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r
LE ESTASI UMANE.
i.
DELLO STESSO AUTOBB :
Fisiologia delVamofx L. 4 5<)
Igiene (leWamore 5 —
Il Dio ignoto 6 —
Un giorno a Madera 2 50
Un viaggio in Lapponia 5 —
Le tre grazie 6 —
Fisiologia del piacere 4 50
<^ìtadri della natura umana 10 —
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nacclu. Ognuno — 50
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India, 2 volumi in-l« . 7 —
Gli amori degli ìtomini. 2 volumi in-16 ..... 8 —
éSfndi sidla etnologia delVIndicij con 60 fotogr. originali. 50 —
PAOLO MANTEGAZZA
é»
LE ESTASI UMANE
Qiiis dabit mìhi peiinas sicnt co-
lambee et volabo et reqoiescam?
Salmo LV, 6.
Volume Primo
MILANO
PAOLO MANTEOAZZA, EDITORE
1887.
B-- /3.-./
KYClj.
UHM*
Proprietà Letteraria
Biseryatì i diritti dì traduzione
Milano. — Tip. Treves.
CESARE ( i
NELLE AUDACIE / *
E NELLE LOl
COME SCEITTORJ
COME STORICO H
COME FADBH
PROVÒ
TUTTE LE PIÙ ALTE ESTASI UMANE
DEDICO QUESTO LIBRO
COLLA RIVBBENZA D'UN DISCEPOLO
COLL' AFFETTO D'UN AMICO.
290';;!
Capitolo Primo.
m
Questo libro è una battaglia. — L^estasi nel linguaggio vol-
gare, nel dizionario e nella scienza. — Definizione delPautore
e difesa di questa definizione. — Rapporti e confini tra Te-
stasi, l'ipnotismo, il piacere e l'ebbrezza. ~ Topografia sche-
matica dell' estasi. — Evoluzione del processo estatico. —
Eziologia dell'estasi. — H sistema nervoso e l'ambiente. —
Cause organiche permanenti e transitorie. — Il circolo eterno
che racchiude 1' uomo.
Estasi umane.
Questo mio libro, di cai, o lettore cortese, stai
legigendo la prima pagina, è una battaglia. Bat-
taglia non cercata, ma accettata ; battaglia di di-
fesa, non già d'offesa; ch'io non ho mai sapnto
serbare an rancore al di là da una notte dormita.
L' avrei voluto dedicare appunto per questo a
tutti coloro, che in buona o mala fede maledissero
il mio ultimo libro: Oli amori degli uomini; ma ho
voluto invece scrivervi un nome carissimo a me ^
glorioso per tutta l'Italia.
Senza quelle maledizioni lanciate contro di me
coll'impazienza di un odio antico o col furore d'una
collera subitanea, io non avrei scritto mai, nò mai
forse immaginato di scrivere Le estasi umane. Of-
feso, avrei potuto offendere; innondato da un tor-
rente di impertinenze pettegole e di articolucci e
articolacci, avrei potuto ancor io versare nel campo
••• •*. .....;
r !-• •• • •• • - •
4 CAPITOLO I
•• • • *■ - ■ * » -
• « •
• • r • • •
dei miei avversarii fango, ciottoli, arena; tutto il
tritume dell'odio ridotto in piccolo dalla debolezza
degli offensori. Credetti meglio convertire tutti i
miei risentimenti, tutti i miei sdegni per tanta
ingiustizia, in un libro, aspirando sempre a quella
ttasformaj^ione delle forze che migliora la materia
in una serie successiva di evoluzioni ; ammirato
sempre delPonnipotenza della natura, che trasforma
il letame in petali di rose e in grappoli d'uva.
Anche lo sdegno è una forza : ó perchè dunque
non potrà trasformarsi in lavoro utile e bello? Non
sentire è delle pietre ed io voglio essere uomo;
non rispondere all'offesa può essere evangelico, ma
non è umano. Trasformarlo in una nobile vendetta,
in un inno, in un'armonia, in un libro, può esser
cosa grande, almeno nobile, degna a tentarsi; che
non tutte le cose grandi si possono fare, ma il ten-
tarle non disonora alcuno. È per questo ch'io ho
pensato e oggi scrivo : Le estasi umane.
Se nel mio ultimo libro ho osato scendere nel
pantano fangoso e fetido dei vizi umani; se vi ho
dovuto scendere perchè anche là vive 1' uomo ; e
perchè non potrei salire , rinnovellato di novelle
fronde e lavato da capo a piedi coU'acqua lustrale
della scienza: perchè non potrei salire sulle più alte
vette del pensiero e del sentimento, là dove l'uomo
giunge ansante e trafelato, ma pur beato di esser
QUESTO LIBRO È UNA BATTAGLIA 5
salito così in alto, e rizzandosi ancora sulla punta
dei piedi, tenta di ^lardare se vi sia una vetta an-
cor più alta ch'egli possa scalare, un orizzonte più
largo ch'egli possa conquistare?
Se ho studiato le forme più bestiali dell'amore
amano , perchè non tenterei di studiare le estasi
umane?
E per estasi non intendo già tutti i travesti-
menti del superlativo, che nasconde questa pa-
rola nel suo manto gigantesco, ma solo un gruppo
ben distinto e determinato di fatti psichici.
4c *
Nel linguaggio volgare le voluttà delPamore, le
delizie della musica e le ebbrezze del vino e per-
fino i più ghiotti bocconi della cucina, ci danno
nii^est€L»i; ma qui non si tratta che di un super-
lativo dei superlativi, di un tras los montesy che è
r influito inesprimibile di una sensazione, di un
pensiero, di un sentimento. In tutte le lingue dei
X>opoli civili dopo il maggiore vi è il grandissimo;
ma al di là del grandissimo vi è anche un p'm che
grandissimo, che si esprime con parole strane e
diverse, ch'io rappresenterei tutte quante col se-
CAPITOLO I
gno oo, con cui i matematici esprimono l'infinito.
Vestasi nel linguaggio volgare è uno di quei più
che superlativi applicati al piacere, alPispirazione,
ai voli più audaci del pensiero.
Ma non è di queste estasi, ch'io voglio parlarvi
nel mio libro; ma di un ipnotismo del pensiero e
deW affetto; più spesso dell' affetto che del pensiero,
A questa definizione ch'io credo nuova, che forse
è anche scientificamente vera, io non sono giunto
che dopo parecchi mesi di meditazione; dacché il
concetto di estasi, anche all' infuori dell'uso vol-
gare della parola, è molto empirico e direi anche
molto confuso. £ uno dei tanti segni stenografici,
dei tanti presso a poco, coi quali la povera e im-
perfetta nostra parola tenta di designare uno stato
incerto o molto complesso della nostra scienza.
Spesso a farci conoscere bene un fatto psichico
incerto o molto complesso e quindi , per 1' una o
per l'altra ragione, oscuro, meglio che a definirlo
categoricamente, scolasticamente, giova il segnare
i confini suoi con altri fatti consimili e che ci sono
meglio conosciuti nella loro natura. Anche il geo-
DEFINIZIONI
grafo, quando ci vuol descrivere un paese, inco-
mincia a segnarcene i confini.
Or bene l'estasi confina coW ebbrezza, QoìTallu-
emozione, col piiwere, col sonnambulismo, col delirio,
colla catalessi; senza essere né l'una né l'altra di
tutte queste cose.
L'estasi è sempre uno stato eccezionale,. passeg-
gero, e la più parte degli uomini non l'hanno mai
provato. Taluni piìl rozzi e incolti durano fatica
anche a immaginarselo. La sua bella etimologia
greca f x-a-radic, lo star fuori, esprime mirabilmente
questo concetto.
La parola di estasi è dunque greca, e i Greci
pia poeti dei Latini, dovettero conoscere meglio
di questi uno stato di trascendente idei^lità. I Eo-
mani, gente positiva, pratica, popolo d'azione, non
conobbero Vestasi, ma l'indicarono con perifrasi
diverse : mentis excessu^, animi abalienatio.
Se cercate nei nostri lessici il significato di
estasi vi trovate : " che esso è un sollevamento del-
l'anima alla contemplazione di cose che avanzano la
condizione umana, „
Questa però non è una definizione né esatta, né
scientifica; perché tutt'al più non può servire che
ad esprimere l'estasi religiosa, una delle forme più
comuni, ma iion l'unica forma dell'estasi.
8 CAPITOLO I
* ♦
La mia definizione, s'io non m'inganno, esprime
il fatto più. essenziale, più caratteristico dello stato
estatico.
li^ ipnotismo è an sonno artificiale più o meno
profondo, in cui alcune regioni del cervello re-
stano come paralizzate , mentre altre invece ven-
gono straordinariamente eccitate. Noi rendiamo
artificialmente ipnotico un individuo, facendogli
converger gli occhi sopra i nostri occhi o sopra
un corpo lucente o praticando i passi magnetici sul
suo corpo.
Anche un rumore continuo ed uniforme, uno stri-
sciamento o palpamento tepido e leggero, il suono
d' un diapason , ecc., possono produrre stati con-
simili. Or bene, nell'estasi, invece di una sensazione
esterna, abbiamo un eccesso unilaterale di funzione
del pensiero o di un affetto, per cui tutti gli al-
tri organi cerebrali tacciono o, per dirlo con frase
più scientifica, rimangono inattivi ; e la nostra co-
scienza isolata dal mondo si concentra tutta quanta
ad assorbire l'energia intensa, indefinita e indefi-
nibile di un affetto o di un pensiero, che si trova
in condizioni di esaltatissima attività.
ESTASI E IPNOTISMO 9
Quasi sempre questo star fuori di so (ec stasis),
questo esaltarsi e concentrarsi di tutte le forze
psichiche in un punto solo è accompagnato da
una grande voluttà ; per cui spesso si adopera la
parola di estasi per esprimere la voluttà amorosa
o i piaceri estatici spinti al grado più alto.
La voluttà amorosa, per quanto conceda alFuomo
i più alti gradi di piacere e benché possa produrre
uno stato di estasi passeggiera od anche più o
meno lunga, ha confini così ben determinati, che
non può rientrare nel circolo delle vere estasi e
noi la lasciamo da parte, avendola già studiata
nella Fmologia del piacere e nella Fmohgia delVa-
more. Io non voglio esaminare che le vere e pro-
prie estasi, che traggono la loro sorgente dai due
sensi più alti della vista e dell'udito, da alcuni
sentimenti e da alcune forme dell' esercizio del
pensiero.
Per ben intendere il processo fisiologico delFe-
stasi dobbiamo riassumere brevemente ciò che la
scienza possiede oggi di più sicuro sull'ipnotismo,
non essendo quella, secondo noi, che una forma
più alta e più rara di questo. E così come la
scienza moderna, strappando di mano dalla ciarla-
10 CAPITOLO I
taneria, i fatti del magnetismo, lì ha saputi col-
locare nel loro vero luogo, rischiarando colla sua
bice alcune regioni fra le più oscure della vita
nervosa; così la psicologia positiva e sperimentale,
studiando le estasi, restituirà alla scienza ciò che
finora appartenne alla superstizione; ciò che fu
adorato dagli uni, deriso dagli altri.
Dopo i lavori del Braid, del Velpeau, del Guèri-
nean, dell' Azam, del Broca, del Bichet, del Chareot,
delVHeidenhain, del Grtttzner, del Berger, del Tam-
burini, del Seppilli, del De Giovanni, del Pozzo di
Mombello, del Silva, dello Czermack, del Preyer,
del Luys, e di tanti altri, l'ipnotismo è conosciuto
nei suoi fatti più salienti.
Il dottor Liebeault distingue nell'ipnotismo cin-
que stadii successivi:
1.° Samwlenza: smino dipeso, di intoì^idimento,
2.° /Sonno leggiero, nel quale si ode ancora ciò
che si dice intomo all'ipnotizzato.
3.^ Sonno profondo: l'individuo non si ricorda
più di ciò ch'egli ha fatto, detto o inteso durante
il sonno, ma è sempre in rapporto coi presenti,
come con chi lo ha ipnotizzato.
4.^ Sonno profondissimo: l'individuo è isolato
completamente dal mondo esterno e non è più in
rapporto che coli' ipnotizzatore.
5.^ Sonnambulismo.
IPNOTISMO 11.
Il professor Bemheìm , ipnotizzando 1014 indi-
vidui, proTocò in essi i segaenti fenomeni :
Soimambnlismo. ... in 162, cioè nel 15,9 p. 7u
Sonno profondissimo. „ 232 „ 22,8 „
Sonno profondo . . . „ 460 „ 45,3
Sonno leggero. . . . „ 100 „ 9,8
Sonnolenza « 33 „ 3,2
Nessuna influenza. . „ 27 „ 2,6
r
1014
Fino ad oggi si credeva che le donne fossero
più. ipnotizzabili che gli nomini; ma le recenti
osservazioni hanno invece dimostrato, che a que-
sto riguardo nessuno dei due sessi è privilegiato.
Liebeault tra gli altri ho potuto riconoscere che
la proporzione è quasi identica per ciò che con-
cerne il sonnambulismo; abbiamo cioè il 18,8 p. ^/^
negli uomini, il 19,4 p. 7o ^^^^^ donne.
Il sonnambulismo si osserva assai più frequente
nell'infanzia e nella giovinezza ; 26,5 p. ^/^ da 1 a
7 anni; 55,3 p. ^/^ da 7 a 14 anni. Nei vecchi in-
vece è un fatto molto raro (7-11 p. 7o)*
12 CAPITOLO l
* 4e
n professor Beaunis in un suo recente lavoro
ha studiato il sonnambulismo provocato (1) e così
riassume i principali caratteri di questo stato sin-
golare.
Appena V individuo è addormentato artificial-
mente (non importa con qual mezzo) si trova in
uno stato di sonnambulismo. Le membra conser-
vano la posizione che dà loro l' ipnotizzatore e i
movimenti che imprime loro si continuano auto-
maticamente.
L'individuo non è in rapporto che colla persona
che lo ha ipnotizzato , non ode che lui e non ri-
sponde che a lui. Obbedisce passivamente a lui
solo e può subirne delle snggesthnL
Durante il sonno, l'ipnotizzato ricorda perfetta-
mente ciò che è avvenuto o nello stato di veglia
0 durante il sonno provocato {interiormente, mentre
allo svegliarsi, dimentica tutto ciò che è avvenuto
durante il sonno provocato.
(1) H. Beaunis, Le aon^tamòidisme provoqm'. Études phy-
siologiques et psychologiques. Paris, 1. B. Baillière, 18B6.
MEEAVIGLIE DELLA SUGGESTIONE 13
Per chi ignorasse le meraviglie della suggestio-
ne, ecco un aneddoto del dottor Beaunis: -
" Durante le vacanze, dovendo lasciare Kancy
^ per parecchi mesi , la signora A. E. che avevo
" Tabitudine di ipnotizzare quasi tutti i giorni, mi
^ disse un mattino :
" — Voi non potete piti addormentarmi, dacché
" voi state per partire.
" — E perchè no ?
" — Ma ciò non è possibile, non essendo voi qui,
" — ^on importa: io vi darò dei gettoni magne-
" tizzati e quando voi vorrete dormire, non avrete
" che a metterne uno in un bicchiere d'acqua zuo-
" oberata e voi dormirete un quarto d'ora.
" Poi, soggiunsi :
" — Vi è un metodo più semplice. Quando voi
" vorrete dormire, non avete che a dire, pronun-
" ziando il mio nome : " Addormentatevi I „ e voi
^ dormirete immediatamente.
u — Ma questo è uno scherzo.
^ — Xou è uno scherzo, è cosa molto seria.
« — Xon posso crederlo.
" — Che cosa vi costa di provare ? Provate su-
" bito e vedrete se la cosa riesce.
^ — La farò.
" Essa però aveva l'aria poco convinta ed io con-
" fesso che anch'io avevo la mia parte di dubbiezze.
14 CAPITOLO I
" — Se ne va nel giardino ed io rimango nel-
" r appartamento per evitare d' influenzarla collo
^ sguardo o colla mia presenza.
^ Dopo un po' di tempo, mi si viene a dire : Essa
" dorme. — Vado nel giardino e la vedo in piedi,
^ addormentata.
" Poteva essere però un effetto dovuto alla mia
" presenza ed io era curioso di sapere, se una volta
" allontanato da Nancy, si riprodurrebbe lo stesso
" fenomeno. Pregai il dottor Liebeault, che essa vi-
" sitava di sovente, di osservarla e di tenermi in-
" formato di tutto. H risultato fu in tutto eguale.
^ Essa non aveva che a pronunziare la frase sacra-
^ mentale per addormentarsi immediatamente. „
*
I fatti pid sorprendenti che accompagnano l'e-
sta-si religiosa si spiegano oggi anch'essi colle
esperienze dell' ipnotismo.
II dottor Beaunis dice alla signorina A. E. du-
rante il sonno ipnotico : " Quando voi sarete ri-
svegliata, avrete una macchia rossa nel punto che
io tocco in questo momento. „ Tocca allora leg-
germente col dito un punto dell' avambraccio.
SUGGESTIONE IPNOTICA 15
Dieci minati dopo che la signorina è risvegliata,
in quel punto appare un rosso dapprima leggero,
che poi si fa sempre più intenso, e che a poco a
poco sparisce.
Si parla perfino di vescicazioni della pelle otte-
nute per suggestione ipnotica (1). Anche le secre-
zioni dell'prina, del sudore, delle lagrime, del latte,
{tossono essere eccitate dalla suggestione.
Bourru, professore di clinica medica nella scuola
di medicina navale di Bochefort, e Buret, medico
aggiunto della stessa scuola, hanno annunziato alla
Sociétè de biologie, n^Ua seduta deiril luglio 1885,
fatti d' epistassi e di sudore Muoguigno ottenuti
per suggestione ipnotica in un individuo emiple-
gico e emianestetico. Queste esperienze furono
ripetute collo stesso risultato sullo stesso indivi-
duo dal dottor MabiUe , direttore deir Asilo di
Lafond (La BocheUe) (2).
Una di queste esperienze merita di essere ci-
tata testualmente :
Lo sperimentatore traccia il suo nome sulle due
avambraccia del malato coli' estremità ottusa del
suo stiletto di medicazione e poi gli comanda:
(1) Bbaiwis, op. cit, pag. 73.
(2) Berjon, La grande hystérie chez Vhommey pMnomènes
dHhhibitUm et de dynamogénie, cìmngements de la personnor
lite, action des médicamenta à distaìice. Paris, 1886.
16 CAPITOLO I
" Questa sera , a quattro ore , tu ti addormen-
terai e tu farai uscir del sangue dalle linee che
ho tracciate. „
All'ora indicata, V individuo s' addormenta. Sul
braccio sinistro i caratteri si disegnano in rilievo
sul fondo pallido della pelle, e in molti punti si ve-
dono spuntare delle goccioline di sangu^. Dopo tre
mesi i caratteri sono ancora visibili, benché siano
andati poco a poco impallidendo. A destra, che è
il lato paralitico, non si osserva alcun fenomeno.
Il Beaunis, fin da trent' anni or sono, nella sua
tesi dottorale (De V habltude en getterai. Montpeì^
Uer, 1856) aveva già ravvicinato questi fatti ai
sudori di sangue e ad altri fenomeni consimili os-
servati nei santi estatici:
" Basta guardare con attenzione una parte del
" proprio corpo, di pensarvi intensamente per qual-
" che tempo o di sottoporla alle manipolazioni
" ('passes) magnetiche per provocare sensazioni
" indefinibili , punzecchiamenti , bruciori , pulsa-
" zioni, ecc. Si possono riscontrare prove di que-
" sti fatti nelle descrizioni così minuziose degli
" sperimentatori omeopatici e se ne trovano prove
" ancora più singolari in quei famosi martiri del
" medio evo, nei quali, nelle ore di estasi, si vede-
" vano flussioni di sangue , emorragie e perfino
" piaghe nella fronte, sulle mani e sui piedi. „
IPNOTISMO 17
Anch' io nei tre anni d' ipocondria che ho sof-
ferto nel corso di mia vita, poteva a volontà sen-
tire nn dolore in qualunque parte del corpo io
avessi voluto e talvolta anche produrre eritema o
orticaria.
Braid, Garpenter, Liebeault e molti altri autori,
spiegano i fenomeni dell'ipnotismo coìT attenzione
concentrata, colla concentrazione del pensiero. Que-
sta spiegazione però è poco chiara e non ci fa
penetrare mólto addentro nella natura dei fatti.
Durand de Gros ne ha fatto invece un'analisi più
profonda. Per lui il momento essenziale, caratte-
ristico dell'ipnotismo è quello di ridurre a un
minimo l'attività del pensiero, riducendo il suo
lavoro ad uno dei suoi modi più semplici. È per
questo che si sottopone il cervello all'eccitazione
esclusiva d' una sensazione semplice , omogenea ,
continua. Si ottiene in questo modo una specie
di sospensione mentale, fuorché in un punto solo ;
ma la forza nervosa continua non pertanto a pro-
dursi nel cervello, dove si accumula, perchè non
è adoperata; e ne risulta quindi una congestione
nervosa.
Estasi umane. 2
18 CAPITOLO I
Questa forza nervosa così accumulata nel cer-
vello può spostarsi o portarsi sopra 1' una o l' al-
tra parte, sopra Tuno o l'altro nervo, l'uno o l'al-
tro organo dei sensi e aumentarne quindi l' atti-
vità in un modo rimarchevole. I fenomeni ipnotici
non sono quindi che uno spostamento di forza
nervosa accumulata nel cervello e sottoposta alla
direzione che le è impressa dall' ipnotizzatore.
Questo spostamento avviene sotto l'influenza d'una
idea suggerita.
*
* *
Questa teoria è per noi la più chiara e quella
che serve anche a giustificare la nostra definizione
detestasi.
Così come nel sonnambulismo provocato con
oggetti lùcidi o i pdssi magnetici isoliamo una parte
del cervello, sovreccitandola, mentre tutti gli altri
territorii nervosi rimangono inattivi; così nell'estasi
per un intenso fissarsi del pensiero in una sola
contemplazione, in un solo desiderio, in un solo
. affetto, l' uomo concentra tutte quante le forze
psichiche in un punto solo: e si trovano tutti i
fenomeni dell'ipnotismo; quali la catalessi, le al-
IPNOTISMO ED ESTASI 19
lacìnazioni, il delirio, Tanestesia e perfino le emor-
ragie capillari della pelle (stigmate).
Così come nell'ipnotismo, perchè una sensazione
possa farci sonnamboli, occorre che questa sia
intensa e ripetuta e Tindividuo predisposto a sen-
tirla; così nell' estasi non sono che i sentimenti
più intensi, più indefiniti nella loro natura, che
possono darci quello stato strano e fenomenale, e
per di più occorre ancora che l'emozione si ripeta
più e più volte e la percossa si faccia sempre
sullo stesso chiodo.
Dei cinque sensi specifici soltanto la vista e
l'udito sono le vie che possono condurci all'estasi,
perchè sono i sensi più strettamente legati col
pensiero e il sentimento. Perchè un sapore o un
odore ci porti all' estasi o alle sue frontiere, oc-
corre che noi ci troviamo, per straordinaria debo-
lezza o per morbosa eccitabilità, in una condizione
affatto anormale. E le sensazioni dei tatto non
I>ossono raggiungere quello scopo che quando
hanno strette simpatie coll'istinto sessuale.
All'infuori di questi casi del tutto eccezionali
o patologici, non abbiamo per la via dei sensi che
le estasi estetiche e le estasi musicali. E non son
neppur queste le forme più comuni dell'estasi.
Queste appaiono in regioni più alte; là dove
l'amore si spoglia del desiderio o dove si amano
20 CAPITOLO I
creature invisibili e create dalla nostra fantasia,
o dove il pensiero ammira sé stesso, assorto nella
contemplazione delle creazioni intellettuali, delle
divinazioni, delle scoperte.
Di qui le estasi amorose, religiose ; di qui i ra-
pimenti del poeta, dello scrittore, delP uomo di
scienza ohe apre nuovi orizzonti air occhio insa-
ziabile e insaziato.
* *
Le allucinazioni o visioni, la catalessi, il delirio,
l'insensibilità generale o lyavzìale, il sonnambo-
lismo, le emorragie capillari della pelle sono fe-
nomeni che posson trovarsi tutti assieme o alter-
nativamente da soli in (.ompagnia dello stato esta-
tico, che produce e governa tutti questi svariati
fenomeni della vita nervosa e di circolazione.
L'estasi però ha altri confini con fatti psichici
meglio conosciuti, e questi sono il piacere e Veb-
brezza.
IL PIACERE 21
4( «
Vi possono essere piaceri intensissimi senza
estasi , e l' estasi può essere scompagnata dal
piacere.
Sono però due fatti che camminano vicini, che
si intrecciano spesso, che hanno fra di loro stret-
tessimo vincolo di parentela.
I piaceri più alti e più forti possono isolarci
nel godimento di una sensazione sola; in quella
concentrazione ohe abbiam trovato neiripnotismo.
Di qui annestasi non vi ha che un breve passo.
Dairaltra parte, meno pochi casi eccezionali,
Testasi è sempre un rapimento pieno di voluttà,
e chi l'ha provata una volta, se ne innamora, la
pone in cima d'ogni altra gioia della vita, si studia
di riprodurla più e più volte ; finché 1' estasi di-
viene lo scopo primo ed ultimo delPesistenza, di-
nanzi a cui impallidisce ogni altro piacere, si
spunta ogni ambizione, si raffredda ogni fiamma
di passione. Lo vedremo i)iù innanzi nella vita di
santa Teresa e di altre sante minori, che passa-
rono tanti anni in uno stato di estasi quasi per-
manente.
22 CAPITOLO I
Perchè Testasi produca tanta voluttà non è fa-
cile a dirsi. In generale i piaceri fisiologici sono
tutti quanti conseguenza della soddisfazione di
un bisogno; e quanto più il bisogno è intenso e
irresistibile e tanto più forte è la voluttà che
l'accompagna.
In molte estasi invece si tratta di bisogni tra-
scendenti creati da uno stato tutto particolare e
spesso anormale dei nostri centri nervosi. Anzi
talvolta è appunto la nessuna soddisfazione dei
bisogni più prepotenti del nostro organismo che
induce l'estasi religiosa o l'estasi dell'amore pla-
tonico; ed è allora che un desiderio violentissimo
non mai soddisfatto e tenuto sempre allo stato
potenziale sembra trasformare tutte quante le pas-
sioni in una passione sola, tutte quante le voluttà
in una voluttà sola; e la nostra coscienza aleg-
gia vibrando, come farfalla crepuscolare, che, di-
nanzi al fiore, succhia il nettare senza muoversi
dal proprio posto.
Lo Spirito Santo foggiato nel mito cattolico,
cioè la colomba colle ali aperte e sfolgorante nel
centro d'un infinità di raggi luminosi, è forse l'im-
magine più fedele di questa forma di estasi.
l'ebbrezza 23
Anche l'ebbrezza ha rapporti intimi coll'estasi,
e ne ha comuni molti caratteri. Non tutte però
le ebbrezze. L' alcoolica può procurare all' uomo
gioie grandissime, rapimenti, allucinazioni ; ma in
generale vi predomina il tumulto disordinato di
tutti gli elementi psichici, e le manifestazioni cen-
trifughe della vita nervosa impediscono la vera e
propria estasi, che è quasi sempre un concentra-
mento interiore, senza espressioni centrifughe.
Quando poi l'ebbrezza è così intensa da farci per-
der del tutto la coscienza di noi stessi e del mondo
che ci circonda ; non si ha l'estasi, ma il letargo,
il sonno e perfino la morte apparente. Nell'estasi
la coscienza è anzi ìperestetica , ma concentrata
in un punto solo del nostro mondo psichico: nel-
l'ebbrezza alcoolica essa è confusa prima, x)oi del
tutto smarrita.
L'ebbrezza che ha parentela strettissima col-
l'estasi è la narcotica, anzi in talune forme l'ana-
logia è così evidente, che si potrebbe dire essere
il narcotismo un'estasi artificiale i^rodotta dall'in-
troduzione di alcune sostanze nel nostro sangue
24 CAPITOLO I
e l'estasi alla sua volta un narcotismo spontaneo
e psìchico. Nell'ano e nell'altro di questi stati
avete l'isolamento completo o quasi dal mondo
esteriore, avete 1' anestesia, la allucinazione o vi-
sione, potete avere la catalessi; sempre poi tro-
vate lo sprofondarsi dell'Io nella contemplazione
delle immagini che ci passano davanti alla visione
interiore. Nessun uomo rassomiglia tanto ad un
dervish assorto in estasi religiosa quanto un coquero
della Bolivia o un fumatore d'oppio dell'India, e
s'io fossi pittore potrei in altrettanti quadri rap-
presentarvi queste scene sorelle, delle quali fui
testimonio nei miei lunghi viaggi nel vecchio e
nel nuovo mondo (1).
Nò in questo caso noi abbiamo rassomiglianza
di due cose diverse per contingenza fortuita di
accidenti secondari o di forme esteriori, ma dob-
biamo avere naturale parentela di fatti anatomici •
e biologici che soltanto la scienza dell'avvenire
potrà rivelarci.
Ai nostri occhi, un pazzo, un innamorato o un
fumatore d'oppio possono presentarci gli stessi
fenomeni, benché le cause del turbamento siano
tanto diverse; ma l'istologia e la chimica dovranno
spiegare in tempo forse non troppo lontano come
(1) ^Iantegazzà, Quadri della natvra umana, Y. passim.
NARCOTISMO 25
e perchè nervi e cervello risentano la stessa in-
fluenza per opera di un'alterazione patologica del
àìstema nervoso, o per opera dell' amore o del-
Toppio.
Le allucinazioni dell'estasi sono tanto rassomi-
glianti a quelle prodotte dai narcotici, che dopo
le immagini liete, appariscono spesso i quadri di
tristezza e di terrore. Il mangiatore d'oppio dopo
il paradiso iacantevole delle sue visioni ha l'in-
ferno degli spettri e dei cadaveri, e santa Teresa
(come vedremo più innanzi) dopo gli angeli vede
i demoni.
Goethe ha detto stupendamente che " la gio-
ventù è V ebbrezza senza il vino „ e noi, studiando l'e-
stasi, possiamo dire con eguale verità che l'estasi è
un'ebbrézza narcotica senza oppio, senza haschisch
e senza coca.
*
Quando si è collocata l'estasi nel suo j^osto na-
turale, si è già a mezza strada per intenderne i
misteri e le apparenti contraddizioni. Più in alto
dell'ipnotismo e dell'ebbrezza, forse ad ugual di-
26 CAPITOLO I
Stanza da entrambi, come lo vorrebbe rappresen-
tare questo diagramma che vi presento.
£8tasi
\
Ipnotismo /- — — --^ Ebbrezza
narcotica
Ecco la topografia dell'estasi nel mondo dei fatti
psichici. •
4e IH
Ed ora tentiamo di segnare V evoluzione del
processo estatico, come Darwin e i darwiniani
hanno tentato di fare per le forme dei viventi.
Perchè si abbia Testasi occorrono condizioni
particolari del sistema nervoso e agenti esterni
che si accordino con esse. Si può nascere colla
EZIOLOGIA DELL'ESTASI 27
natara più estatica del mondo, ma se l'ambiente
ohe ci circonda non la favorisce, morremo senza
aver mai provato e forse neppur subodorato che
cosa sia Testasi; mentre se i nervi sono ottusi e
nel cervello non v'è Vubi conmtwn, possono intorno
a noi nel tempio di Santa Croce echeggiarejle
divine sinfonie del Beethoven, senza che s'innalzi
da noi nna sola vibrazione estatica. Quando in-
vece sistema nervoso e mondo esterno si favori-
scono e si aiutano 1' un l' altro , possiamo avere
estasi infinite, di svariatissime forme e frequenti.
È l'eterna storia del terreno e del seme : senza ter-
reno, nessuna pianta; senza seme, nessuna pianta.
A tal seme tal terra, e via di seguito l'eterna li-
tania dell'ambiente e della natura, della natura e
dell'arte; l'eterno arrabattarsi e sudar della scienza
per precisare volta a volta quanta influenza abbia
il terreno e quanta il seme; l'eterno arrovellarsi
di ridurre a cifre precise queste due incognite;
quando pur non si dimentica che anche il seme
è già alla sua volta nna risultante di altri semi
cresciuti in altro terreno.
Ciò che possiamo però dire con molta sicurezza
è ohe dei due elementi, sistema nervoso e agenti
estemi , a produrre 1' estasi contribuisce il primo
assai più che il secondo. L' ambiente modificherà
la forma estatica, ma quando cervello e nervi vi-
28 CAPITOLO I
brano potenti , oscillando a brevissima distanza
dallo zero al mille; e la forza si sprigiona tnmul-
tuosa e gigantesca, lasciando a breve intervallo
spenti i fuochi e muta la macchina; quando si
nasce per vivere come Y aquila o il condor nelle
regioni dei ghiacciai e delle meteore: il più pic-
colo incidente esteriore basta a rapirci in estasi
e il rapimento è inevitabile. Se santa Teresa fosse
nata ai nostri tempi e nel mondo industriale di
Bristol o di Manchester, non sarebbe forse dive-
nuta una santa, né avrebbe avuto le visioni asce-
tiche, ma avrebbe pur sempre avuto estasi amo-
rose, o estetiche, o d'altra natura.
In alcuni periodi storici Y ambiente è singolar-
mente adatto a sviluppare in molti il germe la-
tente dell' estasi e a dargli anche un indirizzo
piuttosto che un altro. Senza pretendere di dir
cosa nuova e peregrina, è facile affermare che
nella Grecia antica le estasi estetiche dovettero
essere frequenti; mentre tutti sappiamo ohe il
medio evo fu terreno fecondissimo di rapimenti
religiosi. Oggi il nervosismo è sommo, ma la fede
vacilla e il culto estetico è disseminato sopra
troppi altari, perchè si concentri in un punto solo
e divenga estasi. Non mancano però di certo le
estasi religiose e le affettive e le estetiche, ma
sparse e solitarie e celate nelle pareti domestiche
IL SISTEMA NEKVOSO 29
o nei chiostri si occultano ai nostri occhi e pas-
sano ignorate. In tutti i tempi poi l'estasi amò il
silenzio e le tenebre e fu sepolta nell' obblio. I
grandi amori, le alte idealità, le estasi sono piene
di pudore, irte di timidezze e di astruserie; e solo
.li conosce V alpinista, che affronta il piede teme-
rario sul ciglio degli abissi alpini per cogliervi il
leontopodio. Certi fiori per sbocciare hanno biso-
gno dell'aria eterea delle grandi altezze, della luce
silenziosa che irradia dai ghiacciai, delle nubi
sfolgoranti di aurore boreali.
*
Alcune condizioni organiche del sistema ner-
voso e che predispongono all' estasi sono perma-
nenti, perchè congenite; altre sono passaggere,
I)erchè legate ad uno stato transitorio.
Un uomo, chiuso in un buio carcere per dieci
anni, anche senza essere dotato di squisita sensibi-
lità estetica, se liberato ad un tratto aves.^e dinanzi
agli occhi una grandiosa scena della natura, a cui
la gloria del sole, le iridi dei fiori, lo sfolgoreg-
giare dell'azzurro e il manto del verde facessero
corona, potrebbe cadere in estasi contemplativa.
30 CAPITOLO I
E non son rari i casi, nei quali la subita emozione
produsse in tali condizioni la sincope e perfino la
morte.
Così una lunga e rigorosa castità può nel gio-
vane meno estatico di questo mondo produrre un
rapimento dinanzi ad una statua greca, che mo-.
strasse le sante nudità della bellezza femminile.
Così la stessa musica , che ci ha lasciati indif-
ferenti le cento volte, può rapirci in estasi, se siamo
fortemente eccitati dal caffò o dalla vicinanza
della donna amata o da una gloriosa vittoria con-
quistata nei campi dell'arte, della scienza o della
guerra.
Pochi sono gli sfortunati, che in nessun'ora della
vita e in nessun minuto di un'ora non provarono
almeno i crepuscoli d' un' estasi qualunque. Io li
compiango sinceramente, perchè essi non hanno
provato il paradiso in terra.
*
* *
Dato il terreno , cioè l' ambiente adatto , dato
il seme, cioè il sistema nervoso , l' estasi non ap-
pare mai come folgore a ciel sereno; ma si pre-
para, si adombra, si disegna, si accentua, si plasma
EVOLUZIONE DELL'ESTASI 31
per apparire in tutta l'abbagliante luce della sua
apoteosi.
Ecco schematicamente la scala d'evoluzione. £
qui, che A. De Musset potrebbe dire :
Montez : voilà Téchelle !
E la scala è questa:
Concentramento deW attenzione in un unico fatto di
coscienza, sia poi aensaaione del mondo estemo o del
mondo interiore, pensiero in azione, sentimento che
vibra.
PaUore e raffreddatnento crescente di tutte le altre
sensazioni, di tutti gli altri pensieri, di tutti gli altri
affetti passati e presenti.
Accorrere tumultuoso, prorompente di tutte le forze,
di tutte le energie in un punto solo , attratte quasi
du una calamita irresistibile.
Scomparsa di tutte le forme della sensibilità estema
ed intema.
Paralisi e piU spesso catalessi di tutti i muscoli,
per cui atteggiamento fisso e spastico in una sola po-
sizione, che esprime per lo più o V estremo annientar
mento o il massimo esaltamento.
Una tendenza irresistibile al salire , non foss' altro
che cogli occhi.
Comparsa di immagini convergenti in un sol quadro.
32 CAPITOLO I
o di una sola imma{flne, che concentra in se tutte le
bellezze del disegno e del colore.
Risultato finale: un'unix^a, una tremenda sensazione
che fonde in sé tutte le altre minori , un unieo y «n
tremendo affetto in cui si trasformano tutte le altre
energie affettive.
Un irradiare da questo unico punto di ra{jgi di
luce, di folgori di trascendenza.
Il rapimento o Vestasi.
* *
L'uomo che è salito per questa scala, protende
le braccia del corpo e del pensiero verso Tinfìnito
e aspira a pieni polmoni Paria inebbriante di tutti
i superlativi umani. É allora ch'egli, giunto agli
estremi confini dell'umano, intravede e sogna un
uomo più uomo di lui , uà, angelo o un Dio, e
spesso si crede convertito in angelo o in Dio;
cioè in un uomo alato o in una creatura invisi-
bile, onnipotente e per necessità amorfa nel tempo,
cioè eterna ; amorfa nello spazio, cioè infinita. Siam
fuori del reale quotidiano, non siamo più nella
ginnastica pedestre, ma nell'acrobatica.
E chi contempla l' uomo estatico , lo ammira o
VEHSO L'INFINITO 33
Io derìde , secondo la propria fede o il proprio
scetticismo; lo divinizza o lo consacra al mani-
comio; ne fa nn Dio o nn pazzo; di tanto gli
estremi poli del sensibile e dell' intelligibile sono
Ticini; di tanto si toccano le lagrime della gioia
e qneUe del dolore; i sorrisi del fanciallo e quelli
dello scettico ; le convulsioni della voluttà e quelle
dell'agonia; i delirii lirici e la mania , le divina-
zioni del poeta e le ipotesi dello scienziato.
Circolo e sfera, serpente che si morde la coda ;
petalo che diventa escremento, e escremento che
ridiventsf petalo ; singhiozzo di morente che si riac-
cende nel gemito d'una culla; circolo e sfera che
rinchiudono in una prigione inesorabile tutti gli
umani pensieri , tutti gli affetti, tutte le speranze
del figlio di Prometeo,
Estasi umane, 3
Capitolo II.
Fatale condanna del figlio di Prometeo. — Classificazione delle
estasi. — Le piccole e le grandi estasi. — Schizzo sommario
delle piccole estasi. — Piccole estasi permanenti e transitorie.
— Le grandi estasi. — Trasformazione dell'estasi in lavoro
utile. — Classificazione di tutte le estasi dalla loro origine.
Studiare vuol dire distinguere e distinguere pur
troppo vuol dire incidere, recidere; separare il
tendine dal muscolo e il nervo dalla carne ; dis-
fungere cose nate insieme e fatte per morire
insieme, sia poi che siano strette tra di loro per
contiguità di luogo o per continuità di tempo. É
questo tale un tormento per il naturalista pensa-
tore, è tale un fatale andare che accompagna le
mostre ricerche, che io me ne cruccio e me ne
cruccerò fino all'ultimo respiro.
In questa triste necessità di distaccare le mem-
bra dall'organismo che si esamina, mi par di ve-
dere la più fedele rappresentazione del peccato
originale adombrato in tante religioni ; mi par di
udire la voce di un Dio risponder beffardamente
all'uomo che l'aveva sfidato : — no, io non ti inca-
tenerò allo scoglio, né ti manderò un avvoltoio
38 CAPITOLO II
che ti divori le viscere; io sarò più pietoso con
te, di quel che lo fui con Prometeo : io ti darò un
coltello e tu lo terrai eterno nella tua mano. ITon
è un'arme con cui tu abbia ad uccidere, ma lo
strumento necessario per la ricerca del vero. Tu
vuoi conoscere il segreto delle cose: ebbene, tu
le hai a tagliare; tu hai voluto in ogni fibra di
carne, in ogni gocciola di sangue ricercare il
perchè della vita, ebbene taglia. Dividi e sappi! —
Eterno tormento delle nostre mani e del nostro
pensiero , quel fatale coltello , con cui facciamo
sangue a ogni passo delle nostre ricerche; eterna
tortura, con cui solo sappiamo costringere la na-
tura a dare una risposta alle nostre afiPannose
domande. Fortunato colui che incide con poco di
sangue e con poco di dolore: immortale colui che
riesce a separare senza reciderei
E anch'io, uomo come tutti gli altri, condannato
alla stessa pena, dirigo la punta del mio coltello
in uno degli organismi più delicati della psicologia
e tento con voi di distinguere e di classificare le
estasi. Me fortunato, se riuscirò a far poco strazio
delle carni delicate e dei delicatissimi nervi.
ESTASI PICCOLE E GRANDI 30
Una prima e naturale distinzione delle estasi è
quella che separa l'estasi vera, completa, da al-
cuni stati incipienti, crepuscolari, che molto la
rassomigliano, ma che mancano dei fenomeni più
alti e più complessi. Di qui una classificazione in
piccole esiasi e in grandi estasi.
£ì a un dipresso come per l'ipnotismo, che fu
distinto (come abbiamo già veduto) in sonnolenza,
sonno leggiero, sonno profondo, e profondissimo, e
sonnambulismo.
Le piccole estasi sono naturalmente le più co^
munì e non v'ha forse uomo di razza superiore,
che in qualche ora della vita non le abbia provate.
La musica, la contemplazione di opere d'arte o
di scene della natura, molte emozioni affettive,
la religione, possono procurare uno straordinario
esaltamento, che si concentra tutto quanto nel
godimento e nell' ammirazione. Qualunque sia la
sorgente del nostro rapimento, noi ci sentiamo
quasi del tutto isolati dal mondo esteriore, a cui
Siam stretti soltanto per quell'unica sensazione o
quell'unico aflfetto che è causa dell'estasi. Vi è quasi
40 CAPITOLO n
sempre in noi l'espressione della distrazione stra-
ordinaria , della fissazione , dell' assorbimento di
tutti gli organi e di tutte le sensazioni in un unico
punto del sistema nervoso.
Finché però noi esaminiamo le sorgenti del-
l'estasi, finché l'attenzione é accompagnata da
tutta l'acuità della nostra coscienza, il rapimento
non si verifica. Possiamo ammirare, amare, sentire
intensamente, ma finché i contorni dell'immagine
reale o psichica o le note musicali appaiono chiare
e distinte al nostro occhio o al nostro orecchio,
l'estasi non esiste.
£) ad un certo punto di tensione prolungata
del nostro sistema nervoso, ohe i contorni del-
l'immagine sfumano, le note si confondono^ e la
coscienza sembra sciogliere tutti gli elementi di-
stinti della sensazione in un lago sconfinato che
tutto assorbe e confonde.
*
* *
Un momento prima noi contemplavamo una
vergine del Bafaello o una vergine vivente della
natura, e ad una ad una ammiravamo le bellezze
di quella creatura.
PICCOLA. ESTASI 41
Le linee molli e ondeggianti della persona, che
rinchiudevano tatto nn mondo di grazie e di bel-
lezze, e i mille particolari fusi armonicamente in
qaeirarmonia di forme e di colorì e quella melodia
soave deirammirazione del prima, che non era fi-
nita e si fondeva coll'ammirazione del poi, facevan
vibrare tutte le nostre energie estetiche con una
grandissima voluttà; ma eravamo sempre osserva*
tori, pensatori, critici fors' anche; ma non estatici.
Ma ecco che di quell'immagine noi non vediamo
più né le linee curve, né le grazie; non distin-
guiamo più né la fronte, nò gli occhi, né il colo-
rito , né altri particolari ; ma ogni bellezza si di-
Bcioglie in una bellezza sola. Non più contorni,
non più colori, non più punti, né linee; ma la
vibrazione potente di tutti insieme quei contorni,
quei colori, quei punti e quelle linee, che conqui-
stano ed abbracciano tutta quanta la nostra co-
scienza, che sembra stringere in un poderoso am-
plesso quel capolavoro dell'arte o della natura.
Allora Testasi incomincia e alle sensazioni di-
stinte tien dietro l'indistinta, la indeterminata e
quindi l'indefinibile. Allora siamo nei primi stadii
dell' anestesia e della catalessi, senza avere né
l'una né l'altra; e godiamo nna phcola estasi, É
una voluttà squisita, alta, e ahimé troppo rara.
L'immagine che fu causa dell'estasi spesso sparisce
42 CAPITOLO II
affatto ai nostri occhi, la musica che ci portò a
quell'altezza non è più udita, benché occhi e orec-
chie sembrino intenti all'attenzione; e noi a mez-
z'aria vediamo un' altra figura, udiamo un' altra
armonia, che è una transustanziazione di tutte le
cose belle, di tutte le musiche del mondo, e a
mezz'aria guardiamo e ascoltiamo cose che ci im-
paradisano. I pensieri si affbllano come rondini
saettanti che al richiamo di una rondine che cian-
gotta sulla gronda d'un tetto, accorrono a lei ; ma
non appena comparsi quei pensieri , svaniscono ,
sfumano, prima di prender forma, come nuvolette
rosee e dorate che una brezza repentina del cre-
puscolo mattutino chiama a raccolta e lo spazio
infinito del cielo inghiotte e consuma. Anche quei
pensieri venuti da ogni lato, quasi a prender parte
al gran banchetto dell'estasi; accorsi dagli archivi
del passato, dall'eco lontano di versi non obbliati,
dai nidi abbandonati d'amori svaniti; venuti dai
calici d'ogni fiore, dalle bucce pubescenti e fra-
granti dei frutti dell'orto; accorai freschi freschi
dal ghiacciaio adamantino, o tepidi dei tepori vo-
luttuosi di colombe innamorate, o caldi degli ar-
dori inebbrianti dei boschi tropicali: tutti quei pen-
sieri venuti dall'alto, dal basso, da ogni punto lon-
tano e vicino dal mondo delle creature terrene e
dagli abissi degli spettri e degli spiriti, fan capo-
L'ESTASI IN LAVOEO UTILE 43
Udo alla nostra coscienza estatica, ma fuggon via
subito, prima di aver coperto le loro vaghe nudità
colla veste della parola. Vengono, vanno , si rin-
corrono, si appiattano, e noi non cerchiamo punto
di afferrarli o di arrestarli. Son nuvolette, che coi
loro contrasti bizzarri accrescon bellezza all' az-
zurro profondo del cielo; ma è in questo azzurro
che noi sprofondiamo la nostra coscienza, è in
queir oceano di luce , che noi godiamo la nostra
estasi.
È questo un momento capitale nella storia del
pensiero umano, perchè giunti a queste frontiere
altissime e lontane del sensibile, la forza che si
sprigiona dai nòstri centri nervo{$i o finisce tutta
quanta in estasi, cioè in fatti di coscienza, o si
trasforma in opere d'arte , siano poi di penna, di
stecca o di pennello. Allora l'estasi svanisce,
perchè la sensibilità si traduce in moto, perchè
la forza diventa lavoro.
Nella donna, nell'uomo a tipo psichico femmi-
nile, nelle nature contemplative, ogni forte ammi-
razione, ogni intenso affetto ha lo stadio estatico
44 CAPITOLO II
e in esso si consuma e finisce, Neil' uomo invece
e in tutte le nature operanti, Testasi, incominciata
appena, si traduce nel lavoro utile di una poesia,
di una pagina eloquente, di un quadro, di una
statua. Nel psicologo naturalista il bisogno pre-
potente dell'osservazione fa violenza all'estasi ed
egli 1' arresta e la studia. Nessuna opera grande
d'arte o di letteratura, che non abbia il suo stadio
estatico ; nessuna estasi lunga, ripetuta , che non
consumi gran parte delle energie del pensiero, se
pure è consumazione il godere voluttà, che solo
il ricordare può riempir la vita di gioia.
É legge fatale che la sensibilità soverchia sia
a danno del movimento, e che rare volte i poeti
siano uomini d'azione. Ma se le donne tutte, che
nei campi del sentimento provarono le sante estasi
del rapimento, avessero potuto lasciare ai posteri
la pittura di quei mondi fantastici da esse visi-
tati, quante opere d'arte avremmo nei tesori delle
nostre biblioteche ! Pur troppo invece torrenti di
voluttà estetiche scendono muti nel fondo del
mare o si perdono fra le arene dei deserti, senza
che fecondino un cespo di viole o una spiga di
grano.
LE OBANDI ESTASI 45
* *
Molte volte le piccole estaM non sono che il prin-
cipio, r introduzione, il primo stadio delle grandi
A queste non si giunge quasi mai che attraverso
le piccole; poi, T isolamento della coscienza si fa
più intenso, diventa completo, raggiunge Tultimo
stadio della tensione massima e noi abbiamo la
catalessi, il rapimento perfetto.
A raggiungere le grandi estasi non basta quasi
mai l'ammirazione, ma si esige la nota dell'affetto.
Anzi, meno rare eccezioni, non si sale così in alto
che per due scale , P amore e il sentimento reli-
gioso, le due più gigantesche energie umane; Vuua
che crea, l'altra che adora e spera. Delle due più
frequenti , più perfetta l' estasi religiosa , perchè
Dio non si può vedere né abbracciare; mentre
Venere è più vicina a noi, e anche quando non
Bi stringe al petto innamorato, ci inviluppa, ci
accarezza colle grandi ali vellutate dell'eterno
femmineo. Lo vedremo più innanzi , facendo uno
studio i)articolare delle massime estasi concesse
all' uomo. Fin d'ora però possiamo dire , che 1' a-
more platonico , solo suscettibile dei più grandi
46 CAPITOLO II
rapimenti, è sempre un desiderio di cosa viva.
Vi è sempre nell'estasi amorosa una nota, altis-
sima fin che si vuole, ma nota di sensualità; men-
tre questa è così lontana , è così sbiadita nell' e-
stasi ascetica da svanir del tutto o da riuscire
invisibile nel rapimento religioso.
All' infuori della classificazione delle estasi se-
condo il grado e l' intensità, noi possiamo distin-
guerle naturalmente dalla natura della loro ori-
gine. Io modestamente propongo questo metodo
di distinzione.
Primo gruppo, — Estasi affettive.
Secondo gruppo, — Estasi estetiche.
Terzo gruppo. — Estasi intellettuali.
PRIMO OBUFFO
ESTASI AFFETTIVE.
1. Estasi dell^ amore.
2. Estasi degli affetti di famiglia.
3. Estasi dell' amicizia.
4. Estasi dell'affetto umano e sociale.
5. Estasi del sagrifizio.
adorazione,
6. Estasi religiosa } consacrazione, dedizione, prostrazione,
° > visioni,
preghiera.
CLASSIFICAZIONE 47
SECONDO GEUPPO
ESTASI ESTETICHE.
1. Estasi estetiche della figura e della forma.
2. Estasi del colore.
a Estasi della simmetrìa.
4. Estasi dell* infinitamente piccolo.
5. Estasi dell' infinitamente grande.
6. Estasi della molteplicità.
7. Estasi musicali.
TEBZO OBUPFO
ESTASI INTELLETTUALI.
1. Estasi deUa conquista del vero.
2. Estasi della creazione.
3. Estasi dell'eloquenza.
4. Estasi della potenza e dell' azione.
5. Estasi metafisiche.
Non pretendo aver designate tutte qaante le
forme e le origini dell' estasi : spero soltanto di
aver distinto le principali, riducendo le complesse
alle forme più elementari, che si raggruppano poi
e si intrecciano in cento modi diversi, presentando
al nostro occhio aflfascinato scene e quadri di tra-
scendente bellezza.
U mineralogista che misura con istrumenti geo-
48 CAPITOLO II
detici le forme diverse dei cristalli può preten-
dere ad un'esattezza assoluta, benché alcune forme
intermedie o di passaggio sembran talvolta ridere
delle sue rubriche. Così il chimico, che colle bi-
lancio e i reattivi segna i confini insuperabili di
tutte le possibili combinazioni della materia, può
vantarsi di esprimere nelle sue formole la vera
fotografia del vero, la vera genealogia evolutiva
dei corpi composti. Il povero psicologo invece non
ha fra le mani cristalli o aggregazioni matema-
tiche di molecole, ma studia movimenti invisibili
della più mobile, della più elastica fra le materie:
il cervello che pensa; — e deve accontentarsi di ap-
prossimazioni, di divinazioni, di presso a poco. Per
lui ogni problema di distinzione e di classifica-
zione si riduce quasi sempre a questa formola :
misurare Vinfinito, pesare VinìponderabUe,
Capitolo III.
L' ESTASI NEGLI ANIMALI.
Le forme crepuscolari dell'estasi negli animali. — Piccole
estasi muscolari, musicali e estetiche. — Le orgie muscolari
dei bambini e delle bestie. — Estasi musicale. — Estasi este-
tica. — La passera solitaria a San Terenzo. — Gli usignuoli
ad Acqui. — H mio papagallo rosso delle Molucclie. — Le
paradisee e i loro rapimenti estetici. — Forme crepuscolari
delle piccole estasi nei nostri bambini e nei selvaggi. —
Un'antologia dei popoli analfabeti.
Estasi tim(me.
Per quanto V estasi poggi sulle più alte vette
della psicologia nmana e il nostro orgoglio da
secoli riserbi all'uomo il privilegio di tutte le cose
alte e buone e belle; pure la scienza imparziale,
giusta, che colloca ogni cosa al suo posto e non
chiude gli occhi, quando un fatto della natura
sembra umiliarci, deve riconoscere che anche in
molti animali si possono osservare piccole estasi,
forme crepuscolari del rapimento.
Se parlo d'orgoglio e di umiliazione è per usare
il linguaggio volgare, non già ch'io senta né l'und
né r altra cosa , quando nell' anatomia del mio
corpo o del mio pensiero o dei miei sentimenti io
mi veda collocato accanto agli insetti, agli uccelli
o ai mammiferi. Mi sento anzi felice di questa
fratellanza cosmica, nella grande repubblica dei vi-
venti; dove se vi sono oppressori e oppressi, grandi
52 CAPITOLO III
e piccini, i corridori si passano però tutti quanti
dall'una all'altra mano la fiaccola della vita, e la
culla e la tomba, e il piacere e il dolore ci strin-
gono nel circolo d'una stessa famiglia e con vin-
coli ben più inesorabili e fatali, che non siano le
gerarchie nobiliari, le caste e l'identità del co-
gnome.
Gli animali più vicini a noi, così come sono su-
scettibili di ipnotismo, sono anche capaci di estasi.
Bono estasi semplicissime, passaggere, ma chi po-
trebbe negare che sono senza visioni e senza ca-
talessi? — La psicologia degli animali è ancora
al sillabario, e ogni giorno che passa ne allargai
confini e li avvicina sempre più a noi. Io non pre-
tendo di aver studiato i nostri fratelli , i nostri
primi e secondi cugini colla profondità con cui li
hanno studiati l'Audubon, il Brehm, il Darwin e
pochi altri; ma pure tra le pareti domestiche e
nelle foreste di San Eossore (quand'ero studente
a Pisa) come più tardi nelle vergini foreste del-
l'America meridionale e dell'India, come nei campi
e nei giardini d'Europa, ho passato anch'io lunghe
ore neir osservare usignuoli, x)apagalli, gazzelle,
cavalli, guanacchi, scimmie ed altri nostri parenti
alati o pelosi, e credo di averli veduti in estasi.
Mi sembra anzi di poter distinguere in tre gruppi
questi loro rapimenti, e cioè in :
V ESTASI 53
1.^ Estasi muscolari e vegetative;
2.^ Estasi musicali;
3.^ Estasi estetiche;
per non dij^correre dell' estasi amorosa che ap-
partiene (come ho già detto) alla voluttà e ohe
ho già studiato in altri miei scritti.
Da ogni punto del sistema nervoso centrale si
sprigionano continuamente energie latenti, che
sono nuU' altro che trasformazioni di movimento
e che quando non si traducono in lavoro , si ac-
cumulano, si addensano rimanendo allo stato po-
tenziale. Quando la tensione è soverchia, le cel-
lule nervose non la possono più contenere e ad
un tratto sprigionano la forza sotto mille forme
diverse. Ora è un canto , ora è una corsa , o un
salto o un incomposto e convulso agitarsi di tutti
i muscoli. Chiamerò questo un'orgia muscolare,
É un cavallo selvaggio, che nitrendo alza il
capo, poi si dà a una corsa sfrenata nelle pampa
0 nelle steppe e caracollando e impennandosi
senza bisogno di frusta o di sperone, interrompe
la corsa per saltare , per girare sopra sé stesso;
54 CAPITOLO m
poi si getta a terra, mordendo l'erba senza man-
giare; convulso, beato, ebbro di movimento e di vita.
È un cagnolino, che s'alza dalla cuccia e corre
ad inseguire mosche immaginarie, abbaia a ne-
mici invisibili , salta e si rotola , schiamazza e si
esalta del proprio moto e dell'ebbrezza della forza
ohe sprigiona da ogni muscolo.
È un gibbone, ohe appeso colle due braccia al
ramo d' un albero , nelle foreste di Sumatra o di
Bomeo, fa salti mortali e guizzi acrobatici verti-
ginosi e giri e rigiri, che stancano il nostro occhio.
Son centinaia di papagalli, che sulle rive di
un laghetto del Paraguay circondato da denso
foreste, si rotolano nell'arena, sbraitando, beccan-
dosi per chiasso, gettandosi sul dorso, facendo e
sciogliendo gruppi di piume verdi e rosse e gialle,
e gettandosi nell' acqua e bagnandosi a vicenda
collo sbattere convulso dell'ala.
Or bene, in tutte queste orgle muscoìarij in qu^,-
sti inni di vita piena e baldanzosa, che le crea-
ture sane e felici lanciano al cielo, vi sono mo-
menti nei quali ogni moto cessa, ogni voce si tace,
e l'animale, pennuto o peloso, rimane assorto nella
piena di una sola sensazione, una delle più sem-
plici forse; quella di sentirsi pienamente vivo. Di
certo è quella una forma crepuscolare dell'estasi,
perchè V animale in quei momenti di beatitudine
L' ESTASI 55
dimentica i bisogni più urgenti della vita e può
esporsi ai maggiori pericoli, lasciarsi sorprendere
dai suoi nemici.
U estasi musicale non è nota a noi che negli
uccelli cantori , ma chi sa che l'asino che raglia,
il gibbone che percorre tutta la scala delle nostre
note, chi sa che gli insetti, le cicale e i grilli, per
esempio, non provino anch^essi rapimenti estatici,
quando parlano la loro lingua, che al nostro orec-
chio riesce così disgustosa e perfino insopportabile?
Quasi tutti gli animali riserbano il meglio della
loro musica per la festa delle nozze, e siccome in
quella primavera metton fuori dagli scrigni i loro
gioielli più preziosi , così non è a dubitarsi che
si inebbrino anche della loro voce. La voce d'una
donna può bastare a farcene innamorare e molti
cantanti fecero strage spietata di cuori femminili
colle note della loro laringe: precisamente come
molti uccelli s'invitano all'amplesso col loro canto
e moltissimi non sanno cantare che nella stagione
d'amore. Il canto è il loro inno di gioia, ò il mes-
saggero del loro cuore, e porta sulle sue ali la
56 CAPITOLO in
sedazione e il fascino. Il frangaello maschio che
aspira ad avere una sposa e un nido , sale sulle
più alte cime d' un ciriegio e innalza al cielo i
suoi trilli potenti. Altri rivali si associano a lui
e lo sfidano a singoiar tenzone, alternando i loro
inni erotici. E intanto la pallida femminetta, na-
scosta fra le fronde, con molta civetteria si mette
in ordine le morbide piume sotto le ali e aspetta
di darsi al più robusto e al più abile cantore. E
i pretendenti cantano e ricantano la loro canzone
d^amore, variandone all'infinito l'intonazione e la
forza, e tanto impegno ci mettono e tanta pas-
sione, che fu veduto più d'una volta cadere dal-
l'albero fulminato dall'apoplessia un franguello che
aveva troppo cantato. Senza dubbio in questa
crisi l'estasi non può mancare, benché sia difficile
il dire quanta parte vi abbia il suono musicale e
quanta il desiderio d'amore.
Io ho veduto molti uccelli far sosta a un tratto
nel loro canto e rimanersene coU'oochio fisso, col
corpo immobile, assorti in una vera estasi. Più
spesso ho veduto la passera solitaria.
ESTASI ESTETICA 57
Il pavone ohe apre la sua coda smisurata dai
cento ocohi luccicanti , il tacchino che gonfia , il
gallo che fa la ruota, sono altrettanti esempii di
estasi estetica negli uccelli; e spesso ne godono
anche all'infuori d'ogni eccitamento sessuale.
Questi e molti altri animali godono nel vedersi
belli, e della propria bellezza si innamorano e si
esaltano, giungendo di grado in grado fino al ra-
pimento. Della parte che hanno queste ostenta-
zioni di bellezza nei fatti d'amore, non parlo, perchè
già se ne sono occupati tanti naturalisti e fra gli
altri e più degli altri il Darwin nella sua opera
sxxW elezione sessuale. Il credere però che questi
rapimenti estatici siano sempre e necessariamente
un episodio della vita riproduttiva è un errore.
Molte altre energie psichiche hanno uno scopo ben
determinato, ma airinfuori del loro cerchio natu-
rale, diflfondono la loro influenza anche in altri
campi del sistema nervoso e del mondo psicolo-
gico. Perchè la voce è stnimento di fascino nella
seduzione amorosa, non è detto che non si possa
cantare o poetare anche per semplice sfogo este-
58 CAPITOLO III
tico, e così accade appunto nel pavone , nel tac-
chino , nel gallo e vedremo più innanzi, nelle pa-
radisee.
4r
Accanto alla mia Serenella a San Terenzo, vi
è una falda di monte, che è un paradiso per gli
occhi, che è un incanto di solitudine e di poesia.
Si alza da un microscopico seno Ai ghiaia molle-
mente bagnata dal mare e si incorona in alto di
lecci sempre verdi, che saldi al loro posto colle
radici nei crepacci della rupe, si inclinano verso
il mare e si piegano in cento modi come fanciulla
che si molleggia a far risaltare tutte le perfidie
seduttrici del suo corpo voluttuoso , a provare
tutte le capacità elastiche della sua giovinezza.
Fra quei lecci, cespi di cisto, di lentischio, di
cripto, che nascono, fioriscono e maturano i loro
semi, senza che mano di curioso o falce di contadino
possa toccarli mai. A sinistra, un antico cartello
convertito in focolare di luce elettrica, a destra
e in alto, dove finiscono i lecci, una chioma folta
e cinerea di ulivi. A sinistra la guerra e a destra
L' ESTASI 59
la pace; a sinistra la mano dell' aomo che uccide
l'uomo ; a destra la mano dell'uomo che nel solco
bagnato dal proprio sudore, pianta il pane e il
Tino. Fra quei due grandi travagli umani dell'uc-
cidere e del mangiare, quella falda di monte è
un'oasi di verginità che l' uomo non può 'violare.
Piante e animali , lecci e lucertole , lentischi e
volpi, rondini e passere solitarie vi stanno felici
senza la paura dell'uomo.
Ee di quel piccolo mondo è la passera solitaria,
che in un crepaccio dei più celati e inaccessibili
intreccia il suo nido e dei pinnacoli della rupe
fa teatro dei suoi canti e delle sue armonie.
D'un colore azzurro cupo, quasi avesse assorbito
e concentrato tutti gli azzurri del cielo, in cui si
tuffa da mane a sera, col suo occhio che luccica an-
che da lontano come grano di antracite, canta e sì
delizia dei suoi canti sfogati , che squillano per
Tarla dorata dell'estate, come inni di lirica audace.
E di quel canto s'inebbria e alza il collo e soc-
chiude gli occhi e si contorce, Anche non potendo
contenere la piena dell'emozione che lo innonda,
si alza fulmineo neir aria , quasi volesse sprofon-
darsi nell' infinito e coli' ali distese s' immobilizza
sospeso fra l'azzurro del mare in cui si specchia
e r altro azzurro del cielo che guarda dall' alto
quella creatura alata , tutta bellezza e tutta ar-
60 CAPITOLO III
monia; e che innalza il suo grido di gioia e di
voluttà alla natura, madre di tutti i viventi.
In quell'istante di certo la passera solitaria prova
un'estasi complessa, muscolare e musicale ad un
tempo, e rapimenti consimili devono osservarsi in
altri uccelli da chi li studierà con curiosità di
naturalista e amore di poeta.
♦ *
Passai per tre anni di seguito i tre mesi più
caldi dell'anno ad Acqui, dove i fanghi fumanti
e le lamentazioni di tanti sciancati, di tanti zoppi,
di tanti gottosi non potevano di certo offrirmi
materia dì estasi estatiche. Unico conforto ai lun-
ghi giorni il confortare, unica gioia il dar un po'
di gioia a chi soffre. Avevo però bisogno ancor io
di Un'ora almeno di poesia nelle ventiquattro che
la provvidenza distribuisce ogni giorno con giusta
misura ad ogni mortale.
Ed io trovavo quell'ora nei colli ridenti di pam-
pini e di spighe, che fanno corona alla Bormida
gentile e capricciosa, fra le sue sabbie e le sue
spire. Acqui è una bolgia di fanghi plutonici e
L'USIGNUOLO D'ACQUI 61
t
di dolori nmaDi, chiusa in una cornice vaga, ricca,
splendente di bellezze peregrine.
Io salivo nell'ora più calda del giorno, quando
perfino i gottosi non si lamentano e i bagnini er-
culei dormono; salivo sul colle più vicino, dove
lungo la strada tortuosa le folte siepi di sambuco
e di caprifoglio mettevano un po' d'ombra profu-
mata.
Non avevo a compagni della mia solitaria pas-
seggiata clie gli usignuoli, e in quell'ora calda,
infuocata, forse perchè non turbati dalla presenza
degli uomini, essi si davan convegno per le loro
gare di armonia.
Non tutti gli usignuoli cantano egualmente bene,
X>erchè anche in essi l'individuo campeggia sulla
specie e sulla razza, e anche gli uccelli hanno i
loro Eossini, le loro Patti, i loro Tamberlick. Gli
usignuoli di Acqui sono tra i più squisiti cantori.
Ch'io abbia mai uditi, e la Provvidenza deve averli
di certo collocati in quel luogo a far contrapposto
a tanti urli di umani dolori.
Io non tardava a trovarmi vicino ad un usi-
gnuolo; senz'esser veduto, mi siedeva per terra,
0 sopra un pilastrino deUa strada al ridosso di
una siepe, e lo guardavo. Per lo più il cantore era
sul ramo di un olmo o di un pesco. Come era mo-
desto l'abito di quella creaturina I Due o tre toc-
62 CAPITOLO III
chi presi dalla tavolozza di mezzo Intto bastavano
a dipingerlo; un po' di bigio, un po' di castagno,
qua e là più cupo e pòi basta: solo gli occhietti
vivaci, lucenti, fulminei, mobilissimi proiettavano
nel fitto del verde raggi intensi di intelligenza e
di passione.
Si può essere brutti come Esopo o come So-
crate, oscuri e modesti come l'usignuolo, torpidi
e mostruosi come l' elefante : ma l' occhio basta
in Esopo , in Socrate , nell' usignuolo e nell' ele-
fante, a dirci che in quei corpi o brutti o vol-
gari , o informi , palpita un genio , canta un' ar-
monia o sfavilla una passione superiore. L'occhio
è il fuoco massimo di concentrazione di tutte le
energie estetiche, affettive e intellettuali; in lui
convergono come in uno specchio assorbente
quanti raggi emana la vita nei suoi ardori, nelle
sue aspirazioni, nelle sue idealità.
E l'usignuolo cantava, assorto in sé, in sé rac-
colto, per modo che quel corpicino bigio sembrava
scomparir tutto quanto e fondersi col collo, che
gonfiava al soflfto delle note e del gorgheggio.
Quella testolina col suo beccuccio fine fine sem-
brava tutt'occhi e gli occhi dicevano tutte le de-
lizie che quel cantore godeva nei suoi canti ispi-
rati. Dapprima le note lente lente, interrotte dal
desiderio che domanda e si affretta col salir della
L' USIGNUOLO B' ACQUI 63
curva della passione , quasi richiesta d' amore,
che si rinforza ad ogni nuova preghiera. E le
onde del desiderio si affollavano, precipitavano
poco a poco in un torrente finale, che era non
più preghiera, ma implorazione, spasimo, delirio;
che non era più elegia o treno, ma inno lirico, che
echeggiava per l'aria azzurra e dorata dal sol di
giugno , chiedendo amore con tutta l'irresistibile
prepotenza d'un grande amore.
Variavano i trilli, s'intrecciavano diversamente
le note armoniche di quel canto, che aveva come
la nostra musica, le proprie variazioni; mail mo-
Uva potente era sempre quello; quel motivo che
segna, m ogni canto d'uccello come in ogni poema
d'uomo, l'eterna storia della passione. Prima la
preghiera e poi la violenza, prima la pioggia e
poi l'oragano, prima il profumo appena adombrato
di un bottoncino di fiori e poi la corolla aperta
con tutto il lusso dei suoi colori e delle sue alte
fragranze; prima la speranza e poi l'amore; prima
il corruscar dei lampi e poi il fulmine. Tutto
questo dice il canto dell'usignuolo, uno dei tanti
specchi nei quali la natura riflette la sua im-
magine.
Ma tutto questo ignora beatamente il modesto
cantore delle siepi , ma quel che non ignora è la
delizia del suo canto, è la voluttà acustica che
04 CAPITOLO IH
tutto lo assorbe. E quando dopo un breve riposo
ascolta un altro usignuolo che risponde al suo
canto e si prova a superare il rivale con note
più alte e più tenere e quando crede di aver
vinto nel certame dell'armonia, allora alza la te-
stolina superba con aria di oratore che trionfa e
fissa gli occhi nel vuoto e cade in rapimento.
Più d'una volta in quel momento mi alzai, mi
feci vicino all'usignuolo; e l'usignuolo mi guardò
come chi non vede, non si diede pensiero a fug-
gire. O quella è un'estasi o l'estasi non esiste nel
mondo animale.
*
Io ho prigioniero in una gabbia un altro uccello,
fra i più vaghi del mondo ornitologico e che mi
presenta spesso lo spettacolo di un'estasi animale.
Io l'ho pescato in quel ciclopico pandemonio
di cose animate e inanimate che è il mercato di
Bombay nell'India. Là dove s'addensano a valan-
ghe i fiori, le frutta, e gli animali, vi è un piccolo
territorio pestifero e affascinante in una volta
sola e dove si vendono uccelli e scimmie. Per
terra tutto il lezzo e tutto il fango di una razza
IL MIO PAPPAGALLO 65
sudicia, benché si lavi non so quante volte al
giorno; là tutto il letame degli animali che fer-
menta sotto il sole del tropico col sudore degli
uomini.
È là che voi vedete migliaia di bengalini che
sembrano pullulare dalla terra, come formiche alate
con le più. svariate tinte del bigio che diventa
nero, del castagno che divien rosa; è là che voi
vedete migliaia di verdi papagalli cicalare in
coro come folla di pettegole di San Frediano; è
là che centinaia di scimmie fanno la caricatura
di tutti i ceffi umani e di tutto le umane passioni.
Grida, canti, urli, fischi, che fanno ooro per Paria
fetente e uomini neri e castani che gridano e
urlano e fischiano cogli animali : tutta una gaz-
zarra di bestie ebbre di vita.
È in quel pandemonio che io ho trovato il mio
pappagallo delle Molucohe. Era il re di tutta
quella festa, era la creatura x)iù bella fra tutte
quelle centomila creature. Io me ne innamorai e
lo volli. Invano mi fu detto ohe nato sotto i raggi
più infuocati del tropico non sarebbe giunto vivo
in Europa, e se ma| avesse potuto sopportare la
lunga e difficile traversata, sarebbe morto alle
prime brezze dell' inverno italiano. Lo volevo po-
ter dir mio, almeno per qualche giorno e me lo
comprai. La mia ostinazione ebbe ragione, perchè
Estasi umane, 6
66 CAPITOLO III
il mio pappagallo non solo giunse vivo a Firenze,
ma ha poi impunemente attraversato tre inverni,
e si è fatto fiorentino per modo, che non stupirei
udirlo qualche mattina bestemmiare come un fiac-
cheraio di piazza del Duomo.
Io non rho mai battezzato, perchè non trovo
nome degno di lui. E che importa il nome?
Mi hanno detto che nei lunarii della scienza
l'hanno chiamato Eclectas Linno^l; ed io chino il
cax)o ai responsi della scienza. A me basta sapere
che il mio pappagallo è una delle più belle fra
le creature alate del nostro inaneta.
É quasi tutto rosso, ma di un rosso scarlatto,
che ò fuoco ed è velluto, che è seta e fiamma di
bengala. Rosso ha il capo, il petto, il ventre, le
spalle; nere le gambe, verdi le ali e le penne della
coda più vicine al corpo; il becco color dell'ambra.
Nella testa fiammeggianti scintillano due gemme
che sono gli occhi. Due diamanti neri incastonati
in due cerchielli d'oro; mille bellezze raccolte in
un corpo caldo, vellutato, lucente e che si può
tener fra le mani e accarezzare come una testo-
lina di bambino o come un piede di donna.
Pari alla bellezza il mio pappagallo ha la viva-
cità dei movimenti e le abilità della voce. Dal
brontolìo confuvso delle sue rrrr^ dei suoi ccorrr e
dei suoi fnrr giunge per una scala di fischi, di
IL MIO PAPPAGALLO 67
gemiti, di trilli e di grida fino alla voce umana,
imitata con molta maggior perfezione che dal suo
celebre rivale dell' America meridionale. Egli sa
ripetere con note chiarissime alcune delle parole
piìi care del mio dizionario.... Laur'ma, Manuelito,
Bita, BiUna,... Non dimentica sé stesso e canta
spesso le proprie lodi : Papa^allino, papa{fallhio
bello..., bello, bellino. E quando ha esaurito il pro-
prio vocabolario, dà una fischiata e via di nuovo
coi suoi trilli in trrrr, frrr, cccrrrr.
Ma il canto e la parola non bastano a sfogare
tutte le energie psichiche dell'alato abitante delle
Molucche. Mentre canta o jiarla, si sospende colle
zampine inguantate di nero all' alto della gabbia
e tiene all' ingiù tutto il suo co^:p^ , e balla e si
molleggia come se fosse appeso ad un' altalena.
Poi si mette in piedi e si alza e si abbassa, dan-
zando in cadenza al suono della sua voce, e apre
le ali e fa le più strambe acrobatiche dei suoi
cento muscoli , come un cloicn; mentre imita il
riso degli uomini e forse li canzona. Altre volte
apre le ali e le agita convulsivamente, e distende
la coda, come ventaglio, mostrando la bellissima
e doppia fila delle sue penne, rosse in alto, verdi
in basso.
Quante espressioni, quanta mimica, quanto scop-
piettar di vita in quel corpo di velluti fìammeg-
68 CAPITOLO III
gianti! Ora si fa piccino piccino e striscia salla
terra; ora si innalza quanto è alto e atteggia capo
e collo e petto come aquila orgogliosa; ora buf-
fone ed ora tenerissimo; ora gaudente di una falsa
collera ed ora pettegolo; ora brontolone pessimista
ed ora ubbriaco fradicio.
Di tutto quello schiamazzo, di tutte quelle con-
vulsioni, di tutto quel vociar confuso e parlar di-
stinto, il mio papagallo si innamora e si inebbria
e cade in estasi. Bimane fisso, assorto, inconscio
del mondo che lo circonda , ed io lo guardo e lo
riguardo, pensando che ho sotto i miei occhi una
scena del mondo dei viventi , che conduce ai ra-
pimenti del poeta che crea , dell' artista che di-
pinge o scolpisce, dell'asceta che prega. — Quel
papagallo è in quei momenti più uomo di molte
scimmie, più uomo di molti nomini, che hanno la
santa ignoranza di tutte le estu>si.
* *
Gli uccelli del paradiso o le paradisee sono fra
le più splendide creature del mondo animale e la
bellezza delle loro penne ha loro valso il glorioso
battesimo che portano. Ma essi non sono soltanto
UCCELLI DEL PABABISO 69
beUissimiy ma hanno uno squisito senso del bello
e sulle loro energie esfceticlie ha raccolto fatti pre-
ziosi quel grande viaggiatore e pensatore, quel-
l'iUnstre botanico che è Odoardo Beccari. Le sue
osservazioni sepolte nel tabernacolo di un giornale
scientifico, meritano di esser note anche ai profani
della scienza, che anche senz'essere botanici o zoo-
logi, amano il bello dovunque lo trovano (1).
Le paradisee provano di certo emozioni molto
vicine air estasi. Se mi date la mano, scenderemo
col Beccari nella Nuova Guinea e vedremo da vi-
cino quei miracoli iridescenti delle creature alate.
La Paradisea apoda al levare e al tramontar del
sole posa sui più alti alberi delle foreste e sembra
in adorazione del sole. In quel paese i tramonti
sono sublimi. Di sera le nuvole più lontane si in-
(1) Dante descrisse stupendamente in tre soli versi T e-
stasi dell^allodola :
Qnal lodoletta che in aere si spazia
prima cantando e poi tace, contenta
dell^nltima dolcezza che la sazia.
70 CAPITOLO III
dorano o si imporporano intensamente, spiccando
sulUazzurro celeste del cielo. La foresta si fa d'nn
verde pia cupo per la notte ohe incalza. Or bene,
tutti questi colori del crepuscolo della sera tu
vedi dipinto nel manto sfarzoso di cui si veste
quella paradisea.
Nelle penne gialle tu raffiguri gli strati sottili
dorati dell'orizzonte, il colore delle molli piume
del petto è in tutto simile a quello delle nuvole,
il becco e i piedi sono azzurri come il cielo , sul
collo è il verde della foresta, la testa è d'oro come
il sole che muore.
E la paradisea di quella bellezza del cielo spec-
chiata nella sua bellezza, si innamora e si estasia.
Svolazza di ramo in ramo, apre le ali, le stende,
le agita con convulso tremolìo, solleva le sue lun-
ghe penne sottoasoellari, abbassa ed «alza la testa,
grida, incurva la coda e gode.
Il Beccari, che fu più volte fortunato spettatore
di questo quadro chiuso in così splendida cornice,
osò proporre un'ardita teoria per spiegare i vaghi
colori delle paradisee. L'ipotesi è degna del suo
ingegno e può sembrar temeraria, ma ben altre
ipotesi e ben altre divinazioni trovarono poi nelle
scienza sperimentale la loro riconferma.
Diamogli la parola:
" È strano forse supporre che un vivo desiderio,
PABADISEE
^ una impressione oòntinua di poter arrivare ad
" un tipo di bellezza, possa aver prodotto un cam-
^ biamento nella colorazione e nella produzione
^ delle penne? Non credo; e quel che più mi sor-
^ prende si è, che mentre nel paese abitato dalle
* Paradisee papuane i tramonti sono quasi sempre
"indorati, a Waigheu sono al contrario rosso-in-
^ fnocati. E sarà forse un caso , che la specie di
" Paradisea che vi si trova, abbia il manto simile
" al fenomeno quasi giornaliero che ivi si produco?
" Perchè la Schlegelia calva ha la testa nuda color
" del cielo, che essa deve vedere ed ammirare fra
^ mezzo ai rami degli alberi nel!' ore dei suoi
"amori crepuscolari? Perchè nella medesima con-
" dizione la Paradisea mag^nifica ha sul dorso un
" mantello che rassomiglia pel colore e la forma ad
" una mezza luna, di cui forse un raggio illumina la
"sua palestra od arena, nascosta fra i cespugli
" nel folto dei boschi e nella quale goffi campioni
" sopraccarichi di ornamenti si contendono i fa-
" vori della modesta spettatrice in un torneo ga-
" laute? Il Cicinnurus è per serai)lice caso esatta-
" mente del colore delle infiorazioni di Costus dei
" cui semi si nutre ?
" Perchè i succiacapre , le civette ed altri uc-
" celli notturni sono a colori scuri? E perchè fra
" essi non si vede alcuna specie a colori vivaci,
72 CAPITOLO ITI
" per esempio, verdastri , che sarebbero per essi
" una protezione grandissima durante il giorno,
"mentre durante la notte qualunque colore- do-
" vrebbe essere indifferente? Perchè le macchie
" di alcune succiacapre rammentano lo stato del
" cielo, colle nuvole frammezzate e colla luna che
" si mostra fra di esse , come nelle notti in cui
" essa risplende , quando posati su di un ramo
" stanno ripetendo per ore ed ore la loro mono-
" tonissima voce , che rammenta colpi metodica-
" mente applicati con un pezzo di legno su d' un
" tronco d'albero ? „ (1)
Il Beccari spiega questi fatti con una trasforma-
zione del sentimento del bello in un fatto nutritivo
delle penne: in un mimismo voluto o desiderato
dall'animale. Le recenti scoperte sull'ipnotismo, le
emorragie avute per suggestione aggiungono pro-
babilità alla ardita teoria....
(1) 0. Beccabi, Le capanne e i giardini delV " Amòlyor-
ni8 iìiornata. „ Annali del Museo Civico dì Storia Naturale
di Genova. Voi. IX, 76-77, 3-4 aprile 77.
PARADISEE 73
*
n Beccari ha veduto la Paradisea apoda in estasi
eoi raggi del sole ohe tramonta, ma altre para-
disee di colori men belli hanno trasformato in
altre energie psichiche la loro sensibilità estetica;
ed io non dubito che VAmblyornis inornata cada in
estasi, contemplando i singolari giardinetti che
costruisce e che furono tanto bene studiati dallo
stesso viaggiatore, che li ha descritti e disegnati.
È pur aingoiare che mentre le paradisee più
sfolgoranti di bellezza non costruiscono capanne
né giardinetti, una loro sorella di colori mode-
stissimi sfoga la sua estetica in costruzioni bel-
lissime; precisamente come il bellissimo rigogolo
0 r azzurro martin-pescatore ed altri uccelli di
vaghe piume non cantano che assai male e V o-
scuro e modesto usignuolo delizia sé stesso e noi
con note piene di armonìa. Non accade spesso
anche nell'umana famiglia, dove alcune donne di
trascendente bellezza non si distinguono per al-
cuna virtti psichica, mentre spesso donne di in-
gegno potente sono appena mediocri , o anche
bruttine o bruttissime'? — La natura, quando
74 CAPITOLO ITI
spende a^sai per un lato , è forse costretta , da
buona massaia, a far economia dall'altra.
Dopo gli amori della Paradisea apoda coi cre-
puscoli, vediamo le capanne e i giardini dell'Ai»-
hlyornis, É Beccari, che ci guida alla scoperta di
queste singolari costruzioni.
£2 un dì di giugno, e Beccari aveva già da cinque
giorni lasciato Anda , dirigendosi ad Hatam sul
Monte Arfek. Era però stato costretto di fermarsi
un giorno a Warmendi per dar riposo ai suoi
portatori. Anzi quel giorno non lo accompagna-
vano che soli cinque uomini, avendo lasciato in-
dietro alcuni dei cacciatori con la febbre , ed il
restante dei i)ortatori , che non credevano di es-
sersi riposati abbastanza.
Era partito di buon mattino ed era già un'ora
dopo il mezzogiorno e marciavano ancora per una
strada molto faticosa, né si erano riposati, perchè
poco mancava a giungere alle capanne di Hatam,
termine della gita.
Egli si trovava sulla pendice di uno sprone del
Monte Arfak; la foresta vergine era alta e bel-
L'ESTASI NEGLI ANIMALI 75
lissìma e appena qualche raggio di sole vi pene-
trava. Il suolo era qnasi libero dalle piccole piante,
e nn sentiero battuto mostrava che le abitazioni
non potevano esser lontane: aveva anche oltre-
passata una piccola sorgente, alla quale sembrava
che spesso si venisse ad attinger acqua;
Egli incontrava ad ogni passo cose nuove. Una
Balanaphara in forma di bernoccoli arancioni spun-
tava qua e là sul terreno a guisa di funghi; palme
eleganti ed altre piante nuove attraevano la sua
attenzione. Era però continuamente distratto dal
canto e dai gridi di uccelli , che gli riuscivano
nuovi e sconosciuti, come sempre accade quando
si giunge per la prima volta in un paese non prima
esplorato. Ogni muover di foglia faceva sospettare
una scoperta, né era solo sospetto, perchè si può
dire che ogni colpo di fucile cagionava una sor-
presa, e gli uccelli che incontrava non solo per lo
più erano differenti da quelli della pianura, ma
bene spesso erano nuovi affatto.
Aveva appunto ucciso un piccolo marsupiale,
che si arrampicava sul tronco nudo e dritto d'un
grande albero alla maniera di uno scoiattolo (il
Pkascohgale doì^salis), quando voltandosi, proprio
in prossimità del sentiero , si trovò in presenza
dell'opera più bella, che ingegno di animale abbia
mai saputo costruire.
76 CAPITOLO ni
Era tina capanna in mezzo ad un praticello
smaltato di fiori. Il tutto in miniatura. Eiconobbe
all' istante i famosi nidi che gli erano stati de-
scritti dai cacciatori di Bruìjn, ma che subito so-
spettò dovessero avere altro scopo , quantunque
gli fossero allora del tutto ignote le costruzioni
delle Chlamydodere, Si contentò di esaminare su-
perficialmente per il momento quella meraviglia
e proibì severamente ai suoi cacciatori di scom-
porla. Per conto dei P<apua era ben apparente che
non era necessaria alcuna raccomandazione; giac-
ché, quantunque sulla loro strada, il nido o meglio
la capanna era intatta e mostrava la pace in cui
i suoi abitatori eran vissuti, finché la loro cattiva
stella non condusse il Beccari e i suoi a distur-
barli nella loro quieta e romantica dimora. Pote-
vano essere a 4800 piedi di altezza: ancora una
mezz'ora di ripida salita e giunsero alla loro ilieta....
Pochi giorni dopo, il nostro viaggiatore, presa la
matita, i colori e il fucile, che dette a portare ad
un Arfak, si incamminò verso l'abitazione del-
VAmblyomi^, Strada facendo provvide alla sua co-
lazione, uccidendo un paio di grassi colombi (Car-
pophaga chalcanota, Salvad.) che come si costuma
dalle altre specie, mangiavano dei frutti sopra di
un grande albero, e su cui sarebbero invisibili, se
L' ESTASI 77
col muoversi da un ramo all'altro e col far cadere
dei frutti al suolo , non svelassero ben presto il
loro ritiro.
Giunto al luogo della capannuccia, sì mise tosto
all'opera e ne fece uno schizzo
UAmblyomis sceglie un luogo pianeggiante ed
intomo a un piccolo frutice che è circa della
grossezza di una canna, costruisce con delle bor-
racine una specie di cono di un palmo di diame-
tro alla base. Essa diventerà il pilastro centrale
e sulla sua sommità si sosterrà tutto 1' edifizio :
l'altezza però del pilastro è un poco minore del-
l'altezza totale della capanna che arriva al mezzo
metro. All'ingiro dall'alto del jnlastro centrale, ed
irraggiante da sé, vengono appoggiati in posizione
inclinata e metodicamente dei fuscelli che toccano
la sommità sull'apice del pilastro e con l'altra in
terra, e così tutte all'ingiro meno che sul davanti,
da ciò ne nasce la forma a capanna conica molto
regolare che presenta l'assieme quando il lavoro
è completo. Molti altri stecchi poi sono aggiunti
ed incrociati in varii modi per rendere questa
specie di tetto stabile ed impermeabile.
Si capisce come fra il pilastro centrale ed il
punto corrispondente al luogo di appoggio dei fu-
scelli sul terreno rimanga una galleria circolare o
78 CAPITOLO III
meglio a ferro di cavallo. Tutta la costruzione Del-
l'insieme misura circa un metro di diametro. I
fiiscelli dei quali VAmhlyornh si era servito erano
quasi tutti fusti sottili e dritti di una specie di
orchidèa (Dendrobium), epifita che cresce in grandi
ciuffi sui rami muscosi dei grandi alberi, sottili
come pagliuzze e lunghi un mezzo metro o un poco
meno; avevano le foglie molto piccole e strette,
attaccate e quasi vegetanti, così che potrebbe far
supporre che appositamente sia stata scelta co-
desta pianta, per impedire che la casa presto im-
putridisca e si sfaceli, continuando a mantenersi in
vita per lungo tempo , come è il caso per la più
gran parte delle orchidee epifite dei tropici.
Il senso raffinato del giardiniere non si limita
a costruirsi una capanna. £] singolare che il gusto
del bello néìVAmblyornis, come in molti altri uo»
celli, corrisponda alla medesima maniera di vedere
che nell' uomo ; vale a dire che ciò che piace ad
essi piace anche a noi. La passione pei fiori e pei
giardini è indizio di buon gusto e di senso raffi-
nato; e Beccari rimase sorpreso nel vedere come
gli Arfak con gli esempii delV Aìnblyornis sieno
così poco estetici nelle loro abitazioni e che i din-
torni delle loro case sieno tali ammassi di soz-
zurrc da essere impossibile V avvicinarvisi. Il ve-
derli col corx)o imbrattato di mota e di ceneri,
CAPANNE DELL' AMBLYOBNIS 79
^— ^ ■ ■ ^^—^-11 ■■!■ ■ ■ I ■ - ■ - ■ - I ■■ IBI ^^^-^1^—— m
giaocliè dormono framezzo al focolare e con la
faccia sudicia di Caligine, ha sempre rammentato
al Beccari, che è al porco, per le sue abitudini e
per la sua pelle seminuda e sempre lucida, che
l'uomo selvaggio rassomiglia, più che a qualunque
altro animale.
Ecco come son fatti i giardini deW Amblyomls
inumata. In fronte alla capanna vi è una spiazzata
che occupa una superficie assai più grande di essa.
È un praticello di soffice musco tutto trasportato,
tutto pulito e libero da erba, da pietre o da altri
oggetti, che ne offenderebbero T armonia. Su co-
tCwSto grazioso tappeto verde sono sparsi dei fiori
e dei frutti a colori vivaci in modo che realmente
presentano l'apparenza di un elegante giardinetto.
Il maggior numero degli ornamenti sembrano
riuniti presso l' ingresso : è là probabilmente che
il maschio porta le sue sorprese giornaliero nelle
sue visite amorose alla femmina. Molto diversi
sono gli oggetti che esso vi dex)osita, ma sono
sempre a colori vivaci.
In quelle disegnate dal Beccari vi crjino presso
l'ingresso alcuni frutti di Oarcmia grossi come
piccole mele e di un colore violescente : altri di
Gardenia pure assai grossi e che aperti irregolar-
mente come sono in quattro o cinque valve, mo-
stravano la polpa e i semi colorati d'un bel croceo
80 CAPITOLO III
vivo. Vi erano molti grappoli di piccoli frutti ro-
sei, rinchiudenti un seme giallo che esce mezzo
fuori dal guscio. I fiori rosei di una bellissima
specie di Vaoclnium sono uno dei principali orna-
menti , i quali certamente devono variare con la
stagione. Non è solo fra i fiori e i frutti che VAm-
hlyornis cerca i suoi ornamenti, ma fanghi ed in-
setti vagamente colorati sono pure stati veduti
depositati nei giardini e dentro le gallerie delle
capanne. Quando questi oggetti sono stati esposti
per lungo tempo ed hanno perso la loro freschezza,
vengono gettati fuori dalla dimora e rimpiazzati
da altri.
L' abilità deir Amèfyortji» non consiste solo nel
sapersi costruire un luogo di piacere. È un uccello
sapiente, ed uno dei tanti nomi che ha ricevuto, è
quello di Burunn guru ossia uccello maestro, per-
chè rifa il verso ed imita il grido di una quantità
di altri uccelli e varia le sue note in ogni circo-
stanza. Esso era la disperazione dei cacciatori del
Beccaria che attratti da un grido sconosciuto, si
ripromettevano qualche scoperta; che. poi non ri-
sultava esser altro che VAmblyomis. Altro nome
che riceve è quello di Tukaa Kobon ossia giardi-
niere, nome che il Beccari adottò in italiano.
Le capanne e i giardini deWAmbìyoniis sono
luoghi di piacere e di ritrovo , nei quali in certe
CHLAMYDODEEE 8X
stagioni dell' anno i maschi , spinti dal tormento
d'amore, si riuniscono a corteggiare le femmine e
a contendersi i loro favori.
* *
Altri uccelli costruiscono gallerie, pergolati, ca-
panne e li ornano a diletto dei loro occhi, a sod-
disfazione dei loro gusti estetici.
Sono ben conosciute le costruzioni delle Ghia-
mydodere. Gli Inglesi le hanno chiamate playing o
gporting places, halls, play hauses; ma più special-
mente hoicers, nomi che il Beccari traduce in quelli
di fergoluti, gallerie o capanne. Gli uccelli che le
costruiscono sono stati chiamati hower hirds.
Queste costruzioni apparvero tanto meraviglio-
se, ohe sul principio si dubitò potessero essere Pe-
perà di animali e si suppose fossero culle fatte
dagli indigeni per i loro bambini. Presto si rico-
nobbe che non potevano nemmeno esser nidi , i
quali sono fatti dalle chlwnydodere nel modo ordi-
nario fra i rami degli alberi e rassomigliano molto
per la forma e la grandezza a quelli delle nostre
comuni ghiandaie.
La Chlamydodera nuohalis è un uccello poco piri
Estasi umane. ^
82 CAPITOLO ni
grande di una tordela (Turdus visdvorus), di colori
brani e pooo vistosi , ma con una bella macchia
rosea sulla nuca. Il suo pergolato ha la forma di
una galleria formata da stecchi appuntellati in
terra e riuniti alU apice , in modo da formare il
tetto di una specie di capanna primitiva. Il ter-
reno tutto air ingiro è seminato di conchiglie. È
stato veduto 1' uccello svolazzare in avanti e in-
dietro, prendere una conchiglia con il suo becco,
e trasportarla attraverso la galleria ora da una
part« ora dall'altra.
Le gallerie della Chlamydodera maculata sono
pure formate di stecchi, ma sono inoltre bella-
mente rivestite di alte erbe disposte in maniera
che si toccano quasi coll'estremità, le decorazioni
sono abbondanti e consistono di conchiglie bi-
valve, cranii di piccoli mammiferi ed altre ossa
imbiancate dalla lunga esposizione ai raggi solari.
Secondo i racconti di alcuni osservatori le con-
chiglie devono talvolta essere state trasportate
per lunghi tratti , giacché i piìi vicini dei fiumi ,
dove possono essere state raccolte, trovansi a rag-
guardevole distanza.
Si assicura che in questa specie molti individui
si riuniscono nelle medesime gallerie a far la cort^
alle femmine : sembra anche che la medesima gal'
leria venga usata per molti anni. La Chlamydodera
GALLERIE DI UCCELLI 83
guUata fa pare nua galleria in lìnea retta nella
quale sono stati trovati sul terreno all'ingiro, frutti
rotolati dal mare, che rimanendo assai lungi, do-
vevano, esser pure pazientemente stati trasportati
dall'uccello.
La galleria della Chlamydodera cerHnivmiris dif-
ferisce da quella delle altre specie, perchè le sue
pareti sono molto spesse e quasi dritte, ossia poco
inclinate l'una verso l'altra alla sommità, cosicché
il passaggio intemo è molto stretto e formato da
bei fuscelli collocati sopra una folta piattaforma
di stecchi. £ì lunga e larga circa metri 1,20 e qua
e là per decorazione vi sono sparse bacche, chioc-
ciole e conchiglie.
Altri uccelli che costruiscono gallerie con non
minore ingegno sono i Ptilanorhynehus. Il satin
loicer bird ossia il Oapanniere di raso (P. viólaceus)
fa gallerie come la clamidodera e le orna cogli
Oggetti a colori più vivaci che può riunire, come
belle piume di uccello, ossa imbiancate, conchiglie
terrestri, ecc. Alcune delle penne sono spesso in-
serite fra i fuscelli, mentre altri ornamenti, come
le ossa e le conchiglie sono disseminate intorno
all'ingresso della capanna.
L' inclinazione di questo uccello per rapire ogni
oggetto attrattivo è così grande, che gli indigeni
cercano sempre le sue gallerie per ogni piccola
84 CAPITOLO IH
cosa che abbiano accidentalmente perduta. Vi sono
stati trovati perfino accette in pietra e stracci di
colore turchino (1).
