli  iconoclasti,  togliendo  ai  pittori  e  agli 
scultori  la  licenza  di  rappresentare  V  nomo  e  gli 
animali,  hanno  moltiplicato  all'infinito  la  fecon- 
dità ornamentale  dei  loro  artisti,  e  nessun  ornato 
greco  o  del  rinascimento  ha  mai  eguagliato  gli 
intagli  stupendi  dei  templi  musulmani  o  brami- 
nici.  E  così  i  ricchi  fantasiosi  d'Oriente,  non  spen- 
dendo alcuna  forza  nelle  lotte  del  pensiero  e  nelle 
battaglie  della  vita,  hanno  concentrato  tutte  le 
loro  energie  psichiche  nella  fantasia.  La  poesia 
in  Oriente  risente  di  questa  sovraecoitazione,  e  nei 
poeti  della  Persia  e  dell'India  è  facile  trovare  Tin- 
fluenza  dell'oppio  e  dell' haschisch. 


* 

*  * 


liare  volte  però  Y  estasi  fantastica ,  anche  se 
spontanea,  deve  le  sue  delizie  soltanto  ai  voli  della 
fantasia,  ma  si  complica  con  altri  elementi  aifet- 


LE  ESTASI  DELLA  FANTASIA  255 


tivi  o  estatici.  Le  visioni  ascetiche  sono  anch'esse 
fantastiche,  ma  la  sorbente  da  cui  scaturiscono 
è  per  sé  sola  nn  tale  elemento  da  dar  impronta 
specialissima  all'estasi,  come  già  abbiamo  lunga- 
mente veduto  nello   studio  delle  sante  estatiche. 

Così  il  poeta,  innamorato  di  certe  forme  dell'i- 
deale, è  rapito  in  estasi,  quando  la  volontà  non  può 
impossessarsi  delle  creature  alate,  che  gli  vanno 
roteando  intorno  alla  fronte  gloriosa.  Quando 
s' impadronisce  di  esse ,  quando  pur  fremendo  le 
incatena  ai  suoi  piedi,  e  le  descrive  e  le  intreccia 
in  gruppi  e  in  ghirlande,  l'estasi  si  trasforma  in 
creazione,  le  forme  indistinte  e  vaghe  si  cristal- 
lizzano nella  parola  o  nel  verso.  La  voluttà  e  l'e- 
stasi, le  due  forse  pid  alte  cime  del  mondo  umano 
nel  campo  delle  sensazioni  e  in  quello  del  pen- 
siero, non  possono  aver  parole  che  ce  le  dipinga 
nò  frase  scientifica  che  ce  le  descriva.  Voluttà  e 
estasi  son  creature  nude  e  alate;  ma  anche  la 
nudità  e  l' ala  sono  senza  colore  e  senza  forma. 
Quando  la  parola  è  riuscita  a  vestirle,  esse  sono 
morte.  Sono  farfalle  infilzate  da  uno  spillo ,  sono 
paradisee  impagliate,  colibrì  imbottiti,  stelle  di- 
stese sugli  atlanti  astronomici;  son  gusci  di  una 
creatura  che  pia  non  esiste. 

Non  disperiamo  però  dell'avvenire  della  scienza, 
che  ha  ad  essere  infinita  come  infinito  è  l'abisso 


366  CAPITOLO  XIX 


della  nostra  ìgnorauza,  come  iuoommeiisiirabile  è  la 
corda  dei  nostri  desiderii.  La  fotografia  nata  ieri 
non  è  forse  già  riuscita  a  fermar  sulla  carta  il 
convulso  spumeggiar  dell'onda,  il  galoppo  del 
cavallo,  la  corsa  di  una  palla  di  cannone?  E  per- 
chè un  giorno  una  lastra  sensibile  come  i  nostri 
cervelli  non  potrà  serbare  l'immagine  delle  vibra* 
zioni  nervose  di  un'estasi  e  di  una  voluttà  t 

Un  fenomeno  psichico,  per  quanto  alto,  oscuru, 
complesso ,  fugacissimo,  è  però  sempre  un  movi* 
mento,  nuU'altro  che  un  movimento  ;  e  quando  si 
riesce  a  trasformarlo  in  una  reazione  chimica,  che 
si  fìssi  e  divenga  permanente,  l'equazione  è  conqui- 
stata, e  il  secondo  termine  di  essa,  corrispondendo 
al  primo,  ne  deve  risvegliare  l'immagine  nella  mente 
umana.  £}  in  questo  modo  che  una  musica  caii* 
tata  diviene  col  fonofrago  una  musica  scritta,  un 
palpito  d' amore  diviene  nel  filo  telegrafico  una 
parola  scritta:  è  in  questo  modo  che  attraverso 
i  secoli  l'anima  umana  trema  ancora  commossa  al 
fiat  lux  di  Jeova ,  al  ta  quoque,  fiU  mi ,  di  Oiolio 
Cesare,  e  al  motto  poco  accademico,  ma  sublime, 
di  Cambronne. 


Capitolo  XX. 


LE  ESTASI  DELL'ELOQUENZA. 


A  proposito  del  Padre  Agostino.  —  La  parola  scritta  e  la 
parola  parlata  :  differenze.  —  Onnipotenza  della  parola  e  suoi 
j)ercliè.  —  L'oratore  e  il  suo  pubblico.  —  Estasi  reciproche.  — 

Orfeo. 


Estasi  itmarie.  —  II.  17 


Anch'io  quest'aano,  in  ano  degli  ultimi  giorni 
della  quaresima  me  n'andai  a  Pisa  per  ascoltare 
il  Padre  Agostino,  ohe  da  più  d'un  mese  affasci- 
nava e  rapiva  dall'alto  del  pulpito  del  Duomo  le 
moltitudini.  Gente  venuta  da  centinaia  di  miglia 
accampava  sulla  piaz/ia  per  aspettare  l'ora  in  cui 
si  sarebbero  aperte  le  porte  della  cattedrale; 
scienziati  miscredenti  lasciavano  la  cattedra  per 
udire  un  povero  frate,  ohe  parlava  di  un  Dio  in 
cui  essi  non  credevano.  Nelle  botteghe  e  nei 
cafE%  e  nei  teatri  e  nei  giornali  non  si  parlava 
che  del  grande  predicatore ,  e  l' entusiasmo  era 
arrivato  a  quel  punto ,  in  cui  la  discussione  non 
è  tollerata. 

Questi  miracoli  non  sanno  fare  che  i  forti,  e 
anch'  io  lasciai  la  cattedra ,  il  Museo ,  le  geniali 
conversazioni  degli  amici  di  Firenze  per  udire 
la  parola  del  frate,  per  ammirare  una  forza. 


260  CAPITOLO  XX 


Io  non  voglio  disoatere  qui  l'eloquenza  o  la&- 
oondia  di  Frate  Agostino;  noto  soltanto  il  fatto 
ohe  la  parola  di  lui  attraeva  e  conquistava  ogni 
giorno  migliaia  di  uomini  d'ogni  età,  d'ogni  sesso, 
della  più  divetìs^a  coltura.  Io  vidi  piangere  uomini 
e  donne  e  all'uscir  della  chiesa  vidi  abbracciarsi 
e  stringer  le  destre  gente  che  non  s'era  mai  vista, 
bisognosi  di  comunicare  ad  altri  la  piena  dell'e- 
mozione che  li  innondava  e  li  soffocava.  Io  assi- 
steva ad  una  scena,  che  si  è  ripetuta  più  volte 
nelle  pagine  della  storia:  la  parola  di  un  uomo 
che  fa  abbattere  idoli  antichi  e  ne  innalza  di 
nuovi  ;  la  parola  di  un  uomo ,  che  impone  ad  nn 
popolo  intiero  la  fede  o  l' anatema ,  la  guerra  o 
la  pace. 


Possiamo  dire ,  senza  esagerare,  che  la  parola 
è ,  se  non  la  prima ,  una  deUe  primissime  forze 
del  mondo  moderno.  É  nei  parlamenti  ohe  si 
fanno  le  leggi  e  parlamento  deriva  dal  verbo  |>ar- 
lare,  È  dal  pulpito  che  si  tiene  ancor  viva  in  gran 
parte  del  popolo  una  fede  infiacchita  da  lunghi 
secoli  di  lotta;  è  dalle  cattedre  che  si  insegnano 


LE  ESTASI  DELL'ELOQUENZA  261 

le  teorìe  filosofiche,  le  ipotesi  della  scienza;  V  in- 
dirìzzo  dei  metodi. 

Nei  comizi  popolari  si  adula  o  si  vitapera  il 
governo  e  si  battezzano  i  candidati  alla  sovra- 
nità popolare,  e  nei  parlamenti  è  colla  parola 
che  si  consacrano  i  generali,  e  i  bassi  nfficiali;  e 
dal  banco  dei  ministri  è  ancora  la  parola  che 
riesce  a  far  passare  il  paradosso,  a  far  applaudire 
la  menzogna,  a  consacrare  il  sofisma.  Golia  pa- 
rola si  può  osar  tutto,  e  conquistata  la  vittoria 
nessuno  le  fa  il  processo  per  discuterla  o  cancel- 
larla dalla  storia. 

tà  come  per  la  guerra  :  chiamatela  pure  l' in- 
giustissima fra  le  ingiustizie,  chiamatela  pure 
violenza,  diritto  del  più  forte;  ma  è  colla  guerra 
che  si  conquista  la  civiltà,  è  colla  guerra  che  si 
difende  il  diritto;  perchè  essa  è  la  somma  di 
tutte  le  forze  d'un  popolo. 

Così  la  parola  parlata  è  un'  altra  prepotenza 
d'ordine  morale,  ma  è  la  somma  di  cento  e  cento 
forze,  e  chi  la  possiede  e  l' adopera  è  forte  e 
avrà  sempre  ragione  contro  i  deboli. 

Kon  crediate  che  io  voglia  giustificare  le  pre- 
potenze ,  sieno  desse  imposte  col  tuono  dei  can- 
noni 0  della  eloquenza,  delle  baionette  o  della 
parola  affascinante.  Constato  il  fatto  e  lo  studio. 
La  critica  della  scienza  e  i  pudori   della  morale 


262  CAPITOLO  XX 


non  hanno  mai  limato  il  dente  alla  tigre,  né  reso 
innocuo  il  veleno  della  vipera;  e  vipere  e  tigri 
nascono  senza  il  nostro  consenso.  Negare  la  forza 
è  chiudere  gli  occhi  per  non  vedere  V  assassino, 
e  vai  meglio  cento  volte  affermarla,  e  studiarla^ 
per  vedere  fin  dove  essa  vada  a  braccetto  col 
diritto,  e  dove  essa  lo  abbandoni. 


Le  parola  parlata  è  onnipotente,  perchè  è  pen- 
siero ed  è  sentimento ,  perchè  essa  ci  entra  per 
le  orecchie,  per  gli  occhi,  per  la  mente,  e  ci  ab- 
braccia e  ci  stringe  fra  le  spire  d'  una  triplice 
schiera  di   forze.  La  parola  scritta  è    fortezza 
che  difende,  è  punto  d' appoggio  per  le  truppe 
combattenti,  è  rifugio  ai  vinti  e  sostegno  ai  vin- 
citori. La  parola  parlata  è  fanteria  che  trascina 
le  masse  nemiche,  è  artiglieria  ohe  le  scompiglia, 
è  cavalleria  che  le  disperde.  La  parola  parlata  è 
soffio  umano  che  è  mosso  dal  pensiero,  ma  che  è 
riscaldato  dal  cuore,  che  è  vestito  di  carni,  che 
riscalda  e  sconvolge  in   una  volta  sola  il  nostro 
pensiero,  il  nostro  cuore;  che  fa  vibrare  tutto  ciò 
che  è  in  noi  di  umano. 

Pensiero  che  persuade,   sentimento  che  affa- 


LE  ESTASI  DELL'ELOQUENZA  263 

soina,  vooe^ohe  innamora:  e  oome  resistere  a  tante 
e  così  diverse  forze ,  che  oi  danno  l' assalto  in 
nna  volta  sola? 

Leggete  Bossnet.  Massillon,  Boardaloae»  Demo- 
stene, Cicerone,  Mirabeau,  O*  Connell,  Minghetti, 
Mancini,  Gastelar,  e  voi  non  avrete  che  una  pallida 
idea  della  terribile  potenza  di  qaesti  oratori.  Voi 
non  avete  sotto  gli  occhi  che  lo  scheletro  di  un 
corpo  venasto;  e  chi  potrebbe  innamorarsi  delle 
ossa  di  Frine  o  della  Madonna  della  Seggiola? 


La  parola  parlata  non  si  conserva  dai  migliori 
stenografi  del  mondo  che  come  nna  pallida  om- 
bra di  nn  corpo  vivo.  L' eloquenza  della  parola 
non  ha  fotografo  che  ce  la  dipinga  :  essa  vive 
nell'  aria  e  passa  dal  labbro  al  onore ,  senza  che 
alcnn  strumento  umano  l' arresti  o  la  conservi. 
Lastre  iodurate  e  fonografi,  matite  di  stenografi 
e  memorie  magliabechiane,  vengono  meno  all'au- 
dace impresa.  Lo  stesso  sarebbe  voler  fissare 
sulla  tela  o  sulla  carta  l' aria  dorata  o  imbalsa- 
mata di  un  dì  di  maggio.  Voi  la  respirate,  voi 
ve  ne  inebbriate  e  vi  basti.  A  chi  più  voglia  ser- 
vite conserva  di  sole,  e  iridi  imbalsamate. 


2G4  CAPITOLO  XX 


Avete  voi  mai  pensato  a  ciò  che  è  la  parola 
eloquente  d'un  uomo  ispirato;  sia  poi  sacerdote 
nel  tempio  o  oratore  in  quell'altro  tempio  che  è 
la  scuola  o  tribuno  in  parlamento?  Avete  voi 
mai  pensato  a  tutta  quella  falange  di  forze,  che 
prepara  quel  fulmine,  che  atterra  e  che  consola^ 
che  uccide  o  semina  la  vita? 

Si  nasce  oratori,  ma  non  si  dominano  le  turbe 
ohe  coi  primi  capelli  bianchi ,  quando  attraverso 
i  nervi  nostri  tutte  le  creature  morte  e  viventi 
hanno  inviata  la  loro  voce  e  il  loro  pensiero.  Le 
passioni  devono  avere  dato  i  primi  morsi,  noi 
dobbiamo  aver  pianto  e  aver  riso  ;  noi  dob- 
biamo aver  accarezzato  il  capo  innocente  dei 
bambini  e  dobbiamo  aver  sentito  correrci  per  le 
spalle  r  onda  elettrica  delle  chiome  di  Eva ,  noi 
dobbiamo  aver  gustato  l' amaro  dei  veleni  del 
cuore  e  assaporato  il  nettare  dei  calici  fioriti.  E 
poi  tutto  questo  non  sarà  che  la  veste  del  pen- 
siero, ma  la  mente  di  cento  pensatori  deve  aver 
pensato  con  noi,  e  senza  cessare  di  essere  noi, 
dobbiamo  sentirci  fratelli  di  tutti  gli  uomini  che 
hanno  scalato  1'  Olimpo.  Conoscitori  profondi  del 
mondo  dei  morti  noi  dobbiamo  vivere  la  vita  dei 
vivi ,  e  leggere  nelle  coscienze ,  e  nei  volti  degli 
uomini  interpretare  i  palpiti  del  cuore  celato. 

L'oratore  che  non  sia  legato  per  nervi  invisibili 


LE  ESTASI  dell'eloquenza  265 

con  tatti  coloro  che  ascoltano,  non  è  oratore 
uè  lo  sarà  mai.  Ogni  accento  sno  deve  rispon- 
dere al  cuore  d' ognuno  che  lo  ascolta  ed  egli 
ha  a  sentire  in  una  volta  sola  tutte  le  emozioni  che 
risveglia  la  sua  parola  calda  e  ispirata.  E  più 
sono  i  cuori  che  vibrano  insieme  a  lui,  e  più  alta 
sale  la  sua  eloquenza;  e  ce  lo  ha  detto  da  molti 
secoli  uno  dei  primi  oratori  di  Boma  :  non  est  mor 
fffius  orator,  sine  multitudine  audiente,  e  con  parole 
poco  diverse  lo  ripeteva  Tacito. 


*  * 


Sian  pur  cento,  sian  mille  o  diecimila  gli  ascol- 
tatori, essi  devono  essere  tutti  conquistati  dal- 
l'oratore,, e  finché  egli  non  li  ha  tutti  quanti  af- 
fascinati e  fiisi  in  una  sola  e  compatta  indivi- 
dualità ,  che  si  chiama  un  pubblico  vinto;  1'  ora- 
tore non  può  aspirare  all'estasi  né  per  sé  né  per 
gli  altri.  Egli  é  il  pubblico  hanno  ad  esser  due 
creature  che  si  avvicinano,  che  si  attirano  reci- 
procamente, finché  un  amplesso  unico  e  potente 
non  li  fonda  in  una  creatura  sola. 

Finché  le  monadi  disperse  non  sono  tutte  ele- 
trizzate  colla  stessa  corrente,  finché  gli  individui 


266  CAPITOLO  XX 


esistono  isolati;  avrete  correnti  di  simpatia,  gia- 
dioi,  critici,  ascoltatori;  non  an  esercito  di  vinti. 

E  l'oratore  vede  e  sente  la  dispersione  della  tor 
lange  che  vuol  conquistare  e  come  ipnotizzatore 
abile  li  domina  ad  uno  ad  ano  o  per  grappi,  fin- 
ché non  li  abbia  tatti  avvinti  e  fatti  saoi.  E  l'ora- 
tore legge  negli  occhi  e  nei  gesti,  nel  silenzio  e 
nei  sospiri  l'invadente  conquista  ch'egli  va  com- 
piendo, e  la  parola  sua  si  fa  sempre  più  calda, 
più  ardente;  finché  i  mille  o  diecimila  sono  dive- 
nuti due  soli  uomini;  uno  dalle  mille  teste,  uno 
da  una  testa  sola.  —  Un  uomo  che  parla,  un  uomo 
che  ascolta,  un  uomo  che  conquista  e  un  uomo 
che  è  conquistato,  un  uomo  che  prostra  e  un 
uomo  ohe  ammira;  due  coscienze  umane  che  si 
specchiano  l' una  nell'altra,  che  si  amano,  che  si 
abbracciano  in  un  lungo  e  voluttuoso  amplesso. 
Ogni  parola  dell'oratore  ha  un  eco,  che  si  riper- 
CQte  mille  e  mille  volte  nel  pensiero  e  nel  cuore 
di  tutti:  ogni  suo  gesto  tocca,  accarezza,  scuote 
o  addormenta  tutta  quella  legione  di  anime.  Una 
battaglia  di  forze  morali,  e  una  grande  vittoria. 

Una  grande  vittoria  e  mille  vinti,  ma  senza  umi- 
liazione di  alcun  orgoglio.  Da  una  parte  la  luce 
che  illumina,  il  calore  che  riscalda,  la  forza  che 
trascina  ;  dall'  altra  i  palpiti  umani  di  chi  sente 
interpretati  i  pensieri  suoi  da  un  uomo  solo,  ohe 


LE  ESTASI  DELL'ELOQUENZA  267 

V 

è  nomo  come  lui  e  che  assorbe  i  pensieri  e  i  sen- 
timenti di  tutti  e  li  canta  con  una  voce  sola. 

Quel  fascino  è  ipnotismo  ed  è  estasi;  impallidi- 
scono 0  arrossano  i  volti,  e  un  moto  inconscio 
degli  occhi,  delle  membra  avvicina  quegli  uomini 
divenuti  un  uomo  solo  a  quelle  labbra  che  sem- 
brano parlare  in  nome  di  tutti,  e  in  nome  di  tutti 
sentire  e  piangere  e  sdegnarsi  e  amare  e  odiare 
e  sperare  e  maledire. 

Estatico  chi  ascolta;  estatico  chi  parla;  una 
delle  scene  più  grandiose  e  più  sublimi  del  mondo 
umano.  La  vita  degli  individui  fusa  e  incarnata 
nella  vita  di  un  solo,  che  per  tutti  parla,  per  tutti 
si  commuove  e  comanda  e  vuole.  Nessuna  contrad- 
dizione possibile,  nessuna  interruzione,  nessuna 
velleità  di  resistenze. 

Che  mostro  ! 

Ohe  angelo  ! 

Che  fascino  ! 

Quanta  armonia  ! 

Quanto  sentimento  ! 

Quanto  genio  ! 

Ma  quelVuomo  è  un  Dio!  Come  può  egli  aver  torto? 
Tutto  quanto  egli  dice  è  vero,  è  sublime  ;  noi  lo  ah- 
ìnamo  tutti  pensato,  ma  nessuno  di  noi  lo  ha  detto  mai 
come  egli  lo  sa  dire. 

B  in  alcuni  istanti  di  riposo  gli   ascoltatori  si 


268  CAPITOLO  XX 


guardano  negli  occhi  per  leggervi  lo  stesso  fa- 
scino, la  stessa  emozione,  lo  stesso  inno  di  ammi- 
razione; finché  scoppiano  gli  applausi  irresistibili 
o  un  mormorio  confuso  che  si  fa  fioco  per  paura 
di  perdere  una  goccia  di  quel  torrente.  Una  nota 
di  quell'armonia  fa  persuaso  l'oratore  che  la  fusione 
dei  cuori  è  avvenuta,  che  nel  tempio,  o  nella  scuola, 
o  nella  piazza,  o  nell'aula  del  parlamento,  non  vi 
sono  più  che  due  uomini  che  si  adorano,  che  son 
felici  di  godere  tanta  emozione,  che  son  superbi 
di  sentir  tanto,  di  poter  piangere  tanto,  di  poter 
tanto  pensare  nel  baleno  di  un  istante  che  fugge 
lontano  ad  ogni  parola,  ad  ogni  gesto,  ad  ogni 
grido  di  sdegno  o  di  osanna. 