Anche fra noi la Ga^za ladra ci rammenta V i-
stinto di alcuni membri della famiglia dei Corvi,
che hanno stretta parentela zoologica con quella
delle paradisee e che presentano il singolare istinto
di raccogliere oggetti luccicanti.
Ed io rammento fin da fanciullo il nido di un
rigogolo, nel cui fondo era stato trovato un ma-
rengo.
*
^ *
Nei bambini, negli uomini di razza <ilta ma di
bassissima gerarchia intellettuale e nei selvaggi
posti sugli ultimi gradini della scala umana, Testasi
ci presenta quasi sempre le stesse forme crepu-
scolari, che troviamo negli animali.
I nostri bambini spesso son presi da un bisogno
irresistibile di muoversi, di saltare, di abbandonarsi
ad un'orgia incomposta e quasi delirante di tutti
i loro muscoli, e spesso, muovendosi, cantano, gri-
ll) 0. Beccabi, op. cit.
L
FANCIULLI E SELVAGGI 85
dano, ridono. E a qaando a quando si arrestano
ebbri di quella vita piena e calda che li innonda
per ogni part«, non badando al mondo che li cir-
conda. È una piccola estasi in tutto rassomigliante
a quella dei pappagalli, delle scimmie, dei cavalli
e di chi sa quanti altri animali giovani, sani, pieni
di vita e che, innamorati inconsciamente di sen-
tirsi vivi, si sprofondano in quell'unica sensazione
e se ne estasiano.
ISfei miei Quadri della natura umana (1), tentando
una monografia dell' ebbrezza , ho parlato lunga-
mente dell' ebbrezza muscolare e dei dervwh gi-
ranti. Orbene, là appunto ci troviamo sopra una
frontiera che separa l'ebbrezza dall'estasi e a volta
a volta confonde l'una coll'altra. Finché si gira, si
balla e si fa schiamazzo, si è ebbri, e quando il
moto si arresta, si può aver l'estasi, che dura poco,
che sembra la pausa di un riposo e riprende poi
la corsa vertiginosa del delirio muscolare.
Le grandi energie estetiche mancano affatto nei
bambini , non già nei selvaggi , i quali spesso si
ornano prima di vestirsi e mostrano di essere tal-
volta molto sensibili dinanzi alle grandi sceno
della natura. Il sole e il mare, il cielo e i vasti
panorami della terra, parlano a voce così alta e
(1) Mantegazza. Quadri della natura umana. Voi. I.
86 CAPITOLO III
in una lingua così universale, che. tutti l'intendono,
e fra le cento prove chMo potrei porgervi, ne to-
glierò alcune fra le pia eloquenti, spigolate nel
vasto campo della psicologia comparata.
Si domandava un giorno ad un negro betchuana
dello Zambese, che cosa egli intendesse per san-
tità ed egli rispondeva:
^ Quando una pioggia abbondante è discesa dn-
" rante la notte, quando la terra, le foglie e il be-
^ stiame ne son stati lavati , quando il sole com-
" parendo fa vedere una goccia d'acqua sopra ogni
^ stelo di erba, quando si respira un' aria pura e
" fresca, ecco la santità ! „
Questa è davvero lirica , estasi , espressione di
altissima estetica e in bocca d' un negro.
In Patagonia ci sono bellissime sorgenti circon-
date da laghetti circolari trasparentissimi con una
magnifica arena bianca sul fondo. Gli Indiani
I SELVAGGI 87
amano lavarsi mani e piedi in quei luoghi e vi si
fermano lungamente ad ammirarli e li chiamano
occhi del deserto.
I negri di Loango hanno un gusto estetico molto
squisito , che permette loro di apprezzare alcune
riposte e fine bellezze del corpo umano, che sfug-
gono a molti volgari ammiratori.
Non solo essi apprezzano un bel polpaccio nella
gamba, che chiamano tschiwumu ischi Jculu o ven-
tre della gamba; ma ammirano le pozzette ai lombi,
alle mani, al mento e nelle guancie. Distinguono
perfino con arte sottile le pozzette delle guancie
in mafidu ma munu, che non appariscono che du-
rante il riso e in mafiàu ma munu, che si vedono
sempre (1).
(1) Pechubl-Loesche, Indiscretes am Loango. Zeiischrift
fUr Eihnol Berlin 1878. H. I, pag. 29.
88 CAPITOLO III
* *
Se mai un giorno, innanzi morire, io potrò pab*
blicare nn^ Antologia dei popoli analfabeti, voi po-
trete vedere nei primi vagiti dell' arte selvaggia
apparir sempre la nota dell' ammirazione per le
grandi scene della natura e per le bellezze delle
creature vive. Dall'ammirazione all'estasi non v'ha
che un passo ; e anche il povero negro, 1' austra-
liano e il fuegino possono in alcuni rari momenti
della loro vita miserabile e travagliata esser ra-
piti in alto e toccare i primi gradini di quella
altissima scala, che conduce alle estasi estetiche di
Rafaello, di Beethoven e di Byron o ai rapimenti
ascetici di santa Teresa (1).
(1) Io ho pubblicato , pochi anni or sono , nel Fanfulla
della Domenica , alcuni saggi sulla Letteratura dei popoli
aìialfabeti.
Capitolo IV.
LE ESTASI AFFETTIVE.
Diverso fonne delle piccole estasi affettive. — Estasi della
carità. — Per via della religione, del dolore e del pentimento.
— La redenzione. — Estasi miste di carità e di estetica del
bene. — Contemplazione del bene. — La bellezza della bontà.
Non tutti gli aflfetti, né tutti i gradi di affetto
possono portare l'uomo fino all' estasi. I più anzi
non hanno provato mai un rapimento per questa
via, oppure hanno scambiato la voluttà dell'amore
per l'estasi del sentimento.
Perchè un affetto ci porti all'estasi, deve essere
fra i più potenti che scuotono il cuore e deve
trovarsi in uno stato di insolita e straordinaria
tensione. Solo per rara eccezione 1' amicizia , V a-
more degli uomini, l'affetto fraterno, l'affetto figliale
possono giungere a tanto da condurci ad un vero
e proprio rapimento. Anche l'affetto paterno è per
lo più calmo e sereno e tale da non farci estatici.
L' estasi è riserbata quasi unicamente alle due
massime energie della vita riproduttiva: all'amore
dell' uomo per la donna, della donna per 1' uomo,
e all'afffetto di madre. Il diventare è sempre il mo-
92 CAPITOLO IV
mento capitale d'ogni fenomeno della vita e quando
il presente genera il faturo, allora si sprigionano
le scintille più fulgide, si innalzano le fiamme più
ardenti.
Anche l'amore e T affetto materno, che sono le
due sorgenti più comuni e più feconde di estasi
affettive, non ci danno rapimenti, che a certi gradi
di tensione e in certi momenti della loro vita. Si
esige un immenso desiderio, un'immensa gioia o
un eroico sacrifizio di sé stesso alla persona amata.
Di qui tre forme speciali di estasi , che sono
comuni anche a tutti gli altri sentimenti, in quei
rari casi, nei quali per squisita sensibilità dell'in-
dividuo o per particolari condizioni dell'ambiente
l'estasi è possibile.
♦ .
Le estasi di desiderio sono tensioni permanenti
verso un polo del mondo affettivo, quasi sempre
tinte a bruno da una specie di poetica malinconia,
spesso accompagnate da una intensa ammirazione.
B qui sul bel principio delle nostre distinzioni e
classificazioni le vediamo zoppicare e mostrare le
loro magagne.
ESTASI AFFETTIVE 93
Abbiamo distinto le estasi affettive dalle esteti-
che, ma esse si danno la mano e si intrecciano
quasi sempre. 1/ oggetto amato o desiderato è
sempre bello agli occhi del cuore e Tammirazione
che in noi ridestano le cose belle si accompagna
di an moto del caore che ce le fa amare e desi-
derare. Questa doppia natura d'ogni rapimento ci
apparirà più innanzi ad ogni passo dei nostri
stadii.
Le estoM di gioia o di soddisfazione sono tra le
più alte, ma sono anche tra le piti fagaci, perchè
in esse la forza si traduce tutta quanta in pia-
cere e r equilibrio si ristabilisce completo tra il
desiderio e la gioia di aver ottenuto o di posse-
dere ciò che si voleva. La voluttà è un fatto d'or-
dine inferiore che può accompagnare o seguire
Vestasi d'amore, ma questa può aversi anche senza
di quella.
Vi è poi una terza forma di estasi, inista di do^
love, di compassione e di sagrifizio, nella quale tutte
le nostre potenze affettive si dirigono verso un
punto solo , verso il polo della carità. Perchè si
abbia l'estasi convien sempre che alcuni degli ele-
menti morali che complicano questo fenomeno si
trovi in uno stato di somma esaltazione.
94 CAPITOLO IV
*
Daremo prima uno sguardo alle piccole estasi
dei sentimenti minori , per passar poi ai grandi
rapimenti dei due massimi amori umani, quella
diamante e quella di madre.
*
* *
L'uomo è fra gli animali uno dei più socievoli
e convien essere misantropo fino alla pazzia per
odiare la compagnia di altri uomini. Lo stesso
Schopenhauer negli atti della sua vita ci mostra
troppe contraddizioni tra ciò che scriveva e ciò
che faceva.
Il bisogno di respirare il fiato degli uomini, di
associare lavoro e riposo, gioia e dolore, di spec-
chiarsi in altre nature umane, ha gradi diversi di
intensità. Il minimo grado ci è presentato dal-
l' uomo maschio , dall' egoista , dal mutilato delle
battaglie della vita. I gradi massimi si osservano
nella donna, nell'uomo di forti energie affettive.
CAETTl 95
Molti rinnnzierebbero alla felicità, se questa non
dovesse essere divisa con altri e v'ha perfino ohi
non ha mai pensato in vita sua un solo pensiero,
né fatto atto alcuno, senza parteciparlo ad altri.
V ha perfino chi non può pensare senza parlare,
tanto è in lui prepotente il bisogno di pensare,
di sentire, di agire in due.
Questo bisogno di società umana è ben raro che
basti a portarci all'estasi, dacché per sua natura
questa energia si suddivide in troppi centri, per-
chè possa concentrarsi in un punto solo; e quando
ciò avviene è perchè nasce un sentimento nuovo,
che ha diversa natura e porta quindi di necessità
auolie un nuovo battesimo.
L'affetto per gli uomini non può portare al ra-
pimento, che quando si manifesta sotto forma di
carità; parola dolce, calda, che non invano ha una
etimologia comune con caro e deriva da amore.
Questa parola sta scritta sulla bandiera del cri-
stianesimo, che per essa potrà sempre vantare il
primo posto nella gerarchia delle religioni, benché
l'industria delle simonie e la speculazione di tutte
le umane imbecillità abbiano fatto ogni sforzo per
deturparla.
I
!
96 CAPITOLO IV i
Senza bisogno di simpatie sessuali, né di vin-
colo di sangue o di benefizii ricevuti , chi ha il
santo bisogno di beneficare, ama tutti gli uomini,
sol perchè uomini , e misura soltanto il proprio
amore dal patimento altrui. I felici sono la cala-
mita che attrae l'egoista; il dolore è la calamita
dell'uomo caritatevole.
Per poter raggiungere le estasi della carità con-
vien avere una natura delicata, sublime, eccezio-
nale; conviene risolvere questo problema che può
sembrare una quadratura del circolo, di amare gli
altri piti che sé stesso. Questo non è naturale e
neppure il Cristo osò pretenderlo dagli uomini; vi
è però chi raggiunge questo ideale. Sono eccezioni
che nel campo del sentimento raggiungono lo stesso
livello del genio nel campo del pensiero.
Se il Cristo non osò pretendere dagli uomini ohe
amassero gli altri più di sé stessi, ne diede però
l'esempio , e il Budda , volendo idealizzare i suoi
discepoli, perchè poi raggiungessero il massimo
premio dell' annientamento , impose loro di spo-
gliarsi di ogni ricchezza, di ogni proprietà, facen-
ESTASI DELLA CARITÀ 97
clone dono agli altri. Consigliato e non imposto
dal Cristo, consigliato dal Biidda e dal braraani-
smo ad nna casta eletta, questa sostituzione del-
Valtrtiismo àlVeffoismo è possibile nell'uomo, che per
questa via raggiunge alcune delle più alte vette
d€»iridealità afìettiva. E noi troviamo nella storia
di tutte queste religioni, uomini e donne che eb-
bero per primo fine della vita Tesercizio della ca-
rità interpretata nel senso più largo e più nobile
della parola.
Dare e dar sempre, non ricevere che per dare ;
non ritenere per sé che quanto è necessario agli
strettissimi bisogni della vita; non esser soddisfatti
che della gioia altrui data dalle nostre mani, non
sorridere che dei sorrisi altrui ; fare della felicità
degli altri 1' unica fórma della felicità propria....
Ecco il sogno dell'uomo di carità; sogno che non
si raggiunge mai, sete che mai non si sazia e che
ha quindi davanti a sé tutti gli orizzonti delFin-
finito, che soli possono calmare i desiderii infiniti,
che soli possono portare al rapimento deirestasi.
E chi mai può credere di aver fatto sempre il
bene, e chi mai può pretendere di aver potuto
asciugare tutte le lagrime , dato pane a tutti gli
affamati , dato conforto a tutti i disperati ! L' u-
mana famiglia è così innumerevole e la miniera
dei dolori umani così infinita, che Tuomo di ca-
Estasi umane, 7
98 • CAPITOLO IV
rità non potrebbe aver pace in una vita di secoli.
Egli è come il giudeo errante, ma è il pellegrino
della consolazione. Nessuna voce imperiosa lo
scaccia, ma la voce degli infelici, ma il lamento
del bambino, le querimonie del vecchio, Furio del
disperato lo chiamano, lo invocano per ogni lato;
e quando egli si riposa un istante, nuovi lamenti,
nuove querimonie, nuovi urli lo fanno rizzare dal
breve riposo e lo attraggono alP opera di carità.
Per raggiungere 1' estasi per questa via non si
deve mai avere a compagno l'orgoglio, la vanità,
il bisogno della riconoscenza. Chi fa il bene per
orgoglio o per vanità , mette troppo vicino a sé
l'orizzonte della propria aspirazione; egli è pagato
mentre paga; egli riceve mentre dà, e per quanto
utile l'opera sua, è sempre una forma di egoismo.
Quando poi sì esige la gratitudine, si è poco meno
che usuraio, dacché nessun capitale frutta un pia
alto interesse che il bene che facciamo. Una mano
dà e l'altra è già aperta a ricevere. — Tutto que-
sto non può condurre all'estasi.
Perchè questa si abbia , conviene che l' opera
nostra di confortare, di beneficare, di soccorrere
ci sembri sempre al disotto del nostro desiderio,
e che una santa insaziabilità di bene ci porti
da un infelice a uno sciagurato, dal letto di un
morente alla capanna di un poverello, dalla culla
ESTASI DELLA CARITÀ 99
ili un orfano al pandemonio di nn ospedale. Le
strette di mano, le parole di riconoscenza raccolte
lungo 1» nostra strada son subito dimenticate,
perchè altri dolori ci attendono, altre miserie ci
implorano. E se il plauso e 1' ammirazione della
folla ci arresta per farci festa, e se i potenti scen-
dono dal trono per inchinarci, noi fuggiamo lon-
tani , non volendo col trionfo dell' orgoglio gua-
stare la voluttà sovrumana del sagriftzio completo,
assoluto di tutte le umane debolezze. Noi proviamo
allora tutto il disgusto ohe avrebbe colui, che
dissetandosi all'acqua fresca e vivida di una fonte
alpina fosse invitato a versarvi ùelVaniHette o del
cognac. E fin dalle nostre viscere riusciamo a strap-
pare il germe del plauso di noi stessi e giungiamo
a crederci indegni d' ogni lode , perchè la carità
basta a sé stessa. La modestia, questo santo pu-
dore della forza, ci accompagna, come dicesi che
l'angelo custode protegga i fanciulli, e ci difende
colle sue grandi ali da ogni peccato di vanità, da
ogni gonfiezza di orgoglio.
100 CAPITOLO IV
* *
L'estasi della carità è premio della carità; noi
non vediamo più cogli occhi del corpo V ultimo
poverello soccorso, né il penultimo naufrago tratto
a riva da una delle tante temi)este della vita. Noi
siamo assorti in una contemplazione dei dolori
umani , in mezzo ni quali ci sentiamo ministri di
un ignoto Dio del bene, di un'occulta e misteriosa
provvidenza. Ci vediamo in mezzo a un vasto
campo di battaglia, dove poche ore prima fra la
polvere dei cannoni e lo scintillar delle baionette
e il guizzar delle sciabole si vedevano membra
divelte e teste mozze; dove gli urli feroci del vin-
citore si mescevano oscenamente colle bestemmie
dei feriti e dei morenti. Poche ore prima il san-
gue si frammischiava col fango e i nostri piedi
tuifavansi in quella melma calda e nauseante.
Grida disperse , che chiedevano soccorso , ululati
lontani e gemiti vicini; mani che afferravano le
nostre e vi si attaccavano per un istante , poi si
diseioglievano a un tratto, paralizzate dalla morte:
tutto un lamento, tutta un' invocazione di pietà e
di soccorso.
Ed ora non più singhiozzi , non più urli , non
ESTASI DELLA CARltÀ 101. - - -
■j -»
più sangue; il campo della carneftcina divenuto
campo di conforto; il terreno della battaglia di-
venuto terreno di ospedale. Ferite fasciate, mem-
bra spezzate ^ ricomposte; fronti ardenti rinfre-
scate dal ghiaccio, la disperazione divenuta spe-
ranza , r urlo delle bestemmie trasformato in pa-
role di grazia; spasimi di tortura convertiti in
sorrisi di gratitudine, la mano che malediva com-
posta alla preghiera. — L'iride che squarcia le
nubi e impone la speranza e irradia le sue luci
variopinte sul campo divelto dall'uragano.
E voi siete V iride di quel cielo ; siete voi che
in mezzo all'atmosfera calmata, al solco dissetato,
vi sentite centro massimo di tutte quelle benedi-
zioni. Un soave tepore vi circonda e vi accarezza,
in voi sentite tutte le dolcezze dei dolori calmati,
delle procelle svanite; nel grande silenzio della
vostra coscienza mormorano i grazie infiniti che
mandano al cielo tutti quelli infelici consolati,
forse restituiti per voi alla vita. E cadete, dirò
meglio, salite all'estasi. Estasi fra le più belle e
le più alte a cui possa aspirare l'uomo, perchè in
una volta sola sentite ai vostri i)iedi schiacciati
l'egoismo, l'orgoglio, la vanitìV; tutti i draghi e le
belve e i rettili dell' umanità ; perchè vi sentite
Y erratorcorrige del gran libro della vita; perchè
in un solo istante vedete ricomporsi tutti i dolori
• • . • •
.•• : : •: ?Q2-.-: • : .-. •' •. capitolo iv
• • • • •
umani in nna benedizione, perchè vi beate della
sovrumana dolcezza di sentirvi divenato da ano
mille nomini; dacché le mille gioie degli altri si
riflettono tatte quante e in una volta sola nella
vostra grande coscienza di nomo di carità. Nel-
r amplesso piii ardente di due innamorati , vi è
raddoppiamento semplice dell' umana coscienza e
deir umana felicità. Nel benefizio che è eroismo ,
nel benefizio che compie il miracolo evangelico
della moltiplicazione dei pani e dei pesci, vi ha
riflessione all'infinito della gioia di tutti nella gioia
di un solo.
Il bisogno della carità spinto fino alPentusiasmo
e al fanatismo, la gioia di beneficare portata fino
all'estasi, bastano a fare di un uomo un miracolo
vivente , e la chiesa cattolica ha santificato quei
pochi, che furono capaci di quell'entusiasmo e di
quelle estasi. San Giovanni ili Dio, san Vincenzo
de Paoli e tanti altri sono fra questi. Ve ne sono
parecchi (specialmente donne) che nascosero con
tanto miracolo di modestia la loro opera di ca-
rità da sfuggire all' attenzione di coloro che fab-
bricano i beati e i santi ; ma che non per questo
furono meno santi e meno beati. Santi, perchè
questa parola è superlativo dell'umana moralità;
beati, perchè godettero anche quaggiCi di una delle
massime beatitudini umane.
:MrsTiciSMO 103
A queste grandi altezze della caritì\ non si
giunge per lo più che sulle ali della relìf/ione, di
un grande dolore o di un (grande pentimento.
Il misticismo , secondo la natura diversa de;:^li
individui umani, porta ora all'ascetismo contem-
plativo, che studieremo in tre capitoli, ora alla ca-
rità. Quando si giunge a questa suprema gioia del
beneficare per via della religione, Testasi acquista
sempre un carattere di misticismo, che lo indora
che lo copre del manto splendente di arcane bel-
lezze.
È di certo la piti alta interpretazione del sen-
timento religioso questa di beneficare gli uomini
e di giungere a Dio attraverso alle lagrime del
dolore. La religione cristiana sarebbe anche per
questo solo di molto superiore al buddismo e al
liramanesismo: jicrchè il Vangelo è soprattutto co-
dice di carità. Fors' anche questa direzione filan-
tropica, benefica della religione del Nazzareno fu
piò. spontanea, più facile, perchè la nuova scuola
convertì tra i primi i popoli latini; gente pratica,
gente d'azione. Se il Papa di Roma avesse pian-
104 CAPITOLO IV
tato il suo trono fra genti orientali, il misticismo
contemplativo avrebbe prevalso alla carità ope-
rosa. Infatti i precetti del Budda sono poco di-
versi dall'etica cristiana, ma là abbiamo più asceti,
qui inìi benefattori deir umanità.
Molti dolori, di quelli che uccidono, possono ri-
sanare con due opposti rimedii, colla vendetta o
col benefìzio. Più comune , più facile rimedio il
primo; più raro, infinitamente raro il secondo.
I grandi dolori portano molti al suicidio, mol-
tissimi alla vendetta, pochi alla carità universale.
Chi rimane vivo dopo una grande e immeritata
sventura può seminare di dolore tutte le strade
maestre della vita. Ogni dolore arrecato ad altri
diventa una vendetta personale e impersonale ad
un tempo, e V uomo , che forse era naturalmente
buono , diventa cattivo per opera della sventura.
Io ho soflferto : ebbene farò soffiire. Io fui battuto
ed io batterò; io fui deriso, calpestato, calunniato,
ed io deriderò, calpesterò, calunnierò. Gli uomini
deformi e le donne bruttissime sono non di rado
cattivi per quest'unica ragione.
I GRANDI DOLOEI 105
Le anime elette, nobilissime, invece restituiscono
in tanti conforti, in tante benedizioni, le sventure
e le maledizioni avute dagli uomini. Si propon-
gono di risanare dai grandi dolori , risanando ì
dolori altrui. È questa la vendetta di Cristo, che
prega per gli offensori prima che per gli amici.
Non nego che in questa trasformazione dell' odio
in amore non ci possa essere talvolta anche un
po' d'orgoglio, ma chi di noi oserà chiamar vizio
questo orgoglio, e chi non sarà tentato invece di
mutargli nome nel nostro dizionario, che ha tanti
bastardi e tanti falsi battesimi nelle sue colonne
irte di vocaboli e di errori?
Eravamo nati per amare e fummo odiati, era-
vamo fatti per vivere di carezze e di baci e non
abbiamo trovato che percosse e insulti. Il nostro
tesoro di amore che ci aveva dato la mamma na-
scendo , rimase intatto nei nostri scrigni ; e noi ,
dopo una lunga e sanguinosa meditazione sui per-
chè della vita, sui misteri della giustizia e del-
l' ingiustizia , abbiamo un giorno aperto il nostro
tesoro e l'abbiamo sparso fra le turbe degli uo-
mini. Ne vnmf JEhcoìie. — Ne vuoi ancora f Eccone
ancora! Ancora e senvpre! — Il dare compensa del
non aver ricevuto. Noi paghiamo anche i debiti
degli altri, perchè i nostri debiti non hanno tro-
vato mai chi li pagasse.
106 CAPITOLO IV
Un'estasi meno alta di quella che stiamo stu-
diando, e appunto più comune perchè meno alta,
è quella che si prova, beneficando chi ci ha of-
feso, rendendo bene per male. Molti moralisti
hanno creduto di trovare nel Vangelo che si esi-
geva troppo dall' uomo imponendogli di offrire
air offensore la guancia destra, quando gli era
stata schiaffeggiuta la sinistra. Se si prendesse la
cosa nel senso letterale, starei anch'io con quei
moralisti , perchè in tal caso la morale cristiana
sarebbe una morale di gente eunuca e abbietta;
ma il linguaggio orientale, figurato, della Sacra
Scrittura vuole che noi interpretiamo quelle pa-
role in un senso ben più alto e ben i>iù largo.
A chi ci offende dobbiamo mostrare ohe l'offesa
non giunge fino a noi. L'uomo che è sicuro di sé,
della propria dignità, della propria invulnerabilità,
sta fermo e col capo alto al bersaglio delle basse
invidie, delle calunnie, degli insulti plebei, e con
facile agilità prende ogni freccia che gli viene-
scoccata , e «i^ezzandola come lussello di paglia,
la mette sotto ì piedi o la getta nel fango. Poi,
quando si sono stancati e s:'ora:jrgiti , vedendolo
invulnerabile, egli sorride e se ne va, aspettando
con impazienza Fora della vendetta.
E questa non tarda, perchè anche gli offensori
sono uomini e anche per essi l'ora del dolore non
VENDETTE GENEROSE 107
X>uò esser lontana. Allora noi , non veduti , non
sospettati, ci avviciniamo al nostro nemico e con-
fortiamo il suo dolore, soccorriamo alla sua sven-
tura, più felici che mai quando la nostra opera
di carità giunge pronta, opportuna, generosissima.
La calunnia ci aveva condannati e noi difendiamo
il calunniatore se innocente, invochiamo le atte-
nuanti se colpevole. Vogliamo la giustizia per chi
era stato ingiusto con noi , diamo la mano per
sostenere chi ci aveva voluti nel fango. La moglie,
i figli , gli amici del nostro nemico diventano gli
amici nostri, perchè noi dobbiamo vendicarci an-
che di essi per gli stretti vincoli che li legano a
lui. Felici, se tutto questo nostro lavorìo di ven-
dette generose rimane ignorato; beati fino all' e-
atasi, quando Toffensore per via indiretta viene a
sapere da quali mani egli fu soccorso, difeso,
forse salvato.
Quest'estasi di carità; è più comune delle altre,
perchè anche l'orgoglio vi porta le sue forti ener-
gie, perchè in quel momento ci sentiamo sopra
una roccia inaccessibile, dove nessuno ci può slog-
giare, perchè ci sentiamo rapiti dall'ebbrezza della
vittoria, perchè ci sentiamo invulnerabili di dentro
e di fuori.
108 CAPITOLO IV
Il pentimento è un'altra via che può condurre
alle grandi estasi della carità. Anche all' Infuori
d'ogni legge scritta nei codici civili e nei religiosi,
l'uomo civile non può fare il niale impunemente,
e il primo giudice che lo accusa e lo condanna
è la sua coscienza.
Gli uomini che fanno il male per il male , che
hanno l'incapacità del rimorso sono rare eccezioni,
sono avanzi atavici dei nostri padri antropofagi,
ma tutti gli altri, quando seminano il dolore sulle
vie che attraversano, lo fanno per un grande in-
teresse o per un impeto subitaneo di una passione
prepotente. Soddisfatto il bisogno, saziata la fame
del pane, della i)assione o del vizio, rientrati nel
sentiero della vita pedestre e tranquilla, noi ci
sentiamo feriti o avvelenati. Vi è entro di noi una
frattura o una piaga , vi è nel sangue qualcosa
che ci fa la bocca amara e la vita incresciosa.
Possiamo sforzarci per ogni via di distrarci e di
divertirci, possiamo ridere e saltare; ma il pen-
siero e sempre là dove noi abbiamo i)eccato, e se
le labbra sorridono, dentro a noi l'anima piange.
IL RTVIOBSO 109
Nell'acqua che beviamo, nel pane che mangiamo
vi è del fiele; nel sorriso dei nostri bambini e
delle nostre donne crediamo vedere il ghigno di
Mefistofele che ci canzona; la molla degli entu-
siasmi è arrugginita o spezzata. Ad ogni momento
rientriamo in noi o guardiamo addietro, e dentro
o addietro vediamo sempre una macchia, sempre
nello stesso posto; e più la guardiamo e più ci
sembra vederla allargarsi, allargarsi, fino ad im-
bevere di sudiciume e di unto tutte le fibre del
nostro corpo, tutta la superficie della nostra pelle.
Per ridere dobbiamo farci il solletico , per non
vedere quella macchia, che ci sta negli occhi come *
mosca volante, dobbiamo ubbriacarci; ma il solle-
tico è una convulsione e non dura che pochi mi-
nuti; ma r ubbriachezza è una vergogna o un
sonno che dura poche ore. E passato il solletico,
svampati i fumi del vino, la macchia è lì ancora,
è lì sempre, e ci tormenta come un'idea fissa di
maniaco , ci tormenta come r ostinazione di una
mosca; è un incubo, è un canchero.
Jean Yaljean che diventa il santo maire di ***, che
si trasforma da galeotto in un grande filantropo,
è una sublime utopia di poeta. Chi nasce tigre,
tigre muore, e tutti gli sforzi della scuola, della
religione per farne un agnello, son sogni di alchi-
mista che vuol trasformare il piombo in oro e
110 CAPITOLO IV
crede ancora alla pietra filosofale. Ma le tigri son
poche, e noi tutti che abbiamo nelle nostre vene
soltanto qualche goccia di tigre, sentiamo il ri-
morso, quando quelle gocciole di sangue felino ci
fanno veder rosso V orizzonte e rosse d' odii e di
delitti le vie che percorriamo.
Quasi tutti gli uomini son capacci di pentimento
e questa è la sentenza prima e più giusta che
colpisce la colpa. Il rimorso è una malattia da cui
il volgo guarisce pagando una tassa al giudice o
al prete, e l'uomo superiore risana, beneficando e
confortando. Questa cura, di cui non son capaci
che pochissimi, esige una gran forza morale, un
santo entusiasmo del bene, una squisita idealità
del sentimento ; ma senza arrivare all'estasi, tutti
i buoni, anche i mediocri, drizzano inconsapevoli
la prora della loro navicella a quei lidi incantevoli.
Oh quante volte un nostro figliuolo corre ad
abbracciarci e baciarci con insolita tenerezza e oi
circonda di assiduità affettuose; e di tutta quella
festa noi ci sorprendiamo e ce ne domandiamo il
perchè. Il nostro figliuolo ha peccato, ha offeso il
nome che gli abbiam dato col nostro sangue, ed
egli sente acuto il bisogno di punirsi , di giusti-
ficarsi ai proprii occhi, di sparger fiori dove aveva
gettato ortiche e spine.
Un'altra volta è la nostra donna che con baci
IL PENTIMENTO 111
più ardenti, con carezze più soavi ci dimostra il
suo amore e si intenerisce fino alle lagrime dei
baci e delle carezze che noi restituiamo con sor-
presa e stupore. Queirinsoiita cortesia pur troppo
spesso non è che la restitazione di un furto, non
è che il pentimento tradotto in opere di carità.
Felici noi, quando ignoriamo il perchè di quelle
opere : felici noi , quando godiamo della bellezza
e della fragranza di un fiore, senza sapere in qual
giardino fu colto, da quali mani fu . coltivato.
*
Queste sono le piccole e comuni trasformazioni
del male in bene , del pentimento in carità , del
fiele in miele; ma ben altri miracoli di evoluzione
psicologica noi vediamo nelle nature umane, che
sanno volare e che sole sono capaci dei grandi
rapimenti afifettivi.
Senza bisogno di pene inflitte dai giudici o di
penitenze imposte dal confessore, noi a noi stessi
e soli abbiamo imposto tutta una vita di riabili-
tazione e di redenzione. Il mito del Cristo, figlio
di Dìo, che sulla sua croce e coi suoi dolori infi-
niti lava e cancella il gran peccato dei primi no*
112 CAPITOLO IV
fttri padri, può sembrare fiaba mistica agli occhi
superficiali dei filosofi da dozzina. Per me quel
mito è tutto un poema di altissima idealità, è
tutto un codice di morale che basta da solo a im-
primere un marchio di nobiltà ad una religione.
Peccato che il pomo dell'Eden sia capito da tutti
e che pochi x)ossano intendere i misteri trascen-
denti del peccato originale lavato da un Dio fatto
uomo e che sul Calvario compie la grande ven-
detta che vuole il male guarito dal beije.
E un Dio diventa ogni uomo, che guarisce dal
rimorso con una vita intiera consacrata al sagri-
fìzio di sé stesso, alla rivendicazione della colpa.
A questi galeotti divenuti santi credo ancor io,
a queste Maddalene che lavano i piedi del Cristo
colle proprie chiome pollute di tanti baci lascivi,
credo ancor io.
Da una parte il peccato, la ferita, la macchia;
dall'altra l'abnegazione, la riabilitazione, la salute
dell'anima che guarisce sé stessa. Da una parte le
debolezze umane del Getsemani, dall'altra la croce
divina sulla quale si immola un Dio. Nessun usuraio
esige un usura più crudele dell' uomo che vuol
lavare quella macchia, guarire da quella ferita:
nessun ambizioso più evSigento deU'uomo since-
ramente pentito. Per un solo peccato, dieci, cento,
mille azioni generose, nobili, sublimi; per una sola
:»^~»^
IL PENT13IENT0 113
colpa mille sagrifizii, per una lagrima sola fatta
spargere da noi mille sorrisi provocati dalle nostre
carezase; per una piccola ferita, mille benefìcii, mille
opere baone. L'uomo è debole, è fragile, è caduco;
ma in un impeto di passione generosa può essere
fortissimo, generosissimo, sublime. Egli può sopra
una pozzanghera di fango alzare una piramide alta
quanto il cielo e innanzi morire può salire con santo
orgoglio su quella cima innalzata colle proprie mani
e alzando gli occhi in alto può dire a so stosso:
qui sotto nel fondo di questa piramide è sepolto
per sempre un peccato, una colpa che non esisto
pia che come una mesta memoria. La colpa è ven-
dicata , r uomo per opera propria è divenuto un
angelo, la giustizia è compiuta. Vi sono scjogli e
isole, che saranno un giorno continenti por civiltà
nuove; e lo scheletro di quel nuovo mondo è il
guscio microscopico di vili creature microscopiche.
Se è bello l'uomo che non ha mai peccato, perchè
non avea nelle proprie carni una sola goccia di
veleno, è bellissima la creatura che <la verme è
divenuta farfalla , che da uomo s' è fatta angolo,
e da angelo s'è trasformata in un Dio.
Se mai nei sentieri della vita vi siete incontrati
in uno di questi santi, che si son fatti sac^.ordoti
(Iella religione del dovere, venerateli come altret-
tanti redentori, che da soli si sono condannati
Eftasi umane. 8
114 CAPITOLO IV
alla croce ; che da soli hanno fatto giustizia di
sé stessi. Eispettateli , non chiedete loro mai il
perchè dei loro entusiasmi, delle loro estasi di
carità. Non profanate con un' inquisizione da le-
guleio quei martiri , non chiedete loro il libro
maestro dei loro conti correnti. Son debitori ono-
rati, che vanno ogni giorno travagliando e sudando
per onorare la propria firma e non chiuderanno
gli occhi al sole prima di aver pagato tutto il loro
debito con tutti gli interessi accumulati. Morranno
forse poveri, forse digiuni delle feste quotidiane
dei ricchi e dei fortunati, ma morranno beati di
aver fatto il loro dovere, godendo ad ogni mo-
mento il solenne rapimento, le estasi soavi della
carità e del sagrifizio. Buddisti o cristiani, israe-
liti o miscredenti, essi sono i discepoli di una re-
ligione, che non ha forse nome nella storia del
misticismo , ma che è la religione di tutti coloro
che credono nel piacere e nel dolore, che credono
in una giustizia che vuole che ogni lagrima si
asciughi con una carezza, che ogni dolore sia ri-
vendicato con altrettanta gioia.
La carità ci può dare estasi soavi, anche perchè
può esser bella ; iniò rapirci in alto, anche quando
non è virtù nostra, ma è contemplata da noi negli
altri. Intendo però parlare di quella bontà che
non consiste nel piangere ad ogni pianto e nel
ESTASI DELLA CABITA 115
metter le mani in tasca ad ogni mano di mendi^
cante che ci viene aperta. Io intendo parlare di
qnella carità che vuol dire: sentir di lontano come
cane da caccia che annusa il vento infido , i do-
lori più celati, vuol dire intendere le umiliazioni
dell'amor proprio e le delusioni dell'amore tradito,
vuol dire carezze , baci , parole dolci , vuol dire
saper camminare sulla punta dei piedi in una ca-
mera di malato , vuol dire compassione per ogni
dolore , tenerezza per o.:?ni miseria ; indulgenza
grande, larga, generosa i)er ogni peccato, per ogni
umana debolezza.
Da certe mani io non vorrei i tesori di Roth-
schild, da altre mi basterebbe una carezza; da
certe labbra non vorrei la promessa d'un mondo,
da certe altre mi basterebbe un sorriso.
Vi sono alcune nature coàì nobili, così generose,
così simpatiche, che ad ogni passo seminano la
gioia, con ogni sorriso acquetano un dolore, in
ogni parola hanno una carezza o una carità. Danno
tutto a tutti e la loro ricchezza consiste nello
spargere a piene mani i tesori del loro cuore. At-
traversano le lande della vita, beneficando e con*
fortando, e accanto a loro si provano le delizie
dell' ombra quando il sole scotta , della frescura
quando c'è l'afa, del tepore quando soffia la bora,
dell'acqua quando si ha sete, del cibo quando si
116 CAPITOLO IV
lia fame. Pare che essi rappresentino Fimmagine
vivente della provvidenza, come ce la dipingono
gli artisti dell'ottimismo.
La bellezza della bontà non è una sola: sono
dieci, son cento, son mille. Son profumi fuggevoli
e delicati come quelli d'un fiore che vive un giorno,
son tinte rosee di crepuscoli, son bagliori di stelle,
sono incanti di un paesaggio misterioso, che nes-
sun pennello di artista può riprodurre. Io non
toccherò che di alcune.
La prima bellezza della bontà è la grazia , la
pia indefinibile delle cose, ma anche uno dei te-
sori pili alti dell'umana psicologia.
I Greci le dissero tre, ma chi mai le ha contate
le forme della grazia? Chi mai ha osato nume-
rarle o ha tentato di descriverle?
La grazia è lo splendore della bellezza, è la bel-
lezza in movimento e giovane, è il sorriso dell'in-
fanzia , è la bontà della forza , è il profumo del
frutto saporoso , è V eleganza della palma che si
I)iega ondeggiando alle carezze del vento ; la grazia
è la poesia della bellezza. Felici gli artisti che in
LA BELLEZZA DELLA BONTÀ 117
nn cenno , in nn atteggiamento , in un tocco di
pennello involano alla natura questa fragranza
delle fragranze, questa voluttà delle voluttà, que-
sta leccornia delle leccornie.
Jj la bontà ha la grazia, che ne è la prima bel-
lezza. Noi per medicare le piaghe abbiam bisogno
di spugne che stropicciano, di pietre che bruciano,
di filacele che son ruvide, di unguenti che son
sudici, di fascie che son stretture. La bontà che
ha grazia posa i suoi balsami con mano invisibile
e che non pesa, alita sulle piaghe un fiato fresco
e profumato da fanciullo, accarezza con una
mano che è tutta nervi e non sembra aver mu-
scoli, con una mano che è morbida come il vel-
luto, soave come una carezza, tepida come un nido.
La bontà che ha la grazia nasconde il benefìzio,
occulta il sagrifizio, e fa parere che chi riceve dia
e che il debitore diventi creditore.
La bontà che ha grazia non domanda alFamico:
abbisogni tu del denaro? ma lo dà prima che lo
si chieda; né mai donna di cuore al letto di un
malato ebbe bisogno che le si chiedesse acqua
o medicina o che il sofferente domandasse di mu-
tare la posizione al corpo o alle membra.
118 CAPITOLO IV
Un'altra bellezza della bontà è la modestia.
La vostra destra non sappia oi6 che ha fatto
la vostra sinistra , disse il Cristo , e dopo di lui
hanno detto quanti sono artisti del bene. Chi fa
il bene con orgoglio, lasciando cadere dall'alto la
moneta della borsa o la parola del conforto, può
tramutare quasi il benefizio in insulto.
Chi fa il bene superbamente, vuol esser pagato
subito del suo benefizio e lo sconta coli' umilia-
zione dell'amor proprio altrui.
La modestia è nelle opere buone ciò che è il
pudore per l'amore; è un'altra ineffabile fragranza
del bene. Il benefizio che grida in piazza, la bontà
che suona la tromba, sono cose da mettere sul
carro dello strappadenti di fiera. La cronaca le
registra, ma la gente eletta sorride e non applaude.
La 8empU<!Ìtà nel fare il bene è l' aristocrazia
vera della bontà , è l' immagine dell' abbondanza
sicura e inesauribile, è la castità della giovinezza
robusta, è la forza del cuore.
Lo stento , 1' apparato , ogni forma acrobatica
della carità, è una prova di povertà di cuore, è
LA BELLEZZA DELLA BONTÀ 119
rartifizio che supplisce alla manoanza del vero, è
il crìMophìe della bontà.
La bontà modesta è oro puro, di 24 carati, Toro
che potete martellare e fondere, polverizzare o
laminare , seppellire sotto terra o gettare nel
fuoco , ma che resiste a tutto e rimane sempre
quel che egli era; il più nobile, il più bello, il più
ricco dei metalli.
*
* *
La tenerezza è la carezza dell' anima , che ac-
compagna il benefizio; è il sospiro che tien dietro
al dolore; è la simpatia dei cuori; è un ammor-
bidirsi di tutte le punte, un arrotondarsi di tutti
gli angoli spinosi della natura umana.
È uno degli elementi psichici più diflScili a de-
«
finirsi , ma è anche una delle maggiori bellezze,
che accompagnano alcune forme della bontà.
Vi si sente la gaia semplicità del fanciullo e la
morbidezza della donna. Pare che nella tenerezza
la forza si nasconda per non umiliare la debolezza,
che l'abbondanza si celi per non far arrossire la
miseria e che la bontà si disciolga tutta quanta
in un lago azzurro e sereno come i laghetti del
120 CAPITOLO IV
Sikkiin, per non apparire agli occhi nostri che
sotto forma di un sorriso che consola, di una la-
grima che piange con noi.
Un' altra grande bellezza della bontà è la ric-
chezza, è la profusione. Allora la bontà non mi-
sura i proprii doni col metro deireoonomia o colla
bilancia della previdenza; essa dà tutto e subito,
e dopo aver dato, vorrebbe dare ancora e domanda
a sé stessa se ancora non vi sia un dolore da
confortare, una piaga da sanare, una lagrima da
asciugare.
È come la natura che semina a milioni i suoi
frutti e sparge per Paria nuvole infinite di pollini
fecondi, senza calcolare se tutti quei semi, se tutti
quei pollini troveranno una terra che li accolga.
Che importa la griititudine , che importa se la
giustizia non possa controfirmare tutti i nostri
benefìzii? Che importa se il dolore sia forse figlio
d'una colpa? C'è chi soffre e deve essere conso-
lato , e' è chi ha fame e deve essere nutrito , c'è
chi ha sete e deve essere dissetato.
La bontà ricca è come la giovinezza, che di-
I
LA BELLEZZA DELLA BONTÀ 121
vampa tutti i fuochi generosi delle sue pas^sioni,
che accende su ogni vetta di monte un faro, span-
dendo luce e calore per ogni lato.
Oh datemi anche per un'ora sola questa santa
ebbrezza di contemplare la bontà ricca, la bontà
scialacquatrice, la bontà spensierata, la bontà che
non ha misura né peso e che dimentica oggi quel
che ha fatto ieri ; la bontà senza cassa da rispar-
mio e senza Corte dei conti, la bontà ricca come
la giovinezza, grande come la natura I
* *
La bontà vera e bella, ben lungi dalUessere una
forma di debolezza, ha bisogno spesso di essere
forte e coraggiosa.
V. Hugo, che quando non declama è anche un
grande filosofo, come del resto lo sono tutti i
grandi poeti, ha detto: étre hon , c^est hien , étre
juste, e* est mieux encore.
Ed è vero : la giustizia è spesso pii\ difficile che
la bontà, ed è per sé stessa un'armonia di buono
e di vero, è una temperanza di varie e diverse
virtù, che esige varie e diverse facoltà ed equi-
librio di cose buone.
122 CAPITOLO IV
E la i^iustizia è bella, perchè appaga in una
volta sola, tutti i nostri bisogni più alti del vero
e del buono e ci guarisce dallo scetticismo e ci
risana dall'amara dubbiezza, che il mondo sia una
buffa tragedia, dove i prepotenti sono i fortunati
e i deboli sono i malnati.
La giustizia è V errata-corride della parte brutta
della commedia umana , di quella rappresentata
dal mito del diavolo. La giustizia è la bontà
che va a braccetto della verità e ad essa si ap-
poggia come a una creatura più robusta e più fida.
Quando vedo una giovinetta bella e spensierata
che va a braccetto d' un vecchio babbo a cui si
appoggia confidente e amorosa, parmi veder l'im-
magine fedele della giustizia.
La bontà forte e coraggiosa esce dai sentieri
pedestri delle cose facili e buone e ci porta al
sagriflzio. Entriamo allora neirOlimpo della bontà
e rideale ci appare coi suoi fulgori iridescenti e
i suoi panorami insuperabili.
É allora che V uomo buono sceglie fra le cose
buone le più difficili; schiaccia sotto i piedi il
proprio egoismo, Tamor proprio, tutte le viltà più
naturali della nostra natura fragile e caduca e si
riesce ad amare e beneficare chi ci ha insultato
o tradito. È allora che si fanno tacere i rancori
l)iù giusti, che si acquetano le ribellioni più sante
LA BELLEZZA DELLA BONTÀ 123
del nostro affetto e si perdona; ma non si per-
dona soltanto, ma si rende bene per male.
È il Cristo che con nna lagrima immobile nel-
l'occhio straziato contempla Giuda e gllperdona«
È il Cristo che rivolto al cielo chiede pietà per
coloro che lo hanno martoriato e crocifisso , im-
perocché €88i non sanno quello che si fanno.
Quante gemme celate nel mistero della casa del
povero, che rlsplendono come i divini quadri del
Nazareno! Bambine gracili e clorotiche, che non
mangiano per preparare un brodo alla mamma
malata, e mogli tisiche che ansando sudano sul
telaio e nascondono il male per preparare la cena
al marito che ritorna dall' officina, e vecchi che
sudano ancora sulla gleba per preparare una doto
alla nipotina spensierata, che non saprà mai quanti
dolori sarà costato il vezzo di perle che porterà
allo sposo nel dì delle nozze.
Di questa bontà bella, santificata dal sagrifizio
e «lair eroismo, ve n'ha in ogni luogo dove l'uomo
calpesta la terra del suo pianeta o naviga l'onda
che lo bagna. Capitani che non lasciano la nave
naufragata che dopo aver messo in salvo tutti i
passeggeri, e medici che succhiano la ferita vele-
nosa di un bambino operato di croup, e mariti che
dormono sotto la stessa coltre della moglie tisica
per non spaventarla, e re che stanno per ore tra
124 CAPITOLO IV
i letti visitati dalla morte per rialzare il cora^^gio
di una popolazione presa da panico, e soldati che
difendono la bandiera fino all' ultimo bagnandola
del proprio sangue. Tutte sante e grandi bel-
lezze della bontà eroica, della bontà del mar-
tire, che ha consacrato la culla della religione
e ha santificato la lotta della libertà contro la
tirannide; fosse poi di scettri, di sciabole o di
superstizioni.
*
Né io credo che le bellezze della bontà finiscano
tutte in quelle che vi ho accennato di volo. No:
la grazia, la modestia, la semplicità, la tenerezza^
la abbondanza, la forza, il coraggio, non sono le
sole cose belle che ci presenti la bontà. Ve ne
sono altre molte e minori, che è difficile descri-
vere, più difficile ancora di definire.
Chi mi darà la voce e le parole per descrivere
tutte quelle astruserie sante del sentimento, tutti
quegli scrupoli verecondi , tutti quei pudori sel-
vaggi della bontà delicata, chi mai potrà analiz-
zare quei misteri reconditi, pieni di paure sublimi
e di rimorsi paradossali, che si nascondono nelle
nature più fine e delicate dell'umana famiglia ì
LA BELLEZZA DELLA BONTÀ 125
L' uomo ha Bei suoi sogni mistici e nei suoi
voli fantastici scoperte molto false e vere trinità.
Una delle più vere o almeno delle più belle è di
certo quella del buono, del vero e del bello. Con
queste tre sole note un poeta ci potrebbe dare
un poema di armonia e di melodia, e un filosofo
tracciare tutta una cosmogonia del mondo reale
e del mondo pensabile.
E nelle bellezze del buono e nelle bont\ del
bello , e negli intrecci del vero col buono e del
bello col vero, abbiamo tali e tanti gruppi plastici
da far impallidire le stupende figure delle Tre
Grazie di Fidia, di Canova, di Thorwaldseu e del
Foscolo. Gli artisti dell'avvenire, sieno poi artisti
del pennello o della stecca, dello scalpello o della
penna , daranno ai nostri figli altre divine imma-
gini di questi intrecci, ma la natura eternamente
feconda sarà sempre più ricca di Fidia, di Canova,
di Thorwaldseu e del Foscolo, e ci presenterà air in-
finito quadri divini di coso belle e buone e vere,
che innamoreranno le pupille attonite dei nostri
nipoti e pronipoti.
E voi, donne care , donne belle , donne gentili,
che siete la delizia e il tormento della nostra vita,
avete ad essere le vestali di quella bontà che è
anche bella. Noi altri, del sesso forte e sgarbato,
possiamo anche noi fare cose buone , ma di raro
126 CAPITOLO IV
sappiamo anclie associarvi il battesimo della bel-
lezza. Voi altre invece siete sempre belle in ogni
pensiero del vostro cuore , siete sempre delicate
neir espressione della vostra bontV. Così come la
natura vi ha fatte custodi della forma nel mondo
fisico, così voi avete ad essere anche nel mondo
del pensiero e del sentimento le vestali della bel-
lezza che è anche buona, della bontil che è anche
bellezza. — A noi vostri schiavi e ammiratori la
parte severa di custodi del vero.
Capitolo V.
ESTASI DELL'AMICIZIA
E DELL'AMOR FRATERNO.
«
Xie estasi dell' amicizia. — Rapimenti dell'amor fraterno.
Anche senza il fascino del sesso , anche senza
i vincoli del sangue l'nomo può amar l'uomo di
quel sentimento che si chiama amicizia. Ho gii\
parlato troppe volte e a lungo nella mia Fisiolo-
gia del piacere e in altri miei libri più recenti
dell'amicizia, né starò a ripetermi. Qui non dob-
biamo occuparci che di quelle rarissime forme di
questo sentimento che possono portarci fino al-
l'estasi.
L'amicizia è possibile fra uomini e uomini, fra
uomini e donne, fra donne e donne; ma il sesso
è tale un elemento perturbatore d'ogni altro af-
fetto , che non sia amore , da rendere 1' amicizia
assai rara fra due persone di sesso diverso, e
anche quando i sensi non parlano e nessun desi-
derio accompagna l'amicizia, questa è però modi-
ficata profondamente da quella tenerezza irresisti-
bile che l'uomo ha per la donna, di quel bisogno
di protezione che la donna sente dinanzi all'uomo.
Ecco perchè preferirei separare dal gruppo delle
Estasi umane. 9
130 CAPITOLO V
amicizie vere quella che Tuomo e la donna pos-
sono intrecciare tra di loro, ravvicinando queste
alla famiglia degli amori platonici.
V amicizia è un sentimento di lusso e noi lo
vediamo mancare affatto o presentarci forme atro-
fiche negli uomini di bassa gerarchia psichica. Le
sue energie sono deboli, talché cedono subito il
campo ad altri sentimenti più imperiosi e che
hanno una grande missione nel ciclo della vita.
È anche per questo che le donne ci presentano
più raramente esempio di calde e tenere amicizie.
In esse l' amore e la maternità occupano tanta
parte del cuore da non lasciare il posto per altri
sentimenti minori, e d'altronde la galanteria virile
fa delle donne altrettanti rivali e semina la ge-
losia e inviperisce le vanità e solletica la malizia
e la maldicenza; per cui V amicizia fra donne è
pianta rara, che vive per lo più vita breve e fra
le pareti di una stufa ben calda e custodita.
Che l'amicizia sia una pianta di lusso lo prova
il vederla fiorire nell' età delle massime energie
affettive, cioè nella giovinezza. Col primo aocenno
L' AMICIZIA 131
di capelli bianchi , col primo chinar della curva
vitale, le amicizie nuove sono molto rare e le an-
tiche si conservano spesso per abitudine, per ri-
conoscenza, ma son fiacche e messe quasi sempre*
nel secondo giro degli affetti.
Se r amicizia è sentimento raro , è tanto più
delicato e si muove in una sfera di altissima idea-
lità. Intendo sempre parlare della vera, della su-
blime amicizia, di quel sentimento che fa di due
nomini un nomo solo, che li unisce mano con
mano, cuore con cuore, anima con anima. Per lo
più fra la massa del volgo si chiamano con quésto
nome simpatie fugaci, associazioni d'interessi, con-
suetudini d'occasione ed altre cose ancor più vol-
gari e più basse. Per questa via di certo nessun
rapimento è possibile.
Ciò che dà il marchio di nobiltà all'amicizia è
V eleziùne che ne è il midollo e lo scheletro, che-
ne è il motivo informatore. Non è soltanto negli
ordini politici che relezione sostituita all'eredità
o alla forza segna un gigantesco progresso: anche
nel campò degli affetti l' elezione è il battesimo
che li consacra ad una vita gloriosa, che li tra-
sporta dai bassi fondi delle necessità organiche
nel cielo dell' idealità. Neil' amore, nell' affetto di
patria, nella maternità, in tutti i potenti affbtti
che stringono l'uomo coi vincoli della famiglia, vi
132 CAPITOLO V
è un vigore irresistibile , vi è una forza trascen-
dente, ma nello stesso tempo noi ci sentiamo ra-
piti dal fato, dalla necessità:. Siamo ben felici di
questa cara necessità, Ina V Io, sempre superbo,
sente qualcosa più forte di lui e riverente s' in-
china e ubbidisce alle leggi della natura.
Nell'amicizia invece nulla di tutto questo: nes-
sun fato, nessuna necessità, nessuna tirannia d'uo-
mini, di cose o di tempi. Due anime umane si
incontrano nel viavai della folla, si contemplano
e s'intendono. Un riso sorriso in due, una lagrima
pianta in due, un grido d' entusiasmo escito pro-
rompente, irresistibile in uno stesso momento da
due petti umani , avvicina i cuori e stringe le
destre. Son due note musicali, che partito da due.
strumenti lontani si sono incontrate per V aria ,
formando un accordo d'armonia.
E quello stringersi delle mani rivela nella sua
espressione semplicissima tutta la psicologia più
fine e più profonda dell'amicizia. In amore son le
labbra che tendon Farco e si cercano; in amore
son le viscere che si intrecciano e si fecondano:
neir amicizia son le mani, che si cercano e si
stringono; gli istrumenti del pensiero e dell'azione.
Sentire insieme e sentire egualmente, ammirare
le stesse cose e disprezzare gli stessi uomini, par-
lare commossi cogli stessi i)oeti e benedire con
ESTASI DELL' AMICIZIA 133
una voce sola lo stesso sole , ci fa parenti nelle
anime, come in amore le simpatie fanno di due
sangui un sangae solo , di dae desiderii un desi-
derio solo, e colla fiisione intima di due esistenze,
creano una terza vita.
L'amicizia è una parentela d'elezione, è un amore
delle anime, è un sentire il proprio pensiero som-
mato a un altro; i proprii sentimenti, le proprie
simpatie, le proprie aspirazioni ripercossi sempre
dall'eco affettuosa di un'altra simpatia, di un'altra
natura umana, che risponde alla nostra. Dolcezze
ineffabili, voluttìi di altissima sfera, che fanno
l'uomo superbo d'esser uomo.
Questo consenso non cercato ma trovato, questo
combaciarsi intero e completo di due anime, questo
libero matrimonio di due nature umane può ba-
stare a rapirci in estasi ; quando soprattutto ci
rifugiamo in seno all' amicizia per sfug;^ire dagli
urli del profanum vulgus; quando siamo inseguiti
dal latrato dei cani ; quando ci sentiamo asfissiati
dal lezzo del fango in cui pur troppo dobbiamo
le tante volte camminare e sommergerci. È allora
che l'oasi dell'amicizia ci stende la sue braccia e
ci involge colle sue ombre profumate , colle sue
brezze inebbrianti , e proviamo la santa gioia di
chi escito da una cloaca immonda e oscura, si
trova nell'aperto cielo in mezzo alla luce, all'aria
134 CAPITOLO V
pura; fors'anche fra il profiimo dei fiori e il sor-
riso dei bambini.
L'estasi di due amici che si comprendono, che
^i stringon le mani . che si guardan negli o:;chi,
leggendovi riflessa Pimmagine di so stessi, è muta
come quasi tutti i rapimenti della vita. É muta
ed è profonda: è serena eie azzurra. Non si sa
eome incominci e dove finisca; appunto come noi
non sappiamo , guardando in alto , dove il cielo
incominci e dove esso finisca. Tiriamo profondo
profondo il respiro, perchè vorremmo quasi ingran-
dirci di dentro , come ci sentiamo raddoppiati di
fuori; e il nostro Io si confonde, si sprofonda con
un'altra coscienza, quasi due parti di un'anima
sola, che separate dalla violenza, incontratesi nello
spazio, ritornano ad essere una cosa sola. In quei
momenti beati ogni confine ben definito della co-
Jàcienza si ofiftisca e si sperde : ci pare di essere
due, perchè godiamo sentimenti, bellezze, splendori
^el vero o del buono in due; ci par di essere uno,
perchè sentiamo vibrare due coscienze in unaco-
43cienza sola; perchè le due anime si son abbrao-
-ciate e strette e confuse in un'anima sola.
[
ESTASI dell' A^knCIZIA 135
* *
Sante e care e dolci ebbrezze dell'amicizia, che
si elevano per la loro purezza nelle sfere più alte
dei sentimenti umani. Se sono men calde di quelle
dell'amore, sono però più durevoli e serene; se vi
è meno volutt:\, vi è più pensiero; se vi è meno
fuoco, vi è più luce.
Ma perchè questi sterili e vani confronti? Per-
chè sagrificare anche noi a quel maledetto gallo
d' Esculapio, che costringe sempre V uomo a con-
frontare le cose che studia e de^scrive ? Forse che
si potrA> risolvere il problema ^ la rosa sia più
bella del giglio, lo zafiBro più splendi<lo del dia-
mante, il cavallo più bello del leone? Lasciamo
ogni bellezza al suo posto e non tormentiamo le
creature del nostro pianeta, facendole passare
sotto le forche caudine delle nostre gerarchie. La
natura feconda e generosa non ha mai scrìtto dei
numeri sulle proprie creature: nessuna prima, nes-
suna ultima, e il muschio microscopico che nasce
e fiorisce fra le fessure del tronco d' una palma
superba, è bello quanto l'albero maestoso che le
offre l'ospitalità; e la stretta di mano dell'amici-
136 CAPITOLO V
zia è cara quanto lo stringersi insieme delle lab-
bra innamorate.
Le estasi dell'amicizia sono di varie forme, ma
quasi tutte possono ridursi a queste due: estasi
di simpatm e estasi di conforto.
Delle prime ho parlato fin qui, riducendole ad
un'espressione sola. Le altre sono più facili e più.
comuni. Esse non sono che estasi di carità rese
più intense, più calde, più poetiche, perchè il sen-
timento che le ispira è di più alta natura. Nella
carità facciamo il bene agli altri, solo perchè uo-
mini; all'amico diamo tutto noi stessi, per lui fac-
ciamo i maggiori sagrifizii, perchè uomo e perchè
amico.
Dall'elemosina che ci umilia e può anche avvi-
lirci, incomincia una scala ascendente e che ha
mille gradini e pei quali si sale alle forme più
squisite della beneficenza.
Sulla più alta cima sta sempre 1' amicizia , che
conforta e aiuta e soccorre senza umiliare e porge
il dono con tale delicatezza, che mal sapresti dire,
se sia più prezioso il dono o più caro il modo con
cui ti vien presentato.
ESTASI dell'amicizia 137
Impiccolire il sagrifizio fino a nasconderlo af-
fatto, mostrare che chi dà è invece colui che ri-
ceve, ohe il donatore rimane debitore ; nascondere
nella gioia di dare l'orgoglio di dare e soffocare
fin dal suo nascere l' involontario rossore di chi
riceve , sono altrettanti miracoli che V amicizia
compie colla massima agilità , colla maggiore na-
turalezza di questo mondo.
Indovinare il dolore anche senza il pianto, pre-
sentire l'imbarazzo quando nessuno lo sospetta,
prevedere la sventura prima che arrivi, il pericolo
prima che l'allarme sia dato, non attender mai che
la mano si stenda a voi, ma stendere la vostra e
nella stretta di mano nascondere il benefizio, sono
le prime lettere dell' alfabeto dell' amicizia ; son
problemi elementari che il cuore risolve di primo
acchito e senza bisogno di studiare la matematica.
Davvero che in questi ca^i è diflBcile dire chi
più goda dei due, chi primo arrivi al rapimento
del benefizio fatto o della riconoscenza caldissima.
L'uno ha preveduto , ha presentito , ha indovi-
nato. L' amico soffre ed io posso far tacere quel
dolore. L' amico ha bisogno di soccorso , di con-
forto, ed io sarò quei fortunato che potrò soccor-
rere e confortare. Il cuore batte forte forte in
petto , le mani tremano per 1' emozione e un sor-
riso involontario e angelico corre sul nostro volto.
138 CAPITOLO V
Tutti gli artificii più astati sono da noi adoperati
per far sembrar facile ciò che è difficile, naturale
ciò che forse è per noi un doloroso sagrìflzio. Nes-
suna astuzia è più raffinata, nessuna ipocrisia più
opaca, nessuna fantasia più immaginosa di quella
che adopera l'amico per occultare il benefizio, per
giungere in tempo; per abbellire la carità collo
splendore della sorpresa. Il dono dell'amico è un
fiore bello e profumato che ci presenta la mano
di un bambino, innocente e giulivo come la bontà
sempre aperta dell'uomo generoso, rìdente come
tutte le primavere della vita e della natura.
E chi riceve ed è costretto a non vergognarsi
di ricevere e chi indovina tutte le sante astruserie
e i fini accorgimenti che accompagnano V opera
del conforto e chi misura tutta 1' altezza dell' a-
nima che corre soccorrevole a noi, rimane confuso
e commosso e dallo strazio della disperazione è
portato di volo alla beatitudine più sicura e più
alta. L'amico ci ha indovinato e l'amico risponde
con un'onda di riconoscenza; il sorriso di chi fa
il bene è nobile come il sorriso di chi lo riceve,
e due estasi si confondono in un'estasi sola.
Chi più felice dei due? Nessuno. — Chi più
grande? Nessuno. — Quale il debitore, quale il
creditore? Nessuno dei due; o entrambi creditori,
entrambi debitori.
ESTASI DELL' AMICIZIA 139
Chi più bello del sole che illumina o della terra
che è baciata dal sole! Chi più bello del cielo
che si specchia nel mare o del mare che si fa
azzurro al sorriso del cielo? Chi più dà e più ri-
ceve della gloria dei grandi o del riflesso d' ami-
cizia che le turbe innalzate dal genio rimandano
al sole del pensiero? — Beata ignoranza codesta,
di non poter distinguere due bellezze che si fon-
dono in una bellezza sola ; due gioie che si unifi-
cano ìa una voluttà sola; due grandezze che si
sperdono e si consumano in una sola immensità.
Non malediciamo la vita, se questa ci lascia lo
spazio e il tempo per essere uno di questi amici
o per assistere ad una di queste scene del mondo
morale. Quante bassezze, quante viltà, quanto fango
si devono trovare nei sentieri pedestri della vita
por dimenticare uno di quei quadri, quante tene-
bre ci vorranno per cancellare tanta luce, quanto
male per far dimenticare tanto bene! Nessun fiume,
per fangoso che sia, ha potuto togliere all'oceano
le sue trasparenze; nessun sofiQo di uomo ha po-
tuto spegnere il sole, nessun gelo Tha mai potuto
raffreddare !
140 CAPITOLO V
* *
L'affetto ohe ravvicina i nati tVuno stesso padre
e d'una stessa madre, esiste abbozzato anche negli
animali. Gli uccellini allevati in uno stesso nido,
spesso anche quando Thanno abbandonato, vivono
assieme e si amano: spesso anche le scimmie ed
altri mammiferi sentono di essere fréitelli, ma que-
ste fratellanze son pallide e di piccola durata. I
colpi di fucile del cacciatore crudele , i lunghi
viaggi, i nuovi amori, spezzano ben presto i vin-
coli di fratellanza, e dopo pochi giorni, o poche
settimane, o pochi mesi, secondo i casi; ogni ri-
conoscimento di uno stesso sangue si dilegua e
scompare. I fratelli possono intrecciare un nuovo
nido, un incestuoso amore, o possono farsi la più
spietata guerra.
Anche fra gli uomini l'amore fraterno è spesso
pallido e non presenta che deboli energie; i molti
cuculi deposti nel nido d'una famiglia, le antipatie
e le dissonanze dei caratteri troppo frequenti ad
onta della comune genealogia , le lotte d'interesse
opposto , le lunghe e necessarie assenze imposte
dalle vicende della vita, sono altrettante cause
l'amoe fraterno 141
che possono rallentare o rompere le catene fra-
terne. Fra fratello e fratello, fra sorella e sorella
si aggiunge poi la ruggine delle gare di vanità e
di emulazione, e questa ruggine corrode più ohe
la lima di forti passioni. Per tutte queste ragioni
i forti amori fraterni son rari, rarissime le estasi
affettive.
Oserei però dire che, meno rare eccezioni, Ta-
more fraterno non ci mostra scene commoventi e
sublimi , che quando è rafforzato dalla simpatia
dei sessi opposti. Earo V affetto intenso fra due
fratelli, forse più raro ancora quello fra due so-
relle ; più comune invece il sentimento che lega il
fratello alla sorella.
Quando fratello e sorella si amano davvero, si
amano molto , il sentimento che li unisce è un'a-
micizia resa ancor più calda dalla comunanza del
sangue e può giungere a tanta forza e a tanta
idealità da avvicinarsi assai all' amore platonico.
Son due creature che non possono amarsi d'amore,
perchè troppo rassomiglianti , perchè esciti dalle
stesse viscere , perchè hanno ricevuto il primo
bacio dalle stesse labbra, perchè hanno succhiato
dallo stesso seno quel secondo sangue che è un
secondo vincolo di parentela. E poi son cresciuti
insieme, hanno respirato i)er tanti anni l'aria dello
stesso nido, hanno dormito tra le pareti della
142 CAPITOLO V
Stessa casa, hanno pregato sotto la vòlta della
stessa chiesa, hanno pianto le tante volte insieme ;
hanno diviso i terrori infantili, si sono inebbriati
insieme nelle feste dell' infanzia e insieme hanno
subito le procelle dell'adolescenza e della prima
giovinezza. Come e perchè non si amerebbero
quelle due creature, che vedono a vicenda rispec-
chiata tanta parte di sé stesso nel cuore e nel
pensiero dell'altra? La comunanza delle memorie
è parentela del cuori e ad essa basta un cenno,
un sorriso, una parola per rifare quei viaggi poe-
tici e affascinanti nel tempo che fu. Quei due
forse hanno già passata più che mezza la vita
insieme, fors'anche hanno insieme composto nella
fossa il loro babbo e la loro mamma, e in un certo
giorno dell'anno, anche lontani e senz'essersi chia-
mati, si trovano insieme sopra una stessa tomba.
E come e perchè quelle due creature non si ame-
rebbero; non si amerebbero molto; non si amereb-
bero sempre?
La nostra sorella slam noi stessi incarnati in un
sesso diverso e quando in essa noi vediamo ripro-
dotti i nostri lineamenti, rifatti gli stessi gesti,
riprodotti gli stessi gusti, le stesse antipatie; sor-
ridiamo di compiacenza, esclamando: s'io fossi una
donna, sarei lei!
E la nostra sorella non solo ci rassomiglia nel
PBATBLLO E SORELLA 143
volto, nei gesti, ma desidera le stesse cose, sor-
ride degli stessi scherzi, ha come noi qnelle stesse
debolezze, delle quali dobbiamo spesso arrossire.
E si ride insieme, e si arrossisce insieme, dicen-
doci nell'orecchio : Anche tuf — 8Ì anch^io !
E la nostra sorellina (che sorellina è sempre ogni
sorella, quando è molto amata), e la nostra sorel-
lina rassomiglia tanto alla nostra mamma, che la
si direbbe la mamma ringiovanita. Essa ha per
noi tenerezze materne, indulgenze materne; essa
ci può abbracciare e baciare, benché essa sia una
donna. Quanto è indulgente e buona! — Con lei
possiamo sfogare le nostre bizze, confessare i no-
stri rancori; con lei possiamo dividere tutte le
amarezze dell' orgoglio offeso , dell' ambizione de-
lusa , delle speranze svanite. Essa non e' invidia^
ma ci ama; essa non riderà di noi, né ci vorr.Y
consolare colF accusarci fattori della nostra sven-
tura. Essa è donna e con noi quasi madre; nes-
suna osservazione, nessun rimprovero prima di
averci medicati e guariti. Nessuna domanda im-
portuna o impertinente prima di averci fasciata
la ferita. Possiamo essere più vecchi di lei; essa
ci tratterà sempre come bambini, sarà capace per-
fino di prenderci fra le sue braccia e di farci la
ninna nanna.
E la sorella si getta fra le braccia del fratello.
144 CAPITOLO V
come non può fare colle braccia di nessun altro
uomo. Del marito ha suggezione, del padre ha
rispetto; davanti al figlio vuol essere infallibile.
Il fratello invece non è né marito, né padre, né
figlio, ma un po' di tutto questo. Egli è un uomo
e la sorella può appoggiarsi a lui come alla forza
che protegge e difende; egli é un uomo, ma non
sarà mai un giudice severo, perchè anch' egli prima
di gridare al peccatore, vorrà guarire il peccato
e risanare la ferita. La sorella è sicura che il
fratello di lei avrebbe peccato come lei, s'egli si
fosse trovato nelle stesse circostanze ed essa è
sicura di trovare una grande indulgenza, una mi-
sericordia grande come quella del Cristo.
*
* *
Ma non occorre peccare per rifugiarsi fra le
braccia fraterne del figlio della nostra mamma.
Il fratello ha piti ingegno di noi, più di noi ha
studiato e vissuto. Egli ci darà la luce per cam-
minare nelle tenebre della vita, egli ci darà un
braccio poderoso per appoggiarsi, egli sarà la no-
stra bussola nel gran mare delle umane dubbiezze.
^' E che faresti tu In questo caso f Come esciresii tu
AMOS FRATERNO 145
da questo labirinto f Dimmi se io ho fatto benet
Dimmi 86 vi è ancora un rimedio a tanto male f „
E le domande si succedono le une alle altre, senza
attender risposta e le risposte diventan altrettante
domande; ed è un affollarsi confuso e prorompente
di parole, di sorrisi, di lagrime : e sono abbracci
che interrompono domande e risposte e sono baci
che valgono più d'un volume di ragionamenti e
son singhiozzi che taciono alla soavità d' una ca-
rezza e son carezze che vogliono esser rimproveri
e rimangono invece carezze dolcissime e sono due
anime di uomo e di donna, che possono vedersi
nudi l'un l'altro senza arrossire, perchè non hanno
sesso e sono come Adamo ed Eva prima che
avessero bisogno di coprirsi delle foglie dell' al-
bero mistico dell'Eden.
*
* *
In questi casi e in altri consimili la commozione
può giungere fino al rapimento, e l'estasi si af-
ferma con tutti i suoi caratteri di isolamento dal
mondo esterno e di concentrazione di tutte le forze
del sentimento e del pensiero in un punto solo
del mondo psicologico. Beati coloro che 1' hanno
Estasi limane, 10
~r^^
146 CAPITOLO V
provata, fosse poi gioia che prendeva il posto
d'un grande dolore o gioia che si faceva cento
volte maggiore, perchè si moltiplicava colla igioia
d' nn' anima sorella.
L'amore fraterno è un sentimento di lusso, tanto
è vero che è appena abbozzato e fuggevole negli
animali e così pure è debole nelle razze e nelle
nature inferiori. I sentimenti di lusso sono i più
indistinti, quelli che hanno frontiere meno sicure,
per modo che si confondono facilmente con altri
affetti di analoga natura. L' amore fraterno (l'ab-
biamo già veduto) confina coir iimore platonico e
coli' amicizia, e tanto è vero che spesso udiamo
escire dalle labbra commosse di due amici, che
non pensan punto a far della psicologia, questi
gridi dell'anima:
Io il amo più che un fratello — Tu mi sei più
fraUllo che amico — La nostra amicizia è una vera
fratellanza delle anime — Noi non siamo amici ma
frnt4ilU !
E d' altra parte non di raro due fratelli escla-
mano alla lor volta :
Ma il nostro affetto è una santa amicizia — Ma
anche senza i lincoli del sangue noi saremmo due
amici.
ESTASI dell'amicizia 147
*
* *
Se mi fosse permesso tentare di distinguere il
caratt-ere proprio delle estasi dell'amicizia e quello
dei rapimenti dell'affetto fraterno, direi che nel
primo caso vi è una grande fratellanza nell'urna-
nità che ci eleva al disopra del volgo e che nel
secondo la voce del sangue ci tiene più vicini al
nido e quindi piti caldi, più commossi, più inte-
neriti. Nei rapimenti dell' amicizia vi è più pen-
siero, in quelli dell'affetto fraterno vi è più vi-
scere. Nei primi la differenza di sesso turba l'estasi
o la porta in altre regioni, nei secondi invece questa
differenza è quasi sempre necessaria e contribuisce
assai ad accendere i cuori, ad affinare, a intene-
rire, a commuovere gli animi che salgono insieme^
in quest'Olimpo del sentimento.
*
41 *
Descrivere tutte le possibili estasi umane s.i-^
rebbe dar fondo all'universo psicologico e nessuna
forza d'uomo vi basterebbe. Io mi accontenter(>
148 CAPITOLO V
(li accennare ad alcuni rapimenti dell'affetto fra-
temo: altrettanti quadri presi dal vero e che po-
trebbero ispirare il poeta, il pittore, lo scultore.
* *
Due fratelli vivono in paesi lontani Uun dal-
l'altro e vengono a conoscere per via indiretta,
che il babbo si trova in grave imbarazzo di afifari
commerciali. Accorrono non chiamati, si incon-
trano sulla soglia della casa paterna. Si sorpren-
dono, si interrogano. Son venuti per la stessa
ragione chiamati dalla stessa voce interiore. Hanno
pensato la stessa cosa, lo stesso piano, gli stessi
progetti per salvare l'onore del padre. Lo possono
fare e lo faranno.
Esaltati, commossi, si gettan nelle braccia l'un
dell'altro e godono un soavissimo rapimento del-
l'anima.
Due fratelli che lavorano insieme, hanno pen-
sato uno stesso libro, senza scambiarsi una sola
parola. Venuti a comunicarsi a vicenda i loro
BAPrMENTI dell'amor FRATERNO 149
progetti, si trova che essi si incontrano e si com-
baciano. Lo stupore diventa ammirazione, Tammi-
razione contentezza, beatitudine. Essi si abbrac-
ciano, si inebbriano della gioia di aver fusi due
pensieri in un solo pensiero.
I fratelli De Goncourt devono aver provato più
volte quest'estasi deliziosa.
*
* *
Due sorelle hanno perduto runico fratello, ve-
dovo e padre di numerosa famiglia. Sul cadavere
del caro perduto suggellano un bacio in due, che
è conclusione d'un giuramento fatto in silenzio,
nello stesso momento. Esse non prenderanno ma-
rito, esse daranno tutto il loro tempo, il loro de-
naro ai nipotini che fanno loro figlinoli, che si
stringono al seno in uno slancio di carità generosa.
Quelle due anime beate di aver pensato in uno
stesso istante la stessa cosa si abbracciano, si
stringon forte forte cuore contro cuore; confon-
dono lagrime, singhiozzi, sorrisi e godono una
deUe estasii fraterne più complesse e più alte che
possa godere anima umana.
150 CAPITOLO V
4>
* *
Una donna è tradita, tradita nel santuario della
famiglia, precipitando nella disperazione dall'alto
d'ana felicità senza nubi. Tutto si oscura, V aria
divien gelo, la terra spine, il cielo un'uragano.
Essa ha un fratello, le scrive una parola sola:
Vieni e mi salva !
Ma il fratello ha saputo la sventura piombata
sul capo della sorella, prima ancora che la let-
tera fosse scritta. Suona un campanello, si apre
un uscio, vi si precipita un uomo. La sorella lo
guarda, non sa piangere e non può ridere. Gli
porge la lettera ancora umida dall' inchiostro ed
egli legge quelle quattro parole e neppur lui può
ridere o piangere o parlare.
Perchè quei due fortunati non cadrebbero in
estasi in quel momento?
RAPIMENTI dell'amor FRATERNO 151
Due naufraghi iV una fiera procella della vita
8on rimasti soli nel mondo. La donna in un mese
ha perduto tutti i figliuoli uccisi dalla difterite,
ruomo era solo ed è divenuto cieco. Quei due
non hanno più né padre, né madre, né zii, né
cugini, ma essi son fratello e sorella. Questi hanno
attraversato continenti e mari e si sono abbrac-
ciati per non separarsi più mai. Perché non ca-
drebbero essi in estasi?
Capitolo VL
LiB ESTASI DELL' AMOR MATERNO.
Le estasi dell'amor materno. — I rapimenti della coutempla-
zione. — L'uomo bambino dinanzi agli occhi di tutti e a<,di
occhi dell» madre. — L'orgoglio materno. — Il sagrifizio. —
I rapimenti dell'amore paterno. — II padre e la figliuola.
La donna è sempre madre : madre anche quando
è vergine. Ogni cosa, ogni creatura che la donna
ama, è per lei anche un figlio. La bambola nel-
l'infanzia, il fratello nell'adolescenza, l'amante
nella primavera della vita, son sempre figliuoli
della donna. Li nessuna parola la donna versa
tanto fuoco di passione, tanta tenerezza di viscere
quanto in quelle di mio figlio, di bambino mio, di
mia creatura. — Uomini che temete di non essere
piti amati, aprite gli occhi quando queste dolci
parole non corrono più alle labbra della donna che
amate.
La donna è imbevuta di maternità e ne porta
il sacro stampo in tutto il suo organismo, dai ca-
pelli del capo alle unghie dei piedi; lo porta nel
seno e nei fianchi, nell'andatura e nel sorriso; in
tutte le sue debolezze e in tutte le sue forze.
156 CAPITOLO VI
Quando essa abbraccia con arcano trasporto la
propria bambola e la stringe al petto e pudica-
mente audace le porge un seno che ha di là a
venire, essa sente già nelle viscere profonde pal-
pitare il cuore della madre, e quando, con sudata
fatica, alza da terra un bambino quasi grande
come lei e fa la mammina, essa si sente felice,
perchè presente la futura maternità.
La donna che non ha figli può esser madre nel
cuore e nel pensiero, anzi lo è sempre. Essa ama
i figli degli altri, ama gli infelici, ama i deboli,
gli orfani, i derelitti; ama sempre qualcuno che
possa chiamar creatura. La donna senza materniti
fisica o psichica, può essere femmina, può essere
uomo; ma non è donna.
La donna madre è la donna completa: la donna
giovane, bella, ricca, invidiata da tutte le donne
e desiderata da tutti gli uomini, regina del mondo
e dei cuori, non è ne può essere felice se in lei
non palpita la materni tiì. Essa potrà essere un
fiore, ma non sarà mai un frutto; strumento di
voluttà o operaia nella grande oflScina sociale ;
poeta o artista, santa o filosofo; non mai donna
completa, donna perfetta, donna che compie la
prima e la più grande missione che la natura le
ha affidato.
La donna che non è madre è l'eunuco del prò
LA 3IADEE 157
prio sesso e T intricato meccanismo della nostra
società civile fabbrica pur troppo ogni giorno e a
mille di queste mutilate. Fora' anche un giorno
la legge inesorabile di Malthus farA una casta
speciale di esseri neutri, nei quali verrà meno la
maternitìl, come lo vediamo nelle formiche e in
molti altri insetti. Finché però questa orrenda
creazione psicologica non si compia, la donna ma-
dre è l'unica donna completa.
* *
La maternità è passione ed è missione: è amore
ed è sagriflzio: è tensione di pensiero ed è olo-
causto di affetti; è pane ed è vino; è viscere e
pensiero ; è tutto l'uomo che sagriflca sé stesso a
creature che vivranno dopo di noi; è il presente
che genera il futuro.
Vi sono certi fiori, che dell'inviluppo dei propri
petali fanno la buccia al frutto, e fiore e frutto in
una volta sola fanno della propria casa nido e
casa alla propria creatura. Tale è la madre del-
l'uomo; fiore per la fragranza e la bellezza della
corolla; frutto per il succo saporoso e nutriente
che por^e al figlio. L'immagine, per quanto teme-
158 CAPITOLO VI
raria possa sembrare all'ocohio superfioiale del-
Tosservatore, è invece rappresentazione del vero,
è espressione più scientifica che poetica.
t'inchè il cuoricino deUa nuova creatura batte
nel profondo delle viscere materne, il figlio è
membro vivo della madre, è carne della carne di
lei, è sangue del suo sangue; ma anche quando
il frutto si è staccato dal ramo che l'ha nutrito,
non cessa per questo di esser membro delle mem-
bra materne. L'ovario più non l'abbraccia, ma lo
stringono ancora le braccia innamorate, lo riscal-
dano i baci e le carezze; e quel secondo sangue,
che è il latte, lo alimenta ancora, lo alimenta
sempre coi succhi materni. E disseccata anche
questa fonte, vi ha un ovario invisibile non più
fatto di carne, ma di affetti e di pensieri che lo
circonda, lo abbraccia e lo riscalda. Feto o bam-
bino, fanciullo o giovinetto, uomo o vecchio, il
figlio dell'uomo porta sempre sulla pelle, nel cuore,
nel pensiero lembi di quel velo materno, che per
nove mesi lo ha custodito e alimentato. Finché
vive la nostra mq^mma, vene e nervi invisibili ci
tengono congiunti strettamente alla placenta di
lei, e non v' ha palpito del nostro cuore che non
faccia battere il suo cuore ; non v'ha dolore del-
l' anima nostra che non si ripercuota nell' anima
di lei.
L'AMOR MATERNO 151^
E gli aomini nascono e muoiono, e le genera-
zioni snocedono alle generazioni, ma sopra ogni
figlio di donna si serba indistruttibile nn lembo
del velo materno, ohe la prima Eva lasciò snl
corpo del primo figlio di Adamo, e in quel sotti-
lissimo velo invisibile agli occhi del volgo è tes-
suta quella tenerezza che non manca neppure al
più feroce galeotto, all'ultimo paria dell'umana
famiglia. Solo un uomo, che non fosse nato da
una donna, potrebbe essere intieramente e sempre
cattivo, crudele, bestiale.
L'amore materno x>o3Siede tutte le forze, tutte
le tenerezze, tutte le idealità del sentimento. Ha
i ruggiti e gli artigli del leone per difendere la
propria creatura e ha le molli tenerezze dell'amore
felice; ha le diffidenze della debolezza e le ipo-
crisie feline, ha tutti gli eroismi del soldato e
tutti gli accorgimenti del diplomatico; ha le ge-
losie della passione più esigente e i sagrifizii
del martire; ha i misticismi della religione e tutte
le poesie del cuore. Chi osa affermare che alla
donna la natura ha assegnato la parte del dise-
IGO CAPITOLO VI
redato, non ha letto neppure la prima pagina nella
storia del sentimento. La maternità è tale un
abisso di voluttà, è tale un ministero di sublimi
travagli, è tale una missione di creazione da te-
nere il luogo di tutti quegli altri lavori virili, che
si chiamano politica, industria, commercio, scienza,
arte, ecc., ecc.
Tutti i codici del mondo hanno insegnato al-
l'uomo ad amare i genitori, i fratelli, gli amici ;
hanno mostrato la via della giustizia e messi
gli indicatori su tutte le grandi vie maestre che
conducono alla felicità, alla gloria, alla scienza.
Nessun codice, né umano né divino, ha mai sentito
il bisogno di scrivere queste parole: O donna tu
amerai II tuo Jigliuoh !
* *
Un affetto così umano, così irresistìbile, così
potente deve aver le proprie estasi e ne ha molte
e svariate e d'ineffabile voluttà. I più sublimi
rapimenti dell'amor materno non furono mai scritti,
perchè le donne scrivono molto meno di noi, for-
s'anche perchè essi sono indescrivibili.
Sono estasi di ammirazione, di carità, di sagrifizio,
L'UOMO BAMBINO 161
dì gloria altrui riflessa nella nostra, sono apoteosi
iridescenti, nelle quali ogni fiore del cuore porta
il proprio colore e i proprii profumi; sono inni di
gaudio, osanna di felicità che si innalzano al cielo
dal petto della più felice delle creature della terra.
No : nessuno è più felice della madre felice, della
madre ohe palleggia colle mani irrequiete il bam-
binello nudo, roseo, rotondetto, che agita le mem-
bricciuola delicate sul morbido letto preparato a
lui dalla mamma. Nessuno più felice di lei, nep-
pure l'amante che possiede la donna amata.
*
L'uomo bambino risveglia tale un coro di tene-
rezze, fa scaturire dalle nostre viscere tanti tor-
renti di affettuosa ammirazione, che uomini e
donne e vecchi e fanciulli si sentono intenerire
tutti quanti davanti a quella creaturina impastata
di petali di rose e tutta illuminata di sorrisi. Ho
veduto famosi egoisti, più duri e più asciutti della
cartapecora, far carezze ai bambini; e chirurghi
celebri per la loro sapiente crudeltà intenerirsi e
sorridere, quando nel letto della clinica si trova-
vano dinanzi a un fanciuUetto.
Estasi umane. 11
162 CAPITOLO VI
E come non intenerirsi davanti all' uomo bam-
bino? Come non sentirsi disoiogliere tutti i ran-
cori, disperdersi tutte le ostruzioni del fegato
davanti a quella creatura, che sorride alla vita,
alla luce, agli occhi della mamma; ignorando ogni
cosa e avendo bisogno di tutti I La più grande
delle debolezze, l'ignoranza assoluta, chiuse in una
forma d' nomo colla spensieratezza assoluta ! Un
fiore che sbuccia inconscio e confidente sull'orlo
di un abisso o lungo una via percorsa da carri
e da pedoni!
Un uomo come noi, ma che non morde; un uomo
come noi, ma che non invidia, non odia, non oi
canzona. Un uomo come noi, ma che non si regge
in piedi, che un'ora di abbandono può uccidere,
che uno schiaffo potrebbe ammazzare. Quando la
compassione accompagna gli affetti, pare che una
gocciola di dolore, frammischiandosi alla gioia, la
renda più intensa e più tenera; come avviene di
un pizzico di sale che aggiunto allo zucchero in
certe paste, le rende ancor più dolci.
E poi alla contemplazione di quelle bellezze
umane, a quella tenerezza fatta d'amore e di com-
passione, s'aggiunge tutto il fascino del mistero.
Il bambino nel mondo umano è la a? delle x. Sarà
egli ancor vivo fra un anno? Fra cinque, fra dieci
anni non avrA. raggiunto quella legione di crea-
IL PIANTO E IL BISO 163
ture, che nascono per morire prima di aver rag-
giunto la fanciullezza, che sembrano nascere sol-
tanto per far piangere i loro genitori? E poi anche
vivendo che cosa sarà, che cosa diverrà quella
creaturina rosea, quando i peli ispidi del volto
avranno mutato i petali di rosa in cuoio di belva?
Che cosa sarà, quando il dolore e il vizio, le fe-
rite e le piaghe avranno scritto su quella pelle di
seta la loro storia vergognosa o crudele? Come
amerà, cosa penserà, che cosa far.\ quella a? umana?
Sarà dessa la benedizione della famiglia o il tor-
mento di tutti? Sarà un cretino o un uomo di
genio ; un santo o un malfattore ?
Quanto avvenire ignoto in quel corpicino tepido
e inerme! Quanto bene e quanto male, quante
gioie e quanti dolori, quanta gloria e quante viltà,
quanta storia sta forse nascosta in due palmi di
carne tenerella! E mentre noi stiamo affacciati a
quel problema umano, mentre ristiamo pensosi
davanti al futuro vicino e al futuro lontano, il
bambino sorride e sembra guardare e stupirsi
della nostra meditazione piena di soave malinconia.
Sorride e di che e perchè sorride?
Sorride, ma appena è venuto alla luce del mondo,
ha pianto e ogni giorno piange , perchè il dolore
sembra essere nell'uomo la lingua più universale.
La sua lingua non ha che due parole, il pianto e il
164 CAPITOLO VI
riso: primo e più spesso il pianto, secondo e più raro
il riso. Fatale mistero! — Con quelle due parole
qaell' ignorante sublime dice ogni cosa e quelle
due parole gli bastano. Ignorante e felice, benchò
più spesso pianga che non rida; felice perchè
ignora ancora il tormento dei perchè e dei come;
perchè ignora le torture dell'alfabeto e le vergogne
della politica ; perchè ignora il manicomio ed il
carcere , la casa in cui si vende V amore e il pa-
lazzo in cui si vende la coscienza; perchè non sa
che vi siano i capestri tessuti dal giudice e le
menzogne inventate dagli uomini per calunniare
gli Dei I
Povera creaturina dalle carni impastate di pe-
tali di rosa e illuminata di tutti i sorrisi del cielo!
Povero bambino che guardiamo con così tenera
compassione e che potrà essere Napoleone o Ce-
sare, Tito 0 Tiberio!
Io ho veduto il grande zoologo Burmeister, ohe
è anche artista, contemplare lungamente, quasi in
estasi, bambini e fanciulli bellissimi; e anch'io mi
son sorpreso più d'una volta in analoghe oontem-
MADONNA COL BAMBINO 165
plazioni. Questi però sono rapimenti estetici, nei
quali possono entrare come elementi secondarii
anche fenomeni del pensiero e dell'affetto.
Non è però che la madre, che può cadere in
estasi affettiva dinanzi al proprio bambino. E al-
lora voi avete sotto gli occhi vostri scene sublimi
di estetica morale, che alcuni grandi pittori sep-
pero rappresentare e fare immortali: primo fra
tutti il divino Rafaello , che nelle molte sue Ma-
donne col bambino, ha saputo portar così in alto
la bellezza femminile da renderla degna di ornare
la madre di un Dio, e in esse ha saputo trasfon-
dere tante estasi di contemplazioni arcane, da por-
tarci assai vicini all'estasi del sentimento materno.
Un critico psicologo (e tutti i critici non vol-
gari dovrebbero esserlo) potrebbe anche suUe sole
Madonne del Rafaello fare uno studio comparativo
della diversa misura del misticismo e dell'affetto
di madre eh' egli ha saputo incarnare nelle sue
divine creazioni. Ora è la donna che adora un
Dio bambino, e il misticismo predomina sulle vi-
scere; ora è invece la madre che avanza l'asceta;
ora due dei sentimenti più potenti che fanno vi-
brare l' anima umana , si associano e si danno la
mano; talché tu sapresti difficilmente dire, se mag-
giore sia r adorazione o 1' affetto ; se più alto si
libri il pensiero, o più calde palpitino le viscere.
166 CAPINOLO VI
*
* *
Se il bambino desta la simpatia di tatti, se con-
viene esser fatti di pietra o di fango per non ri-
spondere con un sorriso al sorriso di lui, è facile
immaginare gli ardori affettivi della madre che
contempla la sua creatura.
Dagli occhi di lei sembra che escano fasci di luce
calda che irradiano sul corpicino gentile e l'anima
della donna madre sembra passar tutta lungo quei
raggi nella sua creatura. In quel momento tutta
lei è un solo sorriso, tutta lei è una gioia sola e
Testasi è grande, è completa; estetica e affettiva in
una volta sola. Essa non è interrotta che dalle
mani smaniose, che vorrebbero, palleggiandolo,
convertirsi in una sola carezza; non è interrótta
ohe dai baci, che cadono come fitta gragnuola su
quella pelle rosea e vellutata. In quelle carezze
delle mani vi è tanta forza che sembrano quasi
percosse, e i baci sono così ardenti da scambiarsi
per morsi. L' ultima nota dell' amore si incontra
colla prima nota della ferocia, e l'angelo che adora
invidia i denti dell'antropofago che divora le carni
dell'uomo. Mai come in queste scene il mito che
ESTASI DELLA MAMMA 167
rappresenta ruomo fatto di fango e soffiato da un
Dio, ci si presenta in tutta la verità della sua
espressione.
La madre che cade in estasi davanti al suo
bambino nudo e sorridente, non lo bacia, ma lo
divora di baci ; non lo accarezza soltanto , ma lo
morde; e in quell'apocalisse di ammirazione e di
animalità, di viscere e di pensiero, assistiamo ad
uno dei tanti uragani del cuore, nei quali cielo e
terra si toccano e si confondono, quasi ritornas-
sero a quel caos, da cui dicesi che li separasse
un giorno una voce venuta dall'alto.
Dopo la convulsione la pausa della voluttà che
riposa. Quando il bambino dorme tranquillo e si-
curo all'ombra dello sguardo materno, l'estasi della
donna madre continua calma e tranquilla. Gli oc-
chi non lasciano per un solo momento quella con-
templazione e perfino il respiro di lei si accelera
involontariamente per accompagnare collo stesso
ritmo il respiro celere e breve della creatura di
lei. E quando egli sospira, dal petto della madre
esce inconscio un altro sospiro, e quando le labbra
si muovono a un inconscio sorriso, anche le labbra
della mamma sorridono dello stesso sorriso. H
volto della donna felice è così vicino alla testo-
lina di quel piccolo uomo felice, che i due fiati si
confondono in un solo tepore. Non son forse essi
168 CAPITOLO VI
due membra d*un corpo solo, non son forse U in-
treccio dei due momenti piìi belli della vita, il
presente e l'avvenire?
* *
Queste sono le estasi più comuni dell' affetto
materno e possono provarle la donna australiana
come 1' europea, V indiana e la negra. Ma di ben
altri e più alti rapimenti è capace il cuore ma-
temo, quel cuore che sembra sfidare tutte le leggi
della fisica e della matematica; dacché anche di-
viso fra molti figliuoli, sembra moltiplicarsi.
La madre di due , di tre , di diepi figliuoli di-
spensa a tutti egualmente il calore del suo cuore;
così come il sole, che ogni giorno illumina le crea-
ture di tutta la terra. La madre circondata da
tutta una famiglia, che dal bambino appeso al
seno sale fino al giovinetto e alla fanciulla, è uno
dei quadri più belli deirumanità. ; e pittori e poeti
ce lo hanno dipinto, senza mai raggiungere la gran-
dezza delhi natura.
L'occhio materno passa calmo e sereno dal barn-
bino neonato al bambino che ruzzola sul tappeto;
segue i giuochi della fanciulletta ; si riposa sul
CSTASI BELL'AMOB MATERNO 169
capo ricciuto del fanciullo; contempla la giovinetta
che già meditabonda mette fra punto e punto della
cucitura un pensiero o un sospiro. Tutte quelle
creature sono carne della sua carne, son sangue
del sangue di lei. Posano tutte sotto le grandi ali
dell'amore materno, son tutte strette nell'ambiente
caldo di un nido, che ella ha intrecciato; che ella
sola custodisce e difende.
Lo sguardo di quella donna, dopo aver salito per
quella soala umana dal bambino al giovinetto e
dopo esser più volte disceso dal giovinetto al bam-
bino, si fissa a mezz'aria; e le speranze e i timori
che posano l'ala su quelle teste adorate, vibrano
nella coscienza di lei con una indistinta emozione
di tenerezza, di trepidazione, di gioia. E chi mai
farìV l'analisi quantitativa dei sentimenti che oscil-
lano insieme, che si intrecciano, che si confondono
in quei momenti nel cuore di quella madre beata?
Ora l'estasi è estetica, ora è quasi unicamente
affettiva: ora è ammirazione e adorazione, ora è
sete di sagrìfizio, devozione intera di tutto sé stesso.
Oh come brillano al sole con tinte d'oro quelle
treccie nascenti della piccola Laura! — Così le
aveva mia madre!
E quel nasino di Piero come è impertinente e
grazioso ! I suoi capelli ricciutelli e fini hanno lo
stesso colore di quelli di Laura.
170 CAPITOLO VI
Quanta bellezza di bontìi in quel volto di Adele !
Come sarà felice chi l'avrà compagna della vita.
E quanto bella e divina è tutta la persona della
piccola Bice ! Chi mai ha avuto una figliuola più
beUa?
E poi ammirazioni, speranze, trepidazioni si con-
fondono in un sentimento solo, indistinto e inde-
finibile, che è la somma di tutti i palpiti, di tutte
le tenerezze, di tutti gli ardori dell'affetto ma-
terno. È Pestasi materna che sorge in tutta la
maestà della contemplazione di un' intera famiglia.
*
* *
Se il nostro dizionario fosse meno povero, meno
bugiardo, meno cretino, dovrebbe usare una parola
speciale per significare l'orgoglio materno, uno dei
sentimenti più alti, più nobili, più fecondi di bene
nelle battaglie della vita. Invece abbiamo una
stessa parola per esprimere due sentimenti così
diversi, così lontani tra di loro sulla scala della
moralità e nell'evoluzione degli affetti.
L'orgoglio materno è pieno di pudori e di santiC
astruserie, quanto l'orgoglio per noi è gonfio di
iJ OBGOQLTO MATERNO 171
goffaggini e irto di vanità e di sfacciataggini. La
madre giunge ad essere superba della propria
creatura attraverso una iniziazione di paure, di
reticenze, di sospetti. E poi, quando crede dav-
vero, créde in coscienza di essersi acquistata con
un lungo esame il diritto dell'orgoglio, lo nasconde
come un tesoro rubato, che la mano della giustizia
può da un momento all'altro sorprendere e confi-
scare.
Lo nasconde, ma non lo occulta; perchè tanta
gioia non trova un vaso grande abbastanza per
contenerlo e perchè la luce si chiude molto diffi-
cilmente.
Nessun orgoglio più pudico ed anche più silen-
zioso del materno. Lo si vede brillare sulla su-
perficie della cute come lontana vetta di monte,
che si illumina coi raggi di un sole che non si
vede, perchè si è aperta la strada in uno spacco
di nuvole. Gli occhi si aprono grandi grandi, il
sorrìso irradia dalle labbra e si diffonde per ogni
parte, e poi, e poi un bacio solo, un bacio prolun-
gato, caldo, ineffabile per dire tutto ciò che la
parola non può e non sa esprimere.
Quanta gioia e quanta estasi ! La bellezza mo-
rale o la gloria, la nobiltà dell'anima o lo splen-
dore dell'ingegno riflessi dallo specchio di una
madre, che guarda, ed ammira, che riguarda e
172 CAPITOLO VI
dice: quella bellezza, quella gloria, quell'ingegno
sono bellezza, gloria e ingegno del frutto delle
mie viscere! Quella donna che tutti amano e be-
nedicono, che passeggia nella vita fra l'ammira-
zione e l'invidia di tutti, è la mia figliuola. Quel-
l'uomo che le turbe acclamano e dinanzi a cui
anche i grandi si inchinano, è il figliuol mio. Kon
lo sapete? — Quel giovinetto che si è gettato
nel fiume per salvare una vittima è mio figlio. —
Quella giovinetta che chiamano un angelo è mia
figlia I...
Aspettando che i futuri dizionari abbiano una
parola nuova per esprimere l'orgoglio materno,
diciamo che in questo sentimento noi troviamo
ammirazione, tenerezza e sopratutto amore; mol-
tissimo amore.
Intanto poco ci importa che non esista la pa-
rola, dacché esiste la cosa. Molte e molte madri
provano questa suprema gioia di essere orgogliose
dei propri figli; esse raccolgono il più alto premio
del loro sagrificio, della loro devozione, vedendo
che la generazione che ad esse deve la vita prò-
HABTIBI DELL* APPETTO MATERNO 173
mette di seguire le tradizioni del bene. Premio
delle madri e loro blasone di nobiltà^ che le con-
sacra maestre dei cuori, così come sono natrici
della vita ; missione santa che continua sul banco
della scuola il filo non interrotto delle tenerezze
della culla.
4c
* *
Ogni estasi affettiva è capace di una forma al-
tissima e speciale, il rapimento che dà il sagri-
fizio. Si chiamarono e si chiamano martiri della
religione, della patria, della scienza, della carità
tutti coloro, che dopo aver portato all' altare di
nii sentimento i fiori e i frutti, vi portano tutto
sé stesso ; facendo olocausto delle ricchezze, della
vanità, dell' orgoglio e perfino della vita. La bel-
lissima e intraducibile parola francese di dévou-
meni trova nel nostro dizionario un vocabolo
troppo pallido e troppo freddo in devozione; e
questa devozione conduce per gradi di una lunga
scala al sagrifizio completo di tutto so stesso, che
è il martirio.
La storia raccoglie con gelosa premura i nomi
dei martiri della patria, della religione e della
174 CAPITOLO VI
scienza; ma i più modesti sentieri della vita, le
case più anguste nascondono a cento a cento i
martiri dell'affetto materno ; martiri ohe la storia
non registra, ma che danno nobiltà all'umana far
miglia, che seminano la virtù, la moralità, la poesia
nel terreno in cui nascono e crescono gli uomini.
* *
La mateniità è tutta e sempre un martirio e
che segna col sangue la via per cui la donna
cammina nelle vie della vita. Sangue al primo
bacio, sangue al primo e all' ultimo figlio, e poi
sempre quell'altro sangue più dolce che è il latte
del seno. La madre scrive col proprio sangue la
storia del più umano e del più generoso degli
affretti.
Questo è di tutte le madri, ma molte danno
tutto il loro sangue alle proprie creature, toglien-
dosi il pane di bocca, vivendo nella povertà per
dar agiatezza e scuola ai figliuoli. E danno il
sangue e il pane e il lavoro, danno il sudore della
giornata e il sonno delle notti, perchè altri ri-
posi e goda, in tutto simili all'anitra norvegiana,
che sotto un cielo di ghiaccio si strappa dal petto
MATERNITÀ È MARTIRIO 175
le mollissime piume per farne un nido oaldo ai
suoi piccini. Così le madri dell'uomo intrecciano
8i)esso coi loro dolori un nido caldo alle loro
creature, e dopo aver dato tutto il loro sangue,
tutta la loro vita, sembrano deplorare che altro
sangue non abbiano ancora, e una seconda vita
per dare ancora, per dare sempre, per sentire
passare da sé negli altri tutta un' onda calda e
feconda ; per non vivere che della vita altrui, per
non serbare a sé ohe la gioia degli altri.
L'amore paterno per cento e una ragioni è assai
più fiacco dell'amore materno e anche quando
raggiunge un grado di alta idealitìi e anche
quando è capace di forti energie, è sempre un'af-
fetto di secondo o terzo ordine.
Perchè l'aflTetto di padre possa salire in alto e
ardere di calda fiamma, conviene quasi sempre
ohe sia rafforzato dalla simpatia sessuale. Anche
la madre ama, in generale, più fortemente il figlio
che la figlia; ma il padre essendo maschio, è più
tirannico nei suoi affetti e generalmente meno
giusto, per cui più spesso è trascinato a preferire
176 CAPITOLO VI
la figlia. Questa è la regola; vediamo però ecce-
zioni bellissime, nelle quali la giustizia più giusta
governa gli affetti della famiglia e la mamma
adora la figlia e il babbo adora il figlio.
Tutto questo non avvilisce l'uomo né lo abbassa
ad una moralità poco giusta. Chi guardi soltanto
per un minuto alle diverse parti che hanno nella
riproduzione il padre e la madre, chi solo ricordi
la prepotenza invincibile delle simpatie sessuali,
intende e perdona la disuguaglianza istintiva nella
distribuzione dell'amore nel seno dell'umana fa-
miglia.
L'amore del padre per la propria figliuola può
essere così ardente da portarci fino all' estasi.
Vedere i propri lineamenti, i propri gesti, il pro-
prio carattere riprodotto nello specchio di una
gentile creatura, che è donna, che forse è anche
bella e buona; veder tradotta la propria natura
in una figlia di Eva, veder le proprie asprezze
arrotondate dalle grazie della femmina; la vio-
lenza virile divenuta entusiasmo, l'ostinazione di-
venuta fermezza, la forza trasformata in grazia; è
tale una compiacenza intima, profonda, che basta
a intenerirci, a commuoverci, a portarci nelle più
alte regioni dell'idealità.
E quella traduzione di un babbo in una figliuola
apre ampie le porte a un paradiso di delizie af-
IL PADBE E LA PIGLIA 177
fettlve. La nostra bimba ci ama oome noi amiamo
lei, e benché donna può sedere sulle nostre gi-
nocchia, gettarci le braccia al collo e baciarci
lungamente sidle labbra senza peccato. Essa vede
sé stessa tradotta in uno specchio che la rappre-
senta forte e severa; ma quella forza e quella se^
verità si piegano a un sorriso di lei e quell'uomo
in cui si appoggia confidente e sicura, quell'uomo
dinanzi a cui forse tanti si inchinano e a cui
tanti ubbidiscono, ubbidisce a lei; a lei piccina e
debole. Quell'uomo che sgrida, che condanna, che
esercita chi sa quante funzioni di autorità nelle
gerarchie della vita, non ha per lei che dei sor*
risi: egli fortissimo non è debole che per lei.
E noi vediamo tutta quella gioia, tutta quella
riconoscenza, tutta quella devozione riflesse nella
nostra immagine femminile, e siamo rapiti in un'e-
stasi delle più dolci e delle più belle.
Benedetti i padri che hanno una figliuola e
hanno la cara speranza che essa chiuderà loro gli
occhi nell'ora suprema del grande viaggio!
Estasi umane, 12
178 CAPITOLO VI
Estasi oomplesse di amore paterno e di senti-
mento del dovere possono aversi, quando la nostra
figliuola, ohe legge nei nostri ocohi i nostri dolori
o le nostre collere, riesce, indovinando, presen-
tendo , senza far motto , spesso con un sol bacio
o una sola carezza, a far sparire il dolore, a do-
mare d'un subito il nostro sdegno.
Più d'una volta una figliuola che adora il babbo,
diviene consigliera, educatrice di lui e col tesoro
degli affetti generosi e cogli accorgimenti sublimi
del cuore che ama, impedisce una catastrofe , al-
lontana il pericolo, previene forse la colpa; diviene
la provvidenza di tutta una famiglia. Quante di
queste azioni eroiche rimangono celate fra le pa-
reti domestiche, quanti di questi tesori di affetto
passano dall'uno all'altro cuore, senza che mano
alcuna di cassiere li registri o inno di poeta li
esalti I
Un sorriso dato, un sorriso ricevuto; una stretta
di mano che fa passare da un cuore all'altro tutta
un'onda di soavissima voluttà; e tutto è finito.
Una figlia e un padre scrivono in pochi istanti tutto
un poema, che nessun poeta potrà mai scrivere.
>•
IL FADBE E LA FIGLIA 179
Kon è vero però che tutto finisca, perchè fino
a che quei due cuori batteranno, il ricordo d'aver
dato tanto e tanto ricevuto, li terrà stretti in-
sieme, facendoli palpitare collo stesso ritmo. Un
impercettibile sorriso, una parola bastano a ride-
stare la soavissima memoria, che lega quelle due
creature con una nuova e più salda parentela.
Il padre aveva dato la vita alla figliuola, l'aveva
tirata sa bambinetta, fanciulla, donna, fra i baci
e le carezze; ma la figliuola in un momento solo
aveva restituito al padre con un accorgimento su-
blime tutto l'amore ricevuto da lui; in cambio
della vita aveva dato la felicità, fors' anche l'onore.
Scambio sublime di doni che si traduce in lacrime
più dolci del sorriso , in sorrisi più teneri delle
lagrime.
Capitolo VII.
liB ESTASI DELL'AMOR FIGLIALE.
La noatra mamma. — Tre statue e tre donne. — L'ammi-
Tazione. — Nostro padre. — La figlia e i 8U((i sagrìfizii su-
blimi. — L'uomo vecchio. — Culto per la i^chiaia.
Capitolo VII.
IiB ESTASI DELL'AMOR FIGLIALE.
La nostra mamma. — Tre statue e tre domie. — L'ammi-
razione. — Nostro padre. — La figlia e i suoi sagrifizii su-
blimi. — L'uomo vecchio. — Culto per la vecchiaia.
Negli animali il figlio ama la madre e il padre
finché ne riceve alimento e protezione; poi, com-
piuta la missione nutritiva, ogni legame si spezza
e la famiglia è disciolta. Nell'uomo la riconoscenza,
la forza delle consuetudini , V analogia dei gusti,
l'ambiente comune creano una nuova energia, l'a-
mor figliale.
Anche nell'uomo, però senza calunniarci, dob-
biamo confessare che questo sentimento è di lusso,
mentre l'afietto materno è di necessità ; e un abisso
separa queste due energie, che zampillano da due
sorgenti ben diverse. Anche il figlio più tenero e
più affettuoso non ricambia ai genitori suoi, e so-
prattutto alla madre, l'uno per cento di quanto ha
ricevuto. Le leggi inesorabili della natura, i pro-
verbii di tutte le nazioni, la storia di tutti i tempi,
l'osservazione quotidiana proclamano questa dura
verità. La corrente fatale spinge la vita sempre
184 CAPITOLO VII
felPavanti, e i poveri molinelli dell'acqua che rigira
Bopra sé stessa e le fiacche controcorrenti della
Sponda passano inavvertiti di mezzo al fatale an-
dane del fiume che scende; che scende eternamente
al mare. L'amore materno è l'onda del fiume, che
(cammina irresistibile non arrestata da sabbie, da
pietre, da foreste, da rupi. L'amor figliale è l'on-
detta piccina, che si volge all'indietro un istante
per baciar l'onda che l'ha generata.
Se agli affetti di lusso manca lo scheletro ro-
busto dei sentimenti necessarii, essi ci presen-
tano però tutte le delicate e squisite leggiadrie
degli ornati, tutte le care bellezze della cesella^
tura e delie mezze tinte. Negli uomini poi di alta
levatura afftettiva, essi possono presentare ardori
infiniti, energie sublimi. Parecchi figli possono a
testa alta sperare di aver amato e di amare il
babbo e la mamma, quanto umanamente si possa;
e tanto è vero che anche l'amor figliale è capace
di estasi altissime. Alte, ma rare; perchè l'amor
di madre è il presente che genera il futuro, l'a^
mbr di figlio è il presente che guarda indietro il
passato. Il figlio prediletto deUa natura, ohe ai
nostri occhi forse miopi appare tanto ingiusta, è
l'avvenire, il figlio reietto è il passato. Il presente
è il figlio di strapazzo ohe fa il servizio della vita
quotidiana.
AMÒB FI0LIAÌJS 186
* *
La manmia è l'anica donna per cui non si può
essere infedeli, è l'anica religione che non ha
eretici o miscredenti , è V unica creatara che si
ama sempre per tutta la vita dello stesso amore.
La madre non può aver rivali, non si può discu-
tere, non si può abbassare collo sprezzo, non si
può vituperare colla calunnia. Essa è intangibile,
indivisibile; una e sola come il Dio dei monoteisti.
Essa è come il mare; si sa che l'amor suo ha dei
confini, ma nessuno li può abbracciare collo sguardo,
uè tanto meno percorrerli : si sa che ha un fondo,
ma dove arrivi , si ignora ancora. Ha procelle e
scogli, collere e correnti; ma passata la procella,
superato lo scoglio, ci sorride sempre, ci richiama
sempre fra le sue braccia col fascino di tutto ciò
ohe è grande, che è etemo; che nessuno ha mai
potuto né disseccare, né insudiciare.
Se il mito religioso ha fatto del Cristo un Dio
Bceso in terra, e perchè la madre non sarà la
Provvidenza venuta tra noi in forma di donna?
Noi siamo un membro vivo di lei, e quando essa
è morta, un membro superstite del cadavere di
186 CAPITOLO VH
lei. Per nove mesi abbiam vissuto nel più profondo
delle sue viscere, ci siamo nutriti dello stesso san-
gue, abbiamo con lei trepidato , con lei attraver-
sato i pericoli del giorno e dormito insieme le ore
della notte. La mamma è la creatura che ci ha
baciati per la prima, quando abbiamo per la prima
volta aperti gli occhi alla luce : le nostre labbra
hanno restituito a lei il primo bacio. Le prime
mani che ci hanno accarezzato sono le sue; il
primo alimento che ci ha fatto vivere la seconda
vita, fu distillato dalle vene di lei, ci fu dato in
quella coppa divina, che è il àSeno della donna.
Le prime nostre lagrime sono state disseccate
e bevute dalla bocca di lei, e il primo nostro sor-
riso ha risposto a un suo sorriso. I primi passi
passeggiati sulla terra fiiron mossi da noi sotto
l'egida delle sue braccia e la x)rima caduta fu nel
grembo di lei. La prima parola parlata fu detta
per lei e le nostre labbra anche non insegnate
pronunziarono il nome di lei. Il primo pensiero
pensato dal nostro cervello nascente fu a lei ri-
volto e fu un grazie. Tutte le verginità della vita,
del sentimento e del pensiero furono colte dalle
sue labbra , che ci divoravano coi baci , che ci
iuebbriavano del suo fiato caldo e profumato. Tutti
i i>rincii)ii delle cose sono per noi incominciati per
lei e con lei, e la prima memoria si rannoda a lei,
LA BfAMMA 187
alla culla vegliata da lei o alle prime passeggiate
fatte con lei. Il nostro Io nacque colla mamma, la
prima gioia della vita fu goduta con lei, la prima
lagrima pianta con lei. Prima di vedere coi nostri
occhi, prima di udire colle nostre orecchie, prima
di toccare colle nostre mani, noi abbiamo veduto
cogli occhi della mamma, udito colle orecchie di
lei, toccato colle mani di lei ; con quelle mani così
dólci, così soavi, così carezzevoli. Gli uragani della
pioggia e le onde del mare laveranno cento e mille
volte la nostra pelle, ma Timpronta delle carezze
materne non si cancellerà mai , né le labbra di
cento donne innamorate toglieranno alle nostre
quei baci senza gelosia che essa ci ha dato per
la prima e per tanti anni ci ha ridati, senza che
si intiepidissero mai, senza che mai si stancassero.
Essa fu la prima , essa rimarrà sempre la nostra
ultima amante.
Un amore cancella un altro amore, e ahimè, di
molti amori lontani noi non troviamo pii\ neppur
le ceneri nel fondo del nostro cuore. Dei baci della
mamma , delle carezze della mamma , nessuno si
perde o si cancella. Si sovrappongono e restano,
formando intorno a noi quasi un usbergo che ci
difende dal male. Essi ci fanno mia corazza impe-
netrabile alle punture dei cattivi , ai veleni dei
vili; ci riscaldano quando abbiam freddo, ci rin-
188 CAPITOLO vn
frescano quando abbiam sete. E quando la mamma
non può più baciarci perchè essa è sotterra, noi
visitando la tomba di lei vediamo la sua immagine,
ohe ci aleggia d'intorno e vuol baciarci ancora e
nei sogni sogniamo quei baci cosi teneri, così pro-
fondi, così appassionati; che nessun figlio e nes-
suna donna potrà ridarci mai, mai più su questa
terra. Beati quelli che possono sperare di riaverli
nel cielo. A noi basta ricordarli, rivederli, rias-
saporarli per tutti quegli anni che saranno vedovi
delle carezze di lei.
Fra i molti figli gloriosi che hanno a nascere
nei campi dell'avvenire, io vedo chiare e fulgenti
come se le avessi dinanzi agli occhi, nella casa dei
nostri lontani nipoti tre statue divine scolpite da
un Fidia non nato ancora. Esse rappresentano i
tre grandi Dei penati di ogni famiglia umana:
l'amore, l'amor materno e l'amor figliale.
Tre statue e tre donne, perchè la donna nei
campi d^amore è sempre la prima; e nessun pessi-
mista , nessun bestemmiatore del vero potrà mai
strapparle dal capo la corona di questo primato.
TBE 0BANDI AMORI 1B9
Tre statue e tre donne, tre statue e tre grandi
amori , dei quali nessuno primo , nessuno ultimo,
tutti irradiati di una divina bellezza, ma di una
bellezza molto diversa. IN'ell' amore d'uomo e di
donna il fuoco ; nell' amore materno la luce del
sole; nell'amore di figlio quell'altra luce che dicesi
santità.
Nel primo di questi amori il desiderio ardente
di due vite palpitanti* che voglion divenire una
vita sola; l'accorrere tumultuoso, irresistibile di
due acque che corrono a riposare nel letto d' un
fiume solo.
Nell'amore materno la tenerezza inesausta, l'in-
saziabile bisogno di dare, la provvidenza; il sole,
il calore, la luce, il sangue, il latte, il miele d'ogni
alveare , il nettare d' ogni flore , il tepore d' ogni
nido; divenuti una cosa sola, la donna madre,
Nell'amore di Aglio la venerazione, l'adorazione,
l'amore della madre ripercosso dallo specchio di
un'infinita riconoscenza.
Nell'amore le labbra, i cuori, i desiderii fusi in-
sieme in un solo crogiuolo: nell'amore materno le
mani sempre aperte per dare, le labbra sempre
aperte per benedire : nell'amore di figlio le ginoc-
chia piegate riverenti dinanzi a quei due santi che
si chiamano la mamma e il babbo.
Tre statue e tre donne; tre donne e tre divinità
190 CAPITOLO VII
di una religione delP avvenire, meno mistica e più
umana; di un culto che si inchinerà ai grandi
ideali del sentimento e del pensiero.
*
♦ *
Vi è forse su questa terra un uomo solo che
abbia amato abbastanza sua madre?
Io credo che non vi sia e appunto per questo
infinito e insaziabile desiderio di toccare una
cima che nessun piede umano ha mai calcato, può
nascere Testasi dell'ammirazione e dell'affetto.
Quanto è bella, quanto è cara, quanto è buona
per noi la nostra mamma! Trascinati per le vie
di traverso della vita, inebbriati di tanti liquori,
chiamati qua e là da tante voci affascinanti; ir-
requieti, tumultuosi, impazienti abbiamo anche
noi danzato davanti agli idoli, anche noi abbiamo
lasciato penetrare i più celati ripostigli del cuore
dall'onda turbolenta e poco chiara delle passioni ;
fors'anche del vizio. Non fosse che per prurito di
curiosità o per fascino d'ambizione abbiamo una
macchia in ogni lembo di pelle, una cicatrice in
ogni membro, in ogni nervo. Ma vi ha un san-
tuario dai sette suggelli, dove né fango, né acqua
ESTASI DELL'AMOR FIGLIALE 191
torbida, né miasmi di palude hanno mai penetrato.
Abbiamo riso di tatto e di tutti, abbiamo gual-
cito colle nostre mani irrequiete i petali dei gigli
e le vesti candidissime delle vestali; abbiamo can-
zonato gli Bei e fors' anche sottoposto all'analisi
qualitativa e quantitativa tutti i sentimenti; ab-
biamo pesato l'entusiasmo e sfregato sulla pietra
di paragone del dubbio i più nobili metalli e la
polvere d'oro delle farfalle; abbiamo fatto il pro-
cesso verbale dell'idealità portata dinanzi ai tri-
bunali della scienza....; ma vi ha qualcuno che non
abbiamo toccato, che non abbiamo profanato mai,
di cui non abbiamo riso mai....
Questo qualcuno è la nostra mamma, questo
qualcuno è una creatura, che credenti abbiamo
collocata in cielo fra gli angeli e i cherubini; che
miscredenti abbiamo portato in un paradiso più
alto, dove ogni uomo si fabbrica il proprio cielo,
dove né fiato d'uomo, nò fiato di palude giungono
mai. E l'abbiamo collocata sopra un trono di dia-
manti fra i fulgori di una luce che non tramonta mai,
dove non arrivano il dubbio, la discussione e tutte
le amarezze dell'anima. — É la mamma e basta; è
indiscutibile come Dio ; come lui intangibile, infi-
nita, eterna.
192 CAPITOLO VII
Quando l'affetto figliale si associa a una grande
ammirazione per le virtù, per le bellezze fisiche
o morali della donna ohe ci ha messo al mondo,
l'estasi può essere frequente e inebbriarci delle
più squisite delizie del cuore. Se aggiungete poi
la sventura, che può averci isolati dal mondo, che
può aver concentrato ogni pensiero, ogni affetto
nell'unico amore per nostra madre, allora potete
trovarvi dinanzi agli occhi la maggior altezza a
cui possa giungere un sentimento, per quanto sia
di lusso e di second' ordine.
Alcuni figli amarono e amano tanto la mamma,
da fondere in lei sola ogni altro amore, da sop-
portare una vita maledetta solo per amore di lei.
E più d'una volta, morta lei, rotto ogni molla al
pensiero, perduta ogni pazienza di vivere; il figlio
raggiunge presto sotterra la creatura con cui si
era saldato a fuoco.
BSTASI DELL' AHOB FIGLIALE 193
Improba e mutile fatica sarebbe ripetere per
ogni sentimento tutte le forme1|di estasi, delle
quali è capace. Non pretendo ad altro che ad as-
segnare il posto ad ogni rapimento e tracciarne
i caratteri più salienti, per modo che possa di-
stinguersi dagli altri consimili. Anche il natura-
lista, descrivendo una pianta o un animale, non ci
dà tutti quanti i caratteri suoi, ma ne segna solo
i più importanti, quelli che servono a fargli dare
U suo legìttimo battesimo.
Tutte le estasi si rassomigliano, perchè son tutti
fenomeni fratelli, perchè hanno tutti in comune
alcuni caratteri di prim' ordine. Poi ogni senti-
mento, ogni pensiero, dà la propria impronta al-
l' estasi.
Tutti i fiumi scendono al mare,''ma chi ci va
direttamente e chi più modesto si fa portare sulle
spalle d'un fratello più robusto ; chi corre serpen-
tino e chi diritto, chi va lento e chi fulmineo, chi
ha le acque salse e chi le ha dolcissime , chi tor-
bide e chi trasparenti. E così è dell'estasi: ogni
afifetto può dare rapimenti di desiderio, di ammi-
EgtoH umane» 13
194 CAPITOLO VII
razione, di sagrifizio; ma in ogni sentimento, de-
siderio, ammirazione, sagrifizio si intrecciano di-
versamente, diversamente si atteggiano e si colo-
riscono secondo la loro diversa natura e il diverso
temperamento dell'individuo.
Koi possiamo amare nostro padre, quanto amia-
mo la mamma, ma anche ammessi i due senti-
menti eguali per la forza, son diversi per la na-
tura diversa. Anche i sentimenti hanno un sesso
e non solo i corpi. JJ amore per il padre è meno
tenero e può essere più riverente; come in molti
altri casi, quando il sesso impone la sua tirannia,
abbiamo più pensiero e meno viscere. ^È anche
per questo che l'affetto figliale per il padre ci
presenta pii\ raramente lo stato di rapimento.
La figlia più spesso del figlio può adorare il
padre e giungere a sagrificargli perfino l'amore
e quindi anche la maternità. La storia conserva
nei suoi scrigni d'oro martini ineffabili di figlie,
che colla devozione di tutta la vita, coi sagrìfici
più generosi e più celati si guadagnarono il di-
ritto di salire all'estasi dell'amor figliale. E ognuno
ESTASI DELL'AMOR FlftLIALE 195
di noi può qualche volta aver deliziato i propri
occhi colla contemplazione di quel quadro sublime,
dove la debolezza divien forte per soccorrere, dove
la creatura difende il padre e la giovinezza soc-
corre alla vecchiaia e la grazia inghirlanda di
edere sempre verdi e di fiori sempre olezzanti una
vecchia colonna di granito o di marmo, spezzata
dal fulmine o corrosa dai morsi del tempo. Il pa-
dre può essere per la figliuola il primo Dio sulla
terra e l'affetto per lui può salire a tanta santità
e irradiar tanta luce da trasformarsi in una vera
e propria religione.
Gli ospedali, le carceri, tutti gli umani tuguri
dove si piange e dove si ha fame, occultano agli
occhi dei profani e dei felici scene di stupenda
grandezza; dove l'abbrutimento, la deformità fisica
o morale, dove piaghe e miserie non allontanano
il cuore delle figlie, ma le attraggono irresistibil-
mente col fascino della devozione e del sagrifizio;
e dove ogni lagrima trova una mano soave che
l'asciughi, dove una giovinezza piena di vita si
inchina reverente al letto del dolore, dove si riesce
a soffocare il grido della gioia, perchè non sembri
insulto alla disperazione; dove la donna si strappa
dal seno tutti i fiori dell' amore , e del desiderio,
perchè potrebbe il loro profumo offendere nervi
malati o stracchi del tanto patire. La donna è
196 CAPITOLO vn
sempre e dovunque l'angelo custode che accorre
al letto dei malati, che sostiene il passo dei va-
cillantiy che mette in faga tutti gli spettri del
male.
* *
L'afletto figliale, sia poi rivolto alla madre o al
padre, si affina, si fa più intenso e piglia nuove
forme peregrine, quando la grave età rende agli
occhi nostri più venerandi i nostri genitori.
Il vecchio, anche quando non è del nostro sangue,
ispira in noi un sentimento di riverenza, di ri-
spetto, fors'anche di compassione. Gli estremi della
vita, sieno poi il principio o la fine, fermano ir-
resistibilmente il nostro occhio, affascinano i cuori,
commuovono l'anima. Il bambino ci ispira tene-
rezza, il vecchio riverenza; il bambino ci fa sor-
ridere, il vecchio ci piega il capo. Dinanzi a certi
vecchi la mano corre involontaria al saluto, come
dinanzi ai bambini la mano corre alla carezza.
Il vecchio è un monumento umano ed è un
uomo ancor vivo e la canizie rispettabile mette
un'aureola sul capo come le nevi eterne la metton
sui monti. La testa del vecchio è come la cima
ESTASI DELL' AHOB FiaLIALE 197
dell'Alpe; alta e serena^ 8i contempla con ammi-
razione, e ai desidera di salir lassù, dove il tempo !
e lo spazio hanno saputo trionfare.
Quanta pazienza e quanti dolori, quante batta-
glie e quanti disinganni per conquistare quell'al-
tezza ! La neve e la canizie son due cose che si
rassomigliano; candide entrambi, entrambi collo-
cate sulla soglia dell'eternità. Il tempo, che è il
sogno e il tormento, il padre e il carnefice d'ogni
creatura viva, sembra trionfare su quelle vette di
nomo e di monte.
Sull'una e sull'altra il calore si posa appena,
ma trionfa la luce, quella che attraversa e illu-
mina tutte le cose create. Pochi fiori fioriscono a
quell'altezza, ma hanno i più vivi colori e così
come dall'alto del monte si anmiirano i più vasti
orizzonti, si godono gli spettacoli più sublimi del-
l'alba e del tramonto, così sulle cime nevose della
vecchiaia si contemplano le cose umane coli' alta
serenità della lunga esperienza, della pazienza,
del perdono. Lassù non giunge alcun miasma,
nessun ruggito di belve; lassù non s'intreccia al-
cmi nido : lassù tutto tace e si riposa nel silenzio
di chi ha già molto parlato.
Dopo quelle cime lo spazio infinito, senza forma e
senza colore, che inghiotte e divora le creature, las-
sù la materia che divien aria e luce; spazio e etere.
198 CAPITOLO VII
Dei mille combattenti nelle battaglie della vita,
quanti son saliti lassù? Uno in mille, ano in dieci-
mila. Tatti gli altri son morti nel piano, nel colle;
Inngo i sentieri e i dirapi del monte e della vita.
I pazienti e i forti soltanto hanno conquistata la
neve del ghiacciaio, la neve della canizie. La vec-
chiaia è una vittoria dei fortunati e dei forti e
noi ci inchiniamo riverenti alla forza, invidiosi
alla fortuna. E noi nelle nostre battaglie vince-
remo o semineremo le nostre membra immature
per l'erta del monte?
Nel bambino tutto il fascino dell' ignoto , nel
vecchio tutte le grandezze del passato; nel bam-
bino tutte le seduzioni dell' avvenire, nel vecchio
tutte le soavità dei ricordi. Quanta storia si con-
densa nel capo di un vecchio, fosse pure il più
oscuro mortale! É una storia che si legge senza
bisogno di sfogliar cento pagine, che si legge d'uno
sguardo nelle rughe profonde, nelle cento cicatrici
di cento battaglie ; nella commovente debolezza di
chi ha consumato vivendo tutte le forze.
Spesso debolezza di corpo e maestà dell'anima;
mani tremolanti ma sguardo di aquila; infermità
di membra e onnipotenza di pensiero. Qual su-
blime contrasto I — Colle nostre mani sorreggiamo
quel vecchio e col nostro labbro lo consultiamo
sui più difficili problemi della vita. Malato Ghetti
ESTASI dell'amor PIGLIALE 199
cura e oracolo che si consalta; infermo che si so-
stiene e luce che ci illumina; letto di dolore e
altare dì sapienza. Ci sentiamo piccini e grandi,
deboli e forti dinanzi a quel monumento, che ci
risveglia tanti pensieri, che si abbraccia con tanta
venerazione.
Quell'abisso che è al di là della vita, a cui ci
siamo affacciati paurosi le tante volte, è ai piedi
di quel vecchio. Egli forse lo vede; vede quelle
tenebre entro cui sprofonderà forse domani, egli
forse conosce già quell'altro mondo invisibile, che
temiamo o neghiamo, ma a cui sempre pensiamo.
Noi ne siamo ancora lontani , ma egli lassù dal-
l'alto lo scorge, e perchè non lo svela anche a noif
E quante domande si affollano alle nostre labbra
dinanzi al vecchio! Avremo noi il tempo di diri-
gerle tutte, di avere a tutte una risposta? E chi
lo sa? Forse domani egli ci avrà dato l'ultimo sa-
luto. L'impazienza di sapere ci vorrebbe far im-
portuni, ma la riverenza ci fa muti; e i giorni
passano intanto , inesorabili, fatali, e ogni giorno
il nostro vecchio adorato si avvicina all'abisso che
lo ha ad ingoiare per sempre.
Quanta trepidazione, quanto rispetto circondano
quella vetta umana! Non è invano che in tutti i
tempi e presso tutti i popoli civili fu lanciato l'a-
uatema contro coloro che insultano 1' uomo veo-
200 CAPITOLO VII
chio ; non è invano che il rispetto per la vecchiaia
fa virtù di tutti i popoli forti ; non è per nulla
che molte genti s'inchinarono ai vecchi come ai
rappresentanti della scienza e dell'esperienza; non
è per nulla che 1' apparire subitaneo di un capo
venerando in mezzo alla turba scompigliata e con-
vulsa di una folla ebbra di sangue o di collera,
bastò a sedare ogni procella. Non è invano che il
mito cristiano rappresenta il Creatore in forma
d'un vecchio!
Immaginatevi ora quali sentimenti debba ispi-
rare a noi un vecchio, quando questo vecchio è
nostro padre, quando è nostra madre; quando in-
sieme alla riverenza noi sentiamo la tenerezza,
quando noi vorremmo dare a lui o a lei molti dei
nostri giorni per prolungare quelle preziose esi-
stenze; quando ad ogni alba che sorge noi ci do-
mandiamo se quel giorno non sarà l'ultimo per il
nostro vecchio adorato; quando ad ogni ora del
giorno noi facciamo un profondo esame di co-
scienza e interroghiamo il passato e il presente,
per sapere se, chiusa quella tomba sul capo di lui
ESTASI DELL'AMOR FIGLIALE 201
o di lei, noi non avremo il più picoolo rimorso, il
pentimento di non averli amati abbastanza!
Di certo ohe in qnelle sublimi trepidazioni d'a-
more, di venerazione, di sacri timori, noi possiamo
più d'una volta cadere in estasi, come i devoti
cadono nel santo silenzio della chiesa.
Capitolo Vili.
liE ESTASI DELL'AMORE PLATONICO.
li^esistenza e la negazione di qnesto amore. — Le trenta defi-
nizioni dell^amore platonico e la definizione dell'autore. — Ana-
lisi psicologica di questa forma dell'amore. — I grandi amori.
— Gli uragani dell'amore. — Pudore ascetico. — Le visioni
dell'amore platonico. — Forme comuni ad altre estasi.
In tatte le lìngue dei popoli civili voi trovate
scritto che vi è un amore platonico, e se si è sen-
tito da tutti il bisogno del vocabolo, vorrebbe dire
che la cosa esiste, o nella natura o nel pensiero
degli uomini. Noi non ci fermiamo abbastanza so-
pra i rapporti delle parole colle cose, e ammettiamo
si>esso e volentieri che tra i molti suoi capricci
l'uomo abbia anche codesto, di fabbricare parole
per cose che non esistono. Eppure ciò non è vero
o almeno non è vero che in parte. Se fabbrichiamo
una parola per un essere immaginario, è però vero
che questo essere fu immaginato da noi e quindi
esìste o è esistito nel nostro cervello.
Il guaio vero che si trova nello studio delle pa-
role come vestito delle cose è questo, che non tutti
gli uomini applicano lo stesso vocabolo alla cosa
stessa, soprattutto quando si tratta dì fenomeni
206 CAPITOLO vni
psicologici. Di qui confasione, anarchia; torrenti
d'inchiostro e spreco infinito di fiato per spiegarci,
per intenderci e pur troppo , ahimè , per creare
nuove contese e nuove logomachie.
Sappiamo tutti che cosa sia un coltello, una
mano , un occhio e a queste cose tutti applicano
la stessa parola. Andiamo pure quasi sempre d'ac-
cordo nel battezzare il piacere, il dolore, l'odio, la
collera e molti altri fatti del mondo psichico, che
hanno per tutte le coscienze lo stesso significato e
che trovano nel dizionario la loro rispettiva veste.
Ma ben altro avviene, quando si tratta di feno-
meni fugaci e confasi o di momenti impercettibili
di un'emozione o di un intreccio di molteplici ele-
menti. Allora la parola non è che un'approssima-
zione grossolana o uno sbaglio completo, e noi
significhiamo con uno stesso vocabolo le cose più
diverse, facendo come colui che volesse per forza
far entrare il proprio corpo in un vestito che non
fu fatto per lui.
Questo accade, per esempio, per l' aiwìre piato-
meo. Tutti adoperano questa parola per ischerzo
o sul serio, per ludibrio o per difesa, per ipocrisia
o per convinzione, ma le idee che si rivestono con
questa stessa parola son così diverse , come il sì
e il no, come il vizio e la virtù, come l'ipocrisia
e l'idealità.
L*AMOB PLATONICO 207
Proviamoci a interrogare, facciamo un'inchiesta,
muoviamo un processo alla parola, chiamando al
tribunale come giurati gli uomini del volgo e i
filosofi; gli uomini di buon senso e le donne one-
ste; chiamiamo pure anche gli scettici e i credenti;
i materialisti e gli idealisti.
Che cosa è l'amore platonico?
L'amore platonico è un paradosso, è un'utopia;
non è mai esistita e non esisterà mai.
L'amore platonico è una ipocrisia che copre ben
altra merce.
L'amore platonico è un lasciapassare per salvare
il contrabbando.
L'amore platonico è una falsa chiave o un gri-
maldello per poter penetrare in casa d' altri sen-
z'esser veduti.
L' amore platonico è un travestimento dell' im-
potenza.
L' amore platonico è una maschera ad uso dei
ladri e dei malfattori* .
L' amore platonico è la quadratura del circolo.
L'amore platonico è la centesima versione della
206 CAPITOLO vni
favola della volpe, che trovava acerba l' ava che
non poteva arrivare.
L' amore platonico è l' amicizia fra un nomo e
nna donna.
L'amore platonico è amore vero e proprio, ma
senza la colpa.
L' amore platonico è V amore con tutte le reti-
cenze imposte dalla religione, dalla morale o dalla
necessità.
L'amore platonico è il voglio e non posso.
L'amore platonico è l'amore senza il desiderio.
L'amore platonico è una fraternità delle anime,
senza il possesso dei corpi.
L'amore platonico è l' ammirazione senza il de-
siderio.
L'amore platonico è tutto l'amore, meno il pos-
sesso.
L'amore platonico è tutto l'amore spogliato del-
l'animalità.
L'amore platonico è una doppia menzogna a cui
non crede nessuno dei due mentitori.
L'amore platonico è il primo stadio dei grandi
amori e l'ultima fase dei piccoli amori.
L'amore platonico è un patto giurato da due
che spergiureranno domani.
L'amore platonico ò un giuramento di marinaro
fatto durante la procella.
■»'^ ..
L'AMOB PLATONICO 209
L'amore platonico è una concessione fatta oggi
da ano dei due contendenti colla speranza o la
sicnrezza di aver Taltra parte domani o posdomani.
L'amore platonico può essere una finta battaglia
fra due che non sanno battersi o hanno paura
del sangue.
L'amore platonico è un vescovato in partibus
infidelium concesso a chi non si può dare una
curia.
L'amore platonico è la metafisica dell'amore.
L'amore platonico è la più sciocca parodia della
più bella, della più grande, della più ardente delie
umane passioni.
L'amore platonico è un leone di gesso, è una
tigre di carta pesta, spauracchi da bambini o nin-
noli di fanciulli.
L'amore platonico è la più alta espressione del-
l'amore ideale.
L'amore platonico è il trionfo dell'uomo sulla
bestia, è l'amore reso eterno dall'idealità delle
aspirazioni.
L'amore platonico è la speranza; l'amore vero
è la fede.
Estasi umane, 14
210 CAPITOLO Vili
♦
Sono trenta definizioni molto diverse tra di loro,
alcune anzi opposte alle altre, ma rappresentano
a un dipresso tutte le possibili. Lasciando da
parte quelle che, definendo la cosa, la negano,
mettendo in disparte le altre che sono ironie o
malignità, possiam dire, che tutte hanno una
parte di vero, per cui forse, mettendole insieme
in un buon mortaio di agata, che la nobiltà della
materia esige tanta nobiltà di strumento, e porfi-
rizzando il tutto con pazienza di chimico e sen-
sualità di farmacista, potremmo forse sperare di
avere la quintessenza della definizione, la vera e
unica e infallibile definizione dell'amor platonico.
Io mi son provato in buona fede a questa ope-
razione chimico-farmaceutica e confesso dì averne
ottenuto un polifarmaco arabico-bizantino che mi
richiamava alla mente i preparati più bizzarri
del medio evo. Ho buttato via dunque il mio pa-
sticcio, e facendo appello al senso comune, che
anche nei più astrusi problemi della psicologia
spesso li risolve meglio d'ogni altro senso, ebbi
questa risposta:
L*AMOE PLATONICO 211
Vamore platonico è il aentimmto che unisce un
uomo e una donna, che pur desiderandosi, rinunziano
volontariamente all'intreccio del corpi, maritando le
anime.
Fin dove arrivi quest'amore, fino a quando possa
vivere, io non so. Ho scritto un libro (Le Tre
Oraaie) per dimostrare la possibilità di quest'amore,
ma una gentile e dotta scrittrice inglese scrisse
argutamente neWAcademy che io avevo tagliato
il nodo gordiano, ma non l'aveva sciolto. Consultai
molti inglesi, intenditori profondi delle ipocrisie
dell'amore, chiedendo loro che cosa fosse la flir-
taUon, quali i confini entro i quali si muovesse
questa intraducibilissima fra le intraducibili pa-
role e ne ebbi così svariate risposte, le une me-
tafisiche, le altre ciniche, da scoraggiarmi e da
fJEurmi desistere da ogni ulteriore ricerca in pro-
posito.
Dunque ?
Dunque io , aspettando da altri più profondi
conoscitori del cuore umano, definizione più pre-
cìsa, più scientifica, conservo la mia, bastandomi
per ora di affermarvi che io credo fermamente
nell'esistenza dell'amore platonico, che credo nella
sua rarità, nella sua altissima idealità, e che lo ri-
conosco per uno dei fiori più belli e più fragranti
che fioriscono nel cuore umano. É capace di ra-
212 CAPITOLO Vili
pimenti ineffabili, di estasi degne di vivere all'al-
tezza dell'estasi religiosa e dell'affetto materno.
Non ammetto amore platonico fra dae vecchi,
fra due brutti, fra due creature che non possono
desiderarsi. Si dice da tutti, ma falsamente, che
le anime non invecchiano, ma invece le anime in-
vecchiano come i corpi, e le anime che si uniscono
nel santo vincolo dell'amore platonico, hanno ad
essere giovani e bèlle.
Questo sentimento sublime non è possibile che
a rare creature elette, che sanno compiere il mi-
racolo di spogliare le anime da ogni veste cor-
porea, che sanno spogliare la passione da ogni
desiderio della carne, e contemplandosi si ammi-
rano e si amano.
Anche le anime come i corpi hanno un sesso,
e nell'amor platonico stanno faccia a faccia e
guardandosi eternamente si rimandano senza toc-
carsi, torrenti di luce e di calore. Due astri che
girano nella stessa orbita, che non si toccanmai;
che sorgono insieme con una stessa alba, che collo
stesso tramonto svaniscono e sfumano nella grande
voragine dell'infinito.
• 4 ■ !■ -. il - .
l'amor platonico 213
Sempre in moto, ma sempre distanti Vnn dal*
l'altro, attratti allo stesso centro e respinti dagli
stessi poli; in relazione tra di loro soltanto per
fasci di luce e oitde di calore.
L'anima dell'aomo è fatta di forza e di azione,
l'anima della donna è fatta di grazia e di bontà;
e queste dne natnre umane che sommate insieme
formano l'uomo completo si attraggono eterna-
mente, ma non si fondono insieme, arrestate dal
dovere, che permette loro di amarsi, ma proibisce
loro di toccarsi e di fondersi. La massima delle
attrazioni diventita immobilità, la massima delle
forze divenuta ammirazione, contemplazione, estasi
divina.
Nessun attrito, nessuna resistenza, nessuna tras-
formazione di energia; nessuna cenere perchè non
vi è fiamma; ma luce; nessuna stanchezza, perchè
non vi è lavoro; nessuna morte perchè la vita è
arrestata dal miracolo sublime che faceva arre-
stare il sole nel cielo nei tempi della Bibbia.
Nessun bisogno di mutamento, perchè solo la
stanchezza o la noia (che non è altro che una
forma di stanchezza) può dar desiderio d' inco-
stanza.
214 CAPITOLO Vili
* *
L'amore platonico deve essere puro da ogni vo-
luttà terrena; è questa la sua grandezza, è questa
l'acqua lustrale che lo battezza e lo santifica.
Quelle due immense forze che si attraggono
senza toccarsi e senza confondersi, rimangono im-
mobili e fìsse; ma se una delle due vacilla, dimi-
nuisce d'un battito solo la propria energia, la più
debole è subito attratta dall'altra e l'urto è irre-
sistibile. Schizza una scintilla o divampa una
fiamma ; ma l' amore platonico è distrutto. Più
volte i due astri vengono così vicini l'uno all'altro
che ne oorrusoan lampi. Son due . creature che
nello spazio si son toccate appena con un fremito
di ali spasimanti, ma l'ala deve fuggire con santo
e rapido pudore dal contatto dell'ala. Guai a chi
crede o sogna che due grandi amori possano vi-
vere della vita celeste delle cose eterne, dopo una
carézza o dopo un bacio.
Molti, anzi i più degli amori platonici, muoiono
in questa maniera, perchè le due anime innamo-
rate sognano questo sogno, che si possa fermarsi
a metà strada sulla china di certi pendii; ohe
li' AMOS PLATONICO 215
credono o sperano che Torlo di certi precipizi
possa essere pietoso.
Non un bacio, non una carezza, non fosse che
qaella delle ali. Anche le ali sono materia e ma-
teria viva e calda. Quando due labbra si son toc-
cate, ahimè, l'amor platonico è ferito e per lo più
a morte. Le anime sole possono amarsi platonica-
mente e la materia è sempre dotata di gravità;
fosse pnre piuma d'ala, vello di cotone o massa
di piombo. Il precipitare di essa sarà lento o ve-
loce secondo la diversa densità della materia: i
venti pietosi delle reticenze, delle difese, delle
foghe faranno volare per l'aria Iqngamente il filo
di seta e il fiocco di cotone, ma fatalmente, ma
inesorabilmente avranno a cadere. O tutto o nulla
è in amore un assioma di quasi matematica pre-
cisione, e le donne, sempre più sapienti di noi in
questa materia, lo sanno e lo ripetono sempre al-
l'orecchio degli impazienti. Esse sono le vestali del-
l'amore platonico, le custodi del pudore, e quando
esse vengon meno per le prime ai giuramenti del-
l'amore platonico, non v' ha quasi uomo su questa
terra, che le aiuti a salire. La caduta è fatale, è
irresistibile !
216 CAPITOLO vni
Al contrario di quanto si crede volgarmente,
non sono i piccoli aniQri, ma i f^frandi che soli
sono capaci di salire alle altezze delPestasi pla-
tonica, di subire quella sublime transustanziazione,
che arresta il desiderio alla soglia del tempio, che
trasforma la più ardente delle passioni in una luce
di luna, che illumina, ma non riscalda.
I piccoli amori son pruriti animaleschi, che si
soddisfano grattandoci o applicandovi dei panno-
lini bagnati nelP acqua fredda. Essi non possono
salire le alte cime, perchè son deboli, molto meno
poi possono attraversare lo spazio, perchè sono
senz'ali. Molte false virtù non sono che piccoli
amori domati coi fomenti freddi e quando li vedo
innalzati ai supremi onori del sagrificio e del-
l'eroismo mi vien voglia di ridere.
I grandi amori invece non si domano che colla
morte o con un miracolo. Questo miracolo è Vamoi e
platonico.
II credente, pieno di fede, di speranza e soprat-
tutto d'amore è venuto al tempio, per pregare ed
amare. È venuto da lontano: almeno per venti,
I GRANDI AHOBI 217
forse per trent'anni ha viaggiato e sudato per
monti e per valli, attratto alla Mecca dall'amore.
Nel lungo pellegrinaggio ha sudato e ha pianto,
ha patito la fame e la sete, ma è giunto vivo alle
porte del tempio. I minareti dorati scintillano
al sole e dalle porte aperte escono profumi di
mirra e di rose.
I grandi amori sono religione o idolatria, e il
pellegrino s' inginocchia e prega prima di essere
ammesso all'adorazione del Dio. Ed egli lo vede,
ed egli lo sente vicino. Nella luce rosea del tempio
egli ha veduto il gran Dio, che dispensa la vita e
la morte : ai suoi occhi lampeggianti d'impazienza
e di, ardore hanno risposto altri due occhi, lam-
peggianti e ardenti come i suoi. Egli ama e sarà
amato; ancora una preghiera e san\ consacrato
li\ in fondo al santuario del Sancta sanctorum, dove
il fumo degli incensi gli nasconde la voluttuosa
visione, dove un coro di angeli gli cela i sospiri,
di chi come lui aspetta e desidera. Un istante
ancora, ancora una preghiera, e tu avrai il premio
del lungo pellegrinaggio, dei lunghi dolori patiti.
Sei nato e hai vissuto venti, trent' anni per co-
gliere quel fiore, che anch'esso non sbocciò che
dopo altri venti o trent' anni vissuti da un' altra
creatura che nacque e visse per te. Oh perchè
quelli istanti non diventan secoli e quei secoli
218 CAPITOLO Vili
non ardono in un istante sulUara del desiderio e
dell' amore ?
Una voce vi ha chiamato, vi chiama. Voi siete
esauditi; voi siete ammessi nel tempio. La crea-
tura sognata per tanti anni, intraveduta fra le
nuvole della fantasia e le iridi del desiderio , è
là, vivente, calda, giovane, davanti a voi e vi
sorride. Anch' essa aveva sognato, desiderato,
aspettato: se 1' asceta ha bisogno di un Dio, an-
che Dio ha bisogno dell'adoratore, e voi siete la
creatura sognata e aspettata da lei. Ogni vostro
sguardo diventa una carezza, ogni vostra carezza
un desiderio di carezze nuove, e i baci aleggiano
per l'aria facendo intorno a voi un nembo di pe-
tali di rose. I desiderii son divenuti benedizioni:
due primavere, due vite, due amori aspettano di
fondersi fra un istante in un solo paradiso di
fiori, di profumi e di voluttà. Venga pure la morte;
avrete vissuto abbastanza, il mare vi sommerga
pure, il fuoco vi incenerisca, la terra vi ingoi;
al di là dell'infinito non v' ha altro pensabile ; al
di là del tutto, che cosa desiderare ancora? Amate
e morite!
Ma ecco che fra voi e lei un angelo o un de-
monio, il fato o il dovere ha messo una spada di
fuoco. Voi vi amate e vi amerete fino all' ultimo
respiro, ma voi non vi toccherete. Non una ca-
I GBANDI AMOBI 219
rezza, non un bacio; neppure i flati confonde-
ranno i tepori delle anime.
Io afiretto colla penna impaziente ciò che in
natura avviene lentamente, più spesso per una
serie non interrotta di uragani. Senza lotta, senza
agonia, senza l'orto di Getsemani non avviene
quella trasformazione che muta due desiderii in
una rassegnazione, due passioni in un'estasi, due
soli nell'astro della notte.
* «
Nulla si perde di quanto vive o si muove, non
la materia, non la forza che non è altro che l'at-
teggiamento della materia, e anche ì cataclismi
della terra e del cielo, anche i cicloni che scon-
volgon la terra e rovesciano le città sono trasfor-
mazioni di forze, sono equazioni matematiche nelle
quali il prima e il poi si dimostrano come quan-
tità eguali.
Così avviene anche negli uragani del cuore. Due
amori dovevano confondersi insieme per riaccen-
dere la fiaccola della vita, due baci dovevano sa-
lire al cielo confusi in una sola benedizione della
vita trionfatrìce. E invece, passata la procella,
220 CAPITOLO vin
rasserenato il cielo, noi vediamo il pellegrino ve-
nuto da lontano al t-empio d'amore ancora sulla
soglia, ancora prosternato e in atto di rassegnata
e serena adorazione. E^ nel tempio, là in fondo,
fra le nuvole degli incensi e il coro degli angeli,
immoto il Dio, che guarda il pellegrino con tene-
rezza serena; e là rimarranno entrambi Dio e crea-
tura, idolo e sacerdote fino all' ultimo respiro.
L'amore che feconda è divenuto l'amore che am-
mira; l'amore che ama è divenuto l'amore che
adora; il sole che tutto colorisce e riscalda si è
trasformato nella luna, che fa fantasticare e so-
spirare.
Se avete letto la mia Filologia del dolore, do-
vete ricordare le pagine, nelle quali ho tentato
di studiare la psicologia della malinconia. Fra
questo caro fiore del giardino del cuore e l'amore
platonico vi sono grandissimi rapporti di somi«>
glianza.
L'amore platonico è una grande e soave ma-
linconia e chi l'ha potuto e saputo godere, non
rimpiange la gioia, perchè quel sentimento ha
bellezze più alte, ha misteri più delicati, segreti
più riposti e sublimi. Dei vulcani, dei terremoti,
degli uragani che sono vita quotidiana dell'amore
nulla è rimasto : delle battaglie combattute nes-
sun cadavere, nessun membro divelto; il terreno
l'amob platonico 221
lacerato dalle bombe, solcato dalle artiglierie, ma-
dido di sangue umano, è ritornato all'aratro; e le
spighe fioriscono, dove corsero i gemiti dei mori-
bondi e gli urli dei feroci. Una croce di legno
piantata sull'orlo del campo vi ricorda però la
storia del dolore e spande all'intorno un'aria ma-
linconica.
Non invano io ho invocato il tempio ad espri-
mere e contenere i misteri dell'amore platonico,
perchè questo ha forme mistiche e le sue estasi
presentano molti caratteri del rapimento religioso.
Soffocato e spento il desiderio, inutile la lotta,
che cosa rimane fuorché l'adorazione? E questa
adorazione che prima è consagrata all' idolo, si
affina sempre più, man mano andiamo perdendo
la memoria delle battaglie combattute e la figura
che adoriamo perde ogni giorno più la propria
personalit\ per prendere forma di mito o di sim-
bolo. La donna che adoriamo d'amore platonico
non è più per noi Laura o Beatrice, ma è la donna,
la donna unica e sola che per noi personifica
tutte le bellezze, tutte le grazie, tutti gli incanti
di Venere e di Eva.
222 CAPITOLO VIU
La donna amata ha occhi che ci incantano,
membra che le mani accarezzano, chiome entro
le quali si smarriscono i desiderii come in un la-
birinto incantato. La donna amata d' amore pia*
tonico non ha occhi, non membra, non chiome, e
perchè le avrebbe se noi non possiamo baciarli e
possederli ? Dio ha forse occhi, membra e chiome f
Noi amiamo platonicamente, ma amando adoriamo;
e l'adorazione è l'estetica divenuta affetto o l'af-
fetto divenuto estetica, o direi meglio è un sen-
timento che aleggia eternamente fra l'ammira-
zione di una bellezza assoluta e un amore infinito
per questa bellezza, a cui non osiamo dar forma,
perchè anche questa ci sembra una profanazione.
L' amore abbraccia sempre qualche cosa, colle
mani o colle braccia, colle labbra o col cuore;
l'amore platonico non abbraccia, perchè l'infinito
non si stringe; l'amore platonico, contempla, am-
mira, adora.
Siamo in piena estasi e in estasi permanente:
nessun carattere del rapimento gli manca, non la
fissazione, non lo sprofondarsi di tutte le sensa-
zioni in una sensazione sola, non la immobilità per
tensione di tutti i muscoli antagonisti, non la ca-
talessi, non la insensibilità per eccesso di sensa-
zione. E le estasi son due: due come le creature
che mutuamente si contemplano e si adorano; due
ESTASI DELL' AMOB PLATONICO 223
come le forze, che campate nello spazio e sempre
lontane si invocano e si attraggono e eternamente
rimangono fìsse, senza avvicinarsi di nna lìnea né
toccarsi mai. In cielo fra gli astri avvengono que-
sti fenomeni che gli astronomi studiano; nel cuore
umano avvengono gli stessi fenomeni con leggi
eguali , con eguale miracolo di potenza e di bel-
lezza.
* *
Se l'amore platonico per la sua alta idealità si
avvicina ai rapimenti mistici dell'asceta, ha per
altri suoi caratteri le profonde sensualità del-
l'avarizia.
L'avaro e l'amor platonico hanno questo di co-
mune: possedere un tesoro che contemplano, che
adorano, ma che non spendono.
Quella donna che voi adorate, è d' altri o di
nessuno in apparenza, ma nessuno l'ama come voi,
per nessuno è bella quanto lo è per vói. I vostri
sguardi, le vostre aspirazioni, i vostri pensieri
sempre rivolti a lei la circondano d' un' aureola,
che la isola dal mondo. Essa è chiusa in uno
scrigno invisibile, ma non meno inviolabile; in
224 CAPITOLO Vili
uno scrigno d'oro e di gemme di cui voi solo avete
la chiave. E anch'essa, voi lo sapete, non ama che
voi. È il possesso potenziale, è la proprietà ideale.
Gosì appunto è dell'avaro: egli contempla quei
fasci di biglietti miracolosi che possono a un cenno
trasformarsi in gioie, in lusso, in ogni ben di Dio.
E per volontà nostra quella donna è intangibile,
quel denaro ' non si muove, ma quella donna è
nostra, quel tesoro è nostro.
*
L'amore platonico, ricco com' è di rapimenti,
ci presenta allucinazioni di trascendente bellezza.
Nessuno più abile sarto per vestire i corpi nudi,
nessuno più ardito per spogliare i corpi vestiti.
Nelle visioni dell' asceta Dio appare (come ve-
dremo più innanzi) in aspetti svariati, ma sempre
bellissimo; e l'adorazione che crea l'immagine si
raddoppia neir estasi d'ammirazione di quelle bel-
lezze. E così è noli' amore platonico, in cui tutte
le forze del pensiero, tutte le energie del senti-
mento, concentrandosi in un punto solo, danno
tali ali alla fantasia e tale energia al suo pen-
nello da trasformare l'uomo in un poeta e in un
^'»..-»>
PUDORE ASCETICO 225
pittore in una volta sola. Poeta che abbellisce e
idealizza tutto ciò che tocca; pittore che della
sua tavolozza fa una verga magica che tntto ri-
veste di un'iride afiascinante.
La donna adorata e non posseduta è sempre
Venere per noi; Venere Afrodite quando la fan-
tasia la spoglia, Venere Urania quando la fan-
tasia la ravvolge nei densi veli della nostra ge-
losia e del nostro rispetto. Nuda o vestita è sem-
pre una Dea per noi, e noi ne siamo i sacerdoti.
Anche le sante vedono Dio nudo nelle loro vi-
sioni, né quella nudità è meno casta o meno pudica.
L'amore platonico è tutto un pudore, perchè il
pudore è la riverenza dell'amore, è la santifica-
zione del desiderio.
4c
Oh quante volte nei sileuzii della notte le te-
nebre si illuminano per noi alla luce mistica della
fantasia e dall'onda azzurra d'un mare tranquillo
sorge per incanto al fremito impercettibile d'una
brezza che vien dal profondo una visione di donna.
E noi assistiamo al mistico nascere della Dea
d'amore, assistiamo al nascer della vita.
Estasi umane, 15
226 CAPITOLO vili
E sorge dall' onda Spumeggiante pregna degli
inebbrianti e salsi aromi del mare la visione della
creatura amata, della sola donna che per noi è
donna, e che nuda e casta come una statua di
Fidia, lucente dell' onda che cade in mille perle
su quella perla sola che è il corpo di lei, s'innalza
fremente e flessuosa, come una palma umana;
e sorge e s'innalza sulle sue colonne di marmo
pario, inghirlandata dalle chiome fluenti, che
fanno piovere una pioggia di perle sui morbidis-
simi flanchi.
• E intomo a lei bolle e freme l'onda, quasi ebbra
dei contatti voluttuosi della Dea, e guizzano nereidi
e naiadi a farle corona di bellezze minori, mentre
angioletti rosei svolazzano all'intorno di lei, im-
pazienti di accarezzarla colle ali convulse. E nes-
suna lascivia scuote le nostre membra e nessun
desiderio osa turbare Testasi di quella contem-
plazione. Voi siete sempre in ginocchio, col corpo
o col pensiero, davanti alla divina immagine che
adorate.
ESTASI DELL' AMOE PLATONICO 227;
E altre volte Venere non esce dal mare, umida
e calda delle sue feconde aspergini, ma in un bo-
sco di allori sotto il cielo ellenico, scende dal tem-
pio e passeggia sorvolando sull'erba, quasi statua
che ubbidisce all'evocazione del suo creatore e ri-
toma alla vita. E gli inni dei poeti e le corde d'oro
delle arpe eolie cantano e suonano le loro armonie,
facendo coro di ammirazione e osanna di adora-
zione alla Dea della bellezza, alla madre di tutti
ì viventi. E noi prostesi al suolo baciamo l'orma
profumata, che il piede divino lascia sui muschi
vellutati e fra l'erbe odorose.
* *
Ma terra e mare non bastano più a fare cor-
nice alla nostra visione trascendente e noi vedia-
mo la nostra Dea farsi creatura alata e spiccare
il volo nelle alte regioni del cielo. Non più carni
rosee o colonne di marmo parlo, ma la carne dive-
228 CAPITOLO vni
nuto opale e le membra trasformate in ali. E vìa
per Paria e gli spazi infiniti del vuoto, un aleggiar
robusto e un ondeggiar di chiome, or dorate dai
raggi del sole, or argentine al chiaror della luna,
or buie come le tenebre degli abissi. E un fiam-
meggiar degli astri, che anch'essi nell'eterna pace
dei secoli, fremono alla vista di quella divina bel-
lezza e scintillano più caldi e più splendidi, salu-
tando colle ebbrezze della luce una creatura deUa
terra.
E noi dietro a quella visione, convertiti da crea-
ture mortali in un sospiro di desiderio che vola
e insegue la donna alata. La via lattea ci è guida
al nostro volo audace e tra la polvere degli astri
che non abbiam tempo di ammirare e fra gli
abissi dell'infinito e le meteore deUo spazio cogli
occhi fissi a quella creatura che è cosa nostra e
di cui sentiamo nel vuoto infinito il batter del-
l'ali, Siam rapiti in estasi e speriamo di confon-
derci e sparire in quella donna, che non è più
donna, ma angelo; che non è più angelo, ma Dio;
un Dio creato dalla nostra fantasia e dal nostro
amore. Sparire per sempre e con lei, come dicesi
che le comete attratte dal sole si consumino in
un bacio ardente come loro, ciclopico come lo
spazio.
Sparire e confondersi, non ritrovar più il nostro
_^^ — -— - -«— •
ESTASI DELL' AMOR PLATONICO 229
Io, non distinguere più qua! differenza passi tra
noi e lei, fra l'amare e Tessere, fra l'uno e il due;
non ricordarsi della terra, del nascere e del mo-
rire, della gioia e del dolore; non pensare altro
pensiero che il pensiero di lei, perdere tutta la
coscienza e tutta la memoria, per sommergerle
nel grande oceano di una sensazione sola, l'estasi;
spogliarsi di tutte le passioni, dimenticarle tutte,
per non ardere che d'una sola passione, l'amore.
L'uomo e la donna disgiunti sulla terra, ricon-
giunti nel cielo e per sempre con un bacio che
non ha domani, con un amplesso che trasforma
le anime nella carezza di quattro ali.
*
Le estasi dell'amore platonico non sono tutte
di adorazione, ma possono presentarci le forme
della devozione, del sagrifizio spinto fino al mar-
tirio. Allora noi abbiamo i rapimenti già descritti
nell'amore materno, nell'amor figliale e negli altri
affetti minori.
Inutile ripetizione sarebbe quella di ritrarre i
lineamenti di questi quadri sublimi, che tanto si
rassomigliano.
230 CAPITOLO vili
L'ionico carattere che distingue tutte queste
forme svariate è quello di essere accompagnato
dall'ardore deUa più calda delle passioni, di esser
tutto imbevuto di quell'amore che fu chiamato
con questo nome senza aggiunta di alcun agget-
tivo, quasi prototipo di tutti gli altri amori.
L'amore platonico può essere potente e fecondo
di estasi, anche quando non è diviso da un'altra
creatura. Anche quando vibra in un solo cuore,
anche quando contraddice (rarissima eccezione)
il verso famoso del poeta:
Amor ch'a nullo amato amar perdona,
può durare tutta la vita, può essere il palpito di
ogni ora, il sogno d'ogni notte, la religione mi-
stica di un solo cuore. In questi casi soltanto vi
ha di diverso e di caratteristico una soave ma-
linconia, forse confortata da una speranza lontana
che il nostro amore, pur rimanendo sempre pia*
tonico, 8iia diviso da un' altr' anima.
Capitolo IX.
LE ESTASI RELIGIOSE.
Odore dì santità. — Analogie profonde tra Testasi religiosa
e Tamore. — L'adorazione. — 'Dante e santa Teresa. — La
prosternazione, i sagrifizii, i martini volontarii. — Le visioni
ascetiche, le semplici e le composte, le liete e le tristi. — In-
fluenza psichica della luce. — Fenomeni secondarii della vi-
sione ascetica. — La preghiera. — Definita dai teologi e stu-
diata dal psicologo. — La preghiera secondo santa Teresa.
— Perchè si prega e delizie della preghiera. — L'amhiente
esterno nell'estasi religiosa. — La chiesa, i profumi, le cam-
pane e Porgano. — Estasi religiosa della Contessa ***.
Per quanto un uomo di scienza abbia messo
lungo amore e grande studio per spogliarsi d'ogni
passione nelle sue ricerche, per quanto egli abbia
sempre scolpito davanti ai propri occhi il sine ira
et studio di Tacito, ben di raro egli riesce ad essere
giu8U> nei suoi giudizii; ben di raro può essere ben
sicuro di aver dato a Cesare quel ch'è di Cesare,
a Dio quel ch'è di Dio. Cesare è troppo splendente
per non afifascinare e Dio è troppo grande per non
innamorarci. Lo vediamo ogni giorno nei giudizii
che riguardano la politica e la religione : invece
dell'analisi calma e serena abbiamo l'adulazione o
l'invettiva; invece dell'anatomia abbiamo la ca-
bala; invece della sentenza spassionata abbiamo
il Campidoglio o la Rupe Tarpea. Dall'un capo non
voci, ma grida di Anathema sii; e dall'altro invece
di risposte, ghignate di sprezzo e bestemmie.
234 CAPITOLO IX
La politica ci dà il pane quotidiano e la reli-
gione ci promette il pane d'oro del futuro: come
parlarne senza passione, come studiare i fenomeni
politici e religiosi quasi si trattasse di un pro-
blema di matematica o di fisica? Non fu ancora
trovato un uomo, che potesse pensare senza cuore
e giudicare senza nervi. Ecco perchè nelF esame
dei fenomeni religiosi abbiamo credenti che ado-
rano e non ragionano, e ragionatori che dimenti-
cano essere la ragione uno strumento dell'uomo e
non tutto l'uomo. Se in politica un grande scrit-
tore disse che ognuno di noi è un giacobino per
un altro, in religione può dirsi con eguale verità
che ognuno di noi è ateo o bigotto per un altro.
Non dimenticherò mai V aria di dispetto con cui
un ottimo amico mio abbandonava la sala delle
mie conferenze , quando , discorrendo dell' estasi
religiosa, io mi sforzava di studiarla senza fana-
tismo e senza dileggio. In quel momento per lui
io era un bigotto, mentre per qualche sacerdote
che mi stava ascoltando, io era forse un eretico!
Fatale intolleranza dell' uno e degli altri! — Fu
detto da secoli: in medio stai urtus. Meglio sarebbe
dire che chi sta in mezzo è percosso dagli uni e
dagli altri. In politica è un dogma che chi sta nel
centro è un ignorante o un vile, e nel campo della
fede chi osa studiare il fenomeno religioso, come
IL SENTIMENTO BBLIGIOSO 235
tatti gli altri fenomeni umani, è un miscredente e
un opportunista nello stesso tempo.
' Io però, per questa volta almeno spero di poter
schivare le percosse, perchè non pretendo risolvere
alcnn problema religioso, ma soltanto studiare
Testasi religiosa. Ed io la studierò, non per deri-
"derla, non per portarla a cielo, ma soltanto colla
modesta pretensione di collocarla nel suo posto
naturale fra gli altri rapimenti, dei quali l'uomo
è capace. Finché io, visitando tutti i villaggi, tutte
le città, tutte le metropoli del mondo, vedrò la
casa più alta, più ricca, più gloriosa essere rizzata
dagli uomini per collocarvi gli spiriti, io dirò che
l'antropologo deve studiare gli spiriti collo stesso
amore con cui egli studia i corpi. Se gli abitanti
delle chiese non esistono son però fabbricati dal-
l'uomo a sua immagine e somiglianza, e dimenti-
carli o sprezzarli, vuol dire dimenticare o sprez-
zare più che mezza la natura umana.
*
Non è qui il luogo di analizzare e definire il
sentimento religioso, uno dei più alti, ma dei più
complessi e indefiniti, che agitano il cervello umano.
236 CASTOLO IX
Noi sappiamo però tutti che cosa sia. Si dirige
ad esseri invisibili per gli occhi, ma che si vedono
cogli occhi della fede e si possono amare^ adorare
quanto e più delle creature in carne ed ossa, che
si chiamano nostra madre, nostra figlia, la nostra
donna.
Questo carattere délF invisibile domina tutte
quante le forme del sentimento religioso, il quale
si eleva tanto più quanto più l' uomo si isola da
tutto il mondo visibile, che lo circonda. Scopo
primo, aspirazione prima d'ogni anima religiosa è
di concentrare tutti i desiderii, tutti gli affetti in
Dio. Di qui l'isolamento, di qui la necessità della
vita monastica.
Gli asceti parlano a Dio in diverse maniere, odo-
randOy prosternandosi ^ assorti in visione e pregando,
e in tutte queste diverse vie possono cadere in
estasi.
Più l'asceta si isola e più si innalza nel mondo
fantastico e più tende ad innalzarsi. Ognuno di
essi ripete col Salmista:
" Chi mi darà le penne come aJìa colomba ond' io
possa volare e riposare fy,
L'ESTASI RELIGIOSA 237
*
L'estasi religiosa non è facile, né possibile a
tutti. Conviene innanzi tutto avere una fede si-
cura, incrollabile nell'esistenza delle creature che
adoriamo, poi si deve essere in uno stato di grande
esaltamento, di somma eccitabilità, in condizione
di nervosismo o, come si suol dire in linguaggio
volgare, di isterismo. E siccome la vita ascetica
esige digiuno, veglia, grande mortificazione d'ogni
desiderio, d'ogni bisogno fisico ; così la debolezza
aumenta l' iperestesia e l'eccitabilità ; e allucina-
zione, sonnambulismo, catalessi si alternano e si
succedono, presentandoci quadri sublimi o grot-
teschi, spesso grotteschi e sublimi in una volta
sola.
n volgo chiama questi fatti col nome di mira-
coli: la scienza li spiega colla fisiologia del sistema
nervoso. Le recenti scoperte sull'ipnotismo hanno
aperto su questo terreno orizzonti nuovi e smisu-
rati. Perfino l'odore di santità non è più una fa-
vola o una frode.
^ La nostra pelle emana, nei parossismi di paura,
di amore, di collera, odori particolari. Così vi
238 CA.PITOLO IX
sono donne che emanano odore di violetta o di
ambra e nel parossismo erotico odore di ozono.
Orbene, nella crisi ascetica , nelF estasi religiosa
alcuni santi emanano profami intensi e aggrado*
voli. Lo vedremo in Maria degli Angeli.
Isolamento, assorbimento di tutti i pensieri, di
tutti i sentimenti in un solo amore concentrato
verso un essere invisibile e a cui si attribuiscono
tutte le perfezioni , tutte le grandezze , tutte le
forze della natura e deir anima umana. Ecco il
terreno da cui si innalza l'estasi religiosa.
Nulla rassomiglia più all' amore nei suoi gradi
più alti quanto l'estasi religiosa.
Eccone l'espressione:
Maria degli Angeli è sempre tormentata dal-
l'idea di non poter amare abbastanza il suo Dio.
Vengo dalV amare, vado aW amore, penso aW amore e
tutto fa per Vamore Oh Dio, amarvi tanto e tro-
varmi in potere di o/fendervi!
Due anni prima della sua morte, il primo dì
della Kovena di Santa Teresa, essendosi accostata
alla S. Comunione, le apparve il suo diletto Gesù
MARIA DEGLI ANGELI 239
tutto risplendente di gloria, con volto dolce ed
amorevole, il quale bì le disse: Diletta mia, mi
ami tuf a eni ella tutta inebbriata d' amore non
potè rispondere altro, se nonché: Ab, Signore, se^
vi amo! Ed egli allora: Godi, o figlia, di mia pre-
senza, perchè la godrai per tutta l'eternità.
Fin nelle ultime ore della vita essa non parla
ohe d'amore.
Caro Gesù, se volete darmi più da patire, date-
mene ancor più, solo vi chieggo che mi lasciate
la testa libera, acciocché io possa amarvi fino al
fine. Del resto fate di me quanto vi piace.
Dio è sempre chiamato dalle estatiche sposo
celeste.
Anna Caterina Emmerich scrive:
Io mi era data interamente al mio sposo celeste,
ed egli dispose di me come volle.
Veduta la topografia dell' estasi religiosa , fac-
ciamo l'analisi dei suoi diversi momenti, o almeno
dei suoi elementi caratteristici, studiando a parte
a parte Vadoraaione, la prosternaaiime, la visione e
la preghiera, — La sintesi ci si presenterà spon-
240 CAPITOLO IX
tanea, uatarale in santa Teresa e in altre sue
consorelle.
L'Adorazione. — L'adorazione è un amore in-
tenso, ardentissimo che va a braccetto di un' alta
ammirazione : spesso 1' accompagna non chiamata
anche la paura o almeno quo^lcosa che molto le
rassomiglia. Nel mondo terreno adorare è il super-
lativo (V amare; nel mondo religioso adorare è la
forma solita, ordinaria dell'amore, che si prova per
Dio e le altre creature soprannaturali create dalla
nostra fantasia.
Non ammettere nell'adorazione l'amore vuol dire
fraintendere del tutto l'adorazione ascetica. In ogni
preghiera, dal padre-nostro che balbetta il bambino
senza intenderlo fino all'inno sacro del più grande
dei poeti religiosi, l'amore informa e dirige tutte
le altre emozioni.
Dante, che ad onta di esser teologo sapientis-
simo, era profondo conoscitore del cuore umano,
perchè sommo poeta, nel Canto ottavo del suo Far
radiso " ascende nella SMlu di Veliere che abbellu il
L' ADORAZIONE 241
terzo délo e vede la glorm di coloro che già furono
proclivi alle amorose passioni. „
Io non m'accorsi del salir in ella:
]Ma d'esservi entro mi fece assai fede
La Donna mia, ch'io vidi far più bella.
£ come in fiamma favilla si vede
E come voce in voce si discerne,
Quando una è ferma, e l'altra va e riede,
Vid'io in essa luce altre lucerne
Muoversi in giro, più e men correnti
Al modo, credo, di lor vista eterna.
Dante, che aveva divinamente cantato gli amori
di Paolo e Francesca, non solo non esclude dal
suo Paradiso " coloro, che già furono proclivi alle
amorose passioni „ ma canta l' amore divino con
forme sublimi, che tentano V impossibile impresa
di portare in un mondo immaginario le passioni
più alte del cuore umano.
Ben aveva egli ragione e diritto di chiudere il
suo Paradiso e V immortale suo poema con quel
verso, mille volte citato dagli amanti per giusti-
ficare sé stessi e dai giudici per difendere i pec-
cati d'amore:
L'Amor che muove il Sole e l'altre stelle.
Estasi umane. 1^5
242 CAPITOLO IX
L' adorazione di Dio è nna delle tante quadm-
ture del circolo, che tormentano e tormenteranno
eternamente il pensiero umano.
Qual'è 'I geometra, che tutto s'affigc.
Per misurar lo cerchio o non ritmo va,
Pensando, quel principio onrrefi:li indiìje.
Si tratta per noi, uomini di razza alta e mono-
teisti, di amare una creatura che non si vede, che
non si tocca, che non ha membra, che non ha
corpo , che è il ^padre e il creatore di tutte le
creature; si tratta di amarla al disopra di noi
stessi e di tutte le persone a noi più care.
n volgo adora Dio sotto forma di Cristo o più
raramente sotto forma del Padre eterno o dello
Spirito Santo, ma l'occhio allora si riposa sempre
sopra un martire di sovrumana bellezza, o sopra
un vecchio venerando o sopra una colomba che
aleggia fra un'aureola di luce. Dove rocchio vede,
l'amore può riposare e può accarezzare, può strin-
gere e può baciare. Il credente infatti bacia le
sante immagini e io ho veduto i cattolici baciare
il piede di bronzo di San Pietro in Eoma collo
stesso fervore con cui gli Indù baciano un fiore
di loto scolpito nella pietra in un tempio di Be-
1/ ADORAZIONE 243
narcs (1). E il piede di bronzo e il fiore di loto
sono egualmente consunti dai baci devoti, ma pur
sempre innamorati di milioni di credenti , oggi
ridotti in polvere.
I veri santi, poeti della religione, e i veri poeti,
i santi dell'estetica, hanno però tentato di adorare
an Dio senza forma, e sulle ali della fantasia lo
immaginarono tutto luce e tutto splendore. Citerò
I)er tutti santa Teresa e Dante.
Più innanzi leggerete la visiono di Dio avuta
dalla santa estatica di Avila e nell'ultimo canto
del Paradiso avete la visione di Dio fatta dal
grande ghibellino. Ebbene, una donna che sale per
forza di fede e di esaltazione alle piti alte vette
dell'ideale pensabile, giunge alla stessa altezza del
poeta innalzato dalle ali del genio potente; ma si
può dire con facile franchezza che entrambi erano
impotenti a tanto volo.
Ma non eran da ciò le proprie penne,
Se non che la mia mente fu percossa
Da un fulgore, in che sua voglia venne.
Airalta fantasia qui mancò possa.
(1) Mantegazza. India
244 CAPITOLO IX
A santa Teresa Dio appare oome un diamante
insignificabilmente translaoido e ancor più grande
dell'universo tutto, ovvero come uno specchio (l)-...
E al nostro Dante appare così:
Cosi la mente mia tutta sospesa
Mirava fìssa, immobile ed attenta
E sempre di mirar faceasi accesa,
A quella luce cotal si diventa
Che volgersi da lei, per altro asi)etto,
É impossi bil che mai si consenta.
Nella profonda e chiara sussistenza
Dell'alto lume parvermi tre giri
Di tre colori e d^una contenenza:
E l'un dell'altro, come In da Iri
Parea riflesso e '1 terzo parea fuoco,
Che quinci e quindi egualmente si spiri.
Santa Teresa e Dante vengon meno egualmente
all' ardua impresa , e il genio dell' uno e l' estasi
dell' altra mostrano nella stessa maniera la loro
impotenza.
Oh quanto è corto '1 dire e come fioco
Al mio concetto! e questo a quel ch'io vidi,
È tanto che non basta a dicer poco.
\ì) Vedi cai)itolo seguente.
■
f
l'adorazione 245
L'adorazione per Dio e le cose celesti è nna
forza infinita che non si esaurisce mai, perchè non
si tradace in lavoro utile. É una forma ancor più
alta dell' amor platonico , perchè oltre ad essere
senza sensualità alcuna, non è diretta mai a crea-
ture umane o antropomorfe. É un' aspirazione
etema, perchè rivolta a un essere eterno; infinita
perchè poggia nel vuoto della forma e del tempo
e non ha per orizzonte che una speranza di fon-
dersi coli' ente amato al di là della tomba. Oggi
l'impossibile, domani, posdomani, sempre l'impos-
sibile; ma oltre la vita terrena tutto il i)osses8(>
di Dio, la beatificazione della creatura, il paradiso.
Per quanto però il credente che adora poggi la
sua acrobatica sopra un punto di trascendente
tenuiti^, pure egli non cessa per questo di essere
uomo e ama coi sensi, colle viscere, col cuore; non
potendo adoperare un altro corpo , altri organi ,
altri affetti per adorare l'invisibile. Di qui la mi-
mica dell'amore divino che è la stessa di chi adora
ammirando le creature della terra, di qui lo stesso
linguaggio infuocato, poetico, sublime. Due lunghi
capitoli ho dedicato più innanzi allo studio di
santa Teresa e di altre celebri estatiche, e voi
potrete persuadervi che nessuna cosa più rasso-
miglia all'amore quanto l'estasi religiosa. Soppri-
mete la parola di Cristo, della Beata Vergine, del
246 CAPITOLO IX
Sacro Cuore, ecc. e mettete nel loro posto Al-
fredo o Arturo, Pietro o Paolo, e voi avrete sotto
i vostri occhi pagine ardentissime di corrispon-
denze amorose.
Uno studio comparativo e diligente delle estasi
di santa Teresa e delle pagine più trascendenti del
FaradUo dantesco darebbe preziosa materia per la
psicologia comparata dei due sessi. Noi vedremmo
lo stesso sentimento portato allo stesso grado nel-
l'uomo e nella donna presentare forme e atteg-
giamenti diversi per la varia natura psichica del-
l'uomo e della donna.
Nelle adorazioni della donna vi è più affetto,
in quelle dell' uomo più ammirazione. La donna
adora Dio con un' alta sensualità, con tenerezza,
con passione; 1' uomo lo adora con venerazione,
con stupore, con più intelletto che amore. L'ado-
razione per il Sacro Cuore di Gesù, come vedre-
mo più innanzi, non poteva essere immaginata
che da una donna, e se santa Teresa avesse scrit-
to il Fti/radiso della Divina Commedia ci avrebbe
dato un poema più intelligibile, più caldo, ma
meno teologico. La donna nell' adorazione di Dio
mette tutta la sua potenza smisurata di amante,
tutti gli eroismi della maternità e del sagriflcio.
Ed è anche per questo, che adorando, cade più
spesso di noi in estasi. Uomini e donne poi non
L' ADORAZIONE 247
possono adorare fino al rapimento, che ad an
patto solo, quello di essere assolutamente casti.
È allora che sant' Antonio vede le donne ohe di-
ventano angeli, è allora che una santa grida:
Basta, basta, non pik /... La più trascendente delie
forze umane, l'amore, si trasforma in una adora-
zione dell'invisibile e alimenta il sacro fuoco con
un combustibile che non cessa che colla vita.
Portare gli uomini in cielo per adorarli in pa-
radiso o far scender gli Dei in terra per avvici-
narli al nostro cuore è la stessa cosa; e noi ci
prosterniamo dinanzi alla donna amata così come
il credente che adora, si inginocchia davanti ai-
altare. Si può immaginare altro, ma non si può
far che questo: inginocchiarsi e adorare. Una
stessa mimica, una stessa espressione, perchè il
sentimento è lo stesso : amore, sempre amore,
nuiraltro che amore.
L'amor che muove il Sole e l'altre stelle.
Nell'adorazione Testaci ascetica incomincia, come
in tutti gli altri rapimenti, quando l'ammirazione
dei particolari si dilegua poco a poco per cadere
248 CAPITOLO IX
nell'ipnotismo di una sola sensazione. Prima si
ammira e si esalta l'onnipotenza, l'onniscienza, la
misericordia, la divina bontà e clemenza, la trar
scendente bellezzsi. dell' Essere supremo; poi di-
staccati poco a poco dalle singole contemplazioni^
siamo rapiti nell' estasi di un' ammirazione sola.
Noi nella polvere, col capo piegato sul corpo, col
corpo piegato in due quasi ad occupare il minor
spazio possibile; gli occhi soli in alto per non
perder di vista la divina visione. Lui in alto, dove
le nostre mani non giungeranno mai, lui ravvolta
in un manto di luce, dove soli e stelle sono tra-
punti come gemme in un velo di sposa regale.
Lui che tutto assorbe l'universo pensabile, lui che
ci fonde in sé, come atomi di polvere rapiti in
un turbine di meteora, come gì anello di sale che
si discioglie nell'oceano. ISoi piccolissimi, ma quasi
superbi e contenti di quella infinita piccolezza che
ci permette di essere assorti dal Tutto, dal Crea-
tore di ogni cosa, che possiamo amare d' amore
infinito, perchè egli ama egualmente tutte le
creature.
Che povera e miseranda cosa sembrano a noi
gli amori terreni in quell'estasi divina I Qual Ve-
nere Urania può rivaleggiare colla Divinità; qual
corpo di uomo o di donna può rivaleggiare cogli
amori di Dio? Nella nostra sublime adorazione
• .
ESTASI ASCETICA 249
nei non amiamo pii^ una creatura, che per quanto
è bella, è caduca come noi, come noi ha membra
e malattie, come noi vive e muore. Noi non amiamo
più una creatura bella, ma la bellezza stessa ; noi
non amiamo più l'uomo forte o la donna gentile,
ma adoriamo la forza delle forze, la grazia, la
sapienza, la bontA in tutta la sua perfezione.
I grandi pittori del medio evo, e fra i moderni
Ary Scbaffer, hanno saputo tracciare sulle loro
tele immortali l'immagine sublime dell'adorazione
dei santi per Dio e le altre creature celesti, e
forse più d'ogni altro Fra Beato Angelico, dando
ai suoi angeli molte ali e il meno possibile di
corpo ha raffigurato fedelmente Testasi d'adora-
zione eh' egli stesso aveva tante volte provato. I
suoi angeli furono pensati e veduti nell'estasi
ascetica e il frate dovette più volte lasciare il
pennello e gettarsi prostrato sull' inginocchiatoio
per adorare Dio e rivedere i suoi angeli !
La Pkosteenazione. — L'adorare implica quasi
necessariamente la prosternazione, che altri chia-
mano anche dedizione, umiliazione della creatura
al Creatore.
250 CAPITOLO IX
Questo prosternarsi non ò soltanto una espres-
sione di umilti\ cristiaui^k, ma è forma naturale
d'ogni grande amore. E quest' espressione non fu
abbastanza studiata dai psicologi, i quali per que-
sta via avrebbero potuto addentrarsi molto pro-
fondamente nello studio dell' amore e dell' estasi
ascetica.
Molti critici troppo severi (e per {Missione in-
giusti) della religione cristiana, la dissero pregna
di bassezze e di viltà, appunto perchè nell^umiltà,
nella prosternazione, neiringinocchiarsi continuo
non vedevano altro che una rinunzia all' umana
dignità, un annullamento di sé stesso dinanzi a
ignote e misteriose potenze soprannaturali. E$si,
studiando meglio (sine ira et studio^ avrebbero ve-
duto che la prosternazione prima di tutto non è
umiliazione, e che si prosternano gli amanti ai
piedi della donna amata senza credere liiai di av-
vilirsi o di prostituirsi; e men spesso, ma anche
le donne innamorate si inginocchiano ai piedi
dell'uomo amato, non per implorare, ma per ado-
rare, per ringraziare, per soddisfare un bisogno
irresistibile del loro cuore. E tutto questo si fa
spontaneamente , per impeto di natura; non per
ubbidire ad alcuna legge scritta, civile o religiosa
€he sia.
Se noi sentiamo il bi8iig»o prepotente di met-
f
LA PROSTERNAZIONE 251
terci ai piedi di una creatura amata, e prima e
dopo d'averla fatta nostra, con mille ragioni il
eredente, anche non insegnato, si prostra dinanzi
all'altare o all'idolo o all'immagine di Dio, veduta
80I0 cogli occhi del pensiero e senza alcuna bas-
sezza o viltà, si umilia, trovando che Dio gli ap-
pare tanto più grande, quanto più egli si fa pic-
cino.
Un grande amore, umano o divino, è sempre
l'attrazione di due cose distinte che anelano, che
ardono di divenire una cosa sola; un grande
amore è sempre la fusione di due forze diverse che
irresistibilmente si fondono in una forza sola. Ora
ogni amante sogna anche nei più casti desiderii
di fonder due anime in un' anima sola, due pen-
sieri in un solo pensiero, due coscienze in una
coscienza sola. E così il credente si impicciolisce
materialmente, piegando le membra le une sulle
altre, e si impicciolisce idealmente col farsi pic-
cino, onde essere assorbito tutto da Dio e con-
fondersi in esso, diventando una sola sostanza con
lui. Che ogni punto della Divinità ci tocchi, che
ogni punto di noi sia immerso, sprofondato, as-
sorbito in Dio, è questa la ragione vera e quasi
anche l'unica ragione del prostrarsi dinanzi al-
l'altare.
Possedere ed essere posseduti, formola prima
252 CAPITOLO IX
ed ultima, scheletro psicologico d'ogni amore. B
perchè amiamo noi con tanta passione i piedi pic-
coli, le mani piccole, breve l'equatore che passa
intorno al corpo delle nostre donne ? Perchè è là
che noi prendiamo possesso dell'oggetto amato, e
più si fonde e scompare nella nostra mano la
mano di lei, il piede di lei, e più pieno e più com-
pleto è il monile che cinge il nostro braccio in-
torno alla vita di lei, l'assorbimento è più com-
pleto.
Finché noi stiamo in piedi, finché teniamo la
testa alta, finché ingrandiamo coi muscoli e col
pensiero la superficie del nostro Io, noi non pos-
siamo essere né posseduti né assorbiti ; non pos-
siamo né possedere né assorbire. L'energia, l'orgo-
glio son forze, non sono dedizione né assorbimento.
L' orgoglio è il più grande isolatore di questo
mondo, e per amar molto, per amar bene conviene
che r orgoglio sia tutto quanto sagrìficato all' a-
more. Finché l'io parla forte, non può divenir Tu,
e perché l'io e il Tu si fondano, si confondano e
si abbraccino per divenir Noi, conviene che l'io
d'ambo le parti si impicciolisca, sfumi e si disciolga
nell'estasi d'una sola sensazione, d'un solo affetto,
d'un solo pensiero. Finché l'orgoglio tiranneggia,
nessun grande amore è possibile, nessuna estasi
ascetica è possibile.
LA PROSTERNAZIONE 253
Ecco perchè il Cristo diceva: non entreranno
nel regno dei cieli che i piccini, ecco perchè egli
faceva dell'amiltà cristiana uno dei primi precetti
della sua religione.
La più grande delle vittorie d'amore, il più
grande dei trionfi ascetici è la vittoria dell'amore
sull'orgoglio, la più tenace, la più longeva, la più
tirannica delle umane passioni. Così come nei
primi tempi del cristianesimo fa veduta una cor-
tigiana o una regina affascinata dalle parole di
fuoco d'un apostolo del Cristo deporre sull'altare
del nuovo Dio i monili, le gemme, le seriche vesti
e poi infine gettarvi anche gli idoli degli antichi
Dei, ultimo e più difficile omaggio al vincitore;
cosi nella prosternazione il credente, dopo avere
aagrificato le pompe della terra, i desiderii della
carne, le tenerezze del cuore, si strappa dalle vi-
scere l'ultimo (perchè primo) degli Dei penati,
che è l'orgoglio, e da quel momento si raggiunge
la più alta vetta dell'adorazione. L' orgoglio è
morto: Satana boccheggia e muore sotto i piedi
dell'Arcangelo.
Il sagrifizio non è facile e si compie non senza
dolore, ma il credente che l'ha compiuto, intera-
mente, senza reticenze e senza sottintesi, è come
colui che dopo aver attraversato le torture d'una
crudele operazione, si sente sollevato e felice. Vi
254 CAPITOLO IK
è una strana, una nuova, un'affaacinatrioe voluttà,
nel sentirsi uno zero (lavanti al milione, di sen-
tirsi un atomo in mezzo al Cosmo, eli sparire nel-
rinfinito, pur serbando la coscienza di esser ancora
vivo e di essere un nulla per volontà propria, per
libera elezione.
Questo fenomeno, di cui mi studio di mostrarvi
rintima essenza, non è naturalmente così semplice^
com'io per meglio studiarlo, l'ho ridotto. All'umi-
liazione cristiana si associano altri elementi di
ordine etico e mistico. Il cristiano che si prosterna
si duole di aver peccato, di avere offeso il Dio che
adora, e l'annientamento volontario si fa sempre
più intenso, rafforzandosi col rimorso, col desiderio
di migliorare , coli' aspirazione del meglio e del-
l'ottimo.
Tutto questo però non è né facile, né comune,
e non ci si arriva che attraverso una lunga edu-
cazione ascetica. Si vantino pure molti uomini di
non aver mai piegato il ginocchio davanti ad una
donna: io li compiango, perchè dell'amore essi non
hanno conosciuto che la buccia. Deridano gli scet.-
tici superficiali le genuflessioni dei veri credenti.
Essi ridono e. rideranno in eterno di ciò ch'essi
non hanno facoltà di comprendere. Io intendo be-
nissimo chi non crede e non ha bisogno di credere
nel mondo degli spiriti. Non credo, né crederò mai
LA PROSTERNAZIONE 255
nella fede di chi prega senza inginocchiarsi, di chi
non ha nella chiesa o accanto al proprio letto nn
inginocchiatoio per adorare e per prosternarsi.
Nella pratica della vita ascetica l' estasi delibi
prosternazione difficilmente si distingue da quella
dell'adorazione: più spesso i due elementi si in-
trecciano e si confondono, formando una cosa sola.
È il diverso carattere psichico delFindividuo, che
fa prevalere or V uuo ed ora V altro dei due ele-
menti. La donna piò. spesso si prosterna, l'uomo
più spesso adora. I deboli, gli infelici, i vecchi, i
tanti feriti e mutilati delle battaglie della vita più.
spesso si umiliano; mentre i fortunati, i felici, i
giovani invece adorano più spesso di quel che si
prosternino. La religione gaia, serena, olimpica dei
Greci doveva avere più adoratori che gente pro-
strata, mentre i popoli vecchi che ancora credono,
ai inginocchiano più volontieri e nella prosterna-
zione possono aver occasione di rapimento.
*
Ite >^
Colla parola unica di prosternazione io ho inteso
significare l'elemento principale che informa questo
fenomeno della vita ascetica; ma il credente esal-
256 CAPITOLO IX
tato non si accontenta mai del piegar le ginocchia,
ma tormenta la fantasia per tormentare il proprio
corpo, per umiliare sé stesso in tutte le possibili
maniere. Dall' esaltamento si passa per gradi alle
più folli espressioni della patologia psichica.
Tutti conoscono le torture alle quali si son sot-
toposti i martiri di ogni religione: i dervish del-
l'India, i santoni dell'islamismo, i santi del cristia-
nesimo. Ne vedremo più innanzi parecchi esempi,
ma il farne un catalogo completo sarebbe lo stesso
che dar fondo alle mille combinazioni del caleido-
scopio della più sbrigliata e pazza fantasia.
Vestire il saio più ruvido e flagellarsi le mem-
bra a sangue, piantarsi dei chiodi nelle piante
dei piedi e coprirsi di cenere, mangiare quando
si ha sete e bever quando si ha fame, sopportare
fame e sete fino a svenirne, e portare calzari che
fanno piaghe e lavare le piaghe dei più sudici
malati e farsi calpestare dai piedi di tutto un
convento e rimanere immobili sopra una colonna
per anni e infine sognare le più pazze torture per
offrirle a Dio , è un nulla per gli asceti d' ogni
religione.
Tutti questi tormenti non sarebbero possibili
senza quella fede che fa muovere le montagne,
senza quello stato di ipnotismo, che è la condizione
essenziale d'ogni estasi religiosa, senza quell'ane-
I MABTIRn VOLONTARH 257
m
Btesia incompleta o completa che l' accompagna
così spesso. Non soltanto questi martiri che £Eu:eb-
bero ridere, se non ispirassero una grande com-
passione, possono non sofiHre dei loro dolori, ma
goderne: e i pittori, dipingendo il sorriso dei santi
sul cavalletto della tortura o sotto la mannaia del
carnefice, sul rogo o fra le spine, non hanno in-
Ycntato, ma dipinto fatti veri e che possono rin-
novarsi anche oggi, là dove fede e fanatismo si
danno la mano.