♦  * 


La  favola  di  Orfeo  personifica  non  soltanto  il 
fascino  che  esercita  la  musica,  ma  i  rapimenti  del- 
l' eloquenza,  che  fu  in  ogni  tempo  uno  dei  doni 
più  invidiabili  del  cervello  umano.  Se  fra  tutti 
gli  animali  l' uomo  solo  parla,  benché  tutti  ab- 
biano un  linguaggio  per  esprimere  le  proprie 
emozioni;  soltanto  pochissimi  uomini  hanno  da 
natura,  e  perfezionano  coli'  arte,  questa  sovrana 


LE  EBTÀSI  DELL'ELOQUENZA  260 

potenza  di  trasformare  la  voce  in  una  forza,  che 
piega  gli  intelletti,  che  domina  i  cuori;  che  semina 
fra  le  moltitudini  le  simpatie,  ^li  entusiasmi,  il 
delirio. 

Tutte  le  donne  di  questo  mondo  possono  dirvi: 
io  ti  amo;  ma  una  sola  ha  saputo  dirvelo  con  tanta 
soavità  di  accento,  con  tanto  pudore  o  tanta  pas- 
sione da  non  dimenticar  più  mai  la  divina  mu< 
sica  di  quelle  tre  semplicissime  parole. 

Così  tutti  gli  uomini  della  terra  sanno  parlare; 
ma  la  storia  registra  come  eroi  del  pensiero  quei 
pochi,  che  con  un  discorso  seppero  vincere  una 
battaglia  o  far  votare  una  riforma;  e  che  colla 
sola  voce  scrissero  nella  storia  d'un  popolo  una 
delle  pagine  più  belle  e  più  gloriose. 


Capitolo  XXL 

LE  ESTASI  DELLA;:L0TTA 
E  DELLA  POTENZA. 


Bapimenti  di  Cavour,  di  Garibaldi,  di  Moltke  e  di  Bismarck. 

—  Natora  complessa  e  indefinibile  di  queste  estasi.  —  Due 

parole  sulla  psicologia  della  volontà.  —  Locomotive  e  genii 

d'azione.  —  Brevità  e  intensità  di  queste  estasi. 


Ormai  son  vissato  più  ohe  mezzo  seoolOi  e  i  pò- 
ohi  anni  ohe  anoor  m'avanzano  di  vita  non  potranno 
essere  ohe  una  oontinaazione  della  stessa  stoffa, 
per  quanto  sia  tra  quelli,  che  molti  fili  hanno  tes- 
suto sulla  stessa  orditura.  Posso  quindi  dire  ohe 
io  non  ho  provato  né  proverò  mai  le  estasi  della 
lotta  e  della  potenza  politiea. 

Fatta  questa  oonfessione,  io  potrei  dire  ool  Pe- 
trarca : 

Or  convien  che  sfaccenda  ogni  mio  zelo, 
Si  ch'ai  mio  volto  Tira  addoppi  i  vaimi, 
Ch'io  porto  invidia  agli  nomini,  e  noi  celo  ; 

De'  quali  veggio  alcnn,  dopo  mill'anni 
E  mille  e  mille,  più  chiari  che'n  vita, 

Ed  io  m'avanzo  di  perpetui  affanni. 
l    . 

Ma  io  non  ho  mai  oonosoiuta  l'invidia,  e  spero 
di  morire  senz'averla  mai  veduta  in  viso. 
Estasi  umane.  —  II.  18 


274  CAPITOLO  XXI 


Dovrei  quindi  rinanziare  a  parlarvi  delle  grandi 
estasi  politiche  e  militari  degli  uomini,  ohe  col  loro 
ingegno  armato  di  penna  o  di  spada  mutano  forma 
ai  governi  o  ai  paesi,  e  scrivono  una  pagina  im- 
mortale nella  storia  d'un  popolo.  Ma  io  ho  veduto  e 
conosciuto  Cavour  e  Bismarck,  Garibaldi  e  Moltke; 
posso  anche  dire  di  averli  studiati,  e  questi  uo- 
mini hanno  di  certo  provato  nella  loro  vita  glo- 
riosa estasi  di  potenza  e  d'azione. 


* 
41 1* 


Quasi  ancor  giovinetto,  confuso  nella  folla  alla  tri- 
buna del  popolo  a  Torino,  Ho  assistito  alla  lotta  gi- 
gantesca di  due  giganti,  Cavour  e  Garibaldi. 

L'uno  era  sul  banco  dei  ministri,  e  dopo  aver 
pensato  l'Italia  una,  lottava  contro  troni  di  principi 
e  idee  di  conservatori,  contro  le  paure  dei  vili  e 
i  pregiudizii  degli  ignoranti;  egli  solo  contro  tutti 
e  sicuro  di  sé.  L'altro,  giustamente  superbo  delle 
sue  glorie  americane  e  dei  suoi  recenti  miracoli 
d'Italia,  era  il  cuore  d'Italia,  l'erede  di  tutti  gli 
amori  degli  esuli  e  dei  martiri  della  patria.  E 
quelle  due  forze  egualmente  grandi,  ma  infini- 
tamente diverse,  lottavano  Vuna  contro  l'altra 


LE  ESTASI  DELLA  LOTTA  275 

armate,  prima  di  abbracciarsi  e  confondersi  nel- 
runico  alveo  del  risorgimento  italiano.  Genio  poli- 
tico e  cuore  magnanimo;  nerbo  di  pensiero  e  im- 
peto di  passiona;  prudenza  e  temerità,  urtandosi 
r  una  contro  l' altra,  come  due  fiumi  che  venuti 
da  lontane  catene  di  monti  vengono  a  cozzarsi 
per  legge  fatale  di  pendìo  prima  di  fondere  le 
loro  acque  in  un'acqua  sola,  prima  di  versare  le 
energie  delle  loro  correnti  in  una  corrente  sola. 
E  vidi  il  Parlamento  italiano ,  somma  di  «tante 
e  così  diverse  forze,  tumultuare,  e  fremere  e  ribol- 
lire intorno  alla  lotta  di  quei  due  giganti,  e  nel 
volto  del  popolo  lessi  il  pallóre  della  nazione,  che 
assisteva  trepidando  alla  ciclopica  lotta.  Cavour 
vinceva,  e  il  genio  del  pensiero  trascinava  nel 
vortice  del  comune  amore  all'  Italia  il  genio  del 
cuore.  Sul  volto  del  grande  atleta  brillò  un  sor- 
riso mistico  e  sublime  in  una  volta  sola;  sorriso 
dell'  estasi  della  vittoria.  Vittoria  sua  e  più  an- 
cora d'Italia,  che  non  avrebbe  assistito  alle  di* 
scordio  dei  suoi  due  figli  prediletti,  e  avrebbe  ve- 
duto allearsi  le  due  maggiori  forze,  che  dovevano 
travolgere  e  seppellire  il  passato,  preparando  una 
patria  nuova  e  grande  a  tutti  gli  italiani. 


276  CAPITOLO  XXI 


E  vidi  più  volte  Garibaldi,  ma  soprattutto  lo 
ammirai  quando,  audacemente  ribelle  all'amnistia 
secata  da  Carlo  Alberto  nell'agosto  del  48  a  Mi- 
lano, accettava  battaglia  contro  gli  Austriaci  a 
Luvino,  e  con  forze  molto  disugnali  e  truppe  rac- 
cogliticcie di  novizii  li  vinceva.  E  lo  vidi  sulsao 
cavallo,  colle  bionde  chiome  sparse  per  le  spalle, 
colla  sua  camicia  rossa  fiammeggiante  ai  raggi 
del  sole,  galoppare  davanti  ai  suoi  eroi,  passan- 
doli in  rivista.  Sorrideva  e  godeva,  e  su  quella 
testa  di  leone  irradiavano  tutti  gli  splendori  della 
fede,  dell'amor  di  patria,  della  potenza  della  vo- 
lontà. Fermò  il  eavallo,  e  per  un  momento  guardò 
il  sole  e  fissò  lo  sguardo  come  in  visione  lontana. 
Che  cosa  pensasse,  che  cosa  vedesse  in  quel  mo- 
mento, io  non  so.  Di  certo  era  in  visione  estatica, 
e  forse  attraverso  le  recenti  sconfitte  e  l'armistizio 
fatale  e  l'urlo  della  reazione,  ohe  copriva  col  suo 
trionfo  la  voce  di  tanti  martiri,  egli  vedeva  l'Italia 
risorta  fra  pochi  anni  a  nuova  vita,  e  sognava 
il  59,  il  06,  il  70;   sognava  forse  Boma  capitale 


LE  ESTASI  DELLA  POTENZA  277 

d'Italia,  e  il  re  Vittorio  che  s'inchinava  riverente 
al  soldato  del  popolo,  là  in  Campidoglio  all'ombra 
delle  glorie  antiche. 


E  vidi  Moltke  nel  Parlamento  germanico,  mo- 
destamente sedato  come  gli  altri  rappresentanti 
della  gran  patria  d'Arminio;  lo  vidi  un  giorno  di 
battaglia  campale  fra  quel  genio  titanico  di  £i- 
smarck  e  tutta  la  falange  delle  forze  intellettnali 
della  Germania.  Lo  vidi  gettare  uno  sguardo  sor- 
ridente e  pieno  di  benigna  malizia  a  tutti  quei 
tedeschi  figli  di  tante  patrie  diverse  e  che  ora 
sono  stretti  sotto  la  vòlta  di  una  stessa  casa,  la 
casa  germanica.  Quell'uragano  di  opposizione  tur- 
bolenta, queUa  ribellione  di  tante  forti  volontà 
contro  la  fortissima  e  prepotente  del  grande 
tiranno  non  lo  commoveva,  né  lo  turbava,  né  scri- 
veva sulla  sua  fronte  olimpica  una  sola  ruga.  Egli 
mormorava  di  certo,  pieno  di  fede  inconcussa,  le 
parole  della  Bibbia:  non  prcevalebunt,  non  prtevu' 
lebunt  ! 

Le  vittorie  acquistate  col  genio  della  sua  spada 
eran  costate  troppo  sangue  e  troppi  secoli  di  sto- 


278  CAPITOLO  XXI 


ria,  perchè  ne  fossero  dispersi  i  fratti.  1/  unità 
germanica  non  sarebbe  piti  scomposta.  Egli  rive- 
deva forse  in  quel  momento  di  estasi  tutte  le  bat- 
taglie vinte  da  lui,  e  taceva,  senza  impazientarsi; 
come  leone  che  si  lascia  mordicchiare  la  fidva 
criniera  da  cagnolini  innocenti. 


E  vidi  anche  il  principe  di  Bismarck,  e  gli  strinsi 
la  mano,  e  gli  parlai  nelle  aule  dorate  del  palazzo 
di  Gnglielmo  imperatore.  Egli  forse  riderebbe  di 
me,  se  mai  venisse  a  sapere  che  ho  parlato  di  lai 
in  un  libro  sulle  Estasi  umane;  ma,  me  Io  con- 
senta, egli  cade,  o  meglio  sale,  spesso  in  estasi.  £ 
troppo  nervoso,  ha  troppo  grandi  ali  al  suo  genio 
per  non  volar  spesso  nel  cielo  dei  rapimenti. 

Io  lo  vidi  nel  palazzo  di  Ouglielmo  imperatore  : 
lo  vidi  legato  fra  le  strettoie  dei  suoi  grandi  sti- 
vali di  generale  di  cavalleria,  e  fra  le  fascio  troppo 
anguste  del  suo  uniforme  militare  e  le  fascio 
troppo  strette  degU  ordini  cavallereschi;  ma  fra 
quello  splendore  di  sciabola  e  di  gioielli  qualcosa 
splendeva  più  fulgente:  i  suoi  grandi  occhi  ai>erti 
come  due  fari  di  luce  sulla  vetta  di  quella  fronte 


BISMABCK  279 


titanioa  e  darà,  fatta  per  vedere  dall'alto  e  per 
comandare.  E  i  mascoli  della  faccia  ad  ogni  tratto 
sussoltavano  convalsi  presi  da  tic,  qaasi  la  forza 
nascosta  là  dentro  non  potesse  essere  rattenuta 
neppare  dalla  fronte  di  ferro,  dalla  volontà  di 
ferro;  da  tatto  quel  ferro  di  cai  è  composto  qael- 
Taomo. 

E  come  in  quel  giorno,  in  qaell'  ora,  egli  non 
avrebbe  dovnto  provare  un  rapimento  di  potenza, 
vedendo  per  sola  volontà  sua  convocati  a  Berlino 
intomo  a  sé  nomini  di  scienza  e  rappresentanti 
delle  più  grandi  potenze  marittime  del  mondo,  e 
per  lai  solo  ordinati  a  discatore  ana  naova  politica 
coloniale?  E  come  non  inebbriarsi  che  per  sua 
volontà  Inghilterra  e  Francia  e  America  e  Por- 
togallo disputassero  sol  Congo  nella  capitale  di 
ano  Stato,  che  fino  a  ieri  non  aveva  piantato  le 
sae  aqaile  che  sopra  un  palmo  di  sabbia  africana, 
per  aver  forse  pretesto  a  dirsi  anche  potenza  co- 
loniale? E  come  non  inebbriarsi  di  potere  tatto 
ciò  che  si  vaole,  e  di  convocare  in  casa  propria 
i  Governi  di  tatto  il  mondo,  quasi  piccioni  am- 
maestrati? 


280  CAPITOLO  XXI 


Le  estasi  ohe  stiamo  studiando  sono  delle  più 
complesse  e  delle  più  indefinibili,  e  U  fame  un'ana- 
lisi psioologioa  è  cosa  molto  audace.  Son  sicuro 
che  molti  saranno  poco  disposti  ad  accettarne  Tin- 
dividualità  distinta. 

Gli  uni  diranno  :  Queste  sano  estasi  deWargogUo! 

Altri  esclameranno:  Ma  questi  sono  rapimenti 
delVamor  di  patria. 

m 

E  così  via:  ognuno  vorrà  classificare  queste 
estasi  in  una  o  in  un'  altra  categoria  a  seconda 
del  sentimento,  che  gli  sembrerà  più  impegnato 
nell'azione. 

Nò  questi  contraddittori  hanno  torto  in  tutto: 
essi  però  mettono  in  prima  linea  ciò  che  talvolta 
si  tira  in  disparte  per  far  parte  secondaria  e  ac- 
cessoria nel  fenomeno  complesso  del  rapimento. 
Nelle  quattro  scene  umane  che  vi  ho  abbozzato, 
di  certo  l' amor  di  patria  e  V  orgoglio  dovevano 
concorrere  all'esaltazione  sublime  di  Cavour  e  di 
Oarìbaldi,  di  Moltke  e  di  Bismarck  ;  ma  dovete  am- 
mettere con  me,  che  la  sola  forza  di  volontà  eser- 


ESTASI  DEGLI  UOMINI  D'AZIONE  281 

aitata  fino  al  possibile  può  bastare  a  darei  un 
rapimento ,  e  tali  estasi  devono  provare  tatti  gli 
nomini  d'azione. 


Noi  non  sapremo  ohe  cosa  sia  la  volontà  che 
quando  l'istologia  e  la  biologia  ci  avranno  detto 
ohe  cosa  avvenga  nelle  cellule  nervose  motrici , 
quando  inviano  ai  nervi  le  loro  forze  sprigionate 
dall'Io  pensante;  ma  perchè  questo  si  sappia  hanno 
a  correr  molte  generazioni  di  uomini  e  forse  pa- 
recchi  secoli.  Anche  ignorando  però  l' essenza 
fisico-chimica  del  fenomeno,  noi  possiamo  descri- 
verlo e  metterlo  al  suo  vero  posto  nella  gerarchia 
dei  fatti  psichici.  É  per  questo  che  anche  senza 
istologia  e  coi  soli  eleménti  della  fisologia  spe- 
rimentale noi  possiamo  pretendere  a  fare  della 
psicologia  positiva. 

La  volontà,  che  per  la  sua  importanza  pratica, 
fu  messa  fino  dai  tempi  più  mitologici  della  psi- 
cologia fra  le  tre  facoltà  fondamentali  dell'animo 
e  schierata  in  quella  pazza  e  preistorica  trinità 
della  psicologia,  non  è  forse  una  facoltà  che  abbia 
organi  speciali,  non  è  una  funzione  distinta   di 


282  CAPITOLO  XXI 


una  parte  del  nostro  cervello  ;  ma  è  molto  proba- 
bilmente il  momento  in  cai  la  forza  accumulata 
nella  cellula  motrice  diventa  moto  per  un  eccita- 
mento qualunque  venuto  dal  di  fuori  o  dal  di 
dentro. 

Funzione  o  momento  di  molte  funzioni  coscienti 
del  cervello ,  la  volontà  è  però  così  diversa  nei 
diversi  uomini,  da  bastare  a  distinguerli  in  de- 
boli e  in  forti,  in  debolissimi  e  in  atleti;  e  il 
saper  di  volere  e  il  voler  volere  è  il  primo  bat- 
tesimo di  un  grande  carattere,  è  la  virtù  pia  spic- 
cata degli  uomini  d'azione. 

Sentire  è  bene,  sentir  molto  vuol  dire  accumu- 
lare molto  materiale  atto  a  un'infinità  di  lavori; 
pensare  è  meglio  ancora,  perchè  è  un  combinare 
in  diversi  gruppi  e  in  mille  quadri  le  immagini 
raccolte  dai  nostri  sènsi;  ma  volere  è  la  ottima 
di  tutte  le  cose,  e  nel  campo  dell'  azione  un  pic- 
colo pensiero  che  vuole  è  più  utile,  più  efficace  di 
cento  pensieri,  che  non  vogliono  mai  o  vogliono 
solo  e  sempre  debolmente. 

Molti  e  molti  uomini  osservano,  raccolgono; 
mettono  in  ordine  nel  loro  cervello  le  cose  vedute, 
ma  collo  stesso  frutto  con  cui  un  raccoglitore 
mette  nella  sua  vetrina  insetti,  conchiglie,  o  cu- 
riosità da  rigattieri.  Divertimento  innocente,  ma 
che  frutta  poco.  Vi  sono  i  chincaglieri  del  x>en- 


ESTASI  DEGLI  UOMINI  D'  AZIONE  283 

siero ,  come  i  chincaglieri  del  brio  à  brao  ;  vanno 
fiantasticando  e  pensando  quadri  ohe  non  dipin- 
geranno mai,  statae  che  non  modelleranno  mai, 
libri  che  non  saranno  mai  scritti. 

Al  polo  opposto  trovate  nomini,  che,  appena  ab- 
biano in  mano  un  ciottolino  o  un  filo  d'  erba,  lo 
tormentano,  lo  lavorano  per  cavarne  qualcosa, 
per  trasformarlo  in  strumento.  Date  loro  della 
paglia  e  ne  faranno  una  corda,  date  loro  della 
sabbia  e  la  trasformeranno  in  vetro;  essi  impron- 
teranno la  loro  immagine  in  ogni  materia  che 
passi  per  le  loro  mani.  I  fantasticatori  (i  Francesi 
direbbero  le8  réveurs)  scivoleranno  fra  cosa  e  cosa 
come  anguille,  toccheranno  colle  loro  ali  di  far- 
falla i  fiori  d'ogni  giardino;  ma  nulla  di  umano 
lasceranno  per  dove  essi  son  passati.  Gli  uomini 
d'azione  invece  tutto  maneggiano,  plasmano,  tor- 
mentano, piegano  alla  loro  volontà.  Disciolgono 
nell'  acqua  ciò  che  è  solubile  e  fondono  nei  loro 
crogiuoli  ciò  che  è  fusibile,  distillando  le  sostanze 
volatili  e  piegando  le  materie  elastiche  e  di  nulla 
si  accontentano,  se  ogni  cosa  non  porta  l'impronta 
della  loro  volontà. 

Fra  le  materie  che  gli  uomini  d'azione  maneg- 
giano con  maggior  voluttà,  l'uomo  è  la  più  cara 
e  la  più  nobile.  Di  certo  anche  il  Gellini  avrà 
lavorato  con  più  fina  industria  di  genio,  quando 


284  CAPITOLO  XXI 


cesellava  l'oro  e  l'argento.  E  così  è  dei  giganti 
delle  volontà,  che,  avendo  molta  forza  da  disporre, 
hanno  bisogno  di  materia  dura  e  forte  e  ohe  i 
deboli  non  riescono  a  piegare  o  a  rompere. 

E  qaale  materia  può  mai  immaginarsi  più  re- 
frattaria alla  volontà,  della  pasta  con  cui  gli  uomini 
son  fatti?  L'uomo  è  più  duro  del  diamante,  è  più 
duttile  e  malleabile  dell'  oro ,  è  più  elastico  del 
caucciù,  è  più  proteiforme  del  Proteo;  è  più  vo- 
latile deU'  etere,  è  più  incoloro  dell'aria,  è  più  x>o- 
licromo  dei  derivati  dell'anilina.  Come  il  diamante 
non  può  esser  sfaccettato  che  dalla  polvere  di 
altri  diamanti,  così  l'uomo,  che  incatena  i  fulmini 
e  cambia  forma  ai  continenti,  non  è  domato  che 
da  un  altro  uomo. 

E  noi  possiamo  colla  forza  della  nostra  volontà 
piegare  la  volontà  di  dieci,  di  cento,  di  mille  uomini, 
noi  possiamo  come  nelle  misteriose  sorgenti  della 
Gordigliera  prendere  una  coppa  di  acqua,  che  si  vol- 
geva alla  foce  dell'Amazzoni,  e  versarla  nell'alveo, 
che  la  condurrà  invece  al  Eio  della  Piata.  E  così 
noi  possiamo  prender  tutta  una  nazione  schiava 
e  dirle:  tu  sarai  libera!  —  Noi  possiamo  conqui- 
star una  razza  beata  della  sua  ignoranza  e  im- 
porle il  giogo  dell'alfabeto  ;  noi  possiamo  inginoc- 
chiare una  nazione. ai  piedi  del  Crocifisso  o  al 
Budda,  o  al  Corano.  Noi  possiamo  far  bruciare  in- 


ESTASI  Dfi^LI  trOMINI  D* AZIONE  285 

censi  davanti  a  una  donna  nuda,  ohe  abbiamo 
chiamato  la  Dea  della  Eegione ,  e  d' ora  in  ora 
mutare  il  grido  di  Crocifiggi  in  quello  di  Evviva 
e  tramutare  gli  Osanna  in  inni  di  morte. 