4 !•
La visione ascetica. — Adoratori e proster-
nati,
^ Colle ginocchia della mente inchini „
noi non possiamo mantenerci in quello stato di
ipnotismo estatico, senz'esser presi da allucinazioni
o da visioni. Visioni, se. assistiamo ad esse, sapen-
dole immagini della mente; allucinazioni, se le
prendiamo per vere e non correggiamo coUa ra-
gione Terrore dell'ipnotismo.
Nell'estasi ascetica, a forza di isolarci dal pas-
Estcun uman^, 17
258 CAPITOLO IX
sato e dal presente che oi circonda, a forza di
pensare un solo pensiero, di ardere d'nn solo
affetto, noi siamo in pieno ipnotismo, e chinse le
porte del mondo terreno, noi vediamo apriroLsi
davanti le porte del cielo. Un intero velame non
basterebbe a descrivere tutte le visioni dei santi
e di tatti i fervidi credenti, che anche senz'esser
santificati, dedicano il meglio del loro tempo e
delle loro forze a viaggiare al di là del mondo
reale. Meglio che dare una lunga e sterile enumera-
zione di fantasimi ascetici sarà il classificarli in
grandi gruppi, lasciando che il lettore ne trovi
pochi esempii pratici nei capitoli seguenti.
* 4>
Quanto alla natura le visioni ascetiche sono
semplici e composU,
Le prime non sono che immagini tolte dal mondo
delle reminiscenze, dai quadri, dalle statue, dalle
descrizioni lette nei libri sacri. La fantasia è poco
alata nei più dei credenti ed essi non possono
rivedere in visione che ciò che hanno veduto cogli
occhi del corpo. Non v'ha nulla di diverso in queste
visioni di quanto ci appare ogni giorno , quando
v^^^
LA VISIONE ASCETICA 369
volontariamente o involontariamente ci appaiono
i fantasmi del passato o di cose lontane. Siccome
però anche nelle piccole estasi religiose vi è sem-
pre nno stato di esaltamento , le immagini delle
visioni tendono a colorirsi dei colori più vaghi, a
incoronarsi di aureole , di razzi , di iridi lampeg-
gianti.
Le visioni composte sono quelle, nelle quali la
fantasia entra in gran parte a combinare le im-
magini e vi aggiunge di proprio la cornice del
quadro e anche figure npn mai vedute. Si vede
Dio o la Beata Vergine o uno dei mille santi del-
l'Olimpo cristiano; ma si vedono intorno alle figure
principali angeli , arcangeli , cherubini , tutte le
creature alate del paradiso. E tutte queste crea-
ture immaginarie entrano in azione come se fos-
sero vive e rappresentano scene delle tradizioni
religiose o create di sana pianta dalla fantasia
del credente estatico.
Un carattere singolare e tutto speciale delle
visioni ascetiche è quello di presentare un fiume,
un oceano, di luce. Son raggi , son aureole , son
fiamme, è fuoco, ma è sempre luce; luce copiosa,
sfavillante, inebbriante. A santa Teresa Dio ap-
pare come un diamante più grande dell'universo,
e Dante vede nella Divinità, luce, fuoco, iridi, di-
versamente combinati tra di loro. Anche Anna
260 CAPITOLO IX
Caterina Emmerioh in una delle sue sante visioni
vede Adamo ed Eva, tutti splendenU, vestiti di raggi
come d'un velo.
*
La fisiologia moderna ci ha insegnato ohe i
girini della rana sottratti alla luce non possono
più subire la metamorfosi che li cambia in animali
perfetti, cioè in rane; ci ha mostrato ancora come
la luce sia un eccitante della combustione orga-
nica, un acceleratore di molte fra le funzioni vi-
tali, ma fin qui non si è ancora studiata l'azione
ohe la luce esercita sul pensiero e sul sentimento.
Eppure quest'azione è immensa e tale da lasciare
traccio profonde nelle arti e nella letteratura di
tutto un popolo. Lo stesso uomo pensa cose diverse
nelle tenebre, ad una luce crepuscolare, e sotto i
torrenti abbaglianti della luce estiva. Molti suicidi
sarebbero ancora vivi, se un dato giorno fosse
stato sereno e non uggioso e oscuro per ana densa
nebbia. Io stesso, che sto scrivendo sulle visioni
ascetiche, sarei quest'oggi più caldo scrittore, se
il mio mare e il mio cielo che vedo dalle tre fi-
nestre del mio studio non fossero bigi come il
piombo.
T»--*
LUGB E PBNSIEBO 261
La laoe è una seconda atmosfera più sottile,
più larga, più alta ohe abbraccia quell'altra che
è fatta di aria; e mentre questa non lambe che
la nostra pelle e penetra nei nostri polmoni e per
questi. in ogni tessuto bagnato dal nostro sangue;
la luce sembra penetrarci nel cervello, nel midollo
spinale, nei nervi, in modo da imbevere tutto
quanto l'organismo interiore che diciamo anima.
In mezzo alla luce diveniamo trasparenti e lucenti,
nelle tenebre siamo opachi; trasparenti o opachi
non per i nostri occhi, ma per quell'altra vista
con cui l'Io vede sé stesso. Senza luce tace ogni
forma della vita, ma tace anche il pensiero, dorme
anche il sentimento. Anche i ciechi la sentono e
l'assorbono, e se non fossero figli di uomini che
si bearono dei raggi del sole per secoli e secoli,
non sarebbero vivi.
Quand'io scrivo, o penso o amo, senza guardare
il cielo, so benissimo quando il sole mi bacia di-
rettamente o quando una nuvola me lo occulta,
e quando il vento col giuocare delle nubi mi dona
e mi toglie la luce con intermittenza, io sento il
palpito della vita che si accelera e si rallenta;
mi sento morire e rinascere, sonnecchiare e rivi-
vere. E questo sentono tutti, con diversa misura,
quanti uomini hanno nervi.
Questi gli effetti più elementari, più semplici
262 CAPITOLO JX
della Inoe; ma qui non finisce la sna inflaenza.
Così come abbiamo sostanze che imniagcuszinano
(come dice la scienza con barbara parola) la luce,
così il nostro sistema l' assorbe e la ritiene, spri-
gionandola sotto certi stimoli esterni e intemi. E
di quella luce noi ci serviamo a dipingere le im-
magini più gaie e più belle della nostra fantasia
e tanto più di luce rendiamo quanto più ne ab-
biamo assorbita. Provatevi a numerare quante
volte Dante cita la luce e le sue forme neir l^i-
femo e nel Paradiso e vedrete e toccherete con
mano la differenza dei due mondi, nei quali il di-
vino poeta voleva condannare i colpevoli, beatifi-
care i virtuosi. Noi ci figuriamo luminoso tutto
ciò che è bello e sovrumano; oscuro tutto ciò che
è brutto e vile. Dio è in cielo e il demonio è sot-
toterra; è il re delle tenebre. Serenissimo, illu-
strissimo, fratello del sole, sono i più alti super-
lativi del dizionario laudativo, mentre anima nera
è l'ultima espressione del nostro disprezzo. Figli
del sole, come tutte le altre creature del nostro
pianeta, rendiamo al padre nostro il tributo di
una etema riconoscenza, da lui battezzando la
gloria, la donna amata, tutto ciò che è grande o
ci è caro.
Ecco perchè le visioni ascetiche sono tutte lu-
minose, splendidissime, e non diventano oscure e
LA VISIONE ASCETICA 263
tenebrose, ohe qnando la fantasia stanoa e esau-
rita passa dal mondo della luce agli abissi del-
l'oscurità. L' abbiamo già veduto nelle prime pa->
gine del libro, lo vedremo più innanzi nella storia
dei santi. Bicorsi psichici di mirabile armonia e
che ci fanno sperare di veder chiaro e di veder
giusto in quelle profondità misteriose che si chia-
mano l'umana coscienza.
*
* *
n sonnambulismo, il delirio, le convulsioni, le
emorragie capiUari della pelle (stigmate), la cata-
lessi ed altri fenomeni, che appartengono alla
patologia, possono complicare Testasi religiosa,
ma non sono necessarie condizioni del rapimento.
Kel principio del libro ne abbiamo parlato e non
occorre ripeterci
Il lettore troverà più innanzi, nella storia di
alcuni santi; esempi di questi profondi turbamenti
della . vita, che circondarono la storia di quelle
creature di tutto il fascino della meravigliosità e
del miracolo.
L'estasi è sempre uno stato eccezionale, che
non può durare, a lungo né ripetersi spesso senza
264 CAPITOLO IX
trascinar seco in simpatia di turbamento molti
organi e con essi molte funzioni della vita psichica
e vegetativa. L' estatico non è pazzo, ma è sulla
frontiera mal definita, dove le cose alte e bassis-
sime si toccano, dove la fantasia può toccare la-
follia ragionante, dove il genio e la follia si toc-
cano davvero, non come vorrebbe trovar sempre
e dapertutto il mio amico Lombroso.
La Preghiera. — £) assai difficile fare un'ana-
lisi scientifica del processo psicologico della pre-
ghiera, fenomeno molto complesso del pensiero e
del sentimento, nel quale possono entrare tutti
gli elementi dell'estasi religiosa, che abbiamo esa-
minati ad uno ad uno nelle prime pagine di questo
capitolo.
La prima preghiera fu fatta da un uomo che
soffriva e domandava, e fu diretta al sole, alla luna
o agli idoli, nei quali egli personificava le forze
della natura. Chiedere vuol dire umiliarsi, vuol
dire mostrare amore per chi si implora, vuol dire
oflftire sé stesso o le proprie cose per ottenere la
grazia desiderata. Più tardi collo svolgersi del
processo religioso non si rivolse più la preghiera
LA PREG^HrEBA 265
agli astri o agli idoli, ma a Dei invisibili più o
meno antropomorfi, ora raffigurati dal pennello o
dalla stecca, ora ridotti amorfi dall'adorazione
iconoclasta. Innalzati gli Dei coli' innalzarsi del
pensiero in regioni più ideali, allargato il tempio
per farvi capire sentimenti più alti, la preghiera
rimase sempre la stessa ìiella sua essenza e tutte
le infinite forme che ci presenta nelle diverse re-
ligioni e nei tempi diversi si rannodano poi sempre
alFetimologia antica, che ci insegna che pregare
vuol dire domandare.
Domandare vuol dire quindi aver bisogno, vuol
dire sperare, implorare dai forti, dal fortissimo
dei forti , ciò che noi non possiamo conseguire ;
vuol anche dire ringraziare quando si ha ricevuto,
amare chi ci ha datò, sprofondarsi in una in-
tensa adorazione, fatta di speranza, di ricono-
scenza .e di ammirazione.
È difficile il ridurre a cifre brutali tutte le
somme di felicità e di conforti che Tuomo in
tutti i tempi ha conseguito colla preghiera; e molti
suicidii furono evitati, e molti delitti rimasero in
potenza e morirono appena pensati, e molte be-
nedizioni della vita furono dispensate all' umana
famiglia da chi aveva fede per pregare. Aveva
ben ragione santa Teresa di dire nel suo impeto
ascetico :
266 CAPITOLO IX
" Promettetemi di fare ogm dì un quarto d'ora di
orazione ed io vi prometto il ci-elo. ^
La santa spagnuola intendeva parlare del cielo
al di là della tomba, ma oon eguale verità avrebbe
potato parlare del cielo in terra o della felicità.
É naturale che io non parlo qui della preghiera
divenuta rito meccanico, ' brontolìo di parole che
non si intendono, perchè dette in latino o peggio
ancora in linguaggio metafisico. Quando l'orazione
è ridotta a queste forme mummificate, vai meglio
come i Tibetani far girare la macchinetta da pre-
gare e incaricare il mulinello di orare per noi. Io
qui non parlo che della preghiera vera, calda,
ascetica, che prima di prostrare il corpo, prostra
il pensiero; che prima di farci piegare le ginoc-
chia, ci piega TafiPetto e ogni nostra energia psi-
chica dinanzi a Dio o ad uno dei suoi intercessori.
* *
Per i teologi la preghiera è una elevazione a
Dio deUe tre facoltà naturali dell'anima, memoria,
intelletto e volontà, e con applicazione a proprio
ed altrui vantaggio della mente, del cuore e del-
l'albione dell'uomo.
LA PEBGHIERA 267
n Padre Camillo Mella nelle sue Illuairaziani
alla Istoria della propria vita di santa Teresa ci
presenta in nn compendioso e lucido specchio il
metodo di pregare insegnato da sant'Ignazio. Ecco
lo scheletro teologico di^uno dei più alti fenomeni
psichici.
PRBLUDn.
I. Orazione preparatoria. — Atto di raccogli-
mento, di viva fede, d'adorazione, d'umiltà e simili.
II. Composizione di luogo. — L' anima per ar-
restarsi e star raccolta e apprendere più viva-
mente ciò che mediterà, si compone, brevemente
e senza sforzo, come un quadro di una scena che
noi vogliamo, del mistero o soggetto che deve
occuparla.
ni. Domanda. — Di lumi e grazie speciali a
ben fare la meditazione propostasi, ad applicar-
sene gli insegnamenti, a trarne lumi, rivelazioni,
forza, coraggio.
Meditazione.
I. La memoria pone innanzi all'anima i fatti
o le verità, soggetto dell'orazione.
II. ^intelletto subentra a meditarvi sopra, di-
268 CAPITOLO IX
scorrendola cosa in sé e nelle sae circostanze: chi,
che, dove, per quai mezzi, perchè, come, quando,
e ne fa in sé pratiche applicazioni, le discute, ne
forma i mezzi, il modo, il tempo, ecc;
III. La volontà si muove a convenienti affetti
ed alle fatte risoluzioni, poche, pratiche e bene
determinate in ogni parte.
Conclusione.
I. Affetti comunicati alla materia meditata.
U. Propositi offerti a Dio, domanda della grazia
necessaria.
III. Colloquio col Padre, col Figlio, collo Spi-
rito Santo, con Maria, gli Angeli o i Santi, se-
condo l'opportunità del soggetto.
Meglio che in questo scheletro scolastico e dog'
matico, io amo ricercare Vanima della preghiera
nelle pagine ispirate di santa Teresa. Non farò
che spigolare qua e là, non potendo travasare in
questo libro tutte le lunghe e calde dissertazioni
suUa preghiera fatte dalla grande asceta spa-
gnaola.
r
LA PREGHIERA 269
*
* 4
^ L'anima si oocaperà dolcemente a considerare
^ ch'Egli (il Bedentore) la sta mirando : esso gli
" tenga compagnia, gli offrirà le sue domande, si
" amilierà, consolerassi con esso lui, ricordevole
^ sempre d'essere indegna di godere così la sua
^ divina presenza. Quando possa far questo, an-
" corchè al principio dell' orazione, grande ne n-
" trarrà profitto. Tal metodo d'orazione è fonte
^ di sommi beni, o certo almeno tal fu nell'anima
^ mia
" Questa orazione di quiete e racco-
^ glimento fa gustare all'anima un senso profondo
" di soddisfacimento e di pace; essa versa ad un'ora
^ nella sua potenza una calma pura, un pieno
^ contento, un soavissimo diletto. L' anima, come
^ quella che nulla conosce al di là di un tal godi-
^ meato, crede non le restar omai più che desi-
" derare e direbbe volentieri con san Pietro : Oh !
^ qui stabiliscasi la mia dimora ! Non attentasi
^ ad operare, non a dare un moto, non forse ab-
270 CAPITOLO IX
^ bìale a sfhggir di mano ana tanta felicità; a
" volte, non vorrebbe pur rifiatare. Non sa la po-
" verina, che, siccome nulla potè per procurarsi
" un tal bene, così molto meno lo potrà ritenere
" più di quello che sarà in piacere di Dio.
^ Già ho detto come in questa orazione di r^c-
" coglimento e quiete non perdano Fattività pro-
^ pria le potenze dell'anima. Vero è ohe sta que-
^ sta tanto deliziosamente riposandosi in Dio, che,
^ mentre dura sì dolce e tranquilla unione, benché
^l'intelletto e la memoria si scompiglino, stando
" però la volontà sempre unita a Dio, non viensi
" a perdere la quiete e il riposo : anzi tanto oon-
" serva impero quest'ultima potenza sull'altre due,
^' che le riesce di racchetarle a poco a poco e rac-
^ coglierle. Senz'essere interamente inabissata in
^ Dio, ne è in sì mirabile modo compresa, senza
"• saper come, che tutti gli sforzi dell'intelletto e
^ della memoria non varrebbero a> rapirle la gioia
" e le delizie che prova; che anzi, senza il meno-
'^ mo sforzo, adoprasi efficacemente a far sì che
^' la scintilletta d'amor di Dio che le arde in seno
"" non abbiasi a spegnere.
" Quest' orazione di quiete adunque è una pie"
^ cola favilla che il Signore getta nell'anima; la
'^ comincia così ad accendere del vero suo amore.
^.VT ■-•-«-
LA PBEGHIEBA 271
^ e vuole colle delìzie onde la inonda, oh' essa
^ acquisti nn intimo conoscimento di tal divino
^ amore. Questa pura calma, questo raccoglimento,
^ questa favilla producono grandi effetti quando
'^ è lo spirito di Dio che opera sull'anima, e quando
^ la soavità che la penetra non viene dal demonio,
" né da privata nostra industria. Del resto, per
^ poca esperienza che s'abbia, è impossibile di non
^ andar presto convinto , che un tal tesoro è un
** puro dono di Dio e da noi non s' acquista. Se
^ non che la natura nostra è tanto vogliosa di cose
" gradevoli, cl^e procuriam per ogni via di procu-
" rarci tali delizie, sebben poi in poco d'ore riman
^ l' anima svogliata e fredda. Ha beli' affaticarsi
** questa a far levar queste fiamme, di cui sentir
^ vorrebbe il dolce calore: par che non faccia
• •«•..4 l *♦••«» ,
" che gettarvi su acqua per ispegnerlo.
'^ Le quali sante gioie dell'orazione si
" potrebbero per ventura non disaccordemente as-
^ somigliare, secondo una immagine, che or mi si
" presenta, alle gioie beate del cielo. È faor d'ogni
^ dubbio incomparabilmente più gran divario tra
" i diversi gradi della beatitudine celeste, che non
^ tra la misura molteplice di felicità che goder può
" un' anima in questo terreno esilio. Pur ecco il
" riscontro. Comparte Iddio agli eletti nel cielo
272 CAPITOLO IX
^ ana gloria proporzionata ai meriti di ciascun di
^ loro, ma com'essi veggono il pochissimo che fa-
^ ticarono a gnadagnarlasi, tutti son contenti del
"• posto assegnato. Or medesimamente avviene ad
^ un' anima pellegrina quaggiù , non sì tosto co-
^ mincia Iddio a farle gustare tali delizie delPora-
^ zione , essa si pensa più non le resta che poco
^ a desiderare e si tiene per ben pagata di tutti
" i suoi servizii e gran ragione ha certo di così
" giudicare. Codeste lagrime, frutto in certo qual
^ modo dei nostri sforzi , comechè non disgiunti
" mai dal divin soccorso, sono d'inestimabil valore
^ e i travagli tutti del mondo sarébber piccol prezzo
" a pur una di esse.
. . . . ^ Colui che vuol darsi all'orazione ha da
" far conto di principiare a fare un giardino in
^ un suolo ingrato e irto di spine , acciocché poi
" vi s'abbia a deliziare il Signore. È il divin mae-
^^ stro egli stesso che di sua mano sradica dap-
" prima le erbe cattive e ne pianta di buone in
" loro vece. Or noi supponiamo questo già fatto,
^ quando un'anima si determina a darsi a far ora-
" zione e già vi si esercita. Sta allora a noi, quali
^ buoni giardinieri, il far sì coll'aiuto di Dio che
^ crescano queste piante: noi abbiamo a inaffiarle
LA FBEQBIERA.
* colla maggior cara, aeciooofaè non si seochino e
"■ perdano, ma vengano a gettar fiori, il cai profumo
" attirerà il dolce Signor nostro. Visiterà egli
" spesso quest'anima, ano orticello diletto, e si de-
" liaierà in mezzo delle Tìrttl sue cbe ne sodo i
" mistici fini.
" Per quelli ohe inoominoiano, è l'oraaione, ben
" possiamo dirlo, un cavar acqua fatioosamente dal
" pozzo: assai ben costa, infetti, raccogliere ì aensi
" avvezzi a spargersi al di fuori, mossi al desiderio
" naturale di vedere e di udire, e di astenersene
^ di fatto alle ore d'orazione. Bisogna oltracciò che
^ se De stiano aolìtarii e appartati riandando la
'^ loro vita passata. Tutti, per verità, i primi non
" meno ohe gli ultimi , mediteranno spesso con
" frutto davanti a Dio gli anni della lor vita, ma
" insistendovi più o meno , come poi dirò. Gran
" pena olbraeciò dei principianti è non poter finire
" d'intendere se hanno un vero pentimento dei
" loro peccati, ma ben l'hanno senza manco veruno,
" e pnre ne è la sincera loro risotazioue di servire
** a Dio, La vita di Gesù Cristo dev'essere il sog-
" getto abituale della loro meditazione e un tale
^ esercizio , faot d' ogni dubbio , esige fatica non
" pìccola di mente.
t ■ s^
274 , CAPITOLO IX
* *
Qaesto lingaaggio mistico, oscaro, è il più adatto
ad, e^prim^re. i ^i^teri .dell'orazione, chB sona an-
ch'essi oscuri, benché sfavillanti di emozioni, ben-
ché caldi di asceti(?i ardori. Anche neìVImitaaiane
di Cristo del Kempis voi trovate un linguaggio
poco diverso, tutto misticismo e fervore.
Moltissimi, che hanno sfrondato la religione di
molti fronzoli, che hanno ridotto il culto alla pia
semplice espressione, vanno nel tempio cristiano,
senza badare se sia dedicato piuttosto a Sant'An-
tonio che a San Pietro, piuttosto alla Madonna
addolorata che alla Immacolata Concezione. Ci
vanno, perchè quella è la Casa di Dio, e ci vanno
a pregare.
Soffrono del proprio dolore o del dolore dei
proprii cari e vanno a pregare. Chiedete loro, che
cosa sia per essi la preghiera e forse non vi sa-
pranno rispondere. Nel silenzio misterioso di una
chiesa si prostrano, concentrano i loro pensieri, i
loro affetti, e li portano in alto. In alto, in alto; al
disopra dalle vòlte e delle agugUe del tempio, al
di là dell'aria solcata dalle ali degli uccelli, al di
Idi. PBB&HIERA 275
là dalle navole solcate dai falmini, al disopra del
sole e degli astri: in alto, in alto dove la scienza
ci dice che vi è ancora la materia, ma dove anche
la scienza si arresta, perchè V infinito non è pen-
sabile e là la fantasia sola ci trasporta e solo la
fede ci sostiene.
E pregano ! — La speranza li ha innalzati snlle
sue ali più potenti di quelle dell' aquila , più in-
stancabili di quelle delle rondini, che attraversano
1 mari. E sperano che al disopra delle ingiustizie
umane vi sia una giustizia divina; che al disopra
delle malattie che tormentano e deformano il po-
vero corpo mortale, vi sia una vita senza malattie
e senza angoscia di morte. E sperano che al di-
sopra dei singhiozzi e delle lagrime aleggi in un
mondo migliore un eterno sorriso di serenità e di
beatitudine, dove i nostri cari morti vivono ancora.
E sognano in quel sorriso le carezze della mamma
sepolta nel cimitero e sognano il cipiglio severo
e amoroso del babbo, che dorme nel cimitero ac-
canto alla mamma e le strette di mano degli amici
perduti. E sognano una tenerezza di amori sem-
pitemi non avviliti da baci troppo terrestri, e so-
gnano una gloria senza invidie e senza calunnie,
la carità senza l'ingratitudine e il saluto senza la
Obblivione e la sete senza la sazietà e il lavoro
senza la stanchezza. Sognano la vita senza la
276 CAPITOLO ne
morte, la gioia senza il dolore, l'azzurro senza le
nuvole, il mare senza la tempesta, la terra senza
il terremoto.
E alla speranza tien dietro la fede, che non è
altro che una speranza più robusta, che non è altro
che la speranza (sempre giovinetta) divenuta donna.
E credono in Dio. Credere vuol dire amare e nel-
l' estasi della preghiera quei fortunati amano ed
adorano una creatura pensata e non veduta mai,
dispensatrice d'ogni bene e incapace d'ogni male.
Speranza prima e fede poi; amore sempre; amore
che non si annoia, perchè non abbraccia e non
bacia; amore eterno, perchè si indirizza all'infinito
e all'eterno.
Questa è l' estasi della preghiera ,' che noi , su-
perbi ricercatori del vero , non abbiam provato
fuorché nella fanciullezza, ma che serbano intatta
fino alla morte tutti quei fortunati che rimangon
sempre fanciulli.
*
* *
Anche quando la natura di chi prega non è
molto alta né molto sensitiva, per cui non si può
giungere alla regione iperborea dell'estasi, il ere*
■> ■
LA PBBGHIBRA 277
dente rimane però a mezz'aria (direi quasi), in qael
crepuscolo indistinto che abbiamo riscontrato in
tutte le piccole estasi.
n pensiero alato dell'asceta, esercitato da lunghi
voli, sale diritto come falco saettante e raggiunge
ben presto il paradiso del rapimento. Ohi ha ali
meno robuste e meno esercitate saltella di ramo
in ramo , salendo fin dove la sua sensibilità e la
sua esaltazione glie lo permettono. É in tutte le
oose di questo mondo lo stesso processo.
Tutti gli uomini e tutte le donne che hanno
raggiunto i trentanni hanno amato; ma in quel*
l'Olimpo si son fermati tutti a altezze diverse. I
più son rimasti *fermi ai primi colli, mettendosi a
giacere sul primo prato fiorito eh' essi hanno in-
contrato. Hanno colto insieme ad un'altra creatura
il primo fiore, l'hanno odorato e forse baciato in-
sieme e poi si son fermati.
Per salire convien sempre faticare e sudai^e, né
a tutti piace il travaglio e molte pelli umane sono
perfino incapaci di sudare. Altri però più robusti
o più curiosi son giunti nella foresta di castagni,
dove hanno trovato ombre più larghe, fiori più
belli, ruscelletti garruli e freschi, e là hanno amato
il loro amore.
Ma altri son saliti più su nella regione dei faggi.
Alberi più pittoreschi, torrenti più poetici, orchi-
278 GAPlTOIiO IX
dee gentili e .profumate, un'aria più serena hanno
accolto quei più robusti amatori.
E intanto la schiera si è assottigliata e pochi
son giunti alla zona degli abeti. Profumi nuovi di
resine intiepidite dal sole , muschi volanti per
l'aria e pendenti dai rami rugginosi, e tappeti vel-
lutati di muschi , e acque lattiginose che tengon
sospesa nelle loro onde la polvere dei graniti, e
i cupi muggiti delle valanghe non molto lontane,
accolsero quei fortunati amatori, che amarono più
in alto e bearono i loro occhi di orizzonti più vasti
9
e videro sotto i loro piedi quel profanum tmlgug,
che Orazio detestò e detestano tutte le anime
elette.
Ma altri pochi, gli audaci, son saliti fin dove il
loro piede ha trovato materia su cui posare, fosse
pur cristallo di ghiacciaio, polvere di neve o tri*
tume di roccia. E là dove la terra impallidisce e
imbianca, quasi svenisse sotto il bacio troppo po-
tente che le dà il cielo, quasi venisse meno al ti-
tanico amplesso di tutti gli elementi dello spazio ;
fra le meteore e il miraggio della luce, quei beati
mortali hanno amato. Non più fiori variopinti, né
prati moUi, né ruscelletti chiacchierini: non più
canto di uccelli né ombre di foreste amiche, ma
fulmini e gelo, le due antitesi della vita che arde
e si consuma. E là hanno amato , col piede sul-
LA PBEaHIERii 279
l'orlo degli abissi e col capo fra le nuvole, circon-
dati come da un'aureola di idealità, dimenticando
per un istante di avere un corpo che x>esa, bacian-
dosi pensiero e pensiero, affetto ed affetto, anima
contro anima, cuore contro cuore. — Questi soli,
gli alpinisti deli' ideale , hanno diritto alla santa
ebbrezza delle estasi amorose, benché anche giù
all'ombra dei faggi e dei castagni e nel prato molle
della valle l'uomo ami la donna.
E così è nelF Olimpo della preghiera e in ogni
altro Olimpo, ohe 4' uomo possa salire; che ogni
energia umana, ogni umano desiderio ha il piano,
il colle, e il monte, e al disopra del monte le nu«-
vole e al disopra di queste il cielo*
Lunghe ore ho passato nelle chiese di Cristo ^
nelle moschee di Maometto, nei tempU di Brama,
e in quelli di Bndda, e osservando i fedeli che vi
stavano in piedi o seduti, prostrati al suolo o in
ginocchio, ho potuto sempre distinguere gli stadii
diversi ai quali salivano quei credenti nella loro
preghiera.
. Prima lo stupore dell'ignorante che ammira ciò
che non intende o la pecora umana, che va dove
le altre vanno: poi la curiosità pruriginosa, una
specie di solletico del pensiero di provare cose
nuove e diverse dal travaglio quotidiano della vita»
Più in su un'adorazione vera di qualcosa che è al
^
380 CAPITOLO IX
di là dell'aomo; e il bisogno di implorare e la ne-
cessità di sperare; ma tatto confuso e incerto; un
disaccordo perpetuo fra il sentimento che vorrebbe
salire e la parola lenta e pigra che non lo accom-
pagna. Poi infine i veri e alti adoratori del so-
prannaturale, si chiami poi Jeova, Cristo, Mao-
metto, Brama o Budda, che nelle chiese, nelle mo-
schee o nel scivaia si sprofondano negli abissi del-
l'infinito o si innalzano agli altri abissi del trcui
lan montes, godendo tutte le delizie dell'estasi re-
ligiosa.
Nelle nostre chiese cattoliche oggi, ad una messa
cantata, troverete forse una dozzina di uomini, più
spesso di donne, che arrivano nella loro preghiera
alla regione del castagno o del faggio, nessun
grande alpinista che salga le cime. I pochi ancora
superstiti del gran naufragio di una fede morta
per non aver voluto ubbidire alle leggi inesorabili
dell'evoluzione, pregano soli nel tempio, quando il
tempio è deserto; più spesso fra le pareti del chio-
stro o della casa solitaria. I grandi fervori ascetici
come i grandi amori vogliono solitudine e silenzio.
L£ ESTASI BBLimOSE 281
Un grande conforto che la preghiera non rifiata
ad alcun uomo, qualunque sia la sua sensibilità,
il suo fervore, la sua altezza psichica, è lo sfogo
di un grande dolore. Nessuna lacrima si discioglie
in noi, di gioia o di 'dolore, senza una pioggia di
lagrime o di sangue. E la preghiera ò una crisi
ohe giudica molti mali, come direbbe un patologo
della vecchia scuola.
Poter piangere nei grandi dolori vuol dire non
morirne più: poter pregare nelle grandi dispera-
zioni vuol dire guarirne. Ma anche i più saldi cre-
denti non possono sempre pregare. L'uomo è nato
alla gioia e si ribella contro i grandi dolori, specie
quando crede di non meritarli. Non v'ha Vangelo
che soffochi di primo schianto un risentimento di
giusto sdegno verso la natura o Dio o il demonio.
La bestemmia lanciata contro il cielo non è di
Prometeo soltanto, ma di tutti i figli di lui, cioò
di tutta l'umana famiglia. Quante volte una madre,
tutta bontà e tutta religione, e che aveva perduto
il figlio forse unico, uscita da un male inesorabile
o da uno dei mille accidenti della vita, corse al
292 CAPITOLO m
tempio, si inginocohiò sul marmo gelido e appoggiò
il capo sopra un altro marmo gelido come il primo
e sperò di poter pregare. Invano ; la ribellione del
cuore maledetto, dell'utero straziato le saliva alla
strozza e la preghiera le moriva sul labbro. Quando
ogni speranza è consunta, la fede vacilla, e in luogo
dell'amore l'anima distilla goccie infocate di fiele.
Ma poco a poco la fede trionfa, e la donna, sor-
ridendo fra le lagrime, ritorna dalla casa di Dio
a quella dell' uomo , dicendo a sé stessa con un
profondo sospiro di pace: Dio sm benedetto: ho
potuto pregare!
n dolore che prega non è più disperazione, non
è più morte, ma è la speranza e la rassegnazione;
due angioli che custodiscono la vita o la rendono
a chi l'ha perduta. Il dolore che prega è il ribelle
ohe tende le mani alla catena e forse benedice i
ceppi, è la vendetta che si discioglie nel rimpianto.
É la forza che si dichiara vinta e accetta l'ubbi-
dienza od anche la schiavitù. Sia comunque, è un*
malato che guarisce. Bimane una cicatrice o una
storpiatura, una paralisi o un acciacco; ma la vita
è salva.
Nella rassegnazione cristiana, quando non è tra^
vestimento dell'egoismo, abbiamo dinanzi agli oc-»
chi tutte le grandezze e tutte le debolezze umaae.
Accanto alla fede la sux)erstizione, accanto all'è-
LB ESTASI BSLiaiOSE 2d3
roismo di sopportare la vita, aocettandola come
un dono di Dio , abbiamo la viltà , la x>aara del
dolore; accanto alla rassegnazione che non dimen-
tica, troviamo il quietismo, che seppellisce al più
presto il.cadavere, per non sentirne il puzzo. L'oro
e il similoro, l'argento e il ofHstofley che si seguono
sempre e si accompagnano negli usi della vita
come nelle lotte del sentimento.
Quando la rassegnazione non è egoismo, ma
trionfo della fede, noi vediamo una delle più belle
scene del mondo morale; ed io confesso di tro-
varla, almeno nel campo estetico, più bella del
pessimismo, che si rassegna prima d'aver sofferto,
perchè la vita è un male, o deUo stoicismo, che dopo
un lungo e freddo ragionamento, accetta il male,
perchè inevitabile. Il credente, che si rassegna
dopo aver pregato , può aver trovato la ragione
del conforto al disopra delle nuvole e al di là
degli astri; ma vorremo noi tagliare le ali all' a-
quila, perchè là dove si innalza, può esser fulmi-
nata; vorremo o sapremo mettere una cinta da-
ziaria anche al di là delle nuvole e degli astri?
£ chi oserebbe farlo, e osandolo lo potrebbe^ Ba-
gioniamo pure, non rifiutiamo alcun diritto, alcuna
audacia alla scienza che studia; ma non tarpiamo
le ali a chi sa volare, e se vogliamo studiare Ta-
natomia dei muscoli dell' ala e delle penne che
264 CAPITOLO ne
■ ' ' — " — ~~ — " — ■ — ~ «
i
volano y portiamo le punte crudeli dei nostri ool-
telli soltanto sulle ali e le penne dei morti.
Vi sono estasi religiose, e non son poohe, nelle
quali r adùì*azi<me, la proètrazUme, V astraaione, la
preghiera non forman da sole la ragione o la forma
del rapimento , ma a produrlo concorrono altri
elementi secondarli. Son secondarli, ma più visi-
bili, più superficiali, e tutti li vedono e credono
di intenderli, per cui il volgo attribuisce ad essi
la parte principale nel fenomeno dell' estasi. D
colore e la figura di un oggetto son sempre ciò
che ci salta agli occhi, mentre la sostanza e la
struttura non appaiono che agli occhi esercitati
e armati degli occhiali della scienza.
Questo prender la vernice per la sostanza, la
figura per la struttura, ha accompagnato quasi
tutti gli studii sulla essenza delle religioni, non
ultimo errore quello del sommo Lucrezio, che disse
gli Dei creati soltanto dalla paura degli uomini.
Gli elementi secondarli di molte estasi religiose
provengono da talune sensazioni della vista e del-
l'udito, più di raro anche deirolfatto che portano
LE CHIESE 285
la sensibilità generale in uno stato di agitazione,
eli trepidazione; talvolta anche di vero terrore. '
Non avete voi provato l'impressione diversa che
fanno sall'anima vostra le varie architetture delle
chiese, il colore delle loro pareti, i parati, i qua-
dri, le statue ohe le adornano? E le religioni, e
le civiltà e la diversa energia estetica dei popoli
foggiano anche le chiese a loro immagine e somi-
glianza , portando all' estasi per la via più breve
le diverse nature psichiche.
La Grecia antica , che non sapeva pensare né
&r cosa che non fosse bella, sommamente bella,
la Grecia che legiferava, dipingeva, scolpiva, edi-
ficava leggi, quadri, statue e case che erano al-
trettanti inni alla Dea della bellezza, non poteva
innalzare ai suoi Dei che templi che erano in una
volta sola chiese di Dei e chiese della bellezza.
L'Oriente indiano, nelle sue estasi ascetiche, ha
sempre qualcosa di ebbro, di narcotico e di cru<
dele, e foggiando le chiese ad immagine sua, ha
messo il grottesco accanto al grandioso; ciò che
schiaccia accanto a ciò che fa paura, Dei che si
divorano l' un l' altro , mostri dalle sette teste e
dalle cento braccia: sogni di filosofi e di asceti
interpretati dalla cabala di un popolo bambino.
n cristianesimo interpretato dai Pontefici di
Boma trapianta in Europa le pompe orientali, la-
286 CAPITOLO IX
soia ^li idoli e le mitre, e toglie le vittime sangui-
nolenti, adattando una veste troppo rude aUe mem-
bra ingentilite di popoli pia civili. E il cattolioiamo
si adatta mirabilmente alla fantasia semiorientale,
molto sensuale, ma pure non spoglia ancora del-
l'antico battesimo greco. Chiese in forma di croce
e che perfin dalle loro fondamenta, prima di escire
dalla terra, incarnano nella loro architettura un
mistero crudele; e poi mura alte e colonne e altari
che si succedono e si nascondono gli uni dietro
gli altri, gli uni accanto agli altri ; e idoli diversi,
maschili e femminili, che si attaglino al sesso, al-
l'età, ai' gusti svariati delle diverse fantasie; e
cupole che sembrano imitare o sfidare il cielo, e
sugli altari di marmo incastonate pietre preziose
e fulgenti, e sulle pietre le gemme e l' oro e gli
argenti scintillanti sotto la luce di vetrate poli-
crome e riflettenti le cento fiammelle dei torchi
di cera. E nei tabernacoli chiuso un Dio in forma
di pane, e intomo al santuario di Dio angioli di
bronzo dorato o di marmo, dalle ali distese, e santi
indemoniati di ascetismo, ohe spandon per l' aria
le loro barbe centenarie, e luci varie che si con-
trastano il terreno e giuocano colle volute delle
colonne, e i fianchi rotondetti dei cherubini e dei
serafini, e martiri che cadono sotto il coltello del
carnefice e santi impiccati pei piedi e morti ohe
LE CHIESE 287
risorgono. E lassù sospeso fra cielo e terra nn
nomo solo, che vestito del colore del fango coi
piedi nudi e la corda alla vita predica la povertà,
ohinso in una cassetta di legno in mezzo a un
tempio ohe costa milioni, e là snl fondo un altro
nomo vestito come una donna di merletti e di
trine, ehe tra il fumo dei turiboli e le salmodie
dei compagni e le cento fiammelle di candele al-
tissime portate da candelabri ancora più alti e il
Buono dell'organo e i concenti delle campane
compie il mistero della trasformazione del vino
in sangue e del pane in carne di Dio.
Se tutto questo pandemonio di sensazioni , se
tutta questa apocalisse di luci, di forme e di suoni
non basta a preparare l'estasi religiosa e a man-
tenerla, convien dire che la fede è morta e che
invano venti secoli hanno lavorato per mettere il
Be degli spiriti al disopra dei Be degli uomini.
* «
Le chiese della Biforma sono la nuova veste di
nn oorpo nuovo. L'Oriente è quasi del tutto sfu-
mato o almeno è di molto impallidito. Non più
tele dipinte dal Bafaello o dal Correggio nelle
288 CAPITOLO IX
chiese; non più statue, meglio greche che cri-
stiane; non più pompe di argento e di gemme. £
la critica che prende il posto della fantasia; è il
nord che nelle sue case calde in messzo ai campi
di ghiaccio concentra nel mondo interiore le mille
energie sparse da noi pei campi e pei prati. B la
Chiesa protestante ci invita nelle sue fredde pa-
reti, nel silenzio solenne delle grandi navate, dove
il pensiero si innalza al disopra dei sensi all'ado-
razione di un Dio amorfo nello spazio e nel tempo.
Qui il cuore non batte più di commozione alla
sensualità degli incensi, al martellare gaio dei
bronzi; ma tace tutto raccolto nella meditazione
e nell'astrazione. L'uomo del Nord prega in San
Paolo, nella cattedrale di Colonia e potrebbe pre-
gare in Santa Maria del Fiore, chiesa falsamente
cattolica. L'uomo greco-latino prega in San Pietro
e alla Certosa.
E da queste chiese nostre contemporanee, fa-
cendo un volo di trenta o quaranta secoli, possiamo
figurarci l'uomo quaternario, che feroce per neces-
sità e crudele per abitudine, doveva commuoversi
di estasi religiosa dinanzi ad un sacerdote, che
sopra una rupe fatta altare apriva le viscere d'una
vittima umana e alzava al cielo colle mani insan-
guinate il cuore palpitante, ofifrendolo a un Dio,
ohe doveva essere per quei nostri antichi padri il
LE ESTASI BEUaiOSE 289
rappresentante legittimo della forza universale,
che non àa far nascere che acoidendo, e che solo
nella tomba trova il posto per rizzare la cnlla.
Questo ho volato dire non a tracciare e neppure
ad abozzare tutte le forme dei templi e dei culti,
ma soltanto a far divinare i contorni di quell'am-
biente, che muta in ogni tempo e in ogni razza e
che è necessario a favorire o a produrre l' estasi
religiosa.
+
Non tutti gli odori, non tutti i suoni, non tutte
le figure e le forme favoriscono egualmente l'esal-
tazione ascetica.
£) un fatto singolare come in tutte le chiese del
buddismo, del bramanismo e del cristianesimo non
si profaminojgli Dei e i credentiJcoUe essenze dei
fiori, ma bensì colle resine bruciate. Può darsi
benissimo che ciò si possa spiegare colla necessità
Estasi umane. 19
290 CAPITOLO IX
di nnire il profumo al fuoco e al fumo o al bi-
sogno antico di nascondere colle resine il pozzo
delle carni delle vittime bruciate; ma potrebbe
anche darsi che gli odori dello storace , del san-
dalo, dell'incenso avessero un'influenza diversa sui
centri nervosi di quella che l' abbiano le essenze
dei fiori. Intanto sta il fatto che Oriente e Occi-
dente profumano i templi colle resine bruciate,
riserbando l'essenza di rose o di altri fiori al ze*
ruma, all'harem o alle vesti delle nostre donne.
Oggi fra noi, dopo tanti secoli, è difficile far le
parti della natura e quelle della tradizione e del-
l'atavismo in questi fenomeni. Se l' acqua di Co-
lonia e il wood violet ci ridestano immagini pro-
fane, e se l' incenso ci richiama alla chiesa , può
darsi che sia per pura e semplice tirannia di antica
associazione di idee; e siccome l'incenso ci venne
dall'Oriente insieme alle mitre e alle campane, può
darsi che la teoria fisiologica che troverebbe il
perchè delle cose in diversi centri cerebrali eccitati
da diversi profumi rimanga per ora campata in
aria, aspettando una scienza più progredita.
ir—^
STSUMBNTI DELL'ESTASI 291
La campana e 1' organo sono i veri stranienti
masioali dell'estasi religiosa. Pagine eloquenti fu-
rono scritte in tutti i tempi da poeti e da roman-
zieri per descrivere le varie e forti emozioni ri-
svegliate nell'anima umana dallo squillo dei bronzi
e dalle armonie dell'organo.
Tutti ricordano le pagine ispirate del Chateau-
briand, ed io per conto mio ho veduto più volte
piangere di conmiozione al lontano squillo delle
campane il mio buon nonno Paolo, che era since-
ramente religioso e dotato di squisita sensibilità
estetica.
La campana è la voce della Chiesa, che parla
di lontano; che invia il suo saluto alla capanna e
al palazzo: l'organo invece è l'armonia che parla
da vicino, che commuove, che rapisce il credente
già commosso dai riti religiosi che si compiono
intomo a lui.
Dal giorno in cui le esigenze della vita civile
hanno imposto alle campane di tacere e il sacer-
dote permise che sull'organo si suonassero le arie
dell' Bmam e della Luoia^ le estasi ascetiche fug-
292 CAPITOLO IX
girono inorridite dall'ombra dei templi, n mikado
era venato a patti col taikun e la religione era
ferita a morte. !Naove estasi religiose avranno i
nostri nepoti, ma sarà in altri templi, con altre
campane ed altri organi!
Profami, saoni e colori si uniscono insieme e si
fondono a formare lo spettacolo di ana festa re-
ligiosa: sia poi messa pontificale, processione o
ginbileo. Anche qui convien esser già vecchi per
ricordare il fasto, le ebbrezze religiose di altri
tempi. Io ho vedato ancor fanciallo nella proces-
sione del Corpus Dammi tatta la città di Milano
prostrarsi davanti al solenne corteggio di migliaia
di sacerdoti, di confraternite, di canonici, di mon*
signori, di vescovi, di arcivescovi, di croci, di sten-
dardi, di baldacchini; ho vedato il iaihìin servire
il mikado^ le trappe genuflesse e le spade abbas-
sate davanti alla croce; e in mezzo a nuvole d'in-
censo un porporato venerando portare in alto, tutto
vestito d'oro, un disco bianco di sottilissimo pane,
che era il corpo di un Dio; e ho veduto piangere
le donne e gli uomini, i vecchi e i bambini; e ho
LE ESTASI BELiaiOSE 293
letto snUa faccia di molti spettatori e di molti
sacerdoti nna vera estasi religiosa, ohe vibrava
con note diverse, ma tutte di sincera convinzióne
e dì santo fervore.
Oggi gli uomini del passato rimpiangono, e gli
uomini del presente deridono; ma gli uomini del-
l'avvenire né rimpiangono, né deridono; ma stu-
diando il passato vedono nell'evoluzione del pre-
sente i germi di una religione avvenire e vedono
disegnarsi nell'orizzonte lontano altre feste, civili
nell'origine, ma ideali nel concetto e che saranno
altrettante forme di una nuova religione; che del
solo pane e del solo vino l'uomo non saprà mai
accontentarsi, e il telescopio per quanto acuto
sarà sempre insufficiente per gli occhi della fan-
tasia.
Le grandi estasi religiose, oggi rarissime, non
possono quasi mai cadere sotto gli occhi del psi-
cologo osservatore: tanto più mi è prezioso il ri-
cordo di una scena stupenda, a cui ho assistito
come medico or son già alcuni anni. Mai come in
quell'occasione io avrei voluto esser pittore, e mi
294 CAPITOLO IX
basterebbe eisserlo anohè oggi, perchè quel qaadro
msolito, originale, di trascendente bellezza, mi è
qui ancora fisso e incancellabile dinanzi agli occhi
del pensiero.
La Contessa*** era giovane ed era bella. Bella
di una bellezza bionda e ogni pittore e ogni scul-
tore l'avrebbe voluta a modello per fame un' on-
dina, E Ondifia avrebbe dovuto esserne il nome ^
perchè tutta lei ondeggiava. I capelli folti, quando
li scioglieva dopo il bagno a farli accarezzare
dalla brezza marina, scendevano fino al ginocchio
e la coprivano davanti e didietro e ondeggiavano
con tutte le tinte divine del biondo: biondo di
spiga e biondo d'oro, biondo di sole e biondo di
bronzo, biondo delle belve e biondo del cielo, e sa
quelle onde larghe, ondine infinite di increspature
minori. E fra quell'ondeggiamento di chiome tutto
il corpo elastico come il giunco , flessuoso come
una pantera, ondeggiava anch'esso e le mani della
fantasia accarezzavano tutte quelle onde. Alta e
gentile, ricca ma non scialacquatrice di forme, col
naso di fattura greca, colla bocca ad arco sempre
LE ESTASI RELIGIOSE 295
teso, colla carnagione di un rosa etereo rapito più
ai crepuscoli del mattino che ai petali delle rose
portava in cielo Fammiratore colla testa rafaelle-
sca, incatenava alla terra colla grazia degli altari
e le colonne del tempio. Venere Urania che ab-
bracciava Venere Afrodite. Quand' ella passava
fra le turbe, ogni colloquio taceva, ogni altro
pensiero sfrimava, ogni altra passione svaniva, e
Tammirazione e il desiderio e l'invidia le faoevan
all'intorno un'aureola calda dì luce e inebbriante
di profumi. Ogni bambino avrebbe voluto essere
accarezzato da quelle mani, ogni uomo l'avrebbe
voluta per donna, e ogni donna, per quanto gio-
vane e bella, avrebbe voluto esser lei.
Una sventura orribile, inaspettata, tragica, mi-
steriosa piombò come fulmine accanto a quella
donna ed essa rimase fulminata. Non più una pa-
rola, non più un sorriso, non più un lamento. Sa-
rebbe stata morta, se il cuore non avesse conti-
nuato a battere : cuore di creatura viva in una
statua di marmo. Coricata nel letto bianco come
lei non sentiva il pianto dei bambini di lei, che
piangevano, non udiva le domande che amici e
medici le dirigevano: era fuori del mondo.
Seduta sul letto, colle chiome disciolte sul seno
e sulle spalle, aveva le labbra socchiuse e gli
occhi rivolti al cielo, che si specchiava in essi con
296 CAPITOLO IX
intima fratellanza di colore e di fulgori. Aveva
le mani giunte e le teneva in alto, in una posizione
che avrebbe in pochi minuti stancato un atleta.
Ma essa non si stancava mai, perchè pregava ed
era in estasi. — Le volli abbassare le mani, ma
esse ritornarono alla preghiera; e purché io le
tenessi in alto, le poteva fermare a qualunque
altezza, e là restavano fisse per minuti , per ore.
Essa era in completa catalessi. Le moveva il collo,
il tronco, il capo, e collo e tronco e capo rimane-
vano dove io li aveva collocati; cento atteggia-
menti diversi, ma tutti esprimenti )a preghiera ,
l'adorazione, l'estasi. Tutta la vita era concentrata
negli occhi, così dilatati da cambiarne l'azzurro
cupo in nero. E la pupilla si muoveva non per
influsso di luce, ma per lampi venuti dall'interiore
dell'anima assorta tutta in una preghiera ardente,
instancabile. Quando la pupilla si allargava, l'iride
scompariva quasi del tutto, e l'azzurro della vita
cedeva il terreno alle tenebre cupe e profonde;
quasi l'occhio esprimesse un supremo terrore, una
angoscia senza confini. Poi poco a poco l'azzurro
ritornava in quel cielo umano e lo sguardo dive-
niva tenero, affettuoso, come di chi implora e im-
plorando spera.
LE ESTASI RELIGIOSE 297
* *
Quell' estasi darò molte e molte ore; né mai
seppi' quali divine visioni passassero in quelle ore
davanti a quella creatura divina. S' io non fossi
riuscito a addormentarla artificialmente con forti
dosi di morfina, se non l'avessi fatta trasportare
cento e cento miglia lontano dal luogo della sven-
tura con un treno espresso, essa sarebbe impazzita
o sarebbe morta. A certe altezze cadono le va-
langhe e si aprono precipizii omicidi.
SANTA TERESA.
Essa è Is più alta figura storica nel mondo delle estas
gioae. — Primi crepnacoli del suo ascetismo. — Suoi se
e sua alta moratitÀ. — Awtlisi delle delizie dell'orazione
da lei. — Ineffabili rapimenti dell' estasi aacetica. —
ed unione. — Spirito profondamente analitico della
spagnnola. — Intimo rapporto fra l'estasi ascetica e l'a
— Visioni liete e visioni terribili. — Note pift alte dell'i
— Visione di Dio. — Le alte vette dell'alpinismo n
Papa Gregorio XV ha iaiialzata agli onori
Cielo tma donna nata ad Avila il 28 di marzt
1516 da Alfonso Sanchez de Gepeda e Beai
Davila deÀhnmada, illnstri ameudae per noi
di prosapia. Questa donna venerata oon ard
fervore di culto da tnttì i cattolici è santa
resa. Qael papa,~8antiflcandola, scriveva:
" Gran prodigio , oper6 Iddio ai dì nostri
" muto di una donna. Sascitb egli nella Cti
" saa, qnasi Debora novella, la vergine Teresi
" quale, dopo aver trion£ato della sua carne
" perpetua verginità , del mondo con ammira
" umiltà e degli ingegui tutti del demonio
*• molte ed eccelse virtù, a più alte cose aspira
** e la virtù del sesso colla grandezza Mei oi
" superate , oinse di fortezza i suoi lombi , a
" busti il suo braccio, e ordinò eserciti di gagU
302 CAPÌTOLO X
^^ che a difensione della casa di Dio di Sabaot e
^ della legge e dei comandamenti di Lui colle spi-
^ rituali armi combattessero. E costei perchè va-
^' lesse a compire sì grande impresa empiè il Si-
^ gnore meravigliosamente dello spirito di sapienza
^ e d' intelletto , e col tesoro della grazia di tal
^ guisa chiarificolla, che lo splendore di lei, sio-
^ come stella nel firmamento, rifcilge nella casa di
"• Dio per interminabili eternitadi. „
Questo ha scritto un papa in una Bulla canom-
zaUonis; ma anche senza la parola solenne di un
pontefice, tutte le anime ascetiche avrebbero san-
tificato nel santuario del loro cuore la vergine
spagnuola, proponendola a sé stesse come esempio,
come modello, come idolo di adorazione. Nel ca-
pitolo seguente troverete parecchie altre sante
minori, che cogli sforzi di tutta la loro vita vol-
lero imitare santa Teresa.
Nessun uomo, per grande e originale egli sia,
fa specie da sé stesso, ma appartiene a una isk-
miglia sparsa in tempi diversi e per diverse terre,
di cui personifica e incarna le varie virtù e
SANTA XBBESA 303
le diverse forme delPingegno e del carattere. Vi
sono famiglie psicologiche, come vi sono famiglie
di nobili e di sovrani e ognuna ha il proprio Ce-
sare o il proprio Napoleone o il proprio Garibaldi,
che ne riassume in misura altissima le doti carat-
teristiche, divenendo il prototipo di tutta la specie.
Santa Teresa è una di queste grandi figure sto-
riche e personifica in sé la famiglia delle sante
estatiche. Finché l'ascetismo del cuore umano non
avrà preso diversa via e diverso atteggiamento,
essa sarà la Dea, la Madonna, la Santa a cui si
volgeranno le aspirazioni insaziabili degli uomini
di fede, mentre nel campo opposto gli scettici la
metteranno in canzonatura, disegnandone il profilo
colla matita del caricaturista. Santa per gli uni,
pazza isterica per gli altri: due forme diverse di
esagerazione e quindi di errore; due diverse ca-
ricature, che possono passar per ritratti dal vero,
mentre sono immagini deformi, mostruose, create
per ludibrio dalla nostra malignità o per soddi-
sfazione dei nostri entusiasmi. Ecco perchè nella
immensa biblioteca delle biografie noi abbiamo
così pochi ritratti e così numerose caricature; ecco
perchè il psicologo positivo, prudente, coscienzioso
è costretto ad ogni passo a difendersi dal prurito
dell'ironia, che fa così giocondo solletico ai nostri
nervi e dalle voluttà ancor più af&scinanti del-
304 CAPITOLO X
l'entusiasmo, ohe tatto rìsoalda, tatto abbellisce
coll'iride dei saoi colori smaglianti.
Santa Teresa fd estatica, provò tatto le terri-
bili delizie dell'amore divino, ma descrisse anche
sé stessa in una celebre autobiografia, che fd tra-
dotta in molte lingue (1).
Essa associava ad una squisita sensibilità fem-
minile una grande potenza d'osservazione e la de-
finizione che essa ci ha lasciato dell'estasi religiosa
basterebbe a mostrare il valore di lei, come pei»-
satrice profonda:
^ Vestasi è un sonno spirituale détta potenza del-
^ Vamma, „
Traducete in lingua contemporanea questa de-
finizione, vecchia di più che tre secoli; voltate le
parole della metafisica nella fisica; e voi avrete il
concetto più giusto , «più preciso , più fedele de^
(1) Fra le altre tradazioni vedi: Istoria deUa propria
fnta di santa Teresa per la pi-ima volta fatta interamente
italiana mercè il riscontro dell'autografo ed illustrata dal
Padre CamiUo Meda D. C. D. G. Modena 1871.
SANTA TERESA 305
l'estasi religiosa e delle altre forme estatiche, che
più le rassomigliano*
Se volete accompagnarmi, noi faremo una rapida
corsa negli anni vissuti dall' estatica spagnnola e
avremo dinanzi ai nostri' occhi tutto il quadro o
almeno il disegno della natura psichica di lei.
Le nature potentemente originali si afifermano
fin dalla prima infanzia.
" Eravamo tre sorelle e nove fratelli, e tutti, la
^ Dio grazia, s'assomigliarono in virtù ai genitori,
^ io sola eccettuata , e con tutto ciò ero la più
^ amata e ben voluta da mio padre; e forse, prima
" ch'io cominciassi ad offender Dio, una tale sua
^ predilezione, non era senza fondamento. Ond' è
^ che mi scoppia di rammarico il cuore quante
" volte ricordo le buone inclinazioni che Iddio
" benedetto aveva poste in me , e quanto mala-
" mente me ne seppi approfittare. Nel che era io
" tanto maggiormente colpevole, in quanto che ad
" esser tutta di Dio non trovavo verun ostacolo
" nel consorzio dei miei fratelli.
" Portavo io ad essi tutti tenerissima affezione.
Estasi umane, 20
306 CAPITOLO X
" ed essi di egualmente viva mi ricamììiavano, uno
" tuttavia ve n'era, pure della mia età, ch'io amava
" più degli altri. Solevamo riunirci questi ed io
" per leggere insieme le vite dei santi. Al veder
" in esse i diversi supplizi che i martiri avevano
" sofferto pel Signore, parevami che a buon mer-
^ cato assai comprassero essi la sorte d' andar a
" goder Dio, e con tutta V ardenza dei miei desi-
" derii aspiravo io pure a morte sì bella. Ma non
" era già l'amore, che parevami portare a Dio, che
^ mi ponesse in cuore tal brama , si il desiderio
^ grande d'andar tosto a fruire di quella ineffabile
" felicità , di cui leggevo nei libri sì gran cose.
" Stringemmo con lui a consiglio per vedere se
" via ci fosse da venire a capo di soddisfare tal
" brama. D partito che più ci arridesse era quello
" di andarcene liinosinando per Dio in terra di
" Mori , sperando di venir da loro decapitati. E
^' ben mi par che il Signore in quella tenerezza
^ d'età ci desse animo bastante a eseguire un tal
^ divisamente , se ci fosse porto alcun modo di
^ partire; ma noi avevamo un padre ed una madre
" e questo ci parve il più serio inciampo.
" Ma cosa non v' era che così alta ci facesse
" impressione , quanto il leggere nei nostri libri
" come i castighi non meno che le ricompense do-
" vesserò durare eternamente. E però awenivaci
SANTA TERESA 3Q7
^ spesso dì stare lunga pezza di ciò ragionando e
" gustavamo di ripeter molte volte : Per sempre ,
"'Sempre, sempre! E, col i replicare molto spesso
"tali parole y piacque a Dio che in quella prima
" età restasseci espresso altamente il desiderio di
" mai non torcere il pie dal retto sentiero.
" Se non che, vedendo come nulla ne era dell'an-
" dare in luogo, dove dato ci fosse cogliere la palma
" di martiri , ci risolvemmo di menar la vita di
"anacoreta. E però ci demmo a costruire nel
" giardino di casa come meglio venivaci fatto ,
"cellette da romiti, ponendo le une suUe altre
" delle piccole pietre, che indi a poco cadevano,
" e così ogni tentativo d' appagare i nostri voti
"restava deluso. Onde ci sentivamo dolcemente
" intenerire, in considerare come Dio s'affrettasse
" a darmi di buon' ora quello che per mia colpa
" perdei. „
Chi da fanciullo sogna il martirio e la vita di
anacoreta finisce ben presto coli' entrare in con-
vento, unico asilo dell'ascetismo e dell'estasi.
Santa Teresa, dopo aver ragionato lungamente
308 CAPITOLO X
col fratello prediletto della vanità del mondo , si
accorda con lui per abbandonare la casa paterna
e per rifugiarsi in un monastero, dove si trova
già un'amica d'infanzia.
" Vero è non per altro/riguardo alla fatta scelta,
^' che per quanto una tal dolce amicizia dei primi
^ anni potesse rendermi caro quel monastero , in
^ tali disposizioni d'animo già mi trovava, che sa-
^ rei entrata in qualunque altro, se avessi creduto
" di potervi servir meglio il Signore, o veramente
^ se mio padre avesse mostrato desiderarlo , che
" ben più seriamente guidavami il pensiero del mio
" bene e d' agi di vita e di private soddisfazioni
" non facevo alcun caso.
" Sì, dico il vero, ed ho presente la cosa come
^ foss'ora, all'atto di abbandonare la casa patema,
^ tale provai un trangosciamento , che non credo
"• sia per riservarmene un maggiore l'ora suprema
" di morte. Sembrommi in quell'istante che tutte
" mi si scerpassero l' ossa. Com' era pur sempre
" fievole in me l'amor celeste, il terreno pel padre
" e i parenti rivaleva più che mai gagliardo: fu
" momento di terribile lotta e combattei meco
" stessa con supremo sforzo. Ah! se il Signore
" non mi avesse stesa in quel decisivo momento
^ la sua soccorrevol mano , era finita, e tutt« le
^ mie considerazioni sarebbero tornate impotenti.
SANTA TEBESA 309
^ e mi sarei data vinta. Ma la sua bontà degnò
" ravvalorarmi contro me stessa e potei dare ardi-
^ tamente effetto al mio disegno. ^
Oli sorapoli, ohe sono una delle espressioni pib
sablimi e più naturali dell'idealità religiosa, inco-
minciano ben presto in santa Teresa, per non la-
sciarla più:
^ Ohi che più far potea Y amor vostro
" per me? E qui già veramente non so come pro-
^ seguire la mia narrazione al riaffaociarmisi al
^ pensiero le solenni rimembranze dei miei voti ,
^l'alto coraggio e le gioie sì pure di giorno sì
^ bello e le spirituali sponsalizie con la Maestà
^ vostra celebrate ! No , parlar non posso senza
^ lacrime , e lacrime di sangue ben converrebbe
"• che fossero, e che il cuore in petto scoppiassemi,
" né troppo sarebbe , o celeste mio Sposo , alle
"• offese che tante v'ha fatte dopo il dì testimonio
^ della mia promessa. Farmi ora che ben m' ap-
"ponevo a non volere stringere nodi sì santi,
" dacché profanar dovevo sì indegnamente l' au-
" gusto titolo di sposa vostra. E voi , Ben mio ,
" duraste ben quasi venti anni a sofferire un'infe-
" dele , e comportarvi d'esser l'offeso , per istrin-
" germi poi al seno meno indegna di voi. Oh non
" parrebbe egli, gran Dio, che appiè dei sacri altari
^ non giurassi che dij tradire quanto vi faceva
310 CAPITOLO X
^^ promessa? Tal non era certo allora T intenzione
^^mia, ma al vedere quale si fossero dappoi le
" mie opere, più già non so che ne dire. Valgano
" almeno le mie infedeltà, o celeste mio Sposo, a
" dar sempre meglio a divedere e chi vi siate voi
^ e chi mi sia io • ,,
*
Uno dei più gravi problemi che la scienza è
destinata a risolvere è quello di stabilire che cosa
si possa e si debba sostituire alla religione, come
base della morale. A dimostrare almeno quanto
sia difficile il problema, valga questa pagina delle
Confessioni di santa Teresa:
" Sentii io allora i felici e validi effetti
^ di quella grazia d' orazione che il Signore mi
^^ aveva concesso. Sua mercè, comprendevo io in che
^ consistesse il suo amore. Esso in questo breve
" spazio di tempo fé germogliare in me le seguenti
^ virtù che se non furono forti abbastanza da te-
^^ nermi salda nel sentiero della perfezione , mi
" servirono almeno di schermo e d'aiuto. Non di-
" cevo male d'alcuno, fosse pur leggerissima cosa:
" avevo anzi in costume di prender le difese di
" quelli contro cui per sorta si mormorasse. Mi
^ era sempre presente la massima che non dovessi
SANTA TERESA 311
^ trovar piacere ad ascoltare o ridire cosa alcuna
" che non avrei volato si dicesse di me. Mi diedi
^ a seguire tal regola di condotta con sommo
^ studio per le occasioni che vi avevo, sebben poi
^ la cosa non mi riuscisse sì perfettamente, che a
" volte in subiti e difficili casi non fallissi in qual-
^ che parte; ma per ordinario io era fedele alle
^ mie risoluzioni. ^
E gli scrupoli si alternano colle timide e mo*
deste compiacenze:
^ Ciò che maggiormente a parer mio mi nocque
^ si fu il non trovarmi in un monastero intera-
^ mente separata dal mondo mediante la clausura.
" Le altre religiose di provata virtù ben potevano
^ innocentemente avvalersi della libertà che gode^
" vano. I loro voti non le obbligavano a più, non
^ permettendosi clausura in quel monastero. Ma
" per conto mio che ami la debolezza medesima (!I) simil
^ libertà avrebbemi certamente traboccata nell'in-
"' ferno, se con tanti aiuti e grazie particolarissime
^ da tali rischi tratta non mi avesse il Signore. ,,
L'orazione è analizzata da santa Teresa in tutte
le sue misteriose delizie:
^ Tutti, è vero, ci troviam costantemente
^ sotto gli occhi di Dio; ma l'anima nell'orazione
^ vi si trova a m|o credere in una maniera tutta
312 CAPITOLO X
^ speciale. Essa s'avvede ohe Dio la sta mirando,
^ ovechè gli altri possono dimenticare anche per
" più giorni che quell'occhio insonne non lo perde
^ di vista per un istante. Vero è che debba con-
^ fessare come nel corso di questi anni io noveri
^ alcuni mesi, e credo talvolta qualche anno intero
^' di una fedeltà generosa. In tali intervalli , dan-
^ domi con ardore all' orazione , fuggivo a tutto
^ potere la menoma colpa e prendeva molte e serie
^ cautele per non offendere il Signore. L' esatta
^ verità che presieder deve al mio racconto mi
^ obbliga a farne ricordo. Ma non mi resta che
" debol rimembranza di questi giorni felici : debbon
^' pur esser stati pochi, come molti i cattivi. Quasi
^ niun d'essi tuttavia ne trascorse in cui non con-
" sacrassi un tempo considerevole aU' orazione ,
^ salvochè quando ero assai aggravata dal male ,
^ o molto occupata. Quando stavo più inferma, più
^ intima era la mia unione con lui. Procuravo che
" le persone le quali trattavano e conversavano
" meco anch'esse godessero d'un tanto bene, loro
" lo pregava dal cielo e spesso parlava loro di Dio.
" E così , non contando l' anno che ho detto , di
^ vent'otto già scorsi da che cominciai a far ora-
"• zione. ne passai più di diciotto in tal modo com-
^^ battendo e lottando, divisa fra il cielo e la terra. „
SANTA TERESA 313
L'esaltazione ascetica della nostra santa va cre-
scendo:
^ Oh bontà infinita del mio DioI panni che in
" sì diverse condizioni appunto io veggo voi , io
^ veggo me. O delizia degli angeli , tutta vorrei
" struggermi a tal vista in amarvi ! Sì, Signor mio
" dolce, voi soflfrite, se v'ha chi non soffre che voi
^ stiate con ]uil E oh! qual tenero amico non vi
" addimostrate voi mai per un tal ingrato! Quali
^ testimonianze d' amore non gli prodigate ! Con
^ quanta bontà il soffrite e l'aspettate ! Con qual
^ condiscendenza , tanto eh' egli non s' è venuto
^ confermando alla^condizione vostra, voi frattanto
" ne sopportate la sua ! Voi, li tenete conto, o Si-
^ gnor mio , dei brevi momenti che consacra al
" vostro amore e un istante di vero pentimento
^ vi fa dimenticare quanto mai v'ha fatto offesa. „
" Entro un giorno in un oratorio, ivi trovavasi,
" per venir esposta in una prossima solennità, una
" statua di Nostro Signore , coperto tutto di pia-
^ ghe. La devota effigie colpisce istantaneamente
" i miei occhi : le ferite del Salvatore sembravano
^ sì vere, mostrava quella statua in sì viva e com-
" movente maniera ciò eh' egli sofferse per noi ,
^ che al vederla condotta a tale , ne rimasi pro-
^ fondamente scossa. Al mirare quelle piaghe ri-
314 CAPITOLO X
" cevute per me , al rammentare le sconoscenze
••' con cui ripagato aveva un tanto amore, fui com-
^ mossa da dolore sì alto , che parevami mi si
^' fendesse il cuore. Cado in sull' atto ginocchioni
^ a' piedi del Salvatore, e, spargendo un torrente
^ di lacrime, lo supplico di fortificarmi una volta
^ così ohe mai più non abbia ad offenderlo. . ^
In questo stato di eccitamento continuo, di con-
centrazione d' ogni pensiero in un solo pensiero ,
d' ogni affetto in un solo affetto , 1' estasi non è
lontana. Teresa descrive stupendamente con poche
parole questo inabissarsi dell'uomo in Dio.
^ Mentr'io nell'orazione trattenevami ai
" piedi del divin Maestro , interiormente rappre-
^ sentandomelo nel santuario dell'anima, e talvolta
" ancora nell' atto di leggere, accade vami d' esser
'' compresa all'improvviso da un sentimento della
^ presenza di Dio tanto vivo , da non potere in
^' conto veruno concepir dubbio ch'Egli non istease
^^ entro di me e tutta non fossi in lui inaòissata.
'^ Non era già quel che provavo ima qualche
'' specie di visione , sì veramente ciò che credo
^^ chiamino teologia mistica. É l'anima, per effetto
^ suo , siffattamente sospesa , che par come tutta
^' fuor di sé. Ama la volontà , la memoria parmi
" ^ia quasi perduta, e l'intelletto non opera, selh
SANTA TERESA 315
^ bene non si perda: non opera, dico, ma rimane
^ come sopraffatto dall'alta cosa che intende, per-
" che vnole Iddio che conosca come di quanto la
^ Maestà sua in quell' atto gli rappresenta , nulla
^ esso comprenda. ^
Nulla rassomiglia più agli ardori ascetici quanto
l'amore, e basterebbero a provarlo questi passi
di santa Teresa, tolti alla Storia della propria
vita:
^ Al tempo felice in cui, come mi giova
^ sperare dalla bontà di Dio , io presi a. servirlo
^ e cominciai a menar la vita novella che mi resta
^ a descrivere, tomavami di gran diletto rappre-
^ sentarmi l'anima mia sotto immagine d'un giar-
^ dino e sognai coU'occhio il divino mio Sposo, che
^ quasi per esso se ne andasse a diporto. E Tan-
^ dava supplicando d'aumentare il profumo di quei
" poveri fioretti, di quelle virtù in germi, cioè, che
^ pareva istessero per isbocciare: non mirar la mia
'^ preghiera che la sua gloria, degnasse coltivarli
" unicamente per sé e non per me , e coglierne.
^ quelli che più gli fossero a grado, ben ero sicurtii
316 CAPITOLO X
^ che più leggiadri rìsponterebbero e più olezzanti.
^ E nou senza perchè mi valgo di qaesta imma-
^ gine di corre i fiori, perchè vengon poi dì in cui
^ nell'anima già più non sembra restar traccia
^ di questo giardino. Tutto pare vi sia stato ina-
"• ridito e che non s'abbia a trovar acqua per ri-
^ dargli freschezza, e par quasi mai non sia stato
^ nell'anima fior di virtù. E grande allora è il tra-
^ vaglio che passa il povero giardiniere , perchè
^ vuole il Signore gli paia che quanto ha fatto in
^ adacquar il giardino e tenerlo in essere , tutto
^ sia fatica perduta. É il vero tempo allora di
^ sarchiar coraggiosamente e di svellere fin dalle
" radici l'erbe cattive, che per ventura restassero,
" per piccole che siano. È l'umiltà che fa questo
" lavoro , scoprendoci l' inutilità di tutti i nostri
" sforzi, se ci toglie Dio l'acqua della grazia, e
^ facendoci calpestare il nostro niente e meno che
^ niente. Si fa così l'anima profondamente umile
" e r orticel benedetto vede crescer di nuovo i
" suoi fiori.
" No, dolce Signor mio, no, sommo mio Bene,
" non posso, senza sentirmi scorrere le lagrime in
^ viso e innondar l' animo di contento , significar
^ l'eccesso della mia felicità. „
SANTA TERESA 317
Ecco una pagina che paò servire alla psicologia
delFamore quanto alla storia delle estasi religiose:
^ Tornando adunque a tal maniera d'in-
" tendere, quello che a me ne pare si è, volere il
^ Signore che tale anima s'abbia una qualche con-
^ tezza di quel che si passa in cielo. Egli la inizia
^ così a quel parlare senza parole che è il lin-
^ guaggio della patria celeste. La qual favella non
" seppi io mai usare i beati, finché il Signore volle
^ che ne fossi spettatrice, mostrandomi quei felici
" spiriti in un ratto. Or, in somigliante maniera,
^ fin da questa terra d'esilio, Dio e l'anima s'in-
" tendono, pur per voler Egli esserne inteso, senza
^ che loro accada artifizio almeno di segni ad
^ esprimerci la vicendevole dilezione. Quaggiù tra
" noi mortali, due persone di desto ingegno e che
^ s'amino assai, e s'intendon tra loro anche senza
^ cenni , pur solamente mirandosi. Or cosa somi-
" gliante appunto deve accadere in tal misterioso
^ commercio tra Dio e l' anima, che, senza poter
"noi sapere come, a faccia a faccia s'affisano questi
^ dme amanU, Così udii in avvenire, e se mal non
^ mi appongo , così nella Cantica lo sposo dice
" alla sposa. „
318 CAPITOLO X
Ed ecco un'altra pagina sublime, dove il cuore
della donna illuminato dal raggio del genio de-
scrive gli ineffabili rapimenti dell'estasi ascetica:
^ É codesto stato un sonno delle po-
^ tenze , in cui , senza essere al tutto perdute in
^ Dio , non intendono ciò non pertanto di qual
^ guisa esse operino, n gusto, la soavità ed il di-
^ letto è senza comparazione maggiore che nel
^ grado d'orazione antecedente. Innondata l'anima
^ dell'acqua della grazia che Dio la fa scorrere a
^ piene sponde, più non può, più non sa né andare
" avanti , né tornare indietro , non arde che del
" desiderio di godere d'un tal soperchio di gloria.
^ É come uno il quale si stia colla candela in
" mano, in punto già d'incontrare una morte lun-
^ gamente bramata. Sta godendo l'anima in quel-
^ V agonia col maggior diletto che dir si possa :
" altro proprio non panni lo stato mio che un
" morire interamente quasi alle cose tutte del
" mondo , e uno star deliziandosi in Dio. Non so
^ trovare più acconcia immagine per significare
" ed esprimere quel eh' essa prova. In tal condi-
^' zione non sa che si fare, essa ignora se parla,
^ se tace, se ride, se piange : è come un glorioso
SANTA TERESA 319
^ delirio, una celeste follia, in cui imparasi la vera
^ saviezza: insomma è per lei maniera di godere
" deliziosissima. „
«
Santa Teresa, altrove, giunge a chiamar questo
suo stato, santa follia ceU8Uale,e forse mai parole
più alate furono adoperate ad esprimere con scien-
tifica esattezza la realtà dei fatti.
" Oh I siate voi in eterno benedetto. Signore mio
" dolce, e tutte cantino sempremai vostre lodi le
^ creature! Piacciavi , o mio re , esaudir la pre-
" ghiera che in questo momento vi volgo. Dac-
" che, per grazia e misericordia vostra, nel vergar
^ che fo queste parole son posseduta per sempre
" da questa santa follia celestiale
B altrove:
" Propongomi di esporre altresì la grazia
" onde questa divina unione è sorgente e gli eflfetti
" che produce nell'anima, e dire che può questa
" fare da sé e se è capace di elevarsi a così alto
" scopo. Tra i beati ardori dell' amor celeste ha
^^ luogo in tal orazione quel movimento interiore,
^ che si chiama elevazione o volo di spirito. .È per
^ mio avviso cosa differente 1' unione dalla eleva-
" zione. Parrà per ventura a chi non n'abbia espe-
'^ rienza, che non vi sia divario di sorta. Ma quanto
'^ a me , ammettendo pure che queste due grazie
^ sieno in fondo una sola e medesima cosa , dico
320 CAPITOLO X
^ che Dio opera soli' una e sali' altra in diversa
^ maniera , e che col volo dello spirito comunica
^ aU'anima an distacco ben più grande dalle crea-
" ture. A tal potenza d'affetto ebbi a riconoscere
^ chiaramente come l' elevazione dello spirito sia
^ una grazia speciale, benché, come dico, in ap-
^ parenza non sembra differir dall' unione. Anche
^ un fuoco piccolo è tanto fuoco quanto un grande,
"^ pure è palese la differenza che corre tra l' una
" e l'altra. In piccol fuoco prima che piccol ferro
^ s'arroventi, passa gran tempo, ma, se il fuoco è
^' grande , in molto breve spazio di tempo perde
" tutto il suo essere , secondo che pare. Simil
^ differenza mi sembra passare tra queste due
^ grazie del Signore. Son certa che chi giunse ad
^ aver rapimento intenderà di leggeri le cose che
^ dico , ma ogni altro le crederà vaneggiamenti , né
^ forse a torto
" Vero è che mal si può giudicare quanto
" vi si stia , perchè si è allora fuori di sentirnewto ,
" ma dico che tutte le volte che questa sospen-
^ sione generale dei sensi ha luogo , assai poco
^ sempre si sta , senza che torni in sé qualcuna
^ delle potenze. La volontà è quella ohe sta più
^ salda alla lotta, ma l'altre due tornano ben tosto
^ ad importunare : quando la volontà è quieta, le
^ torna a sospendere, e stando così un altro poco
SANTA TERESA 321
" tranquille, riprendono la naturale loro vita. Or,
^ con tali alternative si possono passare alcune
'^ ore d'orazione ed in effetto si pasèano, perocché,
^ incominciato che abbiano una volta ad inebbriarai
" di quel vino celeste , quelle due potenze fan vo-
" lentieri sagrifizio di loro attività naturale , per
^ assaporare tanto maggior diletto, pel quale fine
" si uniscono colla volontà e godono così tutte
" tre di concerto. Ma questo stato di estasi completa,
^ senza che l'immaginativa, parimente secondo me
" rapita, volgasi a qualche estraneo oggetto, è, lo
'' ripeto, di breve durata. Aggiungo che la potenza
^ non tornando in sé che imperfettamente, possa
^ rimanersi in una specie di delirio alcune ore, du-
^ rante le quali a quando a quando le rapisce di
'* nuovo il Signore e in sé lor dà posa. „
Giunta Teresa sugli estremi confini del sensibile
e dell'intelligibile, la santa spagnuola sembra tro-
vare insufficienti le parole del suo dizionario quo-
tidiano, e mentre svolazza nelle nebbie della più
alta metafisica, fa parlare Dio, perché la parola
di Tina povera creatura mortale le sembra insuffi-
ciente ad esprimere ciò ch'ella prova:
" Passiam ora ai sentimenti interiori dell'anima
" in tal condizione. Dicalo chi lo sa, come non si
" può capire, e tanto meno esprimere. Uscita, sta-
Estasi umane. 21
322 CAPITOLO X
^ mani , in tal orazione j e , preparandomi , dopo
^ essermi comunicata , a scrivere sa questo sog-
^ getto , andavo meco stessa esaminando ohe
^ faccia Fanima in tal tempo. Dissemi il Signore
" queste parole: ^ Struggevi tutta, o figlia, per inor
^ bissarsi più profondamente in me: già non è essa
^ che mve, ma io : come non può comprendere quello
" che intende , è il suo un non intendere , pur int^H"
" dendo, „
^ Bimane l'anima, dopo tal orazione ed unione,
^ ricolmata di tenerezza grandissima, cotalcbè vor-
^ rebbe struggersi, non di pena, ma sì della dol*
^ cozza stessa di quelle lagrime che va spargendo.
" Trovasene essa molle, senza averle sentite scor-
"• rere e senza sapere né quando né come abbiale
" sparse. Ma grande le dà diletto il vedere come
" tal acqua celeste, pur rattemprando T arder del
^^ fuoco che la divora , riesce ad aumentarlo in
" iscambio d'estinguerlo. Parr«\ codesto un parlare
^ arabesco, ma pure la cosa passa così.
" In tal grado d'orazione avvennemi a volte di
" trovarmi siflfattamente fuor di me, che non sa-
" peva se la gioia onde erami sentita innondare
" era una realtà od un sogno. Tutta trovavami
" sparsa di lacrime: scorrevano esse senza pena,
" ma con tal impeto e prestezza che quella cele-
SANTA TEBESA 323
" ste nuvola pareva lasciarle scorrere a torrenti
" dal seno. A tanto, avvedevami come stato non
" era sogno altrimenti. Avveniva questo nei prin-
«
" cipii e poco soleva durare.
" Per effetto d'un tal favore, resta l'anima tanto
" piena di coraggio che se in quel punto venisse fatto
" a brcmi il suo carpo per la causa di Dio , grande
" le parrebbe ventura. Ed ecco germogliare allora
" come a gara le promesse e le risoluzioni eroiche,
" la vivacità dei desiderii , l' orrore del mondò e
" la chiara vista della sua vacuità. Fa qui l'anima
" assai più profitto che nelle orazioni precedenti
" e viene elevata a più alto stato. Ne riman pure
^ più profondamente umile : perocché vede chiaro
" come in quella sì eccessiva e stupenda grazia
" non intervenne consenso suo, né ebbe essa parte
^ alcuna a procurarlasi o ritenerla .•••••
La pagina che segue sembra scritta da un fisio-
logo più che da una santa. E pensare che da
scrittorelli leggeri e beffardi, è detta una povera
isterica e nulla più!
" Vorrei, la mercè del divin soccorso, saper di-
324 CAPITOLO X
" ohiarare la differenza che corre tra l'unione ed
"' il ratto. Si danno al ratto varii nomi, che tutti
^ in fondo esprimono la stessa cosa: vien detta
" elevazione o volo di spirito , eccesso di mente od
" esiasi.
" Il ratto supera di gran lunga l'unione: oltre-
"^ che produce effetto assai maggiore; ha molte
" altre operazioni che gli son proprie. L' unione
^ nel suo principio, mezzo e fine, opera pressoché
^ sempre della medesima maniera, e solo nell' in-
" temo. Il ratto ha diverse forme e diversi gradi,
" e come dono di ordine più elevato , opera non
" solo nell'interno, ma nell'esterno ancora. Degni
" il Signore esporre un tal soggetto , come già i
" precedenti : che certo, se non m'avesse insegnato
" Egli stesso di qual maniera ne poteva dare
^^ qualche intelligenza , mai non sariami venuto
"fatto
" Non altrimenti che le nuvole attirano i vapori
" della terra, attira Egli a so l' anima nostra, la
" rapisce tutt'intiera fuor di sé stessa, e in sulla
" nube della sua gloria seco la conduce al cielo ,
'' e incomincia a disvelarle le meraviglie del regno
" che le tiene apparecchiato. Non so se la simi-
" litudine quadri, ma così per l'appunto, ha luogo
" la cosa.
^ In questi rapimenti pare che 1' anima abban-
SANTA TERESA 325
" doni il corpo; e però il calor naturale molto
^ sensibilmente si va indebolendo e le membra
^ rafi&eddansi a poco a poco , benché provisi ad
" un'ora grandissima soavità e diletto. Nella ora-
" zione di unione , trovandoci noi tuttavia come
" nel paese nostro , possiamo quasi sempre resi-
^ stere all'attraimento divino , comechè con pena
" e violento sforzo; ma non così nel ratto: ogni
" resistenza v'è per lo più impossibile. Prima che
" non vi pensi o s'aiuti, viene un impeto sì subi-
" taneo e gagliardo, che vedete, che sentite quella
" nube del cielo o quell'aquila divina rapirvi e via
" trasportarvi a volo. E dire che vi sentirete e vi
" vedrete portare e non saprete dove , perocché ,
0
^ quantunque sia con diletto , la fiacchezza del*
" l'inferma natura fa temere nei principii e bisogna
^ aver anima risoluta e coraggiosa, assai più che
^ a quanto finora s' è detto , per ammirar così
" tutto , avvenga che può , e abbandonarsi nelle
" mani di Dio , ed andare dove sarà piacer suo ,
" ohe , per quanto provisi pena , ivi si è traspor-
" tato. E sì viva è questa pena , ohe moltissime
" volte vorrei resistere, e tutta v' impiego la mia
" forza , segnatamente ove la cosa avvengami in
" pubblico, ed anche talora quando in privato, per
" timore allora di venire ingannata. Alcune volte
" potevo opporre qualche resistenza, ma tutta ri-
326 CAPITOLO X
" maneva rotta dalla persona, e al par di chi lotta
^ con gagliardo gigante, restavano affiranta e spos-
^ sata. Altre volte erano vani tutti i miei conati^
^ la mia anima era rapita e il mio oapo per or-
^ dinario segaiva tal moto , senza ohe il potessi
^ ritenere, e talora perfino tutto il mio corpo ve-
^' niva sollevato , tanto da essere innalzato da
" terra (1). Ma questo mi occorse solo raramente.
" Awennemi una volta mentre ritrovavami in coro
^ insieme colle altre religiose e stava inginocchioni
^ per comunicarmi. Estrema fu la mia pena, ben
^ presentendo come fatto tanto straordinario non
" poteva a meno di destare grande ammirazione,
^ e però , come mi è ciò succeduto ultimamente
^ dacché son Priora , comandai alle monache di
^ non ne parlare altrimenti. Ma altre volte, quando
^ incominciavo ad accorgermi che stava il Signore
** per operare lo stesso prodigio, mi stendevo a
^ terra e le compagne mi si accostavano per rat-
^ tenermi , ma nulla ostante la divina operazione
^ appariva: ed una volta tra Taltre ciò mi avvenne
^^ il dì della festa del santo nostro Patrono (2) nel
(1) Santa Teresa parla in piena buona fede: neirestaai le
allucinazioni si succedono le une alle altre e noi crediamo
sempre di esser sollevati da terra, di perdere il nostro corpo,
di non essere che pensiero e sentimento.
(2) Il patriarca san Giuseppe , dal cui nome s' intitola il
SANTA TEBESA 327
^ tempo del panegirico , a cui assistevano varie
^ dame di qualità. Onde dopo un tal fatto sup-
^ plicai istantemente il Signore di più non mi
" voler far grazie che dessero esteriore mostra di
^ sé : essere io ormai sopraffatta dai tanti riguardi
^ a cui esse mi condannavano; e ad onta di tutti
^ i miei sforzi , riguardar io come impossibile di
^ poterli tener nascosti. E pare che all' infinita
"' sua bontà sia piaciuto di esaudirmi, poiché, da
" quel tratto in poi , nulla più mi occorse di si-
*' mile; ben è vero però che sol da poco V ho io
^ così pregato.
" Quando volevo resistere , sentivo come sotto
^ ai piedi come maravigliose forze, che mi levas-
^ sero in alto : non saprei a che assomigliarle.
" L' impeto appariva assai maggiore che in altri
" consimili fervori di spirito: era terribil lotta onde
^ tutta restavo indolita e pesta. Ma poco in fondo
^approdava ogni mia industria: quando Iddio
" vuole, non c'è potere contro il suo potere . .
E altrove con diverse parole la santa spagnuola
descrive le condizioni . in cui si trovava durante
l'estasi.
celebre Monastero delle Carmelitane di Avìla, nel gitale visse
longhi anni la nostra santa e dove scrisse le proprie memorie.
328 CAPITOLO X
^ . . . , Nel qaal stato, sembra ranima non più
^ essere in sé, ma come augello snll'alto d'nn tetto
^ abitar solitario la parte più elevata di sé stesso,
^ da tale altezza dominando le creature tutte
'' quante; anzi mi sembra che al disopra ancora
^ delle più elevate sue parti faccia essa la sna
" dimora (1). ^
L'analisi è una delle virtù psichiche più rare a
trovarsi nella donna. Eppure santa Teresa non si
stanca mai di approfondare V acuto suo sguardo
nei misteri dell'estasi, volendone avidamente sco-
prire l'intima natura e le riposte ragioni. Uditela,
quando discorre dei rapimenti che duravano tal'
volta varie ore :
'^.Ma qui forse mi domanderete, o Padre, come
" dunque il ratto protraggasi talvolta a varie ore.
" Eisponderò secondo quello che spesso ho pro-
(l) Queste parole sono forse l'inconscio ricordo delle bel-
lissime del Salmista: '' Passai senza sonno le notti, e fui si-
mile all'accello, che solo si sta sopra i tetti. «, (Ps. CI, 8).
SANTA TERESA 329
^ vato. U ratto, come già dissi dell'anione, non è
^ continuo: l'anima ne gode solo interrottamente.
^ Or, assai volte essa inabissasi, o, per dir meglio,
^ Iddio in sé l' inabissa , e dappoiché balla così
*^ tenuta in sé tutt'intiera alcun poco, la volontà
" sola resta a lui unita in rapimento. fTelle due
^ altre potenze avviene allora un tal moto conti-
^ nuo, simile a quello che fa l' indice di un qua-
^ drante solare , lo qual mai non si ferma. Ma
^ quando il sole di giustizia vuole , ben sa farla
^' fermare; e codesto rapimento di tutte insieme
^ le potenze, quello è, come dicevo, che poco dura.
^ Ma, stantechè grande fu l'impeto e l'elevazione
^ di spirito, benché la memoria e l'intelletto tor-
^ nino ad agitarsi, la volontà resta profondamente
^ immersa in Dio. Invano , coli' agitazione della
^ loro attività naturale, cercano elleno di turbarne
^ la pace: essa le domina come regina, ed opera
" sopra il corpo nella conformità che s' é detto.
^ Per non essere poi frastornata dai sensi , tra i
^ nemici suoi i da meno, li sospende a suo grado,
'* tale essendo la volontà del Signore. Gli occhi ,
" U più del tempo, restano chiusi, benché la per-
^ sona non volesse chiuderli; e, se talvolta si ria-
^ prono, non possono disoemere o distinguer molto,
^ come già dissi. In questo stato ha perduto il
^ corpo quasi ogni facoltà d'operare, onde ne se-
330 CAPITOLO X
^ gae che, quando poi la memoria e l'intelletto si
^uniscono di bel nuovo alla volontà, queste due
^ potenze incontrano minore difficoltà
^ . . • • , • Forse non so io stessa quel ohe
" mi dico •
^ Indarno dopo il ratto mi provo a muover le
^ membra: il corpo rimane a lungo privo di forze:
^ tutte seco portossele l'anima. Sovente, inferma
^ che era e da gran dolori travagliata prima del*
^ r estasi , ne esco piena di sanità e dispostezza
^ ad operare: merceochè è cosa di maraviglia la
^ virtù che vi si comunica, ed alcune volte, siccome
^ ho detto , vuole il Signore , che ne partecipi il
^ corpo medesimo, dacché già obbedisce a quanto
^ vuol l' anima. Al ritornar che fa questa in sé
^ stessa, se il ratto è stato grande, restano le sue
^ potenze ancora per uno o due giorni, ed anche
^^ tre , tanto assorte , o come astratte , che non
" sembrano stare in sé. „
Come avviene nelle basse sfere dei piaceri sen-
suali, che chi ha fatto dei delirii della voluttà o
dell' ebbrezza un pane quotidiano , non può più
SANTA TERESA 331
godere le gioie serene e sane della vita: così chi
ha avuto la fortana di inebbriarsi dei rapimenti
dell'estasi, ritoma mal volentieri nei pedestri sen-
tieri della vita ordinaria. Ce lo dice anche la no-
stra santa:
. ^ . . • . . Allora è che si fa sentire il tormento
" di dover rientrare in questa triste vita: già più
^non è r animo novellino augello: già messo ha
^ Tali, già le è caduta la prima calugine. Il mo-
"• mento è giunto per lei di levar alta la bandiera
" di Cristo. „
Da questa ripugnanza aUe sensazioni ordinarie
nasce uno sforzo continuo di rialzarsi là dove si
gode il panorama di orizzonti infiniti. £) il mon-
tanaro, che nelle basse pianure, sogna i ghiacciai
adamantini e V opale azzurra del suo cielo scon-
finato.
^ Io, quant'a me, son convinta che un'anima la
" quale arrivi a questo stato, più non sia essa che
^ parli, né faccia cosa alcuna da sé, ma che que-
^ sto sovrano Monarca prendasi una cura partico-
^^lare di quanto dev'essa fare. Oh! che si scorge
^ allora con quanta ragione tutte le anime do-
" vrebbero come Davide chiedere ali di colomba!
" Come s' intende allor bene quel sospiro del re
" Profeta I Vedesi con sovrana evidenza, che mercè
" V estasi, r apima si alza e vola verso Dio , per
332 CAPITOLO X
" elevarsi sovra tutto il creato, e sovra sé mede-
" sima , ma è volo soave , volo dilettevole , volo
^ senza frastuono.
" Qual può paragonarsi impero a quello d'un'a-
^ nima , ohe , da questa sublime altezza a cui le-
^ voUa Iddio , vede al disotto di sé le cose tutte
^mondane, senza che alcuna di esse l'incateni!
^ Come è confusa degli antichi lacci! Come stu-
^ pisce del passato accecamento! Quanto porta
^ compassione a coloro che vede nelle stesse te-
^ nebre, particolarmente se son persone d'orazione
^ e da Dio favorite di speciali doni!
^ Oh ! che provar deve un' anima , allorquando
^ da questa celeste regione vedesi costretta di far
^ ritomo fra il consorzio degli uomini e assistere
^ spettatrice e parte a questa povera commedia
^ della umana vita ! Qual le torna supplioio avere
" a profondere il tempo in riparar le forze del
" corpo col cibo e col sonno! Tutto le è peso, non
^ sa come fuggire: vedesi incatenato e prigionie-
^ rol Oh come sente allora davver davvero la schia-
" vitù che soffriam nei corpi e la miseria della
^ vita! Conosce quanto avesse ragione san Paolo
^ di supplicare a Dio che ne lo liberasse. Gol
^ santo Apostolo leva alte grida a Dio , chieden-
^ dogli libertà •••.....•...•,
SANTA TERESA 333
" Come mai avviene che , a misura che i rapi-
^ menti si moltiplicano, e s'abitaa l'anima a rioe<
" ver grazia, gli effetti che ne prova sono poi su-
^ blimi? Perchè, finalmente, a misura ohe più su-
^ blimi sono questi effetti, il distacco dell' anima
^ si fa più perfetto? Or non può dunque il Signore
^ pur con una sola di queste visite, lasciarla tosto
^ così santa, come allorquando la fa poi giungere
" grado grado alla perfezione delle virtù? Questo
"è che vorrei sapere e che non so.
^ Un giorno, dopo essere stata a lungo in ora-
^ zione , e aver supplicato ardentemente Iddio
^ benedetto d'aiutarmi a piacergli in tutto , inco-
^ minciai l'inno, e, mentre lo stavo dicendo, mi
^^ venne un rapimento che quasi mi cavò di me;
" fu improvviso, ma pur così manifesto, che non
^ ne potei dubitare. Fu questa la prima volta che
^^ mi concedesse Dio la grazia di un estasi. Intesi
" queste parole: Oià pih non voglio che tu conversi
^ con uomini, ma solo con angeli. Sacro orrore com-
^ presemi a tanto , sia perchè il movimento esta-
" tico s'era fatto sentire con gran forza, sia per-
" che tali parole mi vennero dette nel più intimo
" dello spirito. Ma, come questo timore, cagionato
^ cred' io dalla novità del caso , [si fu dileguato ,
^ mi sentii innondata di consolazione.
334 CAPITOLO X
Le alte allacinazioni dell'estasi son descritte
mirabilmente dalla nostra santa:
" Or dunque, tali locuzioni interiori di Dio al-
^ l'anima sono certe parole chiare a stupire e di-
" stinte , ma non si odono con corporali orecchi ,
^ l' anima non pertanto assai più chiaramente le
" sente, che se le udisse ; e per resistere che fa-
^ cesse affine di non le percepire, vano riuscirebbe
^ ogni suo conato. Bene , tra noi uomini , allor-
^ quando non vogliamo udire, possiamo turarci le
" orecchie , o attendere ad altre cose per modo
" che, pur vedendo, non intendiamo ; ma, rispetto
^ al favellare ohe il Signore fa all' anima , corre
^ tutt' altramente il fatto. La possente parola di
^ Dio doma ogni resistenza , e regalmente s' apre
^ la via all' intelletto , e ne incatena di tal guisa
" l'attenzione a quello che Dio vuole manifestarci
"• che ad impedirnelo volere o disvoler nostro non
" giova.