E  quando  un  uomo  riesce  a  far  tutto  questo, 
si  chiami  egli  Alessandro  o  Cesare,  Washington 
o  Lutero,  Maometto  o  Tamerlano,  come  volete 
voi  eh'  egli  non  si  inebbri  di  questa  forza  muta 
e  colossale,  che  è  chiusa  nel  suo  modesto  corpi- 
cino  di  bipede  implume  e  non  cada  in  estasi  da- 
vanti a  questa  scena  sublime  del  mondo  morale? 
Come  non  volete  che  quell'uomo,  anche  senza  su- 
perbia, anche  senza  affetto  di  patria,  non  possa 
e  non  debba  salire  ad  uno  dei  maggiori  rapimenti 
nella  sola  contemplazione  estetica  della  propria 
volontà  ? 


4t 
*  * 


Avete  voi  mai  ammirato  una  locomotiva,  quando 
attaccata  al  treno ,  che  deve  trascinarla  lontano 
per  centinaia  e  centinaia  di  chilometri,  aspetta 
l' ordine  della  partenza  ì  Essa  è  immobile ,  non 
mostra  né  il  fuoco  uè  il  vapore  che  nasconde 
nelle  sue  viscere:  eppure  essa  è  carica  di  forza 


286  CAPITOLO  XXI 


che  può  sprigionare  da  un  momento  all'altro,  ed 
essa  par  che  lo  senta  e  vibra  commossa  nella  ci- 
clopica ossatura  della  sue  membra  di  ferro.  È 
un  fremito  capo,  profondo,  eppure  appena  sen- 
sibile ,  che  ti  fa  sentire  tutta  la  forza  che  è  là 
dentro;  è  il  respiro  di  un  gigante  che  può  ucci- 
derci e  rovesciare  il  mondo.  Ebbene  se  quella 
locomotiva  avesse  una  coscienza,  essa  proverebbe 
una  estasi  di  potenza,  anche  senza  orgoglio  o 
altro  affetto  umano. 

L'uomo  di  azione  è  molto  simile  a  quella  loco- 
motiva;  egli  sa  quanto  può,  e  senza  sprigionare 
un  sofBo  dell'energia  che  lo  innonda,  la  sente  tutta 
e  se  ne  sente  padrone  assoluto.  Anche  senza  tras- 
formarla in  lavoro,  anche  prima  di  determinarne 
l'uso  e  la  direzione,  contempla  la  forza;  e  appunto 
perchè  essa  è  incommensurabile  e  senza  confini, 
egli  può  provare  quel  rapimento  che  danno  le 
sensazioni  forti,  ma  indistinte.  Egli  vede  dall'alto 
tutto  ciò  che  può  fare,  tutto  il  lavoro  che  può 
uscire  da  lui,  tutte  le  trasformazioni  di  uomini  e 
di  cose ,  tutte  le  rivoluzioni  eh'  egli  può  sprigio- 
nare, dirigere  e  dominare. 


LE  ESTASI  DELLA  VITTORIA  287 


*  * 


Qaella  è  un'  estasi  potenziale ,  ma  l' uomo  d' a- 
zione ,  r  uomo  di  fortissima  volontà  può  provare 
anche  un'altra  estasi,  qaella  della  vittoria  e  può 
goderla  anche  senza  il  pianse  della  folla  e  gli 
osanna  degli  eletti.  Egli  ha  combattuto  e  ha  vinto, 
egli  è  padrone  e  donno  del  campo  che  ha  con- 
quistato. 

Dopo  una  battaglia  parlamentare  o  una  batta- 
glia di  cannoni  il  ministro  o  il  generale  vincitore 
può  provare  di  quella  ebbrezza,  può  godere  quella 
estasi.  Gli  storici  hanno  tentato  di  tracciarla 
sulla  carta,  i  pittori  l'hanno  spesso  fermata  sulla 
tela;  ma  di  certo  non  sono  che  pallide  immagini 
di  una  delle  scene  più  mute,  ma  più  intense  del 
mondo  umano.  Sono  brevissime,  ma  tanto  più 
forti.  Brevi,  perchè  la  volontà  anche  nelle  sue 
ebbrezze  maggiori  è  sempre  una  forza  per  eccel- 
lenza centrifuga  e  che  si  traduce  in  lavoro,  quindi 
più  rara  l'estasi  e  quando  questa  ha  luogo  è  per 
necessità  brevissima.  Se  è  breve  è  però  intensa, 
dacché  l' emozione  del  genio  è  alta  come  lui ,  e 
come  lui  batte  le  ali  in  vastissimo  orizzonte. 


288  CAPITOLO  XXI 


I  grandi  genii  d'azione,  ohe  hanno  scritto  il  loro 
nome  immortale  nel  marmo  o  nel  bronzo  hanno 
tutti  provato  estasi  della  volontà.  Forse  tutta  la 
loro  vita  fu  spesa  per  godere  un  solo  istante  di  ra- 
pimento, ma  quell'istante  fu  premio  generoso  di 
tutti  i  sudori,  di  tutto  il  sangue,  di  tutto  il  pen- 
siero versati  e  consumati  da  loro.  Non  v'ha  arco 
trionfale,  non  delirio  di  moltitudini  plaudenti,  non 
trono  d' oro  o  corona  di  alloro,  che  valgano  la 
voluttà  intima ,  profonda  del  genio ,  che  rimane 
estatico  davanti  aU'  opera  sua;  non  v'  ha  vita  di 
secoli,  vissuta  da  milioni  di  uomini  volgari,  ohe 
valga  quell'istante,  che  forse  nessun  orologio  vale 
a  misurare;  macho  la  coscienza  umana  raccoglie 
e  assorbe  come  goccia  di  pioggia  divorata  da  un 
deserto  assetato. 

Ho  voluto  e  ho  potuto,  è  un  grido,  piti  che  umano, 
divino;  e  che  appunto  possono  lanciare  neUo  spazio 
solo  quei  pochissimi,  che  gli  uomini  innàLsano  al 
rango  di  semidei  o  di  dèi  dell'Olimpo. 


Capitolo  XXIL 


LE  ESTASI  DELLA  CBBAZIONE, 


Mosè  e  Darwin.  —  Il  creatore  e  la  sua  creatura.  —  Diverse 
creazioni.  —  Eppur  si  muove.  —  Quale  sia  Testasi  più  alta 
fra  tutte;  quale  la  vetta  più  eccelsa  nelllmalaia  del  pensiero 
umano.  —  La  natura  e  Tuomo  creatore.  —  Conclusione  del  libro. 


Estasi  umane,  —  IL  19 


L*aomo  non  ha  creato  il  mondo  e  non  ha  assi- 
stito alla  sua  creazione;  ma  ha  fatto  una  terza 
cosa  diversa  da  queste  dae.  Egli  ha  creato  la  crea- 
zione, anzi  ne  ha  creato  dae.  Leggendo  le  ore,  i 
minati,  i  secondi  nel  cerchio  ristrettissimo  del  sap 
orologio,  ha  trasportato  le  brevi  ore  del  tempo  a 
lai  concesso  al  di  Ij^  del  tempo  del  prima,  al  di 
là  del  tempo  del  poi;  inventando  con  astazia 
grande,  e  fors'anche  con  ironia,  due  Dei  Tennini, 
che  sono  lo  zero  e  Vinfinito;  le  dae  maggiori  ne- 
gazioni che  l'aomo  abbia  potato  concepire,  e  al 
di  là  delle  quali  nessun  occhio  linceo,  nessuna  ala 
di  fantasia  ha  mai  potuto  trascorrere.  Il  primo  è 
il  padre  del  poi  ;  prima  del  prima  un  altro  prima 
indiscutibile,  Y antizero;  il  poi  del  poi  un  infinito, 
che  r  antizero  può  distruggere  colla  propria  vo- 
lontà. L' uomo  diventatip  misura  d' ogpi  CQS%  il 


292  CAPITOLO  xxn 


meridiano  d'ogni  carta  geografica;  l'universo  una 
caricatura  in  grande,  un'immagine  antropomorfa 
ora  abbellita,  ora  impeggiorata.  —  Questo  il  profilo, 
lo  scheletro  d'ogni  cosmogonia,  questo  il  codice 
e  la  bibbia  ad  uso  di  tutti  i  delfini  del  volgo 
umano,  a  compiacimento  di  tutte  le  umane  su- 
perbie. 

I  pochi  invece,  che  si  son  redenti  dal  peccato 
originale  dell'  orgoglio  nella  sacra  piscina  della 
scienza,  con  molta  modestia  hanno  rifiutato  lo 
zero  e  V  infinito  come  falsi  Dei,  e  si  sono  accon- 
tentati e  si  accontenteranno  forse  fino  alla  fine 
dei  secoli  di  chiudere  l'universo  deUe  cose  e  l'u- 
niverso del  tempo  fra  due  x,  bastando  loro  di 
allontanarle  l' una  dall'  altra  di  qualche  linea  ad 
ogni  passo  di  uomo  e  di  generazione. 

I  più  fra  gli  uomini  però  vogliono  la  creazione, 
e  fanno  bene.  Le  x  sono  irte  di  x)nnte,  e  vi  si 
siede  male.  Un'ipotesi  invece  è  un  divano  molle, 
elastico  e  comodissimo:  vi  si  siede,  vi  si  sdraia, 
e,  soprattutto,  vi  si  dorme.  Ed  è  per  questo  che 
l'uomo  ha  creato  due  creazioni  :  una  1'  ha  creata 
Mosè  e  l' altra  Darwin  ;  personificando  però  in 
questi  nomi  non  due  verità  storiche,  ma  due  si- 
stemi, che  stanno  l'uno  contro  l'altro  ;  che  sono  in 
apparenza  due  antitesi,  ma  che  si  danno  la  mano, 
essendo  egualmente  teologiche  entrambi. 


MOSÈ  £  DABWIN  293 


La  creazione  mosaica  è  sublime  ed  è  poetica: 
è  il  taglio  gordiano  di  un  nodo  che  non  si  può 
sciogliere.  Non  invano  il  nodo  di  Salomone  è  un 
intreccio  di  x.  La  creazione  darviniana  è  Lutero 
che  commenta  Cristo;  è  la  scienza  che  viene  a 
patti  colla  fede.  La  creazione  mosaica  è  Minerva 
ohe  esce  dal  cervello  di  Giove  per  un  colpo  di 
scure;  la  creazione  darviniana  è  F  uovo  che  di* 
venta  gallina  per  una  serie  di  evoluzioni  studiate 
collo  scalpello  e  il  microscopio;  ma  davanti  al 
fiat  lux  e  all'uovo  sorgono  le  a?  a  cento,  a  mille, 
intrecciate  a  nodi  di  Salomone;  quasi  sogghignando 
beffarde  al  legislatore  del  Sinai  e  a  quello  di  Down. 
Né  Mosè  né  Darwin  negano  Dio,  anzi  lo  affermano. 
B  Dio  del  Sinai  parla  col  tuono  e  coi  fulmini, 
l'altro  discute  accademicamente;  il  primo  mette 
in  ordine  il  caos  col  fiato,  l'altro  lo  amministra 
come  un  fattore  esperto  e  pratico.  Mosè  doveva 
nascere  in  Oriente,  dove  si  ama  sentire  e  fanta- 
sticare, l'altro  doveva  sorgere  in  Inghilterra,  dove 
si  preferisce  lavorare.  Mosè  e  l' Oriente  vogliono 
il  bello;  Darwin  e  FOccidente  vogliono  l'utile. 