" E qui è da avvertire , che se ha l' anima vi-
^ sioni, od ascolta locuzioni divine nell'atto di star
^ rapita, ciò non è mai, secondo che mi sembra ,
^ quando il rapimento trovasi giunto al colmo ,
" perocché in tal tempo , come già dichiarai nel
^ parlare, credo, della seconda acqua, tutta la po-
'^ tenza dell' anima essendo perduta in Dio , essa^
SANTA TERESA 336
" per quanto mi è avviso, non può né vedere, nò
"intendere, né udire. Se ne rende il Signore as-
" soluto padrone ; e in tale intervallo ohe è assai
" breve , non mi pare le lasci libertà per opera-
" zioni divine. Ma , trascorso questo breve spa-
" zio, pur rimanendo Panima in rapimento, segue
'^quello che dirò: attesoché restano le potenze di
" maniera, ohe, restano non interamente perdute
" in Dio , pure non operano quasi nulla , stanno
" esse quasi assorte nel divin loro oggetto e inca-
^ paci di ragionare. Or io dico ohe, solo in questo
" secondo periodo dell'estasi, può l'anima venir fa-
" verità di divine locuzioni e di visioni celesti.
" Stando io un giorno in orazione, degnò Egli
" di mostrarmi le sole sue mani , la lor bellezza
^ era così eccessiva , che non ho termini per di-
" pingerla. Gran timore mi cagionò questo fatto ;
" come mi suol sempre avvenire ogni qualvolta
^' Dio comincia a farmi qualche grazia sopranna-
" turale. Indi a pochi dì , vidi pure il divino suo
" volto, e del tutto mi sembra che rimasi assorta.
" Dapprincipio non valevo a intendere perchè il
" Signore mi si mostrasse così poco a poco , dac-
" che mi avea poi a far la grazia di tutta disve-
^ larmi la sua adorabile persona. Intesi poi dopo
^ la cosa : il Signore mi andava così preparando
336 CAPITOLO X
^ grado grado, secondo che esigeva la mia naturai
^ debolezza. Creatura sì abbietta e miserabile qual
^ io mi sono , potuto non avrei sopportare tanta
^ gloria riunita. Or , come Quei che il sapeva , il
^ pietoso Signore man mano mi vi veniva dispo-
" nendo. Siane eternamente benedetto!
" Vi parrà per ventura, o Padre, che gran co-
^ raggio non accadesse per contemplare mani e
^ volto di tal bellezza. Or bene sappiate che tanto
" son belli i corpi glorificati, tanta è la gloria e la
^ luce onde son circonfusi , che , al mirar cose sì
^ soprannaturali e belle, uom mortale resta come
" fuor di sé., e pieno di spavento : opperò quella
^ vista di tal sacro orrore mi sorprendeva , che
^ tutta ne rimaneva rimescolata e profondamente
^ commossa. Vero è che tosto la certezza che mi
^ subentrava nelP animo rispetto alla verità della
^ visione , e i felici effetti che questa in me prò-
" duceva , facevano succedere al timore il senti-
^ mento della maggior sicurezza.
^ Un dì della festa di San Paolo, assistendo io
^ al divin sagrifizio, mi riuscì a veder tutta quanta
^' la sacratissima umanità di Cristo , nelle forme
" che si suol dipingere risorgente , con tale una
^ bellezza e maestà da non si poter significare ....
^ Dirò solamente, che, quando pur non ci fosse
" in cielo per dilettar la vista che la gran bel-
SANTA TERESA 337
^' lezza de' corpi gloriosi e quella sopra tutto del-
^ l'umanità santa di Gesù. Cristo Signor nostro, il
^ piacere sarebbe indicibile. Che se già in questo
" esigilo, ove pure ci si mostra in modo compor-
" tabile alla naturai nostra miseria, questo adora-
" bile Salvatore ne fa entrar con tal vista in co-
" siffatto trasporto , or che fia dunque nel cielo ,
^ quando l' anima nostra lo contemplerà in tutte
^^ le sue glorie e in tutta la sua formosità divina?
^ Senonchè U Signore raddoppiando per me di
^ bontà degnò sì spesso apparirmi in tale stato di
^ gloria e mi fé' veder sì chiara la verità d'un tal
^ favore , che in breve andar mi vidi liberata da
^^ ogni sospetto d'Ulusione. Eiconobbi in allora la
^ mia semplicità ; imperocché quando anche mi
'^ fossi provata per anni ed anni a immaginare
" beltà così maravigliosa, mai non v' avrei potuto
^^ riuscire , tanto la sola sua bianchezza e il solo
^ splendore eccedono tutto che si può inmiaginare
^ quaggiù. £ uno splendore che non abbaglia, una
^ bianchezza ineffabilmente pura e soave ; è uno
'* splendore infuso che dà un invincibile piacere
^ alla vista e non la stanca ; una chiarità gratis-
^ sima che rende l'anima capace di vedere quella
^ beltà divina, è una luce infinitamente diversa da
^ quest'altra di quaggiù , e , in paragone de' suoi
Estasi umane, 22
338 CAPITOLO X
^* raggi che innondano gli occhi rapiti dell'anima^
^ quei del sole perdono talmente aUa prova , che
^' già non si vorria più aprir gli occhi a mirarli.
^ Per ispazio di due anni e mezzo, degnò il di-
" vin Salvatore favorirmi pressoché continuamente
^ di questa visione : ora poi, da più di tre anni, è
^^ essa meno ordinaria, ma me ne concede un'altra
" più elevata Mentre mi parlava, oon-
^ templavo io quella sovrana bellezza e le parole
" che profiFeriva quella bellissima e divina bocca
^* respiravano una dolcezza infinita. In quei forta-
" nati momenti avrei avuto il più ardente deside-
^ rio d'osservare il colore e la grandezza de' suoi
" occhi, per poi poterne parlare , ma non mai ho
'' meritato un tale favore ; tutti i miei sforzi non
" servirono ad altro che a far interamente dispa-
"• rire la visione. Che se d'ordinario mi parla con
^' un' ineffabil dolcezza, talora tuttavia il fa anche
^' con rigore. E benché alcuna volta m'avvegga che
''* mi rimira con tenerezza , ha nondimeno tanta
^' forza quel guardo, che l'anima mia noi può so-
^' stenere, essa entra in altissimo rapimento, che,
^' per meglio unirla all' adorabile oggetto del suo
^' amore, le toglie la vista della sua divina bellezza.
SANTA TERESA 330
*
* *
In nessun luogo della sua Vita più che in que-
sto santa Teresa esprime meglio gli stretti rap-
porti fra Testasi religiosa e l'amore :
" Indi a pQCO tempo cominciò Sua
^^ divina Maestà, conforme aveami promesso, a mo-
*' strar più chiaramente com' Egli fosse che in me
" operava. Sentii accendermisi l'anima d'un arden-
•^ tissimo amor di Dio ; quest'amore era evidente-
^ mente soprannaturale , giacché non sapeva chi
^ così in me l'accendesse, e in nulla v'avevo io con-
^ tribuito. Mi sentivo morir di desiderio di veder
" Dio e non sapevo come né dove aver questa vi-
^' sta , se non se colla morte. I trasporti che mi
^' venivano da un tale amore, sebbene non fossero
^' né della veemenza , né del valore di quelli giàr
" altrove da me riferiti, erano nondimeno siflFat-
^ tamente impetuosi, da non saper io più che mi
^' fare : cosa già non eravi che mi soddisfacesse ;
^' capir non potevo in me stessa e parevami vera-
" cemente che l'anima mi venisse a viva forza di-
" volta. O sovrano artifizio del Signore ! qual gen-
" tile e delicata industria usavate con la misera-
340 CAPITOLO X
" bile vostra sohiava ! Voi vi tenevate a me na-
" scosto ed in un mi davate tenerissima dimostra-
^ zione di amore per mezzo d'una marte cosi deliziosa
*^ che V anima mia mai non avrebbe voluto usdre da
^ quella sovrana afonia.
" A poter comprendere qual sia l' impetuosità
" di questi trasporti , è mestieri averne fatto
•^ prova. Nulla hanno essi di comune con que' mo-
^ vimenti di devozione sensibile , assai ordinarli ,
" che affollano il petto , tendono a prorompere
" fuori, e sembrano soffocare lo spirito. È questa
" una specie d'orazione d'assai inferiore e conviene
" reprimere con discreta dolcezza la violenza de'
^ suoi impeti e far poco a poco ritornar l' anima
^ in calma , non altrimenti racchetasi certo pian-
" gere arrangolato che piglia talora ai bambini j
^ con nulla più che dar loro a bere. La ragione
" deve qui stringer la briglia , affine d' infrenare
^ tali impeti, p^ timore che non forse vi si abbia
" a frammescolare qualche imperfezione e sieno in gran
" parie opera de' sensi e della natura. E così conviene
^ racchetar l'anima, come il bambino, con una ca-
^ rezza d'amore e muoverla ad amar Dio con soa-
^ vita di modi, e non con incomposta bruschezza.
^ Quest'anima deve dar opera a ritrarre dentro sé
^' il suo amore , senza lasciarlo espandersi al di
" fuori, siccome vaso che bolle soverchio, il quale
SANTA TERESA 341
" da Ogni parte riversa, se indiscreta mano troppo
" getta legna nel faoco. Infine , se ne ha da mo-
" derar gì' incentivi , allontanar cioè dalla mente
" i pensieri che feoer levare quella subita fiamma
^ e procurar di ammorzarla con lacrime soavi e
^ non ismunte penosamente, come son quelle che
** nascono da sentimenti sì vivi , e che recar ci
^ sogliono danno non lieve. Assai di tali lagrime
^ diedi io da principio e lasciavanmi sì spossata la
^ testa e lo spirito «i svigorito, che a volte, per un
^ giorno e più , non sentivami in istato di rifar
^ orazione. Sì che gran discrezione bisogna nei
** principii , acciò proceda il tutto con soavità ; e
" s' adusi lo spirito ad operare interiormente , e
^ ad evitar con gran cura quanto non è che este-
** riore ^,
♦ *
Ed ecco che un' altra volta gli ardori dell' ero-
tismo ascetico si alternano colle visioni:
^ Trovandomi io in istato siffatto, volle
** il Signore che avessi alcune volte la seguente
^visione. Vedevo presso di me dal lato sinistro
^ un angelo in forme corporee. £ì sommamente
1
342 CAPITOLO X
'' raro eh' io così li vegga. Awegnacchè spesso
'^ abbia la ventura di goder della presenza dì an-
^ geli, non si ha contezza che per visione intellet-
" tuale .... In qnesta , volle il Signore che P an-
^ gelo si mostrasse sotto forma sensibile agli oc-
'^ chi dell'anima mia. Non era grande, ma piccolo^
" e molto bello : all'ardore del volto riconoscevasi
^ per uno di quegli spiriti più sublimi che non
'^ sono come sembra che fiamma e amore. Doveva
^^ esser uno di quelli che chiamansi cherubini, i>er-
'' che non mi dicono il loro nome. Ma ben veggo
^ che in cielo v'è tanta differenza da certi a certi
^ angeli, e dall' un d'essi all'altro, che noi saprei
" dire. Vedovagli in mano un lungo dardo d' oro,
" e nella punta del ferro parevami che vi fosse
^ un carboncello fiammante. E quello parevami a
" volte a volte immergermi attraverso il cuore, e
" profondarlomi fin nelle viscere, e queste trarmi
^ con esso il dardo nel cavarlo, e lasciarmi tutta
^' divampante d'amor grande di Dio.
" Il dolore di queste ferite era sì vivo, che mi
'* facea dare di quei deboli sospiri che dicevo te-
'^ stè, ma l'ineffkbil martirio facevami gustare ad
'' un'ora soavità sì eccessiva, che 1' anima mia né
'' potea desiderar che finisse , né trovar felicità
^ fuori di Dio. Non è dolore fisico, ma tutto spi-
" rituale, sebbene sia vero che non lasci il corpo
SANTA TERESA 343
^ di parteciparvi ed anche in alto grado. Intrav-
^^ viene allora fra l'anima e Dio effandimento sì de-
^' Uziale d'amore, che adombrarlo mi torna impos-
" sibile. Io supplico questo Dio di bontà a farla
^ gustare a chiunque rifiuterebbe di dar fede alle
*' mie parole. I giorni in cui mi trovavo in tale
^^ stato , andavo come rapita fuori di me stessa ,
" nulla avrei voluto vedere, né dir parola, ma star-
^ ììiene deliziosamente assorta nella mia pena, contento
" per me maggiore di quanU possono essere al mondo
^ esser contenti. „
* III
L' estasi ha ancora rapporti più intimi coli' eb-
brezza narcotica, coli' ebbrezza erotica, di quello
<;he possa supporsi ad un esame superficiale e af-
frettato. Nella voluttà allo spasimo del piacere
tien dietro spesso la tristezza pili cupa, e alle al-
lucinazioni liete e fulgenti dell' oppio seguono le
immagini oscure, i fantasmi delle tenebre. Così
nelle visioni ascetiche dopo gli angeli appaiono i
demonii.
u
Mi stavo un dì in un oratorio, quando
344 CAPITOLO X
^ egli (il demonio) mi apparve alla mia sinistra
^ sotto abbominevole figura. Ne osservai in parti-
^ colare la booca, dacohè mi parlò : era spavento-
^ sissima. Da tatto il suo corpo nsciva gran fiamma,
^ tatta chiara e senz' ombre. Mi disse spavento-
^ samente , che m'era liberata sì dalle sue mani y
^ ma che ben saprebbe farmivi ricascare. Grande
^ fa il mio sgomento : mi feci, alla meglio che potei^
^ il segno della croce e disparve, ma ritornò tosto^
^ e, messo in faga da an naovo segno di croce,
^ non tardò a riapparire. Io non sapevo che mi
" fare : ricordatami d'aver vicino dell'acqua bene-
'' detta, ne gettai verso quella parte dov'era e più
" non tornò. „
«... • ..••••.....•.•
^ Un' altra volta mi stette tormentando cinque
"' ore con dolori sì terribili e tal inquietudine di
" spirito e di corpo, che già mi pareva non po-
^ ter più reggere. Alcune suore, che si trovavano
^ presenti ne rimasero tutte sgomente, e non sa-
" pevano al par di me che si fare e come trovar
" aiuto
v
'^ Stando una volta in orazione, mi vidi
^ in un gran campo sola; intorno a me stava molta
^ gente di diversa specie che da ogni parte mi
SANTA TERESA 345
^ attorniava, e tatti pareanmi aver armi in mano
^^ per offendermi, chi lanoie, ohi spade, chi daghe
^ e chi stocchi assai lunghi; insomma, io non pò-
^ tevo faggire da nessuna parte , senza incontrar'
^ certa morte, e non vedevo persona viva che po-
" tesse difendermi. In così orribile frangente alzai
" gli occhi al cielo , e vidi Gesù Cristo , non in
" cielo, ma ben alto in aria sopra di me, che sten-
^^ dovami la divina sua mano, e mi copriva della
" sua protezione. All'istante medesimo ogni timore
^ mi si dissipò, e quella moltitudine, ad onta del
" suo furore , più non aveva potere di farmi al-
" cun male. „
In Santa Teresa però le immagini triste e spa-
ventose occorrono ben di raro : mentre le alate e
le liete si ripetono spesso. Ella però non può abi-
tuarvisi, e a volta a volta ne rimane come con-
fusa, non credendosi degna di salir così in alto
nel cielo daUe contemplazioni estatiche. Vi sono
alcune sue descrizioni, che richiamano involonta-
riamente alla mente le descrizioni del Paradiso
dantesco.
^ Stavami una sera ritirata in un ora-
^ torio, ma tanto mi sentivo indisposta di corpo,
" che non credevo di poter far orazione : presi al-
^ lora in mano un rosario per orar vocalmente e
Estasi umane. 23
346 CAPITOLO X
^ senza fare grande sforzo di mente. Ma ohi quanto
^ approdano poco tutte le piccole industrie nostre,
^' quando Dio vuole operare su noi! Ero stata così
^' appena alcuni istanti che mi venne un rapimento
" di spirito cosi impetuoso che vidi non potervi
" resistere. Parvemi di essere in ispirito traspor-
" tata in cielo , e le prime persone che vi scorsi
^ furono mio padre e mia madre; e, in ispazio di
" tempo brevissimo , quanto cioè fosse d' un Ave
" Maria, contemplai inenarrabili maraviglie. La vi-
'^ sione per ventura fu di più lunga durata , ma
" in simili contingenze il tempo sembra brevissimo.
" Tratta fuor di me da un favore cosi eccessivo,
^ rimasi assorta in estasi profonda. Tornata che
^ fui in me stessa , temetti non fosse qualche il-
" lusione, sebbene non trovassi motivo a simil ti-
" more. Non sapevo che mi fare , perchè avevo
^^ gran vergogna di parlarne al confessore , non
^ già, mi sembra , per umiltà , ma sì per paura
"• ch'egli si burlasse di me e mi domandasse se
^' ero un san Paolo o un san Gerolamo per aver
^^ conoscenza delle cose del cielo. 11 pensare che
^ tali visioni erano state concesse a quei gran
^^ santi, e il sentimento della mia indegnità, aumen-
^' tava ancora i miei timori, e altro non facevo che
" versar lagrime „
SAWTA TEBESA 347
* *
Chiuderò questo studio psicologico di santa Te-
resa fatto sulla falsa riga delle sue Confessioni
con pochi altri passi, i quali segnano le note più
alte delle estasi religiose della nostra santa.
^ Codesto stato , che tien così 1' anima elevata
" al disopra di tutto il creato, è specie di sovra-
^ nità sì alta che non so se comprender si possa,
^ se non da chi la possiede. É il vero e puro spo-
" gliamento: Dio solo opera in noi, sen^a coopC'*
^ razione alcuna da parte nostra
^ E codeste superne illustrazioni hanno sbandito
" dal mio cuore un' assai vivo timore che sempre
" avevo avuto della morte. Morire sembrami ora
^ la cosa del mondo piti facile ad anima fedele
^ al suo Dio, da che in un momento essa si vede
^^ libera dalla sua prigione e introdotta nell'eterno
" riposo. Perocché, a parer mio , grande corre so^
" miglicmza ira Vestasi e la morte, E di vero lo spi-
" rito rapito in Dio discopre le ineffabili maravi-
348 CAPITOLO X
^' glie oh'Ei gli disvela: e l'anima dall'istante me-
^ desimo che dal corpo è separata, vien messa in
" possesso de' beni tutti del cielo
" Mentre stavo occupata in tali pensieri, tutto
^^ a un tratto, senza intenderne io la ragione, fui
^ sovrappresa da un gran rapimento. L'anima mia,
^^ non essendo capace di sopportare in un corpo
^ mortale il soperchio d'un tanto favore, parca ne
^ volesse uscir fuori, l'impeto del movimento esta-
" tico era eccessivo, e operava ^su di me in modo
^ tutto nuovo : la mia anima era siffattamente ra-
^^ pita, che non sapevo né che s'avesse, né che si
^' volesse. Sentendo tutte le forae naturali abban-
'^^ donarmi e non potendo sostenermi, quantunque
^ fossi seduta mi appoggiai contro il muro. A
^ tale , mi veggo sopra il capo una colomba ben
^ differente da quelle di quaggiù , giacché non
'^ aveva già piume, ma le sue ali sembravano for-
^^ mate di scaglie di madreperla che mandavano
" vivo splendore , ed era più grande d' una co-
" lomba ordinaria. Parevami di udir lo strepito
" che faceva coll'ali, mi aleggiò sul capo quanto
^^ forse un' Ave Maria. La mia anima perdendosi
^ allora nel rapimento , perdette anche di vista
^^ quella divina colomba La gloria,
" il gaudio di tal rapimento fu cosa veramente
SANTA TERESA 349
^ straordinaria. Io restai il più tempo di quella
^ festa come fuor di me , e alienata dai sensi
^ esteriori. Non sapevo che mi facessi, non potevo
^ capire come non soccombessi sotto il peso d'un
^^ così maraviglioso favore: non udivo più, non
" vedevo più, se posso così esprimermi, tanto ero
^ assorta dall'eccesso dell'interior godimento . : .
" La Santissima Vergine mi apparve un
^ giorno in atto di porre un manto di abbagliante
"' bianchezza sulle spalle di quel religioso del me-
" deslmo Ordine, di cui parlai. .
" Vengonmi di tempo in tempo everte ansie sì
^' grandi della sacra comunione, che non so come
^ poterlo significare a parole. Trovandomi una
^ volta a star fuori di monastero, capitò una mat-
" tina a piover sì dirottamente che pareva impos-
^ sibilo di poter uscire di casa. E io di tal desiderio
" languivo di ricevere il mio Dio, che se mi fossi
^ visto appuntar lancie al petto , sarei passata
^ oltre, or si pensi se mi tratteneva un po' d'acqua.
^ Me n'andai dunque in chiesa. Non appena vi fui
" giunta , mi venne un gran ratto. Il cielo, che
" altra volta non avevo visto che come per una
'^ apertura, mi si schiuse dinanzi tutto quanto, e
" allora, o Padre, mi si mostrò il trono di cui v'ho
^^ parlato, e sopra di quello un altro, senza nulla
350 CAPITOLO X
^ io vedere e per una notizia che non valgo a
^ significare, compresi risiedere la Divinità. Quel
^ trono era sostenuto da alcuni misteriosi animali,
"' e io immaginai che potessero essere gli Evan-
^ gelisti. Ma come fatto fosse qnel trono, e ohi vi
" sedesse, io non vidi. Scorsi solamente una mol-
^ titadine grandissima di angeli , che mi parvero
^ incomparabilmente più belli che altri visti già
^ da me in cielo. Ho pensato che erano serafini
^ e cherabini , perchè la lor gloria , come dissi
^' testé, avanza d' assai quella degli altri, e pare-
" van arder tutti di vivo fuoco. Il gaudio onde fui
^ allora innondatala non »i pud esprimere: è cosa inef-
^ f abile al tutto, e senza averlo provato, è impossibile
** il formarsene coìioetto. Intesi trovarsi ivi riunito
^ quanto si può desiderare e pur nullameno non
^ vidi nulla. Mi fu detto , e da chi io lo ignoro,
" che quello che quivi potevo io fare , era inten-
^ dere che nulla potevo intendere, e consideravo
^ che le cose tutte sono un puro niente , in con-
"' fronte di quel bene ineffabile.
SANTA TERESA 351
« *
^ Accade nei grandi rapimenti , ohe all' uscire
"• da quella unione con Dio, che poco dura e nella
^ quale tutte le potenze sono sospese ed assorte,
'^ resta l'anima in tal raccoglimento , anche negli
^ stessi suoi atti esteriori, ch'essa vuol tornar più
^ alla sua ordinaria occupazione: la memoria e
^ l'intelletto sono ancora siffattamente colpiti, che
^ sembrano trovarsi in preda ad una specie di delirio,
^ Ciò ben potrebbe provenire dalla fralezza me-
^ desima della nostra natura : non potendo sop-
^ portar essa un operar sì gagliardo dello spirito,
^ V immaginazione per consenso ne resta affie-
" volita
» • • • •••••■•■•••«■.,
^ Stando io una volta in orazione, mi si rappre-
" sento come le cose tutte si veggono in Dio ed egli
^ tutt« quante in sé le contiene. Brevissima fu tal
^ vista, è senza apparenza alcuna di cosa sensi-
^ bile, ma pure d' una sovrana chiarezza. Tentar
" di descriverla tornerebbemi al tutto impossibile,
^ m' è tuttavia rimasta profondamente impressa.
352 CAPITOLO X
^ ed è una delle grazie più insigni onde m'abbia
^ favorita il Signore
"' Io dico dunque che la Divinità è quasi dia-
"' mante insignificabilmente traslucido e assai più
" grande dell' universo tutto; ovvero come uno
^ specchio , a mo' di quello sotto cui immagina
^ l'anima sua venirne mostrata nella visione pre-
^^ cedente, salvo che è d'una maniera incompara-
^ bilmente più sublime e io ben sento di non
"' aver termini per comechessia adombrar la cosa.
^ Checché noi facciamo vedere in quel diamante,
^ essendo esso tale che in sé racchiude tutte le
^ cose, nessuna potendovene essere che esca fuori
^ di quella grandezza. Mi fu d' altissima maravi-
^ glia il veder in ispazio di tempo sì breve co-
'^ tanta sterminata moltitudine di cose rappresen-
^ tate insieme in quel limpidissimo diamante.... „
Tutte le altezze si rassomigliano. Neil' acroba-
tica del pensiero e del sentimento l'uomo si alza
colle ali della fantasia o del desiderio a cime, che
gli occhi non vedono , che le mani non toccano.
SANTA TERESA ^3
e la ornile serva di Dio, la modesta santa di
Avila , portata neUe sue estasi a veder Dio , dà
la mano al filosofo spiritualista , che sui gradini
infiniti d'una scala che non ha fine, tenta di de-
finir l'indefinibile e si inebbria e si estasia deUe
sue definizioni dogmatiche, dove l'indetermina-
tezza delle parole svela l'inconcepibilità delle cose.
FINE DEL PEIMO VOLUME.
f
INDICE DEL PRIMO VOLUME
V'^^J'N*■•.*^^"
Dedica Pag,
CAPITOLO PEIMO.
Questo libro è una battaglia. — L^estasi nel linguaggio
volgare, nel dizionario e nella scienza. — Definizione
dell^autore e difesa di questa definizione. — Rapporti
e confini tra V estasi , T ipnotismo , il piacere e V eb-
brezza. — Topografia schematica dell'estasi. — Evo-
luzione del processo estatico. — Eziologia dell'estasi.
— n sistema nervoso e l'ambiente. — Cause orga-
niche permanenti e transitorie. — D circolo etemo che
racchiude l'uomo „
CAPITOLO n.
Fatale condanna del figlio di Prometeo. — Classificazione
delle estasi. — Le jpiccóle e le grandi estasi. — Schizzo
sommario delle piccole estasi. — Piccole estasi perma-
nenti e transitorie. — Le grandi estasi. — Trasforma-
zione dell' estasi in lavoro utile. — Classificazione di
tutte le estasi dalla loro origine , » ^^
356 INDICE
CAPITOLO m.
L' ESTASI NEGALI ANIMALI.
Le forme crepuscolari dell'estasi negli animali. — Pic-
cole estasi muscolari, musicali e estetiche. — Le orgie
muscolari" dei bambini e delle bestie. — Estasi musi-
cale. — Estasi estetica. — La passera solitaria a San
Terenzo. — Gli usignuoli ad Acqui. — Il mio papa-
gallo rosso delle Molucche. — Le paradisee e i loro
rapimenti estetici. — Forme crepuscolari delle piccole
estasi nei nostri bambini e nei selvaggi. — Un^ an-
tologia dei popoli anal&beti Fag, 49
CAPITOLO IV.
LE ESTASI AFFETTIVE.
Diverse forme delle piccole estasi affettive. — Estasi
della carità. — Per via della religione, del dolore e del
pentimento. — La redenzione. — Estasi miste di ca-
ritÀ e di estetica del bene. — Contemplazione del
bene. — La bellezza della bontà « 89
CAPITOLO V.
ESTASI DELL'AMICIZIA E DELL'AMOR FBATEBNO.
Eapimenti dell'amor fraterno « 127
INDICE 357
CAPITOLO VL
LE ESTASI DELL'AMOR MATERNO.
I rapimenti della contemplazione. — L'uomo bambino di-
nanzi agli occhi di tutti e agli occhi della madre. —
L'orgoglio materno. — H sagrifizio. — I rapimenti del-
l'amore paterno. — U padre e la figliuola • • Pag, 153
CAPITOLO vn.
LE ESTASI dell'amor FILIALE.
La nostra mamma. — Tre statue e tre donne. — L'am-
mirazione. — Nostro padre. — La figlia e i suoi sa-
grifizii sublimi. — L' uomo vecchio. — Culto per la
vecchiaia „ 181
CAPITOLO vm.
LE ESTASI DELL' AMOR PLATONICO.
L'esistenza e la negazione di questo amore. — Le trenta
definizioni dell'amore platonico e la definizione dell'au-
tore. — Analisi psicologica di questa forma dell'amore.
— I grandi amori. — Gli uragani dell'amore. — Pu-
dore ascetico. — Le visioni dell' amore platonico. —
Forme comuni ad altre estasi n ^^^
358 INDICE
CAPITOLO IX.
LE S8TA8I BELiaiOSE.
Odore di santità. — Analogie profonde tra Testasi re-
ligiosa e Tamore. — L^adorazione. — Dante e santa
Teresa. — La prosternazione, i sagrifizii, i martini vo-
lontarii. — Le visioni ascetiche, le semplici e le com-
poste, le liete e le tristi. — Influenza psichica delia
luce. — Fenomeni secondarìi della visione ascetica. —
La preghiera. — Definita dai teologi e studiata dal psi-
cologo. — La preghiera secondo santa Teresa. — Per-
chè si prega e delizie della preghiera. — L^ambiente
estemo nell'estasi religiosa. — La chiesa, i profumi,
le campane e Tergano. — Estasi religiosa della Con-
tessa *** . Pag. 231
CAPITOLO X.
SANTA TERESA.
Essa è la più alta figura storica nel mondo delle estasi
religiose. — Primi crepuscoli del suo ascetismo. — Suoi
scrupoli e sua alta moralità. — Analisi delle delizie
dell'orazione fatta da lei. — Ineffabili rapimenti dell'e-
stasi ascetica. — Ratto ed unione. — Spirito profonda-
mente analitico della santa spagnuola. — Intimo rap-
porto fra T estasi ascetica e T amore. — Visioni liete
e visioni terribili. — Note più alte dell'estasi. — Vi-
sione di Dio. — Le alte vette dell'alpinismo morale . „ 299
LE ESTASI UMANE.
IL
PAOLO MANTEGAZZA
LE ESTASI UMANE
Quia dabit mihi pennas sicnt co-
Inmbte et volabo et reqaiescam?
Salmo LV, 6.
Volume Secondo
MD ULTIMO
MILANO
PAOLO MANTEGAZZA, EDITORE
1887.
Proprietà Letteraria
Riservati i diritti di traduzione
Milano. — Tip. Trevcs.
Capitolo XI.
Estasi religiose in alcune sante e in alcuni santi. — Maria
degli Angeli. — Anna Caterina Emmerich. — La beata. Mar-
gherita Maria Alacoque. — Battista Varani , principessa di
Camerino. — Frate Jacopo dalla Massa. — Frate Giovanni
della Vemia. — Frate Leone.
EhIosì untane, — li.
Maria degli Angeli, carmelitana scalza, nata a
Torino il 7 di gennaio del 1661 , morta il 16 di
dicembre 1717, è uno dei più mirabili esempii di
ana vita tutta spesa nelle estasi del sentimento
religioso (1). Senza ornare la narrazione coi colori
dell'arte, lasciamo a lei la parola, e dove essa non
basti diamola al biografo di lei, che come scrit*
toro ascetico non è dei più esaltati.
infino dalla più tenera età ella mostrò
di essere sì fatti mente prevenuta dalla divina
grazia che ben si poteva già arguire come Iddio
l'avesse destinata a qualche cosa di straordinario,
nella via della santità. Infatti , prima ancora dei
sette anni ella era già sì inclinata alla pietà, che
(1) Alessandro Teppa, barnabita. Vita della venerabile Maria
degli Angeli, Carmelitana Scalza. Torino 1865.
CAPITOLO XI
come ella stessa oi racconta nella sua vita che
scrìsse per ordine del suo confessore, tatto il suo
diletto era in fare altarini, recitare orazioni, sentir
parlare di Dio, e mentre le sae sorelle si stavano
ricreando, intrattenersi con un suo fratellino e
ragionare delle cose del cielo.
Ma quanto ella fosse già fin d'allora penetrata
dalle verità di nostra santa religione , e come il
suo tenero cuore fosse acoeso di santi desiderii,
veggasi dal seguente grazioso fatto, che ella stessa
con tutta ingenuità ci descrive, Ed è, che udendo
ella di sovente raccontare la vita dei santi da
una buona serva di casa , s' accese in lei tanto
desiderio di imitarne qualcuno, che un bel dì
accordatasi col detto suo fratellino, deliberarono
di fuggire occultamente di casa per andar al de-
serto, e quivi fare penitenza. Per la qual cosa
trovaron modo di avere una tacchetta di pane e
un fiasco di vino, tanto che, secondo illoro* pa-
rere fanciullesco, bastasse loro fino al deserto, che
colà giunti poi Iddio gli avrebbe provveduti*
Quindi posero ben mente dove alla sera si ripo-
neva la chiave di casa per potersi poi aprire la
porta da sé stessi. E così determinato di fuggire
celatamente alla mattina per tempissimo, lieti e
contenti essi andarono a dormire. Ma che? Alla
mattina invece di trovarsi in viaggio per lo de-
MARIA DEGLI ANGELI
serto, i due innocenti fanciulli faron trovati sa-
poritamente dormir ciascuno nel proprio letto,
quando la serva di casa andò secondo l'usato a
svegliarli. Di che oltremodo addolorati per ve-
dersi delusi nelle loro belle speranze, diedero
amendne in un dirotto pianto. Del quale volendo
pur la fantesca saper la cagione, massime dopo^
che ebbe veduto accanto a loro la tasehetta del
pane e il fiasco del vino: ma non vi fu verso che,
ella né verun altro potesse trar loro upa. parola
di bocca, finché Marianna pel timore del castigo
che fu loro minacciato, a grande stento sen venne
a palesar ogni cosa con diletto e ammirazione di
tutti.
Ut
La piccola Maria fin da bambina aveva messo
tanto alto il suo ideale di moralità, che fino il
più lontano pericolo di perdere la sua innocenza
le faceva terrore. E di fatto , ella stessa ripen-
sando alla vita, che pur chiama pessima, da lei
menata fino agli undici anni e mezzo , dice che
oltre quel pericolo non conosce altro peccato, se
non qualche piccola bugia, qualche disubbidienza
6 CAPITOLO il
ai suoi genitori, aloani risentimenti e brighe coi
saoi fratelli e sorelle e qualche giudizio temerario
in materia leggera. Anzi rammenta come con tutto
questo ella cercava pure qualche poco di tempo
per intrattenersi con Dio, e che quando in alcune
cose avesse conosciuto esservi l'offesa di Dio,
avrebbe piuttosto abbracciata mille volte la morte,
che offenderlo.
Tutto questo però non fu ancora bastante a
staccarla del tutto dalla vanità del mondo, tanta
era Tinclinazione che vi aveva, né a toglierla da
quella penosa alternativa, per cui, posta neU' oc-
casione, si lasciava prendere alle lusinghe del
mondo e poscia tornata in sé , piangeva davanti
al suo Crocifisso.
Già fin d'allora cadeva in allucinazione.
.... Quand'ecco un giorno, mettendosi ella da-
vanti allo specchio per adomarsi, invece della sua
propria immagine vide in quella la figura di Gesù
coronato di spine e tutto grondante di sangue.
A tal vista impaurì e restò tutta tremante e con
MABIA BEG^LI ANGELI
abbondanti lagrime si diede finalmente per vinta,
rinunziando del tatto , per quanto le fosse possi-
bile, alla vanità del mondo.
Ogni amore veramente grande sogna il sacrifizio,
come la forma più alta di espressione dell'affetto,
come l'altare più puro e più splendido a cui por-
gere i proprii incensi.
E come l'amore richiede somiglianze, così quanto
più in lei cresceva l'amore verso Gesù, tanto più
cresceva altresì il desiderio di patire e mortifi-
carsi per lui. Onde si studiava di negare in tutto
la sua propria volontà e cercava di mortificarsi
per quanto poteva la propria carne con vigilie,
digiuni ed altre corporali austerità.
L'idea del sacrifizio come omaggio necessario
del grande amore di Dio la conduce a farsi monaca.
Si diede quindi più che mai all' orazione men-
tale, ed il Signore non si lasciava da lei vincere
in cortesia, facendole molte grazie e favori sin-
golari che la fortificavano e le davano animo a
spregiare sé stessa e U mondo; dimodoché quello
che in prima ella amava e stimava, allora l'atterriva
e odiava più che la morte. Per la qual cosa coU'ap-
provazione del suo confessore ella risolvette di farsi
religiosa e ne domandò licenza alla madre. Ma
8 CAPITOLO XI
qaella gliela negò , dicendo eh' ella era ancora
troppo tenera d'età, e eh' essa non voleva essere
da lei abbandonata sì presto. Marianna per allora
si rassegnò e cercava di consolarsi ritirandosi il
più spesso ohe poteva in luoghi appartati a con-
versare col suo Signore. " Sono qui, gli dicea con
tutta confidenza, sono qui, amor mio, sposo mio
diletto, io voglio starmi con voi. „ E così dicendo
si inteneriva tutta e si scioglieva in lagrime d'a-
more, tanta era la consolazione che il Signore le
faceva gustare.
La madre insiste nel suo rifiuto, e tra le altre
cose viene a dirle come già vi era persona de-
gnissima per ogni riguardo che aspirava alle sue
nozze, e come ogni ragione volesse che ella,vi^
corrispondesse.
A queste parole Marianna, secondochè ella stessa
riferisce, non si potè contenere dal rispondere " che
un tal parlare non era di madre che l'amasse, che
essa voleva corrispondere al Creatore, non alle
creature; che già era consacrata per isposa a
Cristo; e però la pregava a non parlarle più delle
cose di questo mondo, ma solo di quelle del cielo;
si compiacesse pertanto di consolarla col permet-
terle di farsi religiosa. La madre allora piangendo
1' abbracciò e le disse : '' Iddio ri faocm una gran
sanf^. „
MABIA DEGLI ANGELI
Né crediate che per quella piccola santa il sa-
crifizio di lasciare la madre fosse leggero e fa-
cile. Dice infatti ella stessa, che nel doversi dir
partire dalla madre, la sua natara si risentì cosi
fortemente che quasi venne meno per dolore. N"è
questo dolore le passò leggermente, come talvoljba
accade, anzi continuò ad affliggerla per tutto il
tempo del noviziato, tanto più che la madre, an-
dando spesso a visitarla, non poteva ritenersi dal
rimproverarle con parole di affettuoso dolore la
sua durezza e crudeltà nelPaverla voluta così ab-
bandonare per chiudersi fra quelle mura.
Così Maria degli Angeli continuò sino alla fine
il suo noviziato. Del quale come fu presso al ter-
mine, Iddio le fece di nuovo gustare la sua dolce
presenza, ed ella si godeva una pace ed untv tran-
quillità sì grande che le parevano un nulla tutti
gli affanni che aveva fino allora sofferti. Quand'ecco
levarsi contro di lei improvvisamente una furiosa
tempesta che le mise il cuore in grande coster-
nazione. La madre in vedersi vicina a perdere
ogni speranza di più riavere in c^iSa la figlia,
benché fosse donna di pietà e timorata di Dio,
mise in opera ogni mezzo per farla uscire dal
chiostro. EJ tant'oltre si lasciò trasportare dal suo
amor materno ; che non voleva star più agli ac*
10 CAPITOLO XI
cordi fatti da prima col monastero, né si ritenne
dal prorompere alla presenza della maestra di
sua figlia in parole ingiuriose alle suore, tanto
che quella era già sul punto di andare dalla priora
perchè rimandasse a casa la novizia.
Ogni difficoltà però fu appianata e Maria
potè con grande allegrezza del suo cuore consa-
crarsi a Dio colla professione solenne il giorno
di Santo Stefano dell'anno 1677.
L'umiltà cristiana, 1' abnegazione di sé, la sete
di sagrifizio si trovano personificate nella buona
Maria.
Siccome poi ella non vedeva in sé altro che
miserie e difetti, e si stimava rea di molte colpe,
meritevole solo dell'inferno, così non è da far
meraviglia se per tale voleva pur essere stimata
dagli altri e cercava in tutti i modi di umiliarsi
e di avvilirsi. Quindi era quel parlare che faceva
di sé con termini solo d'avvilimento e di disprezzo,
chiamandosi quasi per soprannome l'ignorante, la
superba, l'indegna, la bestiuola, la povera pecca*
trice ; lo scandalo del monastero. Quindi parimente
MABXA rmOthl AN0ELI 11
l'occultare a tutto potere- i suoi pregi e i doni
singolari che riceveva da Dio e l'usare con tutti
un tratto semplice e volgare, accomunandosi ad
ogni maniera di persone, e diportandosi in tutta
come fosse una religiosa da nulla. Quindi amava
il cercare studiosamente come dovuti alla sua
indegnità gli uffizi più bassi del monastero, e il
servire alle stesse converse in ciò che vi era di
più incomodo e fastidioso, senza rifuggire da
qualsivoglia schifezza. Quindi finalmente il desi-
derio grande che ella aveva di tutti quegli atti
di pubblica mortificazione , per cui poteva mo*
strarsi di fuori quale si teneva dentro del suo
cuore. Ond' è che si vedeva talvolta entrare in
refettorio a capo scoperto, con uno straccio in*
dosso e con una fune al collo e quivi gettarsi a
terra protesa, accusandosi con grande umiltà di
qualche suo mancamento. Altre volte si vedeva
quivi stesso comparire con una croce in collo, ed
una corona di spine in capo , chiedendo alla su-
periora di essere severamente ammonita, come si
meritava, de' suoi difetti. Tal altra poi se ne an-
dava attorno alla mensa, chiedendo per elemosina
alle suore un tozzo di pane, il quale poi si man-
giava seduta in terra come una povera mendica.
Ma quello che più gradiva, come più conveniente
al suo merito, era. lo stendersi supina in terra*
12 CAPITOLO XI
alla porta della officina, obbligando le suore che
ne uscivano, a calpestarla. Tale e tanto era il
concetto che ella aveva della sua indegnità.
L'instituto delle Carmelitane riformato da santa
Teresa è già per sé stesso di tal rigore, che qnar
lunque anima desiderosa di mortificarsi per amor
di Cristo ha senz' altro di che soddisfare larga-
mente al suo fervore; ma quell' austerità di vita
che ben poche anime elette hanno forza di ab-
bracciare, era poco o nulla al gran desiderio che
aveva Maria degli Angeli di patire per Cristo.
E qui il biografo descrive i crudeli digiuni, le
discipline quotidiane ^ quasi sempre a sangue tanto
ohe ne inzuppava il pavimento „ , e gli ispidi cilici
^ che sempre portava a carne „ e le pungenti cate-
nelle con che si cingeva i lombi e le braccia e le
gambe, e talvolta perfino il collo, lieta di vedersi
così carica di catene e di tormenti come vera sposa
del Crocifisso.
E con tutto ciò il suo desiderio di patire non
era mai sazio, anzi cercava sempre nuovi modi e
nuovi strumenti per tormentarsi, come fu questo,-
orribile pur a pensarsi, di stare alcun tempo so-
spesa per una fune ad un travicèllo della sua
stanza
HARU DEGLI ANGELI 13
Tutti questi tormenti, tutte queste lotte, tutta
questa acrobatica del sentimento portano Maria
in queUo stato di iperestesia deUa coscienza, che
è feconda di allucinazioni e di estasi.
f . . , . Era il dì 14 di dicembre dell'anno 1690,
cioè il giorno anniversario della morte di san Oio-
vanni della Croce, padre dei Carmelitani ScaM,
quando a Maria degli Angeli apparve Gesù, coro-
nato di spine, colla croce in coUo, e accompagnato
dal detto Santo. Con uno sguardo tutto dolce ed
amoroso le dice che compiuto è per lei il tempo delle
battaglie e delle pene, e venuto il tempo che ella
debba ricevere da lui la meritata ricompensa. Ella
sarà quindi innanzi la sua sposa diletta, a lui
congiunta per la più intima unione d'amore: gli
chiegga in premio qual grazia più le aggrada, che
egli è presto ad esaudirla. A tal vista, a tali pa-
role Maria degli Angeli tutta inebbriata d'amore
risponde : " Non altro vi chieggo , o Signore , se
non quello che già vi chiese il mio santo Padre,
cioè di patire ed essere dispregiata per voi. „ Gesù
allora stese le braccia, e dolcemente l' abbracciò,
lasciandola piena di gaudio e insieme con arden-
tissima brama di sempre più patire per lui.
Dopo le allucinazioni, le estasi.
Ma se in lei cresceva sempre più la brama del
14 CAPITOLO XI
patire per conformarsi al suo Sposo crocifisso,
d'altra parte eziandio vennero sempre più ad ac-
crescersi e moltiplicarsi i favori straordinarii che
Gesù faceva alla sua sposa diletta. D'allora in poi
cominciarono a rendersi in lei freqnentissiai^ quelle
estasi stupende, per cui l'anima sua alienata dai
sensi e sollevata al disopra d' ogni cosa terrena,
si portava tutta in Dio, unendosi a lui e trasfor*
mandosi tutta in lui per amore. Bello era allora
il vederla immobile, insensibile, colle braccia in*
crociate sul petto , talvolta in atto di stringersi
al seno il Crocifisso, starsene colla faccia rivolta
al cielo, ovvero fisa in qualche divota immagine;
cogli occhi sfavillanti, col volto acceso, col sorriso
sulle labbra e con un' aria così dolce, così ange«
lica, che in vederla talvolta, come accadde, le
Begine e le Principesse trasportate da riverente
afifetto non potevano contenersi dall' abbracciarla
e baciarle divotamente le mani. Che cosa vedesse,
che cosa sentisse allora l' anima di Maria degli
Angeli, essa sola poteva saperlo
• • •• • •••••*•••••• .^
Insomma divennero così frequenti le estasi in
Maria degli Angeli, che quasi più non passava
giorno, che essa, o in un luogo o in un altro, non
vi si trovasse; tanto che per la frequenza omai
ne era cessata nelle altre monache la maraviglia.
MABIA DEGLI ANGELI 15
Se non che a tutti si rendeva ognor più palese,
che la conversazione di Maria degli Angeli era
del continuo in cielo e che il suo cuore, come ella
stessa ebbe a dire, non era più seco, ma la sua
vita era tutta in Gesù Cristo.
Estasi e allucinazioni si associano spesso, con-
fondendosi in un solo stato di rapimento dei sensi.
E prima di tutto non ha dubbio che Maria de-
gli Angeli in quelle sue dolci e stupende estasi
era bene spesso da Dio sollevata alla cognizione
intima delle cose soprannaturali e che le furono
talvolta rivelati i misteri più profondi della no-
stra santa religione, come per esempio quello della
santissima Trinità , con tanta chiarezza che ella
ne rimaneva attonita.
Era naturale che per parentela psicologica Maria
degli Angeli sentisse una più viva simpatia per
santa Teresa. E infatti questa le appare:
la Santa ben presto la consolò con un
favore del tutto singolare. Gonciossiachè la mat-
tina seguente , mentre ella se ne stava all' ora-
zione tutta umiliata e confusa chiedendo a Dio
perdono delle sue colpe, ecco che ad un tratto
sentì la voce della Santa che le disse: " Figlia,
16 CAPITOLO XI
V
non ti dar pena, che io ti sarò buona madre ,,; e
poi porgendole benignamente la mano, le die li-
cenza di goderne quanto le piacesse. E soggiugne
la serva di Dio , ciò narrando , che quella mano
era tanto risplendente che ella stentava a rimi-
rarla; e con* un odor così* soave die -non sapeva
a qual odore paragonarlo. Di che rimase tutta
confortata con molta pace e quiete, e con un gran
distaccamento da tutto quello che 'non ò Dio.
Di molto più maravigliosa e più gioconda fu la
visione che Maria degli Angeli ebbe una volta
nella festa dell'Assunzione di Maria. Io la riferirò
colle sue stesse parole: ^^Accostandomi, dice, il
giorno dell'Assunta alla santa comunione, mi sentii
in un subito riempir 1' anima di tanta soavità e
dolcezza che mi pareva di essere in corpo ed
anima* in paradiso.* In questo punto 'mi* apparve
la santissima Vergine tanto bella e tanto risplen-
dente, che non poteva fissare gli occhi a rimi-
rarla, sì ne abbagliava il suo splendore. Teneva
in mano una bianca veste, ma di un bianco molto
differente da quello della terra. Era tutta tempe-
stata di gioie; non erano però simili a quelle ohe
io avevo altre volte vedute, ma le sopravanzavano
di gran lunga. Mi disse che la teneva pronta per
rivestirmi^ quando fossi stata del tutto bene spo-
MABIA DEGLI ANGELI 17
gliata di me stessa, e che mi oonveniva anoor
£aticar molto per saperar le battaglie del mio
nemioo; che ricorressi spesso a lei, ohe mi avrebbe
assistita e che le dicessi spesso qaeste parole:
Ad pedes tuos, piisHma Domina mea, vivere vólo et
mari cupio, ^ Mi lasciò molto consolata con molta
pace e qai^te, e. con gr^n de^id.erip ^(òVL^ virt^, e,
particolarmente dell'umiltà e dell'ubbidienza. „
Di tutte le visioni però che Maria degli Angeli
ebbe per lo spazio di molti anni, niuna forse fu più
notabile e di più durevole effetto di quella che
essa vide il giorno della festa del santissimo Sa-
cramento nell'anno 1687. E fu che dopo la santa
comunione le si rappresentò dentro dell' anima
l' Umanità di nostro Signore Gesù Oristo nella
guisa che si dipinge il Salvatore, così bello, glo-
rioso e di tanta maestà, che ella si sentiva rapire
fuori di sé stessa. Ma volendo essa per umiltà
resistere a questo intemo movimento, si fece forza
e uscì dal coro; e così perde la visione di quella
divina presenza. KelP atto però che fece quello
sforzo, fu presa da sì forte palpitazione al cuore
e svenimento di sensi che se Iddio non l'avesse so-
stenuta , secondo che le parve , ella ne sarebbe
morta
Estasi umane. — U. 2
18 CAPITOLO XI
L'ascetismo estatico è una forma patologica del
sentimento e del pensiero, e il povero organismo
che ne è sbattuto di continuo, non può resistervi
a lungo. Leggete la descrizione di questo stato
che sembra fatta dal Gharcot e non da un padre
barnabita.
è* •••#•••••••••••••
ognuno può immaginarsi quanto Maria
degU Angeli dovesse ogni dì più crescere e info-*
carsi nel divino amore. E veramente questo era
in lei tale e tanto , che non potendo più aver li-
bero sfogo, le metteva, come si è detto, il cuore
in continua palpitazione e si fortemente glieP in-
cendeva, che il calor naturale raccogliendosi quivi
dalle estreme parti del corpo, queste rimanevano
fredde, e il petto per contrario, anche nel più ri-
gido verno gocciava di sudore. "So solo questo:
ma, diffondendosi quel calore su per la gola e per
la bocca, le rendeva di continuo le fauci asciutte
e riarse e la lingua piagata, e con lento fuoco le
consumava ancor le gengive; ond'ella avea conti-
nuo bisogno di refrigerarsi con acqua fredda,
senza però mai poter estinguere quell'interno ca-
lore, che le abbruciava le viscere. I quali effetti
che non provenissero da cagione naturale, ma sì
unicamente dalle flamme dell'amor di Dio, dovet-
tero infine riconoscerlo i medici stessi dopo i molti
MARIA DEGLI ANGELI 19
esperimenti che fecero sopra di essa. L' amor di
Dio era talmente insignorito della sua potenza,
che la sua mente , per così dire , altro non pen-
sava, il suo cuore altro non amava che Dio: i
suoi affetti, i suoi discorsi, le sue opere erano solo
per Iddio, e la sua vita non era altro ohe una
vita d' amore , vita nascosta con Cristo in Dio.
^ Vivo ego , jam nmi ego „, andava essa dicendo
coli' Apostolo, " vivit vero in me Christm. „ E così
ancora soleva dire: Vengo dall'amore, vado aWa-
more, penso alVamore e tutto fo per l'amore. Tutto
il suo desiderio era di amare quanto più si possa
a suo Dio; l'unico suo timore, quello di poterlo
ancora offendere. Onde esclamava talvolta con
gran dolore: Oh Dio , amarvi tanto, e trovarmi in
potere di offendervi!
Nervosismo, esaltazione somma di un affetto in-
finito e indeterminato, trasformazione di tutte le
forze psichiche in una sola : ecco la formola arida
ma scientifica delle estasi ascetiche di Maria degli
Angeli.
La sua delizia poi sovratutto era starsene da-
vanti a Gesù sacramentato, conversando con lui
come un' amante sposa col suo diletto sposo. Al
qual fine negli ultimi anni di sua vita ottenne
dalla superiora di poter ritirarsi a suo piacimento,
\
20 CAPITOLO XI
qaando era libera da altra occupazione , in un
piccolo coretto che riguardava il santo taberna-
colo, e quivi come in un paradiso di delizie se
ne stava col suo dolce Gesù, quasi sempre in
estasi , inflno a che non era dall' ubbidienza ri-
chiamata.
Si è riso da molti del così detto odore di san-
tità, ma oggi un più serio esame dei fatti tende
a mostrarci che così come in speciali condizioni
di eccitamento nervoso la traspirazione cutanea
può assumere odor insolito, or piacente ed ora
spiacente, è molto probabile che le singolarissime
condizioni del sistema nervoso che accompagnano
l'estasi ascetica possano dare al sudore un profumo
speciale ed aggradevole.
non voglio por termine alla narrazione
dei doni straordinari onde Maria degli Angeli fu
da Dio privilegiata, senza fare speciale menzione
di quell'odore soavissimo e soprannaturale che
negli ultimi venti anni di sua vita ella traman-
dava dal suo corpo, e lo comunicava a tutto ciò
che eUa toccava, ed ai luoghi dove si tratteneva,
odore che si sentiva da tutti che trattavano con
lei, or più or meno secondo i tempi e che indarno
ella per umiltà cercò talvolta di occultare por-
MARIA DEGLI ANGELI 21
tando addosso cose fetenti. Di qaesto prodigioso
odore parlano concordemente , si può dire, tatti
quelli ohe la trattarono negli nltimi anni di sua
vita. -Ma valga per tutti la testimonianaa che ne
rendette monsignor Costanzo, arcivescovo di Sas-
sari, il quale ne parla nei seguenti termini:
" Cominciò , dice egli , questo odore venti anni
e più avanti la morte della Serva di Dio, in oc-
casione che nel monastero si facevano comuni
preghiere al Signore Iddio, acciocché concedesse
a questi Stati un Sovrano successore. Cessato tal
odore per tutto il monastero, non cessò però in-
dosso alla Serva di Dio, la quale indi in poi per
lo spazio di due o tre anni di quando in quando
spirava tal odore, specialmente nelle feste più
solenni dell'anno, o quando si comunicava, o
quando faceva maggiori penitenze , o in qualche
distinta novena.
" Terminati i detti tre anni si fece tal fragranza
più comune e finalmente continua, tanto che non
solamente il suo corpo spirava tal odore , ma lo
comunicava a' suoi abiti , e alla cella e a quelle
cose che toccava.
"' Quest' odore era stimato da tutti quelli che
lo sentivano, né naturale, né artificiale, sicché
comunemente veniva chiamato odore di santità. ,,
22 CAPITOLO XI
Due anni prima che Maria degli Angeli morisse,
la sua estasi toccò il grado massimo del paros-
sismo.
Due anni prima della sua morte, il primo dì
della novena di santa Teresa essendosi Maria de*
gli Angeli accostata alla santa comunione, le ap-
parve il suo diletto Gesù tutto risplendente di
gloria, con volto dolce ed amorevole, il quale sì
le disse: ^Diletta mia, mi ami tuf y, a cui ella
tutta inebbriata d'amore non potè rispondere al*
tro, se non che: " Ah Signore , se vi am>o! „ Ed
egli allora: " Godi, soggiunse, o figlia, di mia prc*
senza, perchè la godrai per tutta Vetemità, „ A tal
vista, a tali parole, qual fosse il gaudio, l'amore,
la dolcezza di paradiso onde fu inondato il cuore
di Maria degli Angeli, lo pensi chi legge. Certo
che se ella non venne meno per la piena del gau-
dio e per l'ardenza dell'amore, non fu sua forza
naturale, ma grazia speciale di Dio che la so-
stenne.
Ma quello che non le accadde questa volta,
cioè di finir la vita languendo d'amore, le sarebbe
forse accaduto indi a non molto un' altra volta ,
se l'ubbidienza non vi metteva pronto rimedio.
Imperocché crescendo ognor più in lei il desiderio
di congiungersi a Cristo, un dì fu tratta sì poten-
MARIA DE0LI AN0ELI 23
temente a lanciarsi sai seno amoroso di Dio, che
non reggendo le debite forze della natura alla
veemenza dell'amore ella ne cadde in mortale de**
liqaio.
Anche nella dolorosa malattia che condusse
alla tomba la povera Maria, essa godeva dei suoi
dolori e si esaltava delle sue torture.
Durante questa dolorosa infermità bello era il
vederla col volto lieto e sereno, come se giacesse
sopra un letto di rose, mai non muoveva un la*
mento , mai non domandava nulla in sollievo dei
suoi mali, anzi lodava e benediva Iddio perchè la
faceva degna di patire qualche cosa per lui. Ben
è vero che ella aveva un gran conforto ai suoi
maU neUe frequenti estasi con che il Signore la
traeva a sé e la ricolmava di sempre nuovi favori.
Intanto la febbre non rimetteva punto del suo
ardore, e Maria degli Angeli ne pativa assai: ma
non che se ne dolesse punto , anzi desiderava di
j)i^ patere. per amore del 9U0 Dio.. QndjB 1^ ipati-
tina del giorno 13 essendole stata portata la santa
comunione, nell'amoroso colloquio che dopo di
quella essa fece col suo Oesù sacramentato fu
udita, tra le altre cose, prorompere in queste pa-
54 CAPITOLO XI
role: ** Caro Gesù, se volete darmi piU da patire ,
datemene ancora più: solo vi chieggo che mi lasciate
la testa Ubera, awioochèio possa amarvi fino alfine.
Del resto fate di me quanto vi piace. „
Spirata ohe fa, la sua faccia rimase così bella
e graziosa, che a riguardarla si sarebbe detto lei
non esser morta, ma riposarsi in placidissimo
sonno. • . .
*
Anna Caterina Emmerich nasceva 1' 8 di set-
tembre del 1774 in una povera capanna di Flam-
ske presso Hoesfeld (1).
Fin dalla prima infanzia fii di natura dolce e
^tenerissima. Fon fu mai udita gridare; non fu mai
irrequieta, ma piuttosto tacita, sempre dolce e
graziosa, come la beata Maria Bagnesi di Firenze
o come la beata Colomba da Bietì.
Uno dei risultamenti di cotesta purità si fu ohe
(1) Vita della Serva di Dio, Anna Caterina Emmerich,
scritta dal P. C. £. SchmOger e tradotta dall' originale te-
desco dal marchese Cesare Boccella. Volumi tre. Torino 1869.
ANNA EMMEBICH 2S
Anna Caterina conservasse sino alla morte la sem-
plicità la meno sospettosa, quella di un umile in-
nocente bambino, che nulla sa di sé stesso e del
mondo, perchè vive in Dio soltanto Il Si-
gnore la trattò sempre come una bambina ed ebbe
cura, nella sua meravigliosa sapienza, che essa,
nella pienezza della luce da lui versata sul di lei
spirito, conservasse la semplicità; nell'eroico co-
raggio che sempre aveva sete di nuovi patimenti,
•la timidità conservasse: e nella tremenda gravità
della di lei missione, sempre mantenesse quel li-
bero abbandono di un fanciullo, che può rapida-
mente passare con occhi ancora bagnati dalle la-
grime del dolore alla serena allegria di una età,
che non conosce cure, perchè non ha peccati . . .
In questa natura semplicissima però ben presto
si manifestò il bisogno dell' adorazione di un es-
sere influito, e lo soddisfa colle preghiere lunghe
e ardenti.
Sino dal quarto anno dell' età sua incominciò
essa a raccorciare quel tempo di notturno riposo,
tanto necessario ai fanciulli, per consacrarlo alla
pietà. Sì tosto i genitori erano iti a dormire che
ella lasciava il letticciuolo e pregava insieme al-
l'Angelo suo custode per due o tre ore, e talvolta
26 CAPITOLO XI
sino all'alba. Ella amava di fare questo santo
esercizio a cielo scoperto, e qaindi, allorché la
stagione lo permetteva, usciva cheta cheta dal
casolare paterno e si arrampicava verso un campo
situato alquanto più alto, poiché essendo colassù
si credeva più vicina a Dio jdi quello che non
pensasse esserlo nel basso, e rivolta col guardo
verso la chiesa di Hoesfeld, pregava a braccia
aperte.
Gran parte della di lei preghiera era da Anna
Caterina consacrata alle povere anime del purga-
torio, le quali ansiose di soccorso, bene spesso a
lei si avvicinavano.
Era tempo d' inverno. EUa di notte s' inginoc-
chiava sulla neve e pregava per loro, sinché quasji
divenisse pel freddo come di sasso, a braccia
aperte. Prendeva anco talvolta un tronco di legno
tagliato ad angoli acuti, per inginocchiarvisi sopra,
o si poneva genuflessa fra le ortiche e con quelle
si .di^ciplii^ava,. onde con simili pene render più
operativa la sua orazione. In tutto ciò le era bene
spesso di sollievo il ricevere ringraziamento da
quelle povere anime così liberate.
Intorno a ciò così riferiva essa medesima negli
anni susseguenti:
'^ Mentre io era Jancora bambina fui trasportata
ANNA EHHEBICH 27
da persone a me sconosciate in un luogo, che mi
parve essere il purgatorio. Vidi costì molte anime
in grandi pene, che mi supplicavano di orare per
loro. Mi pareva come se fossi trasportata in un
profondo abisso. Vidi anche un largo spazio , la
cui vista produceva un' orrenda impressione , ma
ad un tempo anche commovente, poiché costì se-
devano persone silenziose e dolenti che pure ave-
vano alcun indizio nel volto di una gioia raccolta
nel cuore e che stavano come se pensassero alla
misericordia di Dio. „
Bisparmìo al lettore le infinite visioni di Anna
Caterina in questo periodo della sua vita; ma non
posso tacere una santa, un'ingenua confessione
sua, che è tutta quanta una pagina di psicologia
ascetica:
" Spesso, mentre ero bambina, ho con la mag-
gior confidenza disputato con Dio, perchè mai
egli avesse fatto così, e non diversamente, questo
0 quell'altro. Non poteva concepire come mai Id-
dio avesse lasciato nascere il peccato, poiché egU
ha tutto in sua mano. Sopratutto l'eternità delle
pene infernali mi pareva dura al di là d'ogni con-
cepimento. Allora mi sopravvennero visioni, che
talmente mi ammonirono e m'istruirono, che ben-
tosto fui convinta quanto infinitamente sia giusto
28 CAPITOLO XI
ed amoroso Dio, e quanto, se io avessi pur po-
tuto fare qualsiasi cosa a mio modo, avrei fatto
ogni cosa inefifabilmente male. ^
Anna Caterina era nevrosica fin dalla prima
fanciullezza, e ce lo dice il biografo di lei senza
essere medico né fisiologo.
Il colore del di lei volto soleva cambiare rapi-
damente dal più fiorente rossore fino alla più lan-
guida pallidezza; e quei suoi occhi radianti di
luce potevano spegnersi con tanta rapidità, !che
Anna Caterina era spesso da riconoscersi appena.
Una serietà profonda scacciava da lei V allegra
libertà dei suoi modi, ed una tristezza inesplica-
bile a quanti la circondavano posavasi sulla di
lei fronte in modo tale che i genitori nella loro
cura spesso si addimandavano : Che sarà mai ac-
caduto a questa ragazza?
Leggete questi frammenti preziosi, nei quali sì
legge come in un libro aperto la natura tutta
nervi e entusiasmo di Anna Caterina, dall'amore
alla camomilla fino al culto per le campane:
" Non mi sono mai potuta meravigliare del che
Giovanni nel deserto abbia potuto apprendere
cotanto di relativo ai fiori ed agli animali; giac-
ANNA EMMEBICH 29
che, sin da che io era bambina^ ogni foglia, ogni
fiorellino mi fa sempre siccome nn libro , in cai
leggere poteva. Osservando ogni colore, ogni
aspetto , ogni forma , sentiva in me chiara V idea
della loro significazione e bellezza: se per altro
lo volessi raccontare, verrei derisa. Ogniquavolta
usciva all'aperto io mi sapeva sollazzare con tatto.
Iddio mi aveva infaso il sentimento intimo di tatto
e tatto osservavo penetrando nella intima natura
dei fiori e degli animaletti
^ Più d'ogni altra cosa io amava i fiori di camo-
milla. Non so quanto vi sia per me di dolce e di
meraviglioso nel loro nome. Già di buon' ora co-
minciai a raccoglierli e li tenevo pei poveri am-
malati
Fin da bambina sentendo il suono
delle campane consacrate, vedeva in visione questi
suoni radiare siccome raggi di benedizione , che
fugavano ogni danno minacciato da nemiche po-
tenze sin là dove giungevano. „
Fin qui il poeta, una linea più in là la santa....
^ Bitengo per certo che le campane consacrate
spaventano Satana. Quando io nella mia gioventù
in tempo di notte pregava nei campi, spesso sen-
tiva e vedeva maligni spiriti intorno a me; ma
tostochè le campane di Hoesfeld suonavano a
30 CAPITOLO XI
mattutino, io sentiva che quegli spiriti fuggivano....
Io sento il suono delle campane
consacrate e più essenzialmente lo sento gioioso,
fortificante e dolce di qualsiasi altro suono, che
al contrario mi giunge cupo e rauco; anche lo
stesso organo risuona alle mie orecchie come
spossato affatto e di natura molto inferiore al
suono delle campane. „
S'elle estasi ascetiche le allucinazioni non man-
cano mai: Anna Oaterina vedeva spesso e sotto
diverse forme il demonio e l'angelo custode:
^ L'Angelo mi chiama e mi trasporta qua e là.
Bene spesso mi trovo con lui in viaggio. Mi porta
presso persone che conosco o che ho vedute una
volta; ma anche presso talune che mi sono affatto
sconosciute. Mi porta anche al disopra del mare,
ma ciò avviene in modo rapido come il pensiero,
ed io veggo allora lontano lontano I Fu egli che
mi trasportò presso la Begina di Francia nella sua
prigione (Maria Antonietta). Quando viene a me
per accompagnarmi in qualche viaggio, il più
delle volte veggo dapprima un certo splendore,
quindi mi si presenta ad un tratto la di lui forma
luminosa e raggiante fuor dalle tenebre, come
talora accade quando una lanterna cieca viene
aperta ad un tratto in seno alla notte. Quando
ANNA EMMEBICH 31
viaggiamo , fa notte al disopra di noi , sopra la
terra per altro si estende un certo barlume. Noi
partiamo di qui a traverso conosciute vicine con-
trade, dirigendoci a paesi sempre più distanti; ed
io provo la sensazione di non comune lontananza.
Talora il nostro viaggio va per istrado diritte;
talora va di traverso al disopra di campi, di
monti, di fiumi e di mari. Io deggio misurare coi
piedi tutta la via, e spesso con istento salire per
monti scoscesi. Quindi le mie ginocchia ne rie-
scono dolorosamente stanche ed 1 miei piedi ne
divengon bruciati, giacché vado sempre scalza.
La mia guida, sollevata in aria, talvolta mi pre^
cede, talvolta mi sta d' accanto. Mai mi accorgo
eh' ella muova i piedi. Ella è molto silenziosa, fa
pochi movimenti oltre quello di accompagnare
col cenno della mano, o inclinando il capo, la sua
corta risposta. £2 affatto trasparente e luminoso ,
spesso di un aspetto del tutto serio, spesso di
una serietà mista all'amore. I di lei capelli sono
lisci, ondeggianti e luminosi. Non porta cosa al-
cuna Bxù capo, ed è rivestita di una veste talare
a guisa di sacerdote, lunga,, e splendente di luce
dorata. Io parlo con lei francamente; soltanto non
posso guardarla appieno nel volto, talmente mi
sento inclinata dinanzi a lei
Noi passiamo frequentemente sopra città.
32 CAPITOLO XI
Quando nell'oscurità dell'inverno io lasciava tardi
nella sera la chiesa dei gesuiti in Hoesfeld ed in
mezzo alla pioggia ed un turbine di neve me ne
andava a traverso 1 campi a casa nostra in Flam-
ske, e quando mi sentiva nascere nell'anima l'in-
quietudine; tosto pregava Iddio, e vedeva brillare
a me dinanzi siccome una fiamma, un'apparizione,
la quale aveva la forma della mia guida, vestita
della sua veste talare. Tosta la umida via si dis-
seccava sotto i miei piedi , tutto era luce a me
d'intorno, né pioveva, né nevicava sopra di me,
ed io poteva pienamente asciutta giungere a casa.
^ Quando io mi trovo, confessò essa una volta,
trasportata in visione, rapita in un' estasi , o im-
mersa in un' opera spirituale a me imposta , mi
succede spesso di essere istantaneamente ed ir-
resistibilmente richiamata da una lontana vene-
rabile e santa potenza in questo oscuro mondo. „
Il culto del dolore e la sete del sagrifizio non
mancano anche in Anna Caterina:
Neil' ultimo anno del di lei soggiorno in casa
del cantore Sontgen accadde che un giorno sul
mezzodì si trovasse immersa nell' orazione nella
chiesa dei . gesuiti . in Hoesfeld , e precisamente
sul palco dell' organo , dinanzi ad un crocifisso.
ANNA EMU^BICH 33
La Chiara Sontgen si trovava con lei in chiesa.
Anna Caterina vide uscire dal tabernacolo il suo
Sposo celeste sotto la sembianza di un giovinetto
raggiante di luce. La sua sinistra mano teneva
un serto di fiori, nella destra portava una corona
di spine. Ambedae le offrì alla di lei scelta. Anna
Caterina afferrò la corona di spine, che egli allora
le pose sul capo, ed ella medesima ve la impresse
fortemente con ambe le mani. Soffrì indicibili pene,
che mai più da quel momento la lasciarono. . .
Entrata come novizia in un convento, le iti as-
segnata la peggiore cella del monastero, con una
seggiola senza appoggio , ed una seconda senza
fondo. Il tavolino che mancava eira compensato
dalFappoggio intemo della finestra. " Ma cotesta*
mia povera cella, confessò bene spesso in seguito,
era per me tanto bella e ripiena, che mi sembrava
tutto il cielo esser là dentro. „
• •••.•••.•••••
" Io mi era data interamente al mio Sposo ce-
leste, ed egli dispose di me come volle, n poter
soffrir tranquillamente m' è sempre sembrato lo
stato più degno 'd'invidia su questa terra, ma non
vi sono mai pervenuta. „
Intanto il nervosismo cresce, e le estasi e le
allacinazioni si complicano colla catalessi.
• • . . * •••••.••■...•.
Estasi umane. — U. 3
34 CAPITOLO XT
" Quand'io divenni incapace di nascondere i miei
patimenti e cadevo come in isvenimento dinanzi
alle altre, mi trovai una volta in coro, e senza
partecipare al canto comune, divenni affatto irri-
gidita e come pietrificata, dimodoché caddi al
suolo, allorché le monache mi scossero, mi traspor-
tarono via di là, ed intanto io vidi una monaca
aggirarsi sul tetto della chiesa sino al comignolo,
cioè fino dove non era possibile ad alcuno di ar-
rivare; e dopo mi fu manifestata quella monaca
essere Maddalena dei Pazzi, che in vita aveva ri-
cevuto le Stimmate del Signore. Un' altra volta
la vidi correre su pel cornicione del coro ; un'altra
montar sull'altare, e afferrar le mani del sacerdote.
^ Ma ora qua , ora là , bene spesso ero rapita
fuor di me stessa; giaceva irrigidita e prostesa
sul volto, o stava genuflessa a braccia aperte, ed
in tale posizione mi trovava poi il prete del mo-
nastero. Trovava anche sempre la più ardente
brama di vedere santa Teresa, perchè aveva inteso
a dire aver ella sempre provate tante angustie a
causa dei suoi confessori ^
Anche l'Overberg parla delle estasi frequentis-
sime di Caterina:
^' Anche Caterina ha spesso avuto in convento
svenimenti (ossia estasi), specialmente quattro anni
ANNA EMMEBICH 36
innanzi la soppressione. Ooteste estasi le soprav-
venivano ovunque, sia nel lavoro, sia in convento,
0 nel giardino, od in chiesa, od in cella. Allora
ella cadeva per terra, e vi restava giacente. Per
lo più le sopravvenivano quando era affatto sola;
talora ne ha avuto alcuni piccoli attacchi anche
a tavola, ma ella supplicava Iddio di non lasciar-
gliele in quel tempo sopravvenire. Spesso ella opi-
nava di essere rimasta un solo momento in quello
svenimento; quando per altro guardava l'orologio
riconosceva allora di essere stata lungamente fuori
di sé. „
Sulla mia domanda del modo con cui ella di-
stinguesse gli svenimenti per debolezza dagli altri
(cioè le estasi) ella rispose : " Negli svenimenti per
debolezza io mi sento male affatto, e soffro tal-
volta sì fortemente nel corpo, che mi sembra d'es-
sere sul punto di morire. Negli altri svenimenti
(estasi) non sento affatto il mio corpo e sono al-
lora talvolta molto allegra, talvolta anche melan-
conica. Mi rallegro allora della grande misericordia
di Dio verso i peccatori , che egli tanto ricerca
per ritrarli addietro dal male, e che per ciò amo-
rosamente a sé riceve. Melanconica divengo poi,
pensando ai peccati da cui Dio viene così orri-
bilmente offfeso. Mi sembrava spesso nelle medi-
tazioni come se vedessi il cielo e Dio nel cielo.
36 CAPITOLO XI
Quando mi trovava in amarezza, sembravami so-
vente come se camminassi per una via angustis-
sima e larga appena della larghezza di un dito.
Dai due lati io vedeva neri abissi ed immensa-
mente profondi. Sopra di me tutto era bello e
verde, ed un giovinetto luminoso mi porgeva la
mano e mi guidava per quella stretta via. Spesso
ancora, mentre trovavami in turbamento ed ari-
dità, il Signore mi diceva: La mia grazia ti basti.
E ciò mi veniva detto air orecchio in modo dol-
cissimo. ,,
Tre giorni prima del nuovo anno 1813, dopo il
meriggio , Anna Caterina fu trovata a braccia
aperte orante, in istato di estasi, dalla figlia della
vedova Roters, la quale osservò tosto che dalle
palme delle mani deirestatica stillava sangue; ma
nondimeno credette che la cagione di ciò fosse
una lesione accidentale. Quando Anna Caterina,
destatasi dall'estasi, fu da lei avvertita di quello
stillicidio, l'estatica la pregò di non parlarne più
oltre. Il 31 dicembre per altro il padre Limberg
le recò la santa Comunione, ed allora vide per
la prima volta le Stimate sul dorso delle di lei
mani. Esse sanguinavano.
Io annunziai ciò (così raccontò egli) all' abate
Lambert, che abitava nella stessa casa. Egli re-
ANNA EMMEBICH 37
cossi tosto con me nella stanzaccia di Anna Ca-
terina, ed osservando quello stillicidio sanguigno,
le disse: Sorella, non ti devi già immaginare di
essere una Caterina da Siena. Siccome per altro
le Stimate non cessarono dal sanguinare fino a
sera, ella mi disse il giorno seguente: Padre, ciò
non deve sapersi da veruno I Deve restare fra noi,
altrimenti avremo da sopportare molte inquietu-
dini e grande frastuono I
Nel calendario ecclesiastico del Padre Limberg
troviamo questi appunti:
" Nel giorno delU Epifania vidi per la prima
volta le Stimate nella superficie interna delle mani.
^ L'il gennaio ella stette dopo le sei assisa so-
pra una sedia d' appoggio e per un' ora e mezza
rimase immersa nell'estasi.
^ 15 gennaio : oggi ha ricevuto la santissima
Comunione. Dalle sette fino alle nove è rimasta
rigida ed immobile in estasi.
^ 28 gennaio ; dal quindici in poi è rimasta ogni
giorno per più lungo o per più corto tempo in
estasi. Oggi ho visto le Stimate anche nei piedi.
^ Le di lei mani ed i piedi hanno stillato san-
gue in ogni venerdì. La doppia croce sul petto
nel mercoledì. Da che ho osservate le Stimate,
ella non ha più mangiato cosa alcuna.
^ Questo di lei stato è rimasto sconosciuto sino
38 CAPITOLO il
al 28 febbraio 1813; in quel giorao poi la Sontgen
se ne è accorta e ne ha parlato meco (1). „
Le estasi ascetiche sono fenomeni molto affini
al sonnambulismo. Il Padre Limberg, quando per
la prima volta sorprese Anna Caterina nello stato
di estasi, e al di lei risvegliarsi da quello la sot-
topose ad un interrogatorio, ella ne venne in tal
vergogna, che arrossendo ognor di più lo pregò
istantemente di non palesare quel suo statò ad
alcuno. Erale succeduto appunto come alla beata
Maria Bagnesi (2) con la quale ella principalmente
aveva una mirabile somiglianza; giacché anche
costei fu una volta trovata rapita fuor de' sensi
e sollevata in aria, e quando rientrò in sé, fu
(1) Oggi la fisiologia patologica spiega l'associarsi di grandi
perturbamenti dei centri nervosi con macchie , con eruzioni
diverse della pelle ed anche con emorragie capillari. La vita
dai vasi è strettamente collegata col sistema nervoso, che
la governa nella più parte dei suoi fenomeni.
(2) La vita della beata Maria Bagnesi, nata in Firenze
nel 1514 fu descritta dal di lei confessore Agostino Campi,
e trovasi negli Ada 'Sanctorum , tom. 6, mese di maggio.
Nota del biografo di Anna Caterina.
ANNA EKMEBICH 39
pregia per quel caso da tale terrore, che nascon-
dendosi il volto, e simile ad una bambina sorpresa
in qualche mancanza, non osò più volgere lo
sguardo ai testimoni di quel suo caso.
Altre volte le visioni che accompagnano l'estasi
ascetica sono molto simili per il loro splendore e
la loro varietà a quelle che si hanno per influenza
dei narcotici (1).
Ecco alcuni frammenti di una visione di Anna
Caterina, così come ella stessa ce li ha conservati :
^ Allora la mia Guida mi condusse in giù
al di là del monte e ci avanzammo sopra un bel
prato pieno di fiori bianchi, gialli e rossi. Vi cre-
scevano sì folti, che io aveva sempre timore di
calpestarli e spesso non mi sapeva dove posare i
piedi. Vi erano inoltre Ala di meli fiorenti ed ogni
altra sorta di alberi. Al termine di cotesto prato
vedemmo una strada profonda ed oscura, circon-
data da siepi alte e selvaggie; la via era ingom-
bra di sassi e di fango. La traversai per altro
felicemente per mano alla mia Guida, giacché non
toccava punto quel sudicio fango , ma piuttosto
sembravami sorvolarvi per sopra. Quando avemmo
superato quel cammino, venimmo di nuovo ai
(1) Manteoazza, Quadri della natura umana, Milano 1871.
Voi. 2, pag, 349.
40 CAPITOLO XI
piedi di un grazioso monte, ma piuttosto alto, che
era ricoperto soltanto di belle e laminose pie-
triizze. Quando vi fummo in cima guardai in giù
sul prato e su quella via pericolosa, e la Guida
mi disse che l'ultima piacevole strada da noi per-
corsa con quei suoi fiori ed alberi fruttiferi, si-
gnificava la consolazione spirituale, il ristoro ed
i molteplici effetti della grazia, che nascono negli
animi degli uomini dalle tentazioni e dai pericoli
superati. Quel mio timore poi di calpestare i fiori
significava gli scrupoli „
" Vidi la Gerusalemme celeste in forma di una
luminosa, aurea e trasparente città, elevata nel-
l'azzurra vòlta dell'aere senza fondamento terreno.
Eranvi mura e porte, ma io vidi a traverso quei
muri e quelle porte ed anche a traverso tutto
quanto oravi dietro riposto. Cotesto modo di ve-
dere si rassomiglia piuttosto ad una cognizione
intima e simultanea di un tutto, che alla vista
di molte e diverse cose susseguentemente l'una
dopo l'altra, e con quelle disposizioni ch'io debbo
qui impiegare descrivendole. Erano là dentro molte
strade e palagi e larghi spazii^ e tutti erano po-
polati di umane sembianze, differenti per altro
di specie, di dignità e di grado. Distinsi inoltre
intere classi e corporazioni insieme riunite. Quanto
ANNA EMHEBICH 41
più a fondo io guardavo nello interno della città,
tanto più il tatto mi sembrava magnifico e ma-
raviglioso. Le sembianze che vidi eran tutte lu-
minose senza alcun colore, ma pure si distingue-
vano tra loro per la forma dei vestimenti e di
ogni sorta d'insegne che portavano: come nastri,
corone, serti di fiori, verghe pastorali, verghe ter-
minanti in una croce, strumenti di martirio e
cose simili. In mezzo all'intera visione scorgevasi
in alto la forma di un albero , sovra i cui rami
diversi, quasi come sopra seggi distinti, appariva
ogni sorta di magnifiche figure. Quell' albero si
dilatava nella guisa in cui le inteme vene di una
foglia si dilatano l' una dall' altra, ma poi di bel
nuovo si riuniscono arrotondandosi nell'alto. Quelle
figure che più alte sedevano, apparivano sempre
più magnifiche ed immerse in più profonda adora-
zione. Sembravano lassù seduti venerandi e santi
vecchi, e sulla estrema punta vidi come un globo
sormontato da una croce, che rappresentava l'in-
tero mondo: e vidi pure come se lassù stesse an-
che la madre di Dio, ma in più magnifico splen-
dore che mai. Tutto questo insieme per altro è
assolutamente inefi^abile
n
42 CAPITOLO XI
Io non faccio lo stadio dei santi, né intendo
discutere fin dove il fanatismo religioso giunga
ad esagerare, né la critica scientifica a demolire.
Tengo solo a constatare che il sentimento reli-
gioso porta il cervello umano a estasi frequenti,
che si complicano di visioni, che sono vere e
proprie allucinazioni.
Tutto un capitolo della Biografia del Padre
Schmoger è < edicato a narrare i Viaggi in visione
di Anna Caterina verso una città ebrea nelVAbissiniu
e verso il così detto Monte dei Profeti nel Tibet; e
chi non fosse ancor stanco né sazio di visioni può
reggerle nell'opera già citata.
Non devo però tacere come poche sante ci mo-
strino un esempio più eloquente di uno stato ne-
vrosico permanente, nel quale lo stato per molti
eccezionale di eccitamento invade poco a poco la
vita fisiologica del sistema nervoso, e la coscienza
patologica diviene la condizione abituale. É allora
un confondersi strano di vero e di falso, nel quale
la ragione non riesce più ad afferrare il filo con-
duttore e il criterio della realtà fa completo nau-
ANNA ÉMMX!BICH 43
fragio. Ce lo dice Anna Caterina con un lin-
guaggio preciso, direi quasi scientifico :
" Ho veduto infinite cose che non si possono
e^sprimere affatto con parole. E chi può mai dir
colla lingua ciò che vede altrimenti che cogli
occhi?
^ Io non vedo ciò cogli occhi, ma piuttosto mi
sembra come lo vedessi col cuore , così qui in
mezzo al petto. Ciò mi cagiona anche in questo
punto una eflftisione di sudore. Vedo nello stesso
tempo cogli occhi gli oggetti e le persone che mi
stanno d'attorno, ma non me ne curo punto; non
so né chi, né chi siano, anche in questo momento,
mentre parlo, sono veggente ........
^ Da alcuni giorni in poi sto continuamente in
mezzo fra una visione sensibile e sopranaturale.
Debbo farmi molta violenza, poiché in mezzo al
conversare con altri, vedo ad un tempo dinanzi
a me tutt'altre cose e tutt'altre immagini, e sento
la mia propria parola e quella degli altri come se
provenisse rozza e rauca attraverso un vuoto re-
cipiente. Mi sembra inoltre di essere come iueb-
briata ed al punto di cadere. La mia parola di
risposta a coloro che parlano esce tranquilla dalle
mie labbra e spesso ben più vivace del solito,
senza per altro ch'io mi sappia dopo quel che ho
detto prima; e ciò nondimeno parlo ordinatamente
r
44 CAPITOLO XI
e con pieno senso. Ho gran pena a mantenermi
in questo doppio stato. Cogli occhi vedo quanto
ho d'intorno incerto e velato, siccome vede alcuno
che sta per addormentarsi , cui già principia a
sorgere un sogno. La seconda facoltà di visione
mi vuole con prepotenza rapire ed è molto più
luminosa e chiara della naturale , ma non opera
già per mezzo degli occhi
" Mi sto per V intero giorno così tra il
volar via ed il vedere, in modo tale che conti-
nuamente vedo talora il Pellegrino, talora noi vedo.
Non sente egli adunque cantare? Mi sembra come
se mi trovassi sopra un bel prato e come se al
disopra di me degli alberi si intrecciassero e for-
massero arco. Sento cantare con sì meravigliosa
dolcezza come se ciò fosse per opera di soavi voci
di bambini. Mi sembra come il prossimo e reale
contorno presso di me fosse un sogno; in cotesto
contorno tutto apparisce sì torbido, impenetrabile
e sconnesso che somiglia a un brutto sogno , at-
traverso il quale io veggo un mondo luminoso,
successivamente comprensibile, e sino nella più
intima origine e concatenazione di tutte le sue
manifestazioni intelligibili, nel di cui seno quanto
havvi di buono e di santo più profondamente di-
letta, perchè si riconosce la sua derivazione da
Dio ed il suo ritorno a Dio, mentre invece quanto
ANNA EHKEBICH 45
hawi di cattivo e di empio più profondamente
tnrba , perchè se ne riconosce la strada deri-
vante dal diavolo ed al diavolo riaddnoente, e di-
retta contro Iddio e contro le creature. La vita
in cotesto mondo, ove non esiste alcun impedimento,
alcun tempo, alcuno spazio, ni un corpo, o, niun
segreto, ove tutto parla e tutto risplende, viene
sì perfetta e libera, che la cieca, storpia, balbu-
ziente vita reale ed attuale sembra in confronto
un vuoto sogno. Durante questa veglia veggo
sempre risplendere le reliquie che troyansi presso
di me, e talvolta veggo siccome squadre di pic-
cole e lontane figure umane starsi nel seno di
nuvolette verso di me rivolte e al disopra delle
reliquie, ed allorché mi raccolgo in me stessa
quelle immagini si approssimano di bel nuovo a
quelle piccole arche ed altri reliquiarii, ove ri-
posano quelle ossa luminose. „
^ Ho avuto una volta una bellissima illustrazione
sul che la vista degli occhi non è vera vista, ma
che hawi un'altra vista interna. Questa è molto
chiara e luminosa, quand'io debba rimaner priva
della Comunione quotidiana, e perciò non posso
più pregar con ardore e decado nel raccoglimento
della pietà, allora come nuvola spessa si stende
sulla mia chiara intima vista. Allora dimentico
46 CAPITOLO XI
cose importanti, e cenni o ammonimenti, e veggo
e provo l'oppressione annichilante dell' esterno e
falso modo di essere delle cose. Ho una fame del
santissimo Sacramento ohe mi rode e dilania, e
spesso, quando guardo verso la chiesa, mi sem-
bra come se il cuore mi volesse partire dal petto
e volare al mio Salvatore
V
Non so se gli astronomi ammetteranno per buona
questa descrizione della luna fatta da Anna Ca-
terina. Essa r ha visitata più volte nelle sue vi-
sioni:
^ .... La luna è piuttosto fredda e sassosa,
piena di alti monti e di profonde grotte e bur-
roni. Ha un influsso attraente e deprimente sulla
terra. Vi sono in essa delle acque che molto si
innalzano e più si abbassano; talora attraggono
gran quantità di vapori dalla terra, ed allora ap-
parisce come se grosse nuvole si ascondessero e
fossero assorbite nella cavità di quei monti, di
piì sembra come se il tutto si disoiogliesse rica-
dendo in giù , ed allora la luna opprime con tal
peso la terra, che gli uomini ne divengono me-
lanconici. Veggo colassù molte forme simili a
quelle delle creature umane, che rifuggono dalla
luce e si ascondono nell'ombra, si ascondono quasi
come se si vergognassero, hanno V aria anche di
At^NA EKIVIEBIOH 47'
avere una cattiva coscienza. Ciò yegg:) special-
mente nel centro della luna. Nei suoi più estremi
limiti veggo però luoghi campestri, cespugli e bo-
schetti in cui abitano animali. Non veggo nella
luna alcun servizio divino. Il suolo di quell'astro
è giallo, ma per la più parte roccioso e gli alberi
ed i vegetabili sono tenui e meschini, come felci,
funghi o sterili bulbi. La luna ha una meravigliosa
correlazione colla terra o la sua intera natura.
Che le creature umane sì cupidamente la guar-
dino , ciò avviene perchè si guarda sempre cupi-
damente verso di ciò, cui si appartiene. La luna
attrae moltissimo da noi e poi su noi lo respinge
e ce ne opprime. Spesso veggo dalla luna discen-
dere grosse nubi come di veleno; si posano abi-
tualmente sul mare. Veggo però tosto buoni spi-
riti ed angeli che le disperdono e le rendono
innocue. Sulla terra poi vedo certe più basse
contrade maledette a causa di peccati e delitti ,
ove e veleno e nebbia e oscurità discendono e si
posano „ . • ,
48 CAPITOLO XI
*.
Fin qui siamo nel campo dei fatti che la pato-
logia conosce e spiega, ma siccome tocchiamo le
frontiere più lontane del nervosismo e dell'ecci-
tamento, è naturale che la credulità e il pregiu-
dizio aggiungano ai fatti le proprie visioni. Di
qui la fede nei miracoli.
Il Padre Schmoger non esita un momento a
credere che Anna Caterina insieme al lume di
profezia avesse pure ricevuta l'attitudine e la po-
tenza di riconoscere e distinguere tutto quanto è
sacro col mezzo dei sensi esterni corporei. Oosì
ella udiva il suono delle campane consacrate come
essenzialmente diverso da qualsiasi altro suono
consimile, per quanto armonioso si fosse. Gol gusto
ella riconosceva l' acqua consacrata o benedetta,
e la distingueva così sicuramente e sensibilmente
da quella che non lo era^ come qualsiasi altro in-
dividuo distingue il vino dall'acqua. Le ossa e
reliquie dei santi le riconosceva così distintamente
coll'olfatto, come coU'ocohio, ovvero col senso del
tatto. Essa sentiva la benedizione sacerdotale
anche quando le era inviata dalle più remote
ANNA EMMBBICH 49
distanze, con altrettanta vivacità come quando le
veniva compartita nell'immediata vicinanza e sc-
hiva involontariamente nell'estasi l'accenno e la
direzione delle dita sacerdotali consacrate, come
nello stato natnrale di veglia, essendo questa una
sacra potenza da cui in lei derivano forza e be-
nedizione.
Fra le tante visioni di Anna Caterina raccolte
dal di lei biografo, una delle più curióse è quella
déiVìmgnuolo moribondo,
" Io mi stava (dice la santa) insieme colla mia
Ouida celeste dinanzi ad una tavola risplendente.
Dietro quella tavola vedevasi un ammasso dei più
magnifici fiori. SuUa tavola posava una fila di
piccole monete, di grossi (voleva forse dire grò-
sohm), in mezzo a codesta fila oravi un vuoto, ed
in quello non eravi alcuna moneta; io vi stava
dinanzi. Quei fiori erano miei, quella tavola era
mia, quel tesoro, quei grossi erano miei, ma dove
mi trovava mancavano. Io non potea pervenire né
alla tavola, né a quel tesoro, né a quei fiori. Mi
si fece innanzi la mia Guida portante in mano un
usignuolo moribondo e disse: Tu non avrai più
né questi fiori, né queste immagini, né questo
tesoro, perché non ti laseian più il mezzo di ma-
nifestagli, ed appunto perciò ti sono stati dati, ed
Estasi unione. — li. 4
50 CAPITOLO XI
in prova di ciò rendi a quest'ucoello la vita dalla
tua bocca. Egli mi tenne allora qnell' augellino
dinanzi. alle labbra, ed io gli inspirai il soffio vi-
tale dalla mia bocca nel piccolo rostro; allora
ridivenne vivace e sano, e cantò, e la mia Guida
se n'andò portandolo via seco. Dinanzi a me poi
sparì il tatto; tutto per me divenne morto e si-
lenzioso; non ho più nulla veduto ^
Mentre Anna Caterina fa da infermiera al po-
vero Padre Lambert, che se ne sta morendo, è
consolata da quadri e visioni della sua infanzia.
Esse son tutte fragranti di femminile tenerezza:
" Alcuni , ora beati , compagni di giuochi della
mia gioventù mi vennero a ricercare. Andammo
insieme sugli antichi luoghi dei nostri sollazzi, e
di là al presepio. L' asinelio stavasi dinanzi alla
grotta. Presi una pedana, vi montai sopra e mi
assisi sul giumento, e dissi ai ragazzi : Così vi ha
seduto sopra la Madre di Dio. L'asinelio si lasciò
accarezzare con la mano e prendere pel collo. Poi
ce n'andammo entro al presepio ed orammo. Quei
fanciulli mi porsero poi una quantità di pomi, di
fiori, ed un cespo di rose guarnito di spine. Io
per altro li respinsi sempre. Mi dimandarono per-
chè non li chiamassi e non li invocassi mai nei
ANNA EMMBRICH 61
miei bisogni, giacché anch'essi erano ben disposti
ad aiiitarmi molto; gli uomini invocano sì rare
volte i fanciulli, eppure essi possono presso Iddio
molto, specialmente quelli che sono morti subito
dopo il battesimo. Uno di cotesti bambini era
pure in quel gruppo; mi disse ch'io avea per lui
implorato quella morte avventurosa, ma ove i ge-
nitori lo sapessero me ne vorrebbero al certo
male. Mi rammentai che ei mi era stato portato
subito dopo il battesimo; lo tenni sollevato in
alto e pregai Iddio con tutto il cuore affinchè
degnasse di prenderlo a sé piuttòsto in quello
stato d'innocenza, primachè fosse esposto ad andar
perduto. Adesso mi ringraziava di avergli implo-
rato l'ingresso in cielo e disse di aver implorato
e pregato per me. Quei fanciulli mi hanno detto
che bisogna specialmente pregare onde i bambini
non muoiano senza battesimo; quando ciò viene
implorato. Iddio accorda volentieri aiuto. Vedo
spesso quadri di un soccorso implorato ed otte-
nuto in questa guisa. ^
62 CAPITOLO XI
*
* *
Una vita vissuta sempre fuor della vita comune,
doveva chiudersi naturalmente con una strana
apocalisse di visioni , di santa umiltà e di fede
inconcussa. É una pagina di psicologia, che può
far sorridere gli sciocchi, ma che non si può leg-
gere senza commozione da chi studia con amore
quell'abisso di misteri che è il cuore umano
4> *
7 febbraio, — Invoca continuamente il Signore
in suo soccorso. Parla nei suoi patimenti con voce
più chiara e sensibile di quel che non V abbia
fatto fin qui. Dice spesso: Ah, Signore Gesù, ti
ringrazio mille volte per tutto il corso della mia
vita. Signore, non già come io voglio, no, ma
come tu vuoi! — Una volta pronunziò queste
commoventi parole : Ah , ecco là quelle belle ce-
stino di fiorii conservale! ed anche quel giovine
arboscello d' alloro conservalo! L' ho per lungo
J
ANNA EMMEBIOH 53
tempo castodito, ma non posso farlo più! Vero-
similmente sotto quei simboli aveva inteso parlare
della nipote e del nipote secolare.
Agli 8 a sera il Vicario Hilgemberg pregava
presso di lei. Essa volle riconoscente baciargli la
mano , ma ei la ritrasse umilmente indietro. Lo
pregò di assistere alla sua morte, tacque alcun
poco e poi disse: Gesù, mio, io vivo in te, io
muoio in tei Disse pure: Sia ringraziato Iddio I
non sento più, non veggo più. Mentre ella appa-
riva affatto fuor dei sensi per le gravi pene, il
Pellegrino s'inginocchiò presso il di lei letto ed
incominciò ad orare. Quindi le pose in mano un
piccolo reliquiario, che una volta ella aveva por-
tato, e che da quattro anni in poi avea donato al
medesimo. Bitenne stretta in mano quella capsula
per un paio di minuti; il Pellegrino la riprese di
nuovo, ma nel seguente giorno ne trovò spezzato
il contorno d' argento. Era il giorno della di lei
morte.
9 febbraio. — Il confessore narra così: " Oggi
prima che spuntasse il giorno le ho amministrato
un'altra volta il SS. Sacramento, che ha ricevuto
colla sua abituale devozione. Nella precedente
notte mi aveva già detto di sapere il significato
della sua malattia e che me l'avrebbe manifestato
se non fosse tanto spossata. Verso le due pome-
54 CAPITOLO XI
ridiane apparvero i sintomi della morte omai pros-
sima. Siccome gemeva per la doglia cagionatale
dalle piaghe del dorso, volevansi disporre altri-
menti i cuscini, ma essa lo declinò con queste
parole: Ormai bentosto tutto sarà finito, intanto
mi sto distesa sulla croce. Ciò mi commosse alta*
mente. Le impartii la generale assoluzione e re-
citai le preghiere degli agonizzanti. Quando furono
finite , essa afferrò la mia mano , la strinse , mi
ringraziò e prese commiato. Quando alcun tempo
dopo entrò sua sorella ad implorar perdono, l'in-
ferma si rivolse verso di lei, la guardò fissamente
e mi domandò, che dice? — Implora perdono, le
dissi; al che ella con molta serietà soggiunse: Non
havvi in terra creatura alcuna cui non abbia per-
donato. — Bramava ardentemente la morte e
spesso sospirava dicendo: Vieni adunque, o Signor
mio Gesù! — Io la consolava dicendo che doveva
starsene tranquilla e patire col suo Salvatore, che
sulla croce perdonò anche al ladrone. Allora pro-
nunziò queste memorabili parole: Sì, ma tutti in
quell'epoca, ed anche queir assassino sulla croce,
non avevan da render conto di tanto quanto l'ab-
biamo noi, giacché non avevan ricevute tante
grazie come le abbiamo ricevute noi. Io sono peg-
iore assai di quel ladro sulla croco, e più tardi
aggiunse : Credo , che non posso morire , perchè
ANNA EMMEEICH 55
molte buone persone, per vero errore, pensano
bene di me. Dica, la prego, a tutti, che sono una
miserabile peccatrice. — Mentre voleva di nuovo
consolarla, mi replicò con forza e come prote-
stando : Ah potessi almeno esclamare ad alta voce
ed in modo che tutti mi sentissero, che non sono
altro se non una miserabile peccatrice molto peg-
giore dell'assassino sulla crocei Quindi divenne
più tranquilla. Frattanto era sopraggianto il Vi-
cario Hilgemberg ed anch' egli pregava presso
il di lei letto. Quel buon vecchio rimase genu*
flesso presso il letto per un'ora intiera. Il Pelle-
grino si approssima verso le cinque e mezzo alla
di lei abitazione. Il confessore aveva appunto in
quel momento accostate le imposte e disse : ^ Sia-
mo alla fine. ^ Il Pellegrino trovò in camera la
nipote della moribonda, il Vicario Hilgemberg, la
sorella del confessore e la signora moglie di Ole-
mente Limberg, sua precedente padrona di casa.
Stavano genuflessi e pregavanOi La porta della
piccola stanza attigua , ove giaceva 1' ammalata ^
era aperta per agevolare il modo di respirare.
Ardeva la candela dell'agonia. L'inferma pareva
a mezzo seduta nella cesta che le serviva di letto.
Aveva breve il respiro. Il di lei volto esprimeva
la più alta serietìì. Teneva gli occhi in su rivolti
verso il crocifìsso. Dopo un certo intervallo tras.se
66 CAPITOLO XI
disotto la coperta la mano dritta e la posò per
disopra. Il confessore la consolava e spesso le
dava la croce a baciare^ Ella umilmente cercava
sempre colle labbra i piedi del crocifisso, senza
mai toccare il capo o il petto, ed al fine ritenne
quei sacri piedi fra le sue labbra. Parve quindi
che volesse ancora partecipare alcunché al con-
fessore. Sino al fine gli rispondeva istantanea-
mente e colla maggior ubbidienza, ogniqualvolta
la interrogava. Egli allontanò tutti dalla stanza.
Il Pellegrino la vide vivente per V ultima volta.
Quando venne nell' anticamera a raggiungere gli
altri che sedendo o genuflessi pregavano, scocca-
vano appunto le otto. Il confessore raccontò che
essa aveva parlato un'altra volta d'un' inezia già
detta in confessione e poi aveva soggiunto: " Ora
mi sento sì tranquilla, ed ho tale fiducia, come se
non avessi mai peccato una sola volta. Baciò un'al-
tra volta la croce. D confessore recitò le preghiere
degli agonizzanti; essa disse più volte sospirando:
Oh Signore, aiutatemi! Aiuto, o Signor mio G^sù!
Il confessore le mise nella mano dritta la candela
dell'agonia e suonò con un campanello di Loreto^
secondò l'uso praticato nel convento di Agneten-
berg in occasione della morte di una monaca e
disse : " Muore* „ Erano le otto e mezzo* Il Pel-
legrino si approssimò al letto e la vide inclinata
màbia alàcoqxte 57
senza vita sul lato sinistro, col capo chino sul
petto, e la mano dritta posata sopra le coperte,
quella maravigliosa mano cai il Distributore delle
grazie celesti avea conferito V inaudito dono di
riconoscere quanto havvi di santo e di consacrato
dalla Chiesa per mezzo del semplice contatto,
grazia tale che mai forse ci è stata concessa la
simile su questa terrai ^
4i
La beata Margherita Maria Alacoque, religiosa
della Visitazione di M. SS., è un tipo speciale di
santa estatica. In lei predomina la passione e que-
sta piglia forma di delirio ardente, forsennato. La
sete del sagriftzio, il culto del dolore giungono in
lei al massimo grado e una linea più in là noi in-
tendiamo che si sarebbe nel campo della psichia-
tria. Dopo averne studiata la vita (1) si capisce
come nella sua adorazione essa dovesse giungere
al culto del cuore di Gesù. Essa aveva bisogno di
(1) Vita della beata Margherita Maria Alacoqae, religiosa
della Visitazione di Maria Santissima, pubblicata dall^ Abate
J. Boalangè. Versione dal francese del sacerdote Severino
I^erreri. Torino 1876.
58 CAPITOLO XI
vedersi davanti il viscere degli aflfetti, di sentirne
il sangue caldo, di bearsi in una contemplazione
reale del massimo centro della vita.
Anche TAlacoque, nata a Lantbecoart in Fran-
cia nel 1647 , mostra fin dalla prima infanzia di
essere chiamata a vivere nel mondo ascetico.
" O mio unico amore , diceva , cominciando le
sue Memorie, che l' ubbidienza obbligolla di fare,
quanto vi sono debitrice di avermi prevenuta fin
dalla mia più tenera giovinezza colle vostre be-
nedizioni, facendovi padrone e possessore del mio
cuore, tuttoché ben conosceste la resistenza che
questo cuore ingrato vi avrebbe fatto I Appena io
mi potei conoscere , voi faceste vedere alP anima
mia la bruttezza del peccato. Questa vista me ne
ispirò tanto orrore, che la più piccola macchia
mi era un tormento insopportabile, sicché per
reprimere in me bambina la mia vivacità, non si
aveva che a dirmi ch'erano oflfese di Dio, e questo
bastava ad arrestarmi. ,,
Messa in una casa religiosa, sente un gran de-
siderio di fare tutto ciò che vede fare dalle mo-
nache, le tiene tutte siccome sante, pensa che se
fosse monaca diverrebbe santa commesse e ne con-
cepisce COSI vivo desiderio chejpiù non respira so
non per questo
r
MABIA ALACOQUE 59
La smania di tormentarsi e di sofflrire per Ti-
deale che adora non tarda a manifestarsi anche
in Margherita.
^ In mezzo a tali agitazioni (scrupoli eccessivi)
ella credette poter alleviare la sua pena e con-
tentare ad un tempo Dio e il mondo, opprimendo
il suo corpo con eccessive mortificazioni, mentre
al di fuori si dava ai diletti che a lei venivano
presentati. Si cinse dunque le reni con una corda
piena di nodi, e la strinse sì forte che non poteva
mangiare né respirar senza dolore. Si strinse le
braccia con catenelle di ferro, e le catene e le
corde tagliando poco per volti le carni, vi entra-
vano così profonde, che non potè levarle senza
crudeli dolori. Dormiva poi sopra gli assi e guer-
niva il suo letto con bastoni pieni di nodi e di
punte. „
Kicevuto il sacramento della Confermazione, non
fa che accrescere in lei il fervore di consacrarsi i
tutta quanta a Dio.
Ella consideravasi già come una vittima
destinata al sagrifizio, ed in tale spirito raddoppiò
la sua austerità, le sue orazioni, e sentì crescer
in lei il suo amore verso Dio, e le sue brame di
piacergli e di soffrire per lui. Questa brama era
60 CAPITOLO XI
008Ì ardente in lei , ohe tutta la sua aasberità e
quel ohe soffriva di eontraddizioni in oasa di sua
madre non potevan saziare il suo amore dei pa-
timenti. Alle volte, gettandosi a pie del suo cro-
cifisso, dioea con trasporto: Mio caro Salvatore,
come sarei felice se imprimeste in me l'immagine
dei vostri dolori e della vostra passione!
Margherita entra nel monastero della Visita-
zione di Paray il 25 maggio 1671 , all' età di 23
anni e là ascende rapidamente lungo la parabola
che porta il sentimento religioso al fervore, al
fanatismo, all'estasi.
». •* • ..•*.••*••••••
Per provare la sincerità della di lei vocazione,
vien sottoposta alle più dure prove, ma più essa
soffre e più si esalta nella voluttà del sagrifizio.
È sotto questa influenza, che ella scrive questi
versi, nei quali vedete tutto un quadro di alta
psicologia ascetica:
Plus Fon coutredit mon amour,
Plus cet unique bien m^enflamme.
Qae Ton m'afHige nuit et jour,
On ne peut l'óter à moa àme.
Qui, plus je souffre de douleur,
Plus mon Dieu s'unit à mon coeur.
MABIA ALACOQXTE 61
Nei giorni di festa se ne stava in casa quasi la
intera giornata senza stancarsi, sempre in ginoc-
chio, colle mani giunte, col corpo immobile e senza
^Pl^oggìo. In quella santa occupazione, un'occhiata,
una momentanea distrazione, una positura un po'
più comoda o men disagiata erano per lei colpe
enormi di cui si accusava con vivo sentimento di
umiltà e di confusione, e le quali credeva dover
espiare con penitenze che domandava alla supe-
riora.
Quando si 'chiudono tutte le porte alle voluttà
dei sensi, la sensibilità tormentata da un singolare
eccitamento trova risorse di altissima gioia, dove
la più parte degli uomini non saprebbe neppure
immaginarle:
" In conseguenza delle delizie che por-
tava dinanzi al santissimo Sacramento, suor Mar-
gherita diceva che si sentiva sempre divorata da
due sorta di favori, che le parevano insaziabili:
r uno di soffrire , 1' altro di fare la comunione, o
per servirci d'uno dei suoi termini famigliari, " di
ricevere il Dio del suo cuore ed il cuore del suo I>io, „
Ho così gran desiderio della comunione, diceva,
che quando avessi da camminare a pie nudi per
una via di fiamme, mi pare che tale pena non mi
costerebbe nulla , a paragone di quel che mi co-
62 CAPITOLO XX
sterebbe la privazione di tanto bene. Nulla può
darmi una gioia così sensibile come quel pane
d'amore; dopo d'averlo ricevuto, resto assai an-
nientata dinanzi al mio Dio, ma con una gioia sì
bella, che qualche volta per lo spazio di un quarto
d'ora tutto il mio interno è in un profondo silenzio
per ascoltare la voce di colui che fa tutto il con-
tento dell'anima mia. ,,
Abbiamo veduto che fin da fanciulla avea pra-
ticato i più austeri rigori di penitenza. Fatta re-
ligiosa non scemò nulla del suo ardore per le
mortificazioni volontarie , ma come non le si da-
vano tutte le licenze che domandava, e la discre-
zione della superiora reprimeva il suo ardore pei
patimenti, adoperava mille altri mezzi per sog-
giogare i sensi, mettere a disagio il corpo e con-
traddir la natura. Talvolta si rifiutava il sonno ,
o se lo rendeva difficile: così immaginò, in tempo
di esercizi spirituali , di coprir lo stramazzo di
cocci di terra; altre volte cercava per suo cibo
quello che vi era di peggio, e allora procaccia-
vasi frutta guasta, porzioni fredde o mal condite,
pane raccolto da terra e coperto di polvere. Spesso
la videro mescolare acqua fresca alle sue vivande,
per renderle insipide. Altre volte nei calori del-
l'estate, costretta a spegnere la sete che la divo-
MARTA ALACOQUE 63
rava, prendea acqua calda in bocca per combat-
tere il piacere che avrebbe provato spegnendo con
acqua fresca quella sete che non potea piti sop-
portare.
Un coraggio così eroico nella pratica della mor-
tificazione dei sensi aveva la sua sorgente nel de-
siderio insaziabile di soffrire con Gesù Cristo.
Suor Margherita non parlava con trasporto che
di Gesù crocifisso : ella gustava infinitamente
quelle parole di santa Teresa : o patire o morire ,
ed incessantemente le ripeteva. Spesso fu udita
dire che di buon cuore sarebbe vissuta fino al dì
del giudizio nei più grandi patimenti per amore
di Dio , ma che vivere senza patire le pareva il
più insopportabile dei patimenti. " No, diceva ella
un giorno , non so come una sposa di Gesù cro-
cifisso possa non amare la croce e fuggire da lei,
non è questo un fuggire ad un tempo colui che
la portò per nostro amore, e che ne fece l'oggetto
di soavi desideri? „
Essa cade malata e orribili sofferenze fisiche si
aggiungono a quelle da lei volontariamente cer-
cate.
In mezzo a tante croci , afflizioni ed austerità,
64 CAPITOLO XI
suor Margherita gastava degl'intervalli di cobso-
lazioni e delizie che non 8i possono esprimere né
dipingere. Iddio spandeva in lei qìiella sovraòban"
danza di gatidio di cai parla san Paolo, colla quale
viene ricompensata anche in questa vita l'eroica
mortificazione di quelli che a lei si danno senza
riserve. Ma ciò che mette il colmo alla generosità
di questi fedeli amanti della croce si è che non
si attaccano per nulla a quanto vi era di più de-
lizioso in quelle dolcezze sensibili, talvolta ancora
si affliggeva di provarne troppo, e domandava a
Dio che ne la privasse. ^ O mio amore , diceva
allora, io vi sacrifico tutti questi piaceri; serba-
teli per quelle anime sante che vi glorificano
meglio di me. Non voglio che voi solo e voi sulla
croce, dove vi voglio amare per amore di voi
medesimo. „
Quando si è sbattuti da questa acrobatica del
sentimento, non si è lontani dalle estasi e dalle
visioni ; e V Alacoque vi giunge e fonda il culto
al sacro cuore di Gesù.
^ Una volta, essendo dinanzi al santissimo Sacra-
mento, e trovandomi aver un po' più di tempo che
all'ordinario (che le occupazioni che mi si davano
non me ne lasciavano guari) mi sentii tutta in-
IL SACBO CUORE BI GESÙ 65
ir - I. ... lui
vestita della presenza di Dio, ma così forte, che
mi dimenticava di me stessa e del luogo in cai
era, e mi abbandonava a quel divino spirito, la-
sciando andare il mio cuore alla forza del suo
amore. U mio sovrano padrone mi fé' riposare
assai lungo tempo sul divino suo petto, ove mi
scoperse le meraviglie del suo amore ed i segreti
inesplicabili del sacro suo cuore, che fino allora
mi avea tenuti nascosti. Mi aperse per la prima
volta quel divin cuore in modo così reale e sen-
sibile , che non mi lasciò luogo a dubitare della
verità di tal grazia, malgrado il timore che ho
sempre di ingannarmi in tutto quello che dico in
questa materia. Ecco come mi pare che sia an-
data la cosa. Gesù mi disse: il mio divin cuore
è così pieno d' amore per gli uomini e per te in
particolare , che non potendo contenere in so
stesso le fiamme dell'ardente sua carità, bisogna
che le spanda per mezzo tuo, e si manifesti ad essi
per arricchirli dei tesori che vi si racchiudono. Io
ti discopro il pregio di questi tesori, essi conten-
gono le grazie di santificazione e di salute neceS'-
saria per trarli dall'abisso di perdizione. Io ti ho
scelto , malgrado la tua indegnità e la tua igno-
ranza, pel compimento di questo grande disegno,
affinchè meglio si veda che tutto è fatto da me. „
Èstasi umafìe. — 11. 6
66 CAPITOLO Xl
Il delirio ascetico con questo culto del cuore
di Gesù giunge iu Margherita air ultimo parossi-
smo,, ed essa un giorno con un coltello si scrive
sul petto il nome di Gesù in caratteri grandi e
profondamente stampati.
"Il mio Salvatore mi disse che avrebbe avuto
l cura di ricompensare tutto il bene che a me si
f: farebbe siccome fatto a sé stesso, poiché io non
I ci avea più nulla a pretendere; che per ricono-
scenza a colèi che avea fatto quel testamento in
suo favore (la superiora di Margherita) le volea
^ dare la medesima ricompensa ohe alla beata Chiara
di Montefalco e perciò aggiungerebbe alle azioni
di lei i meriti infiniti delle sue e che per amore
del suo sacro cuore, le farebbe meritare la stessa
corona. *.•«.• ^
Era in questi sentimenti e fra le delizie della
croce che esclamava : " Che cosa darò al Signore
per tutti i beni che mi ha fatto ? O mio Dio! come
sono grandi le vostre bontà verso di me, di voler
farmi mangiare alla mensa dei santi e nutrirmi
degli stessi cibi con cui li sosteneste. Voi mi for-
nite in abbondanza delle deliziose vivande dei
[ vostri favoriti, mentr'io non sono che un'indegna
e miserabile peccatrice. „
" È proprio vero che senza la croce ed il santis-
simo Sacramento non potrei vivere né sopportare
I'
MARIA ALACOQTTE 67
la lunghezza del mio esiglio in questa valle di la-
grime. Non ho mai desiderato la diminuzione dei
miei patimenti, più il mio corpo ne era oppresso,
più il mio spirito sentiva gioia ed avea libertà
di unirsi eoi mio Gesù paziente. Nulla desideravo
più ardentemente che rendermi una perfetta co-
pia dì questo Salvatore crocifisso, la mia gioia
aumentava quando la sua bontà adoperava molti
operai per lavorare secondo il suo piacimento
alla perfezione di quest'opera. Quel sovrano del-
l' anima mia non si allontanava dall' indegna sua
vittima, di cui conoscea la debolezza e l'impo-
tenza a far qualunque bene. Talvolta mi diceva:
Io ti faccio ben onore, mia cara figlia, servendomi
di così nobili strumenti per crocifiggerti* Il mio
eterno Padre mi die nelle mani dei carnefici per
crocifiggermi ed io a tuo riguardo mi servo per
tal fine delle persone a me consacrate. Voglio
che tu mi ofifra per la loro salvezza tutto ciò che
ti faranno sofifrire. Il che io facevo di tutto odore,
offrendomi a portar tutta la pena dell' offesa di
Dio che potea trovarsi in quello che si faoea
contro di me, sebbene in verità mi pare che
non si potesse commetter alcuna ingiustizia col
farmi soffrire, perchè non lo si potea mai fare
quanto lo merito. Parlo della felicità di soffrire
con tanta soddisfazione , che parmi ne scriverei
68 CAPITOLO XI
degli intieti volumi senza poter contentare il mio de-
siderio, „
Queste parole ardenti di ascetismo spiegano
chiaramente la forza arcana, che spinse Margherita
a incidersi col ferro nelle proime carni il nome
di Gesù, ma ciò non le basta ancora
. . . . avendo osservato che la ferita amorosa
che s'era fatta si chiudea con troppa facilità,
giudicò a proposito di renderla più durevole e
più dolorosa. Prese dunque una candela accesa
e colla fiamma v' incise V impressione del santo
nome di Gesù sul suo petto. Questa operazione,
che si potrebbe chiamare imprudente, fu così
grave , che suor Margherita ne portò per quasi
un anno intero la ferita e il dolore , sicché la
prima piaga, che datava dal mese di dicembre
del 1678, era ancora intera e sanguinante nel-
l'autunno dell'anno dopo.
Ecco un'altra estasi ascetica:
" Un giorno, all'ora del lavoro mi ritirai in un
cortiletto vicino al santissimo Sacramento, dove
facendo in ginocchio il mio lavoro, mi sentii sulle
prime tutta raccolta internamente ed esternamente.
Allora mi fu rappresentato nello stesso tempo il
cuore amabile del mio adorabile Gesù più spleu-
MABIA ALACOQUE 69
(lente che il sole, in mezzo a fiamme che erano
quelle del suo amore, e circondato di serafini che
con mirabile concerto cantavano queste parole:
" L'amore trimifa, Vantare gioisce, V amore in I>io si
raìUgra. „ Quegli spiriti beati mi invitavano a
unirmi con ossi in quel cantico di lode al cuore
di Gesù Cristo, ed io non ardiva di farlo, ma essi
me ne rimproverarono e mi dissero che cran ve-
nuti per associarsi a me ondo rendere a quel sa-
cro Cuore un omaggio continuo d' amore, d' ado-
razione e di lode; che perciò terrebbero il mio
posto dinanzi al santissimo Sacramento , affinchè
lo potessi amare continuamente per mezzo loro,
ch'essi parteciperebbero all'amore soflfìrente nella
mia persona, com'io parteciperei nella loro al-
l'amore gaudente; e nello stesso tempo mi par-
vero scrivere in lettere d'oro questa associazione
nel sacro Cuore coi caratteri indelebili dell'amore.
Questo durò circa due o tre ore. Ne risentii l'ef-
fetto por tutta la mia vita, così pel soccorso che
ricevetti da tale associazione, come por la soavità
che aveva prodotta e che produce ancora in me.
Ne restai tutta inabissata di confusione, ma pre-
gando quei santi spiriti li chiamavo col nome di
soci. Questa grazia mi diede tanto desiderio della
purit}\ d'intenzione, ed una così alta idea di quella
che bisogna avere per conversare con Dio , che
70 CAPITOLO XI
tutte le cose mi parevano impure in paragone del
fervore dei serafini. „
Le estasi si alternano colle penitenze feroci.
" . . . . Oltre a queste pene e lotte inteme, suor
Margherita doveva ancor praticare un altro genere
di penitenza: nostro Signore le ordinò di digiu-
nare in pane ed acqua per cinquanta giorni, onde
onorare il digiuno di lui medesimo nel deserto.
Il Figliuolo di Dio in questo comando parca piut-
tosto voler provar la sua obbedienza che la sua
mortificazione. Con tuttociò ella non promise di
osservare questo digiuno che dipendentemente dal-
l'ubbidienza dovuta alla superiora, e questa rifiutò
di permetterlo. Gesù Cristo fece osservare alla sua
serva che la sua ubbidienza le era così gradita
come il sagrifizio stesso; ed in cambio del digiuno
che non le era permesso, fece sentire che gradi-
rebbe ch'ella passasse i cinquanta giorni d' asti-
nenza privandosi di bere in tutto quel tempo, af-
finchè con tale penitenza onorasse, per quanto era
in lei, la sete ardente ch'esso avea soflFerto sopra
la croce, e quella sete mistica, di cui, secondo
sant'Agostino, bruciava il suo cuore per la sal-
vezza dei suoi carnefici e ch'egli cercava sino siila
fine per la salvezza dei peccatori.
"' Questa nuova astinenza parve alla serva di
MARIA ALACOQUB 7X
Dio piÒL dura a farsi ohe non la prima, ed era
infatti, tanto più ohe le sue infermità le oagio*
navanó, come abbiam visto, una sete così ardente
e oontinna, che nulla valeva ad accontentare. ^
Ed ecco un'altra visione:
'^ Una volta oh' io sentiva nell' anima
un' agonia dolorosissima, nostro Signore, onoran*
domi della sua visita, mi disse: Entra, mia figlia,
in questo giardino delizioso per ravvivare l'anima
tua languente. Vidi che quel giardino era il suo
sacro Cuore; egli era tutto pieno di fiori, la cui
varietà era tanto amabile quanto ammirabile la
loro bellezza. Dopo d'averli tutti considerati senza
osar di toccarli, egli mi disse : tu ne puoi cogliere
a tuo piacimento. Io, gettandomi ai suoi piedi,
gli dissi: O mio divino amore, non voglio altro
fiore che voi , il quale siete per me un fascio di
mirra che voglio portare continuamente fra le
braccia dei miei affetti. Hai scelto bene, mi disse
il mio divino amore; non v' ha che questa mirra
da te trascelta che possa conservare il suo odore
e la sua bellezza. Questa vita è il suo tempo e
la sua stagione; nell'eternità non ve ne sarà più,
poiché ella si cangia di nome. ^
Margherita morì in età di 43 anni il
17 ottobre 1690 , ma noi non l' abbandoneremo,
senza ricordare che quattro anni prima di morire,
72 CAPITOLO XI
non sapendo pifl cke escogitare per avvicinarsi
più a Dio, facendo totale rinunzia della propria
volontà, immaginava un naovo voto da aggiun-
gersi a quelli già fatti della sua professione re-
ligiosa. Troppo lungo sarebbe ripetere tutto quel
voto, che è un rosario di sagrifizii e di opere
buone, ma basti leggerne il titolo, per aver dinanzi
agli occhi la più fedele immagine della rinunzia
dell'individuo al mito divino, che tutto assorbe e
comprende : " Voto fatto alla vigilia d^ Ognissanti
del 1686^ per legarmi, consa^rrarmi ed immolarmi più
strettamefite, assolutamente e perfettamente al sacro
Cìwre di Nostro Signor Gesù Cristo. „
Le beate e le sante, le donne predestinate alle
estasi ascetiche non son tutte nate in modestie
condizioni : ne troviamo parecchie sui gradini del
trono. Ricorderemo tra le altre la Battista Va-
rani, Principessa di Camerino, fondatrice del Mo-
nastero di Santa Chiara, che nasceva a Camerino
il 9 aprile del 1458 e vi moriva il 31 maggio 1527 (l).
(l) Vita scritta dal Padre Vincenzo da Porto San Giorgio,
M. (). missionario apostolico, ac^gfinnte le operette spirituali
della medesima. Bologna 1874.
LA PRINCIPESSA DI CAMERINO 73
Nella fancìnllezza della Varani troviamo un fatto
singolarissimo , fors' anche unico nella storia del
cuore umano.
^ Appena entrata nel dodicesimo anno di sua
età, guidata da acceso fervore, ma mossa ancor più
da impulso divino fece ella voto di spar-
gere in ogni venerdì una lacrima in memoria del-
l'acerba passione di Cristo; voto che malgrado le
grandi difficoltà che dipoi le si presentarono, non
mancò di osservare con tutta esattezza. „
Anche qui al solito abbiamo una passione ar-
dente e che tanto più si consuma, quanto più si
dirige ad esseri ideali. Ecco un grido ascetico
della giovane santa:
" O Dio mio, o Dio mio ! Ohe volevate fare di
quest'anima falsa e peccatrice? Che bisogno ave-
vate di me, dolce Gesù mio, che con tanta istanza
mi cercjivate, e volevate farmi vostra?,,
♦ ♦
Onde non sembri che il fisiologo pieghi i fatti
a comodo suo, lasciamo parlare il biografo della
nostra santa, che è frate e missionario apostolico :
" Così il benedetto Signore ricambiava
74 CAPITOLO XI
la sua diletta, ammettendola a parte de' suoi di-
vini segreti, facendole sperimentare delizie da non
potersi esprimere. Di frequente comnnicavasi con
tutta affabilità all'anima di lei, e le si dava a ve-
dere talvolta in sembianza di benignissimo padre,
talvolta con tanta famigliarità e domestichezza,
che pareva un carissimo fratello ed amico; mail
più delle volte a guisa di dolcissimo sposo, invi-
tandola a' suoi teneri amplessi. " Quando poi, ella
dice, Iddio in quest-a forma »i tinlsce all'anima, non
vi può esser diletto più soave di questo, né in questa
vita mortale può essa speriment'arne un maggiore. „
E piÙL innanzi ella dice:
** Non potevo pienamente comprendere in quant-a
pace e tranquillità, in qìianta dolcezza e amore, in
quanta confidenza e famigliarità vivessi in quel santo
giubileo spirituale, trovandosi spesso spesso nei divini
colloquii, nelle dold braccia dello Sposo celeste, nel-
l'amore e famigliarità del benigno eteìno Padre, nella
grazia e consolazione dello Spirito Santo. „
E le delizie estatiche d'un amore, ohe per esser
rivolto a Dio, non cessa di esser amore, si alter-
nano convulsivamente colla smania di soffrire per
il Dio che si adora. Ce lo dice il Padre Vincenzo
biografo della Varani:
" Forse come la morte , l' amore sembra non
sappia trovar pace se non nel molto patire per
LA PRINCIPESSA DI CAMERINO 75
V Oggetto amato. L'apostolo san Paolo, acceso di
sì bel fuoco, sfidava le creature tutte, le tribola-
zioni, i travagli, le pene a separarlo dalla caritt\
di Cristo, confessando di ritrovare in quello ab-
bondante consolazione. San Giovanni della Croco,
arso dello stesso amore, altro guiderdone non
chiedeva delle sostenute fatiche e di sparsi su-
dori per la gloria di Dio , che patimenti , igno-
minie, dispregia Santa Teresa ardendo di questa
fiamma divina, desiderava o di patire o di mo-
rire. Santa Maria Maddalena de' Pazzi pel motivo
stesso anelava non gìh di morire, ma bensì di
patir sempre pel suo Gesù. Così la Battista, com-
presa dall'incendio beato del divino amore, pre-
gava, sospirava e suppliche continue porgeva al-
l'amato suo Sposo crocifisso, perchè la conducesse
nei pascoli a lei graditi delle sue pene . . . ,
" . . . . Solo dunque il fior Nazareno miserevol-
mente appassito proverà l'ingiuria degli aquiloni,
né io per compassione scolorirò , languirò , verrò
menot Dunque io stelo ruvido e sterile, pieno di
spine ho da durare avvolta tra le morbidezze
senza sentir alcuna puntura? Quando mi con-
durrai a quei pascoli grassi, a quegli orti ameni
del patire, ove s'impinguano le tue elette e dilette
pecorelle? O Signor mio! molto indugi a darmi
quello che mi hai promesso? deh! abbrevia il
76 CAPITOLO XI
tompo, non sii benigno con me , ma fortemente
aggrava su di me la tua mano. Signor mio, non
posso aver pazienza, per li molti peccati miei non
ti accostare, non ti pentire di darmi ciò che mi
hai promesso, non mi privar, Signor mio, di tanto
bene. „
La Varani era donna di tempra forte e fra le
sante non è di certo né la più isterica, né la piil
malata; ma in tanta contrazione di spirito e tanta
acrobatica di sentimento, non poteva di certo
vivere senza visioni.
Nel secondo venerdì succeduto al suo
ingresso nel nuovo Monastero , volle il Signore
degnarla di una visione alquanto affannosa. Stava
ella assieme con suor Gostanza, intese amendue
al lavoro , cantando nel tempo stesso una divota
canzoncina sopra l'appassionato Gesù, in cui de-
scrivevasi non i)iù come una volta leggiadro, ma
tutto ricoperto di piaghe, di lividure, di sangue
e di pallor mortale cosperso. Col canto si internò
sì vivamente in tale considerazione, che compreso
il suo cuore, gij\ dispostissimo, da forti e gagliardi
affetti , cadilo angosciata nelle braccia di una
LA PRINCIPESSA DI CAMERINO 77
suora a lei vicina, e come priva dei sensi venne
rapita alla contemplazione del doloroso mistero.
Udiamone da lei stessa il racconto: " Si pensi che
svenimento altro non fosse che un male corporale
cui ne andava soggetta; ma questa volta fu spi-
rituale , perchè V anima mia allora fu rapita in
quel mistero , quando V afflitta madre teneva il
morto figlio nelle braccia materne. Sentiva ed era
presente alle rauche voci e lagrimevoli di essa
santissima madre addolorata. Sentiva Tinnamorata
discex>ola Maddalena con altissimi gemiti ripetere :
Maestro mio! Sentiva il diletto discepolo Giovanni
piangere amaramente e dire con voce interrotta:
Padre mio, fratello e maestro miol B così lamen-
tarsi ancora fra le altre dilette Marie. Eimasi in
tale stato da poco prima di Compieta sino ad
un'ora e più di notte, ed avrei proseguito a starvi
tutta la notte, se non mi avessi fatto una gran
forza e violenza affine di ritornare a me stessa
per non dare tante pene alle suore Ri-
tornata poi in me stessa, mi trovai tanto stanca
ed afflitta, che per quindici giorni il mio corpo
parve uscito dalla sepoltura, tanto era nella faccia
cambiata e trasfigurata „
E un'altra volta:
Una notte, dopo il Mattutino, si pose
la Beata in orazione, e quantunque oggetto di sua
78 CAPITOLO XI
continua meditazione fosse Gesù appassionato, non
pertanto in quella circostanza si sentì inclinata
a meditare V amore grande che Dio portava alla
creatura umana. Lasciando quindi libera la mente
di spaziarsi ove Dio la guidava, in un istante con
un modo indicibile si sentì trasportata a contem-
plare cosa così alta, sublime e divina, che en-
trando, come ella dice, in un mare tanto alto o
profondo, non potè da quello sortire, benché avesse
voluto ciò eflPettuare. E questo fu un lume sì vivo,
sì intenso, sì penetrante, che spiegar non si può
con parole, ma solo considerare assistito dalla
grazia del Signore. Elevata così sopra sé stessa,
fissandosi nei profondi martirii della divina carità,
con la mente rischiarata da questo lusso supremo,
vide e comprese l'amore infinito, sommo, inespli-
cabile che il clementissimo nostro Dio ha portato
e porta alle creature
Allucinazioni, visioni, estasi si complicano anche
nella vita della nostra santa di Camerino. Uditela;
Una volta, sentendo tanto fuoco spiri-
tuale, che noi poteva sopportare, mi rivolsi come
un'insensata a lamentarmi dei serafini, e quasi
pentita di averli pregati che a me volassero, loro
dissi : O spiriti dolcissimi, io ho tanto tempo pre-
gato, che un dì voi volaste a me, credendo che
chi li avesse, possedesse il paradiso, per esser da
LA PRINCIPESSA DI CAMBEINO 79
voi tanto vicino a Dio ; come dunque avviene che
dopo la vostra venuta , io presi le pene dell' in-
Tinferno? Non comprendo come sia un bene que-
sto che voi possedete. Allora essi dolcemente e
famigliarmente meco parlando, come a loro cara
amica, risposero: Donde a te si cagiona la pena,
a noi si cagiona il diletto: tu hai il fuoco del-
l'ardente desiderio, ma ti manca, finché unita al
corpo, la presenza e l'originale di quello che ami,
il quale è a noi presente, e perciò senti gran pena,
secondo il desiderio grande che hai, ma noi ab-
biamo r ardente desiderio sempre unito alla pre-
senza di quello che desideriamo: quindi è grande
il nostro diletto secondo la grandezza dell'incom-
prensibile desiderio
Eccovi un'ultima pagina che può chiu-
dere questo cenno biografico, segnando la nota
più alta del parossismo ascetico:
" Per dire tutto in breve', amava Battista con
intensissimo affetto il suo divino Signore, e pareva
che mai soddisfatta si trovasse del suo amore, e
però aspirava sempre più a fiamme più vive per
corrispondere alla somma benignità dell'amato suo
bene, il quale talvolta, per ricompensarla de' suoi
desiderii ed affetti , la rapiva con tale intensità
di ardore, con tanta soavità e dolcezza, che tutta
investendola la faceva languire, e quasi non pò-
80 CAPITOLO XI
tendo sopportare Piminenso piacere, la faceva sma-
niosa ripetere : Non più, mio I>io, non più : basta,
o Signore, hast-a così. Tale era l'amore che Battista
nutriva pel divino suo Sposo e può dirsi fino dalla
giovanile sua età: amore, il quale sempre più
crescendo, facile è argomentare a quale intensità
dovette giungere nella fine dei suoi giorni, in cui
dimentica totalmente di sé stessa, ad altro non
aspirava che alla perfetta unione con lui. „
* *
La donna è più religiosa e più disposta alle
esaltazioni della sensibilità; ed è quindi naturale
che anche nel mondo ascetico essa ci offra più
frequenti esempi di estasi. L'estasi però non manca
anche nella vita dei santi. E basterebbero a pro-
varlo questi pochi esempii tolti dal famoso libro
dei Fioretti di san Francesco.
^^ Frate Jacopo dalla Massa, al quale Iddio
aperse l'uscio de' suoi segreti e diedegli perfetta
scienza e intelligenza della divina Scrittura, e
delle cose future fu di tanta santitade, che frate
Egidio da Scisi e frate Marco da Montino e frate
ALTBÉ KSTASt BELI6I0BE 81
r~i ■ Il ■^^^^» ■
Ginepro e frate Leoci<lo, dissero di lui; che non
conosoiano nessuno nel mondo maggiore appo Dio,
che questo frate Jacopo „
Questo frate Jacopo nel principio del ministero
di frate Giovanni da Parma, orando una volta fa
ratto in Dio e istette tre dì in questo essere ratto
in estasi, sospeso da ogni sentimento corporale e
stette sì insensibile, che i frati dubitavano che
non fosse morto, e in questo ratto gli fu rivelato
da Dio ciò che doveva essere e addivenire intomo
alla nostra religione.
Egli vide in visione uno arbore bello e grande
molto, la cui radice era d'oro, li frutti suoi erano
uomini e tutti erano frati Minori; li rami suoi
principali erano distinti, secondo il numero delle
Provincie dell'Ordine, e ciascuno ramo aveva tanti
frati, quanti n'erano nella provincia importata in
quello ramo, e allora egli seppe il numero di tutti
li frati dell'Ordine e di ciascuna provincia, e an-
che li nomi loro e la etade e le condizioni e gli
uffici grandi e le dignitadi e le grazie di tutti e
le colpe. E vide frate Giovanni da Parma nel più
alto luogo del ramo di mezzo di questo arbore, e
nella vetta dei rami, ch'erano d'intorno a questo
ramo di mezzo, istavano li ministri di tutte le
Provincie. E dopo questo , vide Cristo sedere in
Estasi umane. — II. 6
*.• • .-•^.yVg^
82 CAPITOLO XI
sa im tronco grandissimo e candido in sul quale
Cristo chiamava san Francesco, e davanti un ca-
lice pieno di spirito di vita, e mandavalo dicendo :
Va, e visita li frati tuoi, e dà loro bere di questo
calice dello spirito di vita; imperocchà lo spirito
di Satana si leverà contro a loro, e percoteragli
e molti di loro caderanno e non si rileveranno.
Viene una tempesta
" e tanto bastò quella tempesta contro
allo arbore, che elli cadde e il vento ne lo portò.
E poi di questo arbore, che era d'oro, uscì un'al-
tro arbore che era tutto d'oro, lo quale produsse
foglie e fiori e frutti orati. Dal quale arbore, e
dalla sua dilatazione, profonditate , bellezza e
odore e virtude, è meglio a tacere, che di ciò
dire al presente
frate Giovanni della Vernia, imperocché
perfettamente avea annegato ogni diletto e con-
solazione mondana e temporale , e in Dio avea
posto tutto il suo diletto e tutta la sua isperan-
za, la divina bontà gli donava maravigliose con-
solazioni e rivelazioni, ispezialmente nelle solenni-
tadi di Cristo, onde appressandosi una volta la
solennità della Natività di Cristo, nella quale egli
aspettava di certo consolazione da Dio della dolce
I
ALTEE ESTASI RELIGIOSE 83
amanitade di Gesù, lo Spirito Sauto gli mise nello
animo suo sì grande ed eccessivo amore e fervore
della carità di Cristo, per la qaale egli s'era umi-
liato a prendere la nostra umanitade, che vera-
mente gli pareva che l'anima gli fosse tratta dal
corpo, e che ella ardesse come una fornace. Lo
quale ardore non potendo sofiferire, s' angosciava
e strappavasi tutto quanto e gridava ad alta voce,
imperocché per lo compito dello Spirito Santo e
per lo troppo fervore dello amore non si potea
contenere dal gridare. E in quella ora che quello
ismisurato fervore gli venia , con esso sì forte e
certa la speranza della sua salute, che punto del
mondo non credea, che se allora fosse morto, do-
vesse passare per le pene del Purgatorio: e que-
sto amore gli durò bene da sei mesi, benché quello
eccessivo fervore non avesse così di continuo, ma
gli venia a certe ore del dì. E in questo tempo
poi ricevette maravigliose visitazioni e consola-
zioni da Dio e più volte fu ratto siccome vide
quel frate, il quale da prima iscrisse queste cose:
tra le quali una notte fu sì elevato e ratto in Dio,
che vide in lui creatore tutte le cose create, e
celestiali e terrene, e tutte le loro perfezioni e
gradi e visioni distinte. E allora conobbe chiara-
mente, come ogni cosa creata si presentava al suo
creatore , e come I<ldio è sopra , è dentro j è di
r'*WJ*F-^-|^
•■
84 CAPITOLO XI
fuori, è d'allato a tutte le cose create. Appresso
conobbe un Iddio in tre Persone , e tre Persone
in un Iddio; e la infinita carità, la quale fece il
Figliuolo di Dio incarnare, per obbedienza al Pa-
dre. E finalmente conobbe in quelle visioni, sic-
come nessuna altra via era, per la quale T anima
possa andare a Dio ed avere vita eterna, se non
per Cristo benedetto, il quale è via, verità e vita
dell'anima. „
Eccovi un'ultima visione ascetica che ebbe frate
Leone :
" Vide frate Leone una volta in visione in sogno
apparecchiare il divino giudizio. Vide gli Angioli
con trombe e diversi strumenti suonare e convo-
care mirabile gente in uno prato. E da l'una parte
del prato fu posta una scala tutta vermiglia, che
Aggitign^va dalla terra infino al cielo; e dall'altra
parte del prato fu posta un'altra scala tutta bianca
che dal cielo iscendea insino alla terra. Nella som-
mità della scala apparve Cristo, come Signore of-
feso e molto irato. E san Francesco era alquanti
gradi più giù presso a Cristo, e discese più infra
la scala; e con grande voce e fervore dicea e
chiamava: Venite, frati miei, venite confidente-
mente, non temete, venite, appressatevi al Signore,
perocché vi chiama. Alla voce di san Francesoo
ALTBE ESTASI BELiaiOSE 85
e alla saa compunzione andavano i frati, e sali-
vano su per la soala vermiglia con grande confi-
denza. Essendo montati tutti, alcuno cadeva dal
terzo grado, alcuno dal quarto grado, altri dal
quinto e dal sesto e tutti conseguente caggevano :
che nuUa ne rimase in su la scala. San Francesco
a tanta rovina de' suoi frati mosso a compassione,
come pietoso padre , pregava il giudice pe» li fi-
gliuoli, che gli ricevesse a misericordia. E Cristo
dimostrava le piaghe tutte sanguinose, e a san
Francesco diceva: Questo mi hanno fatto i frati
tuoi. E poco stante in questa sua rogazione di-
scendeva alcuno grado, e chiamava i frati caduti
dalla scala vermiglia, e diceva: Venite, stcàte savi,
figliuoli e frati miei; confidatevi e non vi dispe-
rate, correte alla scala bianca e montate su, pe-
rocché per essa voi sarete ricevuti nel reame del
Cielo, correte, frati, per Tammaestramento paterno
alla scala bianca. E sulla sommità della scala ap-
parve la gloriosa Vergine Maria Madre di Gesù
Cristo, tutta pietosa e clemente; e ricevea questi
frati, e senza alcuna fatica entrarono nel reame
eterno. A laude di Cristo. Amen (1). „
(1) Fioretti di san Francesco. Testo di lingua. Terza edi-
zione parmense con un discorso proemiale del eh. marchese
Puoti. Parma 1847,
*•-'
Capitolo XII.
ESTASI DELL'AMORE DI PATRIA.
Le estasi dell' amore di patria. — La maschera di Mazzini.
— Patria e religione, eroi della patria e santi. — Meglio il
cìutumnmne che l'ignoranza dell'amor di patria. — Diverse
forme dell'estasi dell' amor di patria. — Il ritomo in Italia
dell' autore reduce dall' India. — Estasi solitarie dei grandi
amatori della patria. — fili eroi della storia e gli eroi anonimi.
— Estasi epidemiche. — Incendii delle foresto e incendii del
cuore nazionale d'un popolo. — Raffronti e consideriizioni.
rm^
i
Nel mio Museo Wantropologm di Firenze, in uno
degli armadii consacrati alle grandi individualità
della specie umana, vi ha la testa di un uomo, che
ferma l'attenzione del più frettoloso e superficiale
osservatore. Quando devo far da cicerone di mala
voglia a qualche importuno, lo aspetto a quell'ar-
madio, per consolarmi della lunga noia di ripe-
tere davanti alle stesse vetrine le stesse parole.
E là» il visitatore si ferma e dice: quélì<i test^ è
forse quella di un santo?
Siete un buon osservatore, quella testa è di un
santo e fu formata sul cadavere.
E che santo è quello?
Si chiama Giuseppe Mazzini.
Si potrebbe scrivere un volume su queirincon-
scia rivelazione dei più volgari osservatori , che
dinanzi alla maschera di Mazzini, domandano se
quello sia un santo.
90 CAPITOLO xn
La fisonoinia ascetica è una delle più caratte-
ristiche, ma anche una delle più indefinibili. E
il Mazzini Taveva, e morto pareva addirittura un
santo già glorificato nel paradiso cristiano.
In quella domanda, che prorompe spontanea dal
labbro dei visitatori del mio Museo, vi è tutta la
biografia di un uomo, che amò la patria con fer-
vore mistico e fece della sua politica una reli-
gione. Egli stesso del resto si era assegnato il
suo posto nella storia del pensiero italiano, scri-
vendo sulla sua bandiera , Dio e popolo, due pa-
role una più mistica dell'altra e che messe vicine
non sono che un grido del cuore lanciato nell'in-
finito poetico deiridealità politica.
♦ *
L'amor di patria è uno degli affetti più alti, m»
più indistinti e la cui analisi psicologica esige-
rebbe un volume. È sentimento di lusso , perchè
molti uomini d' alta e di bassa gerarchia non lo
sentono e perchè si dirige, più che ad un lembo
di terra , ad un mito composto di materia e di
idealità e che muta forma e muta confini a se-
conda dei tempi e di cento altre influenze esteriori.
I sentimenti di lusso, non hanno che raramente
l'amob di patria 91
la intensa energia degli affetti necessarii, ma per
la loro indeterminatezza e la sconfinata possibi-
lità dei loro movimenti possono x>iù facilmente
portarci all'estasi.
Per r uomo selvaggio , sia poi tale perchè non
veste il proprio corpo, o perchè non veste il pro-
prio pensiero; la patria è poco più che il nido
per V uccello o la tana per le fiere. È la ca«a in
cui è nato, è l'albero sotto cui ha dormito, è il
fiume in cui si è tuffato, il bosco dove ha cac-
ciato, è la terra dove tutti gli uomini rassomi-
gliano a lui , parlano come lui , come lui odiano
l'altra gente che sta al di là dal monte o dal mare.
La patria, circondata o no dal mare, è sempre
un'isola; e chi si isola divien parente di tutti co-
loro che stanno nella stessa carcere. La patria
non è che una famiglia piìi grande di quella che
si chiude sotto il tetto domestico, non è che una
casa più vasta di quella che alberga una stessa
famiglia.
Non amare la patria è una viltà del cuore, è
un cretinismo del sentimento, quando non sia la
previsione di tempi lontani e migliori, nei quali
la patria dell' uomo sarà tutto il nostro pianeta,
e stranieri soltanto si chiameranno gli abitanti
degli altri mondi coi quali di certo un giorno
parleremo, e forse per farci la guerra.
92 CAPITOLO XII
L' amor di patria è figliale e mistico in ima
volta sola; è tenero e ascetico. Figliale perchè la
patria è la madre universale di tutti quelli che
parlano la stossa lingua, pensano lo stesso Dio e
spargono insieme lo stesso sangue. Mistico , perchè
la patria non si può baciare, né abbracciare, e i
suoi confini son segnati sopra una carta, che non
è negli atlanti geografici, ma nel cuore umano.
La patria è uno dei circoli del paradiso dan-
tesco, dove da un piccolo cerchio irradiano zone
più larghe, come cerchio d'acqua smossa dal ca-
dere di una pietra. Dal villaggio adorato dove ci
hanno battezzato e dove speriamo di esser sepolti,
alla provincia, al regno, all'impero, alle colonie
nostre lontane, la patria si allarga, si allarga sem-
pre, portando seco le tenere oscillazioni del no-
stro cuore, dei nostri affetti, della gloria nazionale.
Quel palmo di stoffa che si chiama la nostra
bandiera , che un colpo di sole , uno scroscio di
pioggia può impallidire, quella stoffa che costa
poche lire e che una vampa di fiamma può ri-
durre in un pizzico di cenere, è il simbolo di tutt;
L'AMOE DI PATRIA 93
quelli affetti che si condensano sotto uno stesso
nome, e là dove si pianta quella bandiera ivi è
la patria, ivi i ricordi comuni e le comuni sventure
e le glorie comuni chiamati a raccolta da un voce
sola, che le incarna e le personifica.
* *
Chi analizza un sentimento colla segreta spe-
ranza o colla malignità palese di distruggerlo,
compie opera vana. Se lo fa per sé non distrugge
che ciò che non è mai esistito; se lo fa per altri,
predica nel deserto; dacché nessun ragionamento
ha mai fatto diminuire d' un palpito un grande
amore.
La donna che tu ami è una Hle creattira, fu amat-a
da cento uomini prima che tu la amassi., ».
E che importai lo l'amo.
Il Dio che tu adori non è mai esistito. Idolo mO'
struoso in cui V antropofaffia deW uomo quaternario
si trova insieme alla industria delle simonie, allepaz»
zie teologiche....
Empio, tu non sai quello che dici. Il mio Dio esiste
ed io Vadoro.
Lo stesso sarebbe tentar di strappar con vani
94 CAPITOLO xn
ragionamenti a un uomo l'amor di patria, quando
egli lo sente palpitare nel più caldo e nel più
profondo delle viscere , quando egli ne ha fatto
una religione, a cui è pronto a dare tutto quanto
ha, tutto il sangue delle sue vene. L'amor di figlio,
l'amor di madre, l'amore per la donna amata furono
in ogni tempo gloriosi olocausti di anime elette
fatti sull'altare della patria. E poi andate a dire
a quei martiri che la x)a'tria è il mondo eh' essa
non ha altri confini che lo spazio interplanetarel
* *
Finché le nazioni esistono , fìni3hè le lingue
umane si contano a migliaia, finché metà del ge-
nere umano non può intender l'altra metà, finché
fra uomo e uomo vi sono maggiori differenze
psichiche che fra un cane e un lupo; l'amor di
patria non si discute, ma si sente, e un popolo è
tanto più grande, quanto è più vivo e caldo e
universale in lui questo sentimento. Benedetto
cento volte il più folle chaumnmne , maledetto il
cinismo di chi domanda ridendo: E che cosa è la
patriuf
La patria é la terra , iu cui in ogni solco vi è
l'amor di patria 95
una gocciola di sangue o di sudore dei padri no-
stri e in ogni pugno d'arena vi è della cenere dei
nostri avi; la patria è la terra in cui dorme la
nostra madre e dormiranno i nostri figliuoli; è la
storia di tutto il passato, la storia di tanti secoli
di glorie e di sventure vissuti da coloro che ci
hanno data la vita; la patria è la madre di tutti
quelli che parlano e sentono come noi ; è quella
terra, il cui nome solp udito pronunziare in terra
lontana ci fa battere il cuore, ci fa baciare un
giornale. È quella parola, che solleva onde di po-
poli a un grido di guerra, che fa escire da ogni
capanna un uomo armato e ad ogni finestra fa
affacciare una testa di donna piangente. La pa-
tria è una parola magica che può convertire ogni
uomo in un soldato e ogni donna in una martire,
che fa piangere i fanciulli disperati di non esser
ancor uomini e fa piangere i vecchi perchè non
possono più imbrandire un fucile. La patria è
quella santa parola, che distacca l'operaio dall'of-
ficina, il contadino dal campo, l'uomo di lettere
dal libro, il banchiere dallo scrigno; che strappa
dalle braccia della fanciulla il giovane innamo*.
rato; e tutti riunisce in un'unica schiera e sotto
uno stesso vessillo, in cui tutti guardano fissi con
occhio d'eroe e amoro di martire.
Qnal'altro altare lia tanti adoratori? Qual'altra
06 CAPITOLO xn
religione ha tante idolatrie? QuaPè Tara su cui
sì portino altrettante vittime , che corrono chia-
mate o non chiamate, ma sorridenti e calde d'en-
tusiasmo? QuaU altra parola ha tanta onnipotenza,
quaPaltra estasi può superare codesta di sentirsi
in ungerà sola divenuti trenta milioni di fratelli,
che amano lo stesso amore, che sentono lo stesso
odio, che sognano lo stesso sogno di vendetta o
di sdegno?
* *
Le estasi più comuni dell'amor di patria sono
quelle ohe si provano nel rivedere la terra nativa
dopo mesi e anni di lontananza e le altre ohe si
godono nelle grandi feste, che salutano un grande
trionfo nazionale: solitarie le prime, associate le
seconde; grandi entrambe e capaci di voluttà
senza nome.
La nostalgia è nei trattati di patologia una ma-
lattia che si classifica fra le alienazioni mentali.
Beati coloro che possono esser pazzi in questo modo;
infelici coloro che per grettezza di cuore o per
esser nati venti o trenta secoli prima del loro
tempo non sono capaci dei rapimenti del rivedere
l'amoe di patria 97
la patria dopo lunghe assenze. Io ohe ho vissuto
molti anni nell'altro emisfero e che ho attraver-
sato l'Oceano per otto volte ho provato quest' e-
stasi in tutti i suoi gradi e in tutte le sue forme.
4>
* *
Mai l'ho goduta così intensa e così profonda
come dopo il mio ultimo viaggio nell' India.
L'amor della patria, al rovescio degli altri amori,
cresce cogli anni, e quando io dopo alcuni mesi
di assenza al mio ritorno dall' India seppi che al-
l'indomani avrei riveduto l'Italia, sentii che il cuore
batteva forte forte, come dinanzi al sorriso della
donna amata.
Io non vedeva ancora la mia terra^ ma la sen-
tivo. Sentivo che essa mi aspettava come ci
aspetta la nostra donna in un ritrovo d'amore
lungamente desiderato. La mia patria, l'Italia
mia non poteva esser lontana. L'onda più azzurra,
il cielo più sereno me lo dicevano ad alta voce ; me
lo diceva il profumo dei fiori d'arancio che mi invia-
vano gli orti benedetti della Calabria e della Si-
cilia. Ed io guardava fisso davanti a me nell' o-
rizzonte lontano, che la mia nave andava conqui-
Estasi umane. — II. 7
^S CAPITOLO XII
Stando ad ogni moto dell' elice. La nebbia sfumava,
ropale diventava oltremare, e fra le nebbie lon-
tane vedeva un mondo , nuovo e antico per me ,
la patria dei miei avi. La nebbia diveniva terra
e cielo; terra e cielo T Italia. — Fra poche ore avrei
baciato quella terra e sul mio capo si sarebbe
disteso l'azzurro che mi aveva veduto nascere.
Non sarei più morto in terra straniera e i miei
cari avrebbero potuto piangere inginocchiati so-
pra la mia terra, sopra la terra che aveva gene-
rato me e i miei cari.
E la terra nebbiosa e oscura si disegnava in
coste e in golfi, in monti e in piani; e in quei
monti e fra quei seni apparivano poco a poco
casuccie bianche incorniciate di pampini verdi e
riposavano fra boschi di agrumi neri come il
bronzo. In quelle case dormivano uomini che par-
lavano la mia lingua e quella terra mi mandava
come un saluto del cuore i profumi del mio orto,
i profumi della mia giovinezza e della mia poesia.
Là io era amato, là il mio nome non era parola
ignota: qualcuno mi aspettava. Vi erano braccia
aperte impazienti di stringermi al cuore, vi erano
labbra di donna e di fanciulla pronte, impazienti di
baciar le mie labbra. Profumi di fiori e baci che
mi chiamavano ad alta, voce, con sospiri d' amore.
Come aveva potuto io per cosi lunghi mesi star
l'amor di patria 99
lontano da quegli alberi benedetti, da quelle brac-
cia innamorate j da quella terra che era la mia ,
la terra della mia culla e della mia fossa? Non
avevo io commesso una colpa , che avrei redenta
fra poche ore ? Come avevo io potuto sopportare
tanto dolore?
E la nave camminava; e la nave correva e a
destra il continente d'Italia, a sinistra la pid
grande delle isole d' Italia si avvicinavano a me,
lontane e vicine, come due braccia aperte all'am-
plesso! — Io mi sentivo abbracciato da quelle
braccia gigantesche , mi sentivo inebbriato da
quei profumi; udiva il mormorio delle voci del-
l'uomo, che daUa riva giungevano fino a me; voci
d' uomo e voci d' Italiani. Perfino le vele delle
piccole barche che sfilavano lungo la costa mi pa-
revano più bianche, più gaie , più snelle d' ogni
altra vela di mare. Non eran forse vele italiane ?
E 1' Etna gigante fumava dall' alto e il calca-
gno d' Italia poggiava sull' onda azzurra quasi
volesse spiccare il salto alla conquista del mondo.
Avrei voluto gettarmi in quell'onda per sen-
tirmi bagnato dal mare d' Italia, avrei voluto lan-
ciarmi per giungere più presto a toccare quella
terra santa, quella terra divina, madre di tre civiltà
e non ancora stanca ; quella terra d' eroi e di
martiri , in cui tante genti avevano bevuto le
100 CAPITOLO XII
prime fónti del pensiero , avevano imparato i
primi canti della poesia. Quanto orgoglio, quanto
amore e quanta impazienza di ridare a quella terra
il bacio di madre che mi gettava lontano; dai suoi
orti fioriti, dalle sue città illuminate dalla gloria,
dalle vette dei suoi monti pittoreschi, dai campi
così fecondi di vita.
Se quella non era un' estasi e che cosa è dunque
l'estasi ì Se quello non era un rapimento dei sensi,
del cuore, dell' amore , del passato che si strin-
geva col presente; se quella non era una santa
ebbrezza; e che cos'è dunque il rapimento; che
cos' è 1' ebbrezza ? — I miei occhi eran gonfi di
lagrime, ma sorridevano ; il mio labbro era muto,
ma sorrideva tremando, come davanti a un bacio
ohe dovesse uccidermi come uomo per trasfor-
marmi in un Dio.
* li
Estasi solitarie d' amor di patria devono pro-
vare quei pochi, eletti ohe nascono per dar libertà
0 grandezza alla patria e sognano prima e medi-
tano poi l'opera grande che si prefiggono a scopo
della loro vita.
L^AMOB DI PATRIA 101
Gran parte, di questi amori solitarii e profondi
si consuma nell'opera del pensiero, nelle lunghe
lotte di preparazione; ma tra le ansie di chi
aspetta e sperando teme ad ogni istante di per-
dere il frutto di tanti sagriftci , di tanti sudori ,
e forse di tanti martini ; vi devono essere istanti
in cui alla mente riscaldata da tanto entusiasmo
appare l' alba della vittoria in un orizzonte lon-
tano e la speranza del premio fa batter forte il
cuore. Quante visioni sublimi devono esser ap-
parse al Mazzini, al Cavour, al Garibaldi, quando
neir esilio o nel gabinetto di ministro o sul campo
di battaglia sognavano di far libera, grande ed
una la nostra patria e sentivano di poter essere
artefici primi in quest' opera grande ; sogno di
tanti secoli, miraggio di tante generazioni.
Le imprese degli eroi rimangono scritte in ta-
vole di bronzo o in monumenti di marmo, scritte
col ferro e col fuoco, colle torture dell'ergastolo
o le lunghe angoscio notturne del pensiero che
non dorme; ma ciò che non rimane scritto è l'è- ^
stasi che prepara queUe imprese e che le prevedo
in anticipazione.
Ogni frutto si feconda nelF amplesso dei petali
profumati e fulgenti di bellezza e ogni figlio di
creatura viva nasce dall' anelito di un grande
amore. Così le opere magnanime che salvano un
102 CAPITOLO XII
popolo o ohe lo glorificano, che rompono le catene
dell' oppressione o allargano le frontiere della pa-
tria non sono mai uragani di violenze o subitanee
divinazioni del genio; ma si preparano lenta-
mente e lentamente maturano nei santuari del
cuore e del pensiero, là dove i germi celati pre-
parano r albero futuro che darà ombra a un' in-
tiera nazione. La poesia sprezzata solo dal volgo
dei faccendieri, perchè non sono capaci d'inten-
derla, è la madre d'ogni opera grande e non c'è
grande soldato o grande uomo di Stato che
non fosse anche e soprattutto poeta. Poeta nel so-
gnare imprese che ai più apparivano come pazze
utopie ; poeta nel fantasticare e nell' osare ; poeta
nel deliziarsi nelle sante visioni dell'avvenire; poeta
nelle estasi amorose che mostrano al credente il
premio lontano di grandi vittorie. Non invano i Greci
hanno detto che il poeta è un creatore.
*
* *
Né le sante estasi dell' amor di patria sono con-
cèsse soltanto agli eroi, ai semidei della storia.
Tutti coloro che hanno fortemente amato la pa-
tria, tutti quelli che hanno dato ad essa il pen-
L'AMGE DI PAXaiA 103
siero o il sangue, che hanno cospirato prima e
studiato poi per darle grandezza e potenza, ponno
nella loro vita aver provato rapimenti deliziosi.
Ognuno più che sé stesso non può dare all' altare
d' un grande affetto e nelle rivoluzioni e nelle
guerre, come nelle grandi lotte politiche gli amanti
della patria possono contarsi a legioni e la storia
li dimentica, appunto perchè son troppi. La storia
ha fretta e personifica in un tipo i martiri minori.
Pellico è il martire delle cospirazioni, Mazzini è
r apostolo della religione della patria , Garibaldi
V eroe, la Cairoli è la martire delle madri, Cavour
è il pensiero in azione, e così via. Per ogni forma
del sagrifizio, per ogni opera della mente, per
ogni travaglio dei cuori, la storia segna un indi-
viduo che divien statua, idolo e tipo, e dimentica
le molte figure anonime, che si raggruppano in-
torno a quei tipi e fanno loro lieta ghirlanda.
Né questi negletti della storia lamentano l'in-
giustizia : al monumento, alle corone, aU' arco di
trionfo essi non hanno pensato mai. Essi hanno
amato la patria e per essa hanno pianto o sono
morti : la loro missione è compiuta e sono felici
come lo furono Pellico, Garibaldi e Cavour. An-
ch'essi hanno provato le sante estasi della spe-
ranza e della vittoria, e la patria li ha benedetti e
glorificati nel silenzio delle loro case , nel nido
104 CAPITOLO Xll
delle loro famiglie e dei loro amori. La patria è
grande perchè ebbe di tali figli e attraverso le
vene e i nervi ohe congiungono le generazioni
scorre 1' onda dell' entusiasmo e palpita la voluttà
del sacrifizio. Che cosa sarebbe il Cristo senza
gli Apostoli; che cosa avrebbe fatto Garibaldi
senza la coorte dei Mille, e Cavour senza i pre-
cursori del 21?
No (lo voglio ripetere per la centesima volta),
la natura non è così ingiusta come appare alle
esigenze dei più. Le gioie maggiori della vita non
si misurano col metro del genio o sulla bilancia
della ricchezza. Tutti, innanzi morire, possono es-
sere baciati dalle labbra innamorate d'una donna;
tutti possono render quel bacio alle labbra d'una
figlia. Nessuno è così povero da non poter fare
sagrifizio di sé alla patria, nessuno così infelice
da non provare le estasi dell' aflTetto e della poe-
sia. Pel sole che dall' alto illumina tutte le crea-
ture della terra, nessuno è grande, nessuno picco-
lissimo; e i suoi raggi entrano beatificando e
consolando nelle fibre d' ogni cuore , neUa porta
d' ogni tugurio.
l'ahob di patria 105
*
* *
I pioooli nameri diventano grossi se sommati
insieme. Così i piccoli affetti ponno divenire ura-
gani se i cuori battono insieme. Che cosa è una
gocciola ? Eppure V oceano è fatto di gocciole.
Nessun affetto forse quanto Tamor di patria può
per la sua natura moltiplicarsi con grossi numeri
e allora Y entusiasmo degli individui diviene onda
che allaga le contrade e rapisce nella sua cor-
rente case e villaggi, città e popoli intieri. È que-
sto un punto ancora oscuro della psicologia umana
e che pure dovrebbe formare una delle basi te-
tragone di ciò che suol chiamarsi la filosofia della
storia.
Come si sommano due affetti analoghi o eguali f
Di certo non colla regola aritmetica che 1 -f 1=2.
E come si moltiplica un entusiasmo, quando si
ripete cento , mille , centomila volte nello stesso
tempo in cento, in mille, in centomila cuori? An-
che qui la regola matematica non serve a spie-
gare 1' allargarsi e il diffondersi del fenomeno ri-
percosso in tante coscienze umane. Visone epidemie
per il sentimento come pei morbi popolari, e il
106 CAPITOLO .XII
diffondersi degli entusiasmi presenta gli stessi
misteri, gli stessi salti bizzarri, gli stessi prodigi
come r allargarsi delle grandi epidemie,
L' incendio dei cuori per influsso d' una gloria
nazionale è uno degli spettacoli più grandiosi e
commoventi del mondo umano, ed io compiango
tutti coloro, che nel corso della loro vita non
hanno [potuto assistere ad una di queste grandi
feste, nelle quali tutto un popolo canta Tinno
della gioia e lo accompagnano gli squilli elettriz-
zanti della vittoria e la fanfara del tumulto po-
polare e l'ebbrezza di tanti cuori, che sentono nel
tempo stesso la stessa gioia, che ardono della
stessa febbre, dello stesso delirio.
Non invano io ho rassomigliato ad un incendio
questi rapimenti nazionali : nessuna immagine po-
trebbe rappresentare più fedelmente lo svolgersi
di questo fenomeno umano. Ma non ha ad essere
incendio di pagliaio, che le società dì assicura-
zioni registrano con dolore, o fiamme di cucina, che
i pompieri benemeriti spengono in un'ora colle
loro pompe. Ci vuole uno di quelli incendi delle
vergini foreste e della pampa dell'America meri-
dionale, che ho le tante volte veduto e ammirato
nei miei viaggi.
li'AMOB DI PATRIA 107
La fiamma è venata dall' alto o dal basso , da
un falmine o dal focolaio d' un viaggiatore : non
importa. È fiamma che non rigaarda le società
d' assicurazione, né chiama a sé i pompieri, fi fuoco
che s'allarga a destra e a sinistra, che sale in alto
lungo le scale delle liane sugli alberi alti come
torri e che rade le erbe del basso come rasoio
ardente. Erbe e cespugli, alberi e arbusti, piante
di mille anni e fiorellini sbocciati ieri, tutto è ìa-
vaso dalla stessa fiamma, che tutto divora e con-
suma. Nessuno resiste a quel fuoco, non il cacto
gonfio di succhi, non le foglie verdi, non i tron-
chi secolari; nessuna pianta, nessuna erba, nessun
insetto che viva su quelle erbe, nessun rettile che
strisci , nessun piccolo rosicante o armadillo che
s' accovacci nelle tane, nessuna belva del bosco ,
nessun mammifero della pianura. Dinanzi a quel
fuoco tatti sono eguali e tutte le creature hanno
ad ardere fiammeggiando, scoppiettando e deto-
nando. Vola la fiamma in colonne , striscia come
onda, divampa come nembo, e non appena il fumo
porta nel fresco del verde il segno precursore
108 CAPITOLO XII
della distrazione, il fumo divien calore e il calore
divien incendio.
E l'incendio cammina; prima incerto, poi sicuro;
prima trotta, poi galoppa, vola; esaltandosi nel
delirio d' un' opera gigante di distrazione e di li-
vellazione. I piccoli innalzano il loro fuoco nelle
regioni degli alti ; e gli alti precipitano turbinando
e rovesciando i tizzoni incandescenti nel piano
delle creature minori. E volano le scintille e ser-
peggiano le fiamme, né alcuno al mondo saprebbe
dire chi dia maggior alimento a quelle vampe,
maggior calore in quella voragine, in quella fu-
cina gigantesca. Screpolano, scoppiano, gemono i
rami succolenti e rovinano i colossi della foresta,
portando lontano lontano V inno di una grande
rivoluzione, finché fra cielo e terra non si distin-
guono più nò erbe né arbusti, nò alberi, né animali;
ma una cosa sola si vede, una cosa sola si sente, il
fuoco trionfatore d'una fiamma invadente e tiranna.
É la festa del fuoco, è V orgia della distruzione ;
è la morte di un mondo vecchio che prepara il
terreno a un mondo nuovo.
l'amoe di patria 109
* *
Così sono le feste nazionali, non imposte da
decreti di principi o da grida di ministri, ma sorte
spontanee per l'irrompere di un sentimento caldo,
che infiamma tutti i cuori, che riscalda tutte le
coscienze. E le anime fredde sono ravvolte dal-
l' incendio comune, e gli egoisti, volenti o nolenti,
si riscaldano allo stesso fuoco e i timidi non tro-
van scampo alla fuga. Ogni creatura che abbia
in petto un cuore di uomo deve ardere e consu-
marsi nella stessa fiamma. Padri e figli e ignoti
si abbracciano insieme e in una volta sola, e il
riso e il pianto che si confondono in un turbine
solo fanno ridda e alzano al cielo un grido solo :
che è r entusiasmo ; s' inebbriano dello stesso li-
core che è r affetto di patria. Anche il marmo si
riscalda, se ravvolto dalle fiamme, e anche il ghiac-
cio si discioglie e si consuma fra le vampe d'un
incendio. Saltano le più robuste serrature chiuse
dalla mano gelosa dell' avarizia , si spezzano le
catene più robuste saldate dall' egoismo e dalla
paura. Ogni ^cuore umano ha ad ardere dello
stesso fuoco; e il ferro robusto e il piombo vile
110 CAPITOLO XII
8' hanno a fondere per una volta almeno in uno
stesso orogiuolo, formando una lega che sfidi le
leggi della chimica e le analisi della scienza. É
nn popolo ebbro di gioia, che non conta più
nelle sue schiere né poveri né ricchi, né gio-
vani nò vecchi; ma canta con una voce sola, somma
di tutti i vagiti, di tutte le poesie, di tutti gli
urli umani ; canta l' inno della redenzione o della
vittoria.
* *
Chi ha avuto la fortuna di essere già uomo
nel 48 e nel 59 rammenta questi incendi dei cuori
italiani e per le membra forse già intirizzite dal
freddo della vecchiaia risente ancora il caldo di
quel fuoco. E rammenta ancora alcuni momenti
di estasi sante, di ineffabili rapimenti, nei quali
ogni altro sentimento taceva o si eclissava davanti
al divampare subitaneo e irresistibile di un unico
sentimento, V amor di patria.
l'amoe di patria 111
*
Così come dalP incendio delle foreste vergini
nello strato di cenere che rimane si prepara una
terra feconda per nuove creature a venire; così
nelle grandi estasi e nelle sante ebbrezze di un
popolo trionfante, si prepara un nuovo terreno in
cui sarà scritta una nuova storia. É per questa
via che le guerre diventano rigeneratrici di un
popolo stanco; e quando per due o tre generazioni
non divampa uno di questi incendi rigeneratori,
i funghi, le muffe e i bacterii invadono ogni tronco
d' albero e ogni seme di pianta, e dalla lenta pu-
trefazione dei cadaveri, s' innalza un miasma omi-
cida, che soffoca i bambini nella culla, sommerge
i giovani nella palude dell'ozio e della noia, e ne-
cide i non nati nel ventre delle madri.
Capitolo XIII.
Piccole estasi affettive e miste. — L'amore per gli animali.
— Cani, cavalli e bovi. — Le estasi della ricchezza. — I due
lati della medaglia. — L'avaro. — Le estasi patologiche. —
Se ne fa cenno, ma non si studiano. — Aspirazione modesta
di questo mio libro.
Estasi umane. — II. 8
Benché abbia dedicato tanta parte di questo
libro allo studio delle estasi affettive, non pre-
tendo di averle tutte esaminate. Vi ho parlato
deUe'più comuni, o per esser più esatto, delle
meno rare; di quelle che in tutti i tempi hanno
chiamato sopra di sé V attenzione del psicologo
osservatore; ma i sentimenti umani sono così mu-
tevoli nella loro forma, così elastici nella loro
espansione da poterci presentare, per eccezione di
circostanze o per eccezione di individui, rapimenti
inaspettati e strani.
* *
L'amore per gli animali può in dati casi cre-
scere di tanto e acquistare tale energia da portarci
sulle frontiere dell'estasi. Ho già studiato nei molti
116 CAPITOLO xin
miei lavori di psioologia quei casi in cui V uomo
ama le bestie più che gli uomini e per esse fa
sacrifizi e ad esse dedica un culto pieno di poesia
e di tenerezza.
Come uomo e come nemico personale del cane^
arrossisco nel dire che questo quadrupede, che ha
per antenato il lupo e che ci uccide coll'idrofobia,
può essere più che amato, adorato e che la con-
templazione del cane prediletto può portare aire-
stasi. Dall'australiano che uccideva il proprio bam-
bino perchè la moglie potesse dare il seno ad un
suo cagnolino, si sale o si scende (come volete) ad
una signora di mia conoscenza, che aveva intorno
a sé un serraglio di cani, d'ogni grandezza e d'o-
gni colore, che amava e accarezzava come figliuoli.
Con essi nel salotto, con essi a pranzo, con essi
a letto; di giorno e di notte e sempre in mezzo
ai cani, ohe spandevano all' intorno un tanfo di
belve domestiche da asfissiare un rospo. Viveva
delle carezze dei cani, dei loro baci; li assisteva
come infermiera se ammalati, li vestiva, li lavava,
li coricava, e quando li contemplava tutti riuniti
intorno a un desco o tutti coricati nei loro letti,
essa godeva tanto , e tanto si esaltava da farmi
credere che si trovasse in uno stato di rapimento.
L'arabo e il gaucho coi cavalli, il cafro e molti
altri africani coi loro bovi, il lappone colle sue
L'AMORE PER GLI ANIMALI 117
renne, possono presentare quadri consimili e per
fortnna meno ribattanti di quello della si^ora
oinamanUica.
Io ho potuto vedere più d'una volta il gaucho
argentino fermo dinanzi al suo parejero ornato del
più splendido cha/peado d' argento, cadere in un
vero e proprio rapimento. Bapimento estetico e
affettivo in una volta sola, mentre presentava tutti
i caratteri dell'estasi.
Ho veduto il gaucho appoggiare il suo capo con-
tro la testa del cavallo, e accarezzarlo colla guan-
cia e mormorare parole tenerissime d'amore e poi
passare alle carezze lunghe, affettuose sul collo e
sulla criniera; e ho veduto le ceflFatine amorose, che
non si danno che ai bambini e alla donna amata.
Intendo quest' estasi, e credo che, così com' io
l'ho veduta nel gaucho argentino, altri avranno
potuto studiarla nell'Ungheria, nel chirghiso della
steppa, nell'arabo del deserto.... L'uomo dinanzi
al suo cavallo è uno dei quadri più belli della
vita animale. Son due creature fra le meglio riu-
scite del nostro pianeta e che si completano a
vicenda. L'agilità, la forza, la velocità messe al
servizio dell'intelligenza più alta; il più bello dei
quadrupedi che presta i suoi muscoli al bipede
più audace e più intelligente. La voce che fa ar-
monia col nitrito; la parola del pensiero che suona
118 CAPITOLO XIII
insieme alio sbuffo ardente , che sembra aspirare
per .le ampie narici lo spazio e la Ince. L'uomo a
piedi è una intelligenza che cerca, l' uomo a ca-
vallo è una intelligenza che conquista; 1' uomo a
piedi è un filosofo ohe osserva e che pensa, l'uomo
a cavallo è un pensiero che divora lo spazio e do-
mina il mondo.
Le poche e rare estasi che porge all'uomo l'af-
fetto alle bestie, quando non sono aberrazioni pa-
tologiche, sono spesso più estetiche che affettive
e l'una e l'altra cosa insieme, mentre altre volte
si complicano con altri sentimenti.
Quando il cafro contempla dall'alto d'un mon-
ticello il suo Kraal formicolante di corna cesel-
late delle sue numerose mandre muggenti, può
cadere in rapimento : così VestanderOy che dall'alto
del suo cavallo vede passare dinanzi ^ lui l'onda
fuggente di migliaia di bovi e di cavalli. Ma quali
sentimenti vibrano in quel momento nel cuore e
nel pensiero di quei due uomini? Qual'è l'affetto
che li porta all' estasi? L' affetto per quegli ani-
mali? O la gioia di possedere tanta ricchezza? O
lo spettacolo di tante vite addensate in così pic-
colo spazio? O l'ammirazione per tanta bellezza
di forme ? Forse tutto questo in una volta sola o
il passaggio rapido e successivo dall'una all'altra
gioia, dall'una all'altra ammirazione.
L'ESTASI DELLE BIGCHEZZE 119
* *
lì sentimento ohe ci porta ad amare le proprie
oose e specialmente quella cosa delle cose, ohe
rappresenta il valore di tntte, cioè il denaro, la
ricchezza, è dei più intensi e dei più tenaci e può
non di raro rapirci in estasi.
L'estasi delle ricchezze può anzi servire come
passaggio naturale per condurre all'esame dei ra-
pimenti patologici, che invece di innalzare l'uomo
alle più nobili idealità, lo degradano e lo avvili-
scono.
lifessuno è testimonio dell' estasi solitaria, con-
centrata, direi tutta concentrica, che provano il
banchiere, il milionario, l'avaro, quando sommano
le pingui e lunghe cifre del loro bilancio attivo o
fanno scorrere voluttuosamente fra le dita quei
fogli dell'eloquentissimo fra tutti i libri che chia-
mansi bigUetti di banca, carte-valori, cartèlle o simili.
Per 1' avaro lo scintillio delle monete d' oro è
più splendido di quello che irradia dalle pupille
di Venere, e il palpare i biglietti di banca più
voluttuoso del palpeggiare le carni più rosee e
più vellutate della giovinezza. Né quella voluttà
120 CAPITOLO XIII
è tutta brutale. Un tavolo che si piega sotto il peso
di sacchi d'oro o ohe è tutto ingombro di carta-
moneta, è uno spettacolo che può avere un fa-
scino pieno di poesia e di misteri. Noi abbiamo
sotto i nostri occhi la forza in tutta la ca,lma della
potenza, e nel più angusto spazio possibile vediam
concentrata la più grossa somma delle umane pos-
sibilità. Quella materia bruta e muta può conver-
tirsi a un nostro cenno in pranzi luculliani o in
giardini fioriti; in case, in biblioteche, in castelli.
Quella materia non sbuffa né corre né si agita;
ma può portarci a volo intorno al nostro pianeta;
essa è lente che ingrandisce ogni piccola cosa e
può impicciolire le maggiori grandezze; è ala per
volare, cavallo per galoppare, locomotiva per con-
quistare lo spazio. Tutti i desideri possono essere
soddisfatti con quella materia muta e bruta, e voi
potete con essa comperare tanti sorrisi da averne
nausea, tante carezze e tanti baci da poterne
morire; potete comprare le coscienze, la giustizia,
gli omaggi dei vili e tutte le più rare leccornie
della vanità. Quanti amori per ogni biglietto da
mille, quanti saluti per un biglietto da cento,
quante piccole viltà per ogni biglietto da cinque.
Perfino l'ultimo bricciolo di quel tesoro, il cente-
simo, può darvi il sorriso di un bambino!
Come non rimanere estatico davanti a tutta
l'estasi delle ricchezze 121
qaella potenza di bene e di male; come non com-
muoversi davanti a tanta forza addensata forse
in un metro quadro di superfìcie! Il poeta e il fi-
losofo, è vero, dopo pochi istanti di commozione
e forse di tenerezza, passeranno con fulminea ra-
pidità a riguardare il rovescio della medaglia e
vedranno tutte le viltà dell' oro e tutte le impo-
tenze della ricchezza.
Quelle monete son sporche di tutti i sudori
umani e quei biglietti portano sulla loro superficie
tutte le macchie dell'umana coscienza: grassume
di pelle venduta e saliva di adulazioni bassissime;
tradimenti del cuore e menzogne del labbro; tutte
le malvagità, tutte le viltà, tutte le transazioni
di coscienza hanno lasciato su quei dischetti di
metallo e su quei fogli la loro allumacatura. Non
sentite il tanfo osceno che emaùa da un cassetto
pieno di biglietti di banca?
E in mezzo a tanto sudiciume, quanta impo-
tenza! Con tutto quell'oro, con tutti quei fogli
non potete comperare le cose pi£i belle della
natura e le più dolci del cuore! Non un rag-
gio di sole in dì di pioggia, non una carezza
d'amico, se avete disonorato il vostro nome; non
la salute, non l'amore, non il genio, non la stima
dei buoni. Se non avete fame, se non avete sete,
il cuoco di Rotschild non può darvi né la fame
122 CAPITOLO XIII
né la sete; quelle eteme salse ohe da Adamo in
poi possono soltanto darci il gusto del mangiare
e del bere. Tutti i milioni del mondo messi in-
sieme non possono farvi comperare né a salute,
né la bellezza, né la giovinezza, né il genio! Quanta
impotenza in tanto sudiciume!
*
* *
Tutti questi pensieri opposti e contrari però si
agitano in voi davanti all' oro e ai biglietti di
banca, e il tumulto può farvi violenza e tenervi
assorto in un rapimento prolungato e forte. Io
mi ricordo d'averlo provato un giorno nella sala
del tesoro della Banca di Londra, quando cento
cassieri pagavano e incassavano, e dai loro spor-
tellini entravano e uscivano onde d' oro e d' ar-
gento. Io m'era ritirato in un angolo, e quel tin-
tinnio continuo di monete e quel movimento di
ricchezze, quell'agitarsi di milioni intomo a me
mi teneva assorto in un rapimento indistinto, e
di cui non sapeva definirmi il perché e il come.
L'ESTASI DELL'AVABO 123
* *
Dalle poetiche meditazioni sulla forza delle forze
fatte da un psioologo o da un artista, si passa per
gradi alla vera estasi dell' avaro, che può tener
luogo d'ogni altra idealiti\, ohe può bastare alla
gioia della vita. La passione diventa vizio, il vi-
zio mania tirannica, che domina tutto il campo
del sentimento, tutti i territorii del pensiero.
Non vivere che per accumulare monete sopra
monete, biglietti sopra biglietti, incassare il più
possibile e spendere il meno possibile. Far vita
da povero e addensar milioni; poter far tutto,
aver tutto, goder tutto, e non fare né goder nulla.
Sentir in sé tutte le più temerarie possibilità, po-
ter dar sfogo a tutti i desideri e non soddisfarne
alcuno. Possedere la forza e non spenderla e man-
tenerla sempre allo stato potenziale; ecco il gran
segreto delle voluttà e delle estasi dell'uomo avaro.
124 CAPITOLO XIII
Anche l'odio, anche la crudeltà, tutti i vizii
umani possono avere stati estatici, cioè aliena-
zioni momentanee della coscienza, che tutta si
assorbe in una sola sensazione, in un solo senti-
mento.
Accenno questi rapimenti per completare il qua-
dro scientifico, ma non li descrivo. Nella mia Fi-
siologia dell' odio, che spero di poter presto pub-
blicare, vedremo anche questi infermi. In questo
libro voglio soprattutto rimanere nelle sfere altis-
sime del bello e del buono, lasciando nell'ombra
il brutto e il cattivo. Fra tanti volumi in cui si
studia il fango, non è male che uno ci porti in
alto, dove Paria è sempre pura, e il sole brilla
in tutta la sua potenza e in tutto il suo splendore.
Per tanti secoli Torgoglio e la religione, cospi-
rando insieme, avevan fatto dell'uomo un dio, e
mettendo il mondo in ginocchio dinanzi a questo
uomo-dio, avevano pervertito ogni senso di misura,
ogni bilancia dì giustizia. La reazione venne e
formidiibile, ma forse ha già sorpassato la meta.
L'uomo è oggi una bestia vile, un mostro osceno:
FISIOLOGIA DELL'ODIO 125
scienza^ letteratura, poesia ed arte fanno deirnomo
ima caricatara e nella caricatura cercano il tipo
della specie. Né angelo, né bestia; ma uomo. Se
questo mio libro è umano, se tutto ciò che vi si
descrive e studia avviene veramente nel cuore e
nel pensiero degli uomini, possiamo onorarci di
esser tali e preparare o desiderare almeno ai no-
stri figliuoli una morale, che non si appoggi né
sopra una falsa origine celeste dell'uomo, né sulla
lotta brutale e fatale di interessi e di forze, di
unghie e di denti.
Capitolo XIV.
LE ESTASI ESTETICHE.
Le teoriche dell' estetica e un libro futuro. — Diversi rapi-
menti estetici. — Diversi gusti estetici e condizioni necessarie
all'estasi. — L'entusiasmo. — Quale sia l'uomo ch'io più com-
pianga fra tutti. — Estasi per le scene della natura e per le
opere d'arte. — Quale la più grande.
Corre fra i Ohinesi del mezzodì questo prover-
bio : nessun uomo può avere in una volta sola una
grande fortuna, un figlio maschio e una bella barba;
volendosi dire con ciò che queste tre cose sono
la maggior benedizione della vita.
Io, che non sono chinese, mi accontenterei di
molto meno e se volessi farmi una vita a modo
mio, e in essa identificare la perfezione di una
felicità senza ombra; vorrei vivere sempre in un
ambiente di coso belle, sorridendo il mio primo
sorriso dinanzi ad una grande scena della natura
o ad una grande opera d'arte e chiudendo il mio
ultimo sguardo dinanzi a una divina figura di
donna.
Per me il bello è la nota più alta a cui possa
giungere Fuomo, ma in queste pagine io. non ve
ne darò la storia. Al bello ho pensato e penso e
penserò in ogni giorno della mia vita e potrei
Estasi umane. — II. 9
130 CAPITOLO XIV
quasi dire in ogni ora dei miei giorni. Da questi
pensieri innamorati escirà un libro, il mio Epicuro,
in cui innanzi morire innalzerò anch'io il mio inno
di uomo e di osservatore a questo Dio delPuma-
nità. Qui non devo parlare che delle estasi che
d procurano le cose belle e ne tratterò breve-
mente, perchè, se piti mi dilungassi, spoglierei il
mio Epicuro delle sue frondi e vi darei un Trai-
tufo di estetica.
Fu già detto molte volte in diversi campi del
pensiero e dell'azione, ohe spesso si cerca lontano
ciò che abbiamo vicino a noi, fors'auohe alla por-
tata delle nostre mani o dei nostri occhi. Si po-
trebbe soggiungere con molta verità, che per molti
secoli si è cercato in cielo il perchè delle cose
di questa terra, mentre si dovrebbe cercare in
terra i perchè del cielo. Mai questa affermazione
è tanto vera, quanto per la definizione del bello.
I filosofi son saliti sopra le nuvole per ricercare
le fonti e le ragioni dell'estetica, e tanto più hanno
sbagliato quanto più hanno scalato Y Olimpo. Se
invece modestamente si fossero guardati intorno
e avessero contemplato i fatti più semplici, le più
LE ESTASI ESTETICHE 131
oomuni afTermazioni estetiche, forse non avremmo
ancora in questo campo tanta nebbia e tanta me-
tafisica; due parole che sono sinonimi di una
stessa cosa.
Io mi ^ardo intorno e guardo lontano, guardo
indietro nelle tenebre più fitte del passato e mi
guardo davanti, cercando di leggere nei chiarori
del crepuscolo a venire, e mi domando : fra tanta
contraddizione nel definire il bello e neir asse-
gnargli il suo posto nel cervello e nella storia
dell'uomo, nel dettare le leggi che lo governano,
non vi è forse qualcosa, magari una sola, in cui
siamo tutti d'accordo? Non vi è un carattere co-
stante che non muti per mutar dì capricci , di
gusti o di scuole?
Sì: questa costante esiste ed è *il piacere che
procura il bello. Vi possono essere molti piaceri
senza che li accompagni l' elemento estetico , ma
non vi può essere cosa bella per noi senza che
essa ci procuri piacere.
Ma nella grande confusione che circonda le teo-
rie estetiche, vi sono altri elementi costanti. Il
bello è un fatto subiettivo, ed è una sensazione.
Una cosa sarà bella per tutti, ma se a noi non
piace, per noi non è bella. E d'altra parte il bello
non è mai tutta la sensazione , ma un elemento
di essa.
132 CAPITOLO XIV
Il piacere è lo scheletro, è il fondamento d'ogni
fatto estetico, e il cercatore o lo scopritore di ana
nuova forma di bello non paò riuscire a farla
adottare dall' universale che quando è giunto a
far sì che produca piacere in chi la contempla.
Nei casi incerti, come accade per un cibo o per
una bevanda che noi facciamo girare la lingua
esploratrice in alto, in basso, a diritta e a sini-
stra, studiando la nostra sensazione; così guar-
diamo e riguardiamo un quadro, una statua , un'o-
pera qualunque della natura o dell' arte e poi ,
crollando il capo diciamo : non finisce di piacermi,
ed è lo stesso che il dire: non finisce di sembrarmi
bello.
Il piacere è un massimo motore di fatti anima-
leschi e umani; e così come è una delle più fe-
conde sorgenti di piacere, è uno dei massimi mo-
diflcatori del mondo dei viventi. È questa la prova
più eloquente (e basterebbe da sola) che la teoria
darviniana è una delle interpretazioni più fedeli
dei fenomeni della natura e ohe ogni essere vivo
tende a perfezionarsi e a migliorarsi, seguendo la
IL BELLO 133
legge che il volgare tende al buono, il buono al
migliore, il migliore alPottimo.
Nel mio Bpicuro tenterò di dimostrarvi come il
bello non sia che il vero + ^^ ^^ è questa x cho
noi cerchiamo, che noi amiamo, che noi vogliamo,
e che è la incognita, dietro cui corrono tutti gli
artisti per averla, tutti i filosofi per spiegarla.
♦ *
Il bello è il più grande creatore del progresso :
si può anzi dire che la sua prima forza, la sua
prima virtù è quella di creare.
Se il bello dell'uomo innamora la donna e se
il beUo della donna innamora l'uomo, è per rav-
vicinarli, per fonderli insieme, onde dal loro san-
gue nasca una nuova creatura.
E il bello della natura, commovendoci profon-
damente, ci porta a riprodurre quella bellezza, a
creare cioè un' opera d' arte, che non è vitale se
non è figlia del bello. E le opere d'arte generano
alla lor volta nuovi figliuoli, cioè altre bellezze.
Anche nel campo della morale la bellezza del-
l'eroismo e d'altre grandi azioni ci innamora e ci
spinge a generare altre bellezze morali.
134 CAPITOLO XIV
E oosì nel campo del pensiero : davanti al prato
fiorito, alla foresta dalle mille braccia, il selvaggio
risponde a quelle bellezze con un canto sempli-
cissimo o con uno sgorbio di disegno: il poeta e
il pittore rispondono con un inno o un quadro
sublime; ma sempre e poi sempre il bello feconda
o crea bellezze nuove, aprendo nuove sorgenti di
piacere. Direi, che così come in amore né l'uomo
solo, né la donna sola, può generare un'altra crea-
tura; così il bello non è fecondo se non quando
è matrimonio legittimo di questi due elementi ,
la natura bella e un cervello umano capace di
comprenderla e di amarla. Più ardente , più in-
tenso è questo amore e più feconda è 1' unione
dei due elementi creatori dell'estetica e più bella
riesce la nuova creatura.
Il bello segue come angelo tutelare del pro-
gresso i passi dell' uomo dalla prima freccia a
selce al fucile Bemington; dalla capanna di fronde
al Partenone; dalla renna incisa colla pietra alla
coppa del Cellini. Appena compare il primo uomo
sulla superfìcie della terra, noi lo vediamo non
solo scegliere la femmina più bella , cogliere i
fiori più belli; ma lo vediamo ornare sé stesso e
i suoi istrumenti. Egli anzi si adorna prima di
vestirsi , si dipinge prima di coprire la propria
pelle colle vestimenta. Il lisciare le selci è un
L' ESTETICA 135
fatto estetico e si può dire senza esagerare ohe
l'epoca paleolitica e la neolitica (se pure esi-
stono) sono distinte tra di loro da un fatto che
appartiene al mondo del bello.
Una pentola ornata cuoce egualmente bene la
carne quanto una pentola rozza : un' ascia paleo-
litica uccide egualmente bene quanto un' ascia
neolitica; ma l'una è brutta e l'altra è bella. Ohe
cosa credesse, che cosa pensasse 1' uomo quater-
nario noi non sappiamo, ma della sua arte ci ha
lasciato le tracce, conservandoci l' immagine del
mammut, di un animale che oggi è spento.
Prima che l'uomo abbia una casa e un vestito,
egli sente il bisogno di abbellire sé stesso e ciò
che lo circonda, di riprodurre al difuori di sé le
mille immagini, che il mondo esterno va adden-
sando nel suo cervello.
* *
Dalle prime linee tracciate sulle pentole neo-
litiche ai quadri del Rafaello e del Tiziano, V e-
stetica accompagna ogni fatto umano. Letteratura,
industria, arte, morale: tutto riceve un riflesso
potente dalle energie estetiche di una razza, di
un popolo, di un tempo. E dinanzi alle opere della
136 CAPITOLO XIV
natura e a quelle dell' arte , e dinanzi alle crea-
zioni della musica, estetica delP orecchio, V uomo
si arresta, ammirando e godendo; e il piacere può
crescere a tanto da portarlo al rapimento, all' e-
stasi.
Meno rarissime eccezioni, abbiamo già veduto
limitarsi i rapimenti venuti per via dei sensi
agli estetici e ai musicali, che io metto in un- u-
nica famiglia. Per cui, quanto all'origine, io distin-
guerei tutte quante le estasi estetiche in:
1.^ Estasi perule bellezze della natura.
2.° Estasi per le bellezze dell'arte.
3.*^ Estasi per le bellezze musicali.
Ben di raro l'ammirazione delle cose belle può
portarci alle grandi estasi, ma assai spesso può
farci godere l' ebbrezza dei piccoli rapimenti.
Conviene nascere artista e per di più trovarsi
in uno stato di entusiasmo per essere rapiti in
estasi dalla contemplazione di una scena della
natura o di un' opera d' arte. Data l' anima di
artista e il momento psicologico dell'entusiasmo,
ognuno di noi è rapito in estasi solo da quelle
INCHIESTA ESTETICA 137
cose che più confanno alla nostra natura. Ogni
uomo sulla terra ha il proprio Dio nel cielo del-
Testetioa, per cui gli dei estetici son più nume-
rosi di quelli deirOlimpo braminico.
Io lo volli provare un giorno sperimentalmente
e ad otto dei miei scolari di Firenze domandai
quali fossero per essi le due cose più belle della
natura e dell'arte. Eccovi le otto risposte avute
da otto giovani, che oggi occupano tutti o quasi
tutti un posto distinto nelle lettere e nell'inse-
gnamento.
Milani di Verona. — Cielo stellato. — Campa-
nile di Giotto.
Menghini di Urbino. — Tramonto di sole in mare.
— Campanile di Giotto.
Corsi di Prato. — Tramonto di sole. - Musica
del Bellin .
Orarsi di Siniga^lia. — Cielo stellato. — Boma.
Straccali di Lucca. — Mare. — Musica del Do-
nizetti.
Lastrucci di Prato. — Un panorama dei monti.
— Il Davide del Michelangelo.
Lo»ì. — Un giorno di primavera. — Una bella
lirica.
Poli. — Secondo le circostanze nelle quali io
mi trovassi, direi or più bella una cosa, ed or
un' altra.
138 CAPITOLO XIV
* *
Se questa inchiesta estetica si facesse sa larga
scala in molte scade, in gruppi diversi di uomini
e di donne di diversa coltura, si potrebbero tro-
var leggi importantissime di psicologia. A noi
bastino i pochi giudizi per dimostrare la diversità
dei gusti estetici anche in persone della stessa
età, dello stesso paese e di un analogo grado di
coltura.
Il gusto per diverse forme del bello fa variare
l'oggetto della nostra ammirazione, ma non influi-
sce punto sulla frequenza e sul grado dell'estasi.
Perchè questa avvenga dobbiamo essere artisti e
trovarci in uno stato d'entusiasmo.
Che cosa sia un artista, tutti sappiamo e indo«
viniamo, anche quando non sapremmo tutti darne
una definizione scolastica; ma che cosa è l'entu-
siasmo ì
L' ENTUSIASMO 139
L' entusiasmo è una vivacità singolare di rea-
zione alle impressioni esterne, estetiche o affettive
o intellettuali; per cui noi rispondiamo ad esse
con impeto straordinario. Tutte le sorgenti della
gioia, tutti i fonti del vero, del bello, e del buono,
tutte le glorie e tutti gli affetti umani, possono
sollevare in noi queir impeto subitaneo , che ci
porta ad ammirare, ad amare , ad accenderci di
una vampa che ci riscalda, che ci trasporta in
alto; che ci inebbria senza vino e senza oppio.
Quando siete nella sala di una conferenza o di
un teatro o nella piazza dove il popolo è in festa,
guardatevi intomo, e voi vedrete quali uomini
sieno entusiasti, quali indifferenti.
Io rammento come quadri sublimi del mondo
morale i santi entusiasmi di mia madre per le
glorie della patria e per tutte le a-sioni nobili e
generose.
Bammento i santi entusiasmi per la scienza del
mio maestro Panizza il grande anatomico , e di
Claudio Bernard il grande fisiologo. Rammento
r entusiasmo del Brioschi quando mi parlava di
matematica, del Matteucci , quando mi esponeva
i suoi piani di riforma universitaria , di Aurelio
Saffi, quando mi parlava delle sue visioni asce-
tiche di un mondo migliore.