294  CAPITOLÒ  XXIT 


Dae  creazioni  e  due  teorie,  di  cui  la  fede  e  Io 
scetticismo  scelgono  quella  che  più  conviene  ai 
gusti  d'  ogni  individuo.  Due  creazioni  e  dae  ipo- 
tesi, sulle  quali  può  sedere,  sdraiarsi  ed  anche  dor- 
mire ogni  uomo,  che  detesti  le  quattro  ponte  tor- 
mentose della  X,  che  c'entrano  per  gli  occhi,  per 
le  carni,  per  ogni  parte  sensibile  della  pelle;  tor- 
mentandoci e  torturandoci  dalla  culla  alla  tomba. 


Ma  io  non  voglio  farvi  la  critica  di  Mosè  e  di 
Darwin,  ma  assai  più  modestamente  non  aspiro 
che  a  parlarvi  delle  estasi  della  creazione,  e  queste 
estasi  si  incarnano  in  quei  due  nomi,  poli  opposti 
del  pensiero  umano  ;  ma  che  per  la  fatale  conti* 
guità  degli  atomi  e  dell'etere  finiscono  per  t03- 
carsi,  dacché  sono  iscritti  nella  stessa  sfarà  del 
microcosmo  umano. 

Anche  il  Dio  superbo  di  MO0&  dovette  trovare 
il  caos  per  cavarne  il  mondo,  ed  anche  l'uomo 
per  tutte  le  sue  creazioni  ha  bisogno  dell'tifr»  oon- 
shtam,  di  una  materia  caotica,  ch'egli  possa  ma- 
nt)ggiare  e  plasmare  a  sua  voglia.  In  ogni  modo 
ciò  poco  importa:   davanti  al  mondo  creato  Dio 


LE  ESTASI  DELLA  CBSAZIONE  295 

si  arresta  e  trova  che  ciò  è  buono,  e  Mosè  e  Dar- 
win cadono  in  estasi  davanti  alla  Genesi  della 
Bibbia  e  all'altra  Genesi  dell'evoluzione.  Dovun- 
que nasce  qualcliLe  cosa,  un  grande  equilibrio  di 
forze  disperse  e  disgiunte  si  ristabilisce,  e  un  so- 
apiro  di  voluttà  annunzia,  che  una  nuova  creatura 
è  nata  alla  luce  del  sole.  È  un  mondo  o  un'ipo- 
tesi, è  un  uomo  o  una  teoria,  ma  è  sempre  una 
creazione.  Preparate  la  culla  al  neonato:  una  re- 
ligione o  una  scuola,  filosofica,  in  cui  possa  ada- 
giarsi e  dormire.  La  natura  che  genera  è  stanca 
e  ha  bisogno  di  riposo. 


La  nascita  di  una  creatura  nei  primi  momenti 
si  ammira  e  non  si  discute;  ci  commuove  più  che 
non  ci  faccia  pensare;  e  più  d'ogni  altro  se  ne 
commuove  il  padre  del  neonato.  Ciò  che  oggi  è, 
ieri  non  era;  ciò  che  ieri  non  si  muoveva,  non 
respirava,  non  aveva  nome,  oggi  si  muove,  respira, 
ha  un  battesimo. 

.  Dagli  abissi  più  oscuri  del  passato,  o  dalle  fron- 
tiere più  lontane  dello  spazio,  gli  atomi  dispersi, 
evocati  o  invocati  dalla  nostra  voce  si  sono  rav- 


296  CAPrroLo  xxn 


vicinati  e  congiunti;  la  nebbia  è  divenuta  figura, 
e  la  figura  è  divenuta  forma;  e  la  forma  vìve  e 
attrae  nel  vortice  della  sua  vita  altri  atomi  di- 
spersi che  si  incarnano  in  essa.  Poesia  di  desi- 
derio, voluttà  di  amore,  orgoglio  di  pensiero  hanno 
ubbidito  alla  nostra  volontà,  e  la  creazione  è  fatta. 
—  Sifacda  la  luce,  e  la  luce  fu  fatta.  —  Un  momento 
prima  l'uomo  era  organismo,  ora  l'uomo  è  padre. 
La  più  grande  funzione  della  vita  si  è  affermata, 
e  la  vita  ha  generato  la  vita. 


Il  creatore  che  si  arresta  dinanzi  alla   propria 
creatura  cade  in  rapimento;  sia  poi  il  neonato  un 
mondo,  un  poema,  una  statua,   un   quadro,    una 
scienza,  una  teoria,  un  inno,  o  un  tempio.  Quanto 
lavoro  di  assimilazione,  quante  contemplazioni  e 
quanti  travagli,  quanto  eroismo   di  pazienza   e 
quanto  sudore  di  muscoli   del  pensiero  prima  di 
giungere  a  quell'istante!   Quanti  aborti  prima  di 
avere  im  neonato,  quanti  sterili  amori  prima  dell'a- 
more fecondo;  quanto  polline  per  un  seme,  quanto 
agitarsi  di  atomi  prima  di  mettere  insieme  un  gra- 
nello di  polline;  quanti  versi  di  epopea  prima  di 
esser  giunti  all'ultima  pagina  del  poema  I 


LE  ESTASI  BELLA  CREAZIONE  297 

E  il  creatore  è  là  immobile,  appoggiato  alla 
marra  creatrice,  lucente  per  tanti  solchi  aperti 
nella  dura  gleba  dell'ignoto,  bagnato  ancora  di  no- 
bilissimo sudore.  E  il  creatore  vede  .ancora  aperto 
a'  suoi  piedi  quel  solco  fecondo,  da  cui  è  uscito 
alfine  il  nuovo  organismo.  Sente  ancora  i  gemiti 
del  parto,  trema  ancora  delle  angoscio  del  lungo 
travaglio;  ma  la  creatura  è  nata  e  vive  e  vivrà. 
Come  è  armonica  l'architettura  di  quelle  membra, 
come  è  ingegnoso  quel  travaglio  di  organi,  che 
ubbidiscono  al  centro  e  rimandano  a  lui  le  forze 
da  lui  generate!  Come  è  solido  lo  scheletro,  come 
sono  robusti  quei  muscoli,  come  sono  fine  e  arti- 
ficiose quelle  due  reti  di  vasi  e  di  nervi,  che  por- 
tano ad  ogni  cellula  il  sangue  e  la  forza!  Come 
è  bella  e  delicata  e  solida  quella  vernice  di  pelle, 
che  difende  e  protegge  e  nasconde  all'  occhio  di 
tutti  le  fatiche  celate  dei  mille  meccanismi!  Come 
è  bello  il  di  fuori,  e  come  è  buono  il  di  dentro; 
bello  e  buono  perchè  la  ereazione  è  vera;  e  poema 
0  quadro,  libro  o  tempio,  vive  perchè  bello  e  buono 
e  vero.  E  noi,  noi  soli  siamo  padri  di  quella  crea- 
tura, che  porterà  il  santo  battesimo  del  nostro 
nome;  il' primo  sacramento  del  cristiano  e  del- 
l'artista, il  nome  che  consacra  nel  figlio  il  genio 
e  il  travaglio  del  padre;  nome  che  durerà  eterno 
quanto  quello  del  padre  di  lui. 


208  CAPITOLO  xxn 


*  * 


Chiamo  nella  storia  dei  travagli  umani  col  nome 
di  creazione  ogni  opera  d'arte,  di  musica  o  di  scal- 
pello, di  pennello  o  di  penna.  Metto  anche  la  poesia 
^a  le  opere  d-arte,  senza  attaccare  alcuna  impor- 
tamia  a  qii€8te  olaaaiftGazioni.  Mutate  la  definizione 
dell'arte,  e  allora  la  poesia  iM>trà  far  classe  da  sé, 
e  allora  potrete  divertirvi  a  disputale ,  se  nelle 
gerarchie  del  pensiero  la  poesia  sia  allo  stesso 
livello  delle  belle  arti,  o  molto  più  in  su.  Per  me 
la  gerarchia  non  si  misura  dall'istrumento  fab- 
brile adoperato  neUa  creazione,  ma  nella  nobiltà 
dell'  opera.  Un  quadro,  una  statua,  un  tempio, 
possono  essere  nulla  più  che  prodotti  industriali; 
fotografie  ben  riuscite  o  combinazioni  opportune 
di  linee;  e  una  poesia  può  alla  sua  volta  essere 
un  acrostico  o  un  giuoco  di  rime.  E  d'altra  parte 
vi  può  essere  in  una  tela  o  in  una  statua  tanta 
creazione  poetica  da  metterla  a  livello  di  un  inno 
o  di  un  poema. 

Non  perdiamo  le  ore,  ahimè  troppo  brevi,  della 
vita  in  isterilì  logomachie  e  in  vani  sofismi,  e 
adoperiamo  le  parole  per  quel  che  valgono,  come 


LE  ESTASI  DELLA  CREAZIONE  299 

vesti  per  coprire  le  cose,  pronti  a  mandarle  al 
macero,  qaando  saranno  sdrascite  e  consunte  dal- 
l'uso. La  feconda  natura  ridarà  nuova  vita  e  nuova 
forma  alla  fragile  materia  di  cui  son  fatte;  e  se 
cenciaiuoU  hanno  ad  esservi,  lasciamo  quei  pochi 
che  si  annidano  nei  tarlati  armadii  dei  linguaioli 
e.  delle  Accademie. 

Noi  badiamo  alle  cose,  che  così  poco  conosciamo 
nBlla  loro  intima  natura,  e  di  cui  migliaia  e  mi-^ 
gliaia  rimangono  a.  scoprirsi;  e  per  gli  usi  della 
vita  ed  anche  per  la  lotta  delle  idee  ci  basti  sa- 
pere che  la  scienza  indugia  il  vero,  e  che  l' arte 
orèa  il  bello  eogB  eleménti  tolti  alla  iiatura.  In 
questa  definizione,  spero,  andiamo  tutti  d'accordo, 
ed  essa  ci  basta  a  distinguere  le  forme  piti  sa- 
lienti delle  estasi  intellettuali. 


Sensa  n  eaMo,  senza  un  intenso  amòre,  nes- 
rana  creazione  nel  mondo  delle  creature,  nedsnn 
nato  nel  mondo  dell'arte. 

r 

Una  statua,  un  librò,  un  quadro,  un'armonia  è 
pensata  in  un  istante,  nel  baleno  di  un  momento; 
e  questa  è  la  concezione. 


300  CAPITOLO  XXII 


Per  quanto  fugace  quell'  istante,  può  scuotere 
tutte  le  fibre  del  cervello  e  del  cuore,  e  può  ba- 
stare a  rapirci  in  estasi.  Di  certo  quel  baleno  fa 
preceduto  da  inconsci  e  lunghi  lavorii  anteriori, 
ma  è  quando  il  germe  appare  capace  di  vita,  che 
la  donna  sente  nel  profondo  delle  viscere  un  sus- 
sulto, che  la  dichiara  madre;  e  còsi  è  dell'artista, 
che  vede  a  un  tratto  apparire  sull'orizzonte  oscuro 
della  coscienza  un'immagine  fugace  ma  splendente; 
in  cui  egli  ravvisa  il  libra,  il  quadro,  il  poema,  il 
nuovo  organismo  concepito  nelle  viscere  del  suo 
pensiero. 