Qui dove sto scrivendo, nella mia cara Sere-
140 CAPITOLO XIV
nella , ho per vicino nn poeta latino , degno di
esser nato ai tempi di Orazio, e di esser nato ro-
mano, il capitano Petriccioli, che quando declama
Virgilio o il proprio stupendo Inno alla pace degno
in tutto deUa classica e aurea latinità, cade ad-
dirittura in estasi. Estasi musicale, estetica, intel-
lettuale, in una volta sola. Soldato voloroso in
guerra, ora Cincinnato nel campi, adora la poesia
latina come un amante, come una madre, e quando
recita i versi più sublimi del mantovano, eh' egli
ha tutti a memoria, alza il capo, e pare che la
fronte olimpica gli si apra più larga e più serena :
gli occhi scintillano e poi si smarriscono in un
rapimento a mezz'aria. Il sangue gli corre caldo
e prorompente nelle turgide vene, il petto si al-
larga, quasi volesse respirare tutte le ondulazioni
armoniche che il suo labbro Jancia nello spazio.
É un uomo felice, è un uomo in estasi....
* *
Beati tutti coloro che sono capaci di questi rapi-
menti, perchè non soltanto intrecciano nella stoffa
della vita fili d'oro, ma perchè l'entusiasmo delle
cose belle è difesa contro ogni bassezza, contro
L'UOMO IN ESTASI 141
Ogni scoraggiamento. Chi ha provato una volta
sola le sante ebbrezze dell'entusiasmo, mal si ap-
paga di quel pane quotidiano del mangiare , del
bere, del dormire e del mordicchiare il prossimo,
che forma l'alimento di quattro quinti dell'umana
famiglia. Chi ha bevuto il nettare, trova insipido
il vino e ohi assapora l'ambrosia degli Dei, non
può accontentarsi di tutte le bevande inebbrianti
con cui r uomo quaggiù si ubbriaca o dimentica.
Ve quaggiù qualcuno ch'io compiango più del-
l' affamato , più del miserabile e più del malato
ed è 1' uomo incapace d' entusiasmi. £2 questa la
miseria delle miserie, la sventura delle sventure,
e chi non prova l'ebbrezza dell'entusiasmo esiste
ma non vive; può essere un animale ma non è
un uomo. E quando in tutto un popolo gli entu-
siasmi tacciono, conviene tastar subito il polso a
queir umana famiglia, perchè essa è morta o sta
per morire. Lo scetticismo può essere brivido che
prepara una febbre di reazione, e uomini e popoli
possono e devono in certi momenti esser scettici;
ma guai se al freddo del brivido non tengan dietro
il caldo e il sudore della reazione. Uomini e po-
poli morranno nello stato algido di una febbre
senza reazione o saranno uccisi dalla gangrena.
142 CAPITOLO XIV
* *
Le estasi musicali, per quanto possono raggrui>-
parsi alla grande famiglia dei rapimenti estetici,
pure per la loro natura stanno a sé e vanno stu-
diate a parte. Quanto alle altre , hanno caratteri
Qomuni, sia che sieno suscitate dalle scene della
natura o dalle opere d'arte.
In ogni cosa bella, sia che abbia a cornice il
cielo o il mare o le quattro pareti d' un telaio ,
sia che poggi nelle viscere della terra o sullo
zoccolo d'un piedestallo, vi sono elementi comuni
che soddisfano i nostri bisogni estetici. In essa
voi potete trovare le delizie del colore, della fi-
gura, della forma, della simmetria; voi potete ineb-
briarvi delle ebbrezze dell' infinitamente piccolo,
dell' infinitamente grande, dell'intreccio e della
moltiplicità degli elementi, che impongono in una
volta sola l'ammirazione e l'amore.
Pittura, scultura, architettura, poesiat, possono
tutte aprirci il paradiso del bello socchiuso e
adombrato o farci entrare nel tempio del bello
sfolgorante e perfetto, e così l'uomo, le piante, i
monti, il piano, il mare, il cielo possono a volta a
ESTASI ESTETICHE 143
volta deliziarci delle minate e fiiie bellezze del
cesello o inebbriarci di colori e di visioni gigan-
tesche e tuffarci nell'oceano delle bellezze che non
hanno confini, perchè sono infinite e trascendono
la povera portata dei nostri sensi! E così in un
libro voi potete godervi in una volta sola la mi-
rabile armonia delle proporzioni, la leggiadria
dello stile, il nerbo del pensiero.
Il bello è bello e divino, appunto perchè, spro-
fondando le radici nei più profondi tessuti del-
l' anima , innalza e distende i suoi rami e le sue
frondi fin dove ala di pensiero può giungere; e nes-
suno ha mai x)otuto sapere l'ultima frontiera a cui
possa giunger una cosa bella , né 1' altezza che
possa toccare V estetica. Il bello è il superlativo
di tutti i superlativi della sensazione, dell'affetto
e del pensiero.
* *
Sterile e vana fatica il misurare quale sia più
alta delle due estasi, quella a cui ci solleva la
contemplazione delle meraviglie della natura o
l' altra a cui ci innalza l' ammirazione dei mira-
coli dell'arte. Per amore del vero dobbiamo però
144 CAPITOLO XIV
confessare che la seconda estasi è inclusa nella
prima, di cui essa è una derivazione, fors' anche
una figlia.
Noi ammiriamo il cielo e il mare, il sole e la
terra perchè siamo creature di questo mondo ; noi
ammiriamo le opere d' arte, perchè sono opere
umane e noi siamo uomini. Davanti alla natura
sentiamo la fratellanza cosmica, davanti all'arte
sentiamo la più calda, benché più ristretta, paren-
tela umana. Il cielo è la vòlta della casa di tutti
i viventi ; la cupola del Brunellesco è la vòlta di
una casa fatta per un Dio degli uomini e innalzata
da un altro uomo fatto come noi. Là noi ci sprofon-
diamo nella coscienza dell'universo, qui ci rispec-
chiamo nella coscienza umana. Là l' orgoglio è
cosmico, qui la superbia è umana; quella è una
bellezza più grande, questa è una bellezza più
vicina a noi.
Su queir immensa scena, dove gli astri cammi-
nano senza urtarsi, e le stelle brillano da milioni
di secoli, l'umana famiglia non lascia traccie della
sua ammirazione, e le nostre braccia, benché si in-
nalzino al sole, non lo raggiungeranno mai. Su
quell'orologio, dove i secondi sono migliaia di se-
coli, il palpito di una generazione non è segnato
e l'estasi nostra trascende e si perde nell'infinito.
Sulle altre tele dipinte dai nostri pittori e
ESTASI ESTETICHE 145
dai nostri poeti le nostre mani possono appoggiare
le loro carezze; alla vòlta azzurra non giunge
bacio umano, mentre le nostre labbra posano in-
namorate sulle pagine dei nostri libri e sui marmi
delle nostre statue. Qui il divino diventa umano
e l'affetto che prima era impotente, può nelle opere
d'arte riscaldarsi e cercare, se nell'immagine della
natura fatta dall'uomo il ritratto non sia defor-
mato o calunniato.
Nessuna di queste estasi è prima, nessuna è
seconda. Bagniamoci ogni giorno nell'onda carez-
zevole e fresca del lago e del fiume, ma di quando
in quando rimontiamo la valle profonda e ricer-
chiamo il ghiacciaio, che prepara le gocciole del
lago e del fiume. Le bellezze dell' arte sieno il
pane quotidiano delle nostre gioie estetiche, ma ri-
montiamo spesso alle sorgenti prime ; al monte che
domina il piano e alla nuvola che alimenta il
ghiacciaio.
Eiposiamo fra le erbe del prato, di cui sentiamo
i moUi profumi, ma teniam alto lo sguardo a quel-
sole, che così grande e così lontano colorisce però
Estasi umane. — II. 10
146 CAPITOLO SXV
Ogni filo d'erba, ogni corolla di fiori, ogni buccia
di frutto. Senza ingiuste preferenze abbracciamo
in un gagliardo amplesso le bellezze dell'infinita-
mente grande, senza dimenticare quelle del mi-
crocosmo. Natura e arte: la prima madre della
seconda , la seconda figlia innamorata di tanta
madre.
Capitolo XV.
LE ESTASI DELLA NATURA.
Le estasi del mare. — Terra e mare. — La terra sola.
La estasi dell'uomo dinanzi al cielo.
Nel mio Epicuro forse potrò con voi fermarmi
lungamente dinanzi alle grandi scene della na-
tura, percorrendo a volo le grandi pianure, ascen-
dendo i colli e i monti, sprofondandoci nelle valli
o sedendoci sulle spiaggie dei mari e sulle sponde
dei fìumi. Quel libro (se al pensiero saprà ri-
spondere l'opera) sarà un lungo viaggio nel mondo
delle cose belle. Qui io debbo accontentarmi di
tracciare o abbozzare in due capitoli i rapimenti
prodotti in noi dalla contemplazione delle grandi
scene della natura e gli altri che proviamo di-
nanzi ai fiori.
Il mare e il cielo hanno più d' ogni altra bel-
lezza della natura inebbriati gli uomini d' ogni
tempo, perchè sono infiniti, benché inegualmente.
150 CAPITOLO XV
Essi hanno attratto a sé, afifasoinato gli occhi degli
uomini e la letteratara d'ogni tempo ha tesori di
inni e di osanna a quei due campi smisurati di
luce azzurra, ohe si distendono ai nostri piedi e
sul nostro capo. In uno dei tanti volumi che non
sono ancora scritti, noi vorremmo trovare la psico-
logia comparata di tutti i popoli della terra stu-
diata nei gridi di ammirazione, che ha suscitato
negli uomini d'ogni colore il sentimento della na-
tura.
Mille e mille poeti hanno cantato il mare e il
cielo, e per quanto alato fosse il loro genio e po-
tente la loro tavolozza, hanno tutti modestamente
confessato la loro impotenza. Molti e molti altri,
più modesti o piti deboli, hanno gettato via la
penna e rotto il pennello, confessando la loro
impotenza. Se Fumana famiglia vivesse un milione
di secoli, ogni generazione ricanterebbe lo stesso
inno, deplorerebbe la stessa impotenza.
E come non sentirci impotenti, dinanzi a quella
distesa di acque azzurre, noi povere formicole
umane, sedute sopra uno scoglio o sull'arena che fa
cornice alla madre della terra I E come non sentire
LE ESTASI DEL MAEE 151
la debolezza dei nostri sospiri dinanzi a quella voce
d'un gigante, come non sentirci caduchi davanti
a quell' etema giovinezza, a quell' infinita instan*
cabilità di movimenti; come non sentire povera
e vana la nostra vita di un giorno dinanzi a quel
liquido abisso da cui sono uscite tutte le creature
della terra? Le nostre braccia si aprono, si di-
stendono larghe e innamorate davanti al mare,
ma nulla possono stringere; i nostri occhi si spro-
fondono laggiù agli estremi confini dell'orizzonte
ove il cielo, che solo ha diritto di abbracciare il
mare, suo etemo amante, si curva, si piega, lo
tocca e con lui si confonde; là lontano fra le
nebbie dell'indistinto e dell'invisibile, arrestando
l'orgoglio degli sguardi dell'uomo.
Su quel lembo salato dove finisce la terra e
l' onda incomincia , bambini e vecchi , selvaggi e
uomini di scienza, pensatori e oziosi si arrestano
tutti incatenati da un fascino misterioso e irre-
sistibile. Dietro a noi si distende la terra che è
nostra , che pestiamo coi nostri piedi , che tor-
mentiamo colle nostre mani; quella terra con cui
impastiamo le pareti delle nostre case, o rizziamo
le statue ai nostri eroi. Ma sull' ultima frontiera
del campo umano segnato dai nostri pilastrini e
dove la proprietà segna le sue carte geografiche e
topografiche si distende infinito quell'altro campo
152 CAPITOLO XV
azzurro, che non accetta pilastrini , né frontiere,
né paline di ingegnere. Quell'oncia liquida e sem-
pre in moto ha assegnato a sé stessa e di per
sé sola i propri confini e son quelli di tutto il
pianeta. Quell'onda non accetta solchi dì aratro,
né fondamenta di mura e in un impeto di collera
sommerge gli audaci che osano conquistarla. Tol-
lera il cavaliere, <|uando sonnecchia o dorme : lo
getta d'arcione in un minuto, come indomito de-
striero; la sella sia pure la piroga del selvaggio
o la caravella di Colombo, il Duilio o V Italia. Il
mare é il padrone unico e assoluto dì tutta la
terra e di tutte le creature che la popolano. In-
vano la prima le invia il tributo di tutti i monti,
di tutti i colli, dì tutti i piani ; invano le creature
lanciano nel suo seno le spoglie dei loro morti.
Accetta il tributo , accoglie V olocausto , ma sep-
pellisce l' uno e V altro nel fondo dei suoi abissi
e più non se ne cura. Come il fango di tutti i
fiumi, come gli escrementi dì tutti gli uomini non
valgono a insudiciarlo , così i tributi di tutta la
terra non valgono a sedurlo o a farlo nostro. Ci
tollera, ci disprezza, ci lascia solcare l'epidermide
della sua pelle; ma non serba orma di piede
umano, né dì palle di cannone, né di elica ferrea.
L' uomo non ha potuto scrivere una sola parola
sopra una pagina di quel libro.
LE ESTASI DEL MAEE 153
* ♦
Il mare ci affascina per la sua smisarata gran-
dezza, ci conqaista per quella sua mobilità inces-
sante, ohe lo fa più vivo d'ogni altra cosa viva.
L'uomo dorme, dorme Tanimale, dormon le piante;
pei nostri occhi dorme anche il sole; ma il mare
non dorme mai. Nessun uomo l' ha mai veduto
fermo per un solo atomo di tempo.
Il mare è il movimento stesso in tutte le sue
forme, è il moto perpetuo, è il Dio dei movi-
menti.
Quando sembra stanco o in pace colla terra,
l'accarezza col pelo più fino delle sue onde e pal-
pita incessante con quel suo polso intermittente
di sei in sei ore, che sembra il ritmo della circo-
lazione del nostro pianeta. Ma anche quelle ca-
rezze mute durano ben poco, e più spesso divengono
percossa, urto, rovina. La terra che osa toccare
il mare è stracciata a lembi, o ridotta in polvere;
è dilaniata o spaccata, sempre tormentata da un
amante, che non posa mai coi suoi baci e i suoi
rabbuffi. E la terra si lascia baciare o lacerare
secondo i capricci del suo eterno tiranno.
154 CAPITOLO XV
Chi potrà ridire tutte le voci del mare , ohe
vanno dal sospiro oarezzevole dì una dichiara-
zione d' amore al singhiozzo cupo e profondo dì
un morente; che toccano tutte le note, che riper-
cuotono tutti gli urli della collera, tutti gli schianti
della passione, tutti i fremiti, tutti i sussulti, tutte
le lacerazioni della vita?
Le creature della terra hanno imparato dal mare
tutte le tenerezze della loro voce, tutte le loro
bestemmie, tutti i loro sorrisi e tutti i loro pianti.
Il mare è il maestro universale dei viventi.
Il mare sospira, fischia, geme, urla, singhiozza,
sbraita, canta; ha tutte le voci di tutti gli stru-
menti umani, di tutte le laringi degli animali, di
tutti i venti , di tutte le meteore. Quando parla,
conosce tutte le lingue e tutte le traduce in un
apocalisse misteriosa, proteiforme e a noi inintel-
ligibile. Parla colla terra, e parla col cielo, parla
nei suoi cupi abissi coi suoi abitanti e colle navi
che osan solcarlo; sa abbassare la voce per parlare
a un insetto e sa far tacere i fulmini e le meteore.
LE ESTASI DEL MARE 165
Se il mare ha tutti i movimenti infiniti della
materi i liquida, se ha tutte le voci della vita, as-
sorbe tutti i colori del cielo e della terra e li
fonde nell'azzurro delle sue onde, che sdegna sol-
tanto le tinte sudicie e volgari.
È sempre azzurro , quand' è di buon umore , e
quando sorride al cielo ohe lo guarda, ma non
sdegna di divenir verde , di farsi rosso , violetto,
iridiscente; quando è di malumore o annoiato si
fa plumbeo, anche livido.
Qual corona di re, qual scrigno di principessa
può rivaleggiare nei suoi fulgori coi diamanti, i
zaffiri e gli smeraldi del mare! Quale amatista
può superare il violetto di certe onde, qual ru-
bino può eguagliare il fondo di certi mari tropi-
cali ? — Qual lampeggiare di antica corazza d'ac-
ciaio può superare il mare increspato da piccola
brezza? I più grandi coloristi della tavolozza
hanno cento volte buttato dalla finestra i loro
pennelli, e le loro tinte, scoraggiati della loro
impotenza; e i pittori veri e buoni di marine si
contano sulle dita. Chi mai può dipingere il pro-
teo dei colori, il proteo dei movimenti?
156 CAPITOLO XV
Il mare ha saputo concentrare in sé gli splen-
dori di tutti i metalli, le adamantine trasparenze
di tutte le gemme, tutte le profondità deirazzurro
del cielo , tutte le seduzioni delle mezze tinte e
dei colori cangianti. Il mare è l'eterna miniera da
cui prendono pietre , animali e piante i loro co-
lori, è un mostro gigante che dipinge sulla sua
pelle mobilissima con tutti i colori delFuniverso le
proprie emozioni, i brividi di gioia come i sussulti
della collera, le vampe dell'amore e i pallori del-
l'odio.
Infinità di tinte, instancabilità di movimenti, in-
finità d'orizzonti, specchio della terra e del cielo ;
il mare riunisce in un sol quadro tante ricchezze
estetiche, da scuotere l' idiota , da istupidire il
poeta. L'inno d' ammirazione dinanzi al mare in-
comincia sempre col silenzio o con un grido senza
parola, che è somma di troppe sensazioni per
potersi tradurre a cifre o a vocaboli. E in fondo
a queir estasi vi è sempre la melanconia , che ci
fanno sentire le cose per noi troppo grandi e
troppo belle.
LE ESTASI DEL MARE 157
Che cosa può dare il povero e caduco figlio
d'Adamo al mare in cambio di tante bellezze, che
cosa può restituire in cambio di tanti tesori? Un
sospiro o un grido di ammirazione; sospiro ste-
rile; grido che si disperde nel vuoto infinito di
quelVabisso profondo, che tutto inghiotte e nulla
restituisce di quanto ha ingoiato !
E il mistero ravvolge tutte quelle grandezze,
tutte quelle bellezze, rendendole ancor più grandi,
ancor più belle.
LA. in fondo nel caos di quelle nuvole, nel limbo
di quelle nebbie , dove comincia il cielo, dove fi-
nisce Tonda?
Quel punto scuro laggiù nelle tenebre è una
nave, o uno scoglio; e quella linea vaga e ondu-
lata è terra o nuvola; è allucinazione dei nostri
occhi o sogno della nostra fantasia?
E giù nel profondo , fin dove V acqua si di-
stende ad abbracciare la terra, quali strane e mo-
struose creature popolano quell'abisso ? e qual ci-
mitero di morti e qual sepoltura di uomini e
di navi, di ci-ncore arrugginite e di tesori sommersi
158 CAPITOLO XV
si cela in quelle viscere senza pietà e senza fondo?
Quali correnti celate rimescolano quell' infinito
liquido, quale misteriosa alchimia di composizioni
e di scomposizioni organiche prepara nuovi con-
tinenti, nuovi mondi per creature non nate! Quanta
storia del mondo e quanti annali umani si celano
in quelli oscuri palinsesti? Quante balene e quanti
infusorii, quante alghe più gentili di un merletto
di Bruxelles, e quali alghe più gigantesche del
campanile di Giotto, offrono ombra e alimento
agli abitatori pelagici! Quante domande rizzano
il capo fuor dall' onda misteriosa e poi si som-
mergono, solleticando la nostra irrequieta curio-
sità, senza appagarla mai ! Quanta vita e quanta
morte si nascondono in quell'onda sempre liquida,
sempre in moto, sempre azzurra !
* *
Il mare è il mistero dei misteri; organismo, per-
chè vive e respira e genera; abisso di distruzione,
perchè tutto divora e trasforma e discioglie; mo-
stro senza forma e con confini smisurati, cata-
clisma e fenomeno, materia e spirito, specchio che
riflette ogni cosa e forza che tutto polverizza; una
LE ESTASI DEL MABE 159
immensità tangibile ma non conquistabile ; il tutto
nel nulla e il nulla nel tutto; qualcosa di fatale,
di divino, di smisurato, dinanzi a cui cadono in-
franti i nostri più superbi desiderii, le nostre più
folli ambizioni; qualcosa che ci assorbe, che ci
confonde, che ci annienta: una creatura bella che
non si lascia accarezzare , una cosa grande che
non si può abbracciare; che ride sola, che piange
sola, che riposa e si agita senza nostro consenso ;
che non placano le nostre preghiere, che non se-
ducono le nostre adulazioni, che non conquistano
i nostri più ardenti amori!
Come non provare il fascino del rapimento,
come non sprofondarci nell'estasi dell'infinito, come
non sentire tutta la nostra piccolezza davanti a
quell'azzurro infinito; e come non stancarci mai in
quell' ammirazione e come non innamorarci di
quella sfinge, ohe ci attrae colla magia della gran-
dezza e del mistero I
* *
Il mare è padre della terra ed io amo vederlo,
quando è vicino alla sua figliuola.
È là ch'egli è più bello, è là che due delle più
160 CAPITOLO XV
grandi scene della natura si avvicinano, si toc-
cano, formando un quadro solo di trascendente
grandezza.
Il mare è divino, la terra è infinitamente bella,
ma devono essere unite insieme per dare le scene
più incantevoli della natura. E se il sole non ir-
radia entrambi e porta sui suoi fasci d'oro le ca-
rezze del mare alla terra , 1' estasi si raggiunge
raramente. Così V uomo può essere Ercole od A-
poUo, la donna può chiamarsi Cleopatra o Frine,
ma se non si danno la mano , non si ha V uomO'
aìigelo e solo quando l'amore li riscalda e li illu-
mina abbiamo Vuomo-dio,
Anche la terra sola, senz'onda di mare, senza
specchio di lago e senza corrente di fiumi ci pre-
senta quadri così ricchi di colori e così svariati
da innamorarci e da portarci all'estasi. Assai ra-
ramente però, dacché mancano ad essi gli oriz-
zonti infiniti.
Darjeeling nel Sikkim, il panorama del Bighi,
Kio de Janeiro sono le tre scene più grandiose
della natura che io ho veduto nei miei lunghi
TBERA E MARE 161
viaggi; ma solo aUa prima manca del tatto la
bellezza dell'acqua, che raddoppia o meglio cen-
tuplica le bellezze della terra. É però anche vero
che Darjeeling è creduto da parecchi grandi viag-
giatori il punto più bello del nostro pianeta.
Nel mio Dpicuro tenterò di fare uno studio com-
parativo di tutti i paesaggi del nostro pianeta, e
forse allora, percorrendo quella lunga galleria, ve-
dremo quali rare scene del mondo terrestre pos-
sano portarci all'estasi.
In generale però, e bellezze della terra sono
troppo vicine a noi , V occhio è troppo occupato
ad ammirarne i particolari per poter rapirci nel-
l'estasi di un'unica sensazione potente e al tempo
stesso indefinita; condizione prima fra tutte per
poter raggiungere il rapimento estetico. Un cesello,
anche del CeUini, non può darci l'estasi; mentre
ce la dà facilmente la Trasfigurazione del Eafaello.
*
* *
Insieme al mare, e forse prima del mare, la scena
della natura, che più facilmente ci può rapire in
estasi, è il cielo; e più spesso assai il cielo not-
turno.
Di giorno il cielo ci abbaglia , e 1' azzurro ce-
Estasi umane, — II. 11
162 CAPITOLO XV
leste, per quanto bello, per quanto nei paesi be-
nedetti d' Italia y di Grecia e del tropico abbia
tali fulgori dorati da rammentarmi sempre il la-
pislazzuli tempestato di polvere di pirite , ci in-
namora, ma non ci dà l'estasi. La terra e le sue
creature alla luce del giorno riflettono con troppe
tinte le ricchezze del sole, e occupano e preoc-
cupano troppo le nostre energie estetiche. Il giorno
segna le ore del lavoro, mentre la notte apre le
porte della fantasia e dei sogni.
Il sole è spento, la terra ravvolta nel suo man-
tello notturno cela le sue membra agli occhi di
tutti, le creature dormono quasi tutte o non si
parlano che air orecchio. Perfino il mare si rac-
coglie e nasconde le sue tiate smaglianti.
É allora che il cielo ci parla col silenzio dei
suoi spazii infiniti, coUo scintillio dei suoi milioni
di stelle e colla luce melanconica e fredda della
luna.
Il cielo stellato è la scena più muta e più elo-
quente della natura ; muta perchè senza suono al-
cuno ; eloquente perchè ci parla con miriadi di
ESTASI DINANZI AL CIELO 163
astri, cogli incanti di un ignoto ben pia oscuro
e profondo degli abissi del mare. Per chi ab-
braccia quella vòlta azzurra il mare diventa una
gocciola d'acqua , che bagna un polviscolo per-
duto negli spazi infiniti del cielo e V uomo di*
venta nuU'altro che un atomo pensante a cui con-
vergono i raggi di milioni e milioni di astri.
Il cielo ha parlato a tutti gli uomini della terra
e in quella vòlta azzurra si incontrano gli occhi
del selvaggio estatico coi telescopii degli astro-
nomi indagatori. £ là che la fede ha piantato il
paradiso, è là che la scienza ha misurato i con-
fini del mondo visibile e dettato le leggi di gra-
vitazione alle stelle e ai pianeti; è là che la poe-
sia ha tentato i suoi voli più audaci, battendo le
ali al disopra delle meteore della terra. È nel cielo
che si sono incontrate le cosmogonie dell'astro-
nomo, gli olimpi della mitologia, i sistemi della
filosofia, le liriche del poeta. É là in quell'infinito,
che non raggiungono i pili acuti telescopi!, che le
estasi del sentimento e del pensiero aleggiano su-
blimi e si incontrano; è là che salgono tutti i do-
lori degli infelici e i sospiri dei troppo felici, la
malinconia di chi ha nulla e la malinconia di chi
ha troppo.
Tutti gli uomini in quel caos senza confini, in
quell'abisso dell'alto cercano o sperano di trovare
164 CAPITOLO XV
qualche cosa, nn sogno o un premio, una fede o
una speranza, un conforto o una rassegnazione.
Sopra un solo di quei punti lucenti riposando il
nostro occhio estatico, noi siamo certi di incon-
trare gli sguardi di altri mille e mille uomini, che
da cento punti lontani del pianeta guardano lo
stesso astro e sperano le stesse speranze e sospi-
rano gli stessi sospiri.
Dal fanciullo, che vede fra quella polvere d'a-
stri il paradiso popolato d' angioli che mangiano
con lui il pane d'oro, al filosofo che esclama: che
cosa sono mai i dolori miei e quelli di tutta l'u-
manità in confronto della vita cosmica che lassù
alita e freme in milioni e milioni di mondi ; tutti
trovano lassù guardando una gioia ingenua o un
conforto alla disperazione.
Dinanzi a quelle schiere infinite di mondi, dove
i nostri numeri appaiono tanto impotenti a misu-
rare , non v' ha orgoglio che rimanga ritto , non
v'ha disuguaglianza che non scompaia, non v'ha
genio che non si umilii. Dinanzi all' elefante le
formicole son tutte egualmente piccine; davanti
a mondi che impiegano milioni di secoli per na-
scere e per morire , Matusalemme e 1' effimera si
danno la mano; dinanzi alla misura dei soli e
delle comete, bacterii e vellingtonie diventan fra-
telli e d'una stessa statura.
ESTASI DINANZI AL CIELO 165
Il cielo è r abisso degli abissi ; abisso per la
contemplazione, abisso per la meditazione, abisso
per i misteri infiniti che racchiude nei suoi ster-
minati orizzonti.
L'uomo si è sprofondato colle sue miniere molto
addentro nelle viscere della terra, ha toccato il
fondo dei mari più profondi, e spera in un giorno
non lontano di solcare colle ali dei suoi aerostati
la buccia d'aria che circonda la sua terra. Potrà
for>' anche .un giorno mettersi in relazione cogli
abitanti degli altri pianeti. Ma e poi quante brac-
cia avrà allora conquistato di quel cielo, che mi-
sura le proprie distanze a unità di milioni?
Il cielo è l'immagine palpabile dell'infinito pen-
sabile e dell'impotenza nostra a varcarne i confini.
Al di là dei pianeti, il nostro sole; ma al di là di
quel sole altri e innumerevoli soli più lontani e
maggiori, che son forse pianeti di altri centri gran-
dissimi; ma poi al di là di quei soli, di quelle
comete, al di là di quei trascendenti deserti senza
calore e senza luce, ohe cosa è ancora di visibile
e di palpabile?
Il nulla , che non esiste , l' infinito che non è
166 CAPITOLO XV
pensabile. — L' orgoglio umano , sorretto dalla
scienza o dalla fontasia è giunto fin là , ha pic-
chiato la fronte superba contro le colonne d'Er-
cole del pensabile; ma poi, e poi? £) caduto e si
è dato vinto. Una voce più potente venuta dal-
Talto gli ha gridato : nec plus ultra !
Tutto questo pensa o presume o sospetta chi
guarda in cielo, e rocchio stanco ma non saziato,
dopo di aver corso di pianeta in pianeta, di stella
in stella, dopo essersi smarrito nel labirinto pol-
veroso della via lattea, chiude le palpebre e ci fa
cadere in estasi. Estasi che è estetica, ma anche
intellettuale e forse spesso anche del sentimento.
E chi mai sa e può far 1' analisi di quel nostro
aleggiare confuso sugli estremi confini del mondo
pensabile ?
Il cielo è fra tutte le scene della natura quello
che più spesso ci rapisce in estasi, e possiamo
anche aggiungere, che tutte le altre estasi si diri-
gono al cielo, quasi l'ultima frontiera dove giunge
il pellegrino umano, sia che cammini col bastone
della scienza, sia che voli colle ali della fantasia
o della fede, o si trasporti colla locomotiva del
sentimento.
Il cielo, l'ultima Tuie del pensiero e dell'occhio,
l' ultima Tuie della speranza e della fede ; limite
di tutte le estasi, frontiera del mondo umano!
Capitolo XVI.
Le estasi prodotte dai fiori. - Linneo e la C^ilypso borealts.
— Le piccole estasi dei botanici e deUe nature molto sensi-
biU dinanzi ai fiori. — Una corsa estetica nel campo dei fion.
— Aleardi, Boito e l'autore. - Culto universale pei fion. -
Fascino multiforme. - Forme , colori , combinazioni infimte
deUe loro bellezze. - Un quadro di fiori in Norvegia. - sm
Rio Gualeguaychù. — Alla Frontera de Salta.
Il fermarsi sopra tutte le minute bellezze della
natura , che possono produrre una piccola estasi,
mi obbligherebbe ad una corsa vertiginosa in tutti
i campi del cielo, della terra e del mare, o a scri-
vere un'enciclopedia di volumi, a cui non baste-
rebbe la vita dell'uomo più operoso e più longevo.
Quasi a saggio di ciò che si potrebbe fare, mi
accontento modestamente di invitarvi ad una con-
templazione estetica dei fiori, che tra le creature
vive ci offrono materia quotidiana di rapimenti e
di ammirazione. I fiori concentrano in sì piccolo
spazio tante energie della vita e tante combina-
zioni estetiche da fermare lungamente il nostro
occhio e da riempirci di ineffabile voluttà. Bam-
bini e vecchi, uomini di genio ed uomini del volgo ;
non possono vedere un bel fiore senza sentirne
una piacevole emozione, che in taluni casi può
giungere fino al rapimento.
170 CAPITOLO XVI
Linneo, ohe riuniva sotto la buccia di un sol
uomo, il genio d'un sommo osservatore e la sen-
sibilità di un grande poeta, quando nel suo viaggio
in Lapponia, ebbe scoperto per la prima volta la
Calypso borealis, che aveva incontrato in fiore, si
inginocchiò dinanzi a quella bellissima orchidea,
che sembra concentrare in sé tutte le energie del
mondo vegetale della zona polare; e rapito in
estasi, ringraziò Dio, che aveva saputo fare una
così bella creatura.
Ho veduto parecchie volte fanciulle e donne
estasiarsi dinanzi ad un gran mazzo o ad un ca-
nestro di fiori, e brancicarli e aeeareaaarli e ba-
ciarli, rapite da una vera estasi di ammirazione.
Quando alla bellezza dei fiori si unisce anche il
profumo, la donna può esser presa da brividi di
voluttà e impallidire; come ho veduto accadere
in una giovane americana, ad ogni volta che te-
neva fra le mani e odorava una magnolia. In que-
sti casi però l'estasi è spesso complicata dagli ef-
fetti del profumo e il fiore è la causa occasionale,
che chiama a raccolta tutte le energie dormienti
di un cuore innamorato o di un cuore che ha
grande bisogno di amare.
Se la donna si trova in uno stato di sommo
nervosismo o se è addirittura isterica, può anche
piangere, ammirando i fiori; e se noi potessimo
ESTASI PRODOTTE DAI FIORI 171
esser testimoni di tatti i segreti atti di idola-
tria di una fanciulla esaltata dinanzi ai fiori, ve-
dremmo scene incredibili ; in cui piacere e dolore,
adorazione e tenerezza, sensualità e poesia si al-
ternano, si intrecciano e si confondono.
Più estetiche, pia intellettuali sono le adora-
zioni dei botanici pei fiori. In questo caso e' è
meno nervi e più pensiero, ma la voluttà può es-
sere non minore e Testasi non infrequente.
Il botanico non ama i fiori, soltanto perchè son
belli o rari, ma perchè son figliuoli suoi, lunga-
mente cercati e lungamente amati. Ogni pianta ha
per lui una lunga storia di desiderii, di speranze
ed anche talvolta di disinganni; storia piena di
aneddoti e di reminiscenze. Chi ha veduto una
sol volta un botanico appassidnato cavar fuori
dal vascolo il bottino d'un» lunga e affaticata escur-
sione, ha potuto ammirare il quadro! di una
completa felicità. Oh ohe bell'esemplare di Peonia
coBALLriHA I Di certo è il più bello fra quanti fu-
vano raccolti fin qui ! E il beato mortale ne monda
le radici della terra, ne toglie le foglioline rosic-
chiate dagli insetti q bruciate dal sole e le di-
stende fra due morbidi cuscinetti di carta, e ne
dispone i rami, i fiori, le foglie nel modo piti ar-
tistico; e prima di consacrarlo alla vita più o meno
immortale di un erbario, lo contempla ancora e lo
172 CAPITOLO XVI
accarezza e lo salata. Oh quanto è bello! Peccato
che si debba far disseccare e sol per questa via
crudele si possa conservare.
S'io avessi due vite, avrei dedicato la prima allo
studio dell'uomo, l'altra a quella dei fiorì; perchè
nel mondo del bello dopo la donna non vi ha una
cosa più bella del fiore.
Un giorno, or son pochi «inni, Firenze festeg-
giava il centenario del suo divino Michelangelo,
e nelle sale dell' Accademia si vedevan raccolte
le opere di quel genio titanico. Aleardi dinanzi
ad una statua disputava col più acuto dei critici
d'arte che abbia il nostro paese, e si incalorivano
e si accendevano, per decidere, se certe piega-
ture di articolazioni e certe contrazioni di mu-
scoli accennassero alla maniera del Donatello, o
a quella del Bonarroti. Io in disparte ascoltava
e taceva, quand'eoco quei due maestri d'estetica,
ravvisandomi, vengono a me come di scatto e mi
erigono a giudice della contesa. Io, non so se
per sfuggire maliziosamente al difficile giudizio
o per ripetere quel grido, che mi prorompe dal-
ESTASI PRODOTTE DAI FIOBI 173
ranima ogni volta ch'io vedo Tuomo troppo superbo
delle opere sue, esclamai: Sapete, miei cari, una
rosa è più bella che tutte le opere di Micìielangelo,.,,
D poeta e V artista fuggirono da me inorriditi e
crollando il capo in aria di sovrano compati-
mento. Essi in quel momento mi mettevano in
fascio col chimico Davis, che dopo aver percorso
di. galoppo tutte le sale del Louvre, dove stavano
addensati in così piccolo spazio tanti miracoli
d'arte, si fermava dinanzi a una statua, dicendo :
Oh che stupendo pezzo di carbonato calcarei
Eppure dopo parecchi anni io so io ancora dello
stesso avviso , e non solo dinanzi ai marmi ci-
clopici del Bonarroti, ma anche davanti alle tele
del Rafiiello e di Correggio, anche dinanzi a
Santa Maria del Fiore , e al Palazzo ducale di
Venezia, ripeto sempre, che tutte quante le opere
più alte e più sudate dell'ingegno umano- non
sono che pallide ombre della luce vivissima della
natura; non sono che confusi riflessi di quelle in-
finite, di quelle svariate bellezze, che la natura
evoca ogni giorno dalle profonde viscere di sé
stessa.
Il più grande degli artisti non è che un fe-
dele imitatore, e anche là dove idealizza, anche
là dove dice e crede di creare, non fa che scegliere
dal bello naturale il bellissimo, aggiungendo di
174 CAPITOLO XVI
SUO r elezione e segnando con confusa aspira-
zione il prolungarsi e V elevarsi del vero verso
regio lì più lontane e più alte, E anche quando
l'arte, o per troppa stanchezza o per nuovi capricci,
sbaglia la via, e cambia la grazia in lezio, la bel-
lezza in petulanza , il grande in grottesco, e il co-
mico in caricatura; si sente gridar da tutti: Tor-
nate alV antico , che non vuol sicuramente dire ,
come con calda parola proclamava il mio grande
amico Massarani, tornate indietro , ma tornate a
tutto quello che ricrea, che eleva, che raggenti-
IL'^ce, che educa l'anima umana. E quel grido per
me significa tornate agli antichi, perchè questi
attinsero alle pure e vergini sorgenti della natura
le loro aspirazioni e non confusero mai il vero
col brutto. Per me, tornate alV antico, significa
questo e null'altro che questo: tornate alia natura.
Ed io ripeto anche oggi: la rosa è più bella
del Davide e del Mosè di Michelangelo. Il fiore
è una delle più stupende, delle più fine, delle più
svariate espressioni delle energie della natura, il
fiore è dopo la donna la più bella creatura di que-
sto nostro pianeta. La donna prima e sovrana
nel mondo delle creature a sangue rosso e a
pelle calda; il fiore la più bella e la più gentile
delle creature nel mondo dei muti organismi, che
bevono pura la luce del sole e la trasformano
LA DONNA E IL FIORE 175
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nelle stoffe policrome dei loro vestiti; donna e
fiore, inoanto sempiterno della nostra vita e Dei
sovrani nell' olimpo dell' estetica , degni V uno e
l'altra di abbracciarsi, di amarsi, di intrecciare le
loro grazie, le loro spire voluttuose, i loro pro-
fumi , in un' unica armonia estetica , che ci com-
muove, che ci inebbria, che ci fa benedire la vita.
E questa non è poesia ma scienza, o se vo-
lete l'una e 1' altra insieme. In apparenza all' oc-
chio del volgare e affi[*ettato osservatore nulla di
più diverso di queste due creature; in realtà nulla
di più simile a chi approfondi lo scalpello nella
natura delle cose. Sto per dire , che uno studio
comparato attinto alle fonti della psicologia po-
sitiva troverebbe in questo raffronto le leggi più
fondamentali dell'estetica; le quali possono e de-
vono anzi cominciare daUa famosa definizione di
Platone, ma non devono in essa finire. Il bello è lo
splendore del vero: nulla di più grande e di più bello
fu mai detto da labbro umano, ma le gerarchie
del bello, ma le figliazioni infinite del grande e
del grazioso, del gentile e del sublime , del pla-
stico e del colorito, del semplice e del composto
aspettano ancora il proprio legislatore ; aspettano
il battesimo da una psicologia positiva, che è an-
cor nelle fascio.
1
176 CAPITOLO XVI
Quando il sole bacia la terra , quando V atmo-
sfera accarezza la scorza del nostro pianeta, scatta
la scintilla della vita, e nell'umida e calda pla-
centa delle viscere della natura vegeta il primo
fungillo, la prima spora d'alga, il primo filamento
di miceto; forme crepuscolari della grande genea-
logia vegetale. Dopo le pallide efflorescenze dei
funghi microscopici e le rugginoso macchie dei
licheni, appare la prima gioia del verde; che si
estenderà su tutta la terra, preparando il mor-
bido tappeto e un' ombra amica alla prima Eva
dal sangue roseo e infuocato. E in quel verde,
che sembra una trasformazione dell' azzurro del
cielo, volta a tutti i viventi; o dell'azzurro del
mare, primo loro nido; s'abbozzano più tardi i primi
crepuscoli di fiori poveri, di fiori meschini ; finché
su su per gradi infiniti di trasformazioni e di
affinamenti, quel verde si muta in tutta la vario-
pinta tavolozza dell' iride solare , e i raggi della
luce si organizzano in tessuti più fini della seta,
più luccicanti del metallo, più sfarzosi di un'alba
o di un tramonto, e intorno all'antera che bacia
Ì*iAi
ESTASI PBODOTTB DAI FIORI 177
il sao pistillo 6 lo feconda, s'intreccia un nido di
delizie estetiche che è il fiore ; che è la rosa, che
è il giglio, che è la fantastica corolla di un ci-
pripedio o di una vanda. E là in quell' angusto
spazio intomo al nido d'amore delle piante, si ad-
densano tante [energie di chimica e di fisica su-
blime, tanta magia di colori e di forme, da sor-
prenderci e da commoverci. É la festa della crea-
zione nel mondo vegetale, è Tespressione più alta
della più alta funzione della vita; quella di ripro-
durre sa stessa e di ringiovanirsi eternamente
neir eterna successione dei cicli dell' esistenza. E
finita la festa, compiuto il mistero nel casto bacio
degli elementi diversi, spenta la luce dei colori,
spenta la fiaccola delle grazie invitate al convito;
cadono i petali, avvizziscono le corolle, e nel grembo
fecondo maturano i fratti di quell'amore pieno di
mistero e di poesia. Secoli infiniti di evoluzione
hanno preparato l' ebbrezza di quel momento,
hanno rizzato l'altare a quell'ora di gioia, e la
natura sempre feconda e mai stanca, disperde le
grazie, eancella i colori, sicura di rinnovare al
dimani con inesausta ricchezza la festa dell'oggi.
Il fiore è l'altare più splendido, su cui la vita ve-
getale compie il sacrifizio al Dio d' amore , e là
accumula i tesori di secoli in un' ora d' incanto.
Estasi umane, — II. 12
178 CAPITOLO XVI
I fiori piacquero a tutti i popoli della terra,
piacquero in ogni tempo al selvaggio e all'uomo
civile , aU' idiota analfabeta e all'uomo di genio ;
ai principi e ai paria del pensiero. Il bambino,
appena può folleggiare nelle erbe d'un prato, cerca
i fiori e li coglie con amore , senza sapere che
cosa sieno, senza che soddisfino alcun bisogno
della vita vegetativa, li cerca per l' inconscia at-
trattiva delle cose btdle, appunto come la farfalla,
come il coleottero , che sedotti dalla bellezza del
fiore vi accorrono a cercarvi il miele , facendosi
così involontari messaggeri d'amore.
I fiori son le gemme della natura e se ne or-
narono le spose e i convitati, si sparsero intomo
alla culla deU' uomo che nasce e sid letto del-
l' uomo che muore. Dappertutto dove sorride
una gioia o piange un dolore, dappertutto dove
l'uomo si raccoglie coll'uomo per ricordare il pas-
sato, per far festa al presente o per sciogliere
un voto all' avvenire, egli coglie i fiori del prato
e della foresta e ne fa tappeto, corona o ghir-
landa. In ogni paese del mondo 1 fiori sono i
ESTASI PRODOTTE DAI PIOEI 179
primi convitati al desco e all'altare, sulla strada
dell' eroe che trionfa o salla via che conduce al
cimitero. L' uomo non trova nulla di meglio da
intrecciare sul capo delle giovani spose , come
augurio di felicità senza fine; nulla di meglio da
gettare nella fossa aperta; ultimo saluto ad una
vita che ci ha abbandonato. I capricci della mod^
e le varietà del fasto qui cedono il posto a que-
ste creature gentili, che non hanno rivali e che
non possono essere superati né dalle gemme del
gioielliere né dai tessuti dell'India o della Persia.
Piti in là del fiore vi può essere maggior ricchezza,
non bellezza maggiore, e la natura che è più de-
mocratica d' ogni democrazia umana , concede il
lusso dei fiori anche al povero, che li può intrec-
ciare fra le chiome della sua donna o sulla croce
dove dormono i suoi cari.
Non invano in tutte le lingue flore è sinonimo
di cosa bella, e il flore della letteratura, e il flore
della virtù , e il fior fiore dell' intelligenza , e il
flore della bellezza sono ciò che 1' uomo trova di
meglio in natura o nei molteplici sentieri per
dove si caccia l' audacia del suo pensiero irre-
quieto e indagatore. Così come gli altari degli
Dei ebbero sempre cogli incensi, gli ori e le gemme
tributo sempiterno di flori ; così questi accompa-
gnarono l' uomo anche nelle più alte sfere del
180 CAPITOLO XVI
linguaggio, là dove egli tenta di segnare i confini
del più alto sensibile e del più alto intelligibile.
Ed anche il valore materiale ha segnato più
volte il pregio attaccato ai fiori da tanti uomini
in epoche diverse. Tutti si ricordano i prezzi fa-
volosi, ai quali giunsero in Olanda alcuni tulipani,
in Inghilterra alcune rose; dappertutto dove fossero
signori e buon gusto , molte piante rare del tro-
pico. Eugenio Sue offriva più d^una volta alle sue
belle mazzollni di rare orchidee , che costavano
migliaia di lire, e un ricco signore della Boma-
gna, che è anche un grande uomo politico, mi
diceva di avere avuto nella sua giovinezza tre
passioni, Eva , i cavalli , e i fiori ; nessuna esser-
gli costato più di quest'ultima; non essendovi lì-
miti al desiderio e alla follia. Da queste fine e
aristocratiche leccornie estetiche possiamo balzare
alle feste ispirate dal sentimento religioso e anche
là troviamo migliaia e migliaia di lire spese in
un'ora per un' infiorata; dove Dei e sacerdoti cal-
pestano e straziano un immenso tappeto di co-
rolle policrome.
Ma perchè dunque tanto consenso di popoli e
di tempi, perchè questo culto così caldo, così uni-
versale prestato da uomini di gusti e di pensieri
e di sentimenti e di costumi tanto diversi per
un'unica creatura, il fiore? Perchè tante simpatie,
ESTASI PRODOTTE DAI PIOEI 181
tante carezze, tanta idolatria per cosa, che ap-
pena nata è morta?
Per molti perchè, ch'io vorrei indicarvi breve-
mente, come l'angusto spazio del mio libro me lo
concede. Una biblioteca intiera non basterebbe
a trattare tutta la storia estetica, commerciale,
industriale e morale dei fiori. Essi hanno accom-
pagnato l'uomo dall'Eden della Bibbia, come l'om-
bra accompagna la luce, e se anche gli uomini
hanno a finire, sulla tomba penultima dell'uomo
l'ultimo dei figli di Adamo intreccerà una ghir-
landa. L'indiano getta dinanzi alla capanna della
sua beUa un fascio di ibischi fiammanti e di fan-
tastiche orchidee; ma anche il povero lappone
nelle torbose paludi della sua terra di ghiaccio,
coglie il miosotis e lo offre alla sua compagna ,
irta di pelli vellose. Anche là in quell' estrema
terra d'Europa, che sembra sfidare la sfinge del
polo artico; questo fiorellino, piccolo lembo di
cielo tempestato di goccioline d'oro, sorride al
sole che non tramonta e sembra dire all' uomo ,
come l'ultima creatura del mondo dei fiori: non ti
scordar di me!
182 CAPITOLO x\^
Innanzi tutto i fiori sono creature vive, e come
ogni cosa viva toccano e commuovono il cuore
umano, ohe è vivo anch'esso. Una fratellanza uni-
versale, una simpatia cosmica collega tntti i vi-
venti nel caldo ambiente d'un solo amore. È grot-
tesca caricatura del darvinismo il dirci figli della
scimmia, è sublime concetto e verità sovrana del-
Tevoluzionismo il sentirci tutti fratelli nella grande
famiglia dei vivi. La nostra carne , il nostro san-
gue son caldi della stessa luce solare, che ali-
menta animali e piante; e quelli stessi nervi ascosi
che fanno contrarre gli stami di una Loasa inna-
morata o arricciano i peli di una Drosera affamata,
fanno palpitare il nostro cuore di gioia e di do-
lore. La stessa materia circola sempiterna dalla
vita del prato, dalle foglie della foresta alle schiere
pelose, inumate e squammose dei viventi a sangue
caldo; finché l'uomo, ultimo nato della grande fa-
miglia planetaria, in sé solo compendia tutte le
energie di movimento, di bellezza e di pensiero,
che seri)eggiano, scintillano e si trasformano sulla
scorza arruginita del nostro piccolo mondo sublu-
ESTASI PRODOTTE DAI FIOBI 183
nare. In noi è gran parte della stoffa dei fiorì, e
nel profumo e nelle variopinte corolle olezzano e
fiammeggiano i profumi e le bellezze dell' aomo,
che non si distruggono ma si trasformano sotto
le zolle del cimitero; di quel cimitero cristiano, che
i crematori moderni non riusciranno mai a spoe-
tizzare e a distruggere. H circolo della vita non
fu inventato dalla chimica moderna, ma soltanto
riconosciuto vero nella scienza, come da secoli in-
numerevoli lo era già nel cuore e nel pensiero di
tutti.
* *
Nessun minerale, per quanto curioso, nessuna
gemma per quanto splendida, nessun metallo per
quanto lucciccante, desta le simpatie di un fiore
o di Un animale. Il minerale non vive: animali e
piante sentono, si muovono , palpitano come noi ;
come noi amano e come noi muoiono. Noi ci sen-
tiamo con essi fratelli, membri di un'unica fami-
glia. Qual cinabro può mai eguagliare il fiore di
un imantofillo, quale ferro oligisto può esser su-
perato dalle macchie di un Ophrys , qual zaffiro
o quale opale può far impallidire la sericea co-
184 CAPITOLO XVI
rolla di un Oroeiis, quale diamante può vincere
la corolla di certe orchidee? Se domani nuove
•
miniere di diamanti lo rendessero comune come il
carbonato di calce o come le selci, essi perdereb-
bero quasi ogni valore. I nostri prati possono ge-
nerare milioni di violette, senza che una sola vio-
letta perda ivi solo dei suoi profumi o una gra-
zia del suo simpatico colore. La natura, ben di-
versa da noi, profonde le sue ricchezze senza di-
minuirne il valore e eternamente giovane non co-
nosce la noia né la stanchezza. — Io so di un
mineralogista fanatico, che si inginocchiò un giorno
dinanzi a quattro esemplari stupendi di rarissimi
minerali dell'Elba, e benché frate, li battezzò col
nome amoroso di quattro evangeUsU; ma per un
frate che si inginocchia davanti a quattro pietre,
abbiamo e avremo migliaia di fanciulle, che ba-
ceranno i fiori, e fiutando una rosa o un gelso-
mino si sentiranno imparadisare Tanima e ineb-
briare i sensi.
I fiori ci sono cari, anche perchè durano poco,
e Fuomo s'innamora di tutto ciò che ha vita breve
e fugace. L'eterno, l'infinito ; i monumenti di marmo
e di granito, che durano secoli, ci fanno chinar la
fronte e pensare, e in noi, creature di un giorno ,
ridestano pensieri tristi e sublimi : le bellezze che
durano un' ora , un giorno , ci inteneriscono e ci
ESTASI PRODOTTE DAI PIOBI 185
commuovono e rammìrazione diviene più intensa,
più calda quanto più vediamo vicina Fora del loro
tramonto.
Quanto è veloce il ciclo d' una rosa! Botton-
cino chiuso ieri, appena .un lembo roseo stretto
fra i gelosi sepali verdi, così stretti che la goc-
cia della rugiada non poteva baciarla, né ala
d' insetto penetrarvi. Eppure il sole di questa
mattina Tha già socchiuso, l'impeto dell'amore le
ha aperto il seno, per cui escono inebbrianti i
primi profumi e le prime speranze di voluttà. Un'ora
dopo il sole le ha dato il suo bacio d'innamorato,
s'innalza l'inno del colore e del profumo : l'occhio
dell' uomo, la luce del cielo, l' ala dell' insetto si
beano per un momento in quella festa della natura.
Alla sera la rosa ha già amato, e i petali stanchi
ricordano nel languore della morte vicina 1' ora
che fu. In ogni petalo di corolla, in ogni fiore ci
sembra di veder scritti a caratteri misteriosi le
parole del poeta epicureo: Carpe diem.
iCrran parte del fascino dei fiori vien loro anche
dai misteri che vi si compiono. Tutti gli amori si
rassomigliano e tutte le tenerezze si senton so-
186 CAPITOLO XVI
relle. E santa virtù dei fiori quella di amare pu-
dicamente e in segreto, e ogni fanciulla innocente,
che s'inebbria di un mazzo di fiori fino ad averne
palpitazioni di cuore e smarrimenti confusi e t-e-
nerezze isteriche, ignora con sublime ignoranza
quale remoto atavismo la ravvicinino in quell- i-
stante di voluttà alle prime sorgenti della vita, ai
misteri più profondi deUa creazione.
Ma tutte queste ragioni, che ci rendono cari i
fiori, potranno sembrare a molti metafisicherie e
indovinelli. Anche senza di esse, mi direte voi, il
fiore ci è caro, perchè è bello. Ed è bello dav-
vero. Piti che mezza l'estetica si può studiare nel*
Tanalisi delle sue bellezze; simmetria e disordine,
ripetizione infinita e varietà di forme, il semplice
nel composto, il piccolissimo che si moltiplica e
il grande che campeggia solitario; il fascino del
colore intenso e i crepuscoli del colore che s' in-
dovina, la petulanza del colore vivo, sfacciato,
unico e i contrasti di tinte opposte; il colore che
spicca e s'affaccia e grida come voce di fanciullo
nel desorto e sfumature impercettibili che ti por-
tano in pochi centimetri di corolla dal cielo del
tropico alle nebbie del polo, dair incarnato di un
labbro di donna all'iride del suo occhio. Nel fiore
avete tutte le linee fondamentali, le note prime
del bello e i suoi accordi più svariati scritti da
ESTASI PRODOTTE DAI FIORI 187
lina musica , che non è del passato né dell' avve-
nire, ma che è universale, perchè scritta da quel
grandissimo maestro di tutti, che è la natura.
Nel mondo dei fiori vi son forme per tutti i gu-
sti, vi sono architetture più ricche della bizantina,-
più semplici della greca, più maestose di quella
del Einascimento, più buffe e grottesche della
giapponese, più severe della fiorentina. Il fiore è
un artista che ride della scuola, che ride del clas-
sico e del romantico, che balza d'una in altra
forma, che si traveste più del Proteo ^ella favola,
più del pulcinella della commedia, e rimane sem-
pre bello. Bello di nano e bello di gigante, bello
di bambino, bello di fanciullo e di matrona ; bello
di vecchio e bello di buffone.
Fra i giganti avete Y Amofyhophallns titanum,
' che ci portò da Sumatra quel titano dei viaggia-
tori e dei botanici, che è il nostro Beccari. Fiore
così grande, che vi potreste nascondere un fan-
ciullo, così strano che vi pare una fantasia di un
uomo ebbro dall'oppio. E avete la Victoria regia,
che apre i suoi molli petali bianco-rosei sulle pa-
ludi del tropico americano, e che colle spe ampie
foglie distese sull' acqua sostiene i caimani , che
sonnecchiano al sole, come io ho veduto più volte
nel Paraguay. Avete il Cerens Lemairii e tutti i
fiori giganti dei Cactus, le corolle accartocciate e
188 CAPITOLO XVI
sanguigne del PMlodeiidron eruhescens e le giallo-
dorate della Mousteria Adansonii e tutte le corolle
delle aroidee, che sembrano aprire al cielo le loro
grandi tazze per bevervi il sole a iosa in un con-
vito di giganti. Avete gli alberi-fiori delle Agave,
che innalzano una foresta di fiori minori, che un
uomo robusto appena potrebbe reggere sulle spalle.
Accanto a questi colossi della flora avete le
creature lillipuziane, delle quali è così ricco il giar-
dino della zona temperata; le corolle flne, dentel-
late delle ericacee, le stellette infinite gialle o
bianche o rubiginose dei nostri gallii, la polvere
azzurra del Ceanothus florihxindus, i frastagli e i
merletti delle astranzie, i petalucci sericei della
Pamassia palustris. Su nelle Alpi, fra morbidi cu-
scini vellutati di muschio, vedete sorgere le testo-
line stellate delle Sassifraghe, gli alberetti nani
(ìeAV Azalea procumbens; tutto il mondo gentile, fino,
simpatico della flora alpina.
E dove mi lasciate voi le modeste gramigne coi
ciuffetti , colle spighe , cogli aghi , colle polveri
omeopatiche , coi frantagli , coi ritagli , colle lan-
cette, colle glume, colle code, colle squammette
dei Lagurus, delle Digitarle, dei Panicum, delle
Setarie, degli Agrostis, delle Stipe, dei Phleum,
degli Alopecurus, dei Nardus, delle Meliche, delle
Poe, dei Dactylis, delle Molinie, delle Brize, delle
ESTASI PRODOTTE DAI FIOEI 189
Avene, dei Triticum, dei Lolium, e di tante altre,
che ora distese nei prati, or cornici ai campi, or
sospese agli scogli, or arrampicate sui mari, senza
ricchezza di colori né grandezza di forme, ci ral-
legrano rocchio innamorato?
Nel mondo dei nani che cosa v'ha di più bello di
nn Anthyrinum cymhalaria, che, sospeso come giar-
dino pensile sopra un muro antico, da una fessura
così sottile che appena lascierebbe entrarvi un
ago , lascia piovere le sue coronine violacee, che
sembrano labbruzzi di bambino più piccoli di .un
grano di frumento?
Nel grande e nel piccolo poi, quante varietà di
forme! I botanici vi additan le corolle labbiate,
le papilionacee, le crocifere, le tubulate, le ipocra-
teriformi, le rotate, le pateriformi, le infundibuli-
formi, le campanulate, le digitaliformi, le rosacee,
le tubulose, le urceolate, le gibbose, le speronate,
le stellate, le ligulate, le raggiate, le personate,
le cucuUiformi ; con petali bifidi, trifidi, quadrifidi,
lobati, bilobati, trilobati, dentellati, erosi; e con
sepali, che a volta a volta sembrano più belli dei
petali, e con essi associano armoniosamente con-
trasti, colori e forme.
Ma cosa sono mai queste nostre povere parole
l)er esprimere tutto Tinfinito arsenale delle forme
dei fiori? I pennacchi a spazzola dei MetrosyderoH
190 CAPITOLO XVI
e delle Melaleuche qual diversa bellezza hanno in
confronto dei ciuffetti pur bellissimi delle Acacie ;
e vedete accanto a queste le ' strane corolle dei
Delphinium e delle Aquilegie, i ciclamini, veri baci
alati; le spighe carnose delle Tillandsie, i sifoni
delle Aristoloohie, le coppe greche dei Convolvuli
e delle Ipomee, le campanelle di vetro delle Cam-
panule e quelle di velluto delle Gloxinie, le ber-
rettine e i turbanti delle Calceolarie, i cartocci
deUe Aroidee, i padiglioncini chinesi delle Fuc-
sie, i mazzi fulgenti dei Kododendri e delle Aza-
lee, le fantasticherie delle Proteacee, le Fritillarie
tessellate, le stramberie delle Stapelie, i becchi
d'uccello delle Heliconie e delle Strelitzie, gli
astri piccini e grandi delle Margheritine e delle
Margherite, nomi carissimi ad ogni cuore italiano.
E dove lascio le mille e una notti delle Orchi-
dee, ohe sembrano vincere nelle loro svariate forme
le fantasie più ardite e i sogni più pittoreschi?
Ohi potrà mai descrivere le bellezze dei Cipripe-
dii, dai lunghi baffi, dei Dendrobium, delle Vande,
delle laitanhopee, ^e\V Anthìirium, del Saccolàbium
denticulatiim, del Catasetum naso^ ù.e\VEpipogon Gme-
Uni, deWEpidendnim stamfordianum, un vero volo
di farfalle, dei Qrammatophyllum, dell' Odontoglos-
sum macuWum, vero pulcinella, con braccia, con
gambe, con colori smaglianti; e di tanti altri, che
ESTASI PBODOTtB DAI FIOBI 191
ora sembrano ragni, or farfalle, ora mosche, ora
uccelli, ora draghi, sospesi ad un filo, o ammuc*
chiati a grappolo, o striscianti timidi e semiasoosi
fra i densi cespugli di foglie succose e robuste? Io
le ho vedute .questo orchidee e nelle vergini fo-
reste del tropico americano e del tropico indiano,
e raccolte da ogni parte del mondo nelle famose
serre di Amburgo, e son rimasto estatico^ com-
mosso, dinanzi alla divina e inesauribile tavo-
lozza della natura, che sa pensare e fare creature
così elegainti, così variopinte, così singolari per
tante e svariate bellezze.
*
* *
Le forme dei fiori sono ravvivate dall' abbon-
danza e dalla diversità dei colori. Anche gli uccelli
rivaleggiano spesso nel colore colle piante, ma
mancano ad essi le seduzioni della trasparenza.
Le paradisee vanno giustamente superbe dei loro
talchi splendenti, delle loro tinte metalliche; an-
che i colibrì son fiammette di splendori, anche le
conchiglie hanno un luccicar di gemme e una
ricca tavolozza; ma nò paradisee, né colibrì, né
conchiglie possono aspirare alle vaporosità, alle
192 CAPITOLO XVI
trasparenze dei petali dei fiori. Nessun tessuto
animale ha mai raggiunto la stupenda struttura
d'un fiore d' orchidea, dove il colore è fuso, dif-
fuso e reticolato, sicché la stessa tinta in un sol
petalo ti si presenta sotto diversi aspetti per ri-
flessione, per trasmissione, e direi quasi polariz-
zata; e come se ciò non bastasse, infinite piccole
perle lucenti son tessute in queir orditura di pa-
radiso.
La ricchezza del colore anche di per sé sola
è una festa per gli occhi. Da un fìtto cespuglio
Vlmantophyllum mmiatum alza il suo capo d'aran-
cio , e VHexacmiiris myaoreìisia si pavoneggia del
suo giallo ricchissimo. La Tntonùi iivaria erge alte
e superbe le sue spighe fiammanti d'oro e di fuoco ;
la Spathodea campanulata fa la civetta col rosso e
coU'aranoio; mentre le Yucche dallo spinoso cespu-
glio innalzano le mille campanelle bianche dei loro
ricchi fiori. Qual gazzarra di colori nei rododen-
dri, nelle dalie, nelle peonie, nelle rose, nelle al-
stroemerie, nei garofani!
Pei colori io adoro le bulbacee, che colla loro
succosa pienezza, colla vegetazione rapida e ro-
busta, colla struttura sericea delle loro corolle mi
danno l' immagine di una salute vigorosa, di un
temperamento senza difetti, di un carattere senza
macchie. Occupano così poco posto, e concentrano
ESTASI PRODOTTE DAI FIORI 193
tante bellezze sopra un'unico stelo! Basterebbero
per tutte il Cyrtanthus sanguineu^ della Cafreria,
e la sfolgorante Schizostylis coccinea; ma anche i
giacinti, i narcisi, i crocus, i gladiolus, quanta
seta e quanto oro, quante gemme e quanti pro-
fumi non sanno darci anche nell'umile vaso d'una
povera operaia!
E là dove il colore non grida ad alta voce il
suo inno di giovinezza, le tinte più delicate e sfu-
mate si alternano e si contrappongono, fondendosi
in note di armonia e di melodia. Noi ammiriamo
la rara e piccante bellezza di una pozzetta, che
ride sulle rosee guancie delle nostre donne; ma
quante di queste pozzette non hanno i fiori! Ora
è uno sprazzo di pennello, che getta una polvere
d'argento sopra una corolla di velluto ; ora è una
macchinzza civettuola, ora una virgola, un punto,
messi proprio là dove il nostro occhio è invitato
ad ammirare la leggiadria delle forme o l'aprirsi
d' un seno misterioso, o d' un microscopico nido
d'amori. Prendete pure le corolle più piccine del
più modesto dei nostri fiori paesani, e vi trove-
rete tesori di colorito, che i nostri più grandi co-
loristi non possono che invidiare. Guardate, di
grazia, il fiorellino di una Veranmi, la spiga di
un Ajuga, le corolle di una Centaurea oyanus. Né
la Persia co' suoi tappeti, né Murano co' suoi ve-
Estasi umane, — II. 13
194 CAPITOLO XVI
tri, né Sèvres colle sae porcellane hanno mai sa-
puto far cosa simile!
Il fiore ha tutte le consistenze, da quella della
pietra a quella della nebbia, e sembra voler imi-
tare tutti i corpi della natura. Vedete il corallo
neìVJErythrina cristagalU, n<ò\VAmomum DafdelU, nel-
VAnthurium, nelìù, Pitcaimia muscosa; avete Favo-
rio nell' Angrcemtm eìmm&um e nelle Magnolie , la
seta nei Crocus e in tante altre bulbifere, il vel-
luto nelle rose, nelle camelie, nelle viole del pen-
siero, la cera nelUHo/a cartwsa, il metallo nelUO-
phris, il talco e il cartoncino negli Helichrysum e
negli Amaranti, il vetro nelle campanule, Poro nei
ranuncolL Di tutto è capace quel mago alchimista
del fiore! Era sogno della chimica medioevale tra-
mutare i metalli ignobili in oro e in argento, ma il
fiore cambia ogni giorno, senza soffiar di mantici,
né arroventar di crogiuoli, l'aria e la luce in perle,
in zaffiri, in oro, e in argento.
Ma per me i fiori hanno un'altra bellezza supe-
riore a tutte le altre bellezze, ed è quella di as-
sociare in famiglia i loro incanti, le loro grazie,
ESTASI PRODOTTE DAI PIOEI 195
i loro colori, per offirirci quadri stupendi, ohe dal
bozzetto fiammingo vanno fino al genere sublime
del grande paesaggio e del quadro storico. Noi
seminiamo i nostri campi di bionde spighe, e pian-
tiamo i nostri pometi di ridenti foreste di pomi e
di peschi; ma la natura non si accontenta della
ricca monotonia di una stessa specie addensata
in angusto spazio; e getta con mano capricciosa
ma intelligente colori e forme svariatissime sul
tappeto de' suoi prati e sulle vette delle sue fo-
reste.
Ho già descritto ne' miei libri le bellezze di un
prato alpino, quelle di un tappeto fiorito nel grande
altipiano della Norvegia, ma ho scolpiti nella mia
memoria altri quadri incantevoli del mondo vege-
tale. Yi segnerò a grandi tratti due bozzetti di
genere e un quadro grandióso; vorrei quasi dìvò
epico, se mi permettete l'innocente metafora.
Nei primi giorni di luglio la natura norvegiana
cantava alto il suo inno di calda e breve giovi-
nezza sui colli che fanno corona ié Cristiania. Un
granito spaccato aveva raccolto in una fessura un
196 CAPITOLO XVI
pagno sottile di terra, e là Bui oiglio della nnda
roccia tu vedevi an cespuglio di fragole, che ti
offrivano in una volta sola i bianchi petali dei suoi
fiori e i rubini profumati dei suoi frutti. Ai piedi
di quella rupe un boschetto di Lytkrum gigante-
schi innalzava cento spighe più rosee della più
rosea e della più bella delle nostre rose; mentre
l'acqua stillante dalla rupe alimentava un passo
più in III un altro boschetto più piccino di myoso-
tia fioriti. Sulla strada che mi separava da quel
quadro incantevole una siepe fitta fitta di rose sil-
vestri dal fiore amaranto gettava fiamme per ogni
parte, e il solo splendido e caldo baciava le fra-
gole, i Lythrnm^ i myosoiis e le rose con un solo
amore, senza invidia e senza gelosia. Anche la
dura e gelida terra scandinava festeggiava in
quell'ora la festa della sua primavera.
Bicordo, come se l'avessi dinanzi agli occhi, an
altro quadro di fiori. Io era nell'America meridio-
nale, in Entrerips. In un giorno di pioggia e di
temporale avevo attraversato il Eio Oualeguaychù,
che dilagava d' ora in ora i campi e le foreste.
ESTASI PRODOTTE DAI FIORI 197
Tronchi sradicati e sterpi antichi nuotavano nel-
l'acqua turbolenta e gialla ; i nostri cavalli, stanchi
per il lungo nuoto, ansavano sulla riva, coi piedi
nell'acqua. Io, seduto sopra il mio baule, aspettavo
di poter recarmi al vicino villaggio. Correvano le
nubi affrettate e tristi per Taria, accarezzando
quasi la terra, e l'atmosfera umida, fredda, uggiosa,
mi inzuppava di acquai vestiti è di tristezza l'anima.
Il gaucho^ infastidito, che mi serviva di guida, mi
dava le spalle pieno di bile e di noia, e tentava
invano di accendere in tanta innondazione d'aria
e di terra una sua sigaretta. Io mi sentiva solo
in quella desolazione di silenzii, e pensava alla
patria lontana e ad altre tristissime cose, che non
occorre ricordare a voi. La natura mi pareva tutta
quanta in collera col cielo, colla terra, coli' uomo
e con sé stessa. Ma ecco che un raggio di sole
rompe le nubi, e da un lembo azzurro fa piovere
la sua letizia sopra di me e sopra un cespuglio
che mi stava vicino e che aveva anch'esso i piedi
nell'acqua del fiume. Fermai gli occhi su quel ce-
spuglio e sorrisi anch'io col sole. Era un alberetto
di Erythrina CìistagalU, pieno di grappoli di co-
rallo. Intorno ad esso amorosamente una passiflora
aveva intrecciato le sue spire, avvicinando i suoi
fiori variopinti e azzurrini alle rosse corolle del-
Veritrifia, U sole dorava le goccioline della piog-
198 CAPITOLO XVI
già fermata su quei fiori rossi e fra le langhe ci-
glia della passiflora, qaasi vi avesse gettato nn
pugno di perle e di diamanti. Com'era bello quel
quadro! Io non mi sentii più solo, e accarezzai
quei due fiori così diversi e pure entrambi attraenti
con, un intimo amplesso, senza avere il coraggio di
coglierli. — Io non era più solo, e la mestizia se
n'andava coUe nubi, ohe un vento impetuoso scac-
ciava nel lontano orizzonte del sud.
Un'altra volta attraversava sotto il sole ardente
dell'ottobre le magnifiche campagne della Fron-
tera di Salta, neUa Repubblica Argentina. Una
vampa calda e dorata scendeva dal cielo, innon-
dando alberi, erbe, uomini e cavalli; mentre un
profumo indistinto di milioni di fiori rendeva l'aria
inebbriante di acute essenze. Pareva che tutta la
terra sudasse neUa piena e feconda fatica della
voluttà ohe crea. Tacevano gli uccelli, tacevano
le belve, e il solo coyuyo strillava le sue note squil-
lanti e potenti di cicala tropicale. — Da quel suolo
ardente i lapachos fioriti innalzavano nella foresta
mazzi giganteschi tutti del color della rosa. Eran
ESTASI PRODOTTE DAI FIOEI 199
mazzi di rose, sotto cai una intiera carovana
avrebbe trovato un' ombra rosea, perchè questi
alberi giganteschi non avevano ancora una foglia.
Nelle oasi spianate del bosco altri mazzi, anche
essi di rose ; ma di rose più cupe, gettate a mille
e mille sui densi cespugli della sacharosa, albero dai
cento rami e dalle foglie di smeraldo. Sulla terra
tappeti di portulache fìorite, scarlatte e gialle,
e fra esse qualche alberetto nano, gracile e sot-
tile di un Cap»icum, dai piccoli fioretti bianchi e
dalle corte bacche di corallo rosso. Fin là dove
i torrenti avevano gettato le loro sabbie sterili,
da tubercoli a fior di terra grandi come la testa
di un uomo, un^ipomea innalzava i suoi mazzetti
di corolle violette, quasi rosse. Sotto quel cielo
d'oro pareva che tutte le piante fiammeggiassero'
di porpora ; rose suiralto degli alberi giganti, rose
sugli alberetti minori, rose sui cespugli, rose sul
tappeto della terra; fiamme dappertutto; quasi
ebbrezze d'un caldo amore o orgia di calore e di
colorì, come si vede in tanti quadri del rubicondo
Bubens. Forse la natura arrossiva quel giorno,
quell'ora, in quell'aria calda per aver troppo amato;
ma il suo rossore si traduceva nell'espressione tra-
scendente di mille bellezze tutte calde, tutte vo-
luttuose, tutte fiammeggianti.
L' estetica è uu campo così alto nel mondo
202 CAPITOLO XVI
l'arte, altri di pessimo gusto non amano che i fiori
doppi. Io, come antico deputato del centro, credo
che la verità anche qui si trovi nel giusto mezzo.
Vi sono forme che la doppiezza ravviva e arric-
chisce; ve ne sono altre che la ricchezza di petali
deforma e abbruttisce. Del resto anche la natura
si prende talvolta il capriccio di raddoppiare le
corolle dei suoi fiori , e anch' io nel modesto mio
erbario di dilettante ho fiori doppTlil^anunculo
e di Trollius Eurofcetis, e chi sa quanti ahji;^ ve ne
saranno ch'io non conosco.
Più fortunata è l'arte dell'orticoltore nella ric-
chezza di nuovi colori, che ha sparso sulle coroUe
monocrome, che le porgeva la natura. Dall'unica
dalia rossiccia, qual tavolozza ha saputo ritrarre
il giardiniere; e dalla Viola tricolor quante va-
rietà non abbiamo noi ottenute, dal candido al-
l'oro, dal violetto quasi nero all'azzurro e al ma-
culate! E poi e poi nei nostri orti e nelle nostre
serre abbiamo ravvicinate tante piante diverse
onde rallegrare il nostro occhio colle bellezze delle
cinque parti del mondo. Noi riuniamo così in un
unico mazzo il ciclamino europeo e la gardenia del-
l'Africa, la fucsia americana e la camelia chinese.
ESTASI PRODOTTE DAI FIOBI
203
che i fiori
ro, credo
tomeHO.
e arric-
(li petali
la natura
)piare le
B8to mio
inuncalo
rd ve ne
iella rie-
lo coroìJe
lall'anica
ritrarre
inte va-
Klido al-
3 aJ ma-
i nostre
diverse
se delle
iifl ttD
]ia dd-
lineile.
nesto culto universale dei fiorii che si af-
ta civiltà, è forse opera vana o capriccio sun-
di ricchi annoiati? No, questo culto è scuola
dea, è arte del pensiero umano, è una nuova
usa aggiunta ai tanti tesori del viver civile,
è inutile dell'umana fatica, nessuna goccia
Btro sudore è perduta, quando fatica e su-
ono spesi nel culto del bello, dio universale
innalza, che ci ringentilisce, che ci dispensa
'^ .6 così care gioie. L' uomo di scienza nello
delle forme doppie e mostruose che ha
V arte dell' orticoltura, ha trovato gli ele-
per tracciar leggi importanti di morfologia;
»me lo studio degli animali domestici ha dato
iteriale prezioso per tracciare la storia del-
izionismo nel mo :do dei viventi. Il culto del
in tutte le sue forme è scuola al pensiero,
;ente di ricchezze nuove, è preziosa conquista
civiltà.
aoi Italiani, che abbiamo la fortuna di esser
in uno dei più bei paesi del mondo, e figli di
0 tre civiltà, sentiamo scorrer nelle nostre vene
204 CAPITOLO XVI
e palpitare nei nostri nervi le energie estetiche
degli antichi popoli italici, che erano artisti anche
prima dei Greci, e che abbiamo poi affinato il ga-
sto colla potente civiltà greca e colla grande ri-
surrezione del rinascimento ; noi dobbiamo serbare
come cosa nostra tre volte Pamore del bello, che
ci fa superiori a tutti i popoli d'Europa. Ad ogni
stirpe, ad ogni razza, ad ogni famiglia umana h
natura ha dispensato diversi doni e attitudini di-
verse, e noi Italiani ha fatto primi sacerdoti del
bello. Così come un grande maestro di armonia
fa parlare il suo pensiero coi cento strumenti di
un'orchestra, sicché un' unica armonia è tradotta
nelle tante armonie e melodie di diverse lingue;
così ogni popolo nel grande concerto della civiltà
deve portare il tributo della propria natura. A noi
è toccata la energia estetica, e dobbiamo custo-
dirla gelosamente, affinarla con costante amore, con
quell'amore che è fatica prima e prima gioia del
nostro pensiero.
Capitolo XVII.
LE ESTASI DELLA MUSICA,
La musica è forse la grandissima fra le creazioni umane e
perchè. — Estasi musicale semplice o acustica e sua grande
forza espansiva. — Diverse varietà delP estasi musicale:
Famorosa, la melanconica, la battagliera e la fantastica.
imL.^
Se la musica non è la maggiore delle creazioni
amane, essa è di certo una delle grandissime. Le
altre arti, anche nei loro voli più alati, portano
dalla terra i colori e i fili coi quali intrecciano
le loro ghirlande, e quando la psicologia sarà una
scienza positiva come la geometria, noi troveremo,
come anche negli inni più lirici del poeta la na-
tura abbia dato tutto il materiale della creazione.
Anche nella musica di certo ogni nota, ogni ac-
cordo di melodia o di armonia, deve essere un'eco
dell'armonia venuta dal mondo che ci circonda; ma
l'eco è così lontana, ma la trasformazione subiet-
tiva è così potente, che la materia prima rimane
quasi invisibile agli occhi nostri, e non ci appare
dinanzi che il lavorìo miracoloso e stupendo di un
cervello umano, che crea dal nulla le sinfonie di
Beethoven e le opere di fiossini e di Bellini. —
208 CAPITOLO XVII
Se questa non è creaaione, dì certo l'aomo deve
rinanaiare a qnesta parola del suo dizionario.
Se Toleto toccare con mano la diversa forza di
creazione , che esiste ad esempio nella pittura e
nella musica, guardate la Maiionna della SeggUtìa e
udite Taria della Casta Dira ; e poi pensate quanta
materia abbia dato la natura al Baffaello ed al Bel-
lini por qnelle due creazioni. Per la Madonna essa
ha dato tutte le donne belle d'Italia, e le diffe-
renze fra la donna e la madonna, fra Tarte e la
natura, non sono poi troppo grandi. Per la Canta
Diva che cosa ha dato invece la natura al Bel-
lini? Forse i trilli dell'uaigQUolo, il mormorio delle
fronde, o il canto del grillo notturno?
Se la musica è forse la grandissima fra le crea-
zioni amane, non già, in ordine dì gerarchia oti-
iji — !- . ^j altezza di lavorìo cerebrale, ma bensì
trascendente trasformazione delle forze;
presenta un altro miracolo sorprendente,
nello di poterci dare voluttà grandissime
igere dai nostri tessuti che un minimo
I di materia.
LE ESTASI STUSICALI 209
■^^■^^— ^■^■^P^'^w*^*^^^-^^ I I I. w. ■■-■■■ ■ ■ I ■ Il ■■ ■ p P ^ ■ » ■ ^ .1.1 ^1 ■
Di certo quest'arte divina può inebbriarci di
voluttà così peregrine e intense da eguagliare gli
spasimi d'amore e le più alte tenerezze del sen-
timento; eppure ogni giorno noi possiamo godere
quelle voluttà ed assaporarle per ore ed ore e
afi&narle con lungo esercizio d'amore, senza meri-
tarci mai la taccia di viziosi, senza logorare la no«
stra salute, o render paralitiche le nostre membra.
Di certo anche per le delizie della musica vi è
una stanchezza; anch'esse non ci danno piacere
che per la trasformazione di materia che avviene
in seno ai nervi e alle cellule cerebrali; ma que-
sta trasformazione non logora i nervi e il cervello
come tanti altri fenomeni di voluttà sensuale, o
affettiva, o intellettuale.
Perchè questa differenza ? Ai posteri • 1' ardua
sentenza.
* «
La musica è fra tutte le sensazioni quella che
più d'ogni altra può produrre l'estasi, e ciò per
più ragioni.
1 piaceri della musica sono tra i più intensi e i
più indeterminati, e per la propria natura hanno
listasi umane, — II. 14
210 CAPITOLO XVII
forse un potere d'espansione snperiore a quelli
d'ogni altra gioia di origine paramento sensuale.
Vi sono molti pei quali la musica non è altro
che un rumore; per moltissimi altri essa è nna
delle gioie più indifferenti della vita. A questi è
inutile parlare di estasi musicali, o distinguere le
piccole estasi dalle grandi. Io parlo a quei pochi
ohe fanno dell' armonia un paradiso in terra, e
rinunzierebbero alla vita, se non potessero ogni
giorno deliziare le loro orecchie colla musica.
Quest'arte divina ha tale una potenza sull'uomo
da poterlo in date circostanze uccidere o salvare.
Più d'una volta un malato, o un convalescente, o
un dissanguato son morti per la scossa improvvisa
ricevuta da una musica troppo forte, e molte altre
volte un grande dolore, che non lasciava piangere
e che minacciava la ragione o la vita, si disciolse
in lagrime per opera di una musica soave o te-
nera; e così l'uomo fu salvo.
La facile diffusione del piacere musicale in tutti
i campi dell'organismo umano salta all'occhio del
più superficiale osservatore. L' impallidire e l' ar-
rossire del volto, il piangere, il sentirsi accappo-
nare la pelle, o tremare le membra, o correr per
r ossa brividi di voluttà, son cose comuni fra i
grandi amatori dell'armonia, e un intiero volume
non basterebbe ad enumerare tutte le forme di
LE ESTASI MUSICALI 211
espressione della voluttà musicale. Anche in que-
sti giorni un dilettante appassionato della musica
mi diceva che più volte, quando è rapito in estasi
armonica, egli sente al vertice del capo come un
brivido di gelo, che gli scende per tutto il corpo
quasi con moto spirale, giungendo fino ai piedi.
E tutto questo non è che la difitisione più este-
riore, non è che l'incresparsi della superficie ; ma
ben altre e più profonde sono le correnti di sim-
patia, che dairorecchio si difTondono per ogni lato
delPumana natura.
La corrente prima e più irresistibile è quella
che si dirige ai campi del sentimento. É vecchio
assioma, che ho dimostrato più e più volte nei
miei molti lavori di psicologia, che V udito è il
senso del cuore per eccellenza, mentre l'occhio è
lo strumento primo del pensiero. L'estasi visiva è
soprattutto intellettuale, l'estasi armonica è soprat-
tutto affettiva; e questa sola ragione basterebbe a
spiegare la grande frequenza delle estasi musicali
in confronto delle estasi visive.
212 CAPITOLO xvn
Il piacere musicale, anche all' infaori della sna
diversa natura, sale per .una scala ascendente se-
condo i gradi della sua intensità.
Prima voi non avete che il puro e semplice pia-
cere uditivo, non avete che 1' equazione di tante
vibrazioni al minuto, che corrispondono alla strut-
tura istologica dei nervetti acustici e li soddi-
. ... •
siano.
Più in su il territorio dell'orecchio diviene troppo
angusto per contenere tutta quella mirabile tras-
formazione di movimenti, che dalle corde vocali
d'un uomo, o d'un violino, o d'un pianoforte, vanno
al cervello per le vie del nervo acustico. E allora
muscoli della faccia, e muscoli delle membra e del
tronco accompagnano ritmicamente le armoniche
oscillazioni dell'aria. Il nostro corpo diviene tutto
un fonografo, in cui la musica scrive le sue de-
lizie.
Ma orecchie e muscoli e viscere sono ancora un
campo troppo ristretto aUa piena delle voluttà
che li inonda, e, quasi cerchio d'acqua mosso da
un sassolino; l'emozione si allarga, s'aUarga e in-
LE ESTASI MI7SICALI 213
vade i campi del sentimento e del pensiero, prima
e più fortemente quelli che questi.
E dove s'allarga e dove si distende quella vo-
luttuosa vibrazione?
Dappertutto e in nessun luogo.
Direi che nella maggior parte dei casi (quando
cioè una data parte del nostro cervello è per par-
ticolare condizione più sensibile all'eccitamento)
l'emozione musicale tocca ad un tempo tutte le
frontiere del cuore, facendo vibrare tutti gli af-
fetti ad una soavissima e indefinibile voluttà. É
un'eco, che si ripercuote misteriosamente in ogni
seno di monte, in ogni crepaccio di rupe, sotto
ogni vòlta di foresta, e in ogni parete di casa.
Domandate ad un amante che abbraccia la
donna amata, dove egli sente la gioia, e s'egli
non vi insulta, vi dirà: io non lo so! — E così
nell'estasi musicale il rapimento è largo, è uni-
versale, ci accorda tutte le tenerezze della com-
mozione, solletica i nervi dell'affetto, cresce ener-
gia alle forze del cuore, e fa palpitare e fa pian-
gore; esalta e riposa; elettrizza e fa spasimare;
calma il desiderio e ne suscita di nuovi; ci fa
sentire e misurare l'infinito e poi ci lancia in al-
tri abissi di altri infiniti maggiori; e così di se-
guito, accarezzandoci fra i tormenti voluttuosi
d'un paradiso che non è voluttà d'amore, ohe non
214 CAPITOLO XVII
è delirio di creazione, che non è estasi religiosa;
ma tatto insieme e in una volta sola^ un po' di
tutto questo.
*
É ben raro però che Testasi musicale rimanga
a lungo in questo stadio di indeterminatezza,
perchè noi siamo quasi sempre o innamorati o tri-
sti o riscaldati dall'ambizione o solleticati da ano
dei tanti stimoli esteriori o interiori, che toccano
or r una or l' altra regione del nostro mondo ce-
rebrale.
In tutti questi casi il rapimento prende colore
e ispirazione dal momento psicologico in cui ci
troviamo , presentando tante forme diverse quanti
sono i movimenti psicologici in cui ci troviamo. È
osservazione molto vecchia e per questo molto vera,
che la musica esagera lo stato in cui ci troviamo.
Se gaudenti e epicurei, essa ci sprofoada sempre più
nella sensualità e nella gaiezza; se malinconici, essa
afi&na e innalza a più alte regioni la nostra melan-
conia ; se ardenti d' insolita ambizione , ci fa più
ambiziosi; se innamorati, ci innamora ancor più;
se ci troviamo nella lotta, ci fa ancora più ba^
1
LE ESTASI MUSICALI 215
taglieri. Dieci, cento individui, che ascoltano la
steasa armonia, anche ammettendo per un mo-
mento che tutti abbiano la stessa capacità di
sentire e di godere, risentiranno dieci, cento in-
fluenze diverse dalla stessa musica. Mai come in
questo caso la subiettività di ogni individuo parla
a voce alta e si impone, porgendoci lo strano spet-
tacolo di effetti molto diversi di grado e di na-
tura derivanti da un'identica causa.
Ognuno di noi ha una capacità tutta propria di
commozione per la musica. Chi è esaltato da un
valzer dello Strauss e rimane inerte alle divine
sinfonie del Beethoven. Chi ama smarrirsi e sudare
fra i labirinti della musica vagneriana e chi invece
non può esser rapito in estasi, che dalla musica
classica dei più classici e antichi maestri italiani.
Io ricorderò sempre il terrore che mi prese,
udendo per la prima volta il Percival di Wagner
eseguito stupendamente da un'orchestra germanica
messa insieme dallo stesso maestro. Prima rimasi
stupito, sorjjreso, perplesso come chi si trova di-
nanzi a un mondo nuovo; dove cielo e terra e morti
1316 CAPITOLO XVII
e vivi si trovano affatto diversi dalle cose vedute
fino allora. Poi lo stupore diventò dolore, strazio,
tortura. Mi pareva che seghe e marteUi e mote
e tenaglie infuocate e tutti gli strumenti della tor-
tura giudiziaria del medio evo mi penetrassero
nelle viscere per farmi conoscere tutto un nuovo
mondo di dolori fino allora a me sconosciuti. 3buf*
favo, sudavo e, vedendo tanti estatici intomo a me,
mi ribellava contro di me ^ e poi (forse con minor
giustizia) contro tutti quei pazzi che godevano e
si deliziavano di quella tortura. La somma di questi
miei dolori, di tutti questi miei strazii finì in una
fcLga ; fuga forse vergognosa, di certo precipitosa
e irresistibile. Uscito dal teatro, corsi per le vie
deserte della città, percorrendo in breve ora non
so quanti chilometri^ e solo la fatica dei muscoli
potè guarire la fatica delle mie povere orecchie*
Quanti mi avranno compatito e deriso I
« 0
Fra le divèrse fornie di estasi musicali colorite
da uno stato speciale dell'anima, io credo di po-
ter distinguere queste, che sono molto probabil-
inente le più comuni:
LE ESTASI MUSICALI 217
Ustasi musicale amorosa.
Estasi musicale melanconica.
Estasi musicale battagliera.
Estasi musicale fantastica.
Nell'estasi musicale amorosa noi sentiamo il bi-
sogno di amare, e, se già amiamo, di amar più
caldamente e più fortemente. Sarà la mamma o
il bambino, sarà la donna o l'uomo del cuore;
ma noi cerchiamo col pensiero o colla mano una
altra mano che possiamo stringere, un labbro che
possiamo baciare. E se le destre son lontane, se
non si trovano mani intomo a noi a cui si possa
dare il saluto d' amore, son gli occhi che cercano
impazienti altri occhi da accarezzare. E lungo
quei raggi pare che il suono divenga luce o piut-
tosto che l'armonia sia trasportata sul fascio dei
raggi ohe emanano dalle nostre pupille.
Di molti libri fu detto dopo Dante:
G^eotto fd il libro e chi lo scrisse»
ma più galeotto dei libri fu le tante volte là nota
musicale , e intorno ad un pianoforte e nell' afa
218 CAPITOLO XVII
oalda e inebbriante dei teatri si intrecciano cento
e cento ghirlande d'amore. I maestri di musica
sono i più terribili seduttori, e lo sono senza sa-
perlo, e senza volerlo.
L'armonia discioglie tutte le tenerezze e le rav-
vicina e le riscalda e le fonde, sicché più d' ana
volta due estasi, allargandosi all' infinito si incon-
trano e si uniscono in un' estasi sola, che è mu-
sica ed è amore; che è voluttà ed è pensiero.
La musica quasi mai abbassa gli amori, ma li in-
nalza. Yi sono molti che non hanno potuto amare
che attraverso la musica e anche i più freddi
e volgari amatori hanno i loro quarti d' ora d' u-
mor vero e caldo e sublime; quando vedono o
dirò meglio ascoltano la voce della donna amata
attraverso un'. onda di armonia. In ogni caso poi
l'amore per influenza della musica si affina e si
sublima, per cui la lussuria diventa poesia, il de-
siderio si trasforma in adorazione ; e ognuno dei
due si trova più bello , quasi vedesse l' altro at-
traverso un vetro del color dell' ambra. Neil' a-
more che risente 1' estasi della musica direi che
le mani diventano ali, i corpi diventano pensieri;
e ogni colore si discioglie nell' azzurro , che di-
pinge quei due infiniti dell' alto e del basso, che
sono il cielo e il mare.
Se mi si ponesse questo problema:
r
^»i
LE ESTASI MUSICALI 219
Conie si può dire a una danna che noi Vamianw,
concentrando il massimo pudore colla passione più
ardente; come si può sciogliere questa quadratura
del cìrcolo di esprimere tutta V insaziabilità , e tutta
V imìnensità dei nostri desiderii senza offendere n^-
pur di lontana la piti virginea» pudicizia?
Io risponderei subito:
Colla musica.
In ciò ubbidienti ad una legge di biologia oo-
amica. É colla musica che il grillo e l'usignuolo,
la cicala e l'aquila fanno la loro dichiarazione di
amore. É colla musica che l'uomo può dire colla
voce più eloquente fra tutte: io ti amo.
Per molti uomini disposti alla melanconia 1' e
stasi musicale è sempre melanconica. Vi sono al-
cuni stati dell'animo, in cui anche un valzer dello
Strauss può renderci melanconici. D' altra parte
vi è della musica, che per la sua indole inspira a
tutti una melanconia soav^.
Nella mia Fisiologia del dolore, ho lungamente
parlato della melanconia, né mi starò a ripetere.
Mi basti il dire, che l'estasi musicale melanconica
220 GAPrroiiO xvn
è una tra le più soavi, tra le piil alte, e che può
far versare torrenti di lagrime, dolci come quelle
della voluttà.
Si possono con questi rapimenti guarire alcuni
tra i più forti dolori morali, si può perfino resti-
tuire la ragione a chi l' ha perduta. La potenza
curativa della musica è appena studiata e aprirà
orizzonti infiniti alle ricerche dell'avvenire.
Vestasi battagliera è di piccola durata, ed è più
rara delle due precedenti. Sotto forma di piccolo
rapimento è quella che spinge gli eserciti paurosi
contro il nemico, o contro gli spalti d'una citta-
della.
Le trombe, i tamburi e le bande militari sono
uno strumento di guerra quanto i cannoni e le
baionette, e molte volte la musica aiutò o diede
la vittoria. Anche tra i più rozzi selvaggi le donne
coi loro gridi e le loro conchiglie tubanti eccitano
i mariti alla lotta, e v'hanno momenti , nei quali
prima di tradurre l'emozione in lavoro, l'estasi si
verifica sotto forma di estoM mìisicale battagliera»
Anche fuori dei campi di battaglia, anche in-
LE ESTASI MUSICALI . 221
tomo ad un pianoforte, o nella sala di un con-
certo, nn nomo che sta per lottare contro uno dei
tanti nemici della vita, che si prepara a una hair
taglia politica o letteraria, pnò dalla musica rice<
vere coraggio e vigoria, e esaltandosi può giun-
gere a piccole estasi musicali e battagliere ad un
tempo.
Quando poi la tradizione storica dà un valore
politico a una data musica, essa può pesare con
tanta prepotenza sopra poche note, da renderla
irresistibile strumento di guerra. Anche la musica
ha un colore politico, anch^essa è una bandiera;
solo che invece di entrarci per gii occhi, ci parla
più direttamente e fortemente al cuore per la via
dell'orecchio.
Quanti inni fnron bagnati col sangue I Tutto ciò
• • • # •
che è umano, religione e patria, famiglia e arte,
prende pur troppo bagni di sangue; e così come
non v'ha nel nostro corpo organo o tessuto che
direttamente o indirettamente non riceva alimento
e vita dal sangue; così anche tutta la storia del-
l'umana famiglia è scritta col sangue; succo d'ogni
organismo, fermento d'ogni vita, calore d'ogni pas-
sione, nerbo ad ogni pensiero.
222 CAPITOLO XVII
L'ultima forma di estasi musicale è la più vaga,
la più ìudetermiuata, la più difficile a definirsi.
Sotto la sua influenza noi non ci sentiamo né
innamorati, né melanconici, né spinti a battaglie
di uomini o di cose, ma Siam portati in alto nella
regione dei sogni e vediamo e sogniamo mondi
nuovi con creature nuove; sempre però accompa-
gnati dall'armonia che ci trasporta e ci fa batter
Tali nelle regioni eteree e iridescenti del mondo
fantastico.
Queste estasi appartengono alla fantasia, e noi
ne parleremo più innanzi. Qui dovevano figurare
come rapimenti fantastici misti d'estasi musicale.
Capitolo XVIII.
LE ESTASI DEL PENSIERO.
La ricerca del vero. — Evoluzione di questo affetto dalla
curiosità alla religione e ali* estasi. — I rapimenti del labo-
ratorio. — L^estasi matematica. — L^estasì nella biblioteca. —
Osanna a tutti i minatori del vero.
Quanti nomini beati nascondono £ra le loro pa*-
reti i laboratorii e le biblioteche, le ofiBcine nelle
quali si interroga la natura e quelle altre dove
si scruta il passato! — Uomini beati, che forse
hanno a mala pena assicurato il pane quotidiano^
ohe bevono acqua perchè non hanno bisogno d'ai*
tra ebbrezza che di quella dello studio, che dor-^
mono soli, perchè alla scienza hanno perfino sa^
grificato 'la donna. Quei fortunati non invidiano
alcuno su questa terra, e hanno compassione dei
moltissimi, che con tanta fatica e così lontano cer-
cano ima felicità, che essi hanno saputo trovare
fra quattro pareti tappezzate di libri, o davanti
a un ndcroscopio, o a una bilancia. Come sem^
brano loro vili e spregevoli le volgari voluttà che
fiaccano il nerbo del pensiero e rendono displi-
*
centi le ore della stanchezza; come sembrano loro
Estasi umane. ^ U. 15
226 CAPITOLO xvia
vane cose le ricchezze^ gli onori; tiltto ciò ohe il
volgo apprezza e ricerca con avida bramai — Ma
perchè maledire la vita, imprecare alla Provvi-
denza, quando abbiamo alla portata dei nostri
occhi e delle nostre mani quel grande amore che
è la ricerca del vero?