L'ispirazione  creatrice  in  ogni  opera  d'arte  è  la 
linea  cefalorachidiana,  che  appare  prima  nell'uovo 
fecondato  e  afferma  il  delinearsi  della  vita.  Di 
tutti  i  momenti  evolutivi  della  creazione  è  quello 
il  primo,  il  fenomeno  capitale.  Linea  che  afferma 
un  gigante  o  un  nano ,  un  mostro  o  nn  capolavoro. 
Quella  linea  è  lo  scheletro  su  cui  si  adageranno 
i  muscoli  e  i  visceri;  è  dessa  che  darà  figura  e 
forma  a  tutti  gli  organi  che  si  disporranno  in- 
torno ad  essa  secondo  l' ordine  da  lei  imposto. 
Tutti  i  fomenti  del  clima,  tutti  gli  sforzi  dell'or- 
topedia non  varranno  mai  a  cambiare  il  germe 
che  deve  dare  una  gallina  in  un  altro  germe  che 
genererà  un'aquila. 

L'estasi  della  creazione   però   non  finisce   nel 


LE  ESTASI  BELLA  CBEAZIONE  301 

beato  istante  in  cui,  fra  le  tenebre  dei  non 
nati,  noi  vediamo  apparire  il  germe  fecondato.  I 
nostri  pensieri,  i  nostri  affetti  circondano  quella 
creaturina  delicata  colle  ali  d'un  immenso  amore 
e  lo  custodiscono  e  lo  difendono  e  lo  crescono 
all'ombra  delle  nostre  speranze.  É  una  santa  ma- 
ternità, che  nel  mondo  del  pensiero  ripete  tutte 
le  tenerezze,  tutte  le  astruserie,  tutte  le  esigenze 
morbose,  che  abbiamo  trovato  nello  studio  dell'e- 
stasi materna. 


* 
*  * 


Vi  sono  nelle  famiglie  umane  molti  falsi  padri, 
nessuna  madre  illegittima.  Così  è  nelle  creazioni 
dell'arte:  vi  sono  molti  mediocri  ingegni  che  pre- 
tendono alle  sante  estasi  della  paternità,  e  sono 
impotenti.  Essi  hanno  messa  insieme  la  loro  crea- 
tura col  sangue,  colle  ossa,  cogli  amori  di  un  altro 
o  di  altri,  e  al  figlio  bastardo  non  danno  di  pro- 
prio che  il  nome  ;  nome  che  è  falso,  che  è  un'iro- 
nia, che  è  un  insulto  alla  verità,  che  è  un  con- 
trabbando dell'adulterio. 

La  creazione  vera  è  sempre  legittima,  perchè 
nel  mondo  del  pensiero  ha  una  madre,  Vispirazione 


a02  CAPITOLO  xxn 


creatrice,  e  della  rioerca  del  padre  nessuno  si  cura. 
La  lingaa,  fatta  dagli  nomini  più  ohe  dalla  donna, 
ha  fatto  del  genio  nn  maschio,  ma  per  essere  pia 
giusta  doveva  farne  una  femmina;  perchè  il  genio 
è  soprattutto  feoondo,  prolifico,  generatore  instan- 
cabile ;  e  tutte  queste  virtà  del  generare  sono  di 
Eva  più  che  di  Adamo.  Gli  ardori  della  creazione 
intellettuale  sono  materni  più  ohe  paterni,  e  nes- 
sun viscere  rassomiglia  tanto  a  un  utero  fecondo 
quanto  il  cervello  di  un  genio  che  crea. 

I  compilatori,  i  copiatori,  tutti  gli  industriali 
dell'arte,  tutti  i  falsificatori  di  biglietti  di  banca, 
o  di  monete,  o  di  opere  altrui,  possono  avere  ono- 
ranza fra  gli  uomini  e  oro  negli  scrigni;  possono 
talvolta  rubare  per  qualche  tempo  un  posto  nel- 
rOlimpo  ;  ma  essi  non  hanno  mai  provato,  nà  pro- 
veranno le  sante  estasi  della  creazione,  dell'ado- 
razione solitaria  e  modesta  delle  proprie  opere. 


*  * 


Nessuna  menzogna  più  antica  e  più  grossolana 
di  quella  che  afferma  non  poter  alcuno  esser  giu- 
dico delle  proprie  opere.  Menzogna  utile  alla  po- 
lizia interna  della  società  umana,  utilissima   alla 


IJB  ESTASI  DELLA  CREAZIONE  303 

mutua  difesa  delle  vanità,  e  delle  invidie  ;  ma  meu< 
zogna. 

Per  quanto  cieco,  l'amore  di  madre  ha   aua 
■  chiaroveggenza  intima,  indiscutibile,  che  svela  i 
più  riposti  difetti  del  corpo  e  dell'anima  del  figlio; 
e  così  è  di  quell'altra  maternit:\  sublime,  che  con- 
duce alla  creazione  di  opere  d' arte  o  di  scienza. 

Nessuno  è  più  severo  critico  di  un'opera  d'arte, 
quanto  colui  che  l' ha  messa  al  mondo,  nessuno 
più  esigente,  più  incontentabile  di  lui;  ma.  nello 
stesso  tempo  nessuno  di  lui  più  giusto.  In  quei 
soliloqui  segreti  dello  studio,  in  cui  l'artista  guarda 
il  proprio  figlio  e  lo  penetra  de'  suoi  sguardi  in- 
dagatori, egli  vede  tutte  le  nudità  esteriori  e  tutte 
le  nudità  interiori  della  propria  opera  e  teme  e 
-spera;  ma  giudica  senza  reticenze;  ma  sentenzia 
senza  riguardi. 

Il  pubblico  sedotto  da  false  apparenze,  innamo- 
rato del  nome  dell'artista,  può  far  plauso  ad  un'o- 
pera mediocre  e  portarla  in  trionfo;  ma  egli  non 
si  illude,  e  anche  tacendo  dice  :  questa  non  è  crea- 
zione, ma  è  aborto.  Questo  figliuolo  è  nato  vivo, 
ma  morrà. 

E  invece  possono  tutti  quanti  corrugar  la  fronte 
e  compatire,  alzare  le  spalle  e  disprezzare;  ma  se 
il  creatore  ha  ammirata  e  baciata  la  sua  creatura 
jiei  soliloqui  terribili  dell'errai  corride,  lascia  ur- 


304:  CAPITOLO  XXII 


lar  la  folla  e  fischiar  le  moltitadiuì,  e  sorridendo 
e  colla  testa  alta  ripete  l'eterno  Eppur  ai  muopey 
che  anche  prima  di  Galileo  innalzarono  al  cielo 
e  dopo  di  lui  ripeteranno  tutti  i  genii  incompresi 
o  calunniati. 

Nessun  entusia<smo  di  turbe  plaudenti,  nessuna 
onoranza  di  principi  può  eguagliare  P  estasi  soli- 
taria del  creatore,  che  ammira  nuda,  intiera,  afol- 
gorante di  vita  la  propria  creatura,  e  la  trova 
bella.  La  favola  di  Pigmalione  incarna  il  concetto 
di  una  grande  verità,  e  nel  silenzio  di  molti  studii, 
in  tutti  i  tempi  vi  furono  baci  dati  dall'artista  al 
proprio  quadro,  alla  propria  statua,  al  proprio 
libro.  Baci  castissimi,  ma  ardenti  ;  baci  non  resti- 
tuiti uno  per  uno,  ma  mille  per  uno  dall'  opera 
figlia  dei  nostri  amori,  delle  nostre  veglie  ango- 
sciose,  dei  nostri  travagli  sudati. 

Marzolo,  il  grande  Marzolo,  balza  dal  letto  di 
morte  e  trascina  un  amico  alla  sua  biblioteca, 
dove  getta  un  ultimo  sguardo  all'opera  immortale 
della  sua  vita,  e  la  raccomanda  e  la  saluta  e  le 
dà  l'ultimo  bacio,  E  Bafiaello  si  fa  mettere  ai 
piedi  del  letto  la  sua  Trasfigurazione,  onde  vedere 
ancora  una  volta  innanzi  morire  la  figlia  predi- 
letta del  suo  genio;  e  così  maestri  immortali  si 
addormentarono  nell'ultimo  sonno,  facendo  ese- 
guire le  loro   divine  sinfonie.  Oosì  molti  autori 


LE  ESTASI  DELLA  CREAZIONE  305 


morirono  e  morranno,  stringendo  colle  mani  con- 
vnlse  e  innamorate  i  volumi  delle  loro  opere. 


Se  nelle  estiisi  affettive  è  difBcile  dire,  quale 
arrivi  più  in  alto;  se  la  stessa  diffiooM  si  trova 
nel. segnare  la  gerarchia  ai  rapimenti  estetici, 
parmi  si  possa  affermare  con  tatta  sicurezza  che 
nel  mondo  del  pensiero  l'estasi  della  creazione  è 
l'altissima  fra  tutte ,  e  come  quella  che  giunge 
sulle  più  alte  vette  dell'Olimpo  umano,  essa  vede 
e  abbraccia  da  quell'altezza  tutte  le  energie  della 
mente,  tutte  le  più  alte  sensualità  del  senti- 
mento. 

Per  quanto  il  vero  sia  un  Dio  sovrano  di  molti 
altri  Dei,  pure  è  un  leova  terribile  e  poco  pal- 
pabile. La  sua  vita  è  breve  e  ciò  che  oggi  è  un 
vero  vivente,  sarà  domani  un  vero  morto,  da  cui 
spiccherà  fuori  un'altra  esistenza,  che  figlierà  al- 
tri veri  fino  all'  infinito.  La  creazione  nel  bello  è 
etema  quanto  l'uomo,  e  Isaia  ed  Omero  ci  com- 
muovono oggi  quanto  avranno  commosso  i  lonta- 
nissimi padri  -d' Israello  e  di  Orecia.  L' estasi  del 
vero  è  altissima,  ma  quasi  tutta  intellettuale,  eterea 
Estasi  umane.  —  II.  20 


306  CAPITOLO  xxn 


come  il  pensiero.  I  rapimenti  della  creazione  ar- 
tistica sono  alti  ma  ancora  caldissimi  e  d'un  ca- 
lore che  non  raffredda  mai.  D  bello  è  e  sarà 
sempre  più  alto  di  tutte  le  vette  umane ,  perchè 
abbraccia  il  vero  e  anche  il  buono.  Nessuna  bel- 
lezza che  non  sia  vera,  nessuna  bellezza  che  non 
sia  anche  buona.  Il  mito  di  tre  Dei  in  un  Dio 
solo  si  incarna  nella  trinità  santissima  del  vero, 
del  buono  e  del  bello;  tre  Dei  in  un  Dio  solo,  il 
bello. 

Se  un  genio  potesse  provare  egualmente  il  ra- 
pimento che  ispira  ognuno  dei  tre  grandi  Dei 
dell'  umanità  e  tutti  potesse  sentirli  alla  stessa 
altezza,  di  certo  affermerebbe  che  l'Everest  di  que- 
sto Imalaia  umano  è  il  Bello.  I  popoli  che  piìi  o 
meglio  degli  altri  lo  hanno  adorato,  precedettero 
a  tutti  nella  strada  del  progresso,  furono  gli  an- 
tesignani della  civilla;  e  anche  stanchi  formeranno 
1'  aristocrazia  nella  vasta  moltitudine  delle  crea- 
ture umane.  Trovare  la  verità  più  grande  è  utile; 
adorare  il  buono  è  cosa  buona;  ma  innalzare  alla 
natura  l' inno  più  alato  e  il  tempio  più  bello ,  è 
cosa  bella,  è  cosa  buona,  è  cosa  vera;  perchè  il 
Bello  è  il  Dio  più  alto  di  tutti  gli  Olimpi  consa- 
crati, di  tutti  i  cieli  passati  e  di  tutti  i  cieli  fu- 
turi. Omero  sarà  sempre  più  grande  di  Aristotile 
e  Shakespeare  più  sublime  di  Newton. 


LE  ESTASI  BELLA  CBEAZtONE  307 


4> 


Così  come  nessun  nomo  della  terra  può  ria- 
mare la  madre  quanto  la  madre  ha  amato  lui; 
così  noi  tutti  figli  della  Natura,  non  possiamo 
rendere  un  bacio  più  caldo  e  più  innamorato, 
quanto  nell'esser  noi  stessi  padri  di  una  creazione 
che  viva  e  duri. 

La  natura  ci  ha  dato  non  uno,  ma  mille  baci; 
baci  teneri  e  caldi ,  baci  sereni  e  appassionati, 
baci  sulla  fronte ,  sulle  labbra  e  nelle  viscere ,  e 
noi,  creai^do,  le  rendiamo  quanto  è  in  noi  di  suo. 

I  raggi  di  sole  che  ci  riscaldano  il  sangue 
son  venuti  da  lei  e  il  sangue  stesso  che  ci  ali- 
menta, è  succo  delle  sue  vene.  Tutto  che  è  in  noi 
di  riposte  energie  e  di  calme  pazienze  e  di  im- 
peti subitanei  ci  viene  da  quella  madre  di  tutti  i 
viventi,  che  è  la  natura. 

L' estasi  che  proviamo  davanti  alle  creazioni 
del  nostro  pensiero  è  eco  lontana  o  vicina  di 
tutte  le  estasi  estetiche  con  cui  i  prati  fioriti  e 
i  cieli  stellati  e  le  onde  muggenti  del  mare  ci 
hanno  inebbriato  nelle  ore  di  contemplazione.  I 
figli  nostri  sono  carne  della  carne  della  natura 


308  CAPI'^OLO  XXII 


e  i  molli  tepori  della  voluttà  e  gli  uragani  dei 
cuore,  son  venuti  da  lei.  Da  lei  le  iridi  della  fan- 
tasia, da  lei  i  profumi  del  sentimento,  da  lei  il 
verde  ohe  riposa  e  il  roseo  che  innamora,  da  lei 
gli  spiriti  e  la  materia;  da  lei  la  forza  e  il  sonno, 
da  lei  rimpeto  che  crea,  e  la  pace  che  conserva; 
da  lei  tutto  ciò  che  è  in  noi  di  bello  e  di  grande. 
Se  è  vero  che  Dio,  compiuta  l'opera  della  crea- 
zione, si  riposasse  e  godesse  nella  contempla- 
zione delle  cose  create  ;  queir  altra  Dea ,  madre 
di  tutti  gli  Dei  e  di  tutti  gli  uomini ,  che  è  la 
Natura,  deve  sentirsi  beata  nel  contemplare  le 
opere  delle  sue  creature,  che  rimandano  alla  ma- 
dre i  sorrisi  di  tutte  le  luci,  le  vampe  di  tatti 
gli  amori  da  lei  ricevuti.  —  Più  in  là  Fumano  cessa 
e  il  pensabile  si  arresta. 


Non  malediciamo  alla  vita,  se  essa  è  capace  di 
tante  estasi  affettive,  estetiche,  intellettuali.  Vi 
sono  minuti  che  valgono  un  secolo  e  il  ricordarli 
riempie  di  soave  emozioni  tutto  un  secolo  di  vita. 

Non  malediciamo  a  nessuna  estiisi,  sia  dessa 
religiosa  o  intellettuale,  mistica  o  affettiva. 


CONCLUSIONE  309 


Inchiniamoci  a  tutte  le  altezze  e  se  non  pos- 
siamo salire  tutte  le  vette,  contempliamole  dal 

» 

fondo  della  valle  con  occhio  innamorato. 

I^on  malediciamo  a  nessuna  estasi  e  non  invi- 
diamole, perchè  ognuno  di  noi  è  capace  di  salire 
qualche  cima  delle  Alpi  morali.  A  nessun  uomo 
fu  mai  negato  un  raggio  di  sole,  né  un'  ora  d' e- 
stasi. 

Se  la  natura  ci  fa  tanto  diversi  di  colore  e  di 
forza ,  di  ingegno  e  di  bellezza,  stringiamoci  tutte 
le  destre,  nella  santa  alleanza  dell'alpinismo  mo- 
rale, nella  religione  delle  religioni,  che  è  il  culto 
deirideale, 


Fine. 


Estasi  umane,  --  II.  20" 


INDICE  DEL  II  VOLUME. 


Capitolo  XI. 

ALTEE  ESTASI  RELIGIOSE. 

Estasi  religiose  in  alcune  sante  e  in  alcuni  santi.  —  Maria 
degli  Angeli.  —  Anna  Caterina  Emmerich.  —  La  beata 
Margherita  Maria  Alacoque.  —  Battista  Varani,  prin- 
cipessa di  Camerino.  —  Frate  Jacopo  dalla  Massa.  — 
Frate  Giovanni  della  Vemia.  —  Frato  Leone .     Pag.    1 

Capitolo  XII. 
ESTASI  DELL'AMORE  DI  PATRIA. 

Le  estasi  dell'amore  di  patria.  —  La  maschera  di  Mazzini. 

—  Patria  e  religione,  eroi  della  patria  e  santi.  —  Me- 
glio il  chauviniwne  che  Tignoranza  dell'amor  di  patria. 

—  Diverse  forme  dell'estasi  dell'amor  di  patria.  —  Il 
ritomo  in  Italia  dell'autore  reduce  dall'India.  —  Estasi 
•solitarie  dei  grandi  amatori  della  patria.  —  Gli  eroi 
della  storia  e  gli  eroi  anonimi.  —  Estasi  epidemiche.  — 
Incendii  delle  foreste  e  incendii  del  cuore  nazionale  d'un 
popolo.  —  Raffronti  e  considerazioni »    B7 


312  INDICE 


Capitolo  XIII. 
PICCOLE  ESTASI  AFFETTIVE  E  MISTE. 

L^amore  per  gli  ammali.  —  Cani,  cavalli  e  bovi.  —  Le 
estasi  della  ricchezza.  —  I  due  lati  deUa  medaglia.  — 
L^avaro.  —  Le  estasi  patologiche.  —  Se  ne  fa  cenno , 
ma  non  si  studiano.  —  Aspirazione  modesta  di  questo 
mio  libro Pag.  113 

Capitolo  XIV. 
LE  ESTASI  ASCETICHE. 

Le  tooriche  dell'estetica  e  un  libro  futuro.  —  Diversi  ra- 
pimenti estetici.  —  Diversi  gusti  estetici  e  condizioni 
necessarie  all'estasi.  *—  L'entusiasmo.  —  Quale  sia 
l'uomo  ch'io  più  compianga  fra  tutti.  —  Estasi  per  le 
scene  della  natura  e  per  le  opere  d'arte.  —  Quale 
la  più  grande „  127 

Capitolo  XV. 

.LE  ESTASI  DELLA  NATUKA. 

Le  estasi  del  mare.  —  Terra  e  mare.  —  La  terra  sola. 
—  La  estasi  dell'uomo  dinanzi  al  cielo    ....    „  147 

Capitolo  XVI. 
LE  ESTASI  PRODOTTE  DAI  FIORI. 

Linneo  e  la  Calypso  borealis.  —  Le  piccole  estasi  dei  bota- 
nici e  delle  nature  molto  sensibili  dinanzi  ai  fiori.  —  Una 
corsa  estetica  nel  campo  dei  fiori.  —  Aleardi,  Boito  e 
l'autore.  —  Culto  universale  pei  fiori.  —  Fascino  mul- 
tiforme. —  Forme ,  colori ,  combinazioni  infinite  delle 
loro  bellezze.  —  Un  quadro  di  fiori  in  Norvegia.  —  Sul 

•   Rio  Gualeguaychù.  ^  Alla  Franila  de  SeiUt .    ..     „  167 


INDICE  313 


Capitolo  XVIl. 
LE  ESTASI  DELLA  MUSICA. 

La  musica  è  forse  la  grandissima  fra  le  creazioni  umane 
e  perchè.  —  Estasi  musicale  semplice  o  acustica  e  sua 
grande  forza  espansiva.  —  Diverse  varietà  delPestasi 
musicale:  l'amorosa,  la  melanconica,  la  battagliera  e 
la  fantastica Pag.  205 

Capitolo  XVIII. 

LE  ESTASI  DEL  PENSIERO. 

La  ricerca  del  vero.  —  Evoluzione  di  questo  affetto  dalla 
curiosità  alla  religione  e  all'estasi.  —  I  rapimenti  del 
laboratorio.  —  L'estasi  matematica.  —  L'estasi  nella  bi- 
blioteca. —  Osanna  a  tutti  i  minatori  del  vero     .    „  223 

Capitolo  XIX. 
LE  ESTASI  DELLA  FANTASIA. 

Gli  abissi  del  profondo  e  dell'alto.  —  D  nanismo  e  il  gi- 
gantismo nei  voli  fantasiosi.  —  Estasi  artificiali  e  spon- 
tanee; semplici  e  complesse  della  fantasia.  —  Possi- 
bilità dell'avvenire „  245 

Capitolo  XX. 
LE  ESTASI  DELL'ELOQUENZA. 

A  proposito  del  Padre  Agostino.  —  La  parola  scritta  e 
parola  parlata  :  differenze.  —  Onnipotenza  della  parola 
e  suoi  perchè.  —  L'oratore  e  il  suo  pubblico.  —  Estasi 
reciproche.  — >  Orfeo „  257 


314  INDICE 


Capitolo  XXI. 
LE  ESTASI  DELLA  LOTTA  E  DELLA  POTENZA. 

Rapimenti . di  Cayonr,  di  Garibaldi,  di  Molke  e  di  Bi- 
smarck.  —  Natura  complessa  e  indefinibile  di  qaeste 
estasi.  —  Dae  parole  sulla  psicologia  della  volontà.  — 
Locomotive  e  genii  d'azione.  —  Brevità  e  intensità  di 
queste  estasi Pag.  271 

Capitolo  XXII. 
LE  ESTASI  DELLA  CEBAZIONE. 


Mosè  e  Darwin.  —  Il  creatore  e  la  sua  creatura.  —  Di- 
verse creazioni.  —  Eppur  si  muove.  —  Quale  sia  l'e- 
stasi più  alti  fra  tutte;  quale  h  vetta  più  eccelsa  Del- 
l' Imalaia  del  pensiero  umauo.  —  La  natura  e  l'uomo 
creatore.  —  Conclusione  del  libro 289 


91076 


4