Sì, è vero; queste gioie sono alla portata degli
occhi e delle mani, ma soltanto di certi occhi e
di certe mani. Solo i pochi eletti che del lavoro
fanno una passione, e che hanno la santa sete
del vero possono provare certi rapimenti ; ai più,
lavoro suona condanna, e l'idealità della vita con-
siste nel ridurre al minimo il travaglio. Parlate
dell'amore agli impotenti e non vi capiranno; can-
tate le estasi intellettuali agli eunuchi del pensiero,
ed essi rideranno di voi. Qualunque sia l'amore,
per amare conviene esser forti ; forti di giovinezza
o di sentimento, forti nei muscoli o nel pensiero.
L'amore è la ricchezza, e i deboli son sempre poveri.
tn nessun'altra passione l'individuo afferma la
sua autonomia, la sua indipendenza dalle altre
creature, quanto nella sete del vero. È codesto un
LE ESTASI DEL P£NBI£BO 227
egoismo sablime (se mi è lecito a significare un
concetto astraso fare questo incesto di due parole)
in cui rio afferma tutta la sua potenza, tutte le
sue attitudini, tutte le possibilità del proprio mi-
crocosmo. £) questa la passione più subiettiva fra
tutte.
Per amare ogni altra cosa animale e viva con-
viene essere in due o in molti. Oli affetti ardenti
che proviamo per la donna, per il figlio, per la
madre, per la patria, son sempre altruismi, nei
quali altre creature sono necessarie per farci felici;
e gran parte della nostra estasi è afftdata a condi-
zioni, esteriori, che noi non possiamo dominare colla
nostra volontà, dirigere col nostro desiderio. Quante
trepidazioni, quanti pericoli di arsura e di gran-
dine, di crittogame e di meteore, prima di portare
al covone la spiga, che noi abbiamo seminata e
bagnata del nostro sudore !
Nella ricerca del vero nessuna donna, nessun
figlio, nessuna moltitudine è necessaria. Il nostro
amore è un astro che è in noi, o nel cielo creato
da noi; il consenso altrui non è necessario, perchè
qnéìTaUrui è la x fredda come lo spazio, infinita
come lui. Non abbiamo bisogno di seduzioni, di
preghiere, di viltà. Quel cielo che vogliamo con-
quistare è a tutti aperto : vi sono astri per tutti
i telescopii, scoperte per tutti gli ingegni, gloria
228 CAPITOLO xvm
per tatte le ambizioni. Dipende da noi, da noi sol-
tanto il drizzare il nostro obbiettivo sa un punto
qualunque dello spazio; da noi solo dipende lo
scoprire un asteroide o un sole, una cometa o una
pleiade di mondi. Mai in nessun'altro caso noi sen-
tiamo tutto il valore di ciò che siamo, di ciò che
possiamo essere. •
L'ingegno umano che si afiferma ha dei soliloqui
sublimi, che forse nessuno ha scritto né scriverà
mai. Son brevi, sono intensi, corruscano di tuoni e
di fulmini. Solo i grandi ingegni li provano, per-
chè essi soli hanno la beata fede in sé stessi, né
esitano per sapere in qual punto dello spazio hanno
a drizzare lo sguardo, per ricercarvi quel vero ohe
sembra aspettarli. Chi ignora la zona del cielo che
deve esplorare é perché non è atto a scoprire al-
cuna parte di vero. L'America attendeva Colombo,
la mela aspettava Newton, e la lampada Galileo.
Così due creature che si hanno a stringere nel-
l'amplesso di un grande amore, nascono lontani
l'un dall'altro; ma s'incontrano e si assorbono.
Se il genio non fosse il frutto di alberi vissuti
LA BICEBCA DEL VBBO 229
lungamente in un ambiente ohe ne preparava i
germi, il sacco, i prolami; parrebbe all'esame su-
perficiale di chi osserva poco e male, che il genio
non abbia bisogno' di influenze esteriori ; ohe anzi
afifermi la propria potente individualità con tanto
pii\ d'energia quanto più contrarli abbia i venti,
quanto più avverse le circostanze. I venti ghiac-
ciati dell'indifferenza tentano di arrestarlo, i suc-
chi amari dello scherno, il ridicolo e l'invidia, il
sofisma e la calunnia tentano avvelenarlo, mor-
derlo, avvilirlo. Tutto invano : il vero è là, ed egli
là andrà. Quel territorio è suo, suo per diritto
divino ed umano. Arrestarsi sarebbe lo stesso di
voler impedire la caduta dei gravi, o far risalire i
fiumi alla sorgente. Nessun orgoglio più legittimo,
nessuna fede più incrollabile, nessuna vittoria più
sicura. Leggete le storie di tutti i grandi uomini,
di tutti i martiri del vero, da Archimede a Go«
lombo, da Oalileo a Lavoisier, e vi troverete que-
sta leggo ineluttabile che li guida al vero, dovesse
pure costar loro la povertà o la prigione, lo scherno
o la ghigliottina.
Tutti i grandi amori hanno martiri e suicidi; e
così li ha l'amor del vero, uno dei più grandi, dei
più tenaci che faccia battere il cuore e palpitare
il cervello. Anche la vita non diventa per questi
semidei della famiglia umana che il combustibile
230 CAPITOLO xvin
ohe devono consumare nella corsa lunga o breye
che li aspetta onde giungere alla meta desiata.
Dite ^ un grande lavoratore, a un martire della
biblioteca o del laboratorio , eh' egli accorcia la
vita, ch'egli si uccide, e tutti vi rideranno in fac-
cia. Tutti, con poche varianti, vi daranno la stessa
risposta del grande Pernel:
Tarn longa quiescendi tempora fata dahunt.
E più dolorosi e lunghi saranno i sagrifisii, più
tremendi gli ostacoli, e più gigante crescerà quel
divino amore del vero, che è uno dei titoli più
alti di nobiltà dell'umana schiatta. Le lunghe ri-
cerche vogliono che la donna sia dimenticata^ e
Eva tramonterà per sempre dal nostro cielo; le
notti hanno ad esser vegliate e il sonno sarà do-
mato. Il coro dei bambini festanti, le strette di
mano degli amici turbano la pace e il silenzio
necessario alla grande conquista, e noi staremo
lontani da ogni gaiezza di fanciulli, da ogni con-
versazione di amici giocondi. Certe scoperte esigono
che ogni ora della vita sia un pericolo o un'an-
goscia, e noi passeremo tutte le ore del giorno
nel miasma di cadaveri infetti, nell'atmosfera mor-
tifera degli ospedali; noi esploreremo le paludi
r
WS
LE ESTASI DEL PENSIBBO 231
delP Africa o (leirin<iia per cogliervi un nuovo flore,
o dissotterrarvi le rovine di un tempio obliato.
O santo : vero, o Dio degli eletti, tu hai voluto la
mia giovineaissa e i miei amori, tii mi hai chiesto
le feste dolisi primàtstfa e le sieste deirestate, tu
mi hai voluto stKapjìare i fiori dal capo, e io ti
ho dato gioventù, amori, profumi e ebbrezze della
vita; tutto io ti ho dato. E che altro vuoi avere?
Domanda e avjrai! — lo son tuo è per sempre,
*
Oli amori intensi non consentono altri amori, e
(quando la ricerca del vero è passione ed è reli-
gione; è afifetto ed è sete; è sentimento ed è pen-
siero; è adoraiione ed è culto; ambizione, gelosia,
fame di voluttà divcnitano pruriti che toccano ap-
pena l'epidermide. Chi ricerca il vero soltanto per
fame strumento di agiatezza o di gloria spera in-
vano le sante estasi ed i rapimenti ineffabili. Le
sue gioie saranno misurate dal plauso o dalla for-
tuna, due co.se capricciose e mutabili come gli \
uomini che le danno.
Preferisco cento volte la beata ignoranza del
lavoro alla pnirigine dei falsi lavoratori, che nella
I
332 CAPITOLO xviri
biblioteca o ael laboratorio. sognano o sperano le
umane vanità. Fi^i sacerdoti di una religione che
pon intendono e^QOu intenderanno mai; eretici di
una fede di cui non sono degni, non entreranno
mai nel paradiso dei veri santi del vero. Spesso
giungono perfino ad esser falsarli del vero, quando
giovi ad essi il far circolare una £alsa cambiale,
che inganna il volgo e spesso anche i volgari di-
spensatori del plauso e delle onoranze. Delinquenti
del vero, falsarli della buona fede, spesso si uni-
scono in consorterie accademiche, vere masnade
di briganti intellettuali, che rizzano falsi tempii
con falsi idoli, e là si incensano a vicenda, lasciando
fuori della chiesa i modesti sacerdoti della reli-
gione del vero. Tempi nefasti, nei quali questi
briganti possono organizzarsi ed esser forti; tempi
scellerati, nei quali il basso livello della coltura
e della fede permettono queste vergogne della
storia.
4e Hi
I primi germi dell' amor della scienza esistono
allo stato nascente in ogni uomo; dacché la cu-
riosità, che nel mito cristiano segna il primo pec-
1
LE ESTASI DEL PENSIERO 233
oato commesso nel Paradiso terrestre, è una forma
volgare, umana del bisogno di sapere, del prurito
irresistibile di cercar cose nuove e di trovarle.
Anche V animale è avido di cose nuove , e nel
breve giro delle sue possibilità fruga, indaga,
scruta, allargando ogni giorno i confini del proprio
orizzonte. Da queste forme crepuscolari la grande
passione sale, sale fino alle maggiori altezze del
pensabile. Nessun uomo è capace però di salire
tutte le vette del pensiero e ognuno nasce con
certi istrumenti, che lo rendono capace di ascen*
dere per certe scale e impotente a salirne altre.
Ohi sapesse ascenderle tutte non sarebbe più un
uomo, ma un Dio.
Il vero non è soltanto nel mondo della natura,
ma in quello della storia e delP arte , e si ha un
vero estetico , un vero morale , un vero che è la
critica della verità. Qualche ingegno eletto nac-
que a grande distanza di secoli capace di salire
due o tre vette della grande catena del conosci-
bile e il vero dell'arte non ha sempre impedito di
ricercare con passione il vero delle matematiche
o delle scienze fisiche e naturali.
Si ascendano però le cime dell' Imalaia, quelle
delle Alpi o delle Cordigliere, Testasi è eguale e
non si misura dal nome della cima che vogliamo
salire, ma dall'ardore della passione che ci tras-
234 CAPITOLO XVIU
porta lassù. In Asia, in Earopa, in America, a
tutte le più grandi altezze 1' aria è sempre para
egualmente, i miraggi sempre stupendi.
Chi potrai del resto comparare i rapimenti del
matematico con quelli dello storico, del natura-
lista, del psicologo? Converrebbe chiudere nel
proprio cervello tanti genii alati quanti ne ha
prodotti Fumana famiglia nella sua storia, ormai
già lunga e travagliata. Per poter istituire quel
confronto non basta più la trigonometria» ma si
esige una psicologia che è ancora ai primi vagiti;
occorrerebbero forse strumenti ancor non inventati
e che forse segneranno sulla carta le vibrazioni
più eccelse del pensiero e le più. profonde del
Bentìmento; così come, oggi possiamo trascrivere
con matematica esattezza i moti di un cuore che
pulsa, di un polmone che respira, di un muscolo
che si contrae, di una ghiandola che seceme.
Aspettando il gen;iQ poliaUil-o e gli strumenti non
nati, vediamo di segnare a grandi tratti le forme
più salienti; dell' estasi, che accompagna le altis-
sime gioie della ricerca del vero.
ESTASI DI LABOBATOBIO 235
* *
Nel laboratorio, dove si indagano i misteri della
vita, e nei piooolissimi movimenti delle piccolis-
sime cose si cercano quelle leggi, che un giorno
si troveranno eguali a quelle che muovono gli
astri nel cielo, ho passato ancor io gli anni più
belli della mia vita e le ore più deliziose dei
miei giorni. Là ho trovato anch'io qualche risposta
a domande a cui non avevano ancora risposto; e in
quell'ambiente silenzioso e sereno, che in tutto
ricorda l'aria di un tempio in^cui si prega, ho ve-
duto i primi rapimenti verginei di giovani disce-
poli, che sotto i miei occhi scoprivano nuovi veri.
Discepoli un giorno, oggi maestri miei; giovanetti
una volta, ora gloria d'Italia e il più caro fra gli
onori della mia canizie.
Fra gli altri non dimenticherò mai la vera estasi
a cui saliva Giulio Bizzozero, quando a dne metri
forse di distanza dal tavolo in cui io stava lavo-
rando, egli scopriva nel midollo delle ossa un
viscere che fabbrica il sangae. Eravamo soli e si
taceva, perchò ognuno esplorava la natura del-
l'infinitamente piccolo. L' occhio di entrambi in-
236 CAPITOLO xvm
tento sali' ooalare di quella seconda vista ohe è
il microscopio , affascinati da quello stramento
miracoloso, che d'ogni cellnla fia an astro, e d'ogni
frammento di materia viva un cielo. Bizzozero ad
nn tratto si alza, come di scatto, dal sao tavolo,
e mi porta nn portaoggetti, su cui stava nn prepa-
rato microscopico. Pochi centimetri di una lastra
di vetro e una gocciola d'acqua: tutto un mondo.
Egli su quel vetro, in quella gocciola d'acqua leggeva
un nuovo vero : in quel portaoggetti egli scorgeva
il primo raggio che gli apriva le vie della gloria.
Non aveva bisogno del mio consiglio, né della
mia luce; ma alle sue covinzioni voleva aggiungere
anche la mia. Il genio è sempre modesto, perchè
la modestia è il pudore della forza....
Sì, quei globuli son globuli rossi e son vecchi
e son chiusi entro un protoplasma che da ogni
parte li cinge.
Ebbene, caro professore, questo è midollo di
osso giovane e ;•....•.
. . . • e voi avete fatto una scoperta immor-
tale.
Bizzozero taceva e ritornava al suo tavolo e al
suo microscopio. Guardava e riguardava e poi a
mezz'aria aprofondava quegli occhi di aquila nel-
rorizzonte lontano, che gli si apriva dinanzi cosi
splendido, così infinito.
ESTASI DI LABO^TOBIO 237
Quante estasi di laboratorio si celano in ogni
officina di fisiologo, d'istologo, di chimico o di fi-
sico o d'altro indagatore dei segreti della natura!
Si celano agli occhi dei profani, ma sonp intime,
profonde, indescrivibili.
Mai o quasi mai la scoperta si trova come un
diamante perduto per via, ma si presente, si in-
dovina; ma si conquista con un andare e un ve-
nire, con un avanzaci e un ritornare sui propri
passi; si abbraccia dopo un lungo Calvario di
dubbiezze, di tentennamenti, di prove e di riprove ;
diciamolo pure, spesso dopo un lungo martirio di
angoscie e di timori.
Davanti a noi le tenebre dell'ignoto, e queste
tenebre non si sono lasciate rischiarare dal più
debole barlume di luce , anche dopo il lungo at-
trito di lunghissime meditazioni. ]!fou sappiamo
se la strada sia a destra o a sinistra, se si debba
scendere o salire. Ma ecco che a un ti'atto quelle
tenebre si squarciano e un lampo, un lampo solo
di fugacissima luce , ci addita la via. É la divi-
238 CAPITOLO XVIII
nazione del genio, è lo scatto elettrico della langa
tensione del dubbio.
La strada è là, è là in fondo dinanzi a noi,
ma e per andarvi come si fa? — La^lnoe del
lampo è svanita. Alla divinazione deve tener dietro
la ricerca ; la ricerca lenta, paziente, instancabile,
e solo quando slam giunti al fine della via, e
che mettiamo la mano tutta intiera, larga e avida
di possesso, su quel gioiello di vero che avevamo
intraveduto, indovinato, presentito; è allora sol-
tanto che chiudendo il pugno proviamo l' estasi
suprema del possesso pieno, della conquista legit-
tima e meritata del prezioso tesorp.
E poi il volgo osa dire che a fare un uomo di
scienza basta lo sgobbare paziente del bue che tira,
dell'asino che gira intorno alla pietra del mulino!
Se ogni uomo non parlasse che di ciò ch'egli
conosce, quanto fiato risparmiato, quante bestem-
mie di meno, quanta giustizia di più!
Nei laboratorii e nei musei vi sono emozioni, vi
è poesia, vi è tutto un mondo di estasi serene
da avanzare le voluttà del talamo, e i rapimenti
WBdÉìÉH^H
L'ESTASI MATEMATICA 239
della chiesa. É vero pero che i laboratorii, in cai
santamente si cerca il vero, sono talami, perchè
fecondano gli ingegni e i campi della scienza;
sono chiese, perchè vi si adora an Dio che non
avrà mai miscredenti.
Le ricerche dei campi matematici mi danno 1
brividi dell'ammirazione al solo pensarle, e io le
venero in ginocchio, come gli ebrei adoravano il
Sancta sanctortim del loro tempio, dove non po-
tevano entrare senza cader fulminati.
Un uomo che ricerca il come e il perchè di
tutte le cose e che sale tanto in alto da ridurre
tutte le cose esistenti e le pensabili , a punti, a
linee e a segni ancor più incorporei del numero ;
e giucca e scherza con quei punti e quelle linee
e quei segni come con giocatoli da bambino,
mentre essi sono l'anima delle cose. Un uomo che
senza macchine e senza strumenti, con una ma-
tita 0 un frammento di gesso schiera davanti a
sé i rapporti delle cose e li fa parlare colla forza
magica del proprio ingegno; e vede quei segni,
quelle linee muoversi come per incanto davanti
a lui e parlare , svelando le leggi di un mondo
240 CAPItOLO XVltl
invisibile agli occhi dei più e ohe pur governa
quell'altro mondo ohe tutti vediamo e tooohiamOé
Gli astri, per lontani e grandi che siano, sono
sempre materia spregievole agli occhi del mate-
matico, perchè egli può applicare la veste delle
sue formolo all'universo e all'infinito. E dallo zero
all'infinito quell'uomo mago, in un pezzo di carta
forse non pia grande del palmo della mano , di«
rigo e governa il mondo delle quaMità^ rivincendo
le astrazioni del pensiero a segni che governano
tutte le cose create. Quei pochi sgorbii , quelle
povere lettere dell' alfabeto separate da un + o
da un — imporranno domani la loro indiscutibile
tirannia alla ruota di Un arrotino o al va e vieni
di uno stantuffo, così come alla rotazione degli
astri e alle vibrazioni dell'etere.
Un matematico può vantarsi di portar nella pro-
pria tasca la legislazione dell'universo. Ogni for-
mula nuova, Che egli scopre sulla punta della ma-
tita, è una chiave che apre un nuovo mondo; e
finché il chimico, il fisico e quell'altro fisico che
è il biologo non ottengano dal matematico licenza
di formulare con quei + e quei — e con quelle
lettere dell' alfabeto un fenomeno, questo pub es-
sere intra vveduto , ma non è cosa nostra; non è
materiale sicuro con cui si possa rizzare un murò
o una casa»
=1
L' ESCASI MA1:£])1ÀTICA 241
■ _
La matematica prevede il fenomeno non veduto,
e corregge o consacra il fenomeno intraveduto ; è
la pietra di paragone che senza errore distingue
Toro dal similoro e che battezza i travagli degli
uomini, che distingue i figli legittimi dai bastardi.
Il numero è faro di luce, che spia l'orizzonte e ci
rivela mondi nuovi, ed è lente ohe distingue il
fantasma dal corpo, il pensabile dal pensato. Tal-
lucinazione dalla visione. 11 numero, se non è il
più bello, è il più grande dei tesori umani, è la
più grande delle nostre conquiste. L' uomo non
afferma mai tutta la propria grandezza, tutta la
capacità sua, quanto in una formula. Forse i se*
coli futuri troveranno spregevoli molte opere d'arte
dinanzi a cui oggi ci inchiniamo, ma il polinomio
di Newton governerà uomini e cose, finché il oer*
vello umano avrà la struttura anatomica che ha
oggi-
I matematici non sono spesso eloquenti, e non
hanno neppure bisogno deU' eloquenza. -^ Qual
periodo di Demostene o di Cicerone potrebbe aver
l'efficacia di una formula, qual lingua potrebbe
esprimere meglio la verità delle cosel — Auguro
però all'umana famiglia che un matematico futuro
abbia a nascere così espansivo e così eloquènte
da narrarci le sante estasi della lavagna; dove le
x,ley ei coseni devono sembrar più belli al cèr*
Estaai umane. — U. 16
242 CAPITOLO XVIII
vello umano della Frine e di Venere; dove l'uomo
deve sentirsi eguale al Dio deUa Bibbia, che con
un motto solo separava le acque dalla terra , e
convertiva il caos in un mondo di ordine e di
misura.
Non men belle, non meno grandi devono essere
le estasi dello storico, del psicologo, del crìtico,
che ricercano il vero fra le rovine del passato, nei
labirinti del pensiero e delle biblioteche.
La santa incontentabilità del pensatore ci spinge
a ricercare il vero fra le tenebre di tutte queste
fitte ignoranze; e noi ad ogni tratto troviamo tanti
viluppi di errori, tanti roveti di falsi battesimi,
tanta confusione di cose e di parole da rìmanerue
confusi ed avviliti. Il volgo cammina inconscio o
spensierato sopra ponti in rovina, e dorme tran-
quillo sotto le vòlte di edifizii, che devono crollare
da un momento all'altro ; ma noi non siamo volgo
e non sappiamo accontentarci di quei ponti e di
quelli edifizii. Alle impalcature posticcie o tarlate
noi vogliamo sostituire ponti di granito e colonne
di marmo. — Questo è falso, quest'altro è dubbio, o
LA LAMPADA DELLO STUDIOSO 243
incerto, o disoatibile. — Al brutale e bestiale di-
lemma del 8Ì e del no noi sostituiamo cento e
mille pietre di paragone, ohe danno per ogni lega
il valore reale del nobile metallo; in luogo dei
dogmi del feticismo mettiamo tutte le infinite gra-
dazioni del vero. Per il volgo ogni cosa mangia-
bile è dolce o amara, ogni cosa toccabile è dura
o molle; per ogni cosa visibile non ha che luce
o tenebre, bene o male, gioia o dolore. Noi invece
abbiamo per ogni senso cento nervi, e per ogni
nervo cento e mille possibilità. Quanti raddoppia-
menti dell'uomo, quante moltiplicazioni miracolose
di rapporti e di antitesi, quanti intrecci ammirandi
di fila infinite!
E spesso noi, dopo le lunghe e pazienti e in-
stancabili e sudate ricerche, vediamo tutta quanta
la orditura delle cose messa a nudo dalle nostre
dita intelligenti ed operose; e quasi fossimo noi
i creatori di quell'ordine vero, di quelle verità
ordinate, sentiamo Pestasi del vero che noi ab-
biamo messo a nudo colPopera nostra. Scopritori
come Colombo, legislatori come Solone, rivelatori
come Galileo o come Lavoisier, contempliamo cogli
occhi affascinati quella seconda creazione, che
porta alla luce del sole tesori sepolti e obliati da
secoli.
Nel sacro silenzio delle biblioteche vi son certe
244 OAPItOLO XVIH
mani augeliohe, ohe tremano e sudano sui codici
e che toooano colla riverenza con cui il sacerdote
maneggia l'ostia consacrata. Yi sono certe palpita-
zioni di cuore dell'erudito, ch'egli non invidia ad
alcun petto innamorato di uomo o di donna, e
che non potrebbero rassomigliarsi che alle trepide
ansie del minatore, che col martello e lo scalpello
segue il filone di una miniera sconosciuta. Vi son
certe estasi dinanzi alla lampada dello studioso
negli arcani travagU delle ore notturne, che son
ben più alte di tutte le voluttà della terra.
Osanna e gloria a tutti i minatori del vero, sia
che lo ricerchino col tubo d'un microscopio, o sulla
lavagna del matematico, o fra i volumi delle bi-
blioteche; osanna e gloria a tutti questi estatici
del pensiero, che preparano ai figli lontani la nuova
religione senza simonie e senza menzogne; piena
di poesia, perchè figlia della creazUme; piena di
idealità, perchè questa non è né sarà mai che il
superlativo del vero, del bello e del buono.
Capitolo XIX.
LE ESTASI DELLA FANTASIA.
Gli abissi del profondo e delPalto. — Il nanismo e il giganti-
smo nei voli fantasiosi. — Estasi artificiali e spontanee ; sem-
plici e complesse della fantasia. — Possibilità dell'avvenire.
Gli abissi non si aprono soltanto nelle fessure
profonde dei ghiacciai e lungo i fianchi dei monti:
ben altri abissi troviamo al di là delle nuvole^ al
di là dell'aria respirabile, al di là del mondo vi-
sibile agli occhi nudi, o armati di telescopio. Sono
gli abissi del pensabile, dove Fumana fantasia ama
volare estatica, quasi a prendere un po' di fiato
in un mondo migliore.
La fantasia è la più alata delle creature umane,
e batte le sue grandi ali in un mondo più largo,
più alto, più profondo di quello che è segnato
dagli obiettivi dei nostri telescopii. Pur troppo
però quel mondo non è fatto che coi fiori, coi co-
lori, colle gemme del mondo visibile e palpabile.
È immagine vecchia, ma nessun'altra più fedel-
mente rappresenta l'umana fantasia: essa è un
caleidoscopio che converte ad ogni movimento in
248 CAPITOLO XTX
fluire fantastiche, in castelli splendidissimi pochi
frammenti di vetri, di piarne, di pietruzze.
TI poeta serba all'immortaliti alcnne fra le piii
belle immagini del sno caleidoscopio, e per molti
e molti secoli noi rivediamo le fantasie pensate dai
cervelli più potenti, dalle fantasie più alate. Una
piccolissima parte soltanto di qaelle imma^^ni è
■
fermata dalla fotografia della memoria, e anche
il poeta più fecondo non serba a sé e ai posteri |
che una fra molte delle fantasie che passano e
ripassano davanti agli occhi della sua mente. E
poi vi son molti e molti che non hanno mai scritto
il più innocente sonetto, neppnre un madrigale per
nozze ; eppure, almeno in qualche giorno della lóro
giovinezza, ebbero le loro visioni. Molti sono come
il gatto, che non è grazioso che quando è bam-
bino, sono come l'usignuolo ohe non canta che nelle
brevi settimane de' suoi amori. Altri, senz' e«ser
poeti, possono col solo chiuder gli occhi, e un
piccolo colpo di sprone alla loro fantasia, veder
passare davanti agli occhi epopee d'immagini, di-
tirambi comici e sublimi di figure, di forme, dì
colorì. Goethe ha studiato in sé questa facoM;
ma molti la posseggono, senz'avere il genio del-
l'autore del Faust e di Ifigenia.
In alcuni le fantasie son tutte di colori; son
danze scapigliate di raggi, di aureole, dì iridi, di
LE ESTASI DELLA FANTASIA 249
fnoobì, di fiamme. Se il mio diletto amico Edmondo
De Amifìis ha visioni oaleidosoopiohe, deve averle
di questa natara, tanto egli è colorista, e come Ini
devono averle anche i grandi pittori della scuola
veneziana.
E ohi adora la donna sopra ogni altra creatura
deve sognare olimpi infiniti così ricchi di linee
curve e rosee da far impallidire i zenanu dei sul-
tani di Bagdad, di Delhi e di Lucknow.
E chi vive di simmetrie, e di esse si innamora
come dell'espressione più fedele e più plastica del
vero, deve sognare mondi più simmetrici dei tipi
cristallini del mineralogista, e geometrie più per-
fette dell'architettura greca, e inebbriarsi di linee
e di angoli, che non sanno deviar l'un dall'altro
d'un millesimo di grado.
E così ciascuno sogna le sue fantasie, secondo
la natura del proprio cervello e l'eccitamento par-
ticolare in cui si trova; dacché la nostra imma-
ginazione può, colla. stessa facilità di un cannoc-
chiale che alternativamente si prendesse per l'ocu-
lare o per l'obiettivo, ingrandire all'infinito le cose
o impicciolirle infinitamente. Lo stesso mondo re«ale
diviene una fantasia col solo fatto di essere ingran-
dito di mille, di centomila, di un milione di volte,
o di essere impicciolito nella stessa misura. Il Par-
tenone chiuso nel ditale di una donna è un mo«
260 CAPITOLO XIX
8tro del mìcrooosmo fantastico; così come una
violetta granile come il sole è un mostro del ma^
crocosmo. La proporzione delle cose è tale un ele-
mento di esse, da bastare a deformarle, a trasfor-
marle in altrettante creature quanti sono i diversi
ingrandimenti e i diversi impicciolimenti. E que-
sto è uno dei più facili giuochi della fantasia, una
delle prime lettere del suo alfabeto. I giganti e i
nani, i Oolia e i Lilliputti, che trovate con diversi
nomi in tutte le mitologie e in tutte le lettera-
ture del mondo, sono giuochi di questa natura.
* 4t
L'impicciolire le cose grandissime le avvicina a
noi, rendendole più carine e risvegliando in noi
il desiderio di possederle.
Una noce che contenga un mondo è un sogno
sognato fin dai fanciulli, e un popolo intiero di
uomini divenuti grandi come formiche e che pos-
Siam chiudere nel cassetto è una fantasia pensata
da mille uomini in tèmpi diversi. E veder chiusi
in un bottoncino di rosa di maggio tutta una le-
gione di fanciulle rosee come i suoi petali è sogno
di giovinetti casti e ebbri d'amore.
LE ESTASI DELLA FANTASIA 251
Quando si avrà un'estetica scientifica si leggerà
un capitolo in cui si discorrerà : D^l nanismo e del
(jfiganUsmo delle cose nei loro rapporti col hello.
*
* *
Più facile, più giocondo alla fantasia è però
l'ingrandire le cose piccole, e gli Dei d'ogni Olimpo
furono sempre giganti creati col guardare nel mi-
croscopio e nel telescopio attraverso l'oculare.
A questi ingrandimenti non v'ha limite di mi-
sura. D meno fantasioso di noi può figurarsi, in
un baleno, ohe gli astri del cielo non sono che
globuli di sangue che si muovono nei vasi capil-
lari di un organismo fra i più piccoli di uno dei
più piccoli mondi dell'universo ; e che piante, ani-
mali e nomini non sono che parassiti infinitamente
piccoli di quei globetti. E i milioni di secoli d'in-
candescenssa degli astri non sono che combustioni
istantanee, ossidazioni di materia nella vita di
miliardi di secoli di quell'organismo, ohe è forse
studiato sotto ad un microscopio da una creatura
un milione di volte maggiore di lui.
252 CAPITOLO XIX
Dacché Va e l'u delle cose e del tempo sfiiggODO
al pensiero umano (e in ciò genìi e volgo sono
allo stesso livello d'ignoranza), noi possiamo, gìno-
cando il giuoco delle scatoline di Benares, supporre
ohe la millesima e piti piccola scatolina concen-
trica contenga un altro milione di scatole mi-
nori; così come possiamo immaginare che la sca-
tola più grande che tutte le contiene sia più grande
dell'universo pensabile. Nulla è nel mondo, e per
l'uomo, grande o piccolo; tutto è piccolo o grande,
secondo la posizione in cui collochiamo le cose che
vogliamo misurare, cioè comparare.
Che se al nanismo e al gigantismo delle cose
voi aggiungete le mille altre combinazioni del co-
lore, della figura, della forma, e gli intrecci sva-
riatissimi di tutti questi elementi, voi capirete
facilmente di quanto materiale disponga la nostra
fantasia, quando, agitando il proprio caleidosco-
pio, contempla le creature immaginarie di un
mondo immaginario.
..^A
LE ESTASI DELLA FANTASIA 253
Ogni notizia raccolta negli archivi del passato,
ogni foglia, ogni fiore colto nei giardini della terra,
ogni fatto nuovo spigolato dalla scienza, aggiunge
al caleidoscopio un nuovo frammento di materia,
con nuove tinte di colori, e le combinazioni pos-
sibili della fantasia si moltiplicano all'infinito.
Le centomila fiabe scritte in tutte le letterature
del mondo non sono che una piccolissima parte
di ciò che fu pensato dagli scrittori fantasiosi, e
ogni pianeta del nostro sistema solare e ogni
astro del cielo potrebbe avere una storia fanta-
stica di creature nuove, di nuove piante, di esseri
nò piante né animali, e queste fiabe planetarie
potrebbero divertirci e riposare il pensiero assai
più che Tanalisi minuta del fango in cui razzo-
lano molti uomini della terra.
* «
L'uomo nato senz'ali può per alcune ore darsi
l'ebbrezza del volo, confidandosi aUa navicella
d*un aerostato. E così l'uomo che ha fiacche le
ali della fantasia può renderle robuste ooU'oppiQ
ooll'haschisch, colla coca, con tutti i narcotici da
me studiati nei Quadri détta natura umana, e go-
dersi così in modo artificiale le estasi della fan-
254 CAPITOLO XIX
tasia. Queste visioni provocate sono anzi più ric-
che di forme e di colori di quelle ohe occorrono
pontauee e costituiscono la massima gioia^ la de-
lizia prima di forse mezza l'umana famiglia, di
quella che abita V emisfero orientale del nostro
pianeta.
I popoli iconoclasti, togliendo ai pittori e agli
scultori la licenza di rappresentare V nomo e gli
animali, hanno moltiplicato all'infinito la fecon-
dità ornamentale dei loro artisti, e nessun ornato
greco o del rinascimento ha mai eguagliato gli
intagli stupendi dei templi musulmani o brami-
nici. E così i ricchi fantasiosi d'Oriente, non spen-
dendo alcuna forza nelle lotte del pensiero e nelle
battaglie della vita, hanno concentrato tutte le
loro energie psichiche nella fantasia. La poesia
in Oriente risente di questa sovraecoitazione, e nei
poeti della Persia e dell'India è facile trovare Tin-
fluenza dell'oppio e dell' haschisch.
*
* *
liare volte però Y estasi fantastica , anche se
spontanea, deve le sue delizie soltanto ai voli della
fantasia, ma si complica con altri elementi aifet-
LE ESTASI DELLA FANTASIA 255
tivi o estatici. Le visioni ascetiche sono anch'esse
fantastiche, ma la sorbente da cui scaturiscono
è per sé sola nn tale elemento da dar impronta
specialissima all'estasi, come già abbiamo lunga-
mente veduto nello studio delle sante estatiche.
Così il poeta, innamorato di certe forme dell'i-
deale, è rapito in estasi, quando la volontà non può
impossessarsi delle creature alate, che gli vanno
roteando intorno alla fronte gloriosa. Quando
s' impadronisce di esse , quando pur fremendo le
incatena ai suoi piedi, e le descrive e le intreccia
in gruppi e in ghirlande, l'estasi si trasforma in
creazione, le forme indistinte e vaghe si cristal-
lizzano nella parola o nel verso. La voluttà e l'e-
stasi, le due forse pid alte cime del mondo umano
nel campo delle sensazioni e in quello del pen-
siero, non possono aver parole che ce le dipinga
nò frase scientifica che ce le descriva. Voluttà e
estasi son creature nude e alate; ma anche la
nudità e l' ala sono senza colore e senza forma.
Quando la parola è riuscita a vestirle, esse sono
morte. Sono farfalle infilzate da uno spillo , sono
paradisee impagliate, colibrì imbottiti, stelle di-
stese sugli atlanti astronomici; son gusci di una
creatura che pia non esiste.
Non disperiamo però dell'avvenire della scienza,
che ha ad essere infinita come infinito è l'abisso
366 CAPITOLO XIX
della nostra ìgnorauza, come iuoommeiisiirabile è la
corda dei nostri desiderii. La fotografia nata ieri
non è forse già riuscita a fermar sulla carta il
convulso spumeggiar dell'onda, il galoppo del
cavallo, la corsa di una palla di cannone? E per-
chè un giorno una lastra sensibile come i nostri
cervelli non potrà serbare l'immagine delle vibra*
zioni nervose di un'estasi e di una voluttà t
Un fenomeno psichico, per quanto alto, oscuru,
complesso , fugacissimo, è però sempre un movi*
mento, nuU'altro che un movimento ; e quando si
riesce a trasformarlo in una reazione chimica, che
si fìssi e divenga permanente, l'equazione è conqui-
stata, e il secondo termine di essa, corrispondendo
al primo, ne deve risvegliare l'immagine nella mente
umana. £} in questo modo che una musica caii*
tata diviene col fonofrago una musica scritta, un
palpito d' amore diviene nel filo telegrafico una
parola scritta: è in questo modo che attraverso
i secoli l'anima umana trema ancora commossa al
fiat lux di Jeova , al ta quoque, fiU mi , di Oiolio
Cesare, e al motto poco accademico, ma sublime,
di Cambronne.
Capitolo XX.
LE ESTASI DELL'ELOQUENZA.
A proposito del Padre Agostino. — La parola scritta e la
parola parlata : differenze. — Onnipotenza della parola e suoi
j)ercliè. — L'oratore e il suo pubblico. — Estasi reciproche. —
Orfeo.
Estasi itmarie. — II. 17
Anch'io quest'aano, in ano degli ultimi giorni
della quaresima me n'andai a Pisa per ascoltare
il Padre Agostino, ohe da più d'un mese affasci-
nava e rapiva dall'alto del pulpito del Duomo le
moltitudini. Gente venuta da centinaia di miglia
accampava sulla piaz/ia per aspettare l'ora in cui
si sarebbero aperte le porte della cattedrale;
scienziati miscredenti lasciavano la cattedra per
udire un povero frate, ohe parlava di un Dio in
cui essi non credevano. Nelle botteghe e nei
cafE% e nei teatri e nei giornali non si parlava
che del grande predicatore , e l' entusiasmo era
arrivato a quel punto , in cui la discussione non
è tollerata.
Questi miracoli non sanno fare che i forti, e
anch' io lasciai la cattedra , il Museo , le geniali
conversazioni degli amici di Firenze per udire
la parola del frate, per ammirare una forza.
260 CAPITOLO XX
Io non voglio disoatere qui l'eloquenza o la&-
oondia di Frate Agostino; noto soltanto il fatto
ohe la parola di lui attraeva e conquistava ogni
giorno migliaia di uomini d'ogni età, d'ogni sesso,
della più divetìs^a coltura. Io vidi piangere uomini
e donne e all'uscir della chiesa vidi abbracciarsi
e stringer le destre gente che non s'era mai vista,
bisognosi di comunicare ad altri la piena dell'e-
mozione che li innondava e li soffocava. Io assi-
steva ad una scena, che si è ripetuta più volte
nelle pagine della storia: la parola di un uomo
che fa abbattere idoli antichi e ne innalza di
nuovi ; la parola di un uomo , che impone ad nn
popolo intiero la fede o l' anatema , la guerra o
la pace.
Possiamo dire , senza esagerare, che la parola
è , se non la prima , una deUe primissime forze
del mondo moderno. É nei parlamenti ohe si
fanno le leggi e parlamento deriva dal verbo |>ar-
lare, È dal pulpito che si tiene ancor viva in gran
parte del popolo una fede infiacchita da lunghi
secoli di lotta; è dalle cattedre che si insegnano
LE ESTASI DELL'ELOQUENZA 261
le teorìe filosofiche, le ipotesi della scienza; V in-
dirìzzo dei metodi.
Nei comizi popolari si adula o si vitapera il
governo e si battezzano i candidati alla sovra-
nità popolare, e nei parlamenti è colla parola
che si consacrano i generali, e i bassi nfficiali; e
dal banco dei ministri è ancora la parola che
riesce a far passare il paradosso, a far applaudire
la menzogna, a consacrare il sofisma. Golia pa-
rola si può osar tutto, e conquistata la vittoria
nessuno le fa il processo per discuterla o cancel-
larla dalla storia.
tà come per la guerra : chiamatela pure l' in-
giustissima fra le ingiustizie, chiamatela pure
violenza, diritto del più forte; ma è colla guerra
che si conquista la civiltà, è colla guerra che si
difende il diritto; perchè essa è la somma di
tutte le forze d'un popolo.
Così la parola parlata è un' altra prepotenza
d'ordine morale, ma è la somma di cento e cento
forze, e chi la possiede e l' adopera è forte e
avrà sempre ragione contro i deboli.
Kon crediate che io voglia giustificare le pre-
potenze , sieno desse imposte col tuono dei can-
noni 0 della eloquenza, delle baionette o della
parola affascinante. Constato il fatto e lo studio.
La critica della scienza e i pudori della morale
262 CAPITOLO XX
non hanno mai limato il dente alla tigre, né reso
innocuo il veleno della vipera; e vipere e tigri
nascono senza il nostro consenso. Negare la forza
è chiudere gli occhi per non vedere V assassino,
e vai meglio cento volte affermarla, e studiarla^
per vedere fin dove essa vada a braccetto col
diritto, e dove essa lo abbandoni.
Le parola parlata è onnipotente, perchè è pen-
siero ed è sentimento , perchè essa ci entra per
le orecchie, per gli occhi, per la mente, e ci ab-
braccia e ci stringe fra le spire d' una triplice
schiera di forze. La parola scritta è fortezza
che difende, è punto d' appoggio per le truppe
combattenti, è rifugio ai vinti e sostegno ai vin-
citori. La parola parlata è fanteria che trascina
le masse nemiche, è artiglieria ohe le scompiglia,
è cavalleria che le disperde. La parola parlata è
soffio umano che è mosso dal pensiero, ma che è
riscaldato dal cuore, che è vestito di carni, che
riscalda e sconvolge in una volta sola il nostro
pensiero, il nostro cuore; che fa vibrare tutto ciò
che è in noi di umano.
Pensiero che persuade, sentimento che affa-
LE ESTASI DELL'ELOQUENZA 263
soina, vooe^ohe innamora: e oome resistere a tante
e così diverse forze , che oi danno l' assalto in
nna volta sola?
Leggete Bossnet. Massillon, Boardaloae» Demo-
stene, Cicerone, Mirabeau, O* Connell, Minghetti,
Mancini, Gastelar, e voi non avrete che una pallida
idea della terribile potenza di qaesti oratori. Voi
non avete sotto gli occhi che lo scheletro di un
corpo venasto; e chi potrebbe innamorarsi delle
ossa di Frine o della Madonna della Seggiola?
La parola parlata non si conserva dai migliori
stenografi del mondo che come nna pallida om-
bra di nn corpo vivo. L' eloquenza della parola
non ha fotografo che ce la dipinga : essa vive
nell' aria e passa dal labbro al onore , senza che
alcnn strumento umano l' arresti o la conservi.
Lastre iodurate e fonografi, matite di stenografi
e memorie magliabechiane, vengono meno all'au-
dace impresa. Lo stesso sarebbe voler fissare
sulla tela o sulla carta l' aria dorata o imbalsa-
mata di un dì di maggio. Voi la respirate, voi
ve ne inebbriate e vi basti. A chi più voglia ser-
vite conserva di sole, e iridi imbalsamate.
2G4 CAPITOLO XX
Avete voi mai pensato a ciò che è la parola
eloquente d'un uomo ispirato; sia poi sacerdote
nel tempio o oratore in quell'altro tempio che è
la scuola o tribuno in parlamento? Avete voi
mai pensato a tutta quella falange di forze, che
prepara quel fulmine, che atterra e che consola^
che uccide o semina la vita?
Si nasce oratori, ma non si dominano le turbe
ohe coi primi capelli bianchi , quando attraverso
i nervi nostri tutte le creature morte e viventi
hanno inviata la loro voce e il loro pensiero. Le
passioni devono avere dato i primi morsi, noi
dobbiamo aver pianto e aver riso ; noi dob-
biamo aver accarezzato il capo innocente dei
bambini e dobbiamo aver sentito correrci per le
spalle r onda elettrica delle chiome di Eva , noi
dobbiamo aver gustato l' amaro dei veleni del
cuore e assaporato il nettare dei calici fioriti. E
poi tutto questo non sarà che la veste del pen-
siero, ma la mente di cento pensatori deve aver
pensato con noi, e senza cessare di essere noi,
dobbiamo sentirci fratelli di tutti gli uomini che
hanno scalato 1' Olimpo. Conoscitori profondi del
mondo dei morti noi dobbiamo vivere la vita dei
vivi , e leggere nelle coscienze , e nei volti degli
uomini interpretare i palpiti del cuore celato.
L'oratore che non sia legato per nervi invisibili
LE ESTASI dell'eloquenza 265
con tatti coloro che ascoltano, non è oratore
uè lo sarà mai. Ogni accento sno deve rispon-
dere al cuore d' ognuno che lo ascolta ed egli
ha a sentire in una volta sola tutte le emozioni che
risveglia la sua parola calda e ispirata. E più
sono i cuori che vibrano insieme a lui, e più alta
sale la sua eloquenza; e ce lo ha detto da molti
secoli uno dei primi oratori di Boma : non est mor
fffius orator, sine multitudine audiente, e con parole
poco diverse lo ripeteva Tacito.
* *
Sian pur cento, sian mille o diecimila gli ascol-
tatori, essi devono essere tutti conquistati dal-
l'oratore,, e finché egli non li ha tutti quanti af-
fascinati e fiisi in una sola e compatta indivi-
dualità , che si chiama un pubblico vinto; 1' ora-
tore non può aspirare all'estasi né per sé né per
gli altri. Egli é il pubblico hanno ad esser due
creature che si avvicinano, che si attirano reci-
procamente, finché un amplesso unico e potente
non li fonda in una creatura sola.
Finché le monadi disperse non sono tutte ele-
trizzate colla stessa corrente, finché gli individui
266 CAPITOLO XX
esistono isolati; avrete correnti di simpatia, gia-
dioi, critici, ascoltatori; non an esercito di vinti.
E l'oratore vede e sente la dispersione della tor
lange che vuol conquistare e come ipnotizzatore
abile li domina ad uno ad ano o per grappi, fin-
ché non li abbia tatti avvinti e fatti saoi. E l'ora-
tore legge negli occhi e nei gesti, nel silenzio e
nei sospiri l'invadente conquista ch'egli va com-
piendo, e la parola sua si fa sempre più calda,
più ardente; finché i mille o diecimila sono dive-
nuti due soli uomini; uno dalle mille teste, uno
da una testa sola. — Un uomo che parla, un uomo
che ascolta, un uomo che conquista e un uomo
che è conquistato, un uomo che prostra e un
uomo ohe ammira; due coscienze umane che si
specchiano l' una nell'altra, che si amano, che si
abbracciano in un lungo e voluttuoso amplesso.
Ogni parola dell'oratore ha un eco, che si riper-
CQte mille e mille volte nel pensiero e nel cuore
di tutti: ogni suo gesto tocca, accarezza, scuote
o addormenta tutta quella legione di anime. Una
battaglia di forze morali, e una grande vittoria.
Una grande vittoria e mille vinti, ma senza umi-
liazione di alcun orgoglio. Da una parte la luce
che illumina, il calore che riscalda, la forza che
trascina ; dall' altra i palpiti umani di chi sente
interpretati i pensieri suoi da un uomo solo, ohe
LE ESTASI DELL'ELOQUENZA 267
V
è nomo come lui e che assorbe i pensieri e i sen-
timenti di tutti e li canta con una voce sola.
Quel fascino è ipnotismo ed è estasi; impallidi-
scono 0 arrossano i volti, e un moto inconscio
degli occhi, delle membra avvicina quegli uomini
divenuti un uomo solo a quelle labbra che sem-
brano parlare in nome di tutti, e in nome di tutti
sentire e piangere e sdegnarsi e amare e odiare
e sperare e maledire.
Estatico chi ascolta; estatico chi parla; una
delle scene più grandiose e più sublimi del mondo
umano. La vita degli individui fusa e incarnata
nella vita di un solo, che per tutti parla, per tutti
si commuove e comanda e vuole. Nessuna contrad-
dizione possibile, nessuna interruzione, nessuna
velleità di resistenze.
Che mostro !
Ohe angelo !
Che fascino !
Quanta armonia !
Quanto sentimento !
Quanto genio !
Ma quelVuomo è un Dio! Come può egli aver torto?
Tutto quanto egli dice è vero, è sublime ; noi lo ah-
ìnamo tutti pensato, ma nessuno di noi lo ha detto mai
come egli lo sa dire.
B in alcuni istanti di riposo gli ascoltatori si
268 CAPITOLO XX
guardano negli occhi per leggervi lo stesso fa-
scino, la stessa emozione, lo stesso inno di ammi-
razione; finché scoppiano gli applausi irresistibili
o un mormorio confuso che si fa fioco per paura
di perdere una goccia di quel torrente. Una nota
di quell'armonia fa persuaso l'oratore che la fusione
dei cuori è avvenuta, che nel tempio, o nella scuola,
o nella piazza, o nell'aula del parlamento, non vi
sono più che due uomini che si adorano, che son
felici di godere tanta emozione, che son superbi
di sentir tanto, di poter piangere tanto, di poter
tanto pensare nel baleno di un istante che fugge
lontano ad ogni parola, ad ogni gesto, ad ogni
grido di sdegno o di osanna.
♦ *
La favola di Orfeo personifica non soltanto il
fascino che esercita la musica, ma i rapimenti del-
l' eloquenza, che fu in ogni tempo uno dei doni
più invidiabili del cervello umano. Se fra tutti
gli animali l' uomo solo parla, benché tutti ab-
biano un linguaggio per esprimere le proprie
emozioni; soltanto pochissimi uomini hanno da
natura, e perfezionano coli' arte, questa sovrana
LE EBTÀSI DELL'ELOQUENZA 260
potenza di trasformare la voce in una forza, che
piega gli intelletti, che domina i cuori; che semina
fra le moltitudini le simpatie, ^li entusiasmi, il
delirio.
Tutte le donne di questo mondo possono dirvi:
io ti amo; ma una sola ha saputo dirvelo con tanta
soavità di accento, con tanto pudore o tanta pas-
sione da non dimenticar più mai la divina mu<
sica di quelle tre semplicissime parole.
Così tutti gli uomini della terra sanno parlare;
ma la storia registra come eroi del pensiero quei
pochi, che con un discorso seppero vincere una
battaglia o far votare una riforma; e che colla
sola voce scrissero nella storia d'un popolo una
delle pagine più belle e più gloriose.
Capitolo XXL
LE ESTASI DELLA;:L0TTA
E DELLA POTENZA.
Bapimenti di Cavour, di Garibaldi, di Moltke e di Bismarck.
— Natora complessa e indefinibile di queste estasi. — Due
parole sulla psicologia della volontà. — Locomotive e genii
d'azione. — Brevità e intensità di queste estasi.
Ormai son vissato più ohe mezzo seoolOi e i pò-
ohi anni ohe anoor m'avanzano di vita non potranno
essere ohe una oontinaazione della stessa stoffa,
per quanto sia tra quelli, che molti fili hanno tes-
suto sulla stessa orditura. Posso quindi dire ohe
io non ho provato né proverò mai le estasi della
lotta e della potenza politiea.
Fatta questa oonfessione, io potrei dire ool Pe-
trarca :
Or convien che sfaccenda ogni mio zelo,
Si ch'ai mio volto Tira addoppi i vaimi,
Ch'io porto invidia agli nomini, e noi celo ;
De' quali veggio alcnn, dopo mill'anni
E mille e mille, più chiari che'n vita,
Ed io m'avanzo di perpetui affanni.
l .
Ma io non ho mai oonosoiuta l'invidia, e spero
di morire senz'averla mai veduta in viso.
Estasi umane. — II. 18
274 CAPITOLO XXI
Dovrei quindi rinanziare a parlarvi delle grandi
estasi politiche e militari degli uomini, ohe col loro
ingegno armato di penna o di spada mutano forma
ai governi o ai paesi, e scrivono una pagina im-
mortale nella storia d'un popolo. Ma io ho veduto e
conosciuto Cavour e Bismarck, Garibaldi e Moltke;
posso anche dire di averli studiati, e questi uo-
mini hanno di certo provato nella loro vita glo-
riosa estasi di potenza e d'azione.
*
41 1*
Quasi ancor giovinetto, confuso nella folla alla tri-
buna del popolo a Torino, Ho assistito alla lotta gi-
gantesca di due giganti, Cavour e Garibaldi.
L'uno era sul banco dei ministri, e dopo aver
pensato l'Italia una, lottava contro troni di principi
e idee di conservatori, contro le paure dei vili e
i pregiudizii degli ignoranti; egli solo contro tutti
e sicuro di sé. L'altro, giustamente superbo delle
sue glorie americane e dei suoi recenti miracoli
d'Italia, era il cuore d'Italia, l'erede di tutti gli
amori degli esuli e dei martiri della patria. E
quelle due forze egualmente grandi, ma infini-
tamente diverse, lottavano Vuna contro l'altra
LE ESTASI DELLA LOTTA 275
armate, prima di abbracciarsi e confondersi nel-
runico alveo del risorgimento italiano. Genio poli-
tico e cuore magnanimo; nerbo di pensiero e im-
peto di passiona; prudenza e temerità, urtandosi
r una contro l' altra, come due fiumi che venuti
da lontane catene di monti vengono a cozzarsi
per legge fatale di pendìo prima di fondere le
loro acque in un'acqua sola, prima di versare le
energie delle loro correnti in una corrente sola.
E vidi il Parlamento italiano , somma di «tante
e così diverse forze, tumultuare, e fremere e ribol-
lire intorno alla lotta di quei due giganti, e nel
volto del popolo lessi il pallóre della nazione, che
assisteva trepidando alla ciclopica lotta. Cavour
vinceva, e il genio del pensiero trascinava nel
vortice del comune amore all' Italia il genio del
cuore. Sul volto del grande atleta brillò un sor-
riso mistico e sublime in una volta sola; sorriso
dell' estasi della vittoria. Vittoria sua e più an-
cora d'Italia, che non avrebbe assistito alle di*
scordio dei suoi due figli prediletti, e avrebbe ve-
duto allearsi le due maggiori forze, che dovevano
travolgere e seppellire il passato, preparando una
patria nuova e grande a tutti gli italiani.
276 CAPITOLO XXI
E vidi più volte Garibaldi, ma soprattutto lo
ammirai quando, audacemente ribelle all'amnistia
secata da Carlo Alberto nell'agosto del 48 a Mi-
lano, accettava battaglia contro gli Austriaci a
Luvino, e con forze molto disugnali e truppe rac-
cogliticcie di novizii li vinceva. E lo vidi sulsao
cavallo, colle bionde chiome sparse per le spalle,
colla sua camicia rossa fiammeggiante ai raggi
del sole, galoppare davanti ai suoi eroi, passan-
doli in rivista. Sorrideva e godeva, e su quella
testa di leone irradiavano tutti gli splendori della
fede, dell'amor di patria, della potenza della vo-
lontà. Fermò il eavallo, e per un momento guardò
il sole e fissò lo sguardo come in visione lontana.
Che cosa pensasse, che cosa vedesse in quel mo-
mento, io non so. Di certo era in visione estatica,
e forse attraverso le recenti sconfitte e l'armistizio
fatale e l'urlo della reazione, ohe copriva col suo
trionfo la voce di tanti martiri, egli vedeva l'Italia
risorta fra pochi anni a nuova vita, e sognava
il 59, il 06, il 70; sognava forse Boma capitale
LE ESTASI DELLA POTENZA 277
d'Italia, e il re Vittorio che s'inchinava riverente
al soldato del popolo, là in Campidoglio all'ombra
delle glorie antiche.
E vidi Moltke nel Parlamento germanico, mo-
destamente sedato come gli altri rappresentanti
della gran patria d'Arminio; lo vidi un giorno di
battaglia campale fra quel genio titanico di £i-
smarck e tutta la falange delle forze intellettnali
della Germania. Lo vidi gettare uno sguardo sor-
ridente e pieno di benigna malizia a tutti quei
tedeschi figli di tante patrie diverse e che ora
sono stretti sotto la vòlta di una stessa casa, la
casa germanica. Quell'uragano di opposizione tur-
bolenta, queUa ribellione di tante forti volontà
contro la fortissima e prepotente del grande
tiranno non lo commoveva, né lo turbava, né scri-
veva sulla sua fronte olimpica una sola ruga. Egli
mormorava di certo, pieno di fede inconcussa, le
parole della Bibbia: non prcevalebunt, non prtevu'
lebunt !
Le vittorie acquistate col genio della sua spada
eran costate troppo sangue e troppi secoli di sto-
278 CAPITOLO XXI
ria, perchè ne fossero dispersi i fratti. 1/ unità
germanica non sarebbe piti scomposta. Egli rive-
deva forse in quel momento di estasi tutte le bat-
taglie vinte da lui, e taceva, senza impazientarsi;
come leone che si lascia mordicchiare la fidva
criniera da cagnolini innocenti.
E vidi anche il principe di Bismarck, e gli strinsi
la mano, e gli parlai nelle aule dorate del palazzo
di Gnglielmo imperatore. Egli forse riderebbe di
me, se mai venisse a sapere che ho parlato di lai
in un libro sulle Estasi umane; ma, me Io con-
senta, egli cade, o meglio sale, spesso in estasi. £
troppo nervoso, ha troppo grandi ali al suo genio
per non volar spesso nel cielo dei rapimenti.
Io lo vidi nel palazzo di Ouglielmo imperatore :
lo vidi legato fra le strettoie dei suoi grandi sti-
vali di generale di cavalleria, e fra le fascio troppo
anguste del suo uniforme militare e le fascio
troppo strette degU ordini cavallereschi; ma fra
quello splendore di sciabola e di gioielli qualcosa
splendeva più fulgente: i suoi grandi occhi ai>erti
come due fari di luce sulla vetta di quella fronte
BISMABCK 279
titanioa e darà, fatta per vedere dall'alto e per
comandare. E i mascoli della faccia ad ogni tratto
sussoltavano convalsi presi da tic, qaasi la forza
nascosta là dentro non potesse essere rattenuta
neppare dalla fronte di ferro, dalla volontà di
ferro; da tatto quel ferro di cai è composto qael-
Taomo.
E come in quel giorno, in qaell' ora, egli non
avrebbe dovnto provare un rapimento di potenza,
vedendo per sola volontà sua convocati a Berlino
intomo a sé nomini di scienza e rappresentanti
delle più grandi potenze marittime del mondo, e
per lai solo ordinati a discatore ana naova politica
coloniale? E come non inebbriarsi che per sua
volontà Inghilterra e Francia e America e Por-
togallo disputassero sol Congo nella capitale di
ano Stato, che fino a ieri non aveva piantato le
sae aqaile che sopra un palmo di sabbia africana,
per aver forse pretesto a dirsi anche potenza co-
loniale? E come non inebbriarsi di potere tatto
ciò che si vaole, e di convocare in casa propria
i Governi di tatto il mondo, quasi piccioni am-
maestrati?
280 CAPITOLO XXI
Le estasi ohe stiamo studiando sono delle più
complesse e delle più indefinibili, e U fame un'ana-
lisi psioologioa è cosa molto audace. Son sicuro
che molti saranno poco disposti ad accettarne Tin-
dividualità distinta.
Gli uni diranno : Queste sano estasi deWargogUo!
Altri esclameranno: Ma questi sono rapimenti
delVamor di patria.
m
E così via: ognuno vorrà classificare queste
estasi in una o in un' altra categoria a seconda
del sentimento, che gli sembrerà più impegnato
nell'azione.
Nò questi contraddittori hanno torto in tutto:
essi però mettono in prima linea ciò che talvolta
si tira in disparte per far parte secondaria e ac-
cessoria nel fenomeno complesso del rapimento.
Nelle quattro scene umane che vi ho abbozzato,
di certo l' amor di patria e V orgoglio dovevano
concorrere all'esaltazione sublime di Cavour e di
Oarìbaldi, di Moltke e di Bismarck ; ma dovete am-
mettere con me, che la sola forza di volontà eser-
ESTASI DEGLI UOMINI D'AZIONE 281
aitata fino al possibile può bastare a darei un
rapimento , e tali estasi devono provare tatti gli
nomini d'azione.
Noi non sapremo ohe cosa sia la volontà che
quando l'istologia e la biologia ci avranno detto
ohe cosa avvenga nelle cellule nervose motrici ,
quando inviano ai nervi le loro forze sprigionate
dall'Io pensante; ma perchè questo si sappia hanno
a correr molte generazioni di uomini e forse pa-
recchi secoli. Anche ignorando però l' essenza
fisico-chimica del fenomeno, noi possiamo descri-
verlo e metterlo al suo vero posto nella gerarchia
dei fatti psichici. É per questo che anche senza
istologia e coi soli eleménti della fisologia spe-
rimentale noi possiamo pretendere a fare della
psicologia positiva.
La volontà, che per la sua importanza pratica,
fu messa fino dai tempi più mitologici della psi-
cologia fra le tre facoltà fondamentali dell'animo
e schierata in quella pazza e preistorica trinità
della psicologia, non è forse una facoltà che abbia
organi speciali, non è una funzione distinta di
282 CAPITOLO XXI
una parte del nostro cervello ; ma è molto proba-
bilmente il momento in cai la forza accumulata
nella cellula motrice diventa moto per un eccita-
mento qualunque venuto dal di fuori o dal di
dentro.
Funzione o momento di molte funzioni coscienti
del cervello , la volontà è però così diversa nei
diversi uomini, da bastare a distinguerli in de-
boli e in forti, in debolissimi e in atleti; e il
saper di volere e il voler volere è il primo bat-
tesimo di un grande carattere, è la virtù pia spic-
cata degli uomini d'azione.
Sentire è bene, sentir molto vuol dire accumu-
lare molto materiale atto a un'infinità di lavori;
pensare è meglio ancora, perchè è un combinare
in diversi gruppi e in mille quadri le immagini
raccolte dai nostri sènsi; ma volere è la ottima
di tutte le cose, e nel campo dell' azione un pic-
colo pensiero che vuole è più utile, più efficace di
cento pensieri, che non vogliono mai o vogliono
solo e sempre debolmente.
Molti e molti uomini osservano, raccolgono;
mettono in ordine nel loro cervello le cose vedute,
ma collo stesso frutto con cui un raccoglitore
mette nella sua vetrina insetti, conchiglie, o cu-
riosità da rigattieri. Divertimento innocente, ma
che frutta poco. Vi sono i chincaglieri del x>en-
ESTASI DEGLI UOMINI D' AZIONE 283
siero , come i chincaglieri del brio à brao ; vanno
fiantasticando e pensando quadri ohe non dipin-
geranno mai, statae che non modelleranno mai,
libri che non saranno mai scritti.
Al polo opposto trovate nomini, che, appena ab-
biano in mano un ciottolino o un filo d' erba, lo
tormentano, lo lavorano per cavarne qualcosa,
per trasformarlo in strumento. Date loro della
paglia e ne faranno una corda, date loro della
sabbia e la trasformeranno in vetro; essi impron-
teranno la loro immagine in ogni materia che
passi per le loro mani. I fantasticatori (i Francesi
direbbero le8 réveurs) scivoleranno fra cosa e cosa
come anguille, toccheranno colle loro ali di far-
falla i fiori d'ogni giardino; ma nulla di umano
lasceranno per dove essi son passati. Gli uomini
d'azione invece tutto maneggiano, plasmano, tor-
mentano, piegano alla loro volontà. Disciolgono
nell' acqua ciò che è solubile e fondono nei loro
crogiuoli ciò che è fusibile, distillando le sostanze
volatili e piegando le materie elastiche e di nulla
si accontentano, se ogni cosa non porta l'impronta
della loro volontà.
Fra le materie che gli uomini d'azione maneg-
giano con maggior voluttà, l'uomo è la più cara
e la più nobile. Di certo anche il Gellini avrà
lavorato con più fina industria di genio, quando
284 CAPITOLO XXI
cesellava l'oro e l'argento. E così è dei giganti
delle volontà, che, avendo molta forza da disporre,
hanno bisogno di materia dura e forte e ohe i
deboli non riescono a piegare o a rompere.
E qaale materia può mai immaginarsi più re-
frattaria alla volontà, della pasta con cui gli uomini
son fatti? L'uomo è più duro del diamante, è più
duttile e malleabile dell' oro , è più elastico del
caucciù, è più proteiforme del Proteo; è più vo-
latile deU' etere, è più incoloro dell'aria, è più x>o-
licromo dei derivati dell'anilina. Come il diamante
non può esser sfaccettato che dalla polvere di
altri diamanti, così l'uomo, che incatena i fulmini
e cambia forma ai continenti, non è domato che
da un altro uomo.
E noi possiamo colla forza della nostra volontà
piegare la volontà di dieci, di cento, di mille uomini,
noi possiamo come nelle misteriose sorgenti della
Gordigliera prendere una coppa di acqua, che si vol-
geva alla foce dell'Amazzoni, e versarla nell'alveo,
che la condurrà invece al Eio della Piata. E così
noi possiamo prender tutta una nazione schiava
e dirle: tu sarai libera! — Noi possiamo conqui-
star una razza beata della sua ignoranza e im-
porle il giogo dell'alfabeto ; noi possiamo inginoc-
chiare una nazione. ai piedi del Crocifisso o al
Budda, o al Corano. Noi possiamo far bruciare in-
ESTASI Dfi^LI trOMINI D* AZIONE 285
censi davanti a una donna nuda, ohe abbiamo
chiamato la Dea della Eegione , e d' ora in ora
mutare il grido di Crocifiggi in quello di Evviva
e tramutare gli Osanna in inni di morte.
E quando un uomo riesce a far tutto questo,
si chiami egli Alessandro o Cesare, Washington
o Lutero, Maometto o Tamerlano, come volete
voi eh' egli non si inebbri di questa forza muta
e colossale, che è chiusa nel suo modesto corpi-
cino di bipede implume e non cada in estasi da-
vanti a questa scena sublime del mondo morale?
Come non volete che quell'uomo, anche senza su-
perbia, anche senza affetto di patria, non possa
e non debba salire ad uno dei maggiori rapimenti
nella sola contemplazione estetica della propria
volontà ?
4t
* *
Avete voi mai ammirato una locomotiva, quando
attaccata al treno , che deve trascinarla lontano
per centinaia e centinaia di chilometri, aspetta
l' ordine della partenza ì Essa è immobile , non
mostra né il fuoco uè il vapore che nasconde
nelle sue viscere: eppure essa è carica di forza
286 CAPITOLO XXI
che può sprigionare da un momento all'altro, ed
essa par che lo senta e vibra commossa nella ci-
clopica ossatura della sue membra di ferro. È
un fremito capo, profondo, eppure appena sen-
sibile , che ti fa sentire tutta la forza che è là
dentro; è il respiro di un gigante che può ucci-
derci e rovesciare il mondo. Ebbene se quella
locomotiva avesse una coscienza, essa proverebbe
una estasi di potenza, anche senza orgoglio o
altro affetto umano.
L'uomo di azione è molto simile a quella loco-
motiva; egli sa quanto può, e senza sprigionare
un sofBo dell'energia che lo innonda, la sente tutta
e se ne sente padrone assoluto. Anche senza tras-
formarla in lavoro, anche prima di determinarne
l'uso e la direzione, contempla la forza; e appunto
perchè essa è incommensurabile e senza confini,
egli può provare quel rapimento che danno le
sensazioni forti, ma indistinte. Egli vede dall'alto
tutto ciò che può fare, tutto il lavoro che può
uscire da lui, tutte le trasformazioni di uomini e
di cose , tutte le rivoluzioni eh' egli può sprigio-
nare, dirigere e dominare.
LE ESTASI DELLA VITTORIA 287
* *
Qaella è un' estasi potenziale , ma l' uomo d' a-
zione , r uomo di fortissima volontà può provare
anche un'altra estasi, qaella della vittoria e può
goderla anche senza il pianse della folla e gli
osanna degli eletti. Egli ha combattuto e ha vinto,
egli è padrone e donno del campo che ha con-
quistato.
Dopo una battaglia parlamentare o una batta-
glia di cannoni il ministro o il generale vincitore
può provare di quella ebbrezza, può godere quella
estasi. Gli storici hanno tentato di tracciarla
sulla carta, i pittori l'hanno spesso fermata sulla
tela; ma di certo non sono che pallide immagini
di una delle scene più mute, ma più intense del
mondo umano. Sono brevissime, ma tanto più
forti. Brevi, perchè la volontà anche nelle sue
ebbrezze maggiori è sempre una forza per eccel-
lenza centrifuga e che si traduce in lavoro, quindi
più rara l'estasi e quando questa ha luogo è per
necessità brevissima. Se è breve è però intensa,
dacché l' emozione del genio è alta come lui , e
come lui batte le ali in vastissimo orizzonte.
288 CAPITOLO XXI
I grandi genii d'azione, ohe hanno scritto il loro
nome immortale nel marmo o nel bronzo hanno
tutti provato estasi della volontà. Forse tutta la
loro vita fu spesa per godere un solo istante di ra-
pimento, ma quell'istante fu premio generoso di
tutti i sudori, di tutto il sangue, di tutto il pen-
siero versati e consumati da loro. Non v'ha arco
trionfale, non delirio di moltitudini plaudenti, non
trono d' oro o corona di alloro, che valgano la
voluttà intima , profonda del genio , che rimane
estatico davanti aU' opera sua; non v' ha vita di
secoli, vissuta da milioni di uomini volgari, ohe
valga quell'istante, che forse nessun orologio vale
a misurare; macho la coscienza umana raccoglie
e assorbe come goccia di pioggia divorata da un
deserto assetato.
Ho voluto e ho potuto, è un grido, piti che umano,
divino; e che appunto possono lanciare neUo spazio
solo quei pochissimi, che gli uomini innàLsano al
rango di semidei o di dèi dell'Olimpo.
Capitolo XXIL
LE ESTASI DELLA CBBAZIONE,
Mosè e Darwin. — Il creatore e la sua creatura. — Diverse
creazioni. — Eppur si muove. — Quale sia Testasi più alta
fra tutte; quale la vetta più eccelsa nelllmalaia del pensiero
umano. — La natura e Tuomo creatore. — Conclusione del libro.
Estasi umane, — IL 19
L*aomo non ha creato il mondo e non ha assi-
stito alla sua creazione; ma ha fatto una terza
cosa diversa da queste dae. Egli ha creato la crea-
zione, anzi ne ha creato dae. Leggendo le ore, i
minati, i secondi nel cerchio ristrettissimo del sap
orologio, ha trasportato le brevi ore del tempo a
lai concesso al di Ij^ del tempo del prima, al di
là del tempo del poi; inventando con astazia
grande, e fors'anche con ironia, due Dei Tennini,
che sono lo zero e Vinfinito; le dae maggiori ne-
gazioni che l'aomo abbia potato concepire, e al
di là delle quali nessun occhio linceo, nessuna ala
di fantasia ha mai potuto trascorrere. Il primo è
il padre del poi ; prima del prima un altro prima
indiscutibile, Y antizero; il poi del poi un infinito,
che r antizero può distruggere colla propria vo-
lontà. L' uomo diventatip misura d' ogpi CQS% il
292 CAPITOLO xxn
meridiano d'ogni carta geografica; l'universo una
caricatura in grande, un'immagine antropomorfa
ora abbellita, ora impeggiorata. — Questo il profilo,
lo scheletro d'ogni cosmogonia, questo il codice
e la bibbia ad uso di tutti i delfini del volgo
umano, a compiacimento di tutte le umane su-
perbie.
I pochi invece, che si son redenti dal peccato
originale dell' orgoglio nella sacra piscina della
scienza, con molta modestia hanno rifiutato lo
zero e V infinito come falsi Dei, e si sono accon-
tentati e si accontenteranno forse fino alla fine
dei secoli di chiudere l'universo deUe cose e l'u-
niverso del tempo fra due x, bastando loro di
allontanarle l' una dall' altra di qualche linea ad
ogni passo di uomo e di generazione.
I più fra gli uomini però vogliono la creazione,
e fanno bene. Le x sono irte di x)nnte, e vi si
siede male. Un'ipotesi invece è un divano molle,
elastico e comodissimo: vi si siede, vi si sdraia,
e, soprattutto, vi si dorme. Ed è per questo che
l'uomo ha creato due creazioni : una 1' ha creata
Mosè e l' altra Darwin ; personificando però in
questi nomi non due verità storiche, ma due si-
stemi, che stanno l'uno contro l'altro ; che sono in
apparenza due antitesi, ma che si danno la mano,
essendo egualmente teologiche entrambi.
MOSÈ £ DABWIN 293
La creazione mosaica è sublime ed è poetica:
è il taglio gordiano di un nodo che non si può
sciogliere. Non invano il nodo di Salomone è un
intreccio di x. La creazione darviniana è Lutero
che commenta Cristo; è la scienza che viene a
patti colla fede. La creazione mosaica è Minerva
ohe esce dal cervello di Giove per un colpo di
scure; la creazione darviniana è F uovo che di*
venta gallina per una serie di evoluzioni studiate
collo scalpello e il microscopio; ma davanti al
fiat lux e all'uovo sorgono le a? a cento, a mille,
intrecciate a nodi di Salomone; quasi sogghignando
beffarde al legislatore del Sinai e a quello di Down.
Né Mosè né Darwin negano Dio, anzi lo affermano.
B Dio del Sinai parla col tuono e coi fulmini,
l'altro discute accademicamente; il primo mette
in ordine il caos col fiato, l'altro lo amministra
come un fattore esperto e pratico. Mosè doveva
nascere in Oriente, dove si ama sentire e fanta-
sticare, l'altro doveva sorgere in Inghilterra, dove
si preferisce lavorare. Mosè e l' Oriente vogliono
il bello; Darwin e FOccidente vogliono l'utile.
294 CAPITOLÒ XXIT
Dae creazioni e due teorie, di cui la fede e Io
scetticismo scelgono quella che più conviene ai
gusti d' ogni individuo. Due creazioni e dae ipo-
tesi, sulle quali può sedere, sdraiarsi ed anche dor-
mire ogni uomo, che detesti le quattro ponte tor-
mentose della X, che c'entrano per gli occhi, per
le carni, per ogni parte sensibile della pelle; tor-
mentandoci e torturandoci dalla culla alla tomba.
Ma io non voglio farvi la critica di Mosè e di
Darwin, ma assai più modestamente non aspiro
che a parlarvi delle estasi della creazione, e queste
estasi si incarnano in quei due nomi, poli opposti
del pensiero umano ; ma che per la fatale conti*
guità degli atomi e dell'etere finiscono per t03-
carsi, dacché sono iscritti nella stessa sfarà del
microcosmo umano.
Anche il Dio superbo di MO0& dovette trovare
il caos per cavarne il mondo, ed anche l'uomo
per tutte le sue creazioni ha bisogno dell'tifr» oon-
shtam, di una materia caotica, ch'egli possa ma-
nt)ggiare e plasmare a sua voglia. In ogni modo
ciò poco importa: davanti al mondo creato Dio
LE ESTASI DELLA CBSAZIONE 295
si arresta e trova che ciò è buono, e Mosè e Dar-
win cadono in estasi davanti alla Genesi della
Bibbia e all'altra Genesi dell'evoluzione. Dovun-
que nasce qualcliLe cosa, un grande equilibrio di
forze disperse e disgiunte si ristabilisce, e un so-
apiro di voluttà annunzia, che una nuova creatura
è nata alla luce del sole. È un mondo o un'ipo-
tesi, è un uomo o una teoria, ma è sempre una
creazione. Preparate la culla al neonato: una re-
ligione o una scuola, filosofica, in cui possa ada-
giarsi e dormire. La natura che genera è stanca
e ha bisogno di riposo.
La nascita di una creatura nei primi momenti
si ammira e non si discute; ci commuove più che
non ci faccia pensare; e più d'ogni altro se ne
commuove il padre del neonato. Ciò che oggi è,
ieri non era; ciò che ieri non si muoveva, non
respirava, non aveva nome, oggi si muove, respira,
ha un battesimo.
. Dagli abissi più oscuri del passato, o dalle fron-
tiere più lontane dello spazio, gli atomi dispersi,
evocati o invocati dalla nostra voce si sono rav-
296 CAPrroLo xxn
vicinati e congiunti; la nebbia è divenuta figura,
e la figura è divenuta forma; e la forma vìve e
attrae nel vortice della sua vita altri atomi di-
spersi che si incarnano in essa. Poesia di desi-
derio, voluttà di amore, orgoglio di pensiero hanno
ubbidito alla nostra volontà, e la creazione è fatta.
— Sifacda la luce, e la luce fu fatta. — Un momento
prima l'uomo era organismo, ora l'uomo è padre.
La più grande funzione della vita si è affermata,
e la vita ha generato la vita.
Il creatore che si arresta dinanzi alla propria
creatura cade in rapimento; sia poi il neonato un
mondo, un poema, una statua, un quadro, una
scienza, una teoria, un inno, o un tempio. Quanto
lavoro di assimilazione, quante contemplazioni e
quanti travagli, quanto eroismo di pazienza e
quanto sudore di muscoli del pensiero prima di
giungere a quell'istante! Quanti aborti prima di
avere im neonato, quanti sterili amori prima dell'a-
more fecondo; quanto polline per un seme, quanto
agitarsi di atomi prima di mettere insieme un gra-
nello di polline; quanti versi di epopea prima di
esser giunti all'ultima pagina del poema I
LE ESTASI BELLA CREAZIONE 297
E il creatore è là immobile, appoggiato alla
marra creatrice, lucente per tanti solchi aperti
nella dura gleba dell'ignoto, bagnato ancora di no-
bilissimo sudore. E il creatore vede .ancora aperto
a' suoi piedi quel solco fecondo, da cui è uscito
alfine il nuovo organismo. Sente ancora i gemiti
del parto, trema ancora delle angoscio del lungo
travaglio; ma la creatura è nata e vive e vivrà.
Come è armonica l'architettura di quelle membra,
come è ingegnoso quel travaglio di organi, che
ubbidiscono al centro e rimandano a lui le forze
da lui generate! Come è solido lo scheletro, come
sono robusti quei muscoli, come sono fine e arti-
ficiose quelle due reti di vasi e di nervi, che por-
tano ad ogni cellula il sangue e la forza! Come
è bella e delicata e solida quella vernice di pelle,
che difende e protegge e nasconde all' occhio di
tutti le fatiche celate dei mille meccanismi! Come
è bello il di fuori, e come è buono il di dentro;
bello e buono perchè la ereazione è vera; e poema
0 quadro, libro o tempio, vive perchè bello e buono
e vero. E noi, noi soli siamo padri di quella crea-
tura, che porterà il santo battesimo del nostro
nome; il' primo sacramento del cristiano e del-
l'artista, il nome che consacra nel figlio il genio
e il travaglio del padre; nome che durerà eterno
quanto quello del padre di lui.
208 CAPITOLO xxn
* *
Chiamo nella storia dei travagli umani col nome
di creazione ogni opera d'arte, di musica o di scal-
pello, di pennello o di penna. Metto anche la poesia
^a le opere d-arte, senza attaccare alcuna impor-
tamia a qii€8te olaaaiftGazioni. Mutate la definizione
dell'arte, e allora la poesia iM>trà far classe da sé,
e allora potrete divertirvi a disputale , se nelle
gerarchie del pensiero la poesia sia allo stesso
livello delle belle arti, o molto più in su. Per me
la gerarchia non si misura dall'istrumento fab-
brile adoperato neUa creazione, ma nella nobiltà
dell' opera. Un quadro, una statua, un tempio,
possono essere nulla più che prodotti industriali;
fotografie ben riuscite o combinazioni opportune
di linee; e una poesia può alla sua volta essere
un acrostico o un giuoco di rime. E d'altra parte
vi può essere in una tela o in una statua tanta
creazione poetica da metterla a livello di un inno
o di un poema.
Non perdiamo le ore, ahimè troppo brevi, della
vita in isterilì logomachie e in vani sofismi, e
adoperiamo le parole per quel che valgono, come
LE ESTASI DELLA CREAZIONE 299
vesti per coprire le cose, pronti a mandarle al
macero, qaando saranno sdrascite e consunte dal-
l'uso. La feconda natura ridarà nuova vita e nuova
forma alla fragile materia di cui son fatte; e se
cenciaiuoU hanno ad esservi, lasciamo quei pochi
che si annidano nei tarlati armadii dei linguaioli
e. delle Accademie.
Noi badiamo alle cose, che così poco conosciamo
nBlla loro intima natura, e di cui migliaia e mi-^
gliaia rimangono a. scoprirsi; e per gli usi della
vita ed anche per la lotta delle idee ci basti sa-
pere che la scienza indugia il vero, e che l' arte
orèa il bello eogB eleménti tolti alla iiatura. In
questa definizione, spero, andiamo tutti d'accordo,
ed essa ci basta a distinguere le forme piti sa-
lienti delle estasi intellettuali.
Sensa n eaMo, senza un intenso amòre, nes-
rana creazione nel mondo delle creature, nedsnn
nato nel mondo dell'arte.
r
Una statua, un librò, un quadro, un'armonia è
pensata in un istante, nel baleno di un momento;
e questa è la concezione.
300 CAPITOLO XXII
Per quanto fugace quell' istante, può scuotere
tutte le fibre del cervello e del cuore, e può ba-
stare a rapirci in estasi. Di certo quel baleno fa
preceduto da inconsci e lunghi lavorii anteriori,
ma è quando il germe appare capace di vita, che
la donna sente nel profondo delle viscere un sus-
sulto, che la dichiara madre; e còsi è dell'artista,
che vede a un tratto apparire sull'orizzonte oscuro
della coscienza un'immagine fugace ma splendente;
in cui egli ravvisa il libra, il quadro, il poema, il
nuovo organismo concepito nelle viscere del suo
pensiero.
L'ispirazione creatrice in ogni opera d'arte è la
linea cefalorachidiana, che appare prima nell'uovo
fecondato e afferma il delinearsi della vita. Di
tutti i momenti evolutivi della creazione è quello
il primo, il fenomeno capitale. Linea che afferma
un gigante o un nano , un mostro o nn capolavoro.
Quella linea è lo scheletro su cui si adageranno
i muscoli e i visceri; è dessa che darà figura e
forma a tutti gli organi che si disporranno in-
torno ad essa secondo l' ordine da lei imposto.
Tutti i fomenti del clima, tutti gli sforzi dell'or-
topedia non varranno mai a cambiare il germe
che deve dare una gallina in un altro germe che
genererà un'aquila.
L'estasi della creazione però non finisce nel
LE ESTASI BELLA CBEAZIONE 301
beato istante in cui, fra le tenebre dei non
nati, noi vediamo apparire il germe fecondato. I
nostri pensieri, i nostri affetti circondano quella
creaturina delicata colle ali d'un immenso amore
e lo custodiscono e lo difendono e lo crescono
all'ombra delle nostre speranze. É una santa ma-
ternità, che nel mondo del pensiero ripete tutte
le tenerezze, tutte le astruserie, tutte le esigenze
morbose, che abbiamo trovato nello studio dell'e-
stasi materna.
*
* *
Vi sono nelle famiglie umane molti falsi padri,
nessuna madre illegittima. Così è nelle creazioni
dell'arte: vi sono molti mediocri ingegni che pre-
tendono alle sante estasi della paternità, e sono
impotenti. Essi hanno messa insieme la loro crea-
tura col sangue, colle ossa, cogli amori di un altro
o di altri, e al figlio bastardo non danno di pro-
prio che il nome ; nome che è falso, che è un'iro-
nia, che è un insulto alla verità, che è un con-
trabbando dell'adulterio.
La creazione vera è sempre legittima, perchè
nel mondo del pensiero ha una madre, Vispirazione
a02 CAPITOLO xxn
creatrice, e della rioerca del padre nessuno si cura.
La lingaa, fatta dagli nomini più ohe dalla donna,
ha fatto del genio nn maschio, ma per essere pia
giusta doveva farne una femmina; perchè il genio
è soprattutto feoondo, prolifico, generatore instan-
cabile ; e tutte queste virtà del generare sono di
Eva più che di Adamo. Gli ardori della creazione
intellettuale sono materni più ohe paterni, e nes-
sun viscere rassomiglia tanto a un utero fecondo
quanto il cervello di un genio che crea.
I compilatori, i copiatori, tutti gli industriali
dell'arte, tutti i falsificatori di biglietti di banca,
o di monete, o di opere altrui, possono avere ono-
ranza fra gli uomini e oro negli scrigni; possono
talvolta rubare per qualche tempo un posto nel-
rOlimpo ; ma essi non hanno mai provato, nà pro-
veranno le sante estasi della creazione, dell'ado-
razione solitaria e modesta delle proprie opere.
* *
Nessuna menzogna più antica e più grossolana
di quella che afferma non poter alcuno esser giu-
dico delle proprie opere. Menzogna utile alla po-
lizia interna della società umana, utilissima alla
IJB ESTASI DELLA CREAZIONE 303
mutua difesa delle vanità, e delle invidie ; ma meu<
zogna.
Per quanto cieco, l'amore di madre ha aua
■ chiaroveggenza intima, indiscutibile, che svela i
più riposti difetti del corpo e dell'anima del figlio;
e così è di quell'altra maternit:\ sublime, che con-
duce alla creazione di opere d' arte o di scienza.
Nessuno è più severo critico di un'opera d'arte,
quanto colui che l' ha messa al mondo, nessuno
più esigente, più incontentabile di lui; ma. nello
stesso tempo nessuno di lui più giusto. In quei
soliloqui segreti dello studio, in cui l'artista guarda
il proprio figlio e lo penetra de' suoi sguardi in-
dagatori, egli vede tutte le nudità esteriori e tutte
le nudità interiori della propria opera e teme e
-spera; ma giudica senza reticenze; ma sentenzia
senza riguardi.
Il pubblico sedotto da false apparenze, innamo-
rato del nome dell'artista, può far plauso ad un'o-
pera mediocre e portarla in trionfo; ma egli non
si illude, e anche tacendo dice : questa non è crea-
zione, ma è aborto. Questo figliuolo è nato vivo,
ma morrà.
E invece possono tutti quanti corrugar la fronte
e compatire, alzare le spalle e disprezzare; ma se
il creatore ha ammirata e baciata la sua creatura
jiei soliloqui terribili dell'errai corride, lascia ur-
304: CAPITOLO XXII
lar la folla e fischiar le moltitadiuì, e sorridendo
e colla testa alta ripete l'eterno Eppur ai muopey
che anche prima di Galileo innalzarono al cielo
e dopo di lui ripeteranno tutti i genii incompresi
o calunniati.
Nessun entusia<smo di turbe plaudenti, nessuna
onoranza di principi può eguagliare P estasi soli-
taria del creatore, che ammira nuda, intiera, afol-
gorante di vita la propria creatura, e la trova
bella. La favola di Pigmalione incarna il concetto
di una grande verità, e nel silenzio di molti studii,
in tutti i tempi vi furono baci dati dall'artista al
proprio quadro, alla propria statua, al proprio
libro. Baci castissimi, ma ardenti ; baci non resti-
tuiti uno per uno, ma mille per uno dall' opera
figlia dei nostri amori, delle nostre veglie ango-
sciose, dei nostri travagli sudati.
Marzolo, il grande Marzolo, balza dal letto di
morte e trascina un amico alla sua biblioteca,
dove getta un ultimo sguardo all'opera immortale
della sua vita, e la raccomanda e la saluta e le
dà l'ultimo bacio, E Bafiaello si fa mettere ai
piedi del letto la sua Trasfigurazione, onde vedere
ancora una volta innanzi morire la figlia predi-
letta del suo genio; e così maestri immortali si
addormentarono nell'ultimo sonno, facendo ese-
guire le loro divine sinfonie. Oosì molti autori
LE ESTASI DELLA CREAZIONE 305
morirono e morranno, stringendo colle mani con-
vnlse e innamorate i volumi delle loro opere.
Se nelle estiisi affettive è difBcile dire, quale
arrivi più in alto; se la stessa diffiooM si trova
nel. segnare la gerarchia ai rapimenti estetici,
parmi si possa affermare con tatta sicurezza che
nel mondo del pensiero l'estasi della creazione è
l'altissima fra tutte , e come quella che giunge
sulle più alte vette dell'Olimpo umano, essa vede
e abbraccia da quell'altezza tutte le energie della
mente, tutte le più alte sensualità del senti-
mento.
Per quanto il vero sia un Dio sovrano di molti
altri Dei, pure è un leova terribile e poco pal-
pabile. La sua vita è breve e ciò che oggi è un
vero vivente, sarà domani un vero morto, da cui
spiccherà fuori un'altra esistenza, che figlierà al-
tri veri fino all' infinito. La creazione nel bello è
etema quanto l'uomo, e Isaia ed Omero ci com-
muovono oggi quanto avranno commosso i lonta-
nissimi padri -d' Israello e di Orecia. L' estasi del
vero è altissima, ma quasi tutta intellettuale, eterea
Estasi umane. — II. 20
306 CAPITOLO xxn
come il pensiero. I rapimenti della creazione ar-
tistica sono alti ma ancora caldissimi e d'un ca-
lore che non raffredda mai. D bello è e sarà
sempre più alto di tutte le vette umane , perchè
abbraccia il vero e anche il buono. Nessuna bel-
lezza che non sia vera, nessuna bellezza che non
sia anche buona. Il mito di tre Dei in un Dio
solo si incarna nella trinità santissima del vero,
del buono e del bello; tre Dei in un Dio solo, il
bello.
Se un genio potesse provare egualmente il ra-
pimento che ispira ognuno dei tre grandi Dei
dell' umanità e tutti potesse sentirli alla stessa
altezza, di certo affermerebbe che l'Everest di que-
sto Imalaia umano è il Bello. I popoli che piìi o
meglio degli altri lo hanno adorato, precedettero
a tutti nella strada del progresso, furono gli an-
tesignani della civilla; e anche stanchi formeranno
1' aristocrazia nella vasta moltitudine delle crea-
ture umane. Trovare la verità più grande è utile;
adorare il buono è cosa buona; ma innalzare alla
natura l' inno più alato e il tempio più bello , è
cosa bella, è cosa buona, è cosa vera; perchè il
Bello è il Dio più alto di tutti gli Olimpi consa-
crati, di tutti i cieli passati e di tutti i cieli fu-
turi. Omero sarà sempre più grande di Aristotile
e Shakespeare più sublime di Newton.
LE ESTASI BELLA CBEAZtONE 307
4>
Così come nessun nomo della terra può ria-
mare la madre quanto la madre ha amato lui;
così noi tutti figli della Natura, non possiamo
rendere un bacio più caldo e più innamorato,
quanto nell'esser noi stessi padri di una creazione
che viva e duri.
La natura ci ha dato non uno, ma mille baci;
baci teneri e caldi , baci sereni e appassionati,
baci sulla fronte , sulle labbra e nelle viscere , e
noi, creai^do, le rendiamo quanto è in noi di suo.
I raggi di sole che ci riscaldano il sangue
son venuti da lei e il sangue stesso che ci ali-
menta, è succo delle sue vene. Tutto che è in noi
di riposte energie e di calme pazienze e di im-
peti subitanei ci viene da quella madre di tutti i
viventi, che è la natura.
L' estasi che proviamo davanti alle creazioni
del nostro pensiero è eco lontana o vicina di
tutte le estasi estetiche con cui i prati fioriti e
i cieli stellati e le onde muggenti del mare ci
hanno inebbriato nelle ore di contemplazione. I
figli nostri sono carne della carne della natura
308 CAPI'^OLO XXII
e i molli tepori della voluttà e gli uragani dei
cuore, son venuti da lei. Da lei le iridi della fan-
tasia, da lei i profumi del sentimento, da lei il
verde ohe riposa e il roseo che innamora, da lei
gli spiriti e la materia; da lei la forza e il sonno,
da lei rimpeto che crea, e la pace che conserva;
da lei tutto ciò che è in noi di bello e di grande.
Se è vero che Dio, compiuta l'opera della crea-
zione, si riposasse e godesse nella contempla-
zione delle cose create ; queir altra Dea , madre
di tutti gli Dei e di tutti gli uomini , che è la
Natura, deve sentirsi beata nel contemplare le
opere delle sue creature, che rimandano alla ma-
dre i sorrisi di tutte le luci, le vampe di tatti
gli amori da lei ricevuti. — Più in là Fumano cessa
e il pensabile si arresta.
Non malediciamo alla vita, se essa è capace di
tante estasi affettive, estetiche, intellettuali. Vi
sono minuti che valgono un secolo e il ricordarli
riempie di soave emozioni tutto un secolo di vita.
Non malediciamo a nessuna estiisi, sia dessa
religiosa o intellettuale, mistica o affettiva.
CONCLUSIONE 309
Inchiniamoci a tutte le altezze e se non pos-
siamo salire tutte le vette, contempliamole dal
»
fondo della valle con occhio innamorato.
I^on malediciamo a nessuna estasi e non invi-
diamole, perchè ognuno di noi è capace di salire
qualche cima delle Alpi morali. A nessun uomo
fu mai negato un raggio di sole, né un' ora d' e-
stasi.
Se la natura ci fa tanto diversi di colore e di
forza , di ingegno e di bellezza, stringiamoci tutte
le destre, nella santa alleanza dell'alpinismo mo-
rale, nella religione delle religioni, che è il culto
deirideale,
Fine.
Estasi umane, -- II. 20"
INDICE DEL II VOLUME.
Capitolo XI.
ALTEE ESTASI RELIGIOSE.
Estasi religiose in alcune sante e in alcuni santi. — Maria
degli Angeli. — Anna Caterina Emmerich. — La beata
Margherita Maria Alacoque. — Battista Varani, prin-
cipessa di Camerino. — Frate Jacopo dalla Massa. —
Frate Giovanni della Vemia. — Frato Leone . Pag. 1
Capitolo XII.
ESTASI DELL'AMORE DI PATRIA.
Le estasi dell'amore di patria. — La maschera di Mazzini.
— Patria e religione, eroi della patria e santi. — Me-
glio il chauviniwne che Tignoranza dell'amor di patria.
— Diverse forme dell'estasi dell'amor di patria. — Il
ritomo in Italia dell'autore reduce dall'India. — Estasi
•solitarie dei grandi amatori della patria. — Gli eroi
della storia e gli eroi anonimi. — Estasi epidemiche. —
Incendii delle foreste e incendii del cuore nazionale d'un
popolo. — Raffronti e considerazioni » B7
312 INDICE
Capitolo XIII.
PICCOLE ESTASI AFFETTIVE E MISTE.
L^amore per gli ammali. — Cani, cavalli e bovi. — Le
estasi della ricchezza. — I due lati deUa medaglia. —
L^avaro. — Le estasi patologiche. — Se ne fa cenno ,
ma non si studiano. — Aspirazione modesta di questo
mio libro Pag. 113
Capitolo XIV.
LE ESTASI ASCETICHE.
Le tooriche dell'estetica e un libro futuro. — Diversi ra-
pimenti estetici. — Diversi gusti estetici e condizioni
necessarie all'estasi. *— L'entusiasmo. — Quale sia
l'uomo ch'io più compianga fra tutti. — Estasi per le
scene della natura e per le opere d'arte. — Quale
la più grande „ 127
Capitolo XV.
.LE ESTASI DELLA NATUKA.
Le estasi del mare. — Terra e mare. — La terra sola.
— La estasi dell'uomo dinanzi al cielo .... „ 147
Capitolo XVI.
LE ESTASI PRODOTTE DAI FIORI.
Linneo e la Calypso borealis. — Le piccole estasi dei bota-
nici e delle nature molto sensibili dinanzi ai fiori. — Una
corsa estetica nel campo dei fiori. — Aleardi, Boito e
l'autore. — Culto universale pei fiori. — Fascino mul-
tiforme. — Forme , colori , combinazioni infinite delle
loro bellezze. — Un quadro di fiori in Norvegia. — Sul
• Rio Gualeguaychù. ^ Alla Franila de SeiUt . .. „ 167
INDICE 313
Capitolo XVIl.
LE ESTASI DELLA MUSICA.
La musica è forse la grandissima fra le creazioni umane
e perchè. — Estasi musicale semplice o acustica e sua
grande forza espansiva. — Diverse varietà delPestasi
musicale: l'amorosa, la melanconica, la battagliera e
la fantastica Pag. 205
Capitolo XVIII.
LE ESTASI DEL PENSIERO.
La ricerca del vero. — Evoluzione di questo affetto dalla
curiosità alla religione e all'estasi. — I rapimenti del
laboratorio. — L'estasi matematica. — L'estasi nella bi-
blioteca. — Osanna a tutti i minatori del vero . „ 223
Capitolo XIX.
LE ESTASI DELLA FANTASIA.
Gli abissi del profondo e dell'alto. — D nanismo e il gi-
gantismo nei voli fantasiosi. — Estasi artificiali e spon-
tanee; semplici e complesse della fantasia. — Possi-
bilità dell'avvenire „ 245
Capitolo XX.
LE ESTASI DELL'ELOQUENZA.
A proposito del Padre Agostino. — La parola scritta e
parola parlata : differenze. — Onnipotenza della parola
e suoi perchè. — L'oratore e il suo pubblico. — Estasi
reciproche. — > Orfeo „ 257
314 INDICE
Capitolo XXI.
LE ESTASI DELLA LOTTA E DELLA POTENZA.
Rapimenti . di Cayonr, di Garibaldi, di Molke e di Bi-
smarck. — Natura complessa e indefinibile di qaeste
estasi. — Dae parole sulla psicologia della volontà. —
Locomotive e genii d'azione. — Brevità e intensità di
queste estasi Pag. 271
Capitolo XXII.
LE ESTASI DELLA CEBAZIONE.
Mosè e Darwin. — Il creatore e la sua creatura. — Di-
verse creazioni. — Eppur si muove. — Quale sia l'e-
stasi più alti fra tutte; quale h vetta più eccelsa Del-
l' Imalaia del pensiero umauo. — La natura e l'uomo
creatore. — Conclusione del libro 289
91076
